CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE

presentate il 19 dicembre 2018 (1)

Causa C681/17

slewo // schlafen leben wohnen GmbH

contro

Sascha Ledowski

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 2011/83/UE – Articolo 6, paragrafo 1, lettera k), e articolo 16, lettera e) – Contratto concluso a distanza – Diritto di recesso – Eccezioni – Beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute – Eventuale inclusione di un materasso la cui protezione è stata rimossa dopo la consegna – Requisiti da soddisfare affinché un bene sia considerato sigillato – Portata dell’obbligo di informare il consumatore della perdita del suo diritto di recesso»






I.      Introduzione

1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera k), e dell’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83/UE (2), che riguardano la limitazione del diritto di recesso di cui un consumatore beneficia in linea di principio quando conclude un contratto a distanza.

2.        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia relativa all’esercizio del diritto di recesso da parte di un consumatore che ha acquistato un materasso su un sito Internet e ha voluto restituire tale bene dopo aver rimosso la pellicola protettiva che lo aveva ricoperto al momento della sua consegna.

3.        La Corte è chiamata a dichiarare se l’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83 debba essere interpretato nel senso che l’eccezione al diritto di recesso prevista da tale disposizione, relativa ai «beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute», comprende beni che – come i materassi – possono entrare in contatto diretto con il corpo umano durante il loro utilizzo, ma possono nondimeno essere resi nuovamente commerciabili mediante un’adeguata pulitura. Ritengo che occorra rispondere negativamente a tale questione.

4.        Qualora la Corte decidesse di rispondere affermativamente alla prima questione sollevata, essa sarebbe, inoltre, chiamata a stabilire in quali condizioni l’imballaggio di tale tipo di beni possa essere considerato una sigillatura la cui rottura determina la perdita del diritto di recesso, ai sensi di detto articolo 16, lettera e).

5.        Inoltre, essa dovrebbe quindi pronunciarsi sulle modalità dell’informazione che il professionista deve fornire al consumatore relativamente alle circostanze nelle quali quest’ultimo perde il diritto di recesso, a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera k), di tale direttiva.

II.    Contesto normativo

6.        I considerando 34, 37, 47 e 49 della direttiva 2011/83 così recitano:

«(34)      Prima che il consumatore assuma gli obblighi derivanti da un contratto a distanza (…), il professionista dovrebbe fornire al consumatore informazioni chiare e comprensibili.

(…)

(37)      Poiché nel caso delle vendite a distanza il consumatore non è grado di vedere i beni prima di concludere il contratto, dovrebbe godere di un diritto di recesso. Per lo stesso motivo, al consumatore dovrebbe essere consentito di testare e ispezionare i beni che ha acquistato nella misura necessaria per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni. (…)

(…)

(47)      Alcuni consumatori esercitano il proprio diritto di recesso dopo aver utilizzato i beni oltre quanto necessario per stabilirne la natura, le caratteristiche e il funzionamento. In tal caso il consumatore non dovrebbe perdere il diritto di recesso, ma dovrebbe essere responsabile della diminuzione del valore dei beni. Per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni il consumatore dovrebbe solo manipolarli e ispezionarli nello stesso modo in cui gli sarebbe consentito farlo in un negozio. Ad esempio, il consumatore dovrebbe solo provare un indumento, senza poterlo indossare. Di conseguenza, durante il periodo di recesso il consumatore dovrebbe manipolare e ispezionare i beni con la dovuta diligenza. Gli obblighi del consumatore in caso di recesso non dovrebbero scoraggiare il consumatore dall’esercitare il proprio diritto di recesso.

(…)

(49)      È opportuno prevedere alcune eccezioni al diritto di recesso, sia per i contratti a distanza sia per quelli negoziati fuori dei locali commerciali. Un diritto di recesso potrebbe essere inappropriato ad esempio vista la natura di taluni beni o servizi (…)».

7.        L’articolo 6, paragrafo 1, lettera k), di tale direttiva, intitolato «Obblighi di informazione per i contratti a distanza e per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali», prevede che, «[p]rima che il consumatore sia vincolato da un contratto a distanza (…), il professionista fornisce al consumatore (…), in maniera chiara e comprensibile», una serie di informazioni, e in particolare, «se non è previsto un diritto di recesso ai sensi dell’articolo 16, l’informazione che il consumatore non beneficerà di un diritto di recesso o, se del caso, le circostanze in cui il consumatore perde il diritto di recesso».

8.        L’articolo 9 di detta direttiva, intitolato «Diritto di recesso», prevede, al paragrafo 1, che «[f]atte salve le eccezioni di cui all’articolo 16, il consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto a distanza (…) senza dover fornire alcuna motivazione e senza dover sostenere costi diversi da quelli previsti all’articolo 13, paragrafo 2, e all’articolo 14».

9.        A termini dell’articolo 16, lettera e), della medesima direttiva, intitolato «Eccezioni al diritto di recesso, «[g]li Stati membri non prevedono il diritto di recesso di cui agli articoli da 9 a 15 per i contratti a distanza (…) relativamente [alla] fornitura di beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e sono stati aperti dopo la consegna».

III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

10.      La slewo // schlafen leben wohnen GmbH (in prosieguo: la «slewo»), ricorrente nel procedimento principale, è un’impresa di vendita online che commercializza in particolare materassi.

11.      Il 25 novembre 2014, il sig. Sascha Ledowski ha ordinato un materasso, a fini privati, sul sito Internet della slewo. Le condizioni generali di vendita riprodotte sulla fattura ricevuta contenevano un’«informativa sul recesso dei consumatori» così formulata: «I costi della restituzione dei beni saranno a nostro carico. (…) Nei seguenti casi il diritto di recesso si estingue anticipatamente: contratti di fornitura di beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute se sono stati aperti dopo la consegna». Al momento della consegna, il materasso era rivestito di una pellicola protettiva, che il sig. Ledowski ha successivamente rimosso.

12.      Con messaggio di posta elettronica del 9 dicembre 2014, il sig. Ledowski ha informato la slewo della propria intenzione di restituire il materasso in questione e ha chiesto a quest’ultima di organizzare il trasporto dello stesso. Poiché la sua richiesta non è stata soddisfatta, egli si è fatto carico dei costi relativi a tale trasporto.

13.      Il sig. Ledowski ha promosso un’azione giudiziaria per ottenere dalla slewo il rimborso del prezzo di acquisto e dei costi di trasporto, vale a dire un importo totale di EUR 1 190,11, oltre agli interessi e alle spese legali stragiudiziali.

14.      Tale domanda è stata accolta con sentenza emessa il 26 novembre 2015 dall’Amtsgericht Mainz (Tribunale circoscrizionale di Magonza, Germania). Detta sentenza è stata confermata in appello il 10 agosto 2016 dal Landgericht Mainz (Tribunale del Land di Magonza) (3), con la motivazione che un materasso non costituisce un bene a carattere igienico (4) e che il consumatore disponeva quindi del diritto di recesso anche dopo aver rimosso la pellicola protettiva.

15.      Adito con un ricorso dalla slewo, il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia) ha considerato che l’esito della controversia principale dipendeva dall’interpretazione delle disposizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera k), e all’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83. Con sentenza del 15 novembre 2017, pervenuta alla Corte il 6 dicembre 2017, tale organo giurisdizionale ha quindi deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 16, lettera e, della direttiva 2011/83 debba essere interpretato nel senso di ricomprendere, tra i beni ivi menzionati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute, anche quei prodotti (quali, ad esempio, i materassi) i quali, se è pur vero che, in caso di uso conforme, possono venire a contatto diretto con il corpo umano, per mezzo di adeguate misure (di pulitura) da parte del professionista possono essere resi nuovamente commercializzabili.

