Language of document : ECLI:EU:C:2016:663

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

M. CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA

presentate l’8 settembre 2016 (1)

Causa C‑365/15

Wortmann KG Internationale Schuhproduktionen

contro

Hauptzollamt Bielefeld

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Finanzgericht Düsseldorf (Tribunale tributario di Düsseldorf, Germania)]

«Unione doganale e tariffa doganale comune – Rimborso di dazi all’importazione – Nullità del regolamento che istituisce un dazio antidumping – Validità dell’articolo 241 del codice doganale – Applicabilità del codice doganale – Obbligo di pagamento di interessi»





1.        In seguito all’annullamento di una liquidazione di dazi antidumping sull’importazione di calzature originarie della Cina e del Vietnam, dopo che la Corte di giustizia aveva dichiarato invalido il regolamento che li istituiva (2), l’amministrazione doganale tedesca ha restituito l’importo indebitamente versato dall’impresa importatrice. La medesima amministrazione, tuttavia, ha negato che l’importo restituito dovesse essere maggiorato degli interessi richiesti da detta impresa a decorrere dalla data di pagamento del capitale.

2.        La controversia tra l’importatore e l’amministrazione doganale tedesca è stata sottoposta al Finanzgericht Düsseldorf (Tribunale tributario di Düsseldorf, Germania), il quale chiede alla Corte, in via pregiudiziale, di interpretare le norme di diritto dell’Unione che disciplinano tale materia.

3.        L’amministrazione doganale ha rifiutato, in particolare, il pagamento degli interessi richiesti facendo valere l’articolo 241 del codice doganale comunitario (3), in combinato disposto con la disposizione nazionale secondo cui gli interessi sono riconosciuti solo a decorrere dalla data in cui vengono reclamati giudizialmente. A parere delle autorità tedesche, l’applicazione congiunta delle due disposizioni legittimerebbe il loro rifiuto di accogliere la domanda dell’importatore.

4.        Da una giurisprudenza costante della Corte risulta, in linea di principio generale, che, se l’amministrazione deve rimborsare importi riscossi in violazione del diritto dell’Unione, le somme restituite devono essere maggiorate dei relativi interessi, a decorrere dalla data in cui è stato effettuato il pagamento indebito. L’articolo 241 del codice doganale, tuttavia, esclude (con certe sfumature) il pagamento degli interessi nel caso in cui le autorità doganali debbano restituire i dazi all’importazione.

5.        La tensione tra la regola generale (favorevole al pagamento degli interessi) e la disposizione specifica (contraria a detto pagamento) è stata al centro di buona parte del presente procedimento pregiudiziale, in cui si è giunti a mettere in discussione la validità dell’articolo 241 del codice doganale, per la sua possibile incompatibilità con un principio generale di diritto dell’Unione sancito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

6.        La controversia riecheggia una discussione che risale a secoli addietro nella storia degli interessi legali, vale a dire non pattuiti dalle parti bensì imposti ex lege. Le vestigia dell’antico frammento del libro di Paolo sugli interessi, Fiscus ex suis contractibus usuras non dat, sed ipse accipit (4), raccolto nel Digesto, sembrano ancora risuonare nei testi legali che applicano questa antica distinzione a seconda che si tratti di obblighi a carico o a favore del Fisco.

I –    Contesto normativo

 Diritto dell’Unione


 Codice doganale

7.        Ai sensi dell’articolo 236, paragrafo 1:

«Si procede al rimborso dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione quando si constati che al momento del pagamento il loro importo non era legalmente dovuto o che l’importo è stato contabilizzato contrariamente all’articolo 220, paragrafo 2.

(…)».

8.        Conformemente all’articolo 241:

«Il rimborso, da parte dell’autorità doganale, di importi di dazi all’importazione o all’esportazione come pure degli interessi di credito o di mora eventualmente riscossi in occasione del loro pagamento non dà luogo al pagamento di interessi da parte di questa autorità. Tuttavia, viene pagato un interesse:

–        quando la decisione in merito ad una richiesta di rimborso non venga eseguita entro tre mesi dall’adozione di tale decisione;

–        quando le disposizioni nazionali lo prevedono.

(…)».

Il regolamento n. 1472/2006

9.        Ai sensi dell’articolo 1, paragrafi 1 e 4:

«1.      Viene introdotto un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito, ad esclusione delle calzature per lo sport, delle calzature contenenti una tecnologia speciale, delle pantofole ed altre calzature da camera e delle calzature con puntale protettivo, originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam, classificate ai (…) codici [della nomenclatura combinata]: (…)

(…)

4.      Salvo diversa disposizione, si applicano le norme vigenti in materia di dazi doganali».

 Diritto tedesco:


 Abgabenordnung (codice tributario tedesco; in prosieguo: l’ «AO»)

10.      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafi 1 e 3:

«1.      La presente legge si applica a tutti i tributi, compresi gli eventuali rimborsi fiscali, disciplinati dal diritto federale o dal diritto dell’Unione europea, laddove siano di competenza dell’amministrazione finanziaria federale ovvero dei Länder. Essa è applicabile solo fatto salvo il diritto dell’Unione europea (…).

3.      Le disposizioni della presente legge sono applicabili per analogia agli oneri fiscali accessori fatto salvo il diritto dell’Unione europea (…)».

11.      L’articolo 3, paragrafi 3 e 4, così dispone:

«3.      I dazi all’importazione e all’esportazione ai sensi dell’articolo 4, punti 10 e 11, del codice doganale sono tributi ai sensi della presente legge.

4.      Sono oneri fiscali accessori (…) gli interessi (articoli da 233 a 237), (…) nonché gli interessi ai sensi del codice doganale (…)».

12.      L’articolo 37, paragrafi 1 e 2, enuncia quanto segue:

«1.      Rientrano tra i diritti derivanti dal rapporto di obbligazione fiscale: (…) il diritto al rimborso ai sensi del paragrafo 2 (…).

2.      Se un tributo (…) è stato versato o rimborsato senza titolo giuridico, colui a carico del quale è stato posto il pagamento ha nei confronti del beneficiario il diritto al rimborso dell’importo pagato o restituito (…)».

13.      L’articolo 233 così dispone:

«I diritti derivanti dal rapporto di obbligazione fiscale (articolo 37) sono soggetti ad interessi unicamente se previsto dalla legge (…)».

14.      A tenore dell’articolo 236, paragrafo 1:

«1.      Qualora, per mezzo ovvero a seguito di una decisione giudiziaria definitiva un tributo liquidato venga ridotto o ne venga concesso il rimborso, l’importo da rimborsare o accreditare è soggetto a interessi, fatto salvo il paragrafo 3, a decorrere dalla data della litispendenza fino alla data del pagamento».

II – Fatti e questione pregiudiziale

15.      Nel periodo dal 2006 al 2012, la Wortmann KG Internationale Schuhproduktionen (in prosieguo: la «Wortmann») immetteva in libera pratica a proprio nome merci delle sue controllate immagazzinate in un deposito doganale. Si trattava di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam, fornite dalla Brosmann Footwear (HK) Ltd. (in prosieguo: la «Brosmann») e di produzione della Seasonable Footwear (Zhongshan) Ltd. (in prosieguo: la «Seasonable»).

