Language of document : ECLI:EU:T:2007:32

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

6 febbraio 2007 (*)

«Accordo di associazione tra la CEE e la Repubblica di Turchia – Sgravio di dazi all’importazione – Concentrato di succhi di frutta proveniente dalla Turchia – Codice doganale comunitario – Certificati di circolazione – Situazione particolare – Diritti della difesa»

Nella causa T‑23/03,

CAS SpA, con sede in Verona, rappresentata dall’avv. D. Ehle,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. X. Lewis, in qualità di agente, assistito dall’avv. M. Nuñez Müller, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda diretta all’annullamento parziale della decisione della Commissione 18 ottobre 2002 (REC 10/01), relativa ad una domanda di sgravio di dazi all’importazione,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione),

composto dal sig. M. Vilaras, presidente, dalle sig.re M.E. Martins Ribeiro e K. Jürimäe, giudici,

cancelliere: sig.ra K. Andová, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 15 novembre 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

A –  Normativa relativa al regime preferenziale

1        La presente causa si colloca nell’ambito dell’Accordo di associazione che ha istituito un’associazione tra la Comunità economica europea (CEE) e la Repubblica di Turchia (in prosieguo: l’«Accordo di associazione»), sottoscritto ad Ankara dalla Repubblica di Turchia, da un lato, e dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall’altro (in prosieguo: le «parti contraenti»). L’Accordo di associazione è stato approvato con decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE (GU 1964, n. 217, pag. 3685), ed è entrato in vigore il 1º dicembre 1964.

2        Ai sensi dell’art. 2, collocato nel titolo I, relativo ai principi, l’Accordo di associazione ha lo scopo di promuovere il rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche fra le parti contraenti.

3        Esso comporta una fase preparatoria volta a consentire alla Repubblica di Turchia, ai sensi dell’art. 3, di rafforzare la propria economia con l’aiuto della Comunità, una fase transitoria diretta, secondo l’art. 4, alla progressiva attuazione di un’unione doganale e al ravvicinamento delle politiche economiche ed una fase definitiva che, ai sensi dell’art. 5, è basata sull’unione doganale ed implica il rafforzamento della coordinazione delle politiche economiche.

4        Ai sensi dell’art. 7, le parti contraenti adottano tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi che discendono dall’Accordo di associazione e si astengono da qualsiasi misura che possa compromettere la realizzazione degli scopi dello stesso.

5        Gli artt. 22 e 23, nel titolo III, dedicato alle disposizioni generali e finali, prevedono l’istituzione di un Consiglio di associazione che si compone, da un lato, di membri dei governi degli Stati membri, del Consiglio e della Commissione, e, dall’altro, di membri del governo turco (in prosieguo: il «Consiglio di associazione»), e che, deliberando all’unanimità, dispone di un potere decisionale ai fini della realizzazione degli obiettivi determinati dall’Accordo di associazione. L’art. 25 conferisce a tale Consiglio, su ricorso di ciascuna delle parti contraenti, la competenza per dirimere qualsiasi controversia relativa all’applicazione o all’interpretazione dell’Accordo di associazione o per sottoporla alla Corte.

6        La fase finale dell’unione doganale è entrata in vigore il 31 dicembre 1995 [art. 1 e art. 65, n. 1, della decisione del Consiglio di associazione 22 dicembre 1995, n. 1, relativa all’attuazione della fase finale dell’unione doganale (GU 1996, L 35, pag. 1); in prosieguo: la «decisione n. 1/95» o «decisione di base»].

7        Ai sensi dell’art. 11 dell’Accordo di associazione, il regime di associazione si estende all’agricoltura e agli scambi di prodotti agricoli, secondo modalità particolari che tengono conto della politica agricola comune della Comunità.

1.     Normativa in vigore nella fase transitoria

8        Con decisione 19 settembre 1980, n. 1, relativa allo sviluppo dell’associazione, il Consiglio di associazione ha deciso di abolire i dazi doganali che restano applicabili all’importazione, nella Comunità, dei prodotti agricoli originari della Turchia e non ancora ammessi in esenzione tariffaria nella Comunità.

9        Ai sensi dell’art. 1, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 22 dicembre 1986, n. 4115, relativo all’importazione nella Comunità di prodotti agricoli originari della Turchia (GU L 380, pag. 16), i prodotti elencati nell’allegato II del Trattato CEE, originari della Turchia, esclusi i prodotti che figurano nell’allegato del detto regolamento, sono stati immessi in libera pratica nella Comunità in esenzione dei dazi doganali. Ai sensi dell’art. 2, n. 2, del regolamento n. 4115/86, si consideravano come prodotti originari della Turchia i prodotti conformi alle condizioni definite nella decisione del Consiglio di associazione 29 dicembre 1972, n. 4, relativa alla definizione della nozione di «prodotti originari» della Turchia per l’applicazione delle disposizioni dell’allegato n. 6, capitolo I, del protocollo addizionale all’Accordo di associazione, acclusa al regolamento (CEE) del Consiglio 5 febbraio 1973, n. 428, relativo all’applicazione delle decisioni nn. 5/72 e 4/72 del Consiglio di associazione (GU L 59, pag. 73), modificata dalla decisione del Consiglio di associazione 26 maggio 1975, n. 1, allegata al regolamento (CEE) del Consiglio n. 1431/75, che modifica il regolamento n. 428/73 (GU L 142, pag. 1).

10      Ai sensi dell’art. 1 della decisione n. 4/72, sono considerati prodotti originari della Turchia:

«a)      i prodotti del regno vegetale raccolti in Turchia;

(…)

f)       le merci ottenute in Turchia con la lavorazione o la trasformazione di prodotti di cui ai punti da a) ad e), anche se altri prodotti entrano nella loro fabbricazione, a condizione che i prodotti che non sono stati ottenuti in Turchia o nella Comunità siano entrati solo accessoriamente in questa fabbricazione».

11      Il regolamento (CEE) della Commissione 16 novembre 1988, n. 3719, che stabilisce le modalità comuni d’applicazione del regime dei titoli d’importazione, di esportazione e di fissazione anticipata relativi ai prodotti agricoli (GU L 331, pag. 1), è applicabile ai titoli istituiti dai regolamenti previsti dall’art. 1. Ai sensi dell’art. 28, n. 4:

«4. Gli Stati membri trasmettono inoltre alla Commissione le impronte dei timbri ufficiali e, se del caso, dei timbri a secco delle autorità competenti. La Commissione ne informa immediatamente gli altri Stati membri».

12      Con decisione 29 dicembre 1972, n. 5, relativa ai metodi di cooperazione amministrativa per l’applicazione degli artt. 2 e 3 del protocollo addizionale all’Accordo di associazione (GU 1973, L 59, pag. 74), il Consiglio di associazione ha posto la regola secondo la quale, per poter usufruire del regime preferenziale, era necessaria la presentazione di un titolo giustificativo rilasciato su richiesta dell’esportatore dalle autorità doganali della Repubblica di Turchia o di uno Stato membro. Per le merci trasportate direttamente dalla Turchia ad uno Stato membro, si tratta del certificato di circolazione delle merci A.TR.1 (in prosieguo: il «certificato A.TR.1»), di cui un modello è allegato alla decisione (art. 2). Tale modello è stato sostituito dal formulario allegato alla decisione del Consiglio di associazione 18 luglio 1978, n. 1, che modifica la decisione n. 5/72 (GU L 253, pag. 2). Tale modello è stato a sua volta lievemente modificato dalla decisione del Consiglio di associazione 22 dicembre 1995, n. 4, che ha modificato la decisione n. 5/72 (GU 1996, L 35, pag. 48).

13      L’art. 11 della decisione n. 5/72 prevede che gli Stati membri e la Repubblica di Turchia si prestino mutua assistenza, tramite le rispettive amministrazioni doganali, per il controllo dell’autenticità e regolarità dei certificati, «allo scopo di garantire l’esatta applicazione delle disposizioni della presente decisione».

14      L’art. 12 della decisione n. 5/72 dispone inoltre quanto segue:

«La [Repubblica di] Turchia, gli Stati membri e la Comunità prendono, ciascuno per quanto lo riguarda, tutte le misure che l’esecuzione delle disposizioni della decisione comporta».

15      Ai sensi dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 4115/86, i metodi di cooperazione amministrativa che devono garantire ai prodotti di cui all’art. 1 l’ammissione al beneficio dei dazi doganali ridotti sono quelli stabiliti dalla decisione n. 5/72, da ultimo modificata dalla decisione n. 1/78.

2.     Normativa in vigore nella fase finale

16      La decisione n. 1/95 disciplina dettagliatamente l’attuazione della fase finale dell’unione doganale. Il suo art. 29 dispone quanto segue:

«La reciproca assistenza nel settore doganale tra le autorità amministrative delle parti contraenti è disciplinata dalle disposizioni dell’allegato 7 che, per quanto riguarda la Comunità, si applica[no] alle questioni di competenza di quest’ultima».

