CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
MACIEJ SZPUNAR
presentate il 18 maggio 2017(1)
Cause riunite C‑360/15 e C‑31/16
College van Burgemeester en Wethouders van de gemeente Amersfoort
contro
X BV
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der Nederlanden (Corte suprema dei Paesi Bassi)]
«Direttiva 2006/123/CE – Campo di applicazione – Articolo 2, paragrafo 2, lettera c) – Articolo 2, paragrafo 3 – Attività connesse alla fornitura di reti elettroniche – Direttiva 2002/20 – Articolo 13»
e
Visser Vastgoed Beleggingen BV
contro
Raad van de gemeente Appingedam
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi)]
«Direttiva 2006/123/CE – Stabilimento dei prestatori di servizi – Campo di applicazione – Considerando 9 – Articolo 4, punto 1 – Nozione di “servizio” – Vendita al dettaglio – Piano regolatore comunale – Articolo 15, paragrafo 2, lettera a) – Restrizione territoriale – Articolo 15, paragrafo 3 – Tutela dell’ambiente urbano»
Indice
I. Introduzione
II. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione
1. Direttiva 2006/123 relativa ai servizi nel mercato interno
2. Diritto dell’Unione relativo ai contributi amministrativi in relazione alla costruzione di reti di comunicazione elettronica
B. Diritto dei Paesi Bassi
1. Estratto delle disposizioni del codice delle telecomunicazioni dei Paesi Bassi
2. «Leges» nel comune di Amersfoort
3. Disposizioni che disciplinano i piani regolatori nei Paesi Bassi e nel comune di Appingedam
III. Procedimenti principali e questioni pregiudiziali
A. C360/15, X
B. C31/16, Visser
IV. Procedimento dinanzi alla Corte
V. Analisi
A. Causa C360/15, X
1. Sul campo di applicazione della direttiva 2006/123 (prima, seconda e terza questione)
a) Articolo 2 della direttiva 2006/123 (prima questione)
1) Sull’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/123
2) Sull’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2006/123
b) Sul considerando 9 della direttiva 2006/123 (terza questione)
c) Sulle situazioni puramente interne (seconda questione)
2. Quarta e quinta questione
B. Causa C31/16, Visser
1. Sull’articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123 (prima questione)
a) Attività economica non salariata (…) fornita dietro retribuzione
b) … di cui all’articolo 57 TFUE
c) Interpretazione restrittiva dovuta al diritto primario?
1) Libertà di stabilimento
2) Libera circolazione delle merci
i) Ricerca di un centro di gravità
ii) Applicazione simultanea
iii) Applicazione successiva
3) Causa Rina Services e a.
d) Ulteriori considerazioni
e) Conclusione
2. Sulle situazioni puramente interne (quarta questione)
3. Su possibili elementi transfrontalieri (terza questione)
4. Piano regolatore ai sensi della direttiva 2006/123 (seconda e quinta questione)
a) Sulle autorizzazioni
b) Sui requisiti
c) Sul considerando 9 della direttiva 2006/123
d) Sull’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva 2006/123
e) Sull’articolo 15 della direttiva 2006/123
5. Sugli articoli 34 e 49 TFUE (sesta questione)
VI. Conclusione
I. Introduzione
1. Il mercato interno con le sue libertà fondamentali non solo costituisce lo storico pilastro giuridico dei Trattati e il loro principio organizzativo centrale, ma, sin dagli albori del processo di integrazione, è stato altresì caratterizzato dal suo dinamismo. Trattasi di uno degli obiettivi dichiarati dell’Unione (2) che si staglia visibilmente nel TFUE nella parte terza, titolo I. Definito giuridicamente sin dall’Atto unico europeo come «uno spazio (…) nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati» (3), esso mira a fornire un flusso libero di prodotti e fattori di produzione all’interno dell’Unione, sullo sfondo della nozione economica di vantaggio comparativo (4).
2. Sebbene io non voglia spingermi ad asserire che il mercato interno è uno «strumento vivente» (5), si può tuttavia dichiarare che, anche più della maggior parte degli altri settori politici dell’Unione, il diritto del mercato interno costituisce un bersaglio mobile. Esso si colloca tra due placche tettoniche: da un lato, le libertà del mercato e, dall’altro, il desiderio degli Stati membri di disciplinare interessi di natura non economica, i quali differiscono a seconda delle politiche nazionali. I padri fondatori dei Trattati non erano ciechi: avendo optato per un settore di politica orizzontale che attraversa e comporta ripercussioni, teoricamente, per ogni altro settore delle politiche (nazionali) (6), questo dinamismo con i suoi corrispondenti elementi dirompenti forma parte integrante del DNA del mercato interno.
3. Nel corso degli anni, la Corte si è mantenuta al passo con tale dinamismo agendo in vari modi: a volte l’ha alimentato (7), altre volte l’ha temperato (8). Tuttavia, ha sempre interpretato le disposizioni del Trattato in una maniera che rifletteva la realtà economica e sociale del momento (di una sentenza) (9).
4. Tradizionalmente, il grosso della giurisprudenza della Corte è stato pronunciato nel quadro della libera circolazione delle merci, dove ha avuto origine la maggior parte delle nozioni. Tra gli esempi figurano molte conclusioni già citate in precedenza, come quella secondo cui, in linea di principio (10), le libertà sono destinate agli Stati membri, e non si applicano in situazioni puramente interne (11). Nel valutare misure nazionali che potenzialmente violano più di una libertà del Trattato, è possibile ravvisare una tendenza a trattare casi del genere sotto la voce «merci». Per lungo tempo stabilimento e servizi sono stati posti in secondo piano da tale giurisprudenza. Tuttavia, nel corso degli anni, hanno guadagnato terreno implicando altresì lo sviluppo di una corposa giurisprudenza, sia nel caso di applicazione diretta di tali libertà nel contesto di rinvii pregiudiziali, sia attraverso procedure di infrazione nei confronti degli Stati membri interessati.
5. Il legislatore dell’Unione ha ritenuto un simile approccio caso per caso non sufficiente a eliminare realmente gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra detti Stati, nonché a garantire ai destinatari e ai prestatori la certezza giuridica necessaria all’effettivo esercizio di tali due libertà fondamentali del TFUE (12). Di conseguenza, è stata adottata la direttiva 2006/123/CE (13), in seguito ad un processo prolisso che ha comportato cambiamenti sostanziali alla proposta iniziale (14).
6. Finora tale direttiva, che doveva essere trasposta dagli Stati membri nel diritto nazionale entro la fine del 2009 (15), non ha condotto a una gran mole di giurisprudenza della Corte (16).
7. Le due presenti domande di pronuncia pregiudiziale dei due giudici di massimo grado dei Paesi Bassi (ciascuno nel rispettivo settore), ossia l’Hoge Raad der Nederlanden (Corte suprema dei Paesi Bassi) e il Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi), sollevano una serie di quesiti fondamentali sulla direttiva 2006/123.
8. Come si vedrà dettagliatamente nell’analisi, la mia tesi principale in entrambi i casi è che la direttiva 2006/123 dovrebbe essere interpretata conformemente al suo obiettivo dichiarato e nell’ambito della realizzazione del mercato interno, tenendo conto della realtà giuridica ed economica del ventunesimo secolo. Così facendo, la Corte dovrebbe riconoscere che il settore dei servizi sta subendo un processo evolutivo e costituisce un’area con un grande potenziale economico. Essa non dovrebbe temere di interpretare la direttiva summenzionata nella maniera in cui ha interpretato talune disposizioni del mercato interno in passato, vale a dire considerando il telos, alla luce delle circostanze odierne, e nel dovuto rispetto del desiderio degli Stati membri di (continuare a) disciplinare attività di natura non commerciale.
II. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione
1. Direttiva 2006/123 relativa ai servizi nel mercato interno
9. I considerando 9 e 33 della direttiva 2006/123 così recitano:
«(9) La presente direttiva si applica unicamente ai requisiti che influenzano l’accesso all’attività di servizi o il suo esercizio. Pertanto essa non si applica a requisiti come le norme del codice stradale, le norme riguardanti lo sviluppo e l’uso delle terre, la pianificazione urbana e rurale, le regolamentazioni edilizie nonché le sanzioni amministrative comminate per inosservanza di tali norme che non disciplinano o non influenzano specificatamente l’attività di servizi, ma devono essere rispettate dai prestatori nello svolgimento della loro attività economica, alla stessa stregua dei singoli che agiscono a titolo privato.
(…)
(33) Tra i servizi oggetto della presente direttiva rientrano numerose attività in costante evoluzione (…). Sono oggetto della presente direttiva anche i servizi prestati sia alle imprese sia ai consumatori, quali i servizi di consulenza legale o fiscale (…), la distribuzione, l’organizzazione di fiere (…) Queste attività possono riguardare servizi che richiedono la vicinanza del prestatore e del destinatario della prestazione, servizi che comportano lo spostamento del destinatario o del prestatore e servizi che possono essere prestati a distanza, anche via Internet».
10. L’articolo 2 della direttiva citata, rubricato «Campo di applicazione», così dispone:
«1. La presente direttiva si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro.
2. La presente direttiva non si applica alle attività seguenti:
(…)
c) i servizi e le reti di comunicazione elettronica nonché le risorse e i servizi associati in relazione alle materie disciplinate dalle direttive 2002/19/CE (17), 2002/20/CE (18), 2002/21/CE (19), 2002/22/CE (20) e 2002/58/CE;
(…)
3. La presente direttiva non si applica al settore fiscale».
11. Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, della medesima direttiva:
«Gli Stati membri applicano le disposizioni della presente direttiva nel rispetto delle norme del trattato che disciplinano il diritto di stabilimento e la libera circolazione dei servizi».
12. L’articolo 4 della direttiva di cui trattasi, intitolato «Definizioni», contiene le seguenti disposizioni:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
1) “servizio”: qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo 50 del trattato fornita normalmente dietro retribuzione;
2) “prestatore”: qualsiasi persona fisica, avente la cittadinanza di uno Stato membro, o qualsiasi persona giuridica di cui all’articolo 48 del trattato, stabilita in uno Stato membro, che offre o fornisce un servizio;
(…)
5) “stabilimento”: l’esercizio effettivo di un’attività economica di cui all’articolo 43 del trattato a tempo indeterminato da parte del prestatore, con un’infrastruttura stabile a partire dalla quale viene effettivamente svolta l’attività di prestazione di servizi;
6) “regime di autorizzazione”: qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio;
7) “requisito”: qualsiasi obbligo, divieto, condizione o limite stabilito dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri o derivante dalla giurisprudenza, dalle prassi amministrative, dalle regole degli organismi e ordini professionali o dalle regole collettive di associazioni o organizzazioni professionali adottate nell’esercizio della propria autonomia giuridica; le norme stabilite dai contratti collettivi negoziati dalle parti sociali non sono considerate di per sé come requisiti ai sensi della presente direttiva;
8) “motivi imperativi d’interesse generale”: motivi riconosciuti come tali dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, tra i quali: (…) la tutela dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano (…)».