16.      Lo Hauptzollamt Bielefeld (Ufficio doganale di Bielefeld, Germania) liquidava, ai sensi del regolamento n. 1472/2006, un dazio antidumping nei confronti della Wortmann. A partire dal 22 luglio 2010, detta società, basandosi su due procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di giustizia (impugnazioni nelle cause C‑247/10 P (5) e C‑249/10 P (6)), presentava varie domande di rimborso di dazi antidumping pagati a decorrere dal 2006.

17.      Con la sua sentenza Brosmann (7), la Corte di giustizia annullava il regolamento n. 1472/2006 «nella parte riguardante la Brosmann Footwear (HK), la Seasonable Footwear (Zhongshan) Ltd (…)».

18.      Tenuto conto di tale sentenza, con provvedimento del 17 aprile 2013 l’Ufficio doganale di Bielefeld rimborsava alla Wortmann i dazi antidumping relativi al 2007 (EUR 61 895,49) e al 2008 (EUR 92 870,62).

19.      Il 29 novembre 2013 la Wortmann chiedeva gli interessi sui rispettivi importi rimborsati a decorrere dalla data di prelievo dei dazi antidumping. L’amministrazione respingeva tale domanda, ritenendo che non ricorressero le condizioni di cui all’articolo 241 del codice doganale: non erano trascorsi i tre mesi per l’esecuzione del rimborso disposto e la legislazione tedesca prevede che gli interessi possono essere calcolati solo a decorrere dalla data della domanda giudiziaria.

20.      Il Finanzgericht Düsseldorf (Tribunale tributario di Düsseldorf), dinanzi al quale è stato impugnato il diniego degli interessi, ritiene che, in linea di principio, il loro pagamento non sia dovuto, ai sensi dell’articolo 241 del codice doganale, in quanto la domanda del ricorrente potrebbe fondarsi solo sulle norme del diritto nazionale, le quali riconoscono il diritto di chiedere gli interessi derivanti da un’obbligazione fiscale solo a decorrere dal momento in cui i medesimi siano reclamati giudizialmente (articoli 233 e 236 dell’AO).

21.      Il Finanzgericht Düsseldorf (Tribunale tributario di Düsseldorf), tuttavia, nutre dubbi in ordine alla compatibilità di tale diniego con i principi generali di diritto dell’Unione enunciati nella giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui il diritto al rimborso non ha ad oggetto solo i tributi indebitamente riscossi, ma altresì gli importi pagati allo Stato o da esso trattenuti in rapporto diretto con tali tributi. Tale rimborso riguarda, in particolare, le perdite derivanti dall’indisponibilità di somme di denaro a seguito dell’esigibilità anticipata del tributo (8). Pertanto, conformemente al diritto dell’Unione, gli Stati membri sono tenuti a restituire, corredati di interessi, i tributi riscossi in violazione di tale diritto.

22.      In tale contesto, detto giudice deferisce alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 241 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, debba essere interpretato nel senso che gli ordinamenti nazionali cui viene ivi fatto riferimento debbano prevedere, in caso di rimborso di dazi all’importazione, in considerazione del principio del diritto dell’Unione di effettività, la corresponsione di interessi dal momento della riscossione dei dazi fino alla completa restituzione delle relative somme, anche nel caso in cui il diritto al rimborso non sia stato fatto valere giudizialmente dinanzi al giudice nazionale».

III – Procedimento dinanzi alla Corte e argomenti delle parti

A –    Procedimento

23.      La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata registrata presso la cancelleria della Corte il 14 luglio 2015.

24.      La Wortmann, l’Ufficio doganale di Bielefeld, i governi tedesco e italiano nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte entro il termine stabilito dall’articolo 23, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia.

25.      In applicazione dell’articolo 24, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, la Corte ha deciso di sottoporre un quesito al Consiglio, invitandolo ad esporre per iscritto la sua posizione circa la validità dell’articolo 241 del codice doganale, in relazione alla giurisprudenza della Corte stessa secondo cui il principio dell’obbligo degli Stati membri di restituire, corredato degli interessi, l’importo dei tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione discende dal diritto dell’Unione medesimo (9). Il Consiglio ha risposto il 2 maggio 2016.

26.      Il 13 maggio 2016 la Commissione ha presentato la documentazione relativa ai lavori preparatori del regolamento (CEE) n. 1854/89 (10) affinché fosse comunicata alle parti e discussa in udienza, come è effettivamente accaduto.

27.      In seguito alla fissazione dell’udienza, le parti sono state invitate, conformemente all’articolo 61, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte di giustizia, a incentrare i loro argomenti sulla possibilità di conciliare l’articolo 241 del codice doganale con la giurisprudenza della Corte citata nel quesito sottoposto al Consiglio nonché, eventualmente, sulla validità di detta disposizione.

28.      Il 25 maggio 2016 si è tenuta l’udienza, alla quale hanno partecipato la Wortmann, l’Ufficio doganale di Bielefeld, il governo tedesco, la Commissione europea e il Consiglio.

B –    Sintesi delle osservazioni delle parti

29.      La Wortmann ritiene che l’obbligo di pagamento di interessi in quanto corollario dell’annullamento del regolamento n. 1472/2006 da parte della sentenza Brosmann non derivi dall’applicazione del codice doganale, bensì direttamente dal diritto primario dell’Unione, in particolare, da un lato, da un principio generale elaborato e sancito dalla Corte di giustizia e, dall’altro, da una lettura della menzionata sentenza conforme all’articolo 266 TFUE, da cui discende il diritto all’eliminazione di tutte le conseguenze di un atto dichiarato illegittimo dalla Corte con effetto ex tunc.

30.      La Wortmann sostiene di essere beneficiaria diretta della sentenza Brosmann, in quanto importatrice di calzature provenienti dai suoi fornitori Brosmann e Seasonable, e che il principio di leale cooperazione sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, impone il rimborso integrale, comprensivo degli interessi, dei dazi antidumping indebitamente percepiti che hanno formato oggetto di detta sentenza, in quanto si tratta di risorse proprie dell’Unione europea riscosse attraverso le autorità doganali degli Stati membri.

31.      In definitiva, a parere della Wortmann, la Corte dovrebbe rispondere al giudice a quo che l’articolo 241 del codice doganale non è applicabile e che un importatore che abbia pagato dazi antidumping sulla base di un regolamento annullato dalla Corte di giustizia ha diritto al rimborso degli importi versati, nonché ai relativi interessi a decorrere dalla data del pagamento fino alla loro completa restituzione. Nell’ipotesi in cui la Corte ritenesse applicabile l’articolo 241 del codice doganale, detta impresa propone di interpretarlo nel senso che il diritto nazionale, cui detta disposizione rinvia, deve prevedere il pagamento di interessi sui dazi all’importazione rimborsati, anche nel caso in cui non sia stata esercitata un’azione dinanzi al giudice nazionale.