17      L’allegato 7 alla decisione n. 1/95, relativo all’assistenza reciproca tra le autorità amministrative nel settore doganale, così dispone al suo art. 2, n. 1:

«Nei limiti delle rispettive competenze, le parti contraenti si prestano reciprocamente assistenza (…) per garantire la corretta applicazione della legislazione doganale, segnatamente per quanto concerne la prevenzione, l’individuazione e l’esame delle operazioni che violano detta normativa».

18      L’art. 3, n. 6, della decisione n. 1/95 dispone che il comitato di cooperazione doganale stabilisce i metodi di cooperazione amministrativa.

19      L’art. 5, n. 2, della decisione del comitato di cooperazione doganale 20 maggio 1996, n. 1, recante modalità d’applicazione della decisione n. 1/95 (GU L 200, pag. 14) dispone che la convalida del documento necessario alla libera pratica delle merci in questione crea un’obbligazione doganale all’importazione. Ai sensi dell’art. 6 di tale decisione, il trattamento preferenziale dei prodotti agricoli importati dalla Turchia è subordinato al rilascio di un titolo giustificativo costituito dal certificato A.TR.1. Un modello di tale certificato figura nell’allegato I, ma, ai sensi dell’art. 7, n. 1, della detta decisione, i moduli previsti dalla decisione n. 5/72 potevano continuare ad essere utilizzati fino al 30 giugno 1997.

20      L’art. 15 della decisione n. 1/96 prevede quanto segue:

«Allo scopo di garantire la corretta [applicazione] delle disposizioni della presente decisione, gli Stati membri e la [Repubblica di] Turchia si prestano mutua assistenza, tramite le rispettive amministrazioni doganali, e nell’ambito della mutua assistenza prevista dall’articolo 29 e dall’allegato 7 della decisione di base, per il controllo dell’autenticità e della regolarità dei certificati».

21      L’art. 13, n. 2, della decisione n. 1/96 prevede quanto segue:

«(…) Nella casella 12 dell’estratto devono essere menzionati il numero di registrazione, la data, l’ufficio e il paese di rilascio del certificato iniziale (…)».

22      Ai sensi dell’allegato II, punto II, n. 12, della decisione n. 1/96, le indicazioni relative alla casella 12 del certificato di circolazione A.TR.1 sono da completare da parte dell’autorità competente.

23      Infine, l’art. 4 della decisione n. 1/96 dispone quanto segue:

«Fatte salve le disposizioni in materia di libera pratica previste nella decisione di base, si applicano agli scambi commerciali tra le due parti dell’unione doganale, alle condizioni previste nella presente decisione, il codice doganale comunitario con le relative disposizioni d’applicazione, applicabile nel territorio doganale della Comunità, e il codice doganale turco con le relative disposizioni d’applicazione, applicabile nel territorio doganale della [Repubblica di] Turchia».

B –  Normativa doganale

1.     Normativa relativa allo sgravio dei dazi doganali

24      Per quanto riguarda la possibilità di uno sgravio dei dazi all’importazione, l’art. 239 del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1; in prosieguo: il «CDC»), enuncia quanto segue:

«Si può procedere (…) allo sgravio dei dazi all’importazione (…) in situazioni (…) dovute a circostanze che non implicano frode o manifesta negligenza da parte dell’interessato. Le situazioni in cui si applica la presente disposizione e le modalità procedurali da osservare sono definite secondo la procedura del comitato».

25      L’art. 905 del regolamento (CEE) della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento n. 2913/92 (GU L 253, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento d’applicazione del CDC»), al n. 1, prevede quanto segue:

«Quando l’autorità doganale di decisione, alla quale è stata presentata la domanda di rimborso o di sgravio in virtù dell’articolo 239, paragrafo 2 del [CDC], non sia in grado di decidere, sulla base dell’articolo 899, e la domanda sia corredata di giustificazioni tali da costituire una situazione particolare risultante da circostanze che non implicano alcuna manovra fraudolenta o negligenza manifesta da parte dell’interessato, lo Stato membro da cui dipende tale autorità trasmette il caso alla Commissione affinché sia evaso conformemente alla procedura di cui agli articoli da 906 a 909 (…)».

26      L’art. 904, lett. c), del regolamento d’applicazione del CDC dispone quanto segue:

«Non si procede al rimborso o allo sgravio dei dazi all’importazione quando, secondo il caso, l’unico motivo a sostegno della domanda di rimborso o di sgravio è costituito:

(…)

c)      dalla presentazione, anche in buona fede, per la concessione di un trattamento tariffario preferenziale per merci dichiarate per la libera pratica, di documenti rivelatisi in un secondo tempo falsi, falsificati o non validi per la concessione di tale trattamento».

27      Ai sensi dell’art. 236 del CDC:

«1. Si procede al rimborso dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione quando si constati che al momento del pagamento il loro importo non era legalmente dovuto o che l’importo è stato contabilizzato contrariamente all’articolo 220, paragrafo 2.

Si procede allo sgravio dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione quando si constati che al momento della contabilizzazione il loro importo non era legalmente dovuto o che l’importo è stato contabilizzato contrariamente all’articolo 220, paragrafo 2.

Non vengono accordati né rimborso né sgravio qualora i fatti che hanno dato luogo al pagamento o alla contabilizzazione di un importo che non era legalmente dovuto risultano da una frode dell’interessato.

(…)».

28      L’art. 220, n. 2, lett. b), del CDC dispone che non si procede alla contabilizzazione a posteriori dei dazi risultanti da un’obbligazione doganale quando l’importo dei dazi legalmente dovuti non è stato contabilizzato per un errore dell’autorità doganale stessa, che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore avendo questi agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla dichiarazione in dogana.

2.     Normativa relativa alle regole in materia di origine

29      L’art. 20 del CDC così prevede, in particolare:

«1. I dazi doganali dovuti per legge quando sorge un’obbligazione doganale sono basati sulla tariffa doganale delle Comunità europee.

2. Le altre misure stabilite con disposizioni comunitarie specifiche nel quadro degli scambi di merci sono applicabili, se del caso, in base alla classificazione tariffaria delle merci di cui trattasi.

3. La tariffa doganale delle Comunità europee comprende:

(…)

d)      le misure tariffarie preferenziali contenute in accordi che la Comunità ha concluso con taluni paesi o gruppi di paesi e che prevedono la concessione di un trattamento tariffario preferenziale».

30      Da parte sua, l’art. 27, lett. a), del CDC così prevede:

«Le regole relative all’origine preferenziale determinano le condizioni di acquisizione dell’origine che le merci devono soddisfare per beneficiare delle misure di cui all’articolo 20, paragrafo 3, lettera d) o e). Tali regole sono stabilite:

a)      per le merci figuranti negli accordi di cui all’articolo 20, paragrafo 3, lettera d), nell’ambito di tali accordi».

31      Il regolamento d’applicazione del CDC, nella sua versione applicabile alla presente controversia [art. 93, modificato e numerato come art. 92 dal regolamento (CE) della Commissione 19 dicembre 1994, n. 3254 (GU L 346, pag. 1); in prosieguo: l’«art. 93 del regolamento d’applicazione del CDC»), dispone quanto segue:

«1. I paesi beneficiari comunicano alla Commissione i nomi e gli indirizzi delle autorità pubbliche aventi sede nel loro territorio autorizzate a rilasciare i certificati d’origine, modulo A, e le impronte dei timbri usati da dette autorità. La Commissione inoltra queste informazioni alle autorità doganali degli Stati membri.

2. I paesi beneficiari comunicano inoltre alla Commissione i nomi e gli indirizzi delle autorità pubbliche autorizzate a rilasciare le attestazioni di autenticità di cui all’articolo 86 e le impronte del timbro usato. La Commissione inoltra queste informazioni alle autorità doganali degli Stati membri.

3. La Commissione pubblica nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee (serie C) la data in cui i nuovi paesi beneficiari ai sensi dell’articolo 97 hanno adempiuto gli obblighi previsti dai paragrafi 1 e 2».

C –  Normativa relativa alla riservatezza di alcuni documenti

32      L’art. 8, n. 1, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 25 maggio 1999, n. 1073, relativo alle indagini svolte dall’Ufficio per la lotta antifrode (OLAF) (GU L 136, pag. 1), prevede quanto segue:

«Riservatezza e tutela dei dati

1. Le informazioni ottenute in qualsiasi forma nell’ambito di indagini esterne sono protette dalle disposizioni relative a tali inchieste».