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione:

a)      Quali siano i requisiti cui l’imballaggio di un bene deve rispondere affinché si possa parlare di sigillatura ai sensi dell’articolo 16, lettera e, della direttiva 2011/83.

e

b)      Se le informazioni che il professionista deve fornire ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera k, della direttiva 2011/83 debbano essere comunicate in modo tale da rendere edotto il consumatore, con riferimento specifico al bene oggetto di compravendita (nel caso di specie: un materasso) e alla sigillatura applicata, che in caso di apertura questi decaderà dal diritto di recesso».

16.      Hanno presentato osservazioni scritte dinanzi alla Corte la slewo, il sig. Ledowski, i governi belga e italiano nonché la Commissione europea. Non si è tenuta alcuna udienza di discussione.

IV.    Analisi

17.      Anzitutto, rilevo che la seconda questione pregiudiziale, suddivisa in due parti, viene proposta soltanto nel caso in cui la Corte risponda affermativamente alla prima questione pregiudiziale. Poiché, a mio avviso, a quest’ultima deve rispondersi negativamente, non sarà, secondo me, necessario che la Corte si pronunci sulla seconda questione. Tuttavia, a fini di completezza, e tenuto conto del carattere inedito delle problematiche sollevate da quest’ultima, presenterò ugualmente osservazioni ad essa relative.

A.      Sulla nozione di beni «che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute» ai sensi dellarticolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83 (prima questione)

18.      Prima di iniziare l’analisi vera e propria della prima questione pregiudiziale, ritengo opportuno sottolineare alcuni aspetti essenziali che riguardano il complesso della presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

19.      In primo luogo, rilevo che tale domanda verte su un ambito ben specifico, sia sul piano giuridico che sul piano pratico, della tutela dei consumatori, vale a dire quello dei contratti a distanza, i quali sono oggetto di disposizioni speciali nella direttiva 2011/83 (5), pur essendo soggetti anche alle disposizioni di carattere generale contenute in quest’ultima.

20.      In particolare, tale direttiva prevede, all’articolo 9, che nei contratti di tal genere i consumatori dispongano in linea di principio di un diritto di recesso (6), il quale include il diritto ad un rimborso integrale salvo in caso di utilizzo abusivo del bene, diritto che trova la sua giustificazione nelle particolari difficoltà che un acquirente incontra quando conclude una compravendita a distanza. Infatti, come indicano i considerando 37 e 47 di detta direttiva, i consumatori si trovano in simile caso nell’impossibilità di vedere e di esaminare il bene di loro interesse prima di averlo ordinato e ricevuto, e per tale ragione è concesso loro un termine per riflettere ed eventualmente esercitare il diritto di recesso dopo aver ispezionato il bene consegnato, pur se anche i professionisti sono tutelati da un eventuale abuso di siffatto diritto (7). Ai sensi dei menzionati considerando, i consumatori hanno quindi la possibilità di testare e ispezionare i beni che hanno acquistato, ma solo nella misura necessaria per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni stessi (8).

21.      Tuttavia, talune eccezioni ben precise al diritto di recesso sono stabilite dall’articolo 16 di detta direttiva, la cui lettera e) esclude la fornitura di «beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute» (9), quando questi siano stati «aperti dopo la consegna». Osservo fin d’ora che mi sembra innegabile che tali nozioni siano distinte ma nondimeno strettamente collegate e che esse costituiscano condizioni cumulative ai fini dell’applicazione di detta disposizione. L’articolo 6, paragrafo 1, lettera k), della medesima direttiva impone al professionista di fornire informazioni al consumatore, prima che il contratto a distanza sia concluso, più in particolare per quanto riguarda l’eccezione al diritto di recesso prevista dall’articolo 16, lettera e), della direttiva stessa.

22.      In secondo luogo, intendo rammentare taluni principi d’interpretazione del diritto dell’Unione, che si applicano a tutte le questioni sollevate nel caso di specie dal giudice del rinvio.

23.      Da una parte, da una costante giurisprudenza della Corte risulta che, ai fini dell’interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione che non rinviano al diritto degli Stati membri, come avviene per le disposizioni di cui trattasi nella presente causa, occorre prendere in considerazione non soltanto i termini di queste ultime, ma anche il loro contesto e gli scopi perseguiti dalla normativa di cui esse fanno parte (10).

24.      Dall’altra, per quanto riguarda più precisamente le disposizioni di diritto dell’Unione che, ai sensi dell’articolo 169 TFUE, hanno l’obiettivo di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno conseguendo un livello elevato di tutela dei consumatori, come le disposizioni di cui trattasi nel caso di specie (11), occorre privilegiare un’interpretazione che consenta, per quanto possibile (12), di non compromettere la realizzazione di tale obiettivo (13) e di tenere conto compromettere la realizzazione di siffatto obiettivo e di tenere conto della posizione di inferiorità nella quale il consumatore è ritenuto trovarsi rispetto al professionista (14).

25.      Infine, dalla giurisprudenza della Corte risulta che le disposizioni del diritto dell’Unione che hanno carattere derogatorio, e in particolare quelle che limitano diritti concessi a fini di protezione, non possono dare luogo ad un’interpretazione che vada oltre le ipotesi espressamente previste nello strumento interessato (15), sempre che una tale interpretazione restrittiva non pregiudichi l’effetto utile della limitazione così stabilita e ne disconosca la finalità (16). Al pari del giudice del rinvio, ritengo che occorra procedere ad una siffatta interpretazione restrittiva delle disposizioni della direttiva 2011/83 oggetto della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, poiché esse costituiscono un’eccezione alla regola generale secondo la quale i consumatori devono, in linea di principio, beneficiare di un diritto di recesso quando concludono contratti a distanza. Rilevo che tale approccio è adottato anche nel documento di orientamento relativo a detta direttiva che è stato pubblicato dalla direzione generale Giustizia della Commissione (17).

26.      È alla luce di tutte queste considerazioni che occorre esaminare la presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

27.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se occorra interpretare la nozione di beni «che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute», di cui all’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83, nel senso che in tale disposizione rientrano anche quei prodotti – quali, ad esempio, i materassi – che possono venire a contatto diretto con il corpo umano in caso di utilizzo conforme alla loro destinazione, ma che il professionista può nondimeno rendere nuovamente commercializzabili per mezzo di adeguate misure di pulitura.

28.      Risulta che a tale riguardo si contrappongono due tesi. Secondo la prima, alla quale aderiscono la slewo e il governo belga, il consumatore non dovrebbe beneficiare di un diritto di recesso nelle circostanze oggetto di tale questione. Al contrario, secondo la seconda tesi, per la quale optano il giudice del rinvio, il sig. Ledowski, il governo italiano e la Commissione, il consumatore non dovrebbe perdere la facoltà di esercitare il proprio diritto di recesso in una situazione di tal genere. Condivido quest’ultima tesi, per le seguenti ragioni.