32.      A parere dell’Ufficio doganale di Bielefeld, del governo tedesco e della Commissione, nel procedimento principale non ricorrerebbe nessuna delle due eccezioni previste all’articolo 241 del codice doganale. Tale disposizione di diritto dell’Unione esclude l’applicazione del principio di effettività, pur attribuendo agli Stati membri la facoltà di stabilire un sistema diverso, in deroga alla regola generale dell’assenza di obbligo di pagamento degli interessi.

33.      In particolare, l’Ufficio doganale di Bielefeld ritiene che l’articolo 241 del codice doganale non possa essere interpretato nel senso che il diritto nazionale cui esso rinvia debba necessariamente prevedere il pagamento di interessi sugli importi rimborsati a titolo di dazi all’importazione non dovuti.

34.      Il governo tedesco sostiene una tesi analoga a quella dell’Ufficio doganale di Bielefeld e aggiunge che la risposta negativa alla questione pregiudiziale sarebbe corroborata dai seguenti motivi:

–        il nuovo codice doganale (11) ha abolito l’eccezione relativa alle eventuali regole stabilite dalle legislazioni nazionali, il che limita ulteriormente la possibilità di percepire interessi in caso di rimborso;

–        l’esenzione dal pagamento degli interessi, conformemente all’articolo 241 del codice doganale, è giustificata dal meccanismo della liquidazione iniziale dei dazi doganali, che rende possibile l’immediata disponibilità delle merci ai fini della loro immissione nel traffico commerciale.

35.      Il governo italiano osserva che qualsiasi ripetizione di entrate tributarie indebitamente riscosse presuppone una previa domanda, cosicché gli interessi possono essere riconosciuti solo a decorrere dalla data della medesima. Una norma nazionale che contiene una previsione in tal senso non è in contrasto con il diritto dell’Unione. La giurisprudenza elaborata dalla Corte nelle cause Littlewoods Retail e a. e Irimie (12) non è trasponibile al presente procedimento, poiché in questo caso si tratta di dazi antidumping dovuti in forza di un regolamento del Consiglio pienamente valido ed efficace al momento del pagamento e successivamente annullato dalla Corte. Detto governo aggiunge che, per accertare se gli effetti della sentenza Brosmann si estendessero alla Wortmann, le autorità tedesche hanno dovuto valutare le specifiche circostanze di tale impresa, cosicché la domanda di rimborso dei dazi pagati era costitutiva del diritto alla ripetizione.

36.      Infine, il governo italiano sottolinea che nel caso di specie la violazione da cui trae origine il diritto alla ripetizione non sarebbe imputabile agli Stati membri, bensì alle istituzioni dell’Unione. Esso propone quindi alla Corte, qualora decida di applicare la giurisprudenza Irimie (13), di dichiarare che lo Stato membro interessato può agire nei confronti dell’istituzione europea responsabile per chiederle il rimborso delle spese accessorie sopportate.

37.      La Commissione aggiunge agli argomenti sopra esposti che occorre distinguere tra interessi compensativi e interessi moratori, nonché tenere conto del divieto di arricchimento senza causa. Essa rileva che la giurisprudenza in materia di diritto agli interessi (14) verteva su casi nei quali una norma nazionale aveva violato il diritto dell’Unione e, inoltre, i ricorrenti avevano dimostrato i danni sofferti. Il pagamento di interessi compensativi, che sarebbe quello pertinente nel procedimento principale, presuppone la prova concreta del danno subito dal richiedente.

38.      In subordine, la Commissione afferma che la Wortmann non può far valere l’articolo 266 TFUE a sostegno delle sue domande, in quanto: a) non ha partecipato al procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione sfociato nella sentenza Brosmann e b) gli interessi di mora dovuti in forza dell’articolo 266 TFUE sarebbero applicabili solo a decorrere dalla pronuncia di detta sentenza. Quanto agli interessi compensativi, essi andrebbero richiesti attraverso un’azione per responsabilità extracontrattuale nei confronti del Consiglio e della Commissione.

39.      Per quanto riguarda la possibile violazione di norme di rango superiore da parte dell’articolo 241 del codice doganale (15), la Commissione rileva che il giudice nazionale non ha posto in dubbio la validità di tale disposizione. Essa ritiene inoltre che il legislatore dell’Unione goda di un margine di discrezionalità che non ha superato, in quanto il mancato riconoscimento del diritto di percepire interessi sugli importi pagati in eccesso presuppone un giusto equilibrio: l’importatore trae vantaggio dalla disponibilità immediata delle merci, accettando in cambio di non percepire interessi per gli eventuali importi pagati in eccesso.

40.      A parere della Commissione, qualora la Corte decidesse che debbano essere corrisposti interessi sugli importi oggetto di ripetizione, si dovrebbe tenere conto: a) del fatto che il diritto alla corresponsione di interessi compensativi richiede la prova del danno o pregiudizio effettivo, che sarebbe assente nel caso di specie, in quanto l’importatore ripercuote sistematicamente l’importo del dazio antidumping sull’acquirente; b) l’amministrazione convenuta potrebbe opporre l’eccezione relativa all’arricchimento senza causa dell’importatore (16) e c) in mancanza di norme dell’Unione, spetta al legislatore nazionale risolvere tutte le questioni accessorie relative alla ripetizione di entrate tributarie indebitamente riscosse, compreso il pagamento di interessi, il loro tasso e le date di calcolo.

41.      In definitiva, secondo la Commissione, l’articolo 241 del codice doganale esclude il pagamento di interessi compensativi per la riscossione indebita di dazi antidumping, salvo che la legislazione nazionale riconosca tale diritto. Detta legislazione nazionale non deve necessariamente prevedere l’obbligo di corrispondere interessi sui dazi all’importazione rimborsati nel periodo compreso tra la data di pagamento di tali dazi e quella del loro rimborso, in assenza di una previa domanda giudiziaria.

42.      Il Consiglio difende la validità dell’articolo 241 del codice doganale basandosi sulla sua genesi storica. Esso sostiene che la giurisprudenza della Corte citata nell’ordinanza di rinvio non è applicabile al caso di specie, poiché riguarda situazioni non disciplinate dal diritto dell’Unione. Al contrario, nel presente procedimento esiste una disposizione esplicita sull’applicazione di interessi, l’articolo 241 del codice doganale, in cui si rispecchia l’equilibrio che il legislatore dell’Unione ha inteso mantenere tra le autorità doganali e gli importatori. In subordine, il Consiglio propone un’interpretazione del suddetto articolo 241 conforme al diritto primario, per dedurne che le disposizioni nazionali dovrebbero prevedere tale corresponsione di interessi.