33      Da parte sua, l’art. 9, n. 2, dello stesso regolamento così prevede:

«Relazione sulle indagini e provvedimenti conseguenti alle indagini

(…)

2.      Queste relazioni sono redatte tenendo conto delle prescrizioni di procedura previste nella legislazione nazionale dello Stato membro interessato. Le relazioni così elaborate costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro nel quale risulti necessario avvalersene al medesimo titolo e alle medesime condizioni delle relazioni amministrative redatte dagli ispettori amministrativi nazionali. Le relazioni sono soggette alle medesime regole di valutazione riguardanti le relazioni amministrative nazionali e hanno valore identico ad esse».

34      L’art. 8, n. 1, del regolamento (Euratom, CE) del Consiglio 11 novembre 1996, n. 2185, relativo ai controlli e alle verifiche sul posto effettuati dalla Commissione ai fini della tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee contro le frodi e altre irregolarità (GU L 292, pag. 2), dispone quanto segue:

«1. Le informazioni comunicate o ottenute sotto qualsiasi forma a norma del presente regolamento sono coperte dal segreto professionale e beneficiano della tutela accordata alle informazioni analoghe dalla legislazione nazionale dello Stato membro che le ha ricevute e dalle disposizioni corrispondenti applicabili alle istituzioni comunitarie».

35      L’art. 4 del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 2001, n. 1049, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43), così dispone:

«Eccezioni

1. Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue:

a)      l’interesse pubblico, in ordine:

–        alla sicurezza pubblica,

–        alla difesa e alle questioni militari,

–        alle relazioni internazionali,

–        alla politica finanziaria, monetaria o economica della Comunità o di uno Stato membro;

b)      la vita privata e l’integrità dell’individuo, in particolare in conformità con la legislazione comunitaria sulla protezione dei dati personali.

2. Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue:

–        gli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale,

–        le procedure giurisdizionali e la consulenza legale,

–        gli obiettivi delle attività ispettive, d’indagine e di revisione contabile,

a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione».

 Fatti all’origine della controversia

A –  Importazioni controverse

36      La ricorrente CAS SpA è una società di diritto italiano, controllata al 95,1% dalla società Steinhauser GmbH (in prosieguo: la «Steinhauser»), con sede in Ravensburg (Germania). L’attività principale della ricorrente consiste nella trasformazione di concentrati di succhi di frutta importati e, parallelamente, essa esercita un’attività di importazione di tali prodotti in Italia. Fondamentalmente, è la società Steinhauser ad intrattenere i rapporti commerciali con i fornitori stranieri.

37      Tra il 5 aprile 1995 e il 20 novembre 1997, la ricorrente ha importato ed immesso in libera pratica nella Comunità succo di mela e succo di pera concentrati, dichiarati di provenienza ed originari dalla Turchia. Tali tipi di prodotti, essendo stati importati nella Comunità tramite certificati A.TR.1, hanno beneficiato dell’esenzione dei dazi doganali prevista dall’Accordo di associazione e dal protocollo addizionale.

38      Ai sensi dell’art. 29 della decisione n. 1/95, il servizio doganale di Ravenna ha effettuato un controllo documentale a posteriori relativo all’autenticità del certificato A.TR.1 D 141591, presentato dalla ricorrente in occasione di una delle operazioni di importazione effettuate nel periodo compreso tra il 5 aprile 1995 e il 20 novembre 1997. Ai sensi delle disposizioni applicabili in tale materia, è stato chiesto alle autorità turche di verificare l’autenticità del detto certificato.

39      Con lettera del 15 maggio 1998, le autorità turche hanno comunicato al servizio doganale di Ravenna che dal controllo effettuato risultava che tale certificato non era autentico, non essendo stato rilasciato dalle autorità doganali turche e che, comunque, sarebbero stati effettuati ulteriori controlli.

40      Di conseguenza, le autorità italiane hanno proceduto al controllo a posteriori di 103 certificati A.TR.1 presentati dalla ricorrente in occasione di varie operazioni d’importazione.

41      Con lettera del 10 luglio 1998, la Rappresentanza permanente della Repubblica di Turchia presso l’Unione europea (in prosieguo: la «Rappresentanza permanente turca») ha informato la Commissione del fatto che 22 certificati A.TR.1 presentati dalla ricorrente, elencati nell’allegato a tale lettera e relativi alle esportazioni della società turca Akman verso l’Italia, erano falsi («false»). La Commissione ha inoltrato tale comunicazione alle autorità doganali italiane con lettera del 20 luglio 1998.

42      Tra il 12 e il 15 ottobre 1998, nonché il 30 novembre e il 2 dicembre 1998, l’Unità di coordinamento della lotta antifrode della Commissione [(UCLAF), precursore dell’OLAF] ha effettuato alcune verifiche in Turchia.

43      Con lettera dell’8 marzo 1999, la Rappresentanza permanente turca ha comunicato ai servizi doganali di Ravenna che 32 certificati A.TR.1 presentati dalla ricorrente (in prosieguo: i «certificati controversi»), ivi inclusi 18 certificati elencati in allegato alla lettera del 10 luglio 1998, non erano stati né emessi né convalidati dalle autorità turche. I detti certificati sono indicati in allegato a tale lettera.

44      Secondo le autorità doganali italiane, dal complesso della corrispondenza scambiata tra di esse, la Commissione, l’UCLAF e le autorità turche emergeva che queste ultime ritenevano che 48 certificati A.TR.1, ivi inclusi i certificati controversi, relativi ad esportazioni verso l’Italia effettuate dalla ricorrente tramite la società turca Akman, fossero falsi o irregolari.

45      Nella fattispecie, i 32 certificati controversi [corrispondenti a dazi doganali per un importo totale di 3 296 190 371 lire italiane (LIT), pari a EUR 1 702 340,25] erano considerati falsi, non essendo stati né rilasciati né convalidati dagli uffici doganali turchi. Invece, gli altri 16 certificati (corrispondenti a dazi per un importo totale di LIT 1 904 763 758, pari a EUR 983 728,38) erano considerati invalidi, in quanto, benché fossero stati rilasciati dalle autorità doganali turche, le merci interessate non erano originarie della Turchia.

46      Poiché l’insieme dei 48 certificati era stato qualificato falso o invalido, le merci contemplate dagli stessi non potevano beneficiare del trattamento preferenziale accordato alle importazioni di prodotti agricoli turchi.

47      Di conseguenza, l’amministrazione doganale italiana ha richiesto alla ricorrente il pagamento dei dazi doganali dovuti, per un importo totale di LIT 5 200 954 129, pari a EUR 2 686 068,63.

B –  Procedimento penale ed amministrativo dinanzi alle autorità italiane e comunitarie

48      Con lettera del 28 marzo 2000, la ricorrente, fondandosi sull’art. 220, n. 2, lett. b), e sugli artt. 236 e 239 del CDC, ha chiesto ai servizi doganali di Ravenna che i dazi all’importazione non venissero contabilizzati a posteriori ed il rimborso dei dazi all’importazione reclamati. A sostegno della sua domanda, la ricorrente invocava la propria buona fede, gli errori non rilevabili delle autorità competenti nonché alcuni inadempimenti imputabili alle stesse.

49      Con lettera del 15 maggio 2000, le autorità doganali italiane hanno informato la Procura di Ravenna dei fatti relativi alle importazioni effettuate dalla ricorrente tramite certificati falsificati. La Procura di Ravenna, appresi tali fatti, ha aperto un’indagine.

50      Con sentenza 20 dicembre 2000, il Tribunale civile e penale di Ravenna ha chiuso il procedimento penale avviato nei confronti dell’amministratore della ricorrente, il sig. B. Steinhauser, giudicando che i fatti contestati a quest’ultimo non erano provati.

51      Con lettera del 30 novembre 2001, ricevuta dalla Commissione il 12 dicembre 2001, la Repubblica italiana ha chiesto alla Commissione di pronunciarsi sulla questione se fosse giustificata la non contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazioni richiesti alla ricorrente a titolo dell’art. 220, n. 2, lett. b), del CDC o la concessione del rimborso di tali dazi in forza dell’art. 239 del CDC.

52      Ai sensi degli artt. 871 e 905 del regolamento d’applicazione del CDC, la ricorrente ha dichiarato di aver preso conoscenza del fascicolo trasmesso dalle autorità italiane alla Commissione. Inoltre, la ricorrente ha reso nota la sua posizione e le sue osservazioni, che sono state trasmesse alla Commissione dalle autorità italiane in allegato alla loro lettera del 30 novembre 2001.

53      Con lettera del 3 giugno 2002, la Commissione ha chiesto alcune informazioni complementari alle autorità italiane, che hanno risposto con lettera del 7 giugno 2002.

54      Con lettera del 25 luglio 2002, la Commissione ha informato la ricorrente della propria intenzione di non accogliere la sua domanda. Tuttavia, prima di prendere una decisione definitiva, la Commissione ha invitato la ricorrente a renderle note le sue eventuali osservazioni e a prendere visione del fascicolo al fine di consultare i documenti non riservati.