29.      Anzitutto, benché siano stati espressi dubbi a tale riguardo nelle osservazioni presentate alla Corte, a mio avviso occorre escludere immediatamente la controversia riguardante il punto se i materassi siano effettivamente beni «che, in caso di uso conforme, possono venire a contatto diretto con il corpo umano», come si afferma nella questione pregiudiziale sollevata. Una simile qualificazione è incontestabile per quanto riguarda la prova di un indumento, tipo di bene menzionato, a titolo di esempio, nel considerando 47 di detta direttiva. Se è vero che, in condizioni normali di utilizzo, un materasso è generalmente ricoperto quanto meno da un lenzuolo, non si può tuttavia escludere che un consumatore effettui una breve prova del materasso, dopo averlo estratto dall’imballaggio nel quale gli è stato consegnato, stendendosi su di esso senza coprirlo. Peraltro, poiché il giudice del rinvio parte da tale presupposto, a mio avviso non spetta alla Corte rimetterlo in discussione, dato che si tratta di una valutazione di natura fattuale (18).

30.      Inoltre, dal testo della questione pregiudiziale risulta che, al di là del caso particolare dei materassi, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, alla Corte viene chiesto se il consumatore debba essere privato del proprio diritto di recesso nell’ipotesi in cui un bene che può venire a contatto diretto con il corpo (19) sia stato aperto dopo la consegna e si presume pertanto che sia stato utilizzato in tal modo, anche qualora il venditore di detto bene possa adottare adeguate misure di pulitura al fine di permettere una rivendita che non pregiudichi la salute o l’igiene (20).

31.      Il giudice del rinvio menziona la posizione adottata, nel senso di una risposta affermativa, da una parte della dottrina tedesca (21) e rileva che l’espressione «che non si prestano ad essere restituiti» potrebbe eventualmente indicare che l’elemento determinante è lo stato in sé del bene dopo essere stato aperto dal consumatore, e non il punto se il professionista possa in seguito, grazie a misure di pulitura, ripristinare il bene in uno stato nel quale esso può essere nuovamente messo in vendita. Nello stesso senso, il governo belga sostiene che la possibilità o meno di pulire i beni di cui all’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83 costituisce un criterio che non figura in tale disposizione, e che quest’ultima dovrebbe essere interpretata restrittivamente giacché contiene un’eccezione.

32.      Tuttavia, ritengo che, in assenza di precise indicazioni nel testo della direttiva 2011/83 o nei relativi lavori preparatori (22), tale disposizione debba essere interpretata in modo restrittivo ma conforme all’obiettivo fissato dal legislatore (23), che è quello di tutelare, ad un livello elevato, il consumatore che ha concluso un contratto a distanza consentendogli in linea di principio di provare il bene che ha acquistato senza vederlo e di restituirlo qualora non sia soddisfatto dopo tale prova. Occorre pertanto, a mio avviso, privilegiare l’interpretazione che favorisce una limitazione del campo di applicazione delle eccezioni al diritto di recesso, vale a dire quella secondo cui un consumatore deve poter restituire un bene che può essere rimesso in vendita grazie ad una pulitura che non comporti un onere eccessivo per il professionista (24), e non l’interpretazione contraria, che limita le possibilità di recesso del consumatore.

33.      Pertanto, condivido il parere del giudice del rinvio secondo il quale il diritto di recesso deve essere escluso ai sensi di detto articolo 16, lettera e), soltanto se, dopo essere stato aperto, il bene non sia definitivamente più in condizioni di essere commercializzato, per reali motivi di protezione della salute o di igiene, poiché è impossibile, a causa della natura stessa del bene interessato, che il professionista adotti misure che consentano di rimetterlo in vendita senza per questo nuocere all’una o all’altra di tali esigenze (25).

34.      Per quanto riguarda il caso di specie, detto giudice ritiene, secondo me giustamente, che un materasso restituito dal consumatore dopo essere stato aperto, e quindi potenzialmente utilizzato, non risulti affatto definitivamente privato della sua commerciabilità, come dimostrano l’uso dei letti degli alberghi da parte dei clienti successivi, l’esistenza di un mercato per materassi d’occasione nonché la possibilità di effettuare la pulitura dei materassi usati. Mi sembra che, a tale riguardo, un materasso sia assimilabile a un indumento, la cui restituzione al professionista è stata esplicitamente prevista dal legislatore (26), anche dopo un’eventuale prova comportante un contatto diretto con il corpo, poiché è possibile presumere che un siffatto bene potrà essere lavato al fine di essere rimesso in vendita senza che la salute o l’igiene sia compromessa.

35.      Preciso che, qualora un bene sia stato oggetto di un uso eccessivo, in qualsiasi modo, all’atto della sua prova da parte del consumatore, la possibilità di addebitare una responsabilità a quest’ultimo, menzionata al considerando 47 e prevista all’articolo 14, paragrafo 2, della medesima direttiva, consentirebbe di rimediare alla «diminuzione del valore» del bene interessato (27). Quest’ultima disposizione, in quanto consente al consumatore di recedere dall’acquisto e di restituire un bene anche nel caso in cui egli l’abbia deteriorato – salvo il suo obbligo di indennizzare, se del caso, il professionista –, conferma a mio avviso la tesi secondo cui detto articolo 16, lettera e), riguarda soltanto le ipotesi in cui è assolutamente impossibile rimettere in vendita un bene senza incorrere in un rischio reale per la salute o per l’igiene.

36.      Aggiungo che l’interpretazione teleologica e sistematica che raccomando di adottare non è tale da pregiudicare l’effetto utile dell’eccezione di cui a detto articolo 16, lettera e) (28), poiché i beni aperti la cui prova normale da parte del consumatore possa compromettere irrimediabilmente la salute o l’igiene restano esclusi da una rivendita, conformemente alla finalità di tale disposizione.

37.      L’analisi che precede non può, a mio avviso, essere messa in discussione per il fatto che, come rileva il giudice del rinvio, nel summenzionato documento di orientamento (29), i materassi sono citati tra gli esempi di beni che sarebbero tali da non poter essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute (30), ai sensi di detto articolo 16, lettera e), e quindi da essere esclusi dal diritto di recesso qualora vengano aperti dopo la loro consegna. Rilevo, infatti, che tale menzione non è accompagnata da alcuna motivazione che consenta di giustificare un siffatto approccio. Soprattutto, sebbene tale documento possa fornire un chiarimento utile sul testo di detta direttiva, esso è tuttavia privo di valore vincolante per quanto riguarda l’interpretazione di quest’ultima, come esso indica espressamente nel preambolo (31). Infine, osservo che la stessa Commissione ha del resto optato per la tesi opposta nell’ambito della presente causa.

38.      Di conseguenza, ritengo che l’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83 debba essere interpretato nel senso che non rientrano nella nozione di «beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute», di cui a tale disposizione, i prodotti – quali, ad esempio, i materassi – che possono venire a contatto diretto con il corpo umano in caso di utilizzo conforme alla loro destinazione, ma che il professionista può rendere nuovamente commercializzabili per mezzo di adeguate misure, segnatamente di pulitura.

B.      Sulla nozione di beni «sigillati» ai sensi dellarticolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83 [seconda questione, lettera a)]

39.      Poiché la seconda questione pregiudiziale, in particolare la sua prima parte, viene sollevata solo nell’ipotesi in cui la Corte risponda affermativamente alla prima questione pregiudiziale – il che, a mio avviso, non dovrebbe avvenire –, le mie osservazioni riguardo a detta parte sono formulate soltanto in subordine.