IV – Analisi

43.      In primo luogo, occorre risolvere alcuni dubbi circa il rapporto tra il codice doganale e la presente controversia. Da un lato, il regolamento n. 1472/2006, nell’istituire i dazi antidumping sulle importazioni di calzature, faceva espressamente rinvio a detto codice (17). Dall’altro, il meccanismo di liquidazione dei dazi antidumping si fonda, sostanzialmente, sulla struttura della liquidazione dei dazi doganali (18), cosicché i primi, pur essendo distinti dai secondi, in realtà non possono essere scollegati dal codice doganale (19).

44.      Ritengo inoltre che tale questione sia stata implicitamente risolta dalla giurisprudenza della Corte (20), secondo cui il codice doganale offre i criteri per la ripetizione dei dazi antidumping.

45.      Per quanto riguarda l’applicazione dell’articolo 241 del codice doganale al caso di specie, dinanzi alla Corte sono state presentate tre opzioni. La prima sarebbe favorevole alla sua interpretazione «a senso unico», secondo cui prevarrebbe la regola generale (ossia verrebbe negata la corresponsione di interessi), in quanto non ricorre alcuna delle eccezioni ivi previste. La seconda sarebbe dichiarare che la regola figurante in detta disposizione, proprio perché vieta il pagamento di interessi in aggiunta al rimborso del capitale, è contraria a un principio fondamentale del diritto dell’Unione e, pertanto, invalida. La terza consisterebbe in un’interpretazione attenuata dell’articolo 241 del codice doganale che escluda dal suo ambito di applicazione le fattispecie, come quella in esame, nelle quali la ripetizione dei dazi antidumping sia imposta dal precedente annullamento dell’atto normativo che li ha istituiti.

46.      Per i motivi che esporrò di seguito, ritengo che la terza opzione sia la più consona alle circostanze di specie. L’articolo 241 del codice doganale disciplina le situazioni «ordinarie» nelle quali una liquidazione (anche di dazi antidumping) viene annullata per vizi nella determinazione dei singoli elementi del debito doganale (21). Tuttavia, non penso che esso contempli le ipotesi nelle quali la ripetizione di importi pagati indebitamente dagli importatori consegue all’annullamento del regolamento che ha stabilito l’obbligo di effettuare tali pagamenti.

47.      Per svelare i motivi sottesi alla regola generale (contraria al pagamento di interessi sul rimborso di dazi doganali), mi sembra opportuno tenere conto della genesi della norma, quale risulta dalla documentazione prodotta dalla Commissione e sottoposta a contraddittorio in udienza.

48.      Da tale documentazione si evince che l’articolo 241 del codice doganale trae origine dall’articolo 17 bis del regolamento (CEE) n. 1430/79 (22), introdotto dall’articolo 25, paragrafo 3, del regolamento n. 1854/89. Il sesto considerando di quest’ultimo regolamento, secondo il progetto elaborato dal Gruppo di lavoro per le questioni economiche del Consiglio, sessioni dell’11 e 12 marzo 1986, conteneva due frasi che sono state soppresse con un corrigendum del Consiglio del 28 novembre 1988, che ha adottato la versione definitiva (23). Orbene, nonostante la soppressione di tali frasi, risulta che lo scopo della regola era stabilire una certa simmetria tra la situazione degli operatori e quella dell’amministrazione doganale, per quanto riguarda l’applicazione degli interessi, nei casi in cui una liquidazione iniziale dovesse essere successivamente modificata, in un senso o nell’altro, a causa di eventuali errori, considerata la celerità del sistema di sdoganamento.

49.      Il testo del considerando, che getta luce sul reale significato della disposizione, colloca le parti coinvolte in una ragionevole posizione di equilibrio. Il procedimento di fissazione iniziale dell’obbligazione doganale ha una base così fragile da giustificare il fatto che, qualora essa debba essere rettificata a posteriori per eccesso o per difetto, né l’amministrazione né il contribuente sono tenuti, in generale, a pagare interessi durante il (breve) periodo intermedio.

50.      La stessa Commissione ammette che, in alcuni casi, l’autorità doganale non ispeziona la merce prima di svincolarla, e solo in seguito procede al controllo della regolarità delle importazioni. Se, in tale momento successivo, detta autorità effettua una nuova liquidazione, può risultarne sia che l’importatore deve pagare quanto non ha versato fino a quel momento (liquidazione iniziale per difetto), sia che l’amministrazione deve restituire quanto versato in eccesso, in entrambi i casi senza interessi.

51.      Tale principio equilibrato, che tiene conto del traffico abituale dello sdoganamento di merci in termini ridotti, è stato trasposto nel codice doganale, concretizzandosi nella regola generale di cui all’articolo 241 e in alcune altre disposizioni. In particolare, l’articolo 232, paragrafo 1, lettera b), prevede che il debitore deve corrispondere interessi di mora qualora non abbia versato l’importo dei dazi entro il termine prescritto (indicato all’articolo 222, paragrafo 1, del codice doganale) (24), il che rappresenta l’inverso dell’esenzione generale dal pagamento di interessi prevista per le autorità doganali dall’articolo 241 del codice doganale (25).

52.      In tale contesto, l’esenzione dal pagamento di interessi è reciproca (amministrazione e operatori economici) ed è giustificata dalle normali circostanze dell’applicazione degli elementi necessari per liquidare l’obbligazione doganale, sul presupposto implicito che non si discute il quadro normativo che li disciplina, ma solo la quantificazione, o talune specifiche circostanze, di detti elementi o della liquidazione effettuata (26).

53.      Una regola concepita per tali ipotesi non è applicabile sic et simpliciter ad altre che non hanno molti nessi con la rapidità dello sdoganamento né con i parametri specifici di ciascuna liquidazione, ma ne hanno invece con l’invalidità del regolamento che istituisce i dazi antidumping. In quest’ultimo caso, a mio avviso, il diritto alla ripetizione, sia dell’importo indebitamente riscosso sia dei relativi interessi, trae origine direttamente dall’annullamento del regolamento che ha istituito i dazi antidumping. Questi ultimi rimangono privi del loro fondamento giuridico, cosicché le obbligazioni imposte diventano senza «causa» legittima e gli importi pagati a tale titolo devono essere restituiti a coloro che li hanno versati.

54.      Prima di proseguire, credo che sia opportuno richiamare la giurisprudenza della Corte in materia di rimborso di importi percepiti indebitamente dalle amministrazioni nazionali (comprese quelle doganali) in violazione del diritto dell’Unione. Al termine di tale rassegna, proporrò di fornire al giudice nazionale remittente una risposta articolata in termini utili per la sua decisione definitiva (27).

55.      Nelle sentenze Metallgesellschaft e a. e Test Claimant in the FII Group Litigation (28) sono stati esaminati il rimborso di tributi non dovuti, l’applicazione del principio di autonomia procedurale e il rimborso di interessi, in quanto azione accessoria (29). In particolare, nella seconda è stato dichiarato che, «qualora uno Stato membro abbia prelevato tributi in violazione delle disposizioni del diritto comunitario, i singoli hanno diritto al rimborso non solo dell’imposta indebitamente riscossa, ma altresì degli importi pagati a questo Stato o da esso trattenuti in rapporto diretto con tale imposta. (…) [T]ale rimborso comprende altresì le perdite costituite dall’indisponibilità di somme di danaro a seguito dell’esigibilità anticipata dell’imposta» (30). Il risarcimento per l’indisponibilità monetaria si configura dunque come obbligazione accessoria al rimborso del debito principale.