55      Il 6 agosto 2002, i rappresentanti della ricorrente hanno preso visione del fascicolo amministrativo presso i locali della Commissione. Essi hanno inoltre firmato una dichiarazione relativa all’avvenuta consultazione dei documenti menzionati in allegato alla stessa.

56      Con lettera del 15 agosto 2002, la ricorrente ha presentato le sue osservazioni alla Commissione. In particolare, essa ha ribadito la propria posizione secondo cui le competenti autorità doganali avrebbero commesso errori nel loro operato da essa non rilevabili ed equiparabili anche ad inadempimenti atti a configurare una situazione particolare ai sensi dell’art. 239 del CDC.

57      Il 18 ottobre 2002, la Commissione ha adottato la decisione REC 10/01 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), notificata alla ricorrente il 21 novembre 2002.

58      Innanzi tutto, la Commissione ha dichiarato che la contabilizzazione dei dazi all’importazione oggetto della domanda era giustificata.

59      In secondo luogo, la Commissione ha però affermato che il rimborso dei dazi all’importazione per la parte della domanda relativa ai 16 certificati invalidi era giustificato poiché, quanto ad essi, la ricorrente si trovava in una situazione particolare ai sensi dell’art. 239 del CDC.

60      In terzo luogo, per quanto riguarda i 32 certificati controversi, la Commissione ha invece concluso che le circostanze invocate dalla ricorrente non erano atte a configurare una situazione particolare ai sensi dell’art. 239 del CDC. Pertanto, all’art. 2 della decisione impugnata, la Commissione ha deciso che il rimborso dei corrispondenti dazi all’importazione, pari a EUR 1 702 340,25, non era giustificato.

61      Infine, con lettera del 20 giugno 2003, la ricorrente ha chiesto alla Commissione di poter consultare altri documenti del fascicolo. La Commissione ha accolto tale domanda con lettera del 10 luglio 2003. La ricorrente non ha però proceduto ad una nuova consultazione del fascicolo.

C –  Certificato D 437214

62      Con lettera del 17 dicembre 2002, la ricorrente ha fatto notare alla Commissione che il certificato A.TR.1 D 437214, che fa parte dei certificati controversi, non era stato qualificato come falso dalle autorità turche, ma solo invalido. Il 6 gennaio 2003 la Commissione ha trasmesso tale lettera alle autorità doganali italiane.

63      Con lettera del 24 gennaio 2003, le autorità doganali italiane, in riferimento alla lettera delle autorità doganali turche dell’8 marzo 1999, nonché ad una lettera dell’UCLAF del 6 maggio 1999, hanno affermato che tale certificato era falso.

64      Con lettera del 4 marzo 2003, la Commissione ha invitato le autorità doganali italiane ad informare la ricorrente del risultato dell’indagine relativa al certificato A.TR.1 D 437214. Con lettera del 18 marzo 2003, inviata alla ricorrente, l’amministrazione italiana delle dogane ha confermato che tale certificato era falso, in quanto non emesso dalle autorità turche.

 Procedimento e conclusioni delle parti

65      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 29 gennaio 2003, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

66      Su relazione del giudice relatore, è stato deciso di avviare la fase orale. Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, le parti sono state invitate a produrre alcuni documenti e a rispondere ad alcuni quesiti scritti del Tribunale. Le parti hanno risposto a tali domande.

67      Le parti sono state sentite nelle loro difese orali e nelle loro risposte ai quesiti orali del Tribunale nell’udienza del 15 novembre 2005.

68      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare l’art. 2 della decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

69      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

70      La ricorrente deduce tre motivi a sostegno delle sue conclusioni, relativi, innanzi tutto, ad una violazione dei diritti della difesa, in secondo luogo, ad una violazione dell’art. 239 del CDC e, in terzo luogo, ad una violazione dell’art. 220, n. 2, lett. b), del CDC.

A –  Sul primo motivo, relativo ad una violazione dei diritti della difesa

1.     Argomenti delle parti

71      La ricorrente sostiene che i suoi diritti della difesa sono stati violati nel corso del procedimento amministrativo. Sostanzialmente, essa sostiene che, benché abbia preso visione del fascicolo contenente i documenti sui quali la Commissione ha fondato la decisione impugnata, essa non ha, tuttavia, potuto consultare alcuni documenti di importanza decisiva ai fini della valutazione globale della situazione da parte della Commissione. Inoltre, secondo la ricorrente, alcuni documenti che essa ha potuto consultare sarebbero incompleti. Infine, l’esame del fascicolo non le avrebbe permesso di distinguere i documenti considerati riservati da quelli che non lo erano, né di discernere i criteri impiegati a tal fine.

72      Innanzi tutto, la ricorrente sostiene che non le sono stati comunicati i seguenti documenti del fascicolo: 1) le relazioni integrali delle missioni dell’UCLAF in Turchia; 2) la totalità della corrispondenza scambiata dall’UCLAF e dalla Commissione con la Rappresentanza permanente turca e con le autorità competenti in Turchia; 3) la totalità della corrispondenza tra la Commissione e/o l’UCLAF e le autorità doganali nazionali, in particolare le autorità doganali italiane, e 4) i verbali delle riunioni del comitato di cooperazione doganale relativi ai certificati A.TR.1 giudicati irregolari o falsi nell’ambito dell’esportazione di succhi di frutta concentrati e di altre merci originarie della Turchia.

73      Peraltro, nella sua replica, la ricorrente sostiene di non aver potuto raccogliere informazioni sulla missione svolta dall’UCLAF in Turchia nell’ottobre 1998, alla quale la Commissione fa riferimento al punto 32 della decisione impugnata. Secondo la ricorrente, dalla consultazione del fascicolo emerge solo che il 13 e il 14 ottobre 1998 c’è stata una riunione dell’UCLAF con la Rappresentanza permanente turca, essendo tale riunione menzionata in una lettera dell’UCLAF del 21 ottobre 1998. La ricorrente afferma di non avere preso visione neppure delle lettere dell’UCLAF indirizzate alla Rappresentanza permanente turca, datate 1º e 9 dicembre 1998 e menzionate dalla Commissione nel suo controricorso.

74      La ricorrente sostiene che i documenti da essa indicati presentano un nesso non meramente eventuale, ma, al contrario, diretto e molto stretto con la questione se i certificati controversi siano realmente falsi o solo irregolari.

75      In secondo luogo, la ricorrente contesta la tesi della Commissione secondo cui il fatto che il suo mandatario abbia firmato un’attestazione con cui dichiara di aver preso visione di tutti documenti relativi alla causa confermerebbe che essa aveva potuto consultare tutti i documenti contenuti nel fascicolo. Al riguardo, la ricorrente sottolinea che tale attestazione costituisce un modulo predisposto e che, senza conoscere l’insieme dei documenti del fascicolo, la parte che procede alla consultazione non può in definitiva ritenersi soddisfatta. Quindi, la ricorrente afferma di essere venuta a conoscenza della detta dichiarazione, contenente l’elenco di documenti REC 10/01 ed allegata al controricorso della Commissione, solo nel momento in cui ha preso visione di tale allegato.

76      In terzo luogo, la ricorrente afferma che alcuni documenti da essa consultati erano incompleti e, quindi, che essa non ha avuto accesso alla totalità dei documenti allegati alla detta dichiarazione. Pertanto, la ricorrente contesta l’affermazione della Commissione secondo cui essa avrebbe potuto consultare l’integralità delle relazioni di missione dell’UCLAF in Turchia e dichiara di avere solo potuto prendere visione dei documenti relativi alle relazioni di missione del 9 e del 23 dicembre 1998, composte di due o tre pagine.

77      In quarto luogo, nella sua replica, la ricorrente contesta l’argomento della Commissione in base al quale essa non avrebbe, in ogni caso, il diritto di consultare alcuni documenti, tra i quali le relazioni di missione dell’UCLAF, essendo questi riservati. La ricorrente sostiene che non solo tali relazioni non sono riservate, non avendo del resto la Commissione dimostrato il loro carattere confidenziale, ma anche che relazioni simili sono state messe a disposizione ai fini di consultazione nell’ambito di analoghi procedimenti dinanzi al Tribunale.

78      La non riservatezza delle relazioni d’indagine deriverebbe dalle disposizioni del regolamento n. 1073/1999. Secondo la ricorrente, ai sensi dell’art. 9, n. 2, del detto regolamento, le relazioni d’indagine costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro nel quale risulti necessario avvalersene al medesimo titolo e alle medesime condizioni delle relazioni amministrative redatte dagli ispettori amministrativi nazionali, e lo stesso dovrebbe valere, a fortiori, per i procedimenti avviati dinanzi ai giudici comunitari.