40.      Con la sua seconda questione, lettera a), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, quali caratteristiche debba presentare un imballaggio affinché possa essere considerato una sigillatura ai sensi dell’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83, nel caso in cui il bene interessato rientri nella categoria dei beni «che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute», che sono oggetto dell’eccezione al diritto di recesso prevista da tale disposizione (32). A termini della motivazione della propria decisione, detto giudice si chiede, più in particolare, se i beni di siffatto tipo debbano essere imballati in maniera tale che, «oltre alla garanzia che la sigillatura, una volta rimossa, non possa essere ripristinata, debba anche risultare chiaramente dalle circostanze del caso concreto (per esempio, tramite la dicitura “sigillo”) che si tratta non di un semplice imballaggio per il trasporto, bensì di una sigillatura per motivi di salute o igienici».

41.      A mio avviso, la questione posta e la motivazione ad essa relativa sollevano due problematiche diverse, come risulta dalle osservazioni presentate alla Corte (33). Il giudice del rinvio si interroga, da una parte, sulle proprietà fisiche che deve presentare un imballaggio affinché possa essere qualificato come sigillatura ai sensi dell’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83 e, dall’altra, sull’eventuale necessità di apporre su tale imballaggio un segno distintivo che attiri l’attenzione del consumatore sul fatto che quest’ultimo è in presenza di una siffatta sigillatura.

42.      In primo luogo, per quanto riguarda le proprietà fisiche degli imballaggi che possono rientrare in simile qualificazione, constato che la nozione di sigillatura, di cui all’articolo 16, lettera e), di detta direttiva, non è definita in quest’ultima (34). I lavori preparatori non forniscono, a mio avviso, maggiori chiarimenti su ciò che occorra intendere con tale nozione (35).

43.      Il suddetto documento di orientamento menziona i beni «che, per concreti motivi igienici o di tutela della salute, sono venduti sigillati, per esempio con una pellicola o un involucro protettivo» (36). L’inizio di tale formula esclude, a mio avviso giustamente, che i professionisti possano disporre liberamente delle eccezioni al diritto di recesso, apponendo sigillature non giustificate dalla natura del bene alla luce di detti motivi (37), dato che le deroghe al diritto in parola, del quale il consumatore beneficia in linea di principio, devono restare assolutamente eccezionali (38). Per contro, detto documento non fornisce risposta alla questione relativa alla determinazione delle qualità materiali che dovrebbero presentare la pellicola o l’involucro protettivo così menzionati, affinché soddisfino i requisiti di cui a detto articolo 16, lettera e).

44.      A tale riguardo, ritengo, come proposto in sostanza dalla slewo (39), dal governo belga (40) e dalla Commissione, che occorra attenersi rigorosamente allo scopo che è destinata a soddisfare la sigillatura ai sensi di detta lettera e). Lo scopo della disposizione in parola consiste, a mio avviso, nell’escludere dal diritto di recesso tutti i beni che devono essere sigillati a fini reali di protezione della salute o di igiene, e quindi nell’impedire che il consumatore restituisca tali beni al professionista, poiché questi ultimi, una volta privati del loro imballaggio protettivo, subiscono una perdita irrimediabile di valore in termini di garanzia di igiene o addirittura di salute, cosicché non possono più essere nuovamente commercializzati (41).

45.      È pertanto necessario, a mio avviso, affinché un rivestimento protettivo possa essere considerato «sigillato» ai sensi di detta disposizione, che esso consenta di garantire in modo affidabile la pulizia del prodotto da esso contenuto. Un simile criterio presuppone che siffatto imballaggio sia sufficientemente resistente da preservare quest’ultima e che esso non possa essere aperto senza che ciò lo danneggi in modo visibile, cosicché appaia con certezza che il bene interessato può essere stato provato dall’acquirente. Ad esempio, una pellicola di plastica o un opercolo di metallo che siano, l’uno o l’altro, saldati, e quindi impossibili da ripristinare dopo un’apertura volontaria, potrebbero soddisfare tali requisiti.

46.      Per contro, mi sembra eccessivo richiedere – come mi sembra sia stato suggerito dal governo italiano – che, affinché ad un imballaggio possa attribuirsi detta qualificazione, esso sia in grado di garantire «asetticità del prodotto, com’è per il caso dei dispositivi che devono vendersi sterilizzati» (42). Infatti, è pur vero che l’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83 fa riferimento a «motivi (…) connessi alla protezione della salute», ma esso menziona anche semplici «motivi igienici», i quali non giustificano, a mio avviso, un investimento economico da parte dei professionisti a quell’elevato livello che sarebbe richiesto dall’obbligo di collocare in un siffatto imballaggio, reso asettico o persino sterilizzato, tutti i beni che possono essere interessati da detta disposizione.

47.      In secondo luogo, per quanto riguarda un’eventuale marcatura specifica, quale prospettata dal giudice del rinvio, che dovrebbe figurare sugli imballaggi idonei a costituire una sigillatura ai sensi di detto articolo 16, lettera e) (43), condivido il parere della slewo e della Commissione secondo il quale nulla indica che, ai fini dell’applicazione di tale disposizione, debba essere soddisfatto un siffatto requisito visivo in aggiunta alle proprietà fisiche sopra descritte che, a mio avviso, detti imballaggi dovrebbero presentare.

48.      Non risulta infatti né dalla formulazione di detta lettera e), né dalle disposizioni ad essa adiacenti, né dai lavori preparatori (44), che gli autori della direttiva 2011/83 abbiano inteso imporre al professionista un obbligo di informazione post-contrattuale di tale natura riguardante il diritto di recesso (45). Se il legislatore dell’Unione avesse ritenuto necessario che il consumatore venga informato all’atto della consegna per mezzo di indicazioni presenti sull’imballaggio del prodotto venduto, esso non avrebbe certamente mancato di farlo, come è stato previsto in altri strumenti relativi alla tutela dei consumatori (46).

49.      Pertanto, nel caso in cui la Corte si pronunciasse sulla seconda questione pregiudiziale, lettera a), a mio avviso occorrerebbe rispondere che costituiscono beni «sigillati», ai sensi dell’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83, i beni collocati in un imballaggio la cui apertura - in qualsiasi modo - è irreversibile, in modo che risulti con certezza che il bene interessato ha potuto essere stato provato dall’acquirente, senza che tuttavia l’imballaggio debba necessariamente contenere una menzione specifica che indichi espressamente che si tratta di un sigillo la cui rottura pregiudicherà il diritto di recesso del consumatore. A mio avviso, tale informazione esplicita dovrebbe, per contro, essere fornita nell’ambito dell’informazione precontrattuale prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva, che mi accingo ad esaminare.

C.      Sullobbligo di informare il consumatore riguardo alle circostanze della perdita del suo diritto di recesso ai sensi dellarticolo 6, paragrafo 1, lettera k), della direttiva 2011/83 [seconda questione, lettera b)]

50.      Tenuto conto del fatto che la seconda questione pregiudiziale, compresa la sua seconda parte, viene sollevata soltanto nel caso in cui la Corte risponda affermativamente alla prima questione pregiudiziale, come io non raccomando di fare, formulo alcune osservazioni relativamente a detta parte soltanto in via subordinata.