13. L’articolo 14 della direttiva in esame, rubricato «Requisiti vietati» stabilisce quanto segue:
«Gli Stati membri non subordinano l’accesso ad un’attività di servizi o il suo esercizio sul loro territorio al rispetto dei requisiti seguenti:
(…)
5) l’applicazione caso per caso di una verifica di natura economica che subordina il rilascio dell’autorizzazione alla prova dell’esistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato, o alla valutazione degli effetti economici potenziali o effettivi dell’attività o alla valutazione dell’adeguatezza dell’attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti dall’autorità competente; tale divieto non concerne i requisiti di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi imperativi d’interesse generale;
(…)».
14. L’articolo 15 della medesima direttiva, intitolato «Requisiti da valutare», contiene la seguente disposizione al paragrafo 2:
«Gli Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico subordina l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio al rispetto dei requisiti non discriminatori seguenti:
a) restrizioni quantitative o territoriali sotto forma, in particolare, di restrizioni fissate in funzione della popolazione o di una distanza geografica minima tra prestatori;
(…)».
2. Diritto dell’Unione relativo ai contributi amministrativi in relazione alla costruzione di reti di comunicazione elettronica
15. La direttiva 2002/21 definisce una «rete di comunicazione elettronica» all’articolo 2, lettera a), nei seguenti termini:
«“reti di comunicazione elettronica”, i sistemi di trasmissione e, se del caso, le apparecchiature di commutazione o di instradamento e altre risorse, inclusi gli elementi di rete non attivi, che consentono di trasmettere segnali via cavo, via radio, a mezzo di fibre ottiche o con altri mezzi elettromagnetici, comprese le reti satellitari, le reti terrestri mobili e fisse (a commutazione di circuito e a commutazione di pacchetto, compresa Internet), le reti utilizzate per la diffusione circolare dei programmi sonori e televisivi, i sistemi per il trasporto della corrente elettrica, nella misura in cui siano utilizzati per trasmettere i segnali, le reti televisive via cavo, indipendentemente dal tipo di informazione trasportato».
16. L’articolo 11 della direttiva in questione, intitolato «Diritti di passaggio», contiene le seguenti disposizioni al paragrafo 1:
«Gli Stati membri assicurano che, nell’esaminare:
– una domanda per la concessione del diritto di installare strutture su proprietà pubbliche o private ovvero al di sopra o al di sotto di esse a un’impresa autorizzata a fornire reti pubbliche di comunicazione,
– una domanda per la concessione del diritto di installare strutture su proprietà pubbliche ovvero al disopra o al di sotto di esse a un’impresa autorizzata a fornire reti di comunicazione elettronica diverse da quelle fornite al pubblico;
l’autorità competente:
– agisca in base a procedure semplici, efficaci, trasparenti e pubbliche, applicate senza discriminazioni né ritardi, e in ogni caso adotti la propria decisione entro sei mesi dalla richiesta, salvo per i casi di espropriazione, e
– rispetti i principi di trasparenza e non discriminazione nel prevedere condizioni per l’esercizio di tali diritti.
Le procedure summenzionate possono differire in funzione del fatto che il richiedente fornisca reti di comunicazione pubbliche o meno».
17. La direttiva 2002/20 applica le medesime definizioni della direttiva 2002/21. L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2002/20 prevede che la direttiva si applica alle «autorizzazioni per la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica».
18. Gli articoli 12 e 13 della direttiva 2002/20 così dispongono:
«Articolo 12
Diritti amministrativi
1. I diritti amministrativi imposti alle imprese che prestano servizi o reti ai sensi dell’autorizzazione generale o che hanno ricevuto una concessione dei diritti d’uso:
a) coprono complessivamente i soli costi amministrativi che saranno sostenuti per la gestione, il controllo e l’applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d’uso e degli obblighi specifici di cui all’articolo 6, paragrafo 2, che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia di accesso e interconnessione;
b) sono imposti alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori.
2. Le autorità nazionali di regolamentazione che impongono il pagamento di diritti amministrativi sono tenute a pubblicare un rendiconto annuo dei propri costi amministrativi e dell’importo complessivo dei diritti riscossi. Alla luce delle differenze tra l’importo totale dei diritti e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche.
Articolo 13
Contributi per la concessione di diritti d’uso e di diritti di installare strutture
Gli Stati membri possono consentire all’autorità competente di riscuotere contributi sui diritti d’uso delle frequenze radio o dei numeri o sui diritti di installare strutture su proprietà pubbliche o private, al di sopra o sotto di esse al fine di garantire l’impiego ottimale di tali risorse. Gli Stati membri fanno sì che tali contributi siano trasparenti, obiettivamente giustificati, proporzionati allo scopo perseguito e non discriminatori e tengano conto degli obiettivi dell’articolo 8 della [direttiva 2002/21]».
B. Diritto dei Paesi Bassi
1. Estratto delle disposizioni del codice delle telecomunicazioni dei Paesi Bassi
19. L’articolo 5.2, paragrafo 1, del Telecommunicatiewet (legge sulle telecomunicazioni) obbliga il titolare o l’amministratore di terreni pubblici a tollerare la posa e la manutenzione di cavi per una rete pubblica di comunicazione elettronica.
20. L’articolo 5.4 del medesimo atto stabilisce due condizioni alle quali può essere eseguito il lavoro sui terreni:
«1. L’offerente una rete pubblica di comunicazione elettronica che intende effettuare lavori in o sopra terreni pubblici per la posa, la manutenzione o l’eliminazione di cavi procede all’esecuzione di tali lavori solo se:
a. ha previamente comunicato per iscritto il suo proposito alla giunta del comune nel cui territorio avranno luogo i lavori, e
b. ha ricevuto dalla giunta l’approvazione relativa al luogo, al momento e alle modalità di esecuzione dei lavori.
2. La giunta può includere nella decisione di approvazione particolari disposizioni per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza, prevenzione o limitazione di inconvenienti, accessibilità di terreni o edifici oppure equilibrio sotterraneo.
3. Tali disposizioni possono riguardare unicamente:
a. il luogo di espletamento dei lavori;
b. il momento in cui svolgere i lavori, fermo restando che il momento di inizio approvato, salvo in caso dei gravi motivi di interesse pubblico di cui al secondo paragrafo, non può essere posteriore a 12 mesi dopo la data di rilascio della decisione di approvazione;
c. le modalità di esecuzione dei lavori;
d. la facilitazione dell’uso congiunto delle strutture;
e. il coordinamento dei lavori previsti con i gestori di altre opere presenti nel terreno».
2. «Leges» nel comune di Amersfoort
21. L’articolo 1 del Verordening leges 2010 («regolamento del 2010 sulle tasse») della giunta comunale di Amersfoort (regolamento. n. 3214976) (in prosieguo: il «Verordening») prevede che le «leges» («tasse») vengano riscosse per tutti i servizi prestati dalla giunta o per suo tramite, secondo il tariffario allegato al Verordening.
22. Al capitolo 19 il suddetto tariffario specifica la tariffa per procedere all’esame di una domanda relativa all’ottenimento di approvazione sul momento, il luogo e le modalità di esecuzione dei lavori di cui all’articolo 5.4, del Telecommunicatiewet. La tariffa differisce a seconda della lunghezza del cavo da posare.
3. Disposizioni che disciplinano i piani regolatori nei Paesi Bassi e nel comune di Appingedam
23. L’articolo 3.1, paragrafo 1, del Wet ruimtelijke ordening (legge sulla pianificazione territoriale) dei Paesi Bassi del 1o luglio 2008 conferisce alle giunte comunali il potere di redigere i piani regolatori che assegnano determinati terreni del comune a specifiche categorie di edifici o a edifici usati per particolari attività. Ai sensi del paragrafo 2 del medesimo articolo, il piano regolatore deve avere una validità di dieci anni.
24. A norma dell’articolo 3.1.2, paragrafo 2.b, del Besluit ruimtelijke ordening (decreto sulla pianificazione territoriale), i comuni possono designare talune aree per negozi al dettaglio o hotel, bar e ristoranti. La spiegazione fornita dal giudice del rinvio esprime chiaramente che la giunta comunale di Appingedam si è avvalsa di tale potere:
«Il regime di cui all’articolo 18, paragrafo 18.1, del regolamento sul piano regolatore è un cosiddetto regime misto sul commercio al dettaglio (“brancheringsregeling”) che autorizza soltanto determinate tipologie di tale commercio e non altre. Sulla scorta di tale regime, oltre a una serie di attività secondarie, è autorizzato solo il commercio al dettaglio di merci voluminose. Il regime non prevede possibilità di deroga. Tuttavia, è possibile richiedere un’autorizzazione (nota nei Paesi Bassi come permesso ambientale) di variazione al piano regolatore alla luce dell’articolo 2.12, paragrafo 1, del Wet algemene bepalingen omgevingsrecht (legge recante le disposizioni generali del diritto ambientale). Il Raad (giunta comunale) ha incluso il regime nel piano regolatore per garantire la conservazione della vitalità del centro cittadino e per evitare che nelle zone centrali i negozi restino vuoti».
III. Procedimenti principali e questioni pregiudiziali
A. C‑360/15, X
25. La società X BV (in prosieguo: «X») veniva incaricata di costruire una rete a fibre ottiche nel comune di Amersfoort, ottenendo l’approvazione necessaria da parte del comune per avviare i lavori di posa dei cavi. Di conseguenza, il comune presentava a X una fattura per le tasse, per un importo totale di EUR 149 949, correlate all’approvazione concessa.
26. X contestava le tasse dinanzi al Rechtbank (Tribunale) di Utrecht. Avverso la sentenza di quest’ultimo si interponeva appello dinanzi al Gerechtshof Arnhem-Leeuwarden (Corte d’appello di Arnhem-Leeuwarden, Paesi Bassi) pronunciatosi con sentenza in data 2 luglio 2013.
27. La giunta comunale di Amersfoort presentava ricorso avverso la sentenza del Gerechtshof (Corte d’appello) dinanzi allo Hoge Raad der Nederlanden (Corte suprema dei Paesi Bassi). Essendovi dubbi in ordine alla compatibilità delle tasse con le direttive 2002/20, 2002/21 e 2006/123, la Corte suprema disponeva la sospensione del procedimento in data 5 giugno 2015 sottoponendo altresì alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2006/123 (…) debba essere interpretato nel senso che tale disposizione si applica all’imposizione di tasse [“leges”] ad opera di un organo di uno Stato membro per procedere all’esame di una domanda di approvazione circa il momento, il luogo e le modalità di esecuzione di lavori di scavo finalizzati alla posa di cavi per una rete pubblica di telecomunicazione elettronica.