56.      La sentenza Littlewoods Retail e a. (31), pronunciata in un caso relativo al rimborso al soggetto passivo di un’imposta (IVA) riscossa in eccesso in violazione del diritto dell’Unione, riprende la giurisprudenza precedente sul diritto al rimborso sia dell’imposta riscossa indebitamente, sia delle perdite derivanti dall’indisponibilità monetaria. Detta sentenza aggiunge che «da tale giurisprudenza risulta che il principio dell’obbligo, posto a carico degli Stati membri, di restituire, corredate di interessi, le imposte percepite in violazione del diritto dell’Unione discende dal diritto dell’Unione medesimo» (32).

57.      La sentenza Zuckerfabrik Jülich e a. (33), pronunciata in un procedimento pregiudiziale per esame di validità, ha annullato il regolamento (CE) n. 1193/2009 (34), in quanto il metodo di calcolo ivi utilizzato era in contrasto con il regolamento di base (CE) n. 1260/2001 del Consiglio, del 19 giugno 2001 (GU 2001, L 178, pag. 1), relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero. Di conseguenza, la Corte ha stabilito che dovevano essere restituiti i contributi alla produzione di zucchero indebitamente versati e, ribadendo la sua giurisprudenza anteriore, ha dichiarato che «i soggetti che hanno diritto al rimborso di somme indebitamente versate (…) fissat[e] da un regolamento invalido hanno altresì diritto al versamento dei relativi interessi» (35).

58.      Infine, nella sentenza Irimie (36), dopo avere riconosciuto che l’articolo 110 TFUE osta a una normativa nazionale che istituisce una tassa sull’inquinamento per gli autoveicoli importati da un altro Stato membro, la Corte segue la scia delle pronunce precedenti (37) e, dopo avere riprodotto il punto 205 della sentenza Test Claimant in the FII Group Litigation (38), conferma che «il principio dell’obbligo, posto a carico degli Stati membri, di restituire, corredate di interessi, le imposte riscosse in violazione del diritto dell’Unione discende dal diritto dell’Unione medesimo» (39).

59.      La giurisprudenza della Corte ha quindi sancito un principio di diritto dell’Unione secondo cui il rimborso delle somme indebitamente pagate, dal momento che trae origine da norme contrarie al diritto dell’Unione medesimo, non ha ad oggetto solo gli importi indebitamente riscossi, ma anche i relativi interessi a decorrere dal pagamento non dovuto. Nelle sentenze sopra citate ricorre un elemento comune, vale a dire l’esistenza di un obbligo di pagamento derivante da una norma, nazionale (sentenza Irimie) (40) o dell’Unione (sentenza Zuckerfabrik Julich e a.) (41), successivamente dichiarata inapplicabile o annullata in quanto contraria al diritto dell’Unione.

60.      In quest’ottica, il rimborso tanto del capitale quanto degli interessi, senza distinzione tra un titolo e l’altro, risponde al principio del primato del diritto dell’Unione, che (tranne in casi eccezionali e fatti salvi taluni limiti temporali) non consente di mantenere inalterati gli effetti delle norme contrarie allo stesso, dopo che siano state dichiarate invalide o inapplicabili da una sentenza della Corte di giustizia. In particolare, quando si tratti di atti dell’Unione, l’articolo 264, primo comma, TFUE prevede che, in caso di accoglimento di un ricorso di annullamento, l’atto impugnato è dichiarato nullo e non avvenuto. Da tale premessa si deduce, come dimostra a sensu contrario il secondo comma del medesimo articolo, che, in linea di principio, non possono persistere gli «effetti dell’atto annullato».

61.      In questa fase della discussione entra in gioco l’articolo 266 TFUE, fatto valere dalla Wortmann a sostegno della sua domanda, in quanto impone alle istituzioni dell’Unione da cui emana l’atto annullato (nella fattispecie il regolamento n. 1472/2006, oggetto della sentenza Brosmann) di prendere «i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza (…) comporta».

62.      A parere della Commissione, la Wortmann non sarebbe legittimata a basarsi su una sentenza pronunciata in un procedimento al quale non ha partecipato, tanto più che la sentenza che ha annullato il regolamento n. 1472/2006 lo ha fatto «nella parte in cui riguarda» le imprese ricorrenti. Tale obiezione sarebbe ammissibile, per ipotesi, se la Wortmann intendesse partecipare alla fase di esecuzione della sentenza dinanzi all’istituzione comunitaria che ha adottato detto regolamento. Non può essere accolta, invece, per quanto riguarda la legittimazione di detta impresa a far valere in suo favore, dinanzi alle autorità nazionali, la sentenza Brosmann, poiché la Wortmann presenta un collegamento stretto con il regolamento n. 1472/2006 e con la controversia sfociata nel suo annullamento, in quanto era l’importatrice delle calzature esportate dalla Brosmann e dalla Seasonable e gravate con il dazio antidumping che essa stessa ha dovuto versare.

63.      Proprio a motivo della sua qualità di operatore economico direttamente interessato, che può beneficiare dell’annullamento del regolamento n. 1472/2006, l’amministrazione doganale tedesca non ha potuto opporsi alla restituzione alla Wortmann, dopo la pronuncia della sentenza Brosmann, dell’importo dei dazi antidumping che essa aveva versato in applicazione di detto regolamento. Se non ha fatto lo stesso per gli interessi relativi a tale pagamento indebito è solo a causa dell’ostacolo che, secondo detta amministrazione, sarebbe stato frapposto dall’articolo 241 del codice doganale. Tuttavia, insisto, le autorità doganali tedesche hanno tratto correttamente, ancorché parzialmente, le conseguenze (42) dell’annullamento del regolamento n. 1472/2006, accogliendo la domanda di rimborso della Wortmann.

64.      In questo medesimo contesto, l’articolo 266 TFUE costituisce un valido criterio normativo per orientare l’azione delle amministrazioni nazionali (e dei giudici degli Stati membri) quando gli importi che hanno prelevato indebitamente derivino dalla riscossione di risorse proprie dell’Unione. Tra le sentenze esaminate, alcune (Littlewoods Retail e a. nonché Zuckerfabrick Jülich e a.) (43) riguardavano proprio risorse di questo tipo (IVA e prelievi sullo zucchero).

65.      Le risorse proprie (che includono i dazi antidumping) (44) sono gestite secondo uno schema in cui le Amministrazioni degli Stati membri provvedono alla liquidazione e al prelievo e procedono alla ripartizione degli introiti con l’Unione. Lo Stato agisce quindi come strumento delle istituzioni dell’Unione europea. Tale circostanza implica un collegamento particolare tra le autorità nazionali e la sentenza di annullamento di un regolamento antidumping e rafforza l’esigenza che il giudice tenga conto della giurisprudenza della Corte in tale materia, nonché dei criteri di esecuzione derivanti dall’articolo 266 TFUE.

