SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

12 aprile 2018 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Diritto al ricongiungimento familiare – Direttiva 2003/86/CE – Articolo 2, parte iniziale e lettera f) – Nozione di “minore non accompagnato” – Articolo 10, paragrafo 3, lettera a) – Diritto di un rifugiato al ricongiungimento familiare con i suoi genitori – Rifugiato di età inferiore ai diciotto anni al momento del suo ingresso nel territorio dello Stato membro e del deposito della sua domanda di asilo, ma maggiorenne al momento in cui è adottata la decisione con la quale gli viene concesso l’asilo e in cui presenta la sua domanda di ricongiungimento familiare – Data determinante per valutare lo status di “minore” dell’interessato»

Nella causa C‑550/16,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia, Paesi Bassi), con decisione del 26 ottobre 2016, pervenuta in cancelleria il 31 ottobre 2016, nel procedimento

A,

S

contro

Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da M. Ilešič (relatore), presidente di sezione, A. Rosas, C. Toader, A. Prechal ed E. Jarašiūnas, giudici,

avvocato generale: Y. Bot

cancelliere: M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 14 settembre 2017,

considerate le osservazioni presentate:

–        per A e S, da N.C. Blomjous e S. Wierink, advocaten;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman, M.A.M. de Ree e M.H.S. Gijzen, in qualità di agenti;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da C. Cattabriga e G. Wils, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 ottobre 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, A e S, cittadini eritrei, e, dall’altro, lo staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (Segretario di Stato alla Sicurezza e alla Giustizia, Paesi Bassi) (in prosieguo: il «Segretario di Stato»), in merito al rifiuto di quest’ultimo di accordare ad A e S nonché ai loro tre figli minorenni un’autorizzazione di soggiorno temporanea a fini di ricongiungimento familiare con la loro figlia maggiore.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

 Direttiva 2003/86

3        La direttiva 2003/86 fissa le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri.

4        I considerando 2, 4, 6 e da 8 e 10 della direttiva 2003/86 sono così formulati:

«(2)      Le misure in materia di ricongiungimento familiare dovrebbero essere adottate in conformità con l’obbligo di protezione della famiglia e di rispetto della vita familiare che è consacrato in numerosi strumenti di diritto internazionale. La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali ed i principi riconosciuti in particolare nell’articolo 8 della [convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950] e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

(…)

(4)      Il ricongiungimento familiare è uno strumento necessario per permettere la vita familiare. Esso contribuisce a creare una stabilità socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri, permettendo d’altra parte di promuovere la coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità, enunciato nel trattato.

(…)

(6)      Al fine di assicurare la protezione della famiglia ed il mantenimento o la creazione della vita familiare è opportuno fissare, sulla base di criteri comuni, le condizioni materiali per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.

(…)

(8)      La situazione dei rifugiati richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare. In considerazione di ciò, occorre prevedere condizioni più favorevoli per l’esercizio del loro diritto al ricongiungimento familiare.

(9)      Il ricongiungimento familiare dovrebbe riguardare in ogni caso i membri della famiglia nucleare, cioè il coniuge e i figli minorenni.

(10)      Dipende dagli Stati membri decidere se autorizzare la riunificazione familiare per parenti in linea diretta ascendente, figli maggiorenni non coniugati, (…)».

5        L’articolo 2 della direttiva 2003/86 così dispone:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

a)      “cittadino di un paese terzo”: chiunque non sia cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del trattato;

b)      “rifugiato”: il cittadino di un paese terzo o l’apolide cui sia riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 28 luglio 1951, modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967;

c)      “soggiornante”: il cittadino di un paese terzo legalmente soggiornante in uno Stato membro che chiede o i cui familiari chiedono il ricongiungimento familiare;

d)      “ricongiungimento familiare”: l’ingresso e il soggiorno in uno Stato membro dei familiari di un cittadino di un paese terzo che soggiorna legalmente in tale Stato membro, al fine di conservare l’unità familiare, indipendentemente dal fatto che il legame familiare sia anteriore;

(…)

f)      “minore non accompagnato”: il cittadino di paesi terzi o l’apolide d’età inferiore ai diciotto anni che giunga nel territorio dello Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile in base alla legge o agli usi, fino a quando non sia effettivamente affidato ad un tale adulto, o il minore che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri».