2) Se il capo III della direttiva 2006/123 (…) debba essere interpretato nel senso che esso si applica anche a situazioni puramente interne.
3) Se la direttiva 2006/123 (…), alla luce del suo considerando 9, debba essere interpretata nel senso che essa non si applica ad una normativa nazionale che impone che il proposito di effettuare lavori di scavo per la posa, la manutenzione e l’eliminazione di cavi per una rete pubblica di telecomunicazione elettronica venga comunicato al sindaco e alla giunta e che questi ultimi non abbiano il potere di vietare tali lavori, bensì quello di fissare norme relative al luogo, al momento e alle modalità di esecuzione dei lavori e alla promozione dell’utilizzo congiunto delle strutture e al coordinamento dei lavori con i gestori delle altre opere presenti nel terreno.
4) Se l’articolo 4, parte iniziale e numero 6, della direttiva 2006/123 (…) debba essere interpretato nel senso che tale disposizione si applica ad una delibera di approvazione relativa al luogo, al momento e alle modalità dei lavori di scavo per la posa di cavi per una rete pubblica di telecomunicazione elettronica, senza che l’organo interessato dello Stato membro abbia il potere di vietare siffatti lavori come tali.
5) (A) Qualora esso sia applicabile alla luce della risposta alle questioni che precedono, se l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2006/123 (…) abbia efficacia diretta.
(B) In caso di risposta affermativa alla questione 5 (A), se dall’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2006/123 (…) risulti che i costi da addebitare possono essere calcolati sulla base dei costi previsti per tutte le procedure di domanda, o sulla base dei costi di tutte le procedure come quella di cui trattasi, oppure sulla base dei costi di ciascuna domanda.
(C) In caso di risposta affermativa alla questione 5 (A), con quali criteri debbano essere attribuiti alle singole domande di autorizzazione i costi indiretti e fissi ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2006/123 (…)».
B. C‑31/16, Visser
28. Con delibera del 19 giugno 2013, la giunta comunale di Appingedam adottava un piano regolatore che designava un’area esterna al centro cittadino, denominata il «Woonplein», quale area commerciale esclusivamente per il commercio al dettaglio di merci voluminose. Il piano regolatore specifica, tra l’altro, che la sua adozione è avvenuta «per garantire la conservazione della vitalità del centro cittadino e per evitare che nelle zone centrali i negozi restino vuoti». Pertanto, nel Woonplein sono stabiliti esercizi di vendita al dettaglio comprendenti, inter alia, arredamento, articoli per il fai da te, materiali edili, articoli da giardino, biciclette, articoli per l’equitazione e accessori per auto.
29. La Visser Vastgoed Beleggingen BV (in prosieguo: la «Visser»), società che possiede alcune superfici commerciali nel Woonplein, desidererebbe affittare dei locali commerciali alla Bristol BV, che, a sua volta, sarebbe intenzionata ad aprire un negozio al dettaglio per la propria catena di calzature e abbigliamento a basso costo.
30. La Visser contestava la delibera che istituiva il piano regolatore del 19 giugno 2013 dinanzi alla Sezione del contenzioso amministrativo del Raad van State (Consiglio di Stato), asserendo che il piano regolatore era incompatibile con le disposizioni della direttiva 2006/123. Il 13 gennaio 2016, la Sezione disponeva la sospensione del procedimento sottoponendo altresì alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la nozione di “servizio”, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva [2006/123], debba essere interpretata nel senso che il commercio al dettaglio consistente nella vendita di merci come calzature e abbigliamento ai consumatori, è un servizio al quale sono applicabili le disposizioni della direttiva [2006/123] in forza dell’articolo 2, paragrafo 1, della medesima.
2) Il regime di cui [all’ordinanza di rinvio pregiudiziale], per garantire la conservazione della vitalità del centro cittadino e per evitare che nelle zone centrali i negozi restino vuoti, mira a vietare talune forme di commercio al dettaglio, come la vendita di calzature e abbigliamento, in zone esterne al centro cittadino.
Se, alla luce del considerando 9 della direttiva [2006/123], una disposizione che prevede un siffatto regime esuli dalla portata della direttiva medesima, dato che siffatte disposizioni devono esser considerate come “norme riguardanti (…) la pianificazione urbana e rurale (…) che non disciplinano o non influenzano specificatamente l’attività di servizi, ma devono essere rispettate dai prestatori nello svolgimento della loro attività economica, alla stessa stregua dei singoli che agiscono a titolo privato”.
3) Se per poter presumere il carattere transfrontaliero di una situazione sia sufficiente che non si possa escludere che un commerciante al dettaglio di un altro Stato membro si potrebbe stabilire sul luogo ovvero che i clienti del commerciante al dettaglio potrebbero provenire da un altro Stato membro, oppure se debbano esistere indicazioni concrete in tal senso.
4) Se il capo III della direttiva [2006/123] (libertà di stabilimento) sia applicabile a situazioni puramente interne o se, al fine [di] valutare [l’]applicabilità di detto capo, sia rilevante la giurisprudenza della Corte relativa alle disposizioni del Trattato sulla libertà di stabilimento e sulla libera circolazione dei servizi in situazioni puramente interne.
5a) Se un regime compreso in un piano regolatore ai sensi [dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale] rientri nell’ambito di applicazione della nozione di “requisito”, ai sensi degli articoli 4, punto 7, e 14, parte iniziale e punto 5, della direttiva [2006/123], e non in quello della nozione di “regime di autorizzazione”, di cui agli articoli 4, punto 6, 9 e 10 della direttiva [2006/123].
5b) Se l’articolo 14, punto 5, della direttiva [2006/123] — qualora un regime come quello di cui [all’ordinanza di rinvio pregiudiziale] rientri nella portata della nozione di “requisito” — o gli articoli 9 e 10 della direttiva [2006/123] — qualora un regime come quello di cui [all’ordinanza di rinvio pregiudiziale] rientri nella portata della nozione di “autorizzazione” — ostino a che una giunta comunale adotti un regime come quello di cui [all’ordinanza di rinvio pregiudiziale].
6) Se un regime come quello di cui [all’ordinanza di rinvio pregiudiziale] rientri nell’ambito di applicazione degli articoli da 34 a 36, oppure da 49 a 55 TFUE, e, in tal caso, se siano applicabili le deroghe riconosciute dalla Corte di giustizia, purché proporzionalmente presenti».
IV. Procedimento dinanzi alla Corte
31. Le rispettive ordinanze di rinvio sono pervenute alla cancelleria della Corte il 13 luglio 2015 (causa C‑360/15) e il 18 gennaio 2016 (causa C‑31/16). Sono state presentate osservazioni scritte dalle parti nel procedimento principale, dal governo dei Paesi Bassi e dalla Commissione (in entrambe le cause), nonché dal governo ceco (causa C‑360/15) e dai governi irlandese, italiano, tedesco e polacco (causa C‑31/16). Con decisione del presidente della Corte del 23 gennaio 2016, le cause sono state riunite ai fini della fase orale del procedimento e della sentenza.
32. Le parti nel procedimento principale, il governo dei Paesi Bassi, il governo tedesco e la Commissione hanno presenziato all’udienza, tenutasi il 14 febbraio 2017.
V. Analisi
A. Causa C‑360/15, X
33. Le prime tre questioni vertono sul campo di applicazione della direttiva 2006/123, mentre le questioni quarta e quinta riguardano le disposizioni sostanziali della direttiva.
1. Sul campo di applicazione della direttiva 2006/123 (prima, seconda e terza questione)
a) Articolo 2 della direttiva 2006/123 (prima questione)
34. Con la prima questione il giudice del rinvio chiede se l’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2006/123 debba essere interpretato nel senso che tale disposizione si applica all’imposizione di tasse ad opera di un organo di uno Stato membro per procedere all’esame di una domanda di approvazione circa il momento, il luogo e le modalità di esecuzione di lavori di scavo finalizzati alla posa di cavi per una rete pubblica di comunicazione elettronica.
35. Il campo di applicazione della direttiva 2006/123 è stabilito dall’articolo 2 della medesima. Il paragrafo 1 del citato articolo sancisce che essa si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro. Il successivo paragrafo 2 esclude una serie di attività dal campo di applicazione della direttiva, tra cui [lettera c)]: «i servizi e le reti di comunicazione elettronica nonché le risorse e i servizi associati in relazione alle materie disciplinate dalle direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE, 2002/22/CE e 2002/58/CE». Il susseguente paragrafo 3 specifica inoltre che la direttiva non si applica al settore fiscale.
36. Da tale struttura deduco che bisognerebbe esaminare soltanto l’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2006/123 qualora i requisiti di cui all’articolo 2, paragrafo 1, risultino soddisfatti e se l’applicazione della direttiva non è già preclusa dall’articolo 2, paragrafo 2.
37. Il giudice del rinvio sembra supporre che l’applicazione della direttiva non è preclusa a causa di una delle attività elencate all’articolo 2, paragrafo 2, della medesima. Tuttavia, non essendo pienamente convinto di questa conclusione (21), esaminerò anzitutto l’articolo 2, paragrafo 2, prima di passare al successivo paragrafo 3 del succitato articolo della direttiva.
38. Pertanto, affronterò in primis la questione se la posa di cavi per la costruzione di una rete in fibra di vetro costituisca una materia rientrante nell’ambito dell’eccezione di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/123.
1) Sull’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/123
39. Il quadro normativo dell’Unione sulle telecomunicazioni è costituito dalla direttiva 2002/21 e da quattro direttive specifiche, una delle quali è la direttiva 2002/20 (22).
40. La direttiva 2002/21 contiene disposizioni comuni e stabilisce le definizioni e l’ambito di applicazione del quadro normativo che si applica a tutte le reti di comunicazione elettronica, indipendentemente dal sistema di trasmissione dei dati (23).
41. La finalità della direttiva 2002/20 è quella di garantire che per autorizzare la fornitura di reti elettroniche venga utilizzato il sistema di autorizzazione meno oneroso possibile (24). Essa elimina il precedente sistema di licenze individuali per attività legate alle reti e lo sostituisce con un’«autorizzazione generale» che garantisce determinati diritti minimi all’operatore di rete (25).
42. La costruzione di una rete a fibra ottica intesa a trasmettere dati per la comunicazione elettronica costituisce una «rete di comunicazione elettronica» ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della direttiva 2002/21 (26). Le attività di X rientrano pertanto nell’ambito di applicazione delle disposizioni del quadro normativo dell’Unione per le telecomunicazioni.