66.      Il singolo atto di applicazione dei dazi antidumping, adottato dalle autorità nazionali, non è che l’esecuzione del regolamento n. 1472/2006: una volta annullato questo, come base normativa, l’autorità doganale deve prendere i «provvedimenti» necessari per privare di effetti la liquidazione che ne derivava, con tutte le sue implicazioni, compresi sia il rimborso dei dazi antidumping indebitamente versati, sia la corresponsione dei relativi interessi, a decorrere dal momento in cui è stato effettuato il pagamento. Solo così si ripristina la situazione che si sarebbe verificata se non fosse stato adottato l’atto di esecuzione del regolamento successivamente annullato. Poiché tale ripristino è intervenuto dopo un periodo di tempo prolungato, durante il quale la Wortmann non ha potuto utilizzare gli importi che ha versato indebitamente, la corresponsione di interessi compensa l’indisponibilità di questa parte del suo patrimonio.

67.      In definitiva, dall’invalidità del regolamento n. 1472/2006 deriva sia l’obbligo di rimborsare i dazi antidumping pagati dalla Wortmann, sia quello di sommare a tale rimborso i relativi interessi. Solo in tal modo si neutralizzano totalmente gli effetti della liquidazione doganale effettuata dalle autorità tedesche, eliminando ex tunc tutte le sue conseguenze. Così ha statuito la Corte nella causa definita con la sentenza Zuckerfabrik Jülich e a. (45) con cui il caso in esame presenta particolari analogie.

68.      In base alla sentenza Zuckerfabrik Jülich e a. (46), inoltre, tale «diritto dei singoli» è slegato dall’eventuale mancanza di una procedura attraverso la quale gli Stati membri, tenuti a rimborsare capitale e interessi, possano pretendere i relativi importi, in via di rimborso, dalle istituzioni dell’Unione che hanno adottato il regolamento annullato (47). In base a questo medesimo criterio, non vedo perché l’interessato, già sufficientemente danneggiato sotto il profilo patrimoniale dalla liquidazione di un dazio antidumping successivamente risultato illegittimo, dovrebbe duplicare le azioni chiedendo, da un lato, all’amministrazione nazionale il rimborso diretto del capitale e, dall’altro, come sembra suggerire la Commissione, facendo valere l’articolo 340 TFUE per reclamare gli interessi a titolo di responsabilità extracontrattuale delle istituzioni dell’Unione europea.

69.      Non vi sono, a mio avviso, nemmeno argomenti convincenti per affermare che il dies a quo del calcolo degli interessi debba essere la data in cui è stata pronunciata la sentenza Brosmann o, al limite, quella in cui tali interessi sono stati reclamati giudizialmente. Quanto a quest’ultima tesi, nella sentenza Irimie (48) la Corte ha dichiarato che il diritto dell’Unione «osta ad un regime nazionale (…) che limita gli interessi concessi in occasione della restituzione di una tassa riscossa in violazione del diritto dell’Unione a quelli decorrenti dal giorno successivo alla data della domanda di restituzione di detta tassa».

70.      Tale decisione risulta dal fatto che, se si ammettesse la regola opposta, si priverebbe il soggetto passivo del risarcimento adeguato alla perdita derivante dal pagamento del tributo contrario al diritto dell’Unione, perdita che «dipende in particolare dalla durata dell’indisponibilità della somma indebitamente versata in violazione del diritto dell’Unione (…) nel periodo intercorrente tra la data del pagamento indebito della tassa di cui trattasi e la data di restituzione della stessa» (49). A mio parere, tali considerazioni si possono trasporre, mutatis mutandis, agli interessi dovuti sul rimborso di dazi doganali riscossi in applicazione di un regolamento antidumping che la Corte abbia dichiarato non conforme al diritto dell’Unione. In questi casi, l’obbligo di pagamento nasce direttamente dal diritto dell’Unione medesimo, vale a dire ipso iure, e la sua applicazione non dipende dalla specifica richiesta di versare gli interessi accessori al debito principale.

71.      Per motivi analoghi non ritengo neppure che, nel caso di specie, il dies a quo del calcolo degli interessi debba coincidere con la data della sentenza Brosmann (2 febbraio 2012). È vero che, nelle circostanze peculiari della causa Commissione/IPK International (50), la Corte ha stabilito che gli interessi di mora erano dovuti come «provvedimento di esecuzione della sentenza di annullamento, ai sensi dell’articolo 266, primo comma, TFUE» (51) e che non aveva tale natura «la concessione di interessi compensativi (…), [la quale] ricade nell’ambito applicativo del secondo comma di detto articolo 266, che si riferisce all’articolo 340 TFUE» (52), in quanto «il versamento di interessi moratori (…) mira a risarcire forfettariamente la privazione del godimento di un credito e a spingere il debitore ad eseguire quanto prima la sentenza di annullamento» (53).

72.      La sentenza Commissione/IPK International (del 12 febbraio 2015, C‑336/13 P, EU:C:2015:83) deve essere letta, a mio parere, alla luce delle particolarità di quella controversia, senza che se ne possa dedurre un cambio della giurisprudenza della Corte citata nei paragrafi precedenti (54). Vale dunque il principio secondo cui il pagamento indebito alle autorità nazionali (nella fattispecie doganali) di importi che traggono origine da norme invalide o inapplicabili ai sensi del diritto dell’Unione dà luogo al diritto per coloro che li hanno pagati di ottenere il rimborso tanto degli importi indebitamente versati quanto dei relativi interessi, a decorrere dal momento in cui è stato effettuato tale pagamento.

73.      Per quanto riguarda le altre obiezioni sollevate in ordine all’estensione dell’obbligo di rimborso agli interessi dovuti per l’indisponibilità delle somme pagate, è sufficiente rilevare che non è stata dimostrata l’esistenza di un ipotetico arricchimento senza causa da parte del soggetto che ha versato i dazi antidumping (la Wortmann), in quanto il medesimo avrebbe riversato su terzi l’importo riscosso. Inoltre, tale circostanza non è stata fatta valere, per quanto riguarda il capitale del debito, dall’amministrazione doganale tedesca, la quale ha restituito alla Wortmann, senza riserve, l’importo riscosso. Tanto meno si potrebbe opporre tale obiezione per escludere il pagamento di interessi dovuti, in definitiva, a causa dell’impossibilità per il pagatore di disporre degli importi versati nel periodo in cui essi sono stati indebitamente – in senso oggettivo – trattenuti dall’amministrazione.

V –    Conclusione

74.      Sulla scorta delle suesposte riflessioni, suggerisco alla Corte di rispondere come segue alle questioni poste dal Finanzgericht Düsseldorf (Tribunale tributario di Düsseldorf, Germania):

«L’obbligo delle autorità doganali di rimborsare le somme indebitamente versate da un importatore, a titolo di dazi antidumping istituiti da un regolamento annullato dalla Corte di giustizia, si estende agli interessi relativi a tali somme, che sono dovuti a decorrere dal momento in cui queste ultime sono state pagate».


