CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

M. POIARES MADURO

presentate il 30 settembre 2009 1(1)

Causa C‑135/08

Janko Rottmann

contro

Freistaat Bayern

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta
dal Bundesverwaltungsgericht (Germania)]

«Cittadinanza europea – Perdita – Decadenza della cittadinanza dello Stato membro d’origine al momento dell’acquisto della cittadinanza di un altro Stato membro – Revoca della nuova cittadinanza in ragione di atti fraudolenti che ne hanno accompagnato l’acquisto»





1.        Il presente rinvio pregiudiziale solleva per la prima volta la questione dell’ampiezza del potere discrezionale di cui dispongono gli Stati membri per determinare i loro cittadini. Poiché la cittadinanza dell’Unione europea, che dipende indubbiamente dal godimento dello status di cittadino di uno Stato membro, è istituita dal Trattato, il potere degli Stati membri di fissare le condizioni di acquisto e di perdita della cittadinanza può ancora essere esercitato al di fuori di qualsiasi controllo dell’ordinamento comunitario? Questo è, in sostanza, il punto controverso nella presente causa. Ai fini della sua soluzione si devono quindi precisare i rapporti tra le nozioni di cittadinanza di uno Stato membro e cittadinanza dell’Unione, questione, occorre sottolinearlo, che determina in larga misura la natura dell’Unione europea.

I –    Causa principale e questioni pregiudiziali

2.        Il ricorrente nella causa principale, il sig. Rottmann, è nato a Graz (Austria) nel 1956 e ha acquisito la cittadinanza austriaca per nascita sul territorio di tale Stato. Per effetto dell’adesione della Repubblica d’Austria all’Unione, avvenuta il 1° gennaio 1995, egli è inoltre diventato cittadino dell’Unione in quanto cittadino austriaco.

3.        In seguito a un’indagine avviata nei suoi confronti dalla polizia federale di Graz a causa del sospetto di truffa professionale aggravata, egli veniva sottoposto a interrogatorio come imputato, nel luglio 1995, dal Landesgericht für Strafsachen [Tribunale penale] di Graz. Successivamente lasciava l’Austria e stabiliva la propria residenza a Monaco di Baviera (Germania). Nel febbraio 1997 il Landesgericht für Strafsachen di Graz emetteva nei suoi confronti un mandato di arresto nazionale.

4.        Nel febbraio 1998 il ricorrente nella causa principale presentava una domanda di naturalizzazione in Germania presso la città di Monaco di Baviera. Nel modulo di presentazione che doveva compilare a tale scopo egli ometteva di indicare che era pendente a suo carico un procedimento penale in Austria. Il certificato di naturalizzazione del 25 gennaio 1999 veniva consegnato al richiedente il 5 febbraio 1999. A seguito dell’acquisto della cittadinanza tedesca il sig. Rottmann perdeva quella austriaca, conformemente alle norme austriache in materia di cittadinanza (2).

5.        Nell’agosto 1999 la città di Monaco di Baviera veniva informata dalle autorità austriache che il sig. Rottmann era oggetto di un mandato di arresto nel loro paese ed era già stato sottoposto a interrogatorio in qualità di imputato nel luglio 1995 dal Landesgericht für Strafsachen di Graz. Alla luce di tali informazioni il convenuto nella causa principale, il Land della Baviera, revocava la naturalizzazione con decisione del 4 luglio 2000, in quanto il ricorrente aveva taciuto il procedimento d’indagine pendente in Austria, ottenendo la cittadinanza tedesca con l’inganno. Le autorità tedesche fondavano tale provvedimento di revoca sull’art. 48, n. 1, della legge bavarese sul procedimento amministrativo (BayVwVfG), secondo cui «un atto amministrativo illegittimo, anche se divenuto inappellabile, può essere revocato in tutto o in parte con effetto ex nunc o ex tunc (…)».

6.        Il ricorrente proponeva un ricorso d’annullamento avverso tale decisione, facendo valere che la revoca della naturalizzazione lo avrebbe collocato, in violazione del diritto internazionale pubblico, in una situazione di apolidia e che lo status di apolide comportava a sua volta, in violazione del diritto comunitario, la perdita della cittadinanza dell’Unione. Poiché il suo ricorso veniva respinto in primo grado e in appello, il sig. Rottmann proponeva ricorso per cassazione («Revision») dinanzi al Bundesverwaltungsgericht.

7.        Nutrendo dubbi sulla compatibilità della decisione di revoca controversa e della sentenza d’appello con il diritto comunitario, in particolare con l’art. 17, n. 1, CE, in ragione della perdita della cittadinanza europea che normalmente accompagna la perdita della cittadinanza tedesca e della conseguente apolidia, il Bundesverwaltungsgericht ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il diritto comunitario osti alla conseguenza giuridica della perdita della cittadinanza dell’Unione (e dei diritti e delle libertà fondamentali ad essa associati), derivante dal fatto che la revoca, in sé legittima ai sensi del diritto nazionale (tedesco), di una naturalizzazione come cittadino di uno Stato membro (Germania) ottenuta con l’inganno produce l’effetto, in combinazione con la normativa nazionale sulla cittadinanza di un altro Stato membro (Austria), di rendere apolide l’interessato, come nella fattispecie è accaduto al ricorrente a seguito della mancata reviviscenza dell’originaria cittadinanza austriaca.

2)      Nel caso in cui la prima questione sia risolta in senso affermativo, se lo Stato membro (Germania) che ha naturalizzato il cittadino dell’Unione e che intende revocare la naturalizzazione ottenuta in modo fraudolento debba, nel rispetto del diritto comunitario, astenersi totalmente o temporaneamente da tale revoca, qualora o fintanto che quest’ultima abbia come giuridica conseguenza la perdita della cittadinanza dell’Unione (e dei diritti e delle libertà fondamentali ad essa associati), oppure se lo Stato membro (Austria) della precedente cittadinanza sia tenuto, nel rispetto del diritto comunitario, ad interpretare ed applicare o anche a modificare il proprio diritto nazionale in modo da evitare il prodursi della suddetta conseguenza».