43. Tuttavia, questa conclusione, in quanto tale, non implica che le condizioni di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/123 siano soddisfatte, dato che tale disposizione si riferisce specificamente alle «materie disciplinate dalle» direttive sui servizi e le reti di comunicazione elettronica. Dunque, dobbiamo continuare ad analizzare se tasse quali le «leges» di cui al procedimento principale siano, effettivamente, materie disciplinate da tali direttive.
44. L’articolo 12 della direttiva 2002/20 limita i diritti imposti da un’autorità nazionale di regolamentazione. Esso si riferisce ai diritti imposti alle imprese che prestano servizi o reti ai sensi dell’autorizzazione generale o che hanno ricevuto una concessione dei diritti d’uso (27). È stato ritenuto applicabile alle procedure che concedono un’autorizzazione generale o attribuiscono diritti d’uso (28). Nel quadro della procedura in esame, tuttavia, non è applicabile, non essendo coinvolte autorizzazioni generali (29) o diritti d’uso e, principalmente, poiché il comune di Amersfoort non è un’autorità nazionale di regolamentazione (30).
45. Ciononostante, l’articolo 13 della direttiva 2002/20 potrebbe essere rilevante. Il suo ambito di applicazione è certamente più ampio in quanto va oltre la procedura relativa alle autorizzazioni generali.
46. Ai sensi dell’articolo 13 «gli Stati membri possono consentire all’autorità competente di riscuotere contributi (…) sui diritti di installare strutture» (31). A differenza dell’articolo 12, esso non fa alcun riferimento alle autorizzazioni generali o ad un’autorità nazionale di regolamentazione, ma riflette la formulazione dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2002/21 («Diritti di passaggio»), secondo cui diritti di passaggio possono essere concessi da un’«autorità competente» (32). Ciò ha senso, in quanto le tasse introdotte dalle autorità locali che disciplinano i diritti di passaggio possono essere tanto dissuasive quanto quelle introdotte nel corso della procedura di autorizzazione generale (33).
47. Un’interpretazione siffatta è, inoltre, avvalorata dallo scopo della direttiva 2002/20, che consiste nel rendere l’accesso al mercato meno oneroso (34). In questo contesto, secondo la giurisprudenza consolidata, nell’ambito della direttiva 2002/20, gli Stati membri non possono riscuotere tasse o contributi sulla fornitura di reti e servizi di comunicazioni elettroniche diversi da quelli previsti da questa direttiva (35). Sarebbe incoerente se l’assenza di un requisito per un’autorizzazione generale di un’autorità nazionale di regolamentazione potesse pregiudicare tale tutela di accesso al mercato offerta dalla direttiva 2002/20.
48. Gli obiettivi generali del quadro per le telecomunicazioni (36) sostengono una lettura in senso lato dell’articolo 13 della direttiva 2002/20. L’obiettivo fissato all’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2002/21 è quello di assicurare che gli utenti ne traggano il massimo vantaggio in termini di scelta, prezzi e qualità. Il costo delle licenze per i lavori di ingegneria civile relativi a reti elettroniche influenza i prezzi che gli utenti finali sono tenuti a pagare per accedere alla rete nella loro regione, e la loro possibilità di avere accesso alla rete in generale (37). Procedure onerose per l’installazione di strutture possono avere un effetto simile agli ostacoli sotto forma di regimi di autorizzazione. Pertanto, l’ambito di applicazione dell’articolo 13 della direttiva 2002/20 non si limita al contesto di un’autorizzazione generale specifica, ma include altri contributi per l’installazione di strutture necessarie per l’accesso al mercato da parte dei prestatori delle comunicazioni (38).
49. Una simile interpretazione dell’articolo 13 della direttiva 2002/20 è altresì conforme alla sentenza Vodafone España e France Telecom España (39), in cui la Corte ha dichiarato che l’articolo 13 ostava a una tassa regionale sull’utilizzo di pali telefonici di terzi. Ovviamente sussistono differenze sostanziali tra la misura in questione nel procedimento principale e quella oggetto della causa Vodafone España e France Telecom España; tuttavia, a sentenza ha chiarito due punti salienti applicabili alla causa in esame.
50. In primo luogo, la tassa in questione nella causa Vodafone España e France Telecom España aumentava il costo di stabilimento di nuovi prestatori rispetto a quelli che già possedevano delle infrastrutture (40). Analogamente, le tasse nella causa in esame innalzano il costo dell’installazione di strutture e pongono in una posizione di svantaggio i prestatori che non sono già dotati di una propria infrastruttura nel comune rispetto a quelli che lo sono.
51. In secondo luogo, la tassa in questione in quella causa è stata imposta da un comune che non era un’autorità nazionale di regolamentazione. In ragione dell’ambito di applicazione più ampio dell’articolo 13 e dal momento che i comuni erano le autorità competenti per l’approvazione dell’installazione di strutture, tale disposizione si applicava alla causa Vodafone España e France Telecom España. La medesima dovrebbe applicarsi alla fattispecie.
52. Occorre aggiungere che in cause successive sulla questione delle imposte generali in opposizione alle tasse sull’installazione di strutture, la Corte ha ritenuto la direttiva 2002/20 non applicabile (41). Per quanto riguarda la misura in questione, tuttavia, non può esservi alcun dubbio sul fatto che sono state applicate delle tasse per l’installazione di una struttura. Nella posa di cavi su terreno privato o pubblico, X fa uso di un diritto di passaggio ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2002/21 come trasposta dalla legge sulle telecomunicazioni dei Paesi Bassi (42). L’articolo 13 della direttiva 2002/20 specifica questo diritto di passaggio per quanto concerne l’installazione di strutture di telecomunicazione, attività in cui rientra indubbiamente la posa dei cavi.
53. Pertanto, la materia è disciplinata dall’articolo 13 della direttiva 2002/20, motivo per cui, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/123, quest’ultima non si applica alla causa in questione.
54. La questione della compatibilità di misure nazionali come le tasse applicate nel caso del procedimento principale con l’articolo 13 della direttiva 2002/20, disposizione direttamente applicabile (43) di cui possono avvalersi i singoli, richiede accertamenti di fatto, che competono al giudice del rinvio. Inoltre, non è oggetto del presente procedimento.
2) Sull’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2006/123
55. Ipoteticamente, nell’eventualità che la Corte dovesse ritenere che i requisiti di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/123 non siano soddisfatti, occorre ora valutare se una misura, come quella relativa alle tasse, rientri nel settore fiscale (articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2006/123).
56. Il termine «tassazione» deve essere interpretato in maniera autonoma, conformemente alla giurisprudenza consolidata della Corte, secondo la quale tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio di uguaglianza esigono che una disposizione del diritto dell’Unione che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata deve normalmente dar luogo, in tutta l’Unione europea, ad una interpretazione autonoma e uniforme (44).
57. Esiste una differenza fondamentale tra un’imposta, che contribuisce alle entrate generali di un’entità pubblica, e un diritto amministrativo corrisposto in cambio di un servizio specifico.
58. Nella causa in questione, anche se il comune competente ha applicato un importo superiore a quello del procedimento amministrativo concernente l’esame della domanda di approvazione relativamente al momento, al luogo e alle modalità di esecuzione di lavori di scavo, il mero fatto che una tale possibile riscossione in eccesso contribuisce al bilancio generale del comune non trasforma la tassa in un’imposta generale. L’imposizione della tassa si verifica solo nel corso del procedimento amministrativo. Nessun ente può convertire un diritto amministrativo in una tassa, evitando così l’applicazione della direttiva 2006/123, solo perché l’importo imposto è superiore ai costi di gestione del procedimento amministrativo. Una siffatta interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 3, sarebbe contraria allo scopo dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2006/123, che consiste nel limitare le tasse derivanti dalla concessione delle autorizzazioni ai prestatori di servizi.
59. Pertanto, ritengo che le misure nazionali come le leges di cui al procedimento principale non costituiscano un’imposta, dal momento che sono applicate in occasione del servizio comunale di esame della domanda di approvazione relativamente al momento, al luogo e alle modalità di esecuzione di lavori di scavo.
b) Sul considerando 9 della direttiva 2006/123 (terza questione)
60. Poiché, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/123, tale direttiva, a mio avviso, non si applica a una situazione come quella del caso in esame, la terza questione sul significato del considerando 9 del preambolo di tale direttiva, nell’ambito del procedimento di cui il giudice del rinvio è adito, è ipotetica e non necessita di una risposta.
c) Sulle situazioni puramente interne (seconda questione)
61. La seconda questione riguarda le situazioni puramente interne ai sensi del capo III della direttiva 2006/123. Poiché anche tale questione ha natura ipotetica nell’ambito della presente causa, mi occuperò di essa (solo) più avanti, nella causa C‑31/16, Visser.
2. Quarta e quinta questione
62. Dal momento che propongo che la Corte debba ritenere che la direttiva 2006/123 non sia applicabile a un caso come quello in esame e dal momento che le questioni quarta e quinta sono sottoposte muovendo dall’assunto che la direttiva si applichi, esse sono ipotetiche. Inoltre, vorrei sottolineare che il regime stabilito dalla direttiva 2006/123 in ordine alle autorizzazioni e ai loro regimi (capo III, sezione 1) e dei requisiti (vietati) (sezione 2), non è rivolto al settore densamente regolato e altamente tecnico delle telecomunicazioni – che è esattamente la ragione per cui questo settore ricade, come visto supra, al di fuori dell’ambito di applicazione della direttiva summenzionata (45).
B. Causa C‑31/16, Visser
1. Sull’articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123 (prima questione)
63. Con la prima questione il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte se il commercio al dettaglio consistente nella vendita di merci come calzature e abbigliamento ai consumatori rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/123.
64. Tale questione è posta dal giudice del rinvio nel seguente contesto: la Visser possiede un immobile commerciale che vorrebbe affittare alla Bristol BV, azienda intenzionata ad aprire un negozio al dettaglio per la propria catena di calzature e abbigliamento a basso costo. La Bristol BV intende far valere il capo III della direttiva, intitolato «Libertà di stabilimento dei prestatori». Pertanto, la questione è se la Bristol BV sia un prestatore di servizi che può far valere le disposizioni della direttiva 2006/123.
65. Infine, come vedremo in dettaglio più avanti, dietro tale questione apparentemente semplice («perché la vendita al dettaglio non dovrebbe essere un servizio?») si annida la questione più ampia e delicata del nesso tra la direttiva 2006/123 e le libertà fondamentali, sancite nel TFUE, nonché la questione della relazione tra tali libertà fondamentali ed eventuali implicazioni per la direttiva 2006/123.
66. Mentre il governo dei Paesi Bassi sostiene che, in una situazione come quella del caso di specie, la vendita al dettaglio non dovrebbe essere considerata un servizio, la Visser e i governi dell’Italia e della Polonia, nonché la Commissione, ritengono che debba esserlo.
67. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2006/123, la direttiva si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro.
68. L’articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123 definisce «servizio» «qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo [57 TFUE], fornita normalmente dietro retribuzione» (46). L’articolo 57 TFUE, a sua volta, specifica, al primo comma, che «[a]i sensi dei trattati, sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone».
a) Attività economica non salariata (…) fornita dietro retribuzione
69. La prima parte della definizione di «servizio» è piuttosto inequivocabile: la vendita di calzature o abbigliamento costituisce un’attività economica non salariata, fornita dietro retribuzione.
70. Il considerando 33 della direttiva (47) elenca esplicitamente la distribuzione (48) come una delle attività oggetto della medesima direttiva (49). Il considerando 47 di quest’ultima, inoltre, menziona, anche se incidentalmente, nell’ambito del regime di autorizzazione, i grandi centri commerciali. Tali esercizi hanno anche incontestabilmente una funzione distributiva per quanto riguarda le merci. Per completare il quadro, il considerando 76 della direttiva afferma che solamente le restrizioni che si applicano alle merci in quanto tali (a mio avviso, diversamente dalla distribuzione delle merci) non sono interessate dalla direttiva.
71. Inoltre, il non vincolante ma comunque esplicativo (50) manuale della Commissione per l’attuazione della direttiva sui servizi (51), al quale, per di più, ha fatto ricorso anche la Corte nell’interpretare la direttiva 2006/123 (52), si riferisce alla «distribuzione (compresa la vendita al dettaglio e all’ingrosso di merci e servizi)».
72. Inoltre, uno sguardo alla storia redazionale della direttiva rivela che il Parlamento europeo ha inizialmente tentato di eliminare il riferimento alla «distribuzione» durante la prima lettura (53), presumibilmente con l’intento di escludere i servizi di vendita al dettaglio dalla direttiva. Il Consiglio, tuttavia, ha ripristinato siffatto riferimento nella bozza (54) che è rimasto fino all’adozione della direttiva.
b) … di cui all’articolo 57 TFUE
73. Ma cosa dire sulla seconda parte dell’articolo 57, primo comma, TFUE, di cui all’articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123 («in quanto [i servizi] non siano regolat[i] dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone»)?
74. Ciò solleva la questione se i servizi in oggetto – la vendita di calzature – non siano oggetto di altre libertà del Trattato ai sensi dell’articolo 57 TFUE, il che potrebbe significare che essi non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/123.
75. In base al sistema del TFUE (55), la libera circolazione delle persone consta di due libertà distinte di circolazione di persone dipendenti (lavoratori) e persone autonome (stabilimento). Pertanto, la libertà di stabilimento rientra nel termine «persone» di cui all’articolo 57, primo comma, TFUE (56).
76. Immaginiamo, per un momento, che l’attività della Bristol BV fosse uno stabilimento. Ciò implicherebbe che la sua situazione, ai sensi del TFUE, sarebbe disciplinata dalle norme sulla libertà di stabilimento (in quanto sottocategoria della libera circolazione delle persone), il che significherebbe, a sua volta, che non saremmo in presenza di un «servizio» ai sensi dell’articolo 57 TFUE. In base a ciò si esulerebbe dall’ambito di applicazione della direttiva 2006/123. Seguendo tale conclusione, il capo III della direttiva 2006/123 sulla libertà di stabilimento dei prestatori sarebbe privo di qualunque ambito di applicazione (57). A meno che si ritenga che, per tale motivo, il capo III sia diper sé contrario al diritto primario, non si può accettare la conclusione che esso sia privo di un ambito di applicazione.
77. Di conseguenza, o il termine «attività di servizio» ai sensi del capo III della direttiva 2006/123 deve avere un significato diverso dalla definizione generale di cui all’articolo 4 della direttiva 2006/123, oppure l’articolo 4 della medesima direttiva non intende riferirsi all’articolo 57 TFUE per quanto riguarda lo stabilimento dei prestatori. Per motivi di chiarezza, opterei per quest’ultimo approccio affermando che la direttiva si applica anche alle attività economiche che rientrano nella libertà di stabilimento ai sensi del TFUE, ma che includono anche un elemento di servizio (58).
78. Più in generale, la differenza terminologica tra il TFUE e la direttiva 2006/123 indica i diversi metodi impiegati da quest’ultimo, da un lato, e dalla direttiva, dall’altro, per conseguire l’obiettivo di eliminare le restrizioni alla libera prestazione dei servizi. Il TFUE si concentra principalmente sulle «restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione» (59). Esso persegue l’«integrazione negativa» vietando gli ostacoli al commercio dei servizi (60). La direttiva 2006/123, per contro, pone l’accento e mira specificamente alle attività di servizi. In quanto atto di diritto derivato, essa può affrontare più dettagliatamente i problemi riscontrati dai prestatori in presenza di determinati ostacoli. Ciò in quanto – conformemente alla sua base giuridica (61) – si concentra sull’attività dei prestatori di servizi e la sua intera struttura è orientata verso le attività di servizi (62).
79. Il riferimento all’articolo 57 TFUE nell’articolo 4, punto 1 della direttiva 2006/123 non ha, pertanto, alcuna rilevanza sulla questione se la vendita al dettaglio costituisca un «servizio» ai sensi dell’articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123.
80. Pertanto, la vendita al dettaglio dovrebbe essere considerata un servizio ai sensi dell’articolo 4, punto 1 della direttiva 2006/123.
c) Interpretazione restrittiva dovuta al diritto primario?
81. La questione residua nel contesto interpretativo dell’articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123 è se il diritto primario favorisca un’interpretazione restrittiva di tale disposizione con la conseguenza che la vendita al dettaglio potrebbe non essere considerata un «servizio» ai fini della direttiva 2006/123.
82. La mia risposta a tal riguardo è negativa.
1) Libertà di stabilimento
83. Anche ai sensi del (solo) TFUE (63), l’attività della Bristol BV rientrerebbe a mio parere nella libertà di stabilimento, come dimostrerò adesso con riferimento alla giurisprudenza della Corte.
84. In situazioni relative allo stabilimento, che coinvolgono un’altra libertà fondamentale, tipicamente questioni attinenti alle merci e ai servizi (64), ritengo che la Corte applichi costantemente la libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 49 TFUE (65). A mio avviso, il motivo sotteso a un siffatto approccio è che lo stabilimento include generalmente e intrinsecamente aspetti di altre libertà fondamentali quasi per definizione. Schematizzando: il capitale è necessario per l’avvio, le persone aiutano a costruire e gestire e le merci necessitano di essere trasportate da A a B. Tutto ciò per consentire ad una persona (fisica o giuridica) di stabilirsi.
85. Affrontando tutte tali questioni come «stabilimento», mi sembra che la Corte si concentri sull’effettiva attività di stabilimento piuttosto che sulla finalità conclusiva di tale stabilimento. In una situazione siffatta, essa non considera le merci o i servizi che l’impresa stabilita deve fornire.
86. Secondo tale giurisprudenza e in assenza della direttiva 2006/123, l’apertura di un negozio al dettaglio come nella fattispecie di cui al procedimento principale rientrerebbe dunque presumibilmente nella libertà di stabilimento. In tali circostanze, non vedo come il fatto di affrontare il caso in questione ai sensi del capo III della direttiva relativo allo stabilimento dei prestatori di servizi sarebbe contrario a tale giurisprudenza.
2) Libera circolazione delle merci
87. Giacché il caso in questione concerne lo stabilimento, non occorre approfondire ulteriormente il rapporto tra la direttiva 2006/123 e il diritto primario. Onde evitare qualsiasi incomprensione relativa al rapporto tra merci e servizi e alla luce delle questioni sollevate durante la fase orale del procedimento ritengo, comunque, utile approfondire ulteriormente tale questione nelle presenti conclusioni.
88. Occorre anzitutto sottolineare che il fatto che, in base all’articolo 57, primo comma, TFUE, la libera prestazione di servizi sia residuale in relazione alle altre libertà non implica in alcun modo che vi sia un ordine di priorità tra le libertà fondamentali (66). La Corte ha chiarito che, se è vero che la definizione della nozione di «servizi» di cui all’articolo 57, primo comma, TFUE specifica che si tratta di prestazioni che «non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone», resta comunque il fatto che tale precisazione opera sul piano della definizione della detta nozione senza con ciò stabilire alcuna priorità tra la libera prestazione dei servizi e le altre libertà fondamentali. La Corte afferma in modo decisivo che la nozione di «servizi» ricomprende le prestazioni che non sono disciplinate dalle altre libertà affinché non vi siano attività economiche che esulino dall’ambito di applicazione delle libertà fondamentali (67). Pertanto, la libera prestazione di servizi non è sussidiaria ma è una libertà residuale.
89. Qualora i casi riguardino sia le merci sia i servizi, la giurisprudenza della Corte varia. È possibile distinguere tre approcci: esaminare una libertà solamente sulla base di un «test del centro di gravità», esaminare entrambe le libertà congiuntamente ed esaminare una libertà dopo l’altra. Consideriamo brevemente tali tre approcci uno alla volta.
i) Ricerca di un centro di gravità
90. Questa è la classica prova di default cui fa ricorso la Corte. In tal caso, essa afferma costantemente che qualora un provvedimento nazionale incida sia sulla libera prestazione dei servizi sia sulla libera circolazione delle merci, la Corte procede al suo esame, in linea di principio, solamente con riguardo ad una delle due dette libertà fondamentali qualora risulti che, alla luce delle circostanze della specie, una delle due sia del tutto secondaria rispetto all’altra e possa essere a questa ricollegata (68). In tale contesto, la Corte si è occupata dei casi di vendita al dettaglio ai sensi della libera circolazione delle merci (69). Essa non nega, tuttavia, che vi siano molteplici aspetti di un’attività economica sotto il profilo delle libertà fondamentali, anche se è stato analizzato un caso unicamente dalla prospettiva di una sola libertà.
91. Ad esempio, nella causa Burmanjer e a. (70), la Corte ha dichiarato che non si potrebbe escludere che la vendita di un prodotto possa avvenire in concomitanza con un’attività che comporti aspetti di «servizio». Ciononostante, tale circostanza non può di per sé bastare per qualificare come «prestazione di servizi» ai sensi dell’articolo 56 TFUE un’operazione economica come la vendita ambulante. In ogni caso si deve invece verificare se tale prestazione costituisca o meno un aspetto assolutamente secondario rispetto agli elementi afferenti alla libera circolazione delle merci (71). Coerentemente con questo approccio, i casi in cui l’aspetto dei servizi è molto forte, come nella pubblicità (72), sono stati trattati conformemente alla libera prestazione dei servizi (73).
