La direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989, 89/552/CEE, ha ad oggetto il coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive.
In tema di pubblicità televisiva, la direttiva, all'art. 18, prevede che il tempo di trasmissione dedicato alla pubblicità non deve superare il 15% del tempo di trasmissione quotidiano. Tuttavia questa percentuale può essere portata al 20% se comprende forme di pubblicità come le offerte fatte direttamente al pubblico ai fini della vendita, dell'acquisto o del noleggio di prodotti, oppure della fornitura di servizi, purché l'insieme degli spot pubblicitari non superi il 15%.
Essa dispone inoltre che il tempo di trasmissione dedicato agli spot pubblicitari entro un determinato periodo di un'ora non deve superare il 20% e che il tempo dedicato alle forme di pubblicità come le offerte fatte direttamente al pubblico ai fini della vendita, dell'acquisto o del noleggio di prodotti, oppure della fornitura di servizi, non deve superare un'ora al giorno.
La direttiva doveva trovare attuazione negli Stati membri entro il 3 ottobre 1991.
Il ministro italiano delle Poste e Telecomunicazioni ha adottato il decreto ministeriale 9 dicembre 1993, n. 581, recante attuazione della direttiva.
Questo decreto prevede che, a differenza delle offerte dirette al pubblico, le "telepromozioni" non possono giovarsi del tempo di trasmissione aggiuntivo previsto all'art. 18, n. 1, della direttiva.
Inoltre, il decreto prevede che la menzione del nome dello sponsor è limitata agli inviti all'ascolto dei programmi e ai messaggi trasmessi immediatamente prima dell'inizio e/o alla fine dei programmi.
La RTI, la Publitalia '80, la Radio Torre, la Rete A Srl, la Vallau Italiana Promomarket Srl, la Radio Italia Solo Musica Srl e a. e la GETE Srl hanno proposto un ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio per l'annullamento del decreto n. 581/93.
Le ricorrenti sostengono che le norme italiane in materia di "telepromozioni" e di sponsorizzazioni non sono conformi alla direttiva, da un lato, in quanto il decreto equipara le dette "telepromozioni" ai messaggi pubblicitari in forma di spot e, dall'altro, per quanto riguarda le sponsorizzazioni, in quanto è più restrittivo rispetto alla direttiva, la quale non vieta altre menzioni dello sponsor o dei suoi prodotti all'interno del programma, purché tali citazioni ulteriori non stimolino all'acquisto, in particolare facendo riferimenti specifici di carattere promozionale.
Il TAR del Lazio ha pertanto sottoposto alla Corte due questioni relative all'interpretazione delle norme della direttiva.
In primo luogo, la Corte rileva che la direttiva, pur definendo la nozione di pubblicità televisiva, non chiarisce invece le nozioni di "offerte fatte direttamente al pubblico ai fini della vendita, dell'acquisto o del noleggio di prodotti, oppure della fornitura di servizi" né quella di "spot pubblicitari". Quanto alla nozione di "telepromozioni", la direttiva non la menziona affatto.
In secondo luogo, la Corte rileva che l'uso dell'avverbio "come" dimostra la volontà del legislatore comunitario di far riferimento alle "offerte fatte direttamente al pubblico" solo in via esemplificativa, al fine di fornire una descrizione del tipo di pubblicità che può dar luogo ad un aumento dei limiti massimi giornalieri di trasmissione.
Siffatto aumento si giustifica in quanto questi programmi di offerte fatte direttamente al pubblico (messaggi promozionali di prodotti che possono essere direttamente ordinati per telefono, corrispondenza o videotext e consegnati ai telespettatori nel loro domicilio - "televendite") sono sensibilmente più lunghi degli spot pubblicitari, i quali costituiscono forme di promozione dalla durata solitamente assai breve.
Talché la Corte ne desume che, se per gli spot il tetto di affollamento pubblicitario giornaliero è pari al 15% del tempo di trasmissione, tale percentuale può essere portata al 20% per forme di pubblicità le quali, pur non costituendo "offerte fatte al pubblico" (televendite), richiedano, come queste ultime e in considerazione delle loro modalità di presentazione, una durata più lunga rispetto agli spot pubblicitari (ad esempio, le telepromozioni).
La Corte sottolinea infine come gli Stati membri non siano affatto tenuti ad elevare il tetto di affollamento pubblicitario giornaliero. Del pari, essi sono liberi, nel caso in cui scelgano di aumentare tale tetto, di farlo solo a vantaggio di talune forme di pubblicità "more time consuming". Infatti gli Stati membri sono autorizzati ad adottare norme più restrittive per la definizione dei tipi di pubblicità che possono giovarsi del tempo di trasmissione aggiuntivo del 5%, sempreché tuttavia queste norme siano compatibili con le norme del Trattato relative alla libera prestazione di servizi e alla libera circolazione delle merci.
La Corte rileva che il tenore della direttiva in proposito non limita la menzione dello sponsor soltanto all'inizio e alla fine dei programmi.
Talché la direttiva consente "forme ripetute di sponsorizzazione" anche all'interno del programma.
Tuttavia, pur consentendo la menzione del nome o del logotipo dello sponsor all'interno del programma, la direttiva pone la condizione che tali menzioni "non stimolino in nessun caso all'acquisto o al noleggio dei prodotti o servizi dello sponsor o di un terzo, in particolare facendo riferimenti specifici di carattere promozionale ai detti prodotti o servizi".
Occorre peraltro sottolineare che gli Stati membri hanno la facoltà, per quanto si riferisce alle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione, di prevedere norme più rigorose in materia, sempreché non lesive delle libertà garantite dal Trattato CE.