Language of document : ECLI:EU:C:2005:56

Arrêt de la Cour

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
27 gennaio 2005 (1)

«Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado – Misure antidumping – Regolamento che chiude procedimenti antidumping – Retroattività – Parità di trattamento – Non discriminazione – Importazione di taluni grandi condensatori elettrolitici all'alluminio originari del Giappone»

Nel procedimento C-422/02 P,

avente ad oggetto un ricorso ai sensi dell'art. 49 dello Statuto CE della Corte di giustizia, proposto il 21 novembre 2002,

Europe Chemi-Con (Deutschland) GmbH, con sede in Norimberga (Germania), rappresentata dal sig. K. Adamantopoulos,  dikigoros, dal sig. J. Branton, solicitor, e dal sig. J. Gutiérrez Gisbert, abogado, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

procedimento in cui le altre parti sono:

Consiglio dell'Unione europea, rappresentato dal sig. S. Marquardt, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Berrisch, avocat,

convenuto in primo grado,

e

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. T. Scharf e dalla sig.ra S. Meany, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

interveniente in primo grado,



LA CORTE (Prima Sezione),



composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg.  A. Rosas (relatore) e S. von Bahr, giudici,

avvocato generale: sig. F.G. Jacobs
cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 29 aprile 2004,

ha pronunciato la seguente



Sentenza



1
Con il proprio ricorso, la Europe Chemi-Con (Germania) GmbH (in prosieguo: la «Chemi-Con») chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 12 settembre 2002, causa T-89/00, Europe Chemi-Con Deutschland/Consiglio (Racc. pag. II-3651; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui è stato respinto il suo ricorso diretto all’annullamento dell’art. 3, secondo comma, del regolamento (CE) del Consiglio 24 gennaio 2000, n. 173, che chiude i procedimenti antidumping concernenti le importazioni di alcuni tipi di grandi condensatori elettrolitici all’alluminio originari del Giappone, della Repubblica di Corea e di Taiwan (GU L 22, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento controverso»).


Contesto normativo

La normativa comunitaria

2
Il regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 27 aprile 1998, n. 905 (GU L 128, pag. 18; in prosieguo: il «regolamento di base»), disciplina i procedimenti antidumping. A termini dell’art. 23, secondo comma, del medesimo, il regolamento di base è stato emanato lasciando impregiudicata la validità dei procedimenti avviati in base al regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3283, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte dei paesi non membri della Comunità europea (GU L 349, pag. 1), applicabile anteriormente all’entrata in vigore del detto regolamento di base.

3
L’art. 5 del regolamento di base disciplina l’avvio del procedimento d’inchiesta iniziale diretto ad accertare l’esistenza, il grado e l’effetto di qualsiasi dumping lamentato in una denuncia.

4
L’art. 7, n. 1, del regolamento di base così recita:

«Possono essere imposti dazi provvisori qualora sia stato avviato un procedimento a norma dell’articolo 5, sia stato pubblicato un avviso di apertura, le parti interessate abbiano avuto adeguate possibilità di presentare informazioni e osservazioni in conformità con l’articolo 5, paragrafo 10, sia stata accertata a titolo provvisorio l’esistenza del dumping e del conseguente pregiudizio subito dall’industria comunitaria e qualora l’interesse della Comunità richieda un intervento per evitare tale pregiudizio. I dazi provvisori vengono imposti non prima di sessanta giorni e non oltre nove mesi a decorrere dalla data di inizio del procedimento».

5
Il successivo n. 7 del medesimo art. 7 prevede quanto segue:

«I dazi provvisori sono imposti per un periodo di sei mesi e possono essere prorogati di tre mesi oppure possono essere imposti per un periodo di nove mesi. Possono tuttavia essere prorogati, o imposti per un periodo di nove mesi unicamente se gli esportatori che rappresentano una percentuale significativa degli scambi in oggetto lo richiedono o non fanno obiezione alla relativa notificazione della Commissione».

6
L’art. 9, nn. 4 e 5, del regolamento di base così dispone:

«4.    Quando dalla constatazione definitiva dei fatti risulta l’esistenza di dumping e di un conseguente pregiudizio e quando gli interessi della Comunità esigono un intervento a norma dell’articolo 21, il Consiglio, deliberando a maggioranza semplice su una proposta presentata dalla Commissione dopo aver sentito il comitato consultivo, istituisce un dazio antidumping definitivo. Se è stato istituito un dazio provvisorio, la proposta di una misura definitiva deve essere presentata al Consiglio entro un mese prima della scadenza dei dazi. L’importo del dazio antidumping non deve superare il margine di dumping accertato e dovrebbe essere inferiore a tale margine, qualora un importo inferiore sia sufficiente per eliminare il pregiudizio causato all’industria comunitaria.

5.      Il dazio antidumping viene istituito per l’importo adeguato a ciascun caso e senza discriminazione sulle importazioni di prodotti per le quali è stato accertato che sono oggetto di dumping e che causano pregiudizio, indipendentemente dalla fonte, salvo quelle effettuate dagli esportatori i cui impegni sono stati accettati in conformità del presente regolamento (…)».

7
A termini dell’art. 11, nn. 2 e 3, del regolamento di base:

«2.    Le misure di antidumping definitive scadono dopo cinque anni dalla data in cui sono state istituite oppure dopo cinque anni dalla data della conclusione dell’ultimo riesame relativo al dumping e al pregiudizio, salvo che nel corso di un riesame non sia stabilito che la scadenza di dette misure implica il rischio del persistere o della reiterazione del dumping e del pregiudizio. Il riesame in previsione della scadenza è avviato per iniziativa della Commissione oppure su domanda dei produttori comunitari o dei loro rappresentanti e le misure restano in vigore in attesa dell’esito del riesame.