92. La logica del test del centro di gravità è questa: in una situazione in cui la Corte è chiamata ad interpretare solo il diritto primario, è naturale che si concentri sulla libertà fondamentale predominante. Perché dovrebbe eseguire lo stesso test per un’altra libertà, solo per raggiungere il medesimo risultato? Del resto, tutte le libertà fondamentali perseguono lo stesso obiettivo, ossia eliminare gli ostacoli al commercio nel mercato interno. Il fatto che una situazione specifica sia presa in esame, ad esempio, solo dall’articolo 49 TFUE, solo dall’articolo 34 TFUE, solo dagli articoli 34 e 56 TFUE o solo dall’articolo 56 TFUE, nella maggior parte dei casi non è necessariamente di vitale importanza.
ii) Applicazione simultanea
93. La Corte ha considerato entrambe le libertà congiuntamente in un caso tecnico relativo a procedure di previa autorizzazione per la commercializzazione (principalmente) di decodificatori per segnali televisivi (74). La ragione di una tale analisi simultanea è data sicuramente dal fatto che, nella fornitura di servizi televisivi digitali, le prestazioni di servizi e le merci sono strettamente connesse (75).
iii) Applicazione successiva
94. Le due libertà sono state esaminate una dopo l’altra dalla Corte soprattutto nei casi relativi alla pubblicità (76). È interessante notare che la Corte in tali casi di esame successivo non ha fornito motivi del perché ha agito in tal senso (77). La mia spiegazione è che un approccio del centro di gravità non era evidente. Aggiungerei che questo orientamento giurisprudenziale relativo all’approccio successivo deve essere inteso alla luce della sentenza Keck e Mithouard (78): adottando un tale approccio, la Corte ha chiarito che le misure che potrebbero potenzialmente costituire modalità di vendita al di fuori dell’ambito di applicazione della libera circolazione delle merci secondo la sentenza Keck e Mithouardpotrebbero, in aggiunta, essere analizzate alla luce di un’altra libertà sancita nel Trattato (79).
95. Il fatto che la Corte ricorra ad approcci differenti mi induce a dedurre la presenza di situazioni in cui l’approccio del «centro di gravità», che riguarda, in modo quasi automatico, la quantità («Quale libertà ha maggior peso?»), raggiunge i propri limiti in una situazione in cui non si può semplicemente ignorare una determinata libertà fondamentale in quanto completamente secondaria. Questa è la ragione per cui, nel caso in esame, preferisco il terzo approccio, poiché, altrimenti, l’aspetto dei servizi inerente alla vendita al dettaglio non sarebbe riconosciuto.
96. Di conseguenza, non vedo come, nel caso di specie, il diritto primario limiterebbe un’interpretazione della direttiva 2006/123 all’interno dei suoi termini.
97. Tale conclusione è, inoltre, avvalorata dal modo in cui la Corte ha finora interpretato la direttiva 2006/123, come vorrei illustrare adesso.
3) Causa Rina Services e a.
98. In questo caso, le conclusioni giuridiche che possiamo trarre dalla sentenza Rina Services e a. (80)sono di fondamentale importanza. La questione giuridica presumibilmente principale di tale causa era costituita dal fatto se un requisito vietato ai sensi dell’articolo 14 della direttiva 2006/123 (81) potesse essere giustificato ai sensi del TFUE. Circa l’argomento che l’articolo 14 della direttiva 2006/123 non poteva escludere una tale giustificazione in quanto quest’ultima equivaleva ad una disposizione nel diritto primario (82), la Corte era stata chiarissima: in composizione di Grande Sezione essa ha statuito che poiché l’articolo 14 non prevedeva possibilità di giustificazione, una siffatta possibilità non sussisteva. In tale contesto la suddetta Corte ha richiamato in modo specifico l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2006/123 (83). Riferendosi esclusivamente ai termini, al sistema e al telosdella direttiva, essa ha dunque dimostrato un considerevole rispetto per le scelte compiute dal legislatore dell’Unione (84).
99. A mio parere, la ratio complessiva sottesa alla sentenza Rina Services e a. si esprime nel fatto che il legislatore dell’Unione può promuovere l’aspetto relativo alla libertà delle libertà fondamentali inevitabilmente a scapito del loro aspetto concernente la giustificazione. Infatti, risiede nella natura dell’armonizzazione definire, livellare e, se ritenuto opportuno dal legislatore dell’Unione, limitare i motivi di giustificazione in modo da creare un terreno di gioco uniforme per gli operatori economici. A fini illustrativi, in una tale situazione la «vincitrice» è la libertà fondamentale dell’Unione, così come l’operatore economico che intende avvalersi di tale libertà – il che è pienamente conforme agli obiettivi del TFUE (85). La legalità e la legittimità di un siffatto risultato risiedono, a mio parere, nel rispetto del procedimento legislativo previsto dal suddetto Trattato.
100. Pertanto, il diritto primario non assume alcun rilievo in ordine alla questione se la vendita al dettaglio costituisca un «servizio» ai sensi dell’articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123.
d) Ulteriori considerazioni
101. Vorrei cogliere l’opportunità di collocare la presente causa nel suo contesto più ampio.
102. Le circostanze odierne implicano che l’attività di vendita al dettaglio, sebbene in definitiva connessa alla distribuzione delle merci, è un servizio di per sé e dovrebbe essere riconosciuto in quanto tale. In passato (e, in particolare, all’epoca della sentenza Keck e Mithouard (86)) potrebbe essere stato il principale mezzo di distribuzione delle merci. La consegna degli ordini postali sulla base delle vendite su catalogo potrebbe essere esistita, ma era certamente marginale. Da allora, con l’arrivo di Internet praticamente in ogni famiglia (e su ogni smartphone), la vendita al dettaglio ha dovuto far fronte a una concorrenza proveniente da nuove direzioni che l’ha costretta a subire una profonda trasformazione. Oggi, in modo più esteso rispetto al passato, la vendita al dettaglio non consiste solamente nella mera vendita di un prodotto, ma anche nella pubblicità, nella consulenza e nell’offerta di servizi di assistenza (87). Nelle attuali condizioni è un’attività che non è meramente accessoria ad un prodotto.
103. Come spesso si verifica nel caso di una nuova normativa, nel corso dell’applicazione di tale strumento giuridico emergono nuove questioni che non possono essere risolte solamente ricorrendo alla precedente giurisprudenza della Corte sulle quattro libertà. Ciò è particolarmente evidente nel contesto dello stabilimento, in cui la distinzione tra stabilimento a fini di distribuzione delle merci e stabilimento a fini di prestazione di un servizio non era rilevante ai sensi delle disposizioni del TFUE. Pertanto, non ravviso alcuna ragione per cui la precedente giurisprudenza sulla delimitazione tra la libertà di prestazione di servizi e la libertà di circolazione delle merci dovrebbe essere mantenuta con riguardo alle modalità di applicazione della direttiva 2006/123 ai rivenditori al dettaglio, come previsto dalla sua chiara formulazione. Per contro, la giurisprudenza della Corte indica fino a questo momento che la distinzione tra merci e servizi è sempre stata non esclusiva. L’evoluzione dell’economia dei servizi, in cui diviene normale per il cliente aspettarsi una molteplicità di servizi al momento dell’acquisto di un prodotto e anche dopo, aumenta la sovrapposizione tra i due poli, al centro della quale si colloca la distribuzione. Il legislatore ha scelto di includerli nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/123, sapendo che l’attività si evolverà ulteriormente verso l’offerta di un maggior numero di servizi, il che è conforme alla giurisprudenza della Corte, la quale ha sempre riconosciuto il fatto che determinate attività contengono aspetti tutelati da diverse libertà.
104. Riassumendo, non penso che la giurisprudenza attuale possa o debba essere interpretata nel senso di escludere l’attività di «vendita al dettaglio» dall’ambito di applicazione della direttiva 2006/123.
e) Conclusione
105. La mia conclusione sulla prima questione è pertanto che l’attività della «vendita al dettaglio», consistente nella vendita di merci come calzature e abbigliamento ai consumatori, rientra nella definizione di «servizio» di cui all’articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123.
2. Sulle situazioni puramente interne (quarta questione)
106. Con la quarta questione nella causa C‑31/16, il giudice del rinvio chiede se il capo III della direttiva 2006/123, intitolato «Libertà di stabilimento dei prestatori», sia applicabile in situazioni i cui fatti sono limitati ad un singolo Stato membro dell’Unione.
107. Non è la prima volta che questa questione viene sottoposta alla Corte. Infatti, nella causa Trijber e Harmsen (88), il Raad van State (Consiglio di Stato) aveva già sollevato la medesima questione.
108. Nelle mie conclusioni nella causa Trijber e Harmsen (89) ho proposto di rispondere a tale questione in modo affermativo. Come ho esposto in dettaglio in detta causa, un’interpretazione testuale, sistematica, storica e teleologica delle disposizioni della direttiva 2006/123 indica che il capo III relativo alla libertà di stabilimento dei prestatori si applica non solo in situazioni transfrontaliere, ma anche in situazioni puramente interne (90). Rinviando la Corte, per quanto riguarda i dettagli del mio ragionamento, a tali conclusioni, in sintesi ho ritenuto quanto segue: con riguardo alla formulazione delle basi giuridiche nel TFUE, non sussiste alcuna differenza tra «coordinamento», «ravvicinamento» e «armonizzazione»; l’armonizzazione nell’ambito del mercato interno può comprendere situazioni non incluse nelle libertà fondamentali garantite dal TFUE; le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123 non fanno alcun riferimento all’attività transfrontaliera, a differenza di quelle del capo IV, e le proposte di modifiche intese a limitare l’intera direttiva alle situazioni transfrontaliere sono state respinte.
109. Rispetto alle mie conclusioni nella causa Trijber e Harmsen la mia opinione su tale questione non è cambiata (91). Nelle presenti conclusioni, mi limiterò quindi ad affrontare gli argomenti aggiuntivi sollevati nell’ambito della presente causa, nonché la giurisprudenza della Corte sulla direttiva 2006/123.
110. In primo luogo, la differenza nella formulazione tra le disposizioni del capo III e quelle del capo IV è determinante: lo stabilimento ai sensi della direttiva dovrebbe includere tutta la prestazione interna dei servizi (capo III). Anzitutto, gli operatori economici non dovrebbero essere disincentivati dallo stabilirsi in uno Stato membro. Quanto al resto, vale a dire con riferimento alla prestazione temporanea di servizi, un elemento transfrontaliero è connaturato. Pertanto, il capo IV richiede necessariamente e logicamente l’esistenza di un elemento transfrontaliero.