6        L’articolo 3 della direttiva 2003/86 prevede quanto segue:

«1.      La presente direttiva si applica quando il soggiornante è titolare di un permesso di soggiorno rilasciato da tale Stato membro per un periodo di validità pari o superiore a un anno, e ha una fondata prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile, se i membri della sua famiglia sono cittadini di paesi terzi, indipendentemente dal loro status giuridico.

2.      La presente direttiva non si applica quando il soggiornante:

a)      chiede il riconoscimento dello status di rifugiato e la sua domanda non è ancora stata oggetto di una decisione definitiva;

b)      è autorizzato a soggiornare in uno Stato membro in virtù di una protezione temporanea o ha chiesto l’autorizzazione a soggiornare per questo stesso motivo ed è in attesa di una decisione sul suo status;

c)      è autorizzato a soggiornare in uno Stato membro in virtù di forme sussidiarie di protezione, conformemente agli obblighi internazionali, alle legislazioni nazionali o alle prassi degli Stati membri, o abbia richiesto l’autorizzazione a soggiornare per lo stesso motivo ed è in attesa di una decisione sul suo status.

(…)

5.      La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di adottare o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli».

7        L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 dispone quanto segue:

«In virtù della presente direttiva e fatto salvo il rispetto delle condizioni stabilite al capo IV, gli Stati membri possono, per via legislativa o regolamentare, autorizzare l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:

a)      gli ascendenti diretti di primo grado del soggiornante o del suo coniuge, quando sono a carico di questi ultimi e non dispongono di un adeguato sostegno familiare nel paese d’origine;

(…)».

8        L’articolo 5 della direttiva 2003/86 così recita:

«1.      Gli Stati membri determinano se, per esercitare il diritto al ricongiungimento familiare, la domanda di ingresso e di soggiorno debba essere presentata alle autorità competenti dello Stato membro interessato dal soggiornante o dal familiare o dai familiari.

(…)

4.      Non appena possibile e comunque entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda le autorità competenti dello Stato membro comunicano per iscritto alla persona che ha presentato la domanda la loro decisione.

In circostanze eccezionali dovute alla complessità della domanda da esaminare, il termine di cui al comma precedente può essere prorogato.

La decisione di rifiuto della domanda è debitamente motivata. Eventuali conseguenze della mancata decisione allo scadere del termine di cui al primo comma sono disciplinate dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato.

5.      Nell’esame della domanda, gli Stati membri tengono nella dovuta considerazione l’interesse superiore dei minori».

9        L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/86 prevede che gli Stati membri possono chiedere alla persona che presenta la domanda di ricongiungimento familiare di dimostrare che il soggiornante dispone di un alloggio, di un’assicurazione contro le malattie e di risorse che soddisfino i requisiti elencati dalla suddetta disposizione.

10      Il capo V della direttiva 2003/86, intitolato «Ricongiungimento familiare dei rifugiati», contiene gli articoli da 9 a 12. L’articolo 9, paragrafi 1 e 2, della direttiva in parola stabilisce quanto segue:

«1.      Le disposizioni del presente capo si applicano al ricongiungimento familiare dei rifugiati riconosciuti dagli Stati membri.

2.      Gli Stati membri possono limitare l’applicazione delle disposizioni del presente capo ai rifugiati i cui vincoli familiari siano anteriori al loro ingresso».

11      L’articolo 10 della direttiva 2003/86 così recita:

«1.      L’articolo 4 si applica alla definizione di familiari con l’eccezione del terzo comma del paragrafo 1 di tale articolo che non si applica ai figli dei rifugiati.

2.      Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento di altri familiari non previsti all’articolo 4, qualora essi siano a carico del rifugiato.

3.      Se il rifugiato è un minore non accompagnato, gli Stati membri:

a)      autorizzano l’ingresso e il soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare degli ascendenti diretti di primo grado, senza applicare le condizioni previste all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a);

b)      possono autorizzare l’ingresso e il soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare del suo tutore legale o di altro familiare, quando il rifugiato non abbia ascendenti diretti o sia impossibile rintracciarli».