Il riesame in previsione della scadenza viene avviato se la domanda contiene sufficienti elementi di prova del rischio del persistere o della reiterazione del dumping o del pregiudizio, in assenza di misure (…).

(…)

3.      Può essere svolto un riesame relativo alla necessità di lasciare in vigore le misure, per iniziativa della Commissione oppure a richiesta di uno Stato membro oppure, a condizione che sia trascorso almeno un anno dall’istituzione delle misure definitive, su domanda di qualsiasi esportatore o importatore oppure di produttori comunitari, la quale contenga sufficienti elementi di prova dell’esigenza di tale riesame intermedio.

Un riesame intermedio è avviato quando la domanda contiene sufficienti elementi di prova del fatto che le misure non sono più necessarie per eliminare il dumping oppure che, in caso di soppressione o modifica delle misure, il pregiudizio non persisterebbe né si ripeterebbe oppure che le misure vigenti non sono più sufficienti per agire contro il dumping arrecante il pregiudizio, o hanno cessato di esserlo.

(…)».

La normativa internazionale

8
L’art. 9, punto 9.2, dell’accordo relativo all’applicazione dell’art. VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GU L 336, pag. 103; in prosieguo: il «codice antidumping del 1994»), contenuto nell’allegato 1 A dell’accordo istitutivo dell’Organizzazione mondiale del commercio, approvato per mezzo dell’art. 1 della decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU L 336, pag. 1), così recita:

«Una volta applicato ad un qualsiasi prodotto, il dazio antidumping viene riscosso, per l’importo adeguato al caso e senza discriminazione, su tutte le importazioni di quel prodotto ritenute in regime di dumping e causa di pregiudizio, qualunque ne sia la provenienza, salvo per quelle provenienti da soggetti dei quali sia stata accettata l’assunzione di impegni in materia di prezzi ai sensi del presente accordo. Le autorità indicano il nome del fornitore o dei fornitori del prodotto interessato. Tuttavia, ove si tratti di più fornitori dello stesso paese e risulti impossibile nominarli tutti, le autorità possono limitarsi ad indicare il nome del paese interessato. Nel caso di più fornitori appartenenti a paesi diversi, le autorità possono indicare il nome di tutti i fornitori, oppure, se ciò non è possibile, di tutti i paesi interessati».


Fatti all’origine della controversia

9
La Chemi-Con è una filiale controllata al 100% della Nippon Chemi-Con Inc. (in prosieguo: la «NCC»), con sede in Tokyo (Giappone). La NCC fabbrica taluni grandi condensatori elettrolitici all’alluminio (in prosieguo: i «GCEA» o i «LAEC»). La Chemi-Con è distributrice ed importatrice esclusiva nella Comunità europea dei GCEA fabbricati dalla NCC.

10
Con effetto 4 dicembre 1992, il regolamento (CEE) del Consiglio 30 novembre 1992, n. 3482 (GU L 353, pag. 1), istituiva un dazio antidumping sulle importazioni nella Comunità di GCEA originari dal Giappone, fissando, al tempo stesso, la riscossione definitiva del dazio antidumping provvisorio. Tali provvedimenti antidumping erano destinati a cessare scaduti i cinque anni dalla loro istituzione, vale a dire il 4 dicembre 1997, a termini dell’art. 11, n. 2, primo comma, del regolamento di base.

11
Il regolamento (CE) del Consiglio 13 giugno 1994, n. 1384 (GU L 152, pag. 1), istituiva parimenti, con effetto 19 giugno 1994, un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di CGEA originari della Corea e di Taiwan.

12
Con avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 3 dicembre 1997 (GU C 365, pag. 5), la Commissione annunciava l’avvio di un riesame delle misure antidumping applicabili alle importazioni di taluni GCEA originari del Giappone. Ai sensi dell’art. 11, n. 2, del regolamento di base, i dazi antidumping su tali importazioni sono rimasti in vigore durante il periodo dell’inchiesta relativa al riesame.

13
A termini dell’art. 11, n. 3, del regolamento di base, la Commissione decideva, di propria iniziativa, con avviso pubblicato nella Gazzettaufficiale delle Comunità europee del 7 aprile 1998 (GU C 107, pag. 4), di avviare parimenti un riesame intermedio delle misure antidumping applicabili alle importazioni di taluni GCEA originari della Corea e di Taiwan.

14
Inoltre, con avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 29 novembre 1997 (GU C 363, pag. 2), la Commissione aveva deciso, in applicazione dell’art. 5 del regolamento di base, di aprire un procedimento antidumping e di avviare un’inchiesta in ordine a taluni GCEA originari degli Stati Uniti e della Tailandia. Con il regolamento (CE) della Commissione 27 agosto 1998, n. 1845 (GU L 240, pag. 4), veniva istituito un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di tali GCEA. Successivamente, la Commissione proponeva al Consiglio di imporre misure antidumping definitive sulle dette importazioni. Il Consiglio non adottava tuttavia tale proposta entro il termine di quindici mesi di cui all’art. 6, n. 9, del regolamento di base.

15
Conseguentemente, le importazioni originarie degli Stati Uniti e della Tailandia costituivano oggetto di misure definitive e le misure provvisorie, entrate in vigore il 29 agosto 1998, cessavano il 28 febbraio 1999. Di conseguenza, i dati antidumping provvisori non sono mai stati definitivamente riscossi su tali importazioni.