II – Sulla ricevibilità del rinvio pregiudiziale

8.        Prima di cercare di rispondere alle questioni poste, si deve respingere l’obiezione sollevata da taluni Stati membri e dalla Commissione delle Comunità europee, a termini della quale la situazione in esame, avendo una dimensione puramente interna, non rientrerebbe nell’ambito di applicazione del diritto comunitario, per cui il rinvio pregiudiziale sarebbe irricevibile.

9.        È vero che la cittadinanza dell’Unione, benché costituisca lo «status fondamentale dei cittadini degli Stati membri» (3), non ha lo scopo di ampliare la sfera di applicazione ratione materiae del Trattato a situazioni nazionali che non abbiano alcun collegamento con il diritto comunitario (4). Essa non può quindi essere invocata in situazioni siffatte.

10.      Sarebbe tuttavia palesemente errato considerare, come sembra emergere dalle osservazioni di taluni Stati membri, che si tratti qui di una situazione puramente interna giacché la materia oggetto della controversia, nella specie l’acquisto e la perdita della cittadinanza, sarebbe disciplinata esclusivamente dal diritto nazionale. È sufficiente ricordare che, secondo la giurisprudenza, il fatto che le norme che disciplinano il cognome di una persona rientrino nella competenza degli Stati membri non le esclude necessariamente dall’ambito di applicazione del diritto comunitario (5). Certo, salvo ampliare la portata del Trattato, le disposizioni relative all’acquisto e alla perdita della cittadinanza nazionale non possono rientrare nell’ambito di applicazione del diritto comunitario solo perché possono determinare l’acquisto o la perdita della cittadinanza dell’Unione. Nondimeno, anche se una situazione è riconducibile a una materia rientrante nella competenza degli Stati membri, essa è compresa nell’ambito di applicazione ratione materiae del diritto comunitario allorché comporta un elemento di estraneità, vale a dire una dimensione transfrontaliera. Infatti, solo una situazione i cui elementi si collochino tutti all’interno di un unico Stato membro costituisce una situazione puramente interna (6).

11.      A tal riguardo non si può fondatamente contestare la presenza di un elemento di estraneità adducendo che, una volta ottenuta la cittadinanza tedesca, i rapporti giuridici con la Repubblica federale di Germania del ricorrente nella causa principale sarebbero divenuti quelli di un cittadino di tale Stato e che, in particolare, la revoca della naturalizzazione è un atto amministrativo tedesco rivolto a un cittadino tedesco residente in Germania. Ciò significherebbe ignorare l’origine della situazione del sig. Rottmann. Questi si è recato in Germania e ha ivi fissato la propria residenza nel 1995, per avviare una procedura di naturalizzazione, avvalendosi della libertà di circolazione e di soggiorno inerente alla cittadinanza dell’Unione di cui godeva in qualità di cittadino austriaco. Pertanto egli ha acquisito lo status di cittadino tedesco e ha perduto quello di cittadino austriaco conformemente alle condizioni fissate dal diritto nazionale solo a seguito dell’esercizio di una libertà fondamentale (7) conferitagli dal diritto comunitario. Orbene, secondo costante giurisprudenza, situazioni che riguardano l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, in particolare della libertà di circolare e di soggiornare sul territorio degli Stati membri, quale conferita dall’art. 18 CE, non possono essere considerate situazioni interne prive di nesso con il diritto comunitario (8).

12.      Si è quindi ritenuta inclusa nell’ambito di applicazione del diritto comunitario la situazione di un contribuente residente in Germania che, secondo la normativa tedesca, non poteva dedurre dal proprio reddito imponibile in tale Stato membro l’assegno alimentare versato all’ex moglie residente in Austria, mentre ne avrebbe avuto diritto se quest’ultima fosse stata ancora residente in Germania. Si è statuito in tal senso, benché il contribuente non si fosse avvalso egli stesso del diritto alla libera circolazione, in quanto l’esercizio da parte dell’ex moglie del diritto di circolare e soggiornare liberamente in un altro Stato membro, di cui essa era titolare in forza dell’art. 18 CE, influiva sulla possibilità per l’ex marito di dedurre dal proprio reddito imponibile in Germania l’assegno alimentare che le versava (9). Del pari, non è stato ritenuto costituire una situazione puramente interna il rifiuto delle autorità polacche di versare una pensione di invalidità per vittime civili di guerra a una loro cittadina, in quanto tale rifiuto veniva giustificato con il fatto che l’interessata aveva stabilito la propria residenza in Germania. Ciò vuol dire che l’esercizio del diritto di circolazione e soggiorno inerente alla sua cittadinanza dell’Unione aveva inciso sul diritto a ricevere la prestazione (10).