12      L’articolo 11 della direttiva 2003/86 è così formulato:

«1.      Per quanto concerne la presentazione e l’esame delle domande si applicano le disposizioni dell’articolo 5, fatto salvo il paragrafo 2 del presente articolo.

2.      Qualora un rifugiato non possa fornire documenti ufficiali che provino i suoi vincoli familiari, gli Stati membri tengono conto anche di altri mezzi idonei a provare l’esistenza di tali vincoli, da valutare conformemente alla legislazione nazionale. Il rigetto della domanda non può essere motivato unicamente dall’assenza di documenti probatori».

13      L’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2003/86 dispone quanto segue:

«In deroga all’articolo 7, gli Stati membri non chiedono al rifugiato, ad un suo familiare o ai suoi familiari di fornire, in merito alle domande relative ai familiari di cui all’articolo 4, paragrafo 1, la prova che il rifugiato soddisfa le condizioni stabilite nell’articolo 7.

Fatti salvi gli obblighi internazionali, se il ricongiungimento familiare è possibile in un paese terzo con il quale il soggiornante/familiare ha legami particolari, gli Stati membri possono chiedere la prova di cui al primo comma.

Gli Stati membri possono chiedere che il rifugiato soddisfi le condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, se la domanda di ricongiungimento familiare non è presentata entro tre mesi dalla concessione dello status di rifugiato».

 Direttiva 2011/95/UE

14      Ai sensi dei considerando 18, 19 e 21 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9):

«(18)      Nell’applicare la presente direttiva gli Stati membri dovrebbero attribuire fondamentale importanza all’“interesse superiore del minore”, in linea con la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989. Nel valutare l’interesse superiore del minore gli Stati membri dovrebbero tenere debitamente presenti, in particolare, il principio dell’unità del nucleo familiare, il benessere e lo sviluppo sociale del minore, le considerazioni attinenti alla sua incolumità e sicurezza, nonché il parere del minore in funzione dell’età o della maturità del medesimo.

(19)      È necessario ampliare la nozione di “familiari” tenendo conto delle diverse situazioni particolari di dipendenza e della speciale attenzione da prestare all’interesse superiore del minore.

(…)

(21)      Il riconoscimento dello status di rifugiato è un atto declaratorio».

15      L’articolo 2 della direttiva 2011/95 così recita:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

d)      “rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12;

e)      “status di rifugiato”: il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale rifugiato;

(…)».

16      L’articolo 13 della direttiva 2011/95, intitolato «Riconoscimento dello status di rifugiato», dispone che «[g]li Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato in conformità dei capi II e III». Tali capi riguardano, rispettivamente, la valutazione delle domande di protezione internazionale e i requisiti per essere considerato rifugiato.

 Direttiva 2013/32/UE

17      Il considerando 33 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), è così formulato:

«L’interesse superiore del minore dovrebbe costituire una considerazione preminente degli Stati membri nell’applicazione della presente direttiva, conformemente alla [Carta dei diritti fondamentali] e [alla] convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989. Nella valutazione dell’interesse superiore del minore, gli Stati membri dovrebbero in particolare tenere debitamente conto del benessere e dello sviluppo sociale del minore, compreso il suo passato».

18      L’articolo 31 della direttiva 2013/32, intitolato «Procedura di esame», al paragrafo 7 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri possono esaminare in via prioritaria una domanda di protezione internazionale conformemente ai principi fondamentali e alle garanzie di cui al capo II, in particolare:

a)      qualora la domanda sia verosimilmente fondata;

b)      qualora il richiedente sia vulnerabile ai sensi dell’articolo 22 della direttiva 2013/33/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96)], o necessiti di garanzie procedurali particolari, specialmente se si tratta di un minore non accompagnato».

 Diritto dei Paesi Bassi

19      In forza dell’articolo 29, paragrafo 2, parte iniziale e lettera c), della Vreemdelingenwet 2000 (legge del 2000 sugli stranieri), ai genitori di un cittadino straniero, il quale sia un minore non accompagnato ai sensi dell’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86, può essere concesso un permesso di soggiorno temporaneo a titolo di asilo, ai sensi dell’articolo 28 di detta legge, se, al momento dell’ingresso del cittadino straniero in parola, essi facevano parte della sua famiglia nucleare e se sono arrivati nei Paesi Bassi contemporaneamente a tale cittadino o lo hanno raggiunto entro i tre mesi successivi al rilascio, a favore di quest’ultimo, di un permesso di soggiorno temporaneo ai sensi di tale articolo 28.