16
In data 21 maggio 1999, la Commissione trasmetteva alla Chemi-Con un documento informativo, ai sensi dell’art. 20 del regolamento di base, esponendo i fatti essenziali e le considerazioni sul fondamento delle quali intendeva proporre la chiusura del riesame delle misure antidumping applicabili a taluni GCEA originari del Giappone, tenuto conto della mancata imposizione di dazi definitivi sulle importazioni di taluni GCEA originari degli Stati Uniti e della Tailandia.

17
Nel periodo compreso tra il 31 maggio e il 2 novembre 1999, aveva luogo uno scambio di corrispondenza tra la Chemi-Con e la Commissione ed il 15 giugno 1999 aveva luogo un’audizione. Durante tutto il corso di tale procedimento, la Chemi-Con insisteva affinché la chiusura del riesame e, quindi, del procedimento antidumping avesse effetti retroattivi al 4 dicembre 1997, data di scadenza dei dazi antidumping imposti nel 1992 sulle importazioni di taluni GCEA originari del Giappone.

18
Con il regolamento controverso il Consiglio decideva che, in considerazione della mancata adozione di misure nei confronti dei GCEA provenienti dagli Stati Uniti e dalla Tailandia, sarebbe stato discriminatorio imporre qualsivoglia misura antidumping sulle importazioni di taluni GCEA originari del Giappone, della Corea e di Taiwan.

19
Il dispositivo del regolamento controverso così recita:

«Articolo 1

Il procedimento antidumping concernente le importazioni di alcuni tipi di grandi condensatori elettrolitici all’alluminio originari del Giappone è chiuso.

Articolo 2

Il procedimento antidumping concernente le importazioni di alcuni tipi di grandi condensatori elettrolitici all’alluminio originari della Repubblica di Corea e di Taiwan è chiuso.

Articolo 3

Il presente regolamento entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

Esso si applica a decorrere dal 28 febbraio 1999».

20
Nei ‘considerando’ del regolamento controverso, il Consiglio giustificava la chiusura dei procedimenti antidumping nei termini seguenti:

«(132)
Come menzionato al punto 6, nel novembre 1997 è stato avviato un ulteriore procedimento, ai sensi dell’articolo 5 del regolamento di base, nei confronti delle importazioni di LAEC originari degli Stati Uniti d’America e della Tailandia. L’inchiesta della Commissione aveva stabilito definitivamente l’esistenza di significativi margini di dumping e di un grave pregiudizio sofferto dall’industria comunitaria a causa di tali importazioni. Non erano stati trovati motivi impellenti che giustificassero, ai fini dell’interesse comunitario, la rinuncia ad introdurre nuove misure definitive. Di conseguenza, la Commissione aveva proposto al Consiglio l’imposizione di misure antidumping definitive sulle importazioni di LAEC originari degli USA e della Tailandia. Tuttavia, il Consiglio non ha adottato la proposta entro le scadenze fissate nel regolamento di base. Di conseguenza, non sono state imposte misure definitive sulle importazioni dagli USA e dalla Tailandia e le misure provvisorie entrate in vigore nell’agosto del 1998 sono decadute il 28 febbraio 1999.

(133)
La nuova inchiesta concernente gli USA e la Tailandia e i due presenti riesami sono stati condotti in gran parte simultaneamente. Come già detto, i presenti riesami sono giunti, in linea di massima, alle stesse conclusioni del nuovo procedimento concernente gli USA e la Tailandia per il medesimo prodotto interessato. Tali conclusioni chiedono in linea di massima la modifica delle misure definitive concernenti le importazioni dal Giappone, dalla Repubblica di Corea e da Taiwan.

Tuttavia, l’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base prevede che i dazi antidumping vengono istituiti senza discriminazione sulle importazioni di prodotti per le quali è stato accertato che sono oggetto di dumping e che causano pregiudizio.

(134)
Di conseguenza, si ritiene che, in mancanza di misure nei confronti degli Stati Uniti d’America e della Tailandia, l’imposizione di misure applicabili alle importazioni originarie del Giappone, della Repubblica di Corea e di Taiwan in base alle conclusioni delle presenti inchieste sarebbe discriminatoria nei confronti di questi ultimi tre paesi.

(135)
Considerando quanto precede, a fini di coerenza e per garantire il rispetto del principio di non discriminazione stabilito nell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, è necessario chiudere i procedimenti concernenti le importazioni di LAEC originari del Giappone, della Repubblica di Corea e di Taiwan, senza imporre misure antidumping.

(136)
Un produttore/esportatore giapponese ha asserito che il procedimento concernente il Giappone dovrebbe essere chiuso retroattivamente a far data dall’avvio della presente inchiesta, ossia il 3 dicembre 1997 poiché, mentre era in corso il riesame del Giappone, le importazioni originarie di tale paese erano ancora oggetto di misure antidumping ed erano quindi discriminate rispetto alle importazioni originarie degli USA e della Tailandia, non soggette alla riscossione di dazi.

(137)
Tuttavia, come osservato al punto 132, tra il dicembre 1997 e il 28 febbraio 1999 le importazioni originarie degli USA e della Tailandia erano oggetto di inchiesta al pari delle importazioni originarie del Giappone. Il fatto che in tale periodo fossero in vigore misure nei confronti del Giappone e non degli USA e della Tailandia è unicamente dovuto al fatto che il procedimento concernente gli USA e la Tailandia era in una fase diversa, trattandosi di un’inchiesta iniziale, mentre per quanto riguarda il Giappone le misure in vigore erano quelle imposte dal regolamento (CEE) n. 3482/92. In tali circostanze, non vi è stata alcuna discriminazione poiché la situazione dei due procedimenti era diversa.