51.      Detta questione si basa sul presupposto che il bene messo in vendita a distanza sia effettivamente sigillato e sottratto alla possibilità di restituzione al venditore per motivi igienici o connessi alla protezione della salute ai sensi dell’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83, e pertanto non costituisca oggetto del diritto di recesso di cui il consumatore beneficia in linea di principio.

52.      In sostanza, il giudice del rinvio chiede se, in una situazione del genere, il professionista debba, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera k), di tale direttiva, rendere edotto il consumatore, prima della conclusione della vendita, in modo concreto, del fatto che quest’ultimo perderà il diritto di recesso in caso di apertura del bene, menzionando specificamente l’oggetto acquistato e il fatto che quest’ultimo è sigillato, oppure se egli possa informarlo in modo meramente astratto, limitandosi a citare il testo di detta direttiva nelle condizioni generali di vendita (47).

53.      A sostegno di quest’ultima tesi, la slewo adduce il fatto che, nella sua attuale formulazione, il testo di detto articolo 6 impone soltanto di informare il consumatore «prima» che quest’ultimo invii l’ordine, cosicché un professionista soddisferebbe i requisiti della direttiva 2011/83 fornendo un’informazione precontrattuale generale sul diritto di recesso, che includa l’indicazione degli eventuali motivi di eccezione quali previsti dal legislatore. Essa aggiunge che il fatto di fornire precisazioni concrete su tale diritto unitamente ad ogni prodotto venduto online non sarebbe conforme all’obiettivo di tutela del consumatore (48) e che sarebbe sufficiente fornire informazioni specifiche dopo la conclusione del contratto. Il sig. Ledowski non prende posizione a tale riguardo, invocando la propria risposta negativa alla prima questione pregiudiziale. I governi belga e italiano nonché la Commissione, in subordine, propongono di interpretare l’articolo 6, paragrafo 1, lettera k), di detta direttiva nel senso che il professionista è tenuto ad informare il consumatore in modo espresso sul fatto che egli perderà il proprio diritto di recesso in caso di apertura del bene interessato. Condivido il parere di questi ultimi, per le ragioni seguenti.

54.      Anzitutto, sottolineo che il testo dell’articolo 6 della direttiva 2011/83 contiene una serie di indicazioni esplicite relative all’obbligo di informazione che esso impone al professionista il quale intenda concludere contratti a distanza con un consumatore (49).

55.      Per quanto riguarda il momento nel quale tutte le informazioni previste da tale articolo 6 (50) devono essere consegnate, dal paragrafo 1, prima frase, di quest’ultimo risulta che esse devono essere fornite, in modo esauriente, «[p]rima che il consumatore sia vincolato da un contratto» (51), cosicché le informazioni complementari eventualmente fornite in una fase successiva, segnatamente all’atto della consegna del bene (52), sono irrilevanti al fine di determinare se il professionista abbia o meno soddisfatto tale obbligo. Inoltre, per quanto concerne la forma (53) che tali informazioni devono assumere, il medesimo paragrafo impone che esse siano fornite «in maniera chiara e comprensibile», quindi senza equivoci, in modo tale, a mio avviso, che un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (54), sia in grado di prendere la decisione di vincolarsi con piena cognizione di causa (55).

56.      Peraltro, per quanto riguarda l’oggetto dell’informazione preliminare di cui trattasi più specificamente nel caso di specie, la lettera k) di detto paragrafo 1, che concerne le situazioni in cui «non è previsto [(56)] un diritto di recesso ai sensi dell’articolo 16 [(57)]» di detta direttiva, esige in modo esplicito che il consumatore riceva «l’informazione che [egli] non beneficerà di un diritto di recesso o, se del caso, le circostanze in cui [egli] perde il diritto di recesso» (58). Per contro, detta disposizione non precisa quale sia il contenuto dell’informazione che il professionista deve fornire al consumatore, in un caso del genere, affinché quest’ultima possa essere considerata sufficientemente chiara (59).

57.      Tuttavia, tenuto conto degli obiettivi della normativa nella quale l’articolo 6, paragrafo 1, lettera k), della direttiva 2011/83 rientra, ritengo che occorra interpretare quest’ultimo nel senso che non soddisfa i requisiti di tale disposizione il professionista che si limiti a riprodurre il testo dell’articolo 16, lettera e), di detta direttiva nelle proprie condizioni generali, come è avvenuto nel caso di specie (60). Un professionista che intenda procedere alla vendita a distanza di beni rientranti nella categoria specificamente prevista da detto articolo 16, lettera e), dovrebbe a mio avviso essere tenuto, come considera il giudice del rinvio, ad avvertire immediatamente il consumatore in modo espresso e concreto del fatto che egli perderà il diritto di recesso di cui è titolare qualora compia un preciso atto che produce l’effetto di privarlo del diritto in parola, vale a dire qualora egli apra il bene interessato, riferendosi concretamente a tale bene determinato e specificando chiaramente che quest’ultimo è sigillato (61).

58.      Una siffatta interpretazione è, a mio avviso, l’unica in grado, da una parte, di assicurare il livello elevato di tutela dei consumatori perseguito dalla direttiva 2011/83 e di cui detto articolo 6, paragrafo 1, lettera k), costituisce uno dei vettori; dall’altra, di garantire pienamente l’effetto utile dell’informazione richiesta da tale disposizione (62) nonché di evitare che i professionisti siano liberati troppo facilmente dai loro obblighi relativi al diritto di recesso, il quale, secondo detta direttiva, costituisce il principio e deve rimanere tale.

59.      A questo proposito, rilevo che, in un contesto simile, la Corte ha già giudicato che il sistema di tutela previsto dal diritto dell’Unione, il quale include l’obbligo per il professionista di fornire al consumatore tutte le informazioni necessarie per l’esercizio dei suoi diritti – e in particolare il suo diritto di recesso –, presuppone che il consumatore, in quanto parte debole, sia consapevole dei propri diritti venendone espressamente informato per iscritto (63). Aggiungo che la Corte ha evidenziato che l’obbligo di informare i consumatori riveste un ruolo centrale nell’economia generale della normativa adottata in tale settore (64), in quanto garanzia essenziale di un esercizio effettivo del diritto di recesso attribuito ai consumatori e, pertanto, dell’effetto utile della tutela di questi ultimi voluta dal legislatore (65). Le considerazioni in tal modo formulate con riguardo alle direttive 85/577 e 97/7 sono, a mio avviso, pertinenti anche nella presente causa, dato che la direttiva 2011/83 ha abrogato e sostituito le menzionate direttive (66).

60.      Di conseguenza, nell’ipotesi in cui la Corte si pronunciasse sulla seconda questione pregiudiziale, lettera b), occorrerebbe, a mio avviso, interpretare l’articolo 6, paragrafo 1, lettera k), della direttiva 2011/83 nel senso che, qualora un bene sia sigillato nelle circostanze di cui all’articolo 16, lettera e), di tale direttiva, il professionista ha l’obbligo di informare espressamente il consumatore, prima della conclusione del contratto di vendita a distanza, del fatto che egli perderà il proprio diritto di recesso in caso di apertura del bene consegnato, riferendosi concretamente a quest’ultimo e specificando chiaramente che esso è sigillato.

V.      Conclusione

61.      Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) nel modo seguente:

L’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che non rientrano nella nozione di «beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute», di cui a tale disposizione, i prodotti – quali, ad esempio, i materassi – che possono venire a contatto diretto con il corpo umano in caso di utilizzo conforme alla loro destinazione, ma che il professionista può rendere nuovamente commercializzabili per mezzo di adeguate misure, segnatamente di pulitura.