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

20      La figlia di A e di S è arrivata nei Paesi Bassi, non accompagnata, quando era ancora minorenne. Il 26 febbraio 2014, ha presentato domanda di asilo e il 2 giugno 2014 ha raggiunto la maggiore età.

21      Con decisione del 21 ottobre 2014, il Segretario di Stato ha concesso all’interessata un permesso di soggiorno a titolo di asilo valido per cinque anni, a decorrere dalla data di presentazione della domanda di asilo.

22      Il 23 dicembre 2014, l’organizzazione VluchtelingenWerk Midden-Nederland ha presentato in nome della figlia di A e di S una domanda di permesso di soggiorno temporaneo per i genitori di quest’ultima nonché per i suoi tre fratelli minorenni, ai fini del ricongiungimento familiare.

23      Con decisione del 27 maggio 2015, il Segretario di Stato ha respinto tale domanda con la motivazione che, alla data di presentazione della stessa, la figlia di A e di S era maggiorenne. Il reclamo proposto avverso tale decisione è stato dichiarato infondato con decisione del 13 agosto 2015.

24      Il 3 settembre 2015, A e S hanno proposto ricorso avverso tale rigetto dinanzi al rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia, Paesi Bassi).

25      A sostegno del loro ricorso, A e S adducono che dall’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86 si ricava che, al fine di stabilire se una persona possa essere qualificata come «minore non accompagnato», ai sensi di tale disposizione, a essere decisiva è la data di ingresso dell’interessato nello Stato membro in questione. Il Segretario di Stato ritiene, invece, che a essere determinante sotto tale profilo sia la data di presentazione della domanda di ricongiungimento familiare.

26      Il giudice del rinvio rileva che il Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) ha dichiarato, con due sentenze del 23 novembre 2015, che il fatto che un cittadino straniero abbia raggiunto la maggiore età dopo il suo arrivo nei Paesi Bassi può essere preso in considerazione al fine di stabilire se egli rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86.

27      Il giudice del rinvio ritiene, a tale proposito, che dall’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86 emerga che, di norma, lo status di minore non accompagnato debba essere valutato in riferimento al momento dell’ingresso della persona interessata nel territorio dello Stato membro. È vero che tale disposizione prevederebbe due eccezioni a tale principio, ossia quella del minore inizialmente accompagnato che viene in seguito abbandonato e quella del minore non accompagnato al suo arrivo e che viene in seguito affidato a un adulto che ne sia responsabile. Tuttavia, le circostanze del caso di specie non rientrerebbero in nessuna di queste due eccezioni e nulla nel testo della suddetta disposizione lascerebbe intendere che essa consenta altre eccezioni a detto principio.

28      In tale contesto, il rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se, in caso di ricongiungimento familiare dei rifugiati, per “minore non accompagnato”, ai sensi dell’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva [2003/86], si debba intendere anche un cittadino di un paese terzo o un apolide, d’età inferiore ai diciotto anni, che arrivi nel territorio di uno Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile per legge o in base agli usi e che:

–        faccia domanda di asilo,

–        in pendenza della procedura d’asilo nel territorio dello Stato membro raggiunga l’età di diciotto anni,

–        riceva asilo con efficacia retroattiva dalla data della domanda e

–        chieda successivamente il ricongiungimento familiare».

 Sulla questione pregiudiziale

29      Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86 debba essere interpretato nel senso che deve essere qualificato come «minore», ai sensi di tale disposizione, un cittadino di paesi terzi o un apolide che aveva un’età inferiore ai diciotto anni al momento del suo ingresso nel territorio di uno Stato membro e della presentazione della sua domanda di asilo in tale Stato, ma che, nel corso della procedura di asilo, raggiunge la maggiore età e a cui viene, in seguito, concesso l’asilo con effetto retroattivo alla data della sua domanda.