(138)
Tuttavia si ammette che, a partire dal 28 febbraio 1999, considerati i punti da 132 a 135, le importazioni originarie del Giappone dovrebbero essere trattate alla stregua di quelle originarie degli USA e della Tailandia. Lo stesso dicasi per la Repubblica di Corea e Taiwan. L’inchiesta concernente gli USA e la Tailandia avrebbe dovuto essere conclusa entro il 28 febbraio 1999 con l’imposizione di misure oppure con la chiusura del procedimento. Il presente riesame era arrivato a conclusioni simili all’inchiesta concernente gli USA e la Tailandia e quindi al presente riesame deve essere applicato il medesimo trattamento».


Il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

21
Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 14 aprile 2000, la Chemi-Con proponeva ricorso diretto all’annullamento dell’art. 3, secondo comma, del regolamento controverso, nella parte in cui gli effetti retroattivi del regolamento medesimo non erano stati fissati al 4 dicembre 1997.

22
Con ordinanza 17 novembre 2000, il presidente della Quarta Sezione ampliata del Tribunale accoglieva la domanda di intervento della Commissione a sostegno del Consiglio. Quest’ultimo, sostenuto dalla Commissione, concludeva chiedendo, in via principale, che il ricorso venisse dichiarato irricevibile e, in subordine, che venisse respinto in quanto infondato.

23
Con la sentenza impugnata il Tribunale respingeva il ricorso.

24
Il Tribunale, previa dichiarazione di ricevibilità del ricorso, respingeva il primo motivo dedotto dalla Chemi-Con, relativo ad un manifesto errore di valutazione, rilevando che la ricorrente denunciava, sostanzialmente, un errore di diritto relativo all’applicazione del principio della parità di trattamento nel regolamento controverso e non un errore manifesto di valutazione dei fatti da parte del Consiglio. Ai punti 53-59 della sentenza impugnata il Tribunale affermava che il detto regolamento non costituiva violazione del principio della parità di trattamento, sancito dall’art. 9, n. 5, del regolamento di base, con riguardo al periodo intercorrente dal 4 dicembre 1997 al 28 febbraio 1999.

25
A parere del Tribunale, i due procedimenti in questione, vale a dire il riesame relativo alle importazioni provenienti dal Giappone e l’inchiesta iniziale sulle importazioni provenienti dagli Stati Uniti e dalla Tailandia, erano disciplinati da disposizioni differenti del regolamento di base, che hanno condotto a risultati diversi quanto alla riscossione dei dazi antidumping (punto 53). Il Tribunale ha ritenuto che, qualora un procedimento venga chiuso senza istituzione di misure antidumping nella fase di inchiesta iniziale, disciplinata dall’art. 5 del detto regolamento, non viene percepito alcun dazio definitivo e i dazi provvisori non vengono percepiti in via definitiva (punto 54). Per contro, l’art. 11, n. 2, del regolamento stesso prevede, per quanto riguarda la procedura di riesame, che le misure antidumping scadano dopo cinque anni dalla data di istituzione e che, in caso di riesame della misura in previsione della scadenza, questa resti in vigore in attesa dell’esito del riesame (punto 56).

26
Ai punti 57 e 58 della sentenza impugnata il Tribunale ha affermato quanto segue:

«57
Conseguentemente, anche se le inchieste sono state condotte simultaneamente su prodotti simili originari di diversi paesi per il medesimo periodo d’inchiesta e se conclusioni simili sono state desunte quanto al dumping, al pregiudizio ed all’interesse comunitario, la disparità di trattamento sussistente tra le importazioni provenienti dal Giappone e quelle provenienti dagli Stati Uniti e dalla Tailandia, quanto alla riscossione dei dazi antidumping, ha un fondamento normativo nel regolamento di base e non può pertanto essere considerata costitutiva di una violazione del principio della parità di trattamento (v., in tal senso, sentenza della Corte 11 luglio 1990, causa C-323/88, Sermes, Racc. pag. I-3027, punti 45-48).

58
Inoltre, il Consiglio non ha l’obbligo di disattendere l’applicazione dell’art. 11, n. 2, del regolamento di base ai sensi dell’art. 9, n. 5, del medesimo regolamento. Quest’ultima disposizione ha ad oggetto soltanto l’imposizione dei dazi antidumping. Orbene, nel caso di specie, i dazi antidumping che la ricorrente avrebbe dovuto corrispondere nel corso del periodo dal 4 dicembre 1997 al 28 febbraio 1999 sono stati imposti dal regolamento n. 3482/92 ed hanno continuato ad essere percepiti sulla base dell’art. 11, n. 2, del regolamento di base che costituisce una regola specifica. Pertanto, indipendentemente dall’avvio dell’inchiesta iniziale relativa alle importazioni provenienti dagli Stati Uniti e dalla Tailandia, la ricorrente doveva continuare a pagare dazi antidumping sulla base dell’art. 11, n. 2, del regolamento di base».