1      Lingua originale: lo spagnolo.


2 – Regolamento (CE) n. 1472/2006 del Consiglio, del 5 ottobre 2006, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU 2006, L 275, pag. 1).


3 – Regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (in prosieguo: il «codice doganale») (GU 1992, L 302, pag. 1).


4 – Il Fisco non paga interessi sui suoi contratti, ma li percepisce, secondo il Liber singularis de usuris, Paolo, D.22.1.17.5. Il termine «contratti», in tale contesto, significa rapporti obbligatori, come denota il resto della frase di Paolo.


5 – Sentenza del 15 novembre 2012, Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (EU:C:2012:710).


6 – Sentenza del 2 febbraio 2012, Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, in prosieguo: la «sentenza Brosmann», EU:C:2012:53).


7 – Sentenza Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53).


8 – Sentenza del 18 aprile 2013, Irimie (C‑565/11, EU:C:2013:250, punti 20 e segg.).


9 – Comunicazione del 6 aprile 2016.


10 – Regolamento del Consiglio, del 14 giugno 1989, relativo alla contabilizzazione e alle condizioni di pagamento degli importi dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione risultanti da un’obbligazione doganale (GU 1989, L 186, pag. 1).


11 – Regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione (GU 2013, L 269, pag. 1), articolo 116, paragrafo 6.


12 – Sentenze del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a. (C‑591/10, EU:C:2012:478), e del 18 aprile 2013, Irimie (C‑565/11, EU:C:2013:250).


13 – Sentenza del 18 aprile 2013 (C‑565/11, EU:C:2013:250).


14 – Sentenze dell’8 marzo 2001, Metallgesellschaft e a. (C‑397/98 e C‑410/98, EU:C:2001:134, punti 83 e da 87 a 95); del 12 dicembre 2006, Test Claimant in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punti da 197 a 220); del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a. (C‑591/10, EU:C:2012:478, punti da 22 a 34), e del 18 aprile 2013, Irimie (C‑565/11, EU:C:2013:250, punti da 16 a 29).


15 – In udienza, la Commissione si è espressa a favore della validità dell’articolo 241 del codice doganale, richiamando i relativi lavori preparatori e le condizioni alle quali è subordinato, a suo parere, il sorgere dell’obbligo di pagare gli interessi, tra cui la necessità di dimostrare l’esistenza di un danno. Essa ha osservato che, in definitiva, detta disposizione può essere interpretata conformemente al diritto dell’Unione.


16 – Sentenza del 9 novembre 1983, San Giorgio (199/82, EU:C:1983:318, punto 13).


17 – V. articolo 1, paragrafo 4, del regolamento n. 1472/2006, trascritto al paragrafo 9.


18 – Nel caso specifico dei dazi previsti dal regolamento n. 1472/2006, questi sono stati fissati in percentuale sulla tariffa. La fase precedente alla loro liquidazione era quindi l’applicazione al valore in dogana dell’aliquota corrispondente per determinare l’importo. Successivamente si applicava a tale importo tariffario la quota corrispondente al dazio antidumping (articolo 1, paragrafo 3, del regolamento n. 1472/2006).


19 – L’espressione formale del dazio antidumping si basa sulla nomenclatura del codice doganale unificato, con l’aggiunta di quattro caratteri alfanumerici ai codici della nomenclatura combinata (codice addizionale Taric). Il regolamento (CEE) n. 2658/87 del Consiglio, del 23 luglio 1987, relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune (GU 1987, L 256, pag. 1), fa riferimento alle cosiddette «sottovoci Taric» e rinvia all’allegato II, il cui punto 4 menziona i dazi antidumping.


20 – V., in tal senso, sentenze del 27 settembre 2007, Ikea Wholesale (C‑351/04, EU:C:2007:547); del 14 giugno 2012, CIVAD (C‑533/10, EU:C:2012:347), e del 4 febbraio 2016, C & J Clark International (C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74). In quei casi, la Corte ha considerato che i dazi antidumping pagati in forza di un regolamento annullato non erano legalmente dovuti, ai sensi dell’articolo 236, paragrafo 1, del codice doganale, e che occorreva interpretare l’articolo 236, paragrafo 2, di detto codice, in quanto pertinente per stabilire se il rimborso fosse dovuto o meno.


21 – In udienza, la Commissione li ha definiti «vizi tecnici».


22 – Regolamento del Consiglio, del 2 luglio 1979, relativo al rimborso o allo sgravio dei diritti all’importazione o all’esportazione (GU 1979, L 175, pag. 1; EE 02/06, pag. 36).


23 – Detto considerando, di cui evidenzio in corsivo le frasi soppresse, così disponeva: «(…) tenuto conto dello sviluppo costante del traffico commerciale e della necessità di liberare al più presto le merci, i metodi di controllo dei servizi doganali sono stati adattati in modo tale che detti servizi, prima di accordare lo svincolo, verificano le merci soltanto in un numero molto limitato di casi; che il controllo della regolarità delle importazioni e delle esportazioni viene così posticipato e che il più sovente consiste in un controllo contabile; che esso può comportare il ricupero a posteriori di un importo supplementare dei dazi; che la persona tenuta al pagamento di tale importo non deve sopportare le conseguenze eventuali di tali metodi di controllo dei servizi doganali eche tale ricupero a posteriori non deve di conseguenza dar luogo al pagamento di interessi all’autorità doganale; che tale controllo a posteriori può anche comportare il rimborso di un importo di dazi percepito in più; che l’importo dei dazi percepito in più è stato calcolato sulla base degli elementi di tassazione dichiarati dall’interessato medesimo e che esso ha potuto disporre delle merci molto più rapidamente che se esse fossero state verificate prima che venissero svincolate; che neanche tale rimborso non deve dunque dar luogo al pagamento di interessi da parte dell’autorità doganale».


24 – Nella sentenza del 31 marzo 2011, Aurubis Balgaria (C‑546/09, EU:C:2011:199), la Corte ha dichiarato che «l’[articolo] 232, [paragrafo] 1, [lettera] b), del codice doganale comunitario (…) deve essere interpretato nel senso che gli interessi di mora relativi all’importo dei dazi doganali che devono ancora essere percepiti possono essere riscossi, ai sensi di tale disposizione, solo per il periodo successivo alla scadenza del termine di pagamento di detto importo».


25 – Il medesimo equilibrio è stato trasposto nel nuovo codice doganale [regolamento n. 952/2013, articoli 114 (che disciplina gli interessi sull’obbligazione doganale) e 116, paragrafo 6 (che riguarda gli interessi in caso di rimborso o di sgravio di dazi all’importazione o all’esportazione)].


26 – In udienza, la Commissione ha menzionato a titolo d’esempio gli errori relativi alla classificazione doganale delle merci, ai quantitativi sdoganati o alle aliquote dei dazi doganali liquidati.