30      A e S ritengono che a tale questione si debba rispondere in senso affermativo, mentre i governi dei Paesi Bassi e polacco nonché la Commissione europea sostengono la tesi opposta. Più precisamente, il governo dei Paesi Bassi adduce che spetta agli Stati membri determinare quale sia il momento rilevante per stabilire se un rifugiato debba essere considerato un minore accompagnato, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2003/86. Il governo polacco e la Commissione, invece, ritengono che tale momento possa essere individuato sulla base di detta direttiva. Secondo la Commissione, tale momento è quello della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare, mentre per il governo polacco è quello in cui viene adottata la decisione su tale domanda.

31      Occorre ricordare che lo scopo della direttiva 2003/86, a termini del suo articolo 1, è quello di fissare le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri.

32      A tale riguardo, dal considerando 8 di tale direttiva risulta che essa prevede per i rifugiati condizioni più favorevoli per l’esercizio di tale diritto al ricongiungimento familiare, giacché la loro situazione richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare.

33      Una di tali condizioni più favorevoli riguarda il ricongiungimento familiare con gli ascendenti diretti di primo grado del rifugiato.

34      Mentre, infatti, in forza dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86, la possibilità di un simile ricongiungimento è, di norma, lasciata alla discrezionalità di ciascuno Stato membro e sottoposta in particolare alla condizione che gli ascendenti diretti di primo grado siano a carico del soggiornante e che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel paese d’origine, l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva prevede, in deroga a tale principio, per i rifugiati minori non accompagnati, un diritto a un tale ricongiungimento, il quale non è sottoposto né a un margine di discrezionalità da parte degli Stati membri né alle condizioni stabilite al suddetto articolo 4, paragrafo 2, lettera a).

35      La nozione di «minore non accompagnato», che, nell’ambito della direttiva 2003/86, è utilizzata solo a tale articolo 10, paragrafo 3, lettera a), è definita all’articolo 2, parte iniziale e lettera f), di tale direttiva.

36      Secondo quest’ultima disposizione, per «minore non accompagnato», ai fini della direttiva 2003/86, si intende «il cittadino di paesi terzi o l’apolide d’età inferiore ai diciotto anni che giunga nel territorio dello Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile in base alla legge o agli usi, fino a quando non sia effettivamente affidato ad un tale adulto, o il minore che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri».

37      Tale disposizione prevede quindi due condizioni, ossia che l’interessato sia «minore» e che sia «non accompagnato».

38      Sebbene, per quanto riguarda questa seconda condizione, la suddetta disposizione si riferisca al momento dell’ingresso dell’interessato nel territorio dello Stato membro in questione, da questa stessa disposizione si ricava tuttavia che devono essere prese in considerazione anche circostanze successive, e ciò in due ipotesi. In tal senso, un minore non accompagnato al momento del suo ingresso, il quale venga successivamente affidato a un adulto che ne sia responsabile in base alla legge o agli usi, non soddisfa questa seconda condizione, mentre un minore inizialmente accompagnato, il quale venga in seguito abbandonato, è considerato non accompagnato e pertanto la soddisfa.

39      Per quanto concerne la prima di queste due condizioni illustrate al punto 37 della presente sentenza, l’unica in esame nel procedimento principale, l’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86 si limita a indicare che l’interessato deve essere «d’età inferiore ai diciotto anni», senza precisare in quale momento tale condizione debba essere soddisfatta.

40      Tuttavia, da quest’ultima circostanza non discende affatto che spetti a ciascuno Stato membro decidere di quale momento tener conto per valutare se detta condizione sia soddisfatta.

41      Si deve infatti ricordare che, conformemente alla necessità di garantire tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio di uguaglianza, una disposizione di tale diritto, la quale non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del suo senso e della sua portata, deve di norma essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto, in particolare, del contesto della disposizione stessa e della finalità perseguita dalla normativa in questione (sentenza del 26 luglio 2017, Ouhrami, C‑225/16, EU:C:2017:590, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

42      A tale proposito, occorre rilevare, anzitutto, che né l’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86 né l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della medesima contengono un richiamo al diritto nazionale o agli Stati membri, a differenza di altre disposizioni di questa stessa direttiva, quali l’articolo 5, paragrafo 1, e l’articolo 11, paragrafo 2, il che suggerisce che, se il legislatore dell’Unione avesse inteso rimettere alla discrezionalità di ogni Stato membro la determinazione del momento fino al quale l’interessato deve essere minore per poter beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare con i suoi genitori, avrebbe previsto un simile rinvio anche in tale contesto.

