Il mercato del lavoro in Italia è gestito da uffici pubblici che operano in un regime di collocamento obbligatorio. Ne deriva, di conseguenza, un generale divieto per le imprese private di operare a titolo di mediazione ed interposizione nelle relazioni di lavoro, divieto la cui violazione è punita con sanzioni penali e che sul piano civile ha per conseguenza il fatto che i lavoratori siano considerati assunti dall'imprenditore che ne utilizza le prestazioni.
Nel 1994, la società cooperativa Job Centre aveva chiesto l'omologazione del suo atto costitutivo al Tribunale di Milano, che in quel contesto aveva chiesto alla Corte di giustizia l'interpretazione di alcuni articoli del Trattato CE. La Corte, in quella occasione, si era dichiarata incompetente, in quanto un giudice, pronunciandosi in un procedimento di giuridizione volontaria quale l'omologazione di una società, esercita una funzione non giurisdizionale. Il Tribunale di Milano aveva pertanto respinto la domanda di Job Centre a causa del contrasto fra il suo oggetto sociale e le leggi italiane in materia di lavoro.
Contro questo diniego, Job Centre ha proposto un reclamo dinanzi alla Corte d'Appello, che ha sottoposto alla Corte di Giustizia varie questioni pregiudiziali per sapere, in sostanza, se le norme del Trattato in materia di concorrenza sono contrarie alla legislazione italiana.
Job Centre sostiene che il divieto di qualsiasi attività di mediazione sul mercato del lavoro, quando questa non sia svolta da enti pubblici, è contraria alle norme del Trattato in materia di sfruttamento abusivo di posizione dominante, in quanto gli uffici pubblici di collocamento non sono in grado di soddisfare la domanda del mercato.
La Corte verifica innanzitutto se l'ufficio pubblico di collocamento costituisca un'impresa; secondo la giurisprudenza precedente, ogni entità che svolge un'attività economica, indipendentemente dal suo status giuridico (di diritto pubblico o privato) o dal suo finanziamento, è un'impresa; inoltre l'attività di collocamento di manodopera è un'attività economica.
La Corte ricorda che si può ritenere che un'impresa che goda un monopolio legale occupa una posizione dominante nel territorio di uno Stato, il quale costituisce una parte sostanziale del mercato comune. Detta posizione dominante è sfruttata in maniera abusiva quando ne deriva una limitazione della prestazione a danno dei destinatari del servizio.
Dal momento che il mercato del lavoro è estremamente vasto e diversificato, sempre soggetto a grandi mutamenti, la Corte afferma che quando gli uffici pubblici di collocamento non sono in grado di soddisfare la domanda esistente sul mercato, la prestazione che essi offrono ne è limitata e il comportamento del monopolio pubblico può essere qualificato abusivo.
A tal proposito, sorge la responsabilità dello Stato membro quando questo comportamento abusivo è tale da incidere potenzialmente sugli scambi fra gli Stati membri; è questo il caso quando le attività di collocamento di manodopera possono riguardare cittadini di altri Stati membri che vorrebbero entrare sul mercato italiano del lavoro in qualità di lavoratori o datori di lavoro.
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