27
Inoltre, il Tribunale respingeva l’argomento della Chemi-Con secondo cui, nella fattispecie, la situazione sarebbe stata paragonabile a quella oggetto del regolamento (CEE) del Consiglio 13 settembre 1993, n. 2553, recante modifica del regolamento (CEE) n. 2089/84 che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni cuscinetti a sfere originari di Giappone e di Singapore (GU L 235, pag. 3), il quale aveva fissato l’effetto retroattivo della cessazione di un dazio antidumping definitivo, istituito anteriormente al detto regolamento, alla data di avvio del procedimento di riesame. Il Tribunale rilevava che le circostanze che avevano occasionato tale regolamento erano diverse, sotto vari profili, da quelle all’origine del regolamento controverso (punto 59 della sentenza impugnata).

28
Per quanto attiene al secondo motivo dedotto dalla Chemi-Con, relativo all’insufficiente motivazione del regolamento controverso, il Tribunale rammentava la costante giurisprudenza della Corte relativa alla motivazione prescritta dall’art. 253 CE e, in particolare, la motivazione di atti di portata generale (punti 65 e 66 della sentenza impugnata). Il Tribunale concludeva affermando che la motivazione del detto regolamento, alla luce del suo contenuto e del contesto che faceva da sfondo alla sua adozione, era sufficiente (punti 67 e 68 della sentenza medesima).


Conclusioni delle parti

29
La Chemi-Con conclude che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata;

condannare il Consiglio alle spese dei due gradi di giudizio e,

in via principale, dichiarare nullo e non avvenuto il secondo comma dell’art. 3 del regolamento controverso nella parte in cui non fissa al 4 dicembre 1997 la data degli effetti retroattivi del detto regolamento o, in subordine, rinviare la causa dinanzi al Tribunale affinché statuisca sulla domanda diretta all’annullamento di tale disposizione.

30
Il Consiglio e la Commissione concludono chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna della Chemi-Con alle spese.


Sull’impugnazione

31
A sostegno del ricorso, la Chemi-Con deduce tre motivi con cui contesta al Tribunale di aver respinto il primo motivo dinanzi ad esso dedotto. Il primo motivo dell’impugnazione attiene ad un errore di diritto in cui il Tribunale sarebbe incorso laddove, al punto 48 della sentenza impugnata, avrebbe riqualificato erroneamente il motivo dedotto dalla Chemi-Con riguardante la violazione, da parte del Consiglio, del principio di non discriminazione sancito dall’art. 9, n. 5, del regolamento di base e non la violazione del principio generale della parità di trattamento. Il secondo motivo attiene ad un preteso errore di diritto in cui il Tribunale sarebbe incorso, al punto 58 della menzionata sentenza, con riguardo all’interpretazione della detta disposizione del regolamento di base. Quanto al terzo motivo, esso verte su un errore di diritto che il Tribunale avrebbe commesso, al punto 57 della sentenza medesima, in tema di applicazione del principio della parità di trattamento. L’applicazione di tale principio poggerebbe, inoltre, su una motivazione insufficiente o equivoca.

32
Come correttamente rilevato dal Consiglio e dalla Commissione, i tre motivi dell’impugnazione sollevano, essenzialmente, una sola ed unica questione sostanziale, concernente l’interpretazione e l’applicazione del principio della parità di trattamento o di non discriminazione sancito dall’art. 9, n. 5, del regolamento di base. Si tratta essenzialmente di accertare se, qualora importazioni nella Comunità di prodotti analoghi provenienti da più fonti distinte siano oggetto di procedimenti antidumping separati, che si trovino in fasi diverse, disciplinate da disposizioni distinte del detto regolamento, tale principio esiga nondimeno che tutte le importazioni di cui trattasi vengano assoggettate ad identico trattamento con riguardo alla riscossione dei dazi antidumping, nel senso che tali dazi non potrebbero essere riscossi sulle importazioni provenienti da taluni fonti qualora non vengano riscossi su importazioni analoghe provenienti da fonti distinte.

Sul primo motivo

33
Per quanto attiene al primo motivo del ricorso, si deve rilevare, come osservato dall’avvocato generale ai paragrafi 36-38 delle proprie conclusioni, che poco importa che il principio sancito dall’art. 9, n. 5, del regolamento di base venga definito quale «principio di parità di trattamento» ovvero quale «principio di non discriminazione». Si tratta, infatti, di due definizioni dello stesso principio generale di diritto comunitario, che vieta, da un lato, di trattare in modo diverso situazioni analoghe e, dall’altro, di trattare in modo uguale situazioni differenti, salvo che una differenza di trattamento non sia obiettivamente giustificata (v., segnatamente, la sentenza 12 dicembre 2002, causa C‑442/00, Rodrìguez Caballero, Racc. pag. I-11915, punto 32, nonché la giurisprudenza ivi richiamata). Dai punti 50, 51 e 57 della sentenza impugnata emerge chiaramente che il Tribunale ha esaminato il trattamento concesso alle importazioni di GCEA proveniente dal Giappone, dagli Stati Uniti e dalla Tailandia alla luce di tale principio, sancito, segnatamente, dal detto art. 9, n. 5. Ciò premesso, la Chemi‑Con non può contestare al Tribunale di essere incorso in errore, al punto 48 della sentenza medesima, con riguardo al principio di cui aveva dedotto la violazione dinanzi ad esso.

34
Dalle suesposte considerazioni emerge che il primo motivo del ricorso, relativo all’erronea qualificazione del motivo dedotto dalla Chemi-Con dinanzi al Tribunale, è infondato e deve essere pertanto respinto.