43      Inoltre, l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 impone agli Stati membri un obbligo positivo preciso, cui corrisponde un diritto chiaramente definito. Essi sono obbligati, nell’ipotesi prevista da tale disposizione, ad autorizzare il ricongiungimento familiare degli ascendenti diretti di primo grado del soggiornante senza disporre di un margine di discrezionalità.

44      Infine, non solo la direttiva 2003/86 persegue, in generale, l’obiettivo di favorire il ricongiungimento familiare e di concedere una protezione ai cittadini di paesi terzi, in particolare ai minori (v., in tal senso, sentenza del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 69), ma l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della medesima mira nello specifico a garantire una protezione rafforzata a favore dei rifugiati che hanno lo status di minori non accompagnati.

45      Premesso ciò, se è pur vero che la direttiva 2003/86 non indica espressamente fino a quale momento un rifugiato debba essere minore per poter beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare di cui all’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della medesima, dalla finalità di tale disposizione e dal fatto che essa non lasci alcun margine di manovra agli Stati membri, nonché dall’assenza di qualsiasi rinvio al diritto nazionale a tale riguardo, risulta tuttavia che la determinazione di tale momento non può essere rimessa alla discrezionalità di ciascuno Stato membro.

46      Occorre altresì aggiungere che la situazione di cui al procedimento principale non è, su tale punto, paragonabile a quella, invocata dal governo dei Paesi Bassi, che ha dato luogo alla sentenza del 17 luglio 2014, Noorzia (C‑338/13, EU:C:2014:2092), e nella quale era in discussione l’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2003/86, il quale prevede che «[p]er assicurare una migliore integrazione ed evitare i matrimoni forzati gli Stati membri possono imporre un limite minimo di età per il soggiornante e il coniuge, che può essere al massimo pari a ventuno anni, perché il ricongiungimento familiare possa aver luogo».

47      A differenza dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86, infatti, l’articolo 4, paragrafo 5, della medesima ha carattere facoltativo e lascia inoltre espressamente agli Stati membri un margine di manovra per stabilire l’età minima del soggiornante e del suo coniuge che essi intendono, eventualmente, prescrivere allo scopo legittimo di assicurare una migliore integrazione e di evitare matrimoni forzati. Pertanto, le disparità derivanti dal fatto che ogni singolo Stato membro è libero di individuare la data cui le sue autorità devono fare riferimento al fine di stabilire se la condizione relativa all’età sia soddisfatta sono perfettamente conciliabili con la natura e l’obiettivo dell’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2003/86, contrariamente a quanto avviene per l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della medesima.

48      Per quanto riguarda più in particolare la questione di quale sia, in definitiva, il momento con riferimento al quale deve essere valutata l’età di un rifugiato affinché quest’ultimo possa essere considerato minore, potendo così beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare di cui all’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86, detta questione deve essere risolta alla luce del tenore letterale, della sistematica e dell’obiettivo di tale direttiva, tenendo conto del contesto normativo nel quale essa si inserisce nonché dei principi generali del diritto dell’Unione.

49      A tale proposito, dai punti 38 e 39 della presente sentenza si evince che né il tenore letterale dell’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86 né quello dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della stessa consentono da soli di fornire una risposta alla suddetta questione.

50      Quanto alla sistematica della direttiva 2003/86, occorre rilevare che essa, in forza del suo articolo 3, paragrafo 2, lettera a), non si applica quando il soggiornante è un cittadino di paesi terzi che chiede il riconoscimento dello status di rifugiato e la sua domanda non è ancora stata oggetto di una decisione definitiva. L’articolo 9, paragrafo 1, di tale direttiva precisa, da parte sua, che il capo V della medesima, di cui fa parte l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), si applica al ricongiungimento familiare dei rifugiati riconosciuti dagli Stati membri.