27 – Spetta alla Corte «estrarre dal complesso degli elementi forniti dal giudice nazionale, e in particolare dalla motivazione del provvedimento di rinvio, gli elementi di diritto comunitario che richiedono l’interpretazione ‑ o, se del caso, un giudizio di validità ‑ tenuto conto dell’oggetto della controversia» [sentenza del 29 novembre 1978, Redmond (83/78, EU:C:1978:214, punto 26)].


28 – Sentenze dell’8 marzo 2001, Metallgesellschaft e a. (C‑397/98 e C‑410/98, EU:C:2001:134); e del 12 dicembre 2006, Test Claimant in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774). Entrambe vertevano sull’eventuale violazione delle libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali, a causa del diverso trattamento fiscale della ripartizione di dividendi tra società controllanti e società controllate, a seconda che fossero residenti o meno.


29 – La causa all’origine della sentenza dell’8 marzo 2001, Metallgesellschaft e a. (C‑397/98 e C‑410/98, EU:C:2001:134), presenta la particolarità che l’obbligo di pagamento degli interessi non è accessorio, bensì costituisce l’oggetto stesso delle domande presentate dalle ricorrenti nei procedimenti principali.


30 – Sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimant in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punto 205).


31 – Sentenza del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e.a. (C‑591/10, EU:C:2012:478).


32 – Ibidem, punto 26.


33 – Sentenza del 27 settembre 2012, Zuckerfabrik Jülich e.a. (C‑113/10, C‑147/10 e C‑234/10, EU:C:2012:591).


34 – Che stabiliva gli importi dei contributi alla produzione nel settore dello zucchero per le campagne di commercializzazione 2002-2003, 2003-2004, 2004-2005 e 2005-2006 (GU 2009, L 321, pag. 1).


35 – Punto 3 del dispositivo.


36 – Sentenza del 18 aprile 2013, Irimie (C‑565/11, EU:C:2013:250).


37 – Ibidem, punto 28. La Corte ha ribadito, nel medesimo senso, che «tale perdita dipende in particolare dalla durata dell’indisponibilità della somma indebitamente versata in violazione del diritto dell’Unione e si verifica, in linea di principio, nel periodo intercorrente tra la data del pagamento indebito della tassa di cui trattasi e la data di restituzione della stessa».


38 – Sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimant in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774).


39 – Sentenza del 18 aprile 2013, Irimie (C‑565/11, EU:C:2013:250), punto 22.


40 – Sentenza del 18 aprile 2013, Irimie (C‑565/11, EU:C:2013:250).


41 – Sentenza del 27 settembre 2012, Zuckerfabrik Jülich e.a. (C‑113/10, C‑147/10 e C‑234/10, EU:C:2012:591).


42 – Nella sentenza del 1o giugno 2006, P&O European Ferries (Vizcaya) e Diputación Foral de Vizcaya/Commissione (C‑442/03 P e C‑471/03 P, EU:C:2006:356), la Corte ha ritenuto che la sentenza di annullamento di una decisione della Commissione abbia «eliminato retroattivamente [quest’ultima] nei confronti di tutti gli amministrati. Una siffatta sentenza di annullamento ha, pertanto, un effetto erga omnes, conferitole dall’autorità assoluta della cosa giudicata». Sebbene le circostanze di quella causa non siano le stesse di questa, tale affermazione è coerente con l’articolo 264 TFUE.


43 – Sentenze del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a. (C‑591/10, EU:C:2012:478); e del 27 settembre 2012, Zuckerfabrik Jülich e a. (C‑113/10, C‑147/10 e C‑234/10, EU:C:2012:591).


44 – Il bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio 2016 (GU 2016, L 48, pag. 1) contiene, sotto il titolo «Risorse proprie» (pag. 36), il capitolo 12 concernente i «Dazi doganali e altri diritti previsti dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436/CE, Euratom», che, oltre ai dazi della tariffa doganale comune, comprende «altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni dell’Unione europea sugli scambi con paesi terzi».


45 – Sentenza del 27 settembre 2012, Zuckerfabrik Jülich e a. (C‑113/10, C‑147/10 e C‑234/10, EU:C:2012:591).


46 – Al punto 3, in fine, del dispositivo di detta sentenza si legge che «[i]l giudice nazionale non può, nell’ambito del proprio potere discrezionale, rifiutare di riconoscere il diritto alla corresponsione di interessi sugli importi riscossi da uno Stato membro sul fondamento di un regolamento invalido per il fatto che tale Stato membro non può reclamare i corrispondenti interessi sulle risorse proprie dell’Unione europea».


47 – Esula dall’ambito del rinvio pregiudiziale la questione, sollevata dal governo italiano nelle sue osservazioni, se le autorità tedesche possano a loro volta agire nei confronti delle istituzioni europee per ottenere il rimborso dell’importo che dette autorità sono tenute a restituire a coloro che abbiano versato i dazi antidumping previsti dal regolamento annullato.


48 – Sentenza del 18 aprile 2013, Irimie (C‑565/11, EU:C:2013:250).


49 – Ibidem, punto 28.


50 – Sentenza del 12 febbraio 2015, Commissione/IPK International (C‑336/13 P, EU:C:2015:83). La controversia verteva sulla decisione della Commissione di revocare taluni aiuti concessi alla IPK, per effetto della quale detta società non aveva più percepito determinati importi ed era stata obbligata a restituire le somme percepite più i relativi interessi. A seguito dell’annullamento della decisione, la Commissione ha versato gli importi dovuti e quelli restituiti dall’IPK, aumentati degli «interessi compensativi» per il periodo anteriore alla data della sentenza di annullamento.


51      Ibidem, punto 30.


52      Ibidem, punto 37.


53 – Sentenza del 12 febbraio 2015, Commissione/IPK International (C‑336/13 P, EU:C:2015:83, punto 30). Ai punti 37 e 38 la Corte spiega perché ritenga che gli interessi ivi dovuti siano moratori e non compensativi e aggiunge: «Tale categoria di interessi [gli interessi compensativi] è volta (…) a compensare il decorso del tempo fino alla valutazione giudiziale dell’importo del danno, indipendentemente da qualsiasi ritardo imputabile al debitore». Questa motivazione risulta più chiara se la si completa con il paragrafo 92 delle conclusioni dell’avvocato generale Bot [causa Commissione/IPK International (C‑336/13 P, EU:C:2014:2170)]: «In conseguenza dell’efficacia ex tunc dell’annullamento, la Commissione era quindi tenuta al pagamento di un debito principale certo, liquido ed esigibile costituito dalle somme da corrispondere o rimborsare all’IPK. Il credito dell’IPK era quindi produttivo di interessi moratori decorrenti, per la somma da corrispondere, dalla data dal reclamo effettuato dall’IPK e, per la somma da rimborsare, a partire dal pagamento di questa fatto dall’IPK alla Commissione».


54 – V. supra, paragrafi 46 e segg.