111. In secondo luogo, le disposizioni (92), o anche i capi (93), della direttiva 2006/123 che si riferiscono in modo specifico a «un altro Stato membro» e dunque a una situazione transfrontaliera dovrebbero essere ritenuti applicabili in modo specifico alle situazioni transfrontaliere senza alcun pregiudizio per le altre disposizioni della direttiva applicabili in situazioni puramente interne.
112. In terzo luogo, non si può affermare che la base giuridica della direttiva, vale a dire gli articoli 53 e 62 TFUE (94), conferisce la competenza solo per affrontare situazioni transfrontaliere. Infatti, come rilevato dalla Commissione in sede di udienza, la formulazione dell’articolo 53, paragrafo 2, TFUE secondo cui, nel caso delle professioni mediche, paramediche e farmaceutiche, la graduale soppressione delle restrizioni è subordinata al coordinamento delle condizioni richieste per il loro esercizio nei singoli Stati membri, indica la direzione contraria.
113. Inoltre, il legislatore dell’Unione ha già invocato l’articolo 53 TFUE quale base giuridica in situazioni che andavano oltre quelle puramente transfrontaliere. A mio parere, tale disposizione è utilizzata in modo coerente come base giuridica ordinaria (e unica) per l’armonizzazione (95) nel settore dei servizi. In particolare, questo caso si verifica per la ponderosa armonizzazione nel settore dei servizi finanziari. A titolo esemplificativo vorrei menzionare le direttive concernenti il risanamento e la liquidazione degli enti creditizi (96), i mercati degli strumenti finanziari (MiFiD) (97) e l’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi (98). Non ho rinvenuto sentenze della Corte su nessuna di tali direttive in cui, nel quadro dell’articolo 53 TFUE, sia stata posta una questione riguardante la base giuridica rispetto alle situazioni puramente interne (99).
114. In quarto luogo, si dovrebbe esaminare la prassi giudiziaria della Corte. In questo caso, emerge che detta Corte interpreta le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123 in situazioni che sono di natura puramente interna, senza ricercare un elemento transfrontaliero né ricorrere alla sua giurisprudenza generale sull’ammissibilità di rinvii pregiudiziali derivanti da situazioni puramente interne, come adesso sintetizzata (e chiarita) nella causa Ullens de Schooten (100).
115. Onde evitare ogni sorta di fraintendimento, vorrei sottolineare la differenza fondamentale tra le due questioni seguenti: a) se una direttiva riguarda situazioni di natura puramente interna e b) se la Corte debba rispondere ad una questione anche se le controversie di cui al procedimento principale sono limitate all’interno di un singolo Stato membro (101). La questione a) riguarda l’ambito di applicazione ratione materiae di una direttiva. Si tratta di una questione di sostanza. Se la risposta a tale questione è «affermativa» il problema termina qui, nel senso che nessuna ricerca di eventuali elementi transfrontalieri è necessaria. La questione b), d’altra parte, non è sostanziale, ma di natura formale: essa riguarda la ricevibilità di una causa. La questione b) deve essere analizzata solo in caso di risposta «negativa» alla questione a). La causa Ullens de Schooten (102) affronta la questione b).
116. Nella causa Rina Services e a. (103), un caso di normativa nazionale che impone alle società classificate come organismi di certificazione di avere la loro sede legale in un determinato Stato membro, sebbene i fatti di cui al procedimento principale fossero chiaramente limitati solo ad un unico Stato membro, la Corte, senza affrontare tale questione, ha interpretato le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123. Successivamente, nella causa Trijber e Harmsen, la Corte non ha risposto alla questione se le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123 si applichino in una situazione puramente interna. Invece, essa ha cercato e rinvenuto sufficienti elementi transfrontalieri (104). Un simile approccio è cambiato con la sentenza Hiebler (105). In tale causa, relativa alle restrizioni territoriali che consentono agli spazzacamini di offrire i loro servizi solamente nella zona di spazzatura dei camini in cui essi sono residenti, i fatti erano limitati ad uno Stato membro (106). La Corte non ha menzionato un elemento obbligatorio transfrontaliero e ha proceduto direttamente a un esame delle questioni pregiudiziali (107). Lo stesso vale per la sentenza Promoimpresa e a. (108) relativa alla normativa nazionale secondo cui il periodo di validità di concessioni di beni del demanio marittimo e lacuale era automaticamente prorogato. Ancora una volta, sebbene i fatti del procedimento principale fossero limitati ad uno Stato membro (109), la Corte, senza creare una questione su tale confinamento, ha interpretato le disposizioni del capo III (110). Di contro, quando ha analizzato l’articolo 49 TFUE, ha richiesto un «interesse transfrontaliero» (111). Inoltre, nella causa Hemming e a., concernente l’imposizione di una tassa nel quadro di un’istanza di un’autorizzazione, tutti i fatti si erano svolti a Londra. Né la Corte (112) né l’avvocato generale (113) hanno trattato tale questione.
117. In sintesi, intendo le summenzionate cause in cui vi era una situazione puramente interna nel seguente modo: interpretando le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123, la Corte ha presupposto che tali disposizioni si applicano in una situazione puramente interna (114). Poiché esse rientrano nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 2006/123, non occorreva cercare elementi transfrontalieri possibili o potenziali.
118. Non deve sorprendere dunque il fatto che proporrei alla Corte di seguire questa giurisprudenza nella causa in esame, motivo per cui la mia risposta alla quarta questione è che le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123 sono applicabili a situazioni come quelle di cui al procedimento principale, indipendentemente dal fatto che tutti gli elementi siano circoscritti o meno all’interno di un singolo Stato membro.
3. Su possibili elementi transfrontalieri (terza questione)
119. In ragione della risposta proposta alla quarta questione, la terza questione diviene ipotetica (115).
4. Piano regolatore ai sensi della direttiva 2006/123 (seconda e quinta questione)
120. Con la seconda e la quinta questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se le disposizioni della direttiva 2006/123 ostino a un piano regolatore comunale come quello oggetto del procedimento principale, secondo cui un’area è destinata al commercio al dettaglio di merci voluminose, escludendo un punto vendita al dettaglio di una catena di calzature o abbigliamento a basso costo.
121. Dato che lo stabilimento di un punto vendita al dettaglio come quello di cui al procedimento principale ha natura permanente, le disposizioni pertinenti per la valutazione di tale questione devono essere rinvenute nel capo III della direttiva, relative alla «libertà di stabilimento dei prestatori». Tale capo, a sua volta, è suddiviso in due sezioni: una sulle autorizzazioni, che disciplina i regimi di autorizzazione e le relative condizioni e procedure (sezione 1, vale a dire articoli da 9 a 13 della direttiva 2006/123) e l’altra sui requisiti vietati o soggetti a valutazione (sezione 2, ossia articoli 14 e 15 della medesima direttiva). L’applicabilità di tali sezioni dipende dal fatto che il piano regolatore in questione costituisce una restrizione sotto forma di un «regime di autorizzazione» ai sensi dell’articolo 4, punto 6, della direttiva 2006/123 o come «requisito» a norma dell’articolo 4, punto 7, della direttiva citata.
a) Sulle autorizzazioni
122. Ai sensi dell’articolo 4, punto 6, della direttiva 2006/123, per «regime di autorizzazione», che determina l’applicabilità degli articoli da 9 a 13 della direttiva medesima, si intende qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio.
123. Una decisione è tipicamente, sebbene non necessariamente ogni volta, diretta ad una singola persona (fisica o giuridica). Questo non vale per un piano regolatore, che consiste in un documento elaborato indipendentemente in anticipo. In altri termini, mentre la conformità con il piano regolatore può essere necessaria per iniziare un’attività di servizio, il piano regolatore stesso è un atto di un consiglio comunale ex ante e in abstracto. Ne consegue che un piano regolatore non costituisce un regime di autorizzazione.
124. A mio avviso, un’interpretazione siffatta dell’espressione «regime di autorizzazione» è avvalorata dalla giurisprudenza della Corte.
125. Benché, a quanto mi consta, la Corte non abbia ancora dovuto stabilire in dettaglio la distinzione tra un «regime di autorizzazione» e altre forme di restrizione, essa ha affrontato casi di regimi di autorizzazione ai sensi della direttiva 2006/123 in tre occasioni, vale a dire nelle sentenze Trijber e Harmsen (116), Promoimpresa e a. (117), e Hemming e a. (118). L’elemento in questione era sempre una decisione da parte di un’autorità amministrativa che era necessaria prima che il prestatore di servizi potesse iniziare la propria attività. Analogamente, la Corte EFTA ha qualificato un sistema di permessi per i costruttori in Norvegia come un regime di autorizzazione ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera b) (119), della direttiva 2006/123, poiché a un’impresa di costruzioni occorreva un permesso per iniziare un’opera edile in Norvegia.
126. In tutti questi casi, il prestatore del servizio 1) doveva chiedere una decisione a un’autorità, 2) ha ottenuto una decisione rivolta ad esso in concreto e 3) tale decisione e la relativa osservanza costituivano un prerequisito affinché il prestatore del servizio potesse iniziare la propria attività (120).
127. Dal momento che nessuno di tali tre elementi sussiste nel caso in questione, ritengo che un piano regolatore come quello oggetto del procedimento principale non costituisca un regime di autorizzazione ai sensi dell’articolo 4, punto 6, della direttiva 2006/123.
b) Sui requisiti
128. Ai sensi dell’articolo 4, punto 7, della direttiva in esame, un «requisito» è «qualsiasi obbligo, divieto, condizione o limite stabilito dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri» (121).
129. Un piano regolatore come quello del comune di Appingedam è una disposizione amministrativa che costituisce una conditio sine qua nonaffinché un operatore economico si stabilisca in tale comune. Esso rientra dunque nella definizione di «requisito» ai sensi della direttiva 2006/123.
c) Sul considerando 9 della direttiva 2006/123
130. Prima di proseguire con l’esame degli articoli 14 e 15 della direttiva 2006/123, occorre affrontare la questione, sollevata dal giudice del rinvio, se il considerando 9 di tale direttiva abbia l’effetto di escludere una misura come un piano regolatore dall’ambito di applicazione della direttiva medesima.
131. Il considerando 9 della direttiva in esame dichiara che quest’ultima «si applica unicamente ai requisiti che influenzano l’accesso all’attività di servizi o il suo esercizio. Pertanto essa non si applica a requisiti come le norme del codice stradale, le norme riguardanti lo sviluppo e l’uso delle terre, la pianificazione urbana e rurale, le regolamentazioni edilizie nonché le sanzioni amministrative comminate per inosservanza di tali norme che non disciplinano o non influenzano specificatamente l’attività di servizi, ma devono essere rispettate dai prestatori nello svolgimento della loro attività economica, alla stessa stregua dei singoli che agiscono a titolo privato».