51      Sebbene la possibilità per un richiedente asilo di presentare una domanda di ricongiungimento familiare sulla base della direttiva 2003/86 sia quindi soggetta alla condizione che la sua domanda di asilo sia già stata oggetto di una decisione definitiva positiva, occorre tuttavia constatare che la ratio di tale condizione risiede chiaramente nel fatto che, prima dell’adozione di una tale decisione, è impossibile sapere con certezza se l’interessato soddisfi le condizioni perché gli sia riconosciuto lo status di rifugiato, dal quale a sua volta dipende il diritto di ottenere un ricongiungimento familiare.

52      A tale proposito, si deve rammentare che lo status di rifugiato dev’essere riconosciuto a una persona che soddisfi i requisiti minimi stabiliti dal diritto dell’Unione. In forza dell’articolo 13 della direttiva 2011/95, gli Stati membri riconoscono tale status al cittadino di un paese terzo o all’apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato in conformità dei capi II e III di tale direttiva, senza disporre di un potere discrezionale al riguardo (v., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2015, H.T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 63).

53      Il considerando 21 della direttiva 2011/95 precisa, inoltre, che il riconoscimento dello status di rifugiato è un atto ricognitivo.

54      Pertanto, dopo la presentazione di una domanda di protezione internazionale conformemente al capo II della direttiva 2011/95, qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide che soddisfa i requisiti sostanziali previsti dal capo III di tale direttiva beneficia di un diritto soggettivo a che gli sia riconosciuto lo status di rifugiato, e ciò ancora prima che sia stata adottata una decisione formale al riguardo.

55      Ciò considerato, far dipendere il diritto al ricongiungimento familiare di cui all’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 dal momento in cui l’autorità nazionale competente adotta formalmente la decisione con cui si riconosce lo status di rifugiato alla persona interessata e, dunque, dalla maggiore o minore celerità nel trattamento della domanda di protezione internazionale da parte di tale autorità comprometterebbe l’effetto utile di tale disposizione e contrasterebbe non solo con l’obiettivo della direttiva in parola, che è quello di favorire il ricongiungimento familiare e di concedere, a tale riguardo, una protezione particolare ai rifugiati, segnatamente ai minori non accompagnati, ma anche con i principi di parità di trattamento e di certezza del diritto.

56      Una simile interpretazione, infatti, comporterebbe che due rifugiati minori non accompagnati di pari età che hanno presentato nello stesso momento una domanda di protezione internazionale potrebbero, per quanto attiene al diritto al ricongiungimento familiare, essere trattati diversamente a seconda della durata di trattamento di tali domande, sulla quale essi generalmente non hanno alcuna influenza e la quale, al di là della complessità delle situazioni in questione, può dipendere sia dal carico di lavoro delle autorità competenti sia dalle scelte politiche effettuate dagli Stati membri per quanto concerne l’organico messo a disposizione di tali autorità e i casi da trattare con priorità.

57      Inoltre, tenuto conto del fatto che la durata di una procedura di asilo può essere considerevole e che, segnatamente in periodi di grande affluenza di richiedenti protezione internazionale, i termini appositamente previsti dal diritto dell’Unione sono spesso superati, far dipendere il diritto al ricongiungimento familiare dal momento in cui tale procedura è conclusa potrebbe privare un parte consistente dei rifugiati che hanno presentato la loro domanda di protezione internazionale in quanto minori non accompagnati del beneficio di tale diritto e della protezione che l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 dovrebbe conferire loro.

58      D’altronde, anziché incitare le autorità nazionali a trattare in via prioritaria le domande di protezione internazionale presentate da minori non accompagnati al fine di tener conto della loro particolare vulnerabilità, possibilità adesso espressamente prevista dall’articolo 31, paragrafo 7, lettera b), della direttiva 2013/32, una simile interpretazione potrebbe avere l’effetto contrario, contrastando con l’obiettivo perseguito sia da tale direttiva sia dalle direttive 2003/86 e 2011/95 di garantire che, conformemente all’articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, l’interesse superiore del minore sia effettivamente considerato preminente dagli Stati membri al momento dell’applicazione di tali direttive.

59      Peraltro, detta interpretazione renderebbe del tutto imprevedibile per un minore non accompagnato che ha presentato una domanda di protezione internazionale la possibilità di beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare con i suoi genitori, il che potrebbe pregiudicare la certezza del diritto.