Sul secondo motivo

Sul primo capo del secondo motivo

35
Con il primo capo del secondo motivo, la Chemi-Con censura l’affermazione, contenuta al punto 58 della sentenza impugnata, secondo cui l’art. 9, n. 5, del regolamento di base riguarderebbe unicamente l’imposizione di dazi antidumping. La ricorrente deduce da tale affermazione che il Tribunale avrebbe escluso che il divieto di discriminazione dettato da tale disposizione possa applicarsi a fattispecie in cui dazi antidumping continuino ad essere riscossi sulla base dell’art. 11, n. 2, di tale regolamento.

36
A parere della Chemi-Con, l’art. 9, n. 5, del regolamento di base deve trovare applicazione in tutte le fattispecie di riscossione di dazi antidumping. Nella specie, tale disposizione osterebbe a che, per effetto dell’art. 11, n. 2, del detto regolamento, gli importatori di GCEA provenienti dal Giappone vengano assoggettati al pagamento di un dazio antidumping nelle more dell’esito del riesame delle misure antidumping in scadenza, laddove le importazioni di prodotti analoghi provenienti dagli Stati Uniti e dalla Tailandia, oggetto di inchiesta iniziale condotta simultaneamente che ha portato alle stesse conclusioni di quelle scaturite dal detto riesame, non sono state assoggettate alla riscossione definitiva di alcun tipo di dazio. Per tale motivo la Chemi-Con ritiene che l’effetto retroattivo del regolamento controverso avrebbe dovuto essere fissato al 4 dicembre 1997, vale a dire al primo giorno a decorrere dal quale essa è stata assoggettata al pagamento di un dazio antidumping sulla base del detto art. 11, n. 2. Infatti, sino al 3 dicembre 1997, data indicata al trentaseiesimo ‘considerando’ del regolamento controverso, tale dazio doveva essere versato in base al regolamento n. 3482/92.

37
Il Consiglio e la Commissione sostengono che il Tribunale, laddove ha affermato che l’art. 9, n. 5, del regolamento di base riguarda unicamente l’imposizione di dazi antidumping, non ha commesso alcun errore di diritto nell’interpretazione di tale disposizione. Le dette istituzioni sottolineano che, contrariamente all’art. 9, punto 9.2, del codice antidumping del 1994, invocato dalla Chemi-Con, il tenore del menzionato art. 9, n. 5, fa espresso riferimento all’imposizione di dazi antidumping e non alla riscossione dei dazi medesimi.

38
A parere del Consiglio, l’art. 9, n. 5, del regolamento di base, vietando un trattamento discriminatorio con riguardo all’imposizione di dazi antidumping, detta una norma restrittiva che va al di là degli obblighi per la Comunità derivanti dal codice antidumping del 1994. L’art. 9, punto 9.2, del detto codice imporrebbe unicamente che, una volta che siano stati imposti dazi antidumping, la loro riscossione venga condotta in maniera non discriminatoria. A sostegno di tale interpretazione, il Consiglio invoca la relazione del 4 luglio 1997 del gruppo speciale istituito in seno all’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT), intitolata «Imposizione di dazi antidumping CE sulle importazioni di filati di cotone provenienti dal Brasile», presentata con riguardo all’art. 8, punto 8.2, dell’accordo del 1979 relativo all’applicazione dell’art. VI del GATT (codice antidumping del GATT, GU 1980, L 71, pag. 90), disposizione corrispondente all’art. 9, punto 9.2, del codice antidumping del 1994. Il Consiglio ritiene, tuttavia, che il fatto che il detto art. 9, n. 5, riguardi unicamente l’imposizione dei dazi antidumping non significhi che la riscossione di tali dazi non sia anch’essa soggetta al divieto di discriminazioni.

39
Sebbene la Chemi-Con nonché il Consiglio e la Commissione abbiano dedicato parte sostanziale dei loro argomenti alla distinzione tra imposizione e riscossione di dazi antidumping, si deve rilevare che le divergenze di opinione al riguardo sono, come correttamente osservato dall’avvocato generale al paragrafo 65 delle proprie conclusioni, più apparenti che reali. Infatti, nessuna parte del procedimento contesta il fatto che l’art. 9, n. 5, del regolamento di base si applichi parimenti ad un procedimento di riesame come quello oggetto nella specie, in cui la riscossione di un dazio antidumping su talune importazioni è proseguita al di là della data di scadenza del dazio definitivo istituito dalla decisione impositiva iniziale.

40
Dalla sentenza impugnata, in particolare dai punti 50, 51 e 57, emerge che il trattamento cui sono state assoggettate le importazioni di GCEA originari di vari paesi nel corso del periodo compreso tra il 4 dicembre 1997 ed il 28 febbraio 1999 è stato esaminato alla luce del principio sancito dall’art. 9, n. 5, del regolamento di base. Conseguentemente, dal punto 58 della stessa sentenza e, in particolare, dall’utilizzazione dell’avverbio «soltanto» nel secondo periodo di tale punto non può dedursi che il Tribunale abbia in tal modo ammesso che la riscossione dei dazi antidumping potesse essere effettuata in maniera discriminatoria ed abbia pertanto considerato tale disposizione inapplicabile alla fattispecie soggetta al suo esame. La censura sollevata dalla Chemi-Con non è quindi fondata e deve essere, pertanto, respinta.

Sul secondo capo del secondo motivo

41
Con il secondo capo del secondo motivo la Chemi-Con deduce parimenti che, al punto 58 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe ritenuto che il Consiglio dispone di un potere discrezionale che gli consentirebbe di non applicare l’art. 9, n. 5, del regolamento di base ai procedimenti disciplinati dall’art. 11, n. 2, del regolamento medesimo.