79      Infine, la ricorrente dichiara di aver presentato, con lettera del 20 giugno 2003, una nuova domanda di consultazione del fascicolo, conformemente all’art. 255 CE, successivamente all’introduzione del presente ricorso. Tuttavia, in seguito alla risposta scritta della Commissione, in data 10 luglio 2003, essa non avrebbe consultato il fascicolo per la ragione che la Commissione avrebbe dichiarato che tale consultazione avrebbe riguardato esclusivamente documenti già esaminati dalla ricorrente, tra i quali, in particolare, i documenti relativi alle relazioni di missione dell’UCLAF.

80      La Commissione respinge in sostanza gli argomenti della ricorrente.

81      Innanzi tutto, essa fa valere che la decisione impugnata si fonda esclusivamente su elementi che la ricorrente ha avuto modo di esaminare, che figuravano già nelle osservazioni provvisorie della Commissione esposte nella lettera di quest’ultima datata 25 luglio 2002. Inoltre, la Commissione fa valere che, il 6 agosto 2002, la ricorrente ha avuto accesso al fascicolo sul quale si è fondata l’adozione della decisione impugnata e che essa ha espressamente riconosciuto, tramite una conferma scritta, di aver potuto consultare tutti i documenti che presentavano un nesso diretto o indiretto con il fascicolo. La Commissione afferma che l’elenco di documenti ai quali la ricorrente ha avuto accesso include le relazioni di missione dell’UCLAF, l’ampia corrispondenza tra l’UCLAF e le varie autorità turche, nonché la corrispondenza intercorsa tra la Commissione e/o l’UCLAF e le autorità doganali nazionali.

82      Nella sua controreplica, la Commissione contesta l’affermazione della ricorrente secondo cui il fascicolo da essa consultato il 6 agosto 2002 non conteneva le relazioni di missione dell’UCLAF, ma solo documenti ad esse relativi. La Commissione sostiene che, nel caso dei documenti in questione, si tratta effettivamente delle brevi relazioni originali redatte dall’UCLAF, in data 9 dicembre 1998 (n. 8279) e 23 dicembre 1998 (n. 8673), e non di mere dichiarazioni riassuntive.

83      In secondo luogo, la Commissione ricorda che non è richiesto che la Commissione dia accesso, di propria iniziativa, all’insieme dei «documenti contestuali» [Kontext-Dokumente] che presentano un nesso solo eventuale con il caso di specie, ma che, piuttosto, incombe all’interessato chiedere, se del caso, di poter consultare tali documenti conformemente all’art. 255 CE.

84      Nella fattispecie, i documenti che la ricorrente non ha potuto consultare costituirebbero «documenti contestuali». Orbene, la Commissione sottolinea che la nuova domanda di consultazione del fascicolo presentata dalla ricorrente il 20 giugno 2003, ossia dopo l’adozione della decisione impugnata, e accettata con lettera del 10 luglio 2003, non può avere alcuna incidenza dal punto di vista giuridico. Infatti, non solo la ricorrente non avrebbe dato seguito a tale domanda, ma, ad ogni modo, una domanda presentata dopo la conclusione di un procedimento amministrativo e in pendenza di una causa non potrebbe, a priori, implicare una lesione dei diritti procedurali nel procedimento amministrativo anteriore a tale domanda.

85      In terzo luogo, la Commissione sostiene che, ad ogni modo, i documenti in questione, essendo riservati, non sono oggetto del diritto di accesso al fascicolo. Al riguardo, la Commissione ricorda che il diritto di accesso al fascicolo non include la consultazione dei documenti riservati, quali le relazioni dell’UCLAF o dell’OLAF, la corrispondenza scambiata dalla Commissione con i paesi terzi e i verbali di riunioni a cui hanno partecipato parsi terzi, nonché la corrispondenza intercorsa tra la Commissione e le autorità degli Stati membri.

86      Peraltro, la Commissione contesta la pertinenza dell’interpretazione dell’art. 9, n. 2, del regolamento n. 1073/1999, suggerita dalla ricorrente. Secondo la Commissione, tale disposizione fa riferimento alla relazione finale redatta dall’UCLAF ai sensi dell’art. 9, n. 1, del regolamento, mentre l’art. 8 del regolamento verte sulla riservatezza e sulla tutela dei dati contenuti nei documenti adottati dall’OLAF.

2.     Giudizio del Tribunale

87      In via preliminare, occorre ricordare che il rispetto del diritto al contraddittorio dev’essere garantito nell’ambito dei procedimenti di sgravio di dazi all’importazione, tenuto conto in particolare del potere discrezionale di cui dispone la Commissione quando adotta una decisione in applicazione della clausola generale di equità prevista dall’art. 239 del CDC (sentenze del Tribunale 10 maggio 2001, cause riunite T‑186/97, T‑187/97, da T‑190/97 a T‑192/97, T‑210/97, T‑211/97, da T‑216/97 a T‑218/97, T‑279/97, T‑280/97, T‑293/97 e T‑147/99, Kaufring e a./Commissione, detta «Televisori turchi», Racc. pag. II‑1337, punto 152, e 27 febbraio 2003, causa T‑329/00, Bonn Fleisch Ex- und Import/Commissione, Racc. pag. II‑287, punto 45).

88      Tuttavia, occorre anche ricordare che, in tale ambito, il principio del rispetto dei diritti della difesa implica unicamente che l’interessato possa illustrare utilmente le proprie opinioni sugli elementi, ivi compresi i documenti che la Commissione, nel fondare la propria decisione, abbia contestato all’interessato medesimo. Tale principio non esige pertanto che la Commissione consenta, di propria iniziativa, l’accesso a tutti i documenti eventualmente connessi con il caso di specie sottoposto al suo esame nell’ambito di una domanda di sgravio. Incombe all’interessato, ove ritenga che tali documenti siano utili al fine di dimostrare l’esistenza di una situazione particolare e/o la mancanza di negligenza manifesta o di manovra fraudolenta da parte sua, chiedere l’accesso ai documenti stessi ai sensi delle disposizioni emanate dalle istituzioni sulla base dell’art. 255 CE (sentenze del Tribunale 11 luglio 2002, causa T-205/99, Hyper/Commissione, Racc. pag. II-3141, punto 63, e Bonn Fleisch Ex- und Import/Commissione, cit., punto 46).

89      Si deve inoltre ricordare che, per quanto attiene al procedimento amministrativo in materia di sgravio di dazi doganali, il Tribunale ha chiaramente precisato che è su richiesta della parte interessata che la convenuta è tenuta a consentire l’accesso a tutti i documenti amministrativi non riservati relativi alla decisione impugnata. In mancanza di una domanda in tal senso, non vi è quindi accesso automatico ai documenti in possesso della Commissione (sentenze del Tribunale 19 febbraio 1998, causa T‑42/96, Eyckeler & Malt/Commissione, Racc. pag. II‑401, punto 81; 17 settembre 1998, causa T‑50/96, Primex Produkte Import-Export e a./Commissione, Racc. pag. II‑3773, punto 64, e Bonn Fleisch Ex- und Import/Commissione, cit., punto 46).

90      È alla luce di tali principi che occorre esaminare il motivo relativo ad una violazione dei diritti della difesa.

91      È giocoforza constatare che nel suo ricorso la ricorrente riconosce esplicitamente di aver preso visione di tutti i documenti sui quali la Commissione ha fondato la sua decisione. Tuttavia essa non avrebbe potuto consultare taluni documenti di importanza decisiva ai fini della valutazione globale della situazione da parte della Commissione. Al riguardo, essa dichiara che i documenti che le sono stati trasmessi nell’ambito della consultazione del fascicolo sono incompleti. Infatti, la ricorrente afferma di non aver potuto consultare le due relazioni di missione dell’UCLAF del 9 e del 23 dicembre 1998 nella loro interezza, ma solo alcune «relazioni relative alle relazioni di missione». Allo stesso modo, essa afferma di non aver potuto consultare il rapporto della missione comunitaria del mese di ottobre 1998, menzionata al punto 32 della decisione impugnata, nonché le lettere dell’UCLAF del 1º e del 9 dicembre 1998 indirizzate alla Rappresentanza permanente turca, menzionate dalla Commissione nel suo controricorso.

92      Al riguardo, occorre constatare che i documenti ai quali fa riferimento la ricorrente non sono esplicitamente menzionati nella decisione impugnata. Ciò non esclude che alcuni di questi documenti abbiano potuto fondare tale decisione. Tuttavia, non si può ammettere che lo stesso valga per l’insieme dell’ampia corrispondenza alla quale fa riferimento la ricorrente. Essi costituiscono quindi, per lo meno per quanto riguarda un certo numero di essi, documenti che semplicemente attengono al contesto in cui si iscrive la causa.

93      In particolare, non si può affermare, e nessun elemento della decisione impugnata lo lascia supporre, che i verbali delle riunioni del comitato di cooperazione doganale relativi ai certificati A.TR.1 giudicati irregolari o falsi nell’ambito dell’esportazione di succhi di frutta concentrati e di altre merci originarie della Turchia siano serviti da fondamento alla decisione impugnata. La medesima conclusione si impone relativamente a un parere del servizio doganale di Ravenna del 12 giugno 1998, menzionato dalla Commissione nel suo controricorso, che la ricorrente sostiene di non aver potuto consultare.

