Divisione Stampa e Informazione

COMUNICATO STAMPA N. 52/98

15 settembre 1998

Sentenza della Corte nella causa C-231/96
Edilizia Industriale Siderurgica Srl (Edis)/Ministero delle Finanze

Sentenza della Corte nella causa C-260/96
Ministero delle Finanze/SPAC SpA

Sentenza della Corte nelle cause riunite C-279/96, C-280/96 e C-281/96
Ansaldo Energia SpA/Amministrazione delle Finanze dello Stato
Amministrazione delle Finanze dello Stato/Marine Insurance Consultants Srl
GMB Srl e a./Amministrazione delle Finanze dello Stato

L'ITALIA HA IL DIRITTO DI OPPORRE ALLE AZIONI DI RIPETIZIONE DELLA "TASSA DI CONCESSIONE" RISCOSSA IN VIOLAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO UN TERMINE NAZIONALE DI DECADENZA DI TRE ANNI


La Corte si pronuncia sulla validità di un termine nazionale di decadenza che osta alle domande di rimborso di tributi riscossi in violazione del diritto comunitario

Due organi giurisdizionali italiani, il Tribunale di Genova e la Corte d'appello di Venezia, hanno sottoposto alla Corte di giustizia delle CCEE svariate questioni di interpretazione del diritto comunitario in occasione di controversie pendenti dinanzi a tali giudici tra 16 società per azioni o società a responsabilità limitata di diritto italiano e l'Amministrazione delle Finanze italiana.

Nel 1972 è stata istituita in Italia una "tassa di concessione" governativa per l'iscrizione delle società nel registro delle imprese. A partire dal 1985 la tassa era dovuta non solo all'atto dell'iscrizione dell'atto costitutivo della società nel registro, ma anche il 30 giugno di ciascun anno solare successivo. Nel 1989 l'importo della tassa raggiungeva il livello di 12 milioni di LIT per le società per azioni e in accomandita per azioni, di 3,5 milioni di LIT per le società a responsabilità limitata e di 500 000 LIT per le altre società.

Nella sentenza "Ponente Carni" del 20 aprile 1993, pronunciata in merito a tale tassa di concessione, la Corte di giustizia delle CCEE ha dichiarato che la direttiva comunitaria del 1969 "concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali" vieta un tributo annuale dovuto in ragione dell'iscrizione delle società di capitali e autorizza un tributo gravante su tali società al momento della loro iscrizione solo se i relativi importi sono calcolati sulla base del costo dell'operazione, costo che può essere determinato fofettariamente. A seguito di tale sentenza, la "tassa di concessione" italiana è stata ridotta e la sua riscossione annuale è stata soppressa nel 1993.

Diverse società menzionate chiedono il rimborso della "tassa di concessione" da esse pagata nonché gli interessi. L'Amministrazione delle Finanze fa però riferimento ad una disposizione di legge italiana del 1972 ai sensi della quale "il contribuente può chiedere la restituzione delle tasse erroneamente pagate entro il termine di decadenza di tre anni a decorrere dal giorno del pagamento" (art. 13, secondo comma, del decreto n. 641/72).

I due giudici aditi esprimono dubbi in merito alla compatibilità di siffatte modalità di rimborso con il diritto comunitario. Essi fanno valere infatti che, in base alle norme generali dell'ordinamento giuridico italiano, l'esercizio dell'azione di ripetizione dell'indebito non è soggetto a nessun termine di decadenza, ma solo alla prescrizione decennale. I due giudici hanno pertanto sospeso i giudizi e hanno sottoposto alla Corte di giustizia una serie di questioni pregiudiziali che quest'ultima oggi risolve.

La Corte rileva che dall'esame comparativo dei sistemi nazionali risulta che il problema della contestazione di tasse illegittimamente pretese, o della restituzione di tasse indebitamente pagate, è risolto in modi diversi nei diversi Stati membri e, persino, all'interno di uno stesso Stato, a seconda dei diversi tipi di imposte e di tasse in questione. Questa diversità dei sistemi nazionali deriva in particolare dall'assenza di una disciplina comunitaria in materia di ripetizione di imposte nazionali indebitamente riscosse. In una situazione del genere, spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario, purché le dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) né rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività).

Per quanto concerne il principio di effettività, la Corte ha riconosciuto compatibile con il diritto comunitario la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell'interesse della certezza del diritto, che tutela nello stesso tempo il contribuente e l'amministrazione interessati. Infatti, termini del genere non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti dall'ordinamento giuridico comunitario. A tal proposito appare ragionevole un termine nazionale di decadenza triennale, che decorra dalla data del pagamento contestato.

Il rispetto del principio di equivalenza impone che la modalità controversa si applichi indifferentemente, per lo stesso tipo di tasse o canoni, ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto comunitario e a quelli fondati sull'inosservanza del diritto interno. Nella fattispecie il termine di decadenza di cui trattasi si applica non solo alla tassa di concessione controversa, ma anche a tutte le tasse di concessione governative. Viceversa, il principio di equivalenza non può essere interpretato nel senso che obblighi uno Stato membro ad estendere a tutte le azioni di ripetizione di tasse o canoni riscossi in violazione del diritto comunitario la sua disciplina interna più favorevole in materia di rimborso. Il diritto comunitario non osta pertanto a che la normativa di uno Stato membro contempli, accanto a un termine di prescrizione ordinario applicabile alle azioni di ripetizione dell'indebito tra privati, modalità particolari di rivendicazione e di azione giudiziale meno favorevoli per la contestazione delle tasse e degli altri tributi.

In ordine al problema dell'applicazione di un termine nazionale di decadenza mentre la direttiva comunitaria interessata non era stata ancora correttamente attuata nell'ordinamento nazionale, la Corte rinvia alla sua sentenza "Fantask" del 2 dicembre 1997, nella quale essa ha dichiarato che il diritto comunitario non vieta a uno Stato membro, che non ha attuato correttamente la direttiva controversa, di opporre alle azioni dirette al rimborso di tributi riscossi in violazione di tale direttiva un termine di prescrizione nazionale che decorra dalla data di esigibilità di tali tributi.

Quanto al problema della compatibilità con il diritto comunitario di una normativa nazionale che preveda, per tutti gli obblighi di rimborso a carico dello Stato, il versamento di interessi al tasso del 3% a semestre, mentre, ai sensi delle norme del codice civile italiano in materia di ripetizione dell'indebito, il tasso di interesse legale è del 10% annuo, la Corte constata che il diritto comunitario non osta ad una siffatta normativa.

Documento non ufficiale ad uso dei mezzi di informazione, che non impegna la Corte di giustizia. Il presente comunicato stampa è disponibile nelle seguenti lingue: francese, inglese, italiano.

Per il testo integrale della sentenza, consultare il nostro sito Internet www.curia.eu.int verso le ore 15 in data odierna.

Per più ampie informazioni, contattare il dott. Tom Kennedy tel.: (*352) 4303 3355 fax: (352) 43.03 2500