42
Tuttavia, il Tribunale, laddove ha affermato che il Consiglio non ha l’obbligo di disattendere l’applicazione dell’art. 11, n. 2, del regolamento di base il quale costituisce una disposizione specifica rispetto all’art. 9, n. 5, del regolamento medesimo, non ha minimamente affermato che il Consiglio possa decidere, discrezionalmente, di non applicare quest’ultima disposizione ai procedimenti di riesame. In tal senso, come rilevato dal Consiglio e dalla Commissione, è fuor di dubbio per il Tribunale che il detto art. 9, n. 5, trovi applicazione in fattispecie come quelle in esame; la censura sollevata dalla Chemi-Con è quindi priva di fondamento e deve essere respinta .

43
Inoltre, nell’ipotesi in cui tale censura dovesse essere intesa quale contestazione del fatto che, a parere del Tribunale, l’art. 9, n. 5, del regolamento di base non ostava all’applicazione, nella specie, dell’art. 11, n. 2, del regolamento medesimo, si deve rilevare che tale censura si confonde con l’argomento dedotto nell’ambito del terzo motivo, relativo ad un errore di diritto in cui il Tribunale sarebbe incorso nell’applicazione del principio della parità di trattamento. In tale ipotesi, non vi sarebbe in ogni caso motivo per la Corte di approfondire l’esame di tale censura con riguardo al motivo relativo ad un errore di diritto nell’interpretazione del menzionato art. 9, n. 5.

44
Alla luce delle suesposte considerazioni, il secondo motivo del ricorso, relativo all’errore di diritto in cui il Tribunale sarebbe incorso nell’interpretazione dell’art. 9, n. 5, del regolamento di base, deve essere respinto.

Sul terzo motivo

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Con il primo capo del terzo motivo, la Chemi-Con deduce che la motivazione contenuta nel punto 57 della sentenza impugnata non consentirebbe di comprendere i motivi per i quali il Tribunale ha concluso che la differenza di trattamento esistente tra le importazioni provenienti dal Giappone e quelle originarie degli Stati Uniti e della Tailandia non costituisce violazione del principio della parità di trattamento. A parere della ricorrente, se il Tribunale ha rilevato che la situazione delle importazioni provenienti dal Giappone non era paragonabile a quella delle importazioni originarie degli Stati Uniti o della Tailandia ovvero se ha piuttosto considerato che tali situazioni erano paragonabili, ma che la differenza di trattamento era giustificata dall’esistenza di «differenze obiettive di un certo rilievo», la motivazione della sentenza non emergerebbe in maniera sufficientemente chiara. La Chemi-Con ricorda che quest’ultimo criterio è quello utilizzato dalla giurisprudenza menzionata dal punto 52 della sentenza impugnata.

46
A tal riguardo è sufficiente rilevare, come ammesso della Chemi-Con stessa nel proprio ricorso, che dal punto 57 della sentenza impugnata emerge implicitamente che, a parere del Tribunale, le importazioni provenienti dai tre menzionati Stati rientrano in situazioni analoghe, ma che la differenza del loro trattamento è giustificata. Infatti, sebbene il Tribunale non abbia espressamente indicato che si trattasse di situazioni comparabili, ha elencato varie circostanze comuni alle situazioni interessate, quali la similarità dei prodotti importati, il fatto che le importazioni di cui trattasi fossero state oggetto di inchieste condotte simultaneamente e relative allo stesso periodo, nonché la circostanza che da tali inchieste siano scaturite conclusioni analoghe quanto alla sussistenza del dumping, del pregiudizio e dell’interesse comunitario. Solamente dopo aver rilevato tali elementi comuni il Tribunale ha individuato il motivo che consentiva di giustificare il fatto che tali situazioni abbiano costituito oggetto di trattamento differente. La motivazione contenuta nel detto punto 57 non è quindi né ambigua né insufficiente.

47
Con il secondo capo del terzo motivo, la Chemi-Con sostiene che la sola circostanza che l’inchiesta iniziale sulle importazioni provenienti dagli Stati Uniti e dalla Tailandia fosse disciplinata da una disposizione del regolamento di base distinta da quella relativa al riesame delle misure in scadenza non costituisce una «differenza obiettiva di un certo rilievo» atta a giustificare la differenza di trattamento censurata. La ricorrente contesta, in particolare, al Tribunale di essersi richiamato alla sentenza Sermes, citata supra, atteso che la differenza di fondamento normativo presa in considerazione in tale sentenza sarebbe sostanzialmente più rilevante di quella esistente tra due disposizioni di uno stesso regolamento del Consiglio. La Chemi-Con rammenta a tal riguardo che, nella causa da cui è scaturita la detta sentenza, il fondamento normativo della differenza di trattamento risiedeva in una disposizione del diritto comunitario primario. Nella specie, il fondamento normativo della differenza di trattamento sarebbe costituita unicamente dall’art. 11, n. 2, del regolamento di base, il quale non potrebbe essere considerato quale norma gerarchicamente superiore all’art. 9, n. 5, del regolamento medesimo.