94      Ad ogni modo, l’omessa trasmissione di documenti che non sono serviti da fondamento alla decisione impugnata è irrilevante, dato che siffatti documenti non possono in nessun caso incidere sulla stessa. Pertanto, il presente motivo, nella parte in cui verte sulla mancata trasmissione di tali documenti, dev’essere respinto in quanto inconferente.

95      Invece, la situazione è diversa in caso di mancata comunicazione di documenti di cui la Commissione ha tenuto conto per fondare la propria decisione.

96      Nell’ambito dell’esame di tali documenti, si deve ricordare che, nel caso di specie, con lettera del 25 luglio 2002, la Commissione ha comunicato alla ricorrente la sua analisi provvisoria secondo cui non erano riunite le condizioni per riconoscere uno sgravio dei dazi all’importazione. È quindi pacifico che, con tale lettera della Commissione, la ricorrente è stata messa in grado, prima dell’adozione della decisione impugnata, di prendere posizione e di rendere noto il suo punto di vista sugli elementi che giustificavano, secondo la Commissione, il rigetto della domanda di sgravio.

97      Del resto la ricorrente non contesta tale allegazione, ma sostiene che il principio del rispetto dei diritti della difesa è stato violato nella misura in cui le è stato negato l’accesso ad alcuni documenti sui quali la Commissione aveva fondato la sua decisione o, quanto meno, nella misura in cui tali documenti non erano completi.

98      Tuttavia, è giocoforza constatare che, in seguito alla lettera della Commissione del 25 luglio 2002, il rappresentante della ricorrente ha consultato il fascicolo relativo alla decisione impugnata presso i locali della Commissione, il 6 agosto 2002. In tale occasione, il detto rappresentante ha firmato una dichiarazione scritta con la quale confermava esplicitamente di aver preso visione di tutti i documenti connessi direttamente e indirettamente con il fascicolo controverso. Inoltre, a tale dichiarazione è stato allegato un elenco che enumerava tutti i documenti consultati dal detto rappresentante.

99      Orbene, occorre rilevare che tale elenco menziona le relazioni di missione dell’UCLAF del 9 e del 23 dicembre 1998, recanti, rispettivamente, i numeri 8279 e 8673. In risposta ad un quesito scritto del Tribunale, la Commissione ha depositato due relazioni recanti gli stessi numeri. In udienza, la Commissione ha comunicato al Tribunale che tali relazioni corrispondevano effettivamente alle brevi relazioni complete, da un lato, del 9 dicembre 1998, relativa alla missione eseguita dal 12 al 15 ottobre 1998 (n. 8279), e, dall’altro, del 23 dicembre 1998, relativa alla missione d’indagine condotta dal 30 novembre al 2 dicembre 1998 (n. 8673), e che nessun’altra relazione era stata redatta relativamente alle due missioni dell’UCLAF. Il Tribunale dichiara che la coincidenza tra i numeri indicati nella prima pagina della relazione ed i numeri riportati nell’elenco allegato alla dichiarazione del rappresentante della ricorrente, in data 6 agosto 2002, dimostra che la ricorrente, contrariamente a quanto da essa sostenuto, ha avuto accesso alle relazioni di missione. Per quanto riguarda la domanda, presentata dalla ricorrente, di accesso al rapporto della missione comunitaria del mese di ottobre 1998, è sufficiente rilevare che un tale rapporto non esiste. Infatti, da un lato, come precisato dalla Commissione in udienza, la relazione n. 8279 è la sola relazione redatta in riferimento alla missione svolta dal 12 al 15 ottobre 1998 e, dall’altro, la decisione impugnata non contiene nessun riferimento ad un tale rapporto.

100    Per quanto riguarda, poi, le lettere dell’UCLAF del 1º dicembre e del 9 dicembre 1998 menzionate dalla ricorrente, si rileva, da un lato, che l’elenco dei documenti da essa consultati, datato 6 agosto 2002, fa riferimento alla lettera dell’UCLAF n. 8281, datata 9 dicembre 1998, indirizzata alla Rappresentanza permanente turca. Pertanto, occorre constatare che la ricorrente ha senz’altro preso visione di tale documento. Dall’altro, per quanto riguarda la lettera del 1º dicembre 1998, la Commissione ha precisato, nell’ambito di un quesito scritto del Tribunale, che tale lettera non esisteva e che il riferimento operato nel suo controricorso ad una lettera dell’UCLAF del 1º dicembre 1998 costituiva un errore. Al riguardo, si rileva che tale precisazione è confermata dall’elenco del 6 agosto 2002, che, per il 1º dicembre 1998, indica solo una lettera del Ministero turco della Giustizia indirizzata all’UCLAF.

101    Quanto alle comunicazioni scambiate dalla Commissione e dall’UCLAF con le autorità turche e le autorità doganali nazionali degli Stati membri, è sufficiente rilevare che nessun elemento lascia supporre che la Commissione abbia fondato la decisione impugnata su documenti diversi da quelli contenuti nel fascicolo consultato dalla ricorrente il 6 agosto 2002.

102    Nel corso del procedimento amministrativo la ricorrente non ha presentato nessuna domanda di accesso ad altri elementi del fascicolo. Per quanto riguarda la domanda di consultazione presentata dalla ricorrente successivamente all’adozione della decisione impugnata e all’introduzione del presente ricorso, è giocoforza constatare che essa non rileva ai fini della valutazione di un’eventuale lesione dei diritti della difesa della ricorrente durante il procedimento amministrativo e non può che restare senza incidenza alcuna sulla legittimità della detta decisione. Ad ogni modo, si rileva che, con lettera del 10 luglio 2003, la Commissione ha comunicato alla ricorrente che quest’ultima era autorizzata a consultare i documenti in questione conformemente alla domanda presentata ai sensi dell’art. 255 CE. Orbene, la ricorrente non ha seguito tale invito.

103    Il primo motivo deve quindi essere respinto.

B –  Sul secondo motivo, relativo ad una violazione dell’art. 239 del CDC

104    Il presente motivo si articola intorno a quattro capi. Il primo capo verte sull’erronea qualifica del certificato di circolazione A.TR.1 D 437214. Il secondo e il terzo capo espongono, rispettivamente, i gravi inadempimenti imputati alle autorità turche e quelli addebitati alla Commissione. Infine, il quarto capo verte sull’assenza di negligenza manifesta in capo alla ricorrente e sulla valutazione dei rischi commerciali.

1.     1. Sul certificato di circolazione A.TR.1 D 437214

a)     Argomenti delle parti

105    La ricorrente afferma che la Commissione ha commesso un errore nella parte controversa della decisione impugnata includendo il certificato A.TR.1 D 437214 tra i certificati qualificati come non autentici. Secondo la ricorrente, dagli elementi del fascicolo emerge che tale certificato andava considerato semplicemente invalido e, quindi, i relativi dazi all’importazione avrebbero dovuto essere rimborsati. Svariati elementi del fascicolo dimostrerebbero che le autorità turche non hanno qualificato il certificato D 437214 come non autentico. La ricorrente avrebbe segnalato tale errore alla Commissione con lettera del 17 dicembre 2002.

106    Innanzi tutto, la ricorrente fa valere che solo la lettera dell’amministrazione delle dogane turca (Prime Minister, Undersecretariate for Customs) dell’8 marzo 1999, indirizzata all’amministrazione doganale italiana, potrebbe avallare la tesi della non autenticità del detto certificato. Tuttavia, non vi sarebbe specificato se questo sia irregolare o non autentico, ma solo che esso «non è stato rilasciato e vistato dal[l’]ufficio doganale [turco]» (was not issued and endorsed by our customs office).

107    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che tale lettera è stata, però, revocata dalle autorità turche, in particolare con la lettera della Rappresentanza permanente turca del 22 aprile 1999, in cui si affermerebbe, in chiari termini, che il certificato in questione «non [era] esatto e non [era] stato rilasciato secondo le regole» ([was] not correct and [was] not issued according to the rules), ossia che esso era stato rilasciato a torto.

108    Nella sua replica, la ricorrente rileva che i termini «not correct» indicherebbero, in modo inequivocabile, che il certificato in questione era irregolare. L’aggiunta «not issued according to the rules» consentirebbe una sola interpretazione, ossia che l’autorità doganale turca ha redatto e rilasciato il detto certificato contravvenendo alle regole in materia di origine delle merci in Turchia. Tale tesi sarebbe avallata dalla frase «è stato ritenuto che tali documenti fossero stati rilasciati nell’ambito del regime di transito» (it has been understood that these documents had been issued for transit trade), contenuta nella stessa lettera. L’autorità doganale turca avrebbe quindi ammesso di avere anche rilasciato certificati di circolazione delle merci sotto un regime di transito, ossia per succo di mela concentrato di provenienza dall’Iran, che non sarebbe stato trasformato nell’ambito del regime di perfezionamento attivo in Turchia.