13.      È vero che, nella specie, il nesso tra la revoca della naturalizzazione controversa e la libertà fondamentale comunitaria è meno diretto: la revoca non dipende dall’esercizio di tale libertà, ma dalla frode commessa dal ricorrente nella causa principale. Ciò non toglie, però, che l’esercizio da parte del sig. Rottmann del diritto, in quanto cittadino dell’Unione, di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro abbia inciso sul cambiamento del suo status civile: proprio perché aveva trasferito la sua residenza in Germania egli ha potuto soddisfare le condizioni per acquisire la cittadinanza tedesca, vale a dire un soggiorno regolare stabile sul territorio. L’esistenza di un tale nesso è sufficiente per riconoscere il collegamento con il diritto comunitario. Ne è una dimostrazione il fatto che il diniego al cambiamento di patronimico sia stato collegato al diritto comunitario anche se era stato opposto dalle autorità belghe a minori nati e residenti da sempre in Belgio e in possesso della cittadinanza belga, in quanto questi erano anche cittadini spagnoli e a tal titolo potevano essere considerati cittadini di uno Stato membro legalmente soggiornanti sul territorio di un altro Stato membro. In ogni caso, l’opposizione al cambiamento di patronimico non era connessa alla libertà di circolazione inerente alla cittadinanza dell’Unione, ma si fondava sul fatto che tradizionalmente il diritto belga utilizzava solo il cognome del padre quale nome di famiglia dei minori (11).

III – Sulla disciplina nazionale delle questioni di cittadinanza «nel rispetto del diritto comunitario»

14.      Il rinvio pregiudiziale verte, in sostanza, sulla questione se il diritto comunitario limiti il potere degli Stati di disciplinare le questioni di cittadinanza qualora una persona, che era originariamente in possesso della cittadinanza di uno Stato membro e l’abbia perduta a seguito dell’acquisto per naturalizzazione della cittadinanza di un altro Stato membro, si veda revocare quest’ultima perché ottenuta in modo fraudolento e, conseguentemente, divenga apolide, perdendo la cittadinanza dell’Unione. In caso di soluzione affermativa, l’ordinamento giuridico che deve intervenire, alla luce del diritto comunitario, per evitare la conseguenza giuridica dell’apolidia, è quello della cittadinanza d’origine o quello della cittadinanza revocata?

15.      Gli interrogativi sollevati dal giudice a quo si fondano sulle seguenti considerazioni. La cittadinanza dell’Unione presenta un carattere derivato e complementare rispetto alla cittadinanza nazionale, come risulta dall’art. 17, n. 1, CE, secondo cui «[è] cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima» (12). Ne consegue l’assenza di modalità autonome di acquisto e di perdita della cittadinanza dell’Unione. L’acquisto e la perdita della cittadinanza dell’Unione dipendono dall’acquisto e dalla perdita della cittadinanza di uno Stato membro; la cittadinanza dell’Unione presuppone la cittadinanza di uno Stato membro.

16.      Tale rapporto tra i due status (la cittadinanza nazionale e quella dell’Unione) si spiega con la natura e il significato stessi della cittadinanza dell’Unione. Mentre la cittadinanza era tradizionalmente interpretata, insieme alla nazionalità, nel senso che indicava la condizione giuridica e politica di cui godono i cittadini di uno Stato all’interno della loro comunità politica, la cittadinanza europea rinvia allo status giuridico e politico riconosciuto ai cittadini di uno Stato al di là della loro comunità politica nazionale. Il carattere derivato della cittadinanza dell’Unione rispetto alla cittadinanza di uno Stato membro discende dalla sua interpretazione quale «cittadinanza interstatale» (13), che conferisce ai cittadini di uno Stato membro diritti negli altri Stati membri, sostanzialmente il diritto di circolazione e di soggiorno nonché il diritto alla parità di trattamento (14), anche nei confronti della stessa Unione. Logicamente, quindi, la cittadinanza di uno Stato fa di un individuo un cittadino sia di detto Stato che, simultaneamente, dell’Unione europea. Essa conferisce ai cittadini degli Stati membri una cittadinanza al di là dello Stato.

17.      In tale contesto si ritiene che la determinazione delle condizioni di acquisto e di perdita della cittadinanza nazionale, e quindi della cittadinanza dell’Unione, rientri nella competenza esclusiva degli Stati membri. È noto, infatti, che la cittadinanza può essere definita come il nesso giuridico di diritto pubblico che unisce un individuo a un determinato Stato, nesso che fa acquisire a tale individuo un insieme di diritti e obblighi. Tale rapporto di cittadinanza è caratterizzato dal fatto di fondarsi su un vincolo particolare di solidarietà nei confronti dello Stato di cui trattasi e sulla reciprocità di diritti e doveri (15). Con la cittadinanza lo Stato definisce il suo popolo. Ciò che è in discussione, attraverso il rapporto di cittadinanza, è la costituzione di una comunità nazionale e va quindi da sé che uno Stato membro può liberamente delinearne l’ambito stabilendo quali persone consideri propri cittadini.

18.      Così dispone tradizionalmente il diritto internazionale. Già la Corte permanente di giustizia internazionale aveva dichiarato che le questioni di cittadinanza rientrano, in linea di principio, nella competenza riservata degli Stati (16). La Corte internazionale di giustizia ha successivamente confermato che il diritto internazionale lascia a ciascuno Stato il compito di disciplinare l’attribuzione della propria cittadinanza e di conferirla mediante naturalizzazione concessa dai suoi organi conformemente alla legislazione nazionale (17). Infine, più recentemente, la Convenzione europea sulla nazionalità, adottata il 6 novembre 1997 dal Consiglio d’Europa ed entrata in vigore il 1° marzo 2000, ha ribadito, all’art. 3, n. 1, che spetta a ciascuno Stato stabilire con la propria legislazione chi siano i suoi cittadini.