132. È noto che, sebbene i considerando degli atti giuridici dell’Unione non abbiano alcun valore giuridico autonomo (122), la Corte vi ricorre frequentemente nell’interpretare le disposizioni di un atto giuridico dell’Unione e ha anche già agito in tal senso rispetto alla direttiva 2006/123 (123). Nell’ordinamento giuridico dell’Unione, essi sono descrittivi e non hanno natura prescrittiva. Infatti, la questione del loro valore giuridico non insorge normalmente per il semplice motivo che, si solito, i considerando si riflettono nelle disposizioni giuridiche di una direttiva. Una buona prassi legislativa da parte delle istituzioni politiche dell’Unione tende a puntare a una situazione in cui i considerando forniscono un quadro fattuale alle disposizioni di un testo giuridico.
133. Tuttavia, il considerando 9 non è rappresentato altrove nella direttiva, nel senso che non rispecchia una delle disposizioni (prescrittive). Di conseguenza, i settori elencati in tale considerando non sono esclusi di per sédalla direttiva 2006/123, solo perché sono menzionati in tale considerando. Pertanto, la direttiva non contiene una lacuna quando si tratta di piani regolatori.
134. Nella misura in cui alcune parti nel procedimento hanno invocato la sentenza della Corte nella causa Libert e a. (124), è sufficiente affermare che, sebbene il considerando 9 fosse stato menzionato in tale sentenza, la ragione per cui la Corte ha ritenuto che le misure relative agli alloggi popolari non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/123 era data dalla formulazione inequivocabile dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera j), di tale direttiva (125).
135. Tuttavia, ciò non significa che tale considerando sia privo di valore ermeneutico. Leggo il considerando 9 nel contesto dell’obbligo degli Stati membri ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 7, della direttiva 2006/123 di notificare alla Commissione i nuovi requisiti in vigore e del loro obbligo ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 1, lettera b), della medesima direttiva di presentare una relazione alla Commissione contenente l’informazione di cui all’articolo 15, paragrafo 5, sui requisiti da valutare. Non ci si può certamente aspettare che gli Stati membri informino la Commissione di ogni piano regolatore, in quanto misura di pianificazione urbana e rurale.
136. Pertanto, il considerando 9 chiarisce che, nella maggior parte dei casi, le leggi sulla pianificazione urbana non costituiscono requisiti ai sensi della direttiva 2006/123. Gran parte delle norme sulla pianificazione urbana, in particolare quelle applicabili erga omnes, non incide sui prestatori di servizi, in quanto tali norme non prevedono condizioni che incidono su un prestatore di servizi (126). La direttiva 2006/123 tutela i prestatori dei servizi dai loro oneri in misura maggiore rispetto ai cittadini che non forniscono servizi, ma è chiaro che la direttiva non intende eliminare esigenze amministrative generali come le regolamentazioni edilizie, le norme del codice stradale o le leggi di pianificazione urbanistica. Non tutto ciò che potrebbe determinare l’effetto più incidentale sulla libertà di stabilimento dovrebbe costituire un requisito.
137. Di contro, il considerando 9 non implica che un piano regolatore sia escluso in toto dall’ambito di applicazione della direttiva. Infatti, potrebbe darsi che tale piano interessi i prestatori di servizi in modo specifico. Le restrizioni territoriali (articolo 15, paragrafo 2) e le autorizzazioni per i grandi centri commerciali (considerando 47) sono menzionate espressamente nella direttiva. Inoltre, a mio avviso, ogni norma, indipendentemente dalla propria origine, che ha come effetto costi di stabilimento più elevati per prestatori di servizi, rientra, in linea di principio, nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/123.
138. La misura in questione, vale a dire un divieto di esercitare determinate attività al dettaglio in una data zona, genera tali costi aggiuntivi di stabilimento e, pertanto, ricade nella direttiva 2006/123.
139. Alla luce del considerando 9 della direttiva di cui trattasi, un piano regolatore come quello in questione non è dunque escluso dall’ambito di applicazione della direttiva.
d) Sull’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva 2006/123
140. L’articolo 14 della direttiva 2006/123, relativo ai requisiti vietati, elenca otto requisiti che gli Stati membri non possono imporre in alcun caso relativamente all’accesso a un’attività o all’esercizio della stessa nel loro territorio. Questa «lista nera» mira a garantire la soppressione sistematica e rapida di talune restrizioni alla libertà di stabilimento che, secondo il legislatore dell’Unione e la giurisprudenza della Corte, causano un grave pregiudizio al buon funzionamento del mercato interno (127).
141. In breve, l’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva 2006/123 vieta che lo stabilimento sia soggetto ad un’applicazione caso per caso di una verifica di natura economica. Benché sembri sussistere un certo elemento economico in un piano regolatore che vieta alcune attività al dettaglio in determinate aree, la misura non rientra nell’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva summenzionata. Non vi è una verifica caso per caso applicata prima dello stabilimento, né l’elemento economico della misura sembra essere predominante (128) (v. l’analisi sulla giustificazione infra).
e) Sull’articolo 15 della direttiva 2006/123
142. Resta da esaminare ancora una questione, ossia se il piano regolatore rientri nell’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2006/123 (129), che preclude le restrizioni quantitative o territoriali.
143. Come giustamente sottolineato dal governo italiano nelle proprie osservazioni sul caso, un piano regolatore come quello in questione costituisce una siffatta restrizione territoriale (130). Il piano limita lo spazio potenziale su cui i prestatori di servizio possono stabilirsi, ma non limita il loro numero purché alle loro attività sia destinato spazio sufficiente.
144. Una tale restrizione può essere giustificata solo se le condizioni di cui all’articolo 15, paragrafo 3, sono soddisfatte (131).
145. In ultima analisi, la valutazione dei fatti ai sensi di tale disposizione deve essere effettuata dal giudice del rinvio. Alla luce delle informazioni disponibili, tuttavia, la misura in questione, vale a dire l’attribuzione degli specifici spazi di vendita, mi sembra giustificata ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2006/123.
146. Siamo in presenza di una misura indistintamente applicabile, che è valida allo stesso modo sotto il profilo di diritto e di fatto per tutti i prestatori di servizi e che non discrimina, direttamente o indirettamente, sulla base della nazionalità.
147. La protezione dell’ambiente urbano, invocata come un motivo imperativo d’interesse generale, è riconosciuta nell’articolo 4, punto 8, della direttiva 2006/123 (132) che codifica, a tal proposito, la giurisprudenza precedente sull’articolo 56 TFUE (133). Una città può avere un interesse a contribuire, attraverso un piano regolatore, alla conservazione della vitalità del proprio centro e del suo carattere originale. Regolamentare quali negozi possono essere aperti in determinati luoghi può rientrare, in generale, in tale politica. Inoltre, una città può anche volere influenzare il volume e il flusso del traffico all’interno o all’esterno di essa. Occorre aggiungere che la misura in questione non è economica nel senso che il suo obiettivo ed effetto consiste nel favorire determinati venditori al dettaglio rispetto ad altri. Piuttosto, riguarda il modo di vivere in una città ed è molto vicina ad una politica culturale che è anche riconosciuta come un motivo imperativo d’interesse generale nell’articolo 4, punto 8, della direttiva 2006/123 (134).
148. La misura sembra proporzionata e non eccede quanto è necessario per raggiungere il proprio scopo. I centri commerciali fuori dal centro cittadino determinano un effetto auto-rinforzante. Una volta che alcuni negozi sono posti all’esterno del centro cittadino e gli abitanti utilizzano le automobili per recarvisi, questa località diviene più attrattiva anche per gli altri negozi che fino ad allora erano stabiliti nel centro cittadino. L’unico modo per evitare le conseguenze negative dell’aumento del traffico e dello svuotamento del centro delle città consiste nel limitare le possibilità per i prestatori di servizi di stabilirsi al di fuori del centro cittadino.
149. In tale contesto e in modo determinante, il comune del caso di specie ha altresì chiarito che la misura non impedisce lo stabilimento di prestatori di servizi nella città in quanto tale, dal momento che è disponibile spazio sufficiente per la vendita al dettaglio a prezzi convenienti (135). Infatti, sembra che non vi sia alcuna indicazione sul fatto che il piano regolatore limiti indirettamente il numero di venditori al dettaglio nel comune.
150. Come indicato supra, pur sembrando che non vi siano motivi per ritenere che la misura sia sproporzionata, spetta al giudice del rinvio accertare tale aspetto. Qualora quest’ultimo pervenga alla conclusione che le superfici sono limitate a un’estensione tale che i prestatori come la Bristol BV non possono stabilirsi o sono dissuasi dal farlo, la misura non supererebbe l’esame di proporzionalità e sarebbe pertanto vietata dall’articolo 15 della direttiva 2006/123.
151. La risposta alla seconda e alla quinta questione dovrebbe essere dunque formulata nel senso che un piano regolatore come quello in esame, che consente soltanto alcune tipologie di vendita al dettaglio, costituisce una restrizione territoriale ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2006/123, che può essere giustificata sulla base dell’articolo 15, paragrafo 3, della medesima direttiva, qualora sia dimostrato che persegue l’obiettivo della protezione dell’ambiente urbano in un modo proporzionato.
5. Sugli articoli 34 e 49 TFUE (sesta questione)
152. Alla luce della risposta proposta alle questioni precedenti, poiché il caso in esame rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/123, l’analisi relativa alle libertà sancite dal Trattato risulta superflua (136).
VI. Conclusione
153. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sottoposte dallo Hoge Raad der Nederlanden (Corte Suprema dei Paesi Bassi) e dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) nei seguenti termini:
1) Le tasse, come quelle di cui al procedimento principale nella causa C‑360/15, imposte da un organo di uno Stato membro per procedere all’esame di una domanda di approvazione circa il momento, il luogo e le modalità di esecuzione di lavori di scavo finalizzati alla posa di cavi per una rete pubblica di telecomunicazione elettronica, rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno. Esse non riguardano il settore fiscale ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della medesima direttiva.
2) Un’attività di vendita al dettaglio consistente nella vendita di merci come calzature e abbigliamento ai consumatori rientra nella definizione di «servizio» di cui all’articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123.
3) Le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123 sono applicabili a situazioni come quelle di cui al procedimento principale nella causa C‑31/16, indipendentemente dal fatto che tutti gli elementi siano circoscritti o meno all’interno di un singolo Stato membro.
4) Un piano regolatore, come quello oggetto del procedimento principale nella causa C‑31/16, che consente soltanto alcune tipologie di vendita al dettaglio, costituisce una restrizione territoriale ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2006/123, che può essere giustificata sulla base dell’articolo 15, paragrafo 3, della medesima direttiva, qualora sia dimostrato che persegue l’obiettivo della tutela dell’ambiente urbano in un modo proporzionato.