109    In terzo luogo, la ricorrente sottolinea che la lettera del 22 aprile 1999 della Rappresentanza permanente turca menziona, oltre al certificato A.TR.1 D 437214, altri due certificati di circolazione delle merci, ossia quelli recanti i numeri di riferimento C 982920 e C 982938. La Rappresentanza permanente turca avrebbe stimato che tali certificati «non [erano] esatti e non erano stati rilasciati secondo le regole» ([were] not correct and were not issued according to the rules), senza operare alcuna distinzione tra di essi. Orbene, la ricorrente avrebbe chiesto il rimborso dei dazi all’importazione relativi a tali due certificati. Le autorità doganali italiane li avrebbero qualificati come invalidi ed essi rientrerebbero nel lotto di certificati relativamente ai quali la decisione impugnata concede il rimborso dei dazi. La ricorrente afferma quindi di non vedere alcun motivo per il quale il certificato D 437214 debba essere oggetto, sul piano giuridico e su quello fattuale, di una valutazione diversa da quella formulata per i certificati C 982920 e C 982938. Contrariamente a quanto dichiarato dalla Commissione, la lettera del 22 aprile 1999 non apporterebbe alcuna rettifica esplicita alla lettera dell’8 marzo 1999, non contenendo alcun espresso riferimento a quest’ultima e limitandosi a menzionare comunicazioni anteriori.

110    In quarto luogo, la ricorrente sostiene che l’esattezza della sua tesi è anche confermata da una lettera del 10 agosto 1999 della Rappresentanza permanente turca. Alla pagina 3, sub X, della detta lettera, sarebbe nuovamente confermato che i certificati di circolazione delle merci menzionati nella lettera del 22 aprile 1999, ivi incluso il certificato D 437214, sono stati rilasciati in regime di transito per succo di mela non originario della Turchia. Tale lettera non affermerebbe invece che i certificati menzionati erano non autentici o falsificati. La lettera dell’UCLAF alla Rappresentanza permanente turca del 9 dicembre 1998 conterrebbe la medesima valutazione, laddove qualifica il certificato A.TR.1 D 437214 come «inesatto» (not correct).

111    Infine, nella sua replica, la ricorrente contesta la tesi della Commissione secondo cui la lettera dell’amministrazione doganale italiana del 24 marzo 2003 confermerebbe la non autenticità del certificato in questione. Secondo la ricorrente, in tale lettera le autorità italiane fanno riferimento solo alla lettera dell’amministrazione doganale turca dell’8 marzo 1999, senza però commentare la lettera, a sua volta allegata, della Rappresentanza permanente turca del 22 aprile 1999. Inoltre, una lettera del Ministero italiano delle Finanze del 18 maggio 1999, contenuta in allegato al fascicolo, verterebbe verosimilmente sulla lettera della Rappresentanza permanente turca del 22 aprile 1999 e sul certificato D 437214, dichiarando che si trattava di un certificato irregolare. Le autorità doganali italiane avrebbero perfino indirizzato una nuova richiesta di precisazioni all’amministrazione doganale turca in merito alla qualifica del certificato D 437214, senza che questa abbia ancora risposto.

112    La Commissione sottolinea che, ai sensi alla normativa applicabile nel caso di specie nell’ambito dell’Accordo di associazione, spetta alle autorità turche verificare l’autenticità dei certificati di origine turchi. Al riguardo, la Commissione ricorda che il Tribunale, nella sua citata sentenza Bonn Fleisch Ex- und Import/Commissione (punto 77), ha statuito che la Commissione poteva accettare le dichiarazioni delle autorità spagnole relative alla non autenticità di estratti di certificati d’importazione e che nessuna indagine supplementare da parte sua era necessaria a tal riguardo. Secondo la Commissione, se essa può fidarsi delle dichiarazioni di autorità di Stati membri relativamente all’autenticità di tali documenti, lo stesso vale, a fortiori, per le autorità di un paese terzo, che non è vincolato dal Trattato CE e non è soggetto alle competenze della Commissione in materia.

113    Quindi, la Commissione contesta l’interpretazione data dalla ricorrente alle varie lettere menzionate e sostiene che nessun errore può esserle imputato, considerato che il certificato in questione è stato qualificato come falso dalle autorità turche.

114    Infatti, la Commissione ritiene che la lettera dell’8 marzo 1999 dell’amministrazione doganale turca vada letta nel senso che la qualifica del certificato in questione come falso era dovuta al fatto che esso non era stato rilasciato dalle autorità doganali turche. Orbene, secondo la Commissione, le autorità turche non hanno ritrattato in nessun momento e in nessun documento la propria dichiarazione dell’8 marzo 1999, secondo cui il certificato di circolazione delle merci in questione non era stato rilasciato dai loro servizi.

115    Innanzi tutto, la Commissione afferma che, nella sua lettera del 22 aprile 1999, la Rappresentanza permanente turca non ha ritrattato la dichiarazione precedente, secondo cui il certificato era falso, ma ha solo dichiarato che esso non era esatto e non era stato rilasciato secondo la normativa applicabile.

116    In secondo luogo, la falsificazione del detto certificato sarebbe stata confermata dall’UCLAF, con lettera del 6 maggio 1999, nonché dall’amministrazione centrale delle dogane italiana, con lettera del 18 maggio 1999. A tali due lettere fanno riferimento le autorità doganali italiane in una comunicazione inviata alla Commissione il 24 gennaio 2003. La ricorrente sarebbe stata informata di tali dichiarazioni con lettera del 18 marzo 2003.

117    In terzo luogo, le autorità doganali italiane, nelle loro lettere del 7 giugno 2002 e del 10 settembre 2003, avrebbero anche confermato alla Commissione che l’amministrazione delle dogane turca era giunta alla conclusione che il certificato era stato falsificato.

118    In quarto luogo, la Commissione sostiene che, con lettera del 22 agosto 2003 indirizzata all’amministrazione doganale italiana, l’amministrazione delle dogane turca ha, ancora una volta, confermato la sua dichiarazione dell’8 marzo 1999, affermando che il detto certificato era falsificato. In essa si preciserebbe, inoltre, che l’ispettore dell’amministrazione doganale turca competente in materia aveva riesaminato tale caso e aveva concluso per la falsificazione del detto certificato.

119    Infine, la Commissione insiste sull’irrilevanza della dichiarazione della ricorrente secondo cui l’amministrazione delle dogane turca avrebbe anche rilasciato certificati di circolazione delle merci per un commercio di transito. Secondo la Commissione, da un lato, la ricorrente si riferisce a certificati di circolazione delle merci inesatti, i quali non formano l’oggetto del presente procedimento. Dall’altro, i certificati inesatti ai quali la ricorrente si riferisce non sarebbero stati rilasciati dalle autorità turche per un commercio di transito, ma, al contrario, riguarderebbero le merci provenienti da un commercio di transito.

b)     Giudizio del Tribunale

120    Per giurisprudenza costante, la determinazione dell’origine delle merci si basa sulla ripartizione delle competenze fra le autorità dello Stato d’esportazione e quelle dello Stato d’importazione, nel senso che l’origine viene accertata dalle autorità dello Stato d’esportazione, mentre il controllo del funzionamento di tale regime viene garantito dalla collaborazione fra le amministrazioni interessate. Questo sistema si spiega con il fatto che le autorità dello Stato esportatore possono più agevolmente accertare direttamente i fatti che condizionano l’origine (sentenza della Corte 14 maggio 1996, cause riunite C‑153/94 e C‑204/94, Faroe Seafood e a., Racc. pag. I‑2465, punto 19).

121    Il sistema previsto può funzionare solo qualora l’amministrazione doganale dello Stato importatore accetti le valutazioni effettuate legalmente dalle autorità dello Stato esportatore (sentenza Faroe Seafood e a., cit., pag. 20). Il riconoscimento di tali decisioni da parte delle amministrazioni doganali degli Stati membri è necessario perché la Comunità possa pretendere, a sua volta, dalle autorità degli altri Stati legati nei suoi confronti nell’ambito di regimi di libero scambio, l’osservanza delle decisioni adottate dalle autorità doganali degli Stati membri relative all’origine delle merci esportate dalla Comunità in tali Stati (sentenza della Corte 12 luglio 1984, causa 218/83, Les Rapides Savoyards, Racc. pag. 3105, punto 27).

122    Nel caso di specie, al fine di determinare se sia a ragione che la Commissione ha concluso per la falsificazione del certificato D 437214, occorre esaminare la corrispondenza intercorsa tra questa, le autorità doganali italiane e le competenti autorità turche. Al riguardo occorre rilevare che la Commissione si è fondata essenzialmente sulla lettera delle autorità turche dell’8 marzo 1999, indirizzata al servizio doganale di Ravenna, per quanto riguarda la parte della decisione impugnata relativa ai certificati falsificati.