60      Per contro, considerare la data di presentazione della domanda di protezione internazionale come data di riferimento per valutare l’età di un rifugiato ai fini dell’applicazione dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 consente di garantire un trattamento identico e prevedibile a tutti i richiedenti che si trovano cronologicamente nella stessa situazione, assicurando che il buon esito della domanda di ricongiungimento familiare dipenda principalmente da circostanze imputabili al richiedente e non all’amministrazione, quali la durata di trattamento della domanda di protezione internazionale o della domanda di ricongiungimento familiare (v., per analogia, sentenza del 17 luglio 2014, Noorzia, C‑338/13, EU:C:2014:2092, punto 17).

61      Posto che, come sostenuto dal governo dei Paesi Bassi e dalla Commissione, sarebbe incompatibile con l’obiettivo dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 che un rifugiato che aveva lo status di minore non accompagnato al momento della sua domanda ma che è diventato maggiorenne nel corso della procedura possa invocare il beneficio di tale disposizione senza alcun limite temporale al fine di ottenere un ricongiungimento familiare, la sua domanda per ottenerlo deve senz’altro essere presentata entro un termine ragionevole. Per determinare un tale termine ragionevole, la soluzione adottata dal legislatore dell’Unione nel contesto analogo dell’articolo 12, paragrafo 1, terzo comma, di tale direttiva ha valore indicativo, cosicché occorre ritenere che la domanda di ricongiungimento familiare formulata sulla base dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della suddetta direttiva debba, in linea di principio, in una situazione di tal genere, essere presentata entro un termine di tre mesi a decorrere dal giorno in cui al minore interessato è stato riconosciuto lo status di rifugiato.

62      Quanto alle altre date proposte nell’ambito del presente procedimento al fine di valutare se un rifugiato possa essere considerato minore, occorre constatare, da un lato, che la data di ingresso nel territorio di uno Stato membro non può, in linea di principio, essere ritenuta determinante in tal senso, stante il nesso intrinseco sussistente tra il diritto al ricongiungimento familiare previsto all’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 e lo status di rifugiato, il cui riconoscimento dipende dalla presentazione di una domanda di protezione internazionale da parte dell’interessato.

63      Per quanto riguarda, dall’altro lato, la data di presentazione della domanda di ricongiungimento familiare e la data della relativa decisione, è sufficiente ricordare che risulta, in particolare, dal punto 55 della presente sentenza che il diritto al ricongiungimento familiare previsto all’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 non può dipendere dal momento in cui l’autorità nazionale competente adotta formalmente la decisione che riconosce lo status di rifugiato al soggiornante. Orbene, questo è appunto quanto si verificherebbe se fosse ritenuta decisiva una di tali date, giacché, come rilevato ai punti 50 e 51 della presente sentenza, il soggiornante può presentare una domanda di ricongiungimento familiare solo dopo l’adozione della decisione con cui gli si riconosce lo status di rifugiato.

64      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sottoposta dichiarando che il combinato disposto degli articoli 2, parte iniziale e lettera f), e 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 va interpretato nel senso che deve essere qualificato come «minore», ai sensi della prima di tali disposizioni, un cittadino di paesi terzi o un apolide che aveva un’età inferiore ai diciotto anni al momento del suo ingresso nel territorio di uno Stato membro e della presentazione della sua domanda di asilo in tale Stato, ma che, nel corso della procedura di asilo, raggiunge la maggiore età e ottiene in seguito il riconoscimento dello status di rifugiato.

 Sulle spese

65      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

Il combinato disposto degli articoli 2, parte iniziale e lettera f), e 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, va interpretato nel senso che deve essere qualificato come «minore», ai sensi della prima di tali disposizioni, un cittadino di paesi terzi o un apolide che aveva un’età inferiore ai diciotto anni al momento del suo ingresso nel territorio di uno Stato membro e della presentazione della sua domanda di asilo in tale Stato, ma che, nel corso della procedura di asilo, raggiunge la maggiore età e ottiene in seguito il riconoscimento dello status di rifugiato.

Firme


*      Lingua processuale: il neerlandese.