19.      L’Unione non si discosta dalla soluzione adottata in diritto internazionale, che essa ritiene costituire un «principio di diritto consuetudinario internazionale» (18). Così hanno voluto gli Stati membri. Ciò risulta espressamente dalla dichiarazione n. 2, sulla cittadinanza di uno Stato membro, allegata dagli Stati membri all’atto finale del Trattato sull’Unione europea (19), e non si può validamente obiettare che le dichiarazioni allegate ai Trattati, a differenza dei protocolli, non ne condividono il valore giuridico. Infatti, la giurisprudenza comunitaria riconosce loro quanto meno una portata interpretativa (20). In proposito è sufficiente rammentare come sia stato stabilito che una dichiarazione unilaterale del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, con cui detto Stato precisava quali soggetti dovessero essere considerati suoi cittadini ai sensi del diritto comunitario, doveva essere presa in considerazione ai fini dell’interpretazione del Trattato e, più in particolare, al fine di determinare il campo di applicazione ratione personae di quest’ultimo (21). Analoga portata viene attribuita a fortiori a una dichiarazione proveniente dalla collettività degli Stati membri, quale appunto la dichiarazione n. 2 sulla cittadinanza di uno Stato membro. Del resto, nessuna disposizione di diritto primario né alcun atto di diritto derivato disciplinano il procedimento e le condizioni di acquisto e di perdita della cittadinanza di uno Stato membro o della cittadinanza dell’Unione. Infine, e soprattutto, una costante giurisprudenza conferma che, allo stato attuale del diritto comunitario, tale materia rientra nella competenza degli Stati membri (22). La Corte ne ha perciò dedotto che il Regno Unito aveva potuto liberamente stabilire, con due dichiarazioni successive allegate al Trattato di adesione, quali fossero le categorie di persone che dovevano essere considerate cittadini britannici ai sensi e ai fini dell’applicazione del diritto comunitario (23).

20.      È vero altresì che, se la situazione rientra nell’ambito di applicazione del diritto comunitario, l’esercizio da parte degli Stati membri dei poteri da essi conservati non può essere discrezionale. Tali poteri incontrano un limite nell’obbligo di rispettare le norme comunitarie. La giurisprudenza in tal senso è costante e nota. A titolo di esempio, si ricorderà solo che è stato dichiarato che le questioni concernenti le imposte dirette (24), il patronimico (25), le pensioni per vittime civili di guerra (26), ancorché rientranti nell’ambito della competenza nazionale, devono essere disciplinate dagli Stati membri nel rispetto del diritto comunitario. È logico che la soluzione non può essere diversa per quanto riguarda la disciplina delle condizioni di acquisto e di perdita della cittadinanza nazionale. La Corte ha già avuto modo di precisare, nella causa Micheletti e a., che la competenza degli Stati in tale materia «deve», anch’essa, «essere esercitata nel rispetto del diritto comunitario» (27).

21.      Tuttavia, per ora la Corte non ha ancora sufficientemente precisato la portata di tale riserva. Ne ha semplicemente dedotto il principio secondo cui uno Stato membro non deve limitare gli effetti dell’attribuzione della cittadinanza di un altro Stato membro pretendendo un requisito ulteriore per il riconoscimento di tale cittadinanza al fine dell’esercizio di una libertà fondamentale prevista dal Trattato (28).

22.      Ma qual è la portata di tale obbligo di rispetto del diritto comunitario in relazione alla perdita della cittadinanza europea del ricorrente nella causa principale, posto che essa consegue alla revoca della naturalizzazione tedesca acquisita con l’inganno e alla mancata reviviscenza della cittadinanza austriaca ottenuta legalmente per nascita? In altre parole, cosa si deve dedurre dal suddetto obbligo in relazione alla normativa di uno Stato membro che riguarda unicamente la cittadinanza di tale Stato e non quella di un altro Stato membro, in particolare allorché l’applicazione di tale normativa comporta la perdita dello status fondamentale di cittadino dell’Unione legalmente acquisita in quanto cittadino di un primo Stato membro?

23.      Qualsiasi tentativo di rispondere presuppone l’esatta comprensione dei rapporti tra la cittadinanza di uno Stato membro e quella dell’Unione. Si tratta di due nozioni allo stesso tempo inestricabilmente connesse e autonome (29). La cittadinanza dell’Unione presuppone la cittadinanza di uno Stato membro, ma è anche una nozione giuridica e politica autonoma rispetto a quella di cittadinanza nazionale. La cittadinanza di uno Stato membro non consente solo l’accesso al godimento dei diritti conferiti dal diritto comunitario, essa ci rende cittadini dell’Unione. La cittadinanza europea costituisce inoltre qualcosa in più di un insieme di diritti che, di per sé, potrebbero essere concessi anche a coloro che non la possiedono. Essa presuppone l’esistenza di un collegamento di natura politica tra i cittadini europei, anche se non si tratta di un rapporto di appartenenza ad un popolo. Tale nesso politico unisce, al contrario, i popoli dell’Europa. Esso si fonda sul loro impegno reciproco ad aprire le rispettive comunità politiche agli altri cittadini europei e a costruire una nuova forma di solidarietà civica e politica su scala europea. Il nesso in questione non presuppone l’esistenza di un unico popolo, ma di uno spazio politico europeo, dal quale scaturiscono diritti e doveri. Poiché non implica l’esistenza di un popolo europeo, la cittadinanza dell’Unione è concettualmente scissa dalla cittadinanza nazionale. Come ha osservato un autore, il carattere radicalmente innovativo della nozione di cittadinanza europea risiede nel fatto che «l’Unione appartiene a, è composta da, cittadini che per definizione non condividono la stessa nazionalità» (30). Al contrario, facendo della cittadinanza di uno Stato membro una condizione per essere un cittadino europeo, gli Stati membri hanno voluto sottolineare che questa nuova forma di cittadinanza non rimette in discussione l’appartenenza primaria alle nostre comunità politiche nazionali. Pertanto, tale nesso con la cittadinanza dei diversi Stati membri costituisce un riconoscimento del fatto che può esistere (e di fatto esiste) una cittadinanza che non è determinata dalla nazionalità. È questo il miracolo della cittadinanza dell’Unione: essa rafforza i legami che ci uniscono ai nostri Stati (dato che siamo cittadini europei proprio in quanto siamo cittadini dei nostri Stati) e, al contempo, ci emancipa (dato che ora siamo cittadini al di là dei nostri Stati). L’accesso alla cittadinanza europea passa attraverso la cittadinanza di uno Stato membro, che è disciplinata dal diritto nazionale, ma, come qualsiasi forma di cittadinanza, costituisce il fondamento di un nuovo spazio politico, dal quale scaturiscono diritti e doveri che vengono fissati dal diritto comunitario e non dipendono dallo Stato. Ciò, a sua volta, legittima l’autonomia e l’autorità dell’ordinamento giuridico comunitario. Pertanto, se è vero che la cittadinanza di uno Stato membro condiziona l’accesso alla cittadinanza dell’Unione, è altrettanto vero che l’insieme dei diritti e degli obblighi inerenti a quest’ultima non può essere limitato ingiustificatamente dalla prima. In altre parole, l’acquisto e la perdita della cittadinanza nazionale (e, quindi, della cittadinanza dell’Unione) di per sé non sono disciplinati dal diritto comunitario, ma le condizioni di acquisto e di perdita di tale cittadinanza devono essere compatibili con le norme comunitarie e rispettare i diritti del cittadino europeo.