48
Si deve rilevare, in limine, che l’argomento dedotto dalla Chemi-Con si fonda su una lettura troppo superficiale della sentenza impugnata. È pur vero che, ai punti 57 e 58 della medesima, il Tribunale si limita ad indicare, sostanzialmente, che il fondamento normativo della differenza di trattamento a favore delle importazioni provenienti dal Giappone risiede nell’art. 11, n. 2, del regolamento di base, che costituisce una norma specifica che prevede la riscossione di dazi antidumping nelle more dell’esito del riesame di una misura in scadenza. Tuttavia, occorre parimenti prendere in considerazione i punti 54-56 della sentenza stessa, in cui il Tribunale descrive le caratteristiche essenziali dell’inchiesta iniziale e quella del riesame di una misura in scadenza, che costituiscono due procedimenti antidumping soggetti a norme differenti contenute nel medesimo regolamento. Il Tribunale, nel descrivere tali caratteristiche essenziali, ha fatto così riferimento non solo alla circostanza che i due procedimenti sono disciplinati da disposizioni distinte, bensì, nel senso più ampio, ai motivi che hanno indotto il legislatore comunitario a prevedere, nel detto regolamento, norme specifiche applicabili ad ognuno di tali procedimenti.

49
Ne consegue che il riferimento operato dal Tribunale all’art. 11, n. 2, del regolamento di base, quale fondamento normativo della differenza di trattamento esistente tra le importazioni oggetto di riesame e quelle oggetto dell’inchiesta iniziale, non può essere inteso come relativo all’aspetto puramente formale dell’esistenza di tale disposizione specifica. Infatti, a tale riferimento è necessariamente sotteso che, laddove il detto regolamento prevede espressamente che una misura antidumping in scadenza resti in vigore nelle more nell’esito del riesame, qualora questo abbia luogo, si può dedurne che un procedimento di riesame è, in linea di principio, oggettivamente differente dal procedimento di un’inchiesta iniziale, disciplinato da disposizioni diverse dello stesso regolamento.

50
La differenza obiettiva esistente tra i due procedimenti risiede nel fatto che le importazioni soggette alla procedura di riesame sono quelle che sono state già assoggettate a misure antidumping definitive e nei confronti delle quali sono stati raccolti, in linea di principio, elementi probatori sufficienti ad accertare che l’eliminazione di tali misure favorirebbe probabilmente la prosecuzione o la riapparizione del dumping e del danno. Per contro, qualora importazioni vengano assoggettate ad un’inchiesta iniziale, anche se il suo avvio presuppone l’esistenza di elementi di prova sufficienti a giustificare l’apertura di un siffatto procedimento, il suo oggetto consiste appunto nell’accertare l’esistenza, il grado e l’effetto di qualsiasi asserito dumping. Si deve quindi sostenere che, al di là dell’aspetto formale considerato dal Tribunale al punto 57 della sentenza impugnata, la differenza di trattamento rilevata nella specie era giustificata da un elemento sostanziale, atteso che, alla luce delle pertinenti disposizioni del regolamento di base, le importazioni assoggettate dal Consiglio ad un dazio antidumping definitivo, in ragione della loro provenienza, non si trovavano in una situazione identica a quella delle importazioni analoghe provenienti da altre fonti ed oggetto solamente di un’inchiesta iniziale.

51
Correttamente, quindi, il Tribunale ha affermato che la differenza di trattamento esistente tra le importazioni provenienti dal Giappone e quelle originarie degli Stati Uniti e della Tailandia non costituiva violazione del principio della parità di trattamento.

52
Inoltre, correttamente il Tribunale ha del pari rilevato, al punto 58 della sentenza impugnata, che il Consiglio non aveva l’obbligo di disattendere l’applicazione dell’art. 11, n. 2, del regolamento di base per effetto dell’art. 9, n. 5, del regolamento medesimo. Infatti, il principio enunciato da quest’ultima disposizione non esige che il Consiglio, qualora decida di chiudere un procedimento di riesame in base al rilievo che nessun dazio antidumping definitivo è stato imposto su importazioni che si trovino in una situazione analoga a quella delle importazioni assoggettate al riesame, ma provengano da fonti diverse e abbiano costituito oggetto di un’inchiesta iniziale, debba ripristinare una parità di trattamento assoluta con riguardo alla riscossione dei dazi sulle importazioni appartenenti a tali differenti situazioni.

53
Nella specie, il Consiglio ha ritenuto opportuno fissare gli effetti retroattivi della decisione di chiusura del procedimento di riesame relativo alle importazioni analoghe provenienti dal Giappone al 28 febbraio 1999, data a decorrere dalla quale risultava acquisito che misure antidumping definitive non sarebbero state istituite nei confronti delle importazioni di GCEA provenienti dagli Stati Uniti e dalla Tailandia. In considerazione delle ragioni oggettive che consentono un trattamento specifico delle importazioni soggette a procedimento di riesame, si deve considerare che il Consiglio non ha in tal modo ecceduto il potere discrezionale di cui dispone in materia.

54
Alla luce delle suesposte considerazioni, il terzo motivo di ricorso, relativo all’errore di diritto che il Tribunale avrebbe commesso nell’applicazione del principio della parità di trattamento, deve essere respinto.

55
Atteso che nessuno dei motivi dedotti dalla Chemi-Con ha trovato accoglimento, il ricorso deve essere respinto.


Sulle spese

56
A termini dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento d’impugnazione per effetto dell’art. 118 del regolamento medesimo, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Consiglio ne ha chiesto la condanna, la Chemi-Con, rimasta soccombente, deve essere condannata a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dal Consiglio nel presente giudizio. A termini del detto art. 69, n. 4, la Commissione sopporterà le proprie spese.




Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

1)
Il ricorso è respinto.

2)
La Europe Chemi-Con (Deutschland) GmbH sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dal Consiglio dell’Unione europea nel presente giudizio.

3)
La Commissione delle Comunità europee sopporterà le proprie spese.


Firme


1
Lingua processuale: l'inglese.