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2011, L 304, pag. 64). Preciso che la direttiva 85/577, del 20 dicembre 1985, riguardava la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali (GU 1985, L 372, pag. 31), mentre la direttiva 97/7, del 20 maggio 1997, riguardava la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (GU 1997, L 144, pag. 19).


3      Sentenza disponibile al seguente indirizzo Internet: https://beck-online.beck.de/Dokument?vpath=bibdata%2Fents%2Fbeckrs%2F2016%2Fcont%2Fbeckrs.2016.127864.htm (v., in particolare, punti 21 e segg.).


4      Ai sensi dell’articolo 312 g, paragrafo 2, primo comma, punto 3, del Bürgerliches Gesetzbuch (codice civile; in prosieguo: il «BGB»), la cui formulazione è equivalente a quella dell’articolo 16, lettera e), della direttiva 2011/83.


5      Disposizioni specifiche che coincidono parzialmente con quelle applicabili ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali (v., in particolare, articoli 6 e segg. della medesima direttiva).


6      Diritto di recesso che si esercita alle condizioni stabilite dagli articoli da 9 a 15 della medesima direttiva.


7      La sentenza del 3 settembre 2009, Messner (C‑489/07, EU:C:2009:502, punti 20 e 25), vertente sulla direttiva 97/7, sostituita dalla direttiva 2011/83, ha sottolineato che le norme relative al diritto di recesso sono ritenute «compens[are] lo svantaggio che risulta per il consumatore da un contratto a distanza, accordandogli un termine di riflessione appropriato durante il quale egli ha la possibilità di esaminare e testare il bene acquistato», senza tuttavia «accordargli diritti che vadano oltre quanto necessario a consentirgli di esercitare effettivamente [tale] diritto».


8      V. articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2011/83 nonché considerando 47 della medesima, il quale specifica le precauzioni che devono essere adottate dal consumatore durante tale esame, facendo l’esempio di un indumento, che dovrebbe essere soltanto provato, ma non indossato.


9      V., inoltre, considerando 49 di tale direttiva, a termini del quale «[u]n diritto di recesso potrebbe essere inappropriato ad esempio vista la natura di taluni beni».


10      V., in particolare, sentenze del 7 agosto 2018, Verbraucherzentrale Berlin (C‑485/17, EU:C:2018:642, punto 27), nonché del 17 ottobre 2018, Günter Hartmann Tabakvertrieb (C‑425/17, EU:C:2018:830, punto 18).


11      Tale obiettivo risulta tanto dai considerando 3, 4 e 65 quanto dall’articolo 1 della direttiva 2011/83.


12      Con la precisazione che il modo di interpretare i vari strumenti del diritto dell’Unione che perseguono tale obiettivo può variare in base alle diverse modalità che essi prevedono rispettivamente per perseguire quest’ultimo (v., in particolare, sentenza del 19 settembre 2018, Bankia, C‑109/17, EU:C:2018:735, punti 36 e segg.).


13      V., in particolare, sentenze del 13 settembre 2018, Starman (C‑332/17, EU:C:2018:721, punti da 26 a 30), nonché del 25 ottobre 2018, Tänzer & Trasper (C‑462/17, EU:C:2018:866, punti 28 e 29).


14      V., in particolare, sentenze del 13 settembre 2018, Wind Tre e Vodafone Italia (C‑54/17 e C‑55/17, EU:C:2018:710, punto 54), nonché del 4 ottobre 2018, Kamenova (C‑105/17, EU:C:2018:808, punto 34), la quale rammenta che «il consumatore [deve ritenersi] meno informato, economicamente più debole e meno esperto sul piano giuridico della controparte».


15      V., in particolare, sentenze del 25 gennaio 2018, Schrems (C‑498/16, EU:C:2018:37, punto 27), nonché del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring (C‑51/17, EU:C:2018:750, punto 54).


16      V., in particolare, sentenze del 1o marzo 2012, González Alonso (C‑166/11, EU:C:2012:119, punti 26 e 27), nonché del 27 settembre 2017, Nintendo (C‑24/16 e C‑25/16, EU:C:2017:724, punti 73 e 74).


17      V. sezione 6.8, pagg. 61 e 62, di tale documento, datato giugno 2014 e disponibile al seguente indirizzo Internet: https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/crd_guidance_it.pdf.


18      Sulla ripartizione delle competenze tra il giudice del rinvio e la Corte, con riguardo al contesto fattuale di un rinvio pregiudiziale, nonché sulle sue giustificazioni, v., in particolare, sentenze del 20 marzo 1997, Phytheron International (C‑352/95, EU:C:1997:170, punti 12 e 14), nonché del 13 febbraio 2014, Maks Pen (C‑18/13, EU:C:2014:69, punto 30).


19      Per ragioni di prevedibilità e di certezza del diritto, invocate anche dalla slewo contro un approccio caso per caso, mi pare effettivamente auspicabile che la Corte fornisca un’interpretazione che non si limiti alle particolari circostanze del caso di specie, vale a dire alla specifica categoria dei materassi, ma che includa le situazioni simili indicate dal giudice del rinvio.


20      Sebbene il significato delle espressioni «protezione della salute» e «motivi igienici» ai sensi dell’articolo 16, lettera e), nella direttiva 2011/83 non sia al centro della presente questione pregiudiziale, preciso tuttavia che esse si riferiscono, a mio avviso, a realtà diverse e che un’interpretazione della menzionata disposizione che fosse in linea con il primo di tali motivi di esclusione del diritto di recesso varrebbe a fortiori per il secondo, in quanto la messa in pericolo della salute è ovviamente più grave di una compromissione dell’igiene.


21      In tal senso, il giudice del rinvio cita, in particolare, Wendehorst, C., «Article 312 g», Münchener Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch, sotto la direzione di F.J. Säcker e a., vol. 2, 7a edizione, Beck, Monaco, 2016, punti 24 e segg. In senso contrario, v., in particolare, Schirmbacher, M., e Schmidt, S., «Verbraucherrecht 2014 – Handlungsbedarf für den E-Commerce», Computer und Recht, 2014, pag. 112, nonché Lorenz, S., «BGB – Article 312 g», Beck-online.Grosskommentar, Beck, Monaco, 2018, punti 26 e segg.


22      V., in particolare, la proposta della Commissione dell’8 ottobre 2008, che ha portato all’adozione della direttiva 2011/83 [COM(2008) 614 definitivo, specialmente pag. 31, articolo 19, paragrafo 1, relativo alle eccezioni al diritto di recesso in materia di contratti a distanza, che non prevedeva l’eccezione di cui trattasi]; il parere del Comitato economico e sociale europeo su tale proposta (GU 2009, C 317, pag. 59, specialmente punto 5.5.4, nel quale viene menzionata l’eventualità di una siffatta eccezione), nonché la relazione del Parlamento europeo, del 22 febbraio 2011, su tale proposta [A7-0038-2011, specialmente pag. 74, in cui figura l’emendamento 130 che ha portato all’inserimento della disposizione che sarebbe divenuta la lettera e) dell’attuale articolo 16, senza spiegazione]. Secondo Rott, P., «More coherence? A higher level of consumer protection? A review of the new Consumer Rights Directive 2011/83/EU», Revue européenne de droit de la consommation, 2012, n. 3, pag. 381, tale eccezione risponde a richieste avanzate dall’industria cosmetica.