24.      Tuttavia, non se ne può legittimamente dedurre l’impossibilità assoluta di revocare la cittadinanza nel caso in cui detta revoca comporti la perdita della cittadinanza dell’Unione. Ciò equivarrebbe a negare la competenza degli Stati membri a disciplinare le condizioni relative alla loro cittadinanza ed inciderebbe, quindi, sulla sostanza stessa dell’autonomia degli Stati membri in tale materia, in violazione dell’art. 17, n. 1, CE. Si perverrebbe infatti al paradosso che l’accessorio determina il principale: il mantenimento della cittadinanza dell’Unione consentirebbe di esigere il mantenimento della cittadinanza di uno Stato membro.

25.      Tale soluzione contravverrebbe inoltre al dovere, imposto all’Unione dall’art. 6, n. 3, UE, di rispettare l’identità nazionale degli Stati membri, di cui la composizione della comunità nazionale costituisce, chiaramente, un elemento essenziale.

26.      D’altro canto, non si può fondatamente sostenere, al pari di taluni Stati membri, che solo l’esercizio dei diritti derivanti dalla cittadinanza dell’Unione conferita dal possesso della cittadinanza di uno Stato membro ricade sotto il controllo del diritto comunitario, e non le condizioni di acquisto e di perdita della cittadinanza di uno Stato membro in quanto tali. Poiché il possesso della cittadinanza di uno Stato membro determina il possesso della cittadinanza dell’Unione e, pertanto, il godimento dei diritti e delle libertà ad essa espressamente ricollegate dal Trattato, nonché il beneficio di prestazioni sociali che essa consente di pretendere (31), non si può negare qualsiasi portata all’obbligo di rispetto del diritto comunitario da parte degli Stati membri nell’esercizio della loro competenza in materia di cittadinanza. Detto obbligo non può quindi non limitare l’atto interno di revoca della cittadinanza nazionale, dato che tale revoca determina la perdita della cittadinanza dell’Unione, pena ledere la competenza dell’Unione a stabilire i diritti e doveri dei suoi cittadini.

27.      La dottrina è di quest’avviso (32). Indizi giurisprudenziali lasciano già intendere che la cittadinanza dev’essere disciplinata dagli Stati membri nel rispetto del diritto comunitario. Per esempio, la Corte ha rifiutato di tenere conto, ai fini dell’applicazione dello statuto dei funzionari, della naturalizzazione italiana di una dipendente di nazionalità belga, in quanto tale naturalizzazione le era stata imposta ai sensi del diritto italiano, senza possibilità di rinunciarvi, in ragione del matrimonio con un italiano, in violazione del principio comunitario della parità di trattamento tra dipendenti di sesso maschile e dipendenti di sesso femminile (33).

28.      Sarebbe inoltre errato ritenere che, in ragione delle particolarità della disciplina della cittadinanza, all’esercizio della competenza nazionale in questa materia si possano opporre solo talune norme comunitarie, essenzialmente i principi generali del diritto e i diritti fondamentali. Teoricamente non importa quale norma dell’ordinamento giuridico comunitario possa essere invocata, se le condizioni di acquisto e di perdita della cittadinanza fissati da uno Stato membro entrano in conflitto con essa.

29.      In particolare, è indubbio che gli Stati membri devono rispettare il diritto internazionale. L’obbligo per gli Stati che adottano provvedimenti in materia di cittadinanza di conformarsi al diritto internazionale costituisce, infatti, una regola generalmente ammessa, codificata all’art. 1 della Convenzione dell’Aia del 12 aprile 1930, concernente determinate questioni relative ai conflitti di leggi in materia di cittadinanza (34). Orbene, le norme di diritto internazionale e le consuetudini internazionali costituiscono norme cui la Comunità europea è soggetta e che fanno parte dell’ordinamento giuridico comunitario (35). Ciò vale, quindi, anche per la norma che impone agli Stati di rispettare il diritto internazionale allorché adottano provvedimenti in materia di cittadinanza. Tuttavia, non si vede quale norma di diritto internazionale sarebbe stata violata nella specie dalla revoca della naturalizzazione del sig. Rottmann. È vero che sia la Convenzione sulla riduzione dei casi di apolidia del 30 agosto 1961 sia la Convenzione europea sulla nazionalità adottata il 6 novembre 1997 dal Consiglio d’Europa, ammesso che possano essere considerate espressione di regole generali di diritto internazionale, atteso che non tutti gli Stati membri dell’Unione le hanno ratificate, tendono a stabilire il principio secondo cui l’apolidia deve essere evitata. Nondimeno, esse autorizzano gli Stati, in via di eccezione, a revocare a un individuo la cittadinanza, anche nel caso in cui tale revoca ne comporti l’apolidia, quando essa sia stata acquisita, come nella causa principale, con operazioni fraudolente o false informazioni (36).

30.      Fra le norme atte a limitare il potere legislativo degli Stati membri in materia di cittadinanza rientrano anche le norme di diritto comunitario primario e i principi generali di diritto comunitario. Per tale motivo la dottrina (37) e la Repubblica ellenica nelle sue osservazioni hanno fatto riferimento al principio comunitario di leale cooperazione sancito dall’art. 10 CE, che potrebbe essere leso qualora uno Stato membro procedesse, senza consultare la Commissione e i propri partner, a un’ingiustificata naturalizzazione in massa di cittadini di paesi terzi.

31.      Per quanto riguarda la revoca della naturalizzazione in discussione nel caso di specie, le si potrebbe opporre il principio di tutela del legittimo affidamento nel mantenimento dello status di cittadino dell’Unione. Tuttavia, in mancanza di un affidamento meritevole di tutela in capo all’interessato, che ha fornito informazioni false o ha commesso atti fraudolenti ottenendo quindi illegalmente la cittadinanza tedesca, non si vede come tale norma sarebbe stata violata. Tanto più che, come si è già osservato, il diritto internazionale ammette la perdita della cittadinanza nazionale in caso di frode e la cittadinanza dell’Unione è legata al possesso della cittadinanza di uno Stato membro.

32.      La revoca della naturalizzazione controversa potrebbe, in particolare, risultare in contrasto anche con le disposizioni del Trattato relative alla cittadinanza dell’Unione nonché con i diritti e le libertà ad essa inerenti. Le norme nazionali in materia di cittadinanza non possono, infatti, limitare ingiustificatamente il godimento e l’esercizio dei diritti e delle libertà che costituiscono lo status di cittadino dell’Unione. Così sostiene la dottrina (38). Anche la giurisprudenza sembra già orientata in tal senso. Si deve menzionare in particolare la giustificazione della soluzione dedotta, nella causa Micheletti e a., dall’obbligo di rispetto del diritto comunitario: il divieto imposto a uno Stato membro di stabilire, in vista dell’esercizio di una libertà fondamentale prevista dal Trattato, una condizione supplementare per il riconoscimento della cittadinanza attribuita da un altro Stato membro è scaturito non solo dalla preoccupazione di difendere la competenza di uno Stato membro a determinare la qualità di cittadino nazionale, ma anche dalla necessità di evitare qualsiasi variazione dell’ambito di applicazione ratione personae delle libertà fondamentali comunitarie da uno Stato all’altro, secondo le norme stabilite da questi ultimi in materia di cittadinanza (39). Infatti, una norma nazionale che prevedesse la perdita della cittadinanza in caso di trasferimento della residenza in un altro Stato membro costituirebbe indubbiamente una violazione del diritto di circolazione e di soggiorno conferito ai cittadini dell’Unione dall’art. 18 CE (40).

33.      Nella specie, la revoca della cittadinanza non si ricollega all’esercizio dei diritti e delle libertà derivanti dal Trattato e la condizione stabilita dalla Repubblica federale di Germania, che ha determinato la perdita della cittadinanza, non è contraria ad altre norme comunitarie. Mi sembra, invece, che il fatto che uno Stato revochi la cittadinanza ottenuta con l’inganno risponda a un interesse legittimo, ossia accertare la lealtà dei propri cittadini. Infatti, dimostrare lealtà nei confronti dello Stato di appartenenza è uno dei doveri basilari di un cittadino, un dovere che nasce al momento dell’acquisto della cittadinanza. Orbene, un individuo che, durante il processo di acquisizione della cittadinanza, fornisca intenzionalmente informazioni false non può essere considerato leale nei confronti dello Stato che ha scelto. È questo, peraltro, il motivo per cui il diritto internazionale non vieta in tale ipotesi la perdita della cittadinanza, neppure laddove essa comporti l’apolidia.

34.      Per quanto riguarda, infine, la reviviscenza della cittadinanza austriaca, il diritto comunitario non impone alcun obbligo di questo tipo, anche se, senza di essa, il ricorrente nella causa principale rimane apolide e, pertanto, privo della cittadinanza dell’Unione. Decidere diversamente equivarrebbe ad ignorare che la perdita della cittadinanza austriaca è conseguenza della decisione personale del cittadino dell’Unione di acquisire intenzionalmente una cittadinanza diversa (41) e che il diritto comunitario non osta alla normativa austriaca secondo cui un austriaco perde la propria cittadinanza allorché acquista, su propria domanda, una cittadinanza straniera (42). Certo, si potrebbe ritenere, essendo la revoca della naturalizzazione tedesca retroattiva, che il sig. Rottmann non abbia mai posseduto la cittadinanza tedesca, per cui l’evento che ha determinato la perdita della cittadinanza austriaca non avrebbe mai avuto luogo. Di conseguenza, egli avrebbe diritto alla reviviscenza automatica della cittadinanza austriaca. Ma questo è un ragionamento la cui applicazione dipende dal diritto austriaco. Nessuna norma comunitaria lo può imporre. La situazione sarebbe diversa solo se il diritto austriaco contemplasse già una soluzione analoga in casi simili, giacché tale soluzione andrebbe applicata in forza del principio comunitario di equivalenza.