23      Secondo le regole di interpretazione richiamate ai paragrafi 23 e segg. delle presenti conclusioni.


24      Infatti, come indica il considerando 4 della direttiva 2011/83, le disposizioni di quest’ultima relative ai contratti a distanza mirano a «promuovere un effettivo mercato interno dei consumatori, che raggiunga il giusto equilibrio tra un elevato livello di tutela dei consumatori e la competitività delle imprese» (il corsivo è mio).


25      Detto giudice precisa, a mio avviso giustamente, che «[t]ale ipotesi può verificarsi, per esempio, laddove un nuovo utilizzo della merce da parte di terzi sia generalmente escluso sin dal principio per motivi di salute (medicinali aperti) o per ragioni igieniche (spazzolino da denti, rossetto, articoli erotici) e neppure le misure adottabili dal professionista, come la pulitura o la disinfezione, possano rendere il bene nuovamente vendibile, fosse anche quale articolo usato, reso o simili».


26      Per quanto riguarda l’indennizzo del professionista in un siffatto contesto, v., in particolare, sentenze del 3 settembre 2009, Messner (C‑489/07, EU:C:2009:502, punto 29), vertente sulla direttiva 97/7 sostituita dalla direttiva 2011/83, nonché del 2 marzo 2017, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs Frankfurt am Main (C‑568/15, EU:C:2017:154, punti 24 e 26).


27      A termini di detto articolo 14, paragrafo 2, «[i]l consumatore è responsabile unicamente della diminuzione del valore dei beni risultante da una manipolazione dei beni diversa da quella necessaria per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni».


28      Conformemente alla giurisprudenza citata alla nota 16 delle presenti conclusioni.


29      Documento citato alla nota 17 delle presenti conclusioni (sezione 6.8.2, pag. 59).


30      Detto documento cita inoltre «i prodotti cosmetici, come i rossetti», con la seguente precisazione: «[p]er altri prodotti cosmetici non sigillati per motivi igienici o di tutela della salute, il professionista può offrire al consumatore un’altra possibilità di testarli, come in negozio, per esempio aggiungendo al prodotto (…) un tester gratuito. Il consumatore non sarà così costretto ad aprire l’imballaggio del prodotto per esercitare il diritto di stabilire la natura e le caratteristiche del prodotto stesso».


31      Come segue: «Il presente documento, giuridicamente non vincolante, viene fornito a mero titolo orientativo. L’interpretazione autentica del diritto dell’Unione rimane prerogativa esclusiva della Corte di giustizia dell’Unione europea. Il presente documento non costituisce pertanto un’interpretazione ufficiale del diritto dell’UE (…). Il presente lavoro di orientamento [è] pubblicato sotto l’esclusiva responsabilità della Direzione generale Giustizia [della Commissione]».


32      Sostenendo che «l’obiettivo del rinvio pregiudiziale non consiste nella formulazione di pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche, bensì nella necessità di dirimere concretamente una controversia» e citando in particolare la sentenza del 16 dicembre 1981, Foglia (244/80, EU:C:1981:302, punto 18), la Commissione raccomanda che tale questione venga riformulata. Tuttavia, secondo me, la riformulazione proposta non è necessaria, poiché non mi sembra che la risposta alla questione quale formulata dal giudice nazionale sarebbe inutile al fine di consentirgli di dirimere la controversia di cui è investito (v., in particolare, sentenza del 1o febbraio 2017, Município de Palmela, C‑144/16, EU:C:2017:76, punto 20).


33      Preciso che, mentre la slewo sviluppa un’argomentazione relativa ad entrambe dette problematiche, i governi belga e italiano nonché la Commissione insistono maggiormente sulla prima di esse. Dal canto suo, il sig. Ledowski non presenta osservazioni riguardo alla seconda questione pregiudiziale, sulla base del rilievo che la prima questione richiederebbe una risposta negativa.


34      Come ha affermato la slewo, ritengo che il significato da attribuire a detta nozione non sia necessariamente lo stesso di quello dei termini identici utilizzati, in un contesto diverso, alla lettera i) di detto articolo 16, la quale menziona «la fornitura di registrazioni audio o video sigillate o di software informatici sigillati che sono stati aperti dopo la consegna». In tale ipotesi, secondo il documento di orientamento di cui alla nota 17 delle presenti conclusioni, il consumatore non ha la facoltà di «testare» il contenuto digitale presente su supporti fisici di dati sigillati (CD, DVD ecc.) durante il periodo di esercizio del proprio diritto di recesso (sezione 12.2, pag. 70). A mio parere, il divieto di restituzione del bene dopo l’apertura del sigillo è quindi legato a cause (quali la possibilità di un utilizzo unico o di effettuare copie del contenuto) diverse da quelle relative alla compromissione dell’integrità del bene stesso (motivi sanitari o igienici), che giustifica l’eccezione di cui alla lettera e) del medesimo articolo.


35      In particolare, nessuna spiegazione relativa al significato del termine «sigillati» è contenuta nel testo della proposta della Commissione e della relazione del Parlamento di cui alla nota 22 delle presenti conclusioni.


36      V. sezione 6.8.2, pag. 59, del documento citato alla nota 17.


37      In tal senso, Karstoft, S., Forbrugeraftaleloven med kommentarer, Jurist- og Økonomforbundets Forlag, Copenaghen, 2018, pag. 461, ritiene che sia più giustificato sigillare, per motivi sanitari o igienici, beni di natura intima, quali ad esempio indumenti intimi o costumi da bagno, anziché materassi.


38      V. anche paragrafo 25 delle presenti conclusioni.


39      Secondo la slewo, occorre distinguere tra il «sovraimballaggio» avente la funzione di evitare che un bene sia danneggiato durante il suo stoccaggio o trasporto, quale il cartone contenente una crema per il viso, e l’«imballaggio a scopo igienico», quale la pellicola asportabile di metallo o di plastica che si trova abitualmente sotto il coperchio del vasetto di crema. Nel caso specifico dei materassi protetti sia da un cartone che da una pellicola di plastica ermeticamente chiusa, soltanto quest’ultimo elemento, che garantisce l’igiene del prodotto, costituirebbe una sigillatura ai sensi di detto articolo 16, lettera e).


40      Il governo belga considera che «il termine “sigillare” deve essere inteso nel senso che esso implica una misura particolare di imballaggio adottata dal professionista al fine di imballare il bene in modo tale che una persona non possa aprirlo senza che ciò sia visibile, e che l’apertura del bene sigillato implica che il venditore al quale il bene sia restituito debba adottare la stessa misura particolare al fine di sigillare nuovamente il bene».


41      In tal senso, v. Hoeren, T., e Föhlisch, C., «Ausgewählte Praxisprobleme des Gesetzes zur Umsetzung der Verbraucherrechterichtlinie», Computer und Recht, 2014, pag. 245.


42      Il governo italiano ritiene che ai materassi non possa attribuirsi una siffatta qualificazione, poiché questi ultimi sono confezionati, per la vendita, in un imballaggio destinato soltanto a proteggerli dalla sporcizia o dal deterioramento durante il trasporto, e non a garantirne l’aspesi, la quale non è assicurata neanche durante la loro produzione, a differenza dei beni che devono essere venduti sterilizzati, quali i dispositivi medici.