IV – Conclusione

35.      Alla luce delle suesposte considerazioni le questioni sollevate dal Bundesverwaltungsgericht devono essere risolte nel modo seguente:

«1)      Il diritto comunitario non osta alla perdita della cittadinanza dell’Unione europea (e dei diritti e delle libertà fondamentali ad essa associati) a seguito della revoca di una naturalizzazione come cittadino di uno Stato membro, che conduce ad una situazione di apolidia dell’interessato per mancata reviviscenza della sua cittadinanza originaria in ragione di disposizioni normative dell’altro Stato membro, qualora detta revoca non dipenda dall’esercizio dei diritti e delle libertà derivanti dal Trattato e non si fondi su altri motivi vietati dal diritto comunitario.

2)      Il diritto comunitario non impone la reviviscenza della cittadinanza originaria».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Ai sensi dell’art. 27, n. 1, della legge federale austriaca sulla cittadinanza (Staatsbürgerschaftsgesetz; BGBl 1985, pag. 311), «[c]hiunque acquisti, su propria domanda, in ragione di una dichiarazione o del proprio consenso espresso, una cittadinanza straniera perde la cittadinanza austriaca, se non gli è stato espressamente accordato il diritto di mantenerla».


3 – Sentenze 20 settembre 2001, causa C‑184/99, Grzelczyk (Racc. pag. I‑6193, punto 31), e 11 settembre 2007, causa C‑76/05, Schwarz e Gootjes‑Schwarz (Racc. pag. I‑6849, punto 86).


4 – V. sentenze 5 giugno 1997, cause riunite C‑64/96 e C‑65/96, Uecker e Jacquet (Racc. pag. I‑3171, punto 23); 2 ottobre 2003, causa C‑148/02, Garcia Avello (Racc. pag. I‑11613, punto 26); 12 luglio 2005, causa C‑403/03, Schempp (Racc. pag. I‑6421, punto 20); 26 ottobre 2006, causa C‑192/05, Tas‑Hagen e Tas (Racc. pag. I‑10451, punto 23); 1° aprile 2008, causa C‑212/06, Gouvernement de la Communauté française e Gouvernement wallon (Racc. pag. I‑1683, punto 39), e 22 maggio 2008, causa C‑499/06, Nerkowska (Racc. pag. I‑3993, punto 25).


5 – V. sentenza Garcia Avello, cit. (punti 20‑29).


6 – V. sentenze 16 gennaio 1997, causa C‑134/95, USSL n. 47 di Biella (Racc. pag. I‑195, punto 23); 11 ottobre 2001, cause riunite da C‑95/99 a C‑98/99 e C‑180/99, Khalil e a. (Racc. pag. I‑7413, punto 69), e 25 luglio 2008, causa C‑127/08, Metock e a. (Racc. pag. I‑6421, punto 77).


7 – Come l’ha espressamente definita la Corte (v. sentenza 11 luglio 2002, causa C‑224/98, D’Hoop, Racc. pag. I‑6191, punto 29).


8 – V. sentenze Garcia Avello, cit. (punto 24); Schwarz e Gootjes‑Schwarz, cit. (punto 87); 5 marzo 2005, causa C‑209/03, Bidar (Racc. pag. I‑2119, punto 33); Schempp, cit. (punti 17 e 18), e Nerkowska, cit. (punti 26‑29).


9 – V. sentenza Schempp, cit. (punti 13‑25).


10 – V. sentenza Nerkowska, cit. (punti 20‑29).


11 – V. sentenza Garcia Avello, cit. (punti 20‑39).


12 – La seconda frase dell’art. 17 CE è stata aggiunta dal Trattato di Amsterdam.


13 – V., su questo punto, l’analisi di C. Schönberger, «European Citizenship as Federal Citizenship. Some Citizenship Lessons of Comparative Federalism», REDP, vol. 19, n. 1, 2007, pag. 61; dello stesso autore, Unionsbürger: Europasföderales Bürgerrecht in vergleichender Sicht, Tubinga, 2005.


14 – V., su questo punto, la sintesi di A. Iliopoulou, Libre circulation et non‑discrimination, éléments du statut de citoyen de l’Union européenne, ed. Bruylant 2008.


15 – Lo ha rilevato la stessa Corte (v. sentenza 17 dicembre 1980, causa 149/79, Commissione/Belgio, Racc. pag. 3881, punto 10). Già la Corte internazionale di giustizia aveva dichiarato, nella sentenza 6 aprile 1955, causa Nottebohm (seconda fase) (Racc. pagg. 4 e segg., in particolare pag. 23), che «la cittadinanza è un rapporto giuridico avente alla base un fatto sociale di collegamento, una solidarietà effettiva di esistenza, di interessi e di sentimenti unita a una reciprocità di diritti e doveri».


16 – V. parere del 7 febbraio 1923 sui decreti di cittadinanza promulgati in Tunisia e Marocco, serie B n. 4 (1923), in particolare pag. 24.


17 – V. sentenza Nottebohm (seconda fase), cit., in particolare pagg. 20 e 23.


18 – V. sentenza 20 febbraio 2001, causa C‑192/99, Kaur (Racc. pag. I‑1237, punto 20).


19 – Che così recita: «La Conferenza dichiara che, ogniqualvolta nel trattato che istituisce la Comunità europea si fa riferimento a cittadini degli Stati membri, la questione se una persona abbia la nazionalità di questo o quello Stato membro sarà definita soltanto in riferimento al diritto nazionale dello Stato membro interessato. Gli Stati membri possono precisare, a titolo di informazione, quali sono le persone che devono essere considerate come propri cittadini ai fini perseguiti dalla Comunità mediante una dichiarazione presentata alla Presidenza; se necessario, essi possono modificare tale dichiarazione» (GU 1992, C 191, pag. 98).


20 – Sulla portata giuridica di tali dichiarazioni, v. le mie conclusioni relative alla sentenza 18 dicembre 2007, causa C‑64/05 P, Svezia/Commissione (Racc. pag. I‑11389, paragrafo 34).


21 – V. sentenza Kaur, cit. (punto 24).


22 – V. sentenze 7 luglio 1992, causa C‑369/90, Micheletti e a. (Racc. pag. I‑4239, punto 10); 11 novembre 1999, causa C‑179/98, Mesbah (Racc. pag. I‑7955, punto 29), e Kaur, cit. (punto 19).


23 – V. sentenza Kaur, cit.


24 – V. sentenza 13 dicembre 2005, causa C‑446/03, Marks & Spencer (Racc. pag. I‑10837, punto 29).


25 – V. sentenza Garcia Avello, cit. (punto 25).


26 – V. citate sentenze Tas‑Hagen e Tas (punti 21 e 22) e Nerkowska (punto 23).


27 – Sentenza Micheletti e a., cit. (punto 10). Per una conferma v., inoltre, citate sentenze Mesbah (punto 29) e Kaur (punto 19).


28 – V. sentenza Micheletti e a., cit. Si ricorderà che, in detta causa, il Regno di Spagna negava il beneficio della libertà di stabilimento a un cittadino italiano che possedeva anche la nazionalità argentina, in quanto la legislazione spagnola lo considerava cittadino dell’Argentina, paese in cui egli aveva la dimora abituale. V. anche sentenze Garcia Avello, cit. (punto 28), e 19 ottobre 2004, causa C‑200/02, Zhu e Chen (Racc. pag. I‑9925, punto 39).


29 – Per un’analisi approfondita dei collegamenti e delle differenze fra cittadinanza nazionale e cittadinanza dell’Unione, v. C. Closa, «Citizenship of the Union and Nationality of the Member States», CMLRev, 1995, pag. 487.


30 – J. Weiler, The Constitution of Europe, Cambridge University Press, 1999, pag. 344.


31 – V., in particolare, sentenze D’Hoop, cit.; 23 marzo 2004, causa C‑138/02, Collins (Racc. pag. I‑2703); 7 settembre 2004, causa C‑456/02, Trojani (Racc. pag. I‑7573); Bidar, cit., e 18 novembre 2008, causa C‑158/07, Förster (Racc. pag. I-8507).


32 – In tal senso v., in particolare, S. Hall, «Loss of Union Citizenship in Breach of fundamental Rights», ELR, 1996, pag. 129; N. Kotalakidis, Von der nationalen Staatsangehörigkeit zur Unionsbürgerschaft: die Person und das Gemeinwesen, Nomos Verlagsgesellschaft, Baden‑Baden, 2000, in particolare pagg. 305‑316.


33 – V. sentenza 20 febbraio 1975, causa 21/74, Airola/Commissione (Racc. pag. 221).


34 – Tale disposizione enuncia, infatti, quanto segue: «Spetta a ciascuno Stato stabilire con le proprie leggi quali siano i suoi cittadini. Tali leggi devono essere ammesse dagli altri Stati, sempreché siano conformi alle convenzioni internazionali, alle consuetudini internazionali e ai principi di diritto generalmente riconosciuti in materia di nazionalità» (Recueil des Traités de la Société des Nations, vol. 179, pag. 89).


35 – V., in particolare, sentenze 24 novembre 1992, causa C‑286/90, Poulsen e Diva Navigation (Racc. pag. I‑6019, punti 9 e 10), e 16 giugno 1998, causa C‑162/96, Racke (Racc. pag. I‑3655, punti 45 e 46).


36 – V., rispettivamente, art. 8, n. 2, lett. b), della Convenzione sulla riduzione dei casi di apolidia e art. 7, n. 1, lett. b), della Convenzione europea sulla nazionalità.


37 – V. G.R. de Groot, «The relationship between nationality legislation of the Member States of the European Union and European citizenship», in M. La Torre (ed.), European citizenship: an institutional challenge, Kluwer Law International 1998, pagg. 115 e segg., in particolare pagg. 123 e 128‑135; A. Zimmermann, «Europaïsches Gemeinschaftsrecht und Staatsangehörigkeitsrecht der Mitgliedstaaten unter besonderer Berücksichtigung der Probleme mehrfacher Staatsangehörigkeit», EuR, 1995, n. ½, pagg. 54 e segg., in particolare pagg. 62‑63.


38 – V. G.R. de Groot, op. cit., in particolare pagg. 136‑146.


39 – V. sentenza Micheletti e a., cit. (punti 10‑12).


40 – Per altri esempi, v. G.R. de Groot, loc. cit.


41 – Inoltre, una decisione diversa equivarrebbe in un certo senso a considerare che il nesso originario di cittadinanza non sia interamente venuto meno con l’acquisto della cittadinanza tedesca. Se così non fosse, sarebbe difficile comprendere per quale motivo, con il pretesto di evitare l’apolidia e la conseguente perdita della cittadinanza dell’Unione, la Repubblica d’Austria sarebbe l’unico Stato membro al quale incombano obblighi in relazione al recupero della cittadinanza di uno Stato membro da parte del ricorrente nella causa principale.


42 – Si può ipotizzare che, in futuro, gli Stati membri decidano che l’acquisto della cittadinanza di uno Stato membro non possa mai comportare la perdita della cittadinanza di un altro Stato membro. A mio parere, tuttavia, tale obbligo non è deducibile dai Trattati vigenti; v., per i motivi che giustificherebbero tale iniziativa degli Stati membri, la relazione di D. Kochenov, A Glance at State Nationality/EU Citizenship Interaction (Using the Requirement to Renounce One’s Community Nationality upon Naturalising in the Member State of Residence as a Pretext), tenuta all’11a Conferenza biennale EUSA, aprile 2009, Los Angeles CA, in corso di pubblicazione.