43      Marcatura che potrebbe consistere in una stampa o un’etichetta speciale apposta sull’imballaggio al fine di informare il consumatore del fatto che il bene è stato sigillato per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e che egli perderà il proprio diritto di recesso se romperà tale sigillo.


44      V., in particolare, i documenti citati alla nota 22 delle presenti conclusioni.


45      Preciso che un obbligo generale di informare il consumatore dopo la conclusione del contratto a distanza, a fini di conferma dell’accordo, è tuttavia previsto dall’articolo 8, paragrafo 7, di detta direttiva, per quanto riguarda tutte le informazioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della medesima, soltanto nel caso in cui il professionista avesse omesso di fornirle al consumatore su un mezzo durevole prima della conclusione del loro contratto. Quest’ultima disposizione è oggetto della seconda questione pregiudiziale, lettera b) (v. paragrafi 50 e segg. delle presenti conclusioni).


46      Come la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU 2000, L 109, pag. 29).


47      Il giudice del rinvio ritiene che una semplice citazione potrebbe risultare di difficile comprensione per un non giurista, il che deporrebbe a favore della tesi secondo cui il professionista assolverebbe debitamente al proprio obbligo di informazione soltanto qualora abbia espressamente reso edotto il consumatore, prima che il contratto vincoli quest’ultimo, del fatto che il suo diritto di recesso si estingue in caso di apertura del bene, menzionando concretamente l’oggetto del contratto (nel caso di specie, un materasso) nonché la circostanza che il bene è sigillato e le modalità della sigillatura.


48      La slewo sostiene che il consumatore sarebbe in tal caso sommerso da una pletora di informazioni inutili e che, quando acquista più prodotti, egli dovrebbe verificare per ciascuno di essi se può essere privato del proprio diritto di recesso, segnatamente a causa del compimento di atti quali un’apertura.


49      Tenuto conto dell’oggetto del procedimento principale, preciso che il considerando 12 e l’articolo 6, paragrafo 8, della direttiva 2011/83 indicano che gli obblighi di informazione stabiliti in quest’ultima completano – prevalendo, in caso di contrasto – gli obblighi di informazione previsti dalla direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (GU 2000, L 178, pag. 1), la quale non fornisce, a mio avviso, alcuna indicazione utile per rispondere alla presente questione pregiudiziale.


50      Vale a dire, quelle elencate alle lettere da a) a t) del paragrafo 1 di detto articolo 6.


51      Il carattere esaustivo delle informazioni da fornire risulta dal considerando 34 di detta direttiva.


52      Quali le informazioni risultanti dall’imballaggio del prodotto, che sono previste nella seconda questione pregiudiziale, lettera a).


53      Requisito qui legato più al contenuto dell’informazione che alla sua forma, da distinguere dai requisiti relativi alle condizioni di forma stricto sensu che il contratto a distanza deve rispettare ai sensi della direttiva 2011/83, che sono indicate all’articolo 8 della stessa. A quest’ultimo proposito, v. segnatamente, per quanto riguarda la direttiva 97/7, sostituita dalla direttiva 2011/83, sentenza del 5 luglio 2012, Content Services (C‑49/11, EU:C:2012:419, punti da 42 a 51).


54      Conformemente al criterio di valutazione abitualmente utilizzato dalla Corte nella sua giurisprudenza relativa alla tutela dei consumatori (v., in particolare, sentenze del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punti 47 e 52, nonché del 13 settembre 2018, Wind Tre e Vodafone Italia, C‑54/17 e C‑55/17, EU:C:2018:710, punto 51).


55      Come afferma il governo italiano, occorre «che il consumatore sia posto in grado di percepire agevolmente la portata dell’offerta economica e le limitazioni dei propri diritti sin dal primo contatto con il venditore, dovendo l’offerta rispondere a determinati standards di chiarezza e percepibilità, e contenere, quindi, tutti gli elementi essenziali al fine di consentire al consumatore medio di percepirne correttamente la portata e le condizioni».


56      Contrariamente alla lettera h) del medesimo paragrafo 1, che concerne il «caso di sussistenza di un diritto di recesso» e impone, in siffatta ipotesi, che «le condizioni, i termini e le procedure per esercitare tale diritto» siano portati a conoscenza del consumatore. A questo proposito, v. domanda di pronuncia pregiudiziale proposta nella causa pendente Walbusch Walter Busch (C‑430/17).


57      Osservo che, con tale formulazione generale, l’articolo 6, paragrafo 1, lettera k), della direttiva 2011/83 comprende tutti i casi di eccezione al diritto di recesso previsti dall’articolo 16 della medesima direttiva, e non soltanto il caso di cui alla lettera e) di quest’ultimo, che è l’unico a formare oggetto delle precedenti questioni sollevate nella presente causa.


58      Mi sembra che la presente questione pregiudiziale riguardi soltanto quest’ultima ipotesi.


59      I lavori preparatori di tale testo non forniscono, a mio avviso, alcun chiarimento utile a questo proposito [v., in particolare, la relazione del Parlamento citata alla nota 22 delle presenti conclusioni e, più specificamente, l’emendamento relativo all’articolo 9, paragrafo 1, lettera e bis), pagg. 58 e 59, nonché la motivazione, pagg. 119 e 120].


60      V. citazione delle condizioni generali in questione contenuta al paragrafo 11 delle presenti conclusioni.


61      Secondo il documento di orientamento di cui alla nota 17 delle presenti conclusioni, «per esempio per alimenti in scatola sigillati ai sensi dell’articolo 16, lettera e), [della direttiva 2011/83,] il professionista deve [in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera k), della medesima direttiva] informare il consumatore (…) che, per motivi igienici o legati alla tutela della salute, il consumatore perde il diritto di recesso se le scatole sono aperte» (v. sezione 6.2, pag. 44).


62      In pratica, è possibile che un consumatore decida di non ordinare un bene dopo aver appreso che la prova di quest’ultimo, una volta consegnato, e la sua eventuale restituzione saranno limitate a causa del fatto che tale bene è sigillato.


63      V. sentenze del 13 dicembre 2001, Heininger (C‑481/99, EU:C:2001:684, punto 45), del 10 aprile 2008, Hamilton (C‑412/06, EU:C:2008:215, punto 33), e del 17 dicembre 2009, Martín Martín (C‑227/08, EU:C:2009:792, punto 26), che vertevano sulla direttiva 85/577, nonché sentenza del 5 luglio 2012, Content Services (C‑49/11, EU:C:2012:419, punti 34 e segg.), che verteva sulla direttiva 97/7.


64      Sul carattere essenziale di tale diritto all’informazione del consumatore, molto presto riconosciuto dalle istituzioni dell’Unione, v. Aubert de Vincelles, C., «Protection des intérêts économiques des consommateurs – Droit des contrats», JurisClasseur Europe, fascicolo 2010, punto 19.


65      V. sentenza del 17 dicembre 2009, Martín Martín (C‑227/08, EU:C:2009:792, punto 27), vertente sull’obbligo di informare i consumatori imposto dall’articolo 4 della direttiva 85/577.


66      Nel senso di una trasposizione verso la direttiva 2011/83 della giurisprudenza della Corte vertente sulle direttive 85/577 e 97/7, v., rispettivamente, sentenze del 7 agosto 2018, Verbraucherzentrale Berlin (C‑485/17, EU:C:2018:642, punti 35 e segg.), nonché del 2 marzo 2017, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs Frankfurt am Main (C‑568/15, EU:C:2017:154, punto 26).