123    Orbene, tale lettera contiene in allegato l’elenco dei 32 certificati che, secondo le autorità turche, costituiscono falsificazioni e tra i quali si trova il certificato D 437214. Al riguardo occorre constatare che i termini impiegati dalle autorità turche in tale lettera, secondo cui «i certificati elencati in allegato non sono esatti e non sono stati rilasciati e vistati dal nostro ufficio doganale» (the certificates that have been listed in annex are not correct and were not issued and endorsed by our customs office), indicano chiaramente che esse erano giunte alla conclusione che i certificati enumerati erano falsificati.

124    Tuttavia, si deve rilevare che da una comparazione tra il contenuto della lettera dell’8 marzo 1999 e quello delle comunicazioni successive delle autorità turche emergono alcune ambiguità relativamente alla qualifica del certificato D 437214. Infatti, la lettera della Rappresentanza permanente turca all’UCLAF del 22 aprile 1999, redatta in inglese, menziona sei certificati, tra i quali il certificato in questione, qualificandoli come «inesatti e non conformi alle regole in materia d’origine» (not correct and (…) not issued according to the rules). Secondo questa stessa lettera, tali sei certificati sarebbero stati emessi per un commercio di transito.

125    Sembra quindi che la differenza tra le dichiarazioni contenute nella lettera dell’8 marzo 1999 e quelle del 22 aprile 1999 derivi dall’interpretazione da dare all’espressione «not correct (…) and not issued according to the rules». Anche se la formulazione «not correct», ripresa nella lettera dell’UCLAF del 9 dicembre 1998, non risolve la questione di un’eventuale falsificazione, ciò nondimeno tale espressione avrebbe potuto essere interpretata nel senso che i certificati in questione non erano falsificati.

126    Alla luce di tali ambiguità, il carattere falsificato o semplicemente irregolare del certificato D 437214 non poteva essere dedotto con certezza dagli elementi di cui disponeva la Commissione prima dell’adozione della decisione impugnata. Gli argomenti della Commissione, fondandosi sul contenuto delle lettere delle autorità italiane del 24 gennaio 2003 e del 7 giugno 2002, non inficiano in alcun modo tale conclusione.

127    Innanzi tutto, la lettera del 24 gennaio 2003 menziona due lettere, ossia una lettera dell’UCLAF del 6 maggio 1999 ed una lettera della direzione centrale delle dogane di Roma del 18 maggio 1999. Orbene, è giocoforza constatare che le ultime due lettere si fondano sulle affermazioni contenute nella lettera delle autorità turche del 22 aprile 1999. Inoltre, per quanto riguarda la lettera del 7 giugno 2002, si rileva che questa si limita ad enumerare i certificati considerati falsificati, fondandosi in particolare sulla lettera delle autorità turche dell’8 marzo 1999, senza aggiungervi elementi nuovi. Orbene, con lettera del 12 novembre 2001, la ricorrente avrebbe segnalato alla Commissione che dalla lettera della Rappresentanza permanente turca del 22 aprile 1999 emergeva che il certificato D 437214 andava qualificato come inesatto e non come falsificato.

128    Da quanto precede risulta che, alla luce delle differenze rilevate, la Commissione non era in grado di concludere validamente che il certificato D 437214 era stato falsificato prima dell’adozione della decisione impugnata.

129    Tuttavia, occorre rilevare che, in seguito ad una domanda presentata dalla ricorrente con una lettera del 17 dicembre 2002, ossia successivamente all’adozione dell’atto impugnato, la Commissione ha nuovamente interrogato le autorità italiane in merito alla qualifica del certificato in questione. Queste hanno ritenuto necessario chiedere delucidazioni ulteriori alle autorità turche. Con lettera del 22 agosto 2003, le autorità turche hanno non solo confermato le conclusioni contenute nella loro lettera dell’8 marzo 1999, ma hanno anche affermato che il loro ispettore doganale aveva concluso che si trattava di una falsificazione, dissipando così tutti i dubbi relativi alla falsificazione del certificato D 437214.

130    È quindi giocoforza constatare che è solo sulla base della conferma contenuta in quest’ultima comunicazione che gli elementi del fascicolo amministrativo permettevano alla Commissione di affermare con certezza che il certificato in questione era un falso. Di conseguenza, tenuto conto degli elementi summenzionati, all’epoca dell’adozione della decisione impugnata la Commissione non poteva validamente rifiutare il rimborso dei dazi doganali relativi alle merci coperte dal certificato D 437214, bensì avrebbe dovuto limitarsi a sospendere il detto rimborso.

131    Tuttavia, tale considerazione non basta, di per sé, ai fini dell’annullamento della decisione impugnata.

132    Infatti, un ricorrente non ha alcun interesse legittimo all’annullamento per vizio di forma di una decisione nel caso in cui l’annullamento della decisione possa solo dar luogo all’adozione di una nuova decisione, identica, nella sostanza, alla decisione annullata [v. sentenza del Tribunale 3 dicembre 2003, causa T‑16/02, Audi/UAMI (TDI), Racc. pag. II‑5167, punti 97 e 98 e giurisprudenza ivi citata]. Orbene, nel caso di specie, dal precedente punto 129 risulta che il certificato D 437214 dev’essere qualificato come falso.

133    Pertanto, si rileva che il ricorrente non ha alcun interesse legittimo all’annullamento parziale della decisione impugnata, dato che tale annullamento porterebbe solo all’adozione di una nuova decisione identica nel merito. Pertanto, il presente capo del secondo motivo dev’essere respinto in quanto inconferente.

2.     Sugli inadempimenti imputabili alle autorità turche

134    In sostanza, la ricorrente sostiene che le autorità turche hanno commesso una grave violazione degli obblighi ad esse incombenti in forza dell’Accordo di associazione e delle sue disposizioni complementari. Infatti, esse non avrebbero solo dissimulato la verità qualificando i 32 certificati controversi come falsi, ma avrebbero anche sistematicamente adottato comportamenti illeciti rilasciando certificati di circolazione per merci non originarie della Turchia. Secondo la ricorrente, il regime preferenziale previsto dall’Accordo di associazione è stato eluso allo scopo di esportare nell’Unione europea, a tassi preferenziali, rilevanti quantità di merci originarie di paesi terzi, presentandole come prodotti turchi grazie alla compilazione di certificati di circolazione delle merci. Tale politica emergerebbe chiaramente dal ritmo, assai elevato, di crescita delle importazioni ed esportazioni turche dal 1993 al 1996. Nel caso di specie, i certificati controversi costituirebbero documenti autentici, essendo stati registrati e rilasciati dall’ufficio doganale di Mersin (Turchia).

135    La Commissione respinge in sostanza gli argomenti della ricorrente e sostiene che tutto il ricorso si fonda sull’affermazione secondo cui i 32 certificati controversi non costituiscono falsificazioni, ma, al contrario, sarebbero stati rilasciati dalle autorità doganali turche di Mersin, che avrebbero rilasciato dichiarazioni mendaci in merito ad essi. Tuttavia, secondo la Commissione, la ricorrente non è in grado di fornire la minima prova a sostegno di tale tesi, peraltro smentita dalle dichiarazioni chiare e circostanziate delle autorità turche.

a)     Sui facsimile dei timbri e delle firme

 Argomenti delle parti

136    Innanzi tutto, la ricorrente sostiene che le impronte dei timbri e le firme apposte sui certificati controversi dimostrano che essi sono stati verosimilmente rilasciati ed autenticati dalle autorità turche.

137    Secondo la ricorrente, l’amministrazione centrale turca delle dogane ha confermato di aver inviato alla Commissione i facsimile delle impronte dei timbri, i quali sono stati inoltrati a tutte le autorità doganali nazionali della Comunità prima del 1995. A sostegno di tale affermazione, la ricorrente adduce che il Ministero italiano delle Finanze le ha permesso di fotocopiare cinque documenti, di cui disporrebbe anche la Commissione, che attestano che le autorità turche avevano trasmesso alle autorità italiane e alla Commissione le copie dei facsimile in questione.

138    Orbene, le autorità doganali italiane, che disporrebbero quindi di copie dei timbri originali, avrebbero proceduto a comparazioni con i timbri e le firme apposti sui certificati controversi e li avrebbero ciò nondimeno accettati. Inoltre, le copie dei certificati controversi, considerati non autentici o falsificati, non sarebbero distinguibili da altri certificati qualificati come regolari. Peraltro, i timbri apposti sui certificati, o perlomeno sulle copie, sarebbero, in parte, stampati male e appena leggibili. Orbene, i servizi doganali di Mersin avrebbero confermato alla ricorrente che i timbri da essi utilizzati erano appena leggibili.

139    In secondo luogo, la ricorrente afferma che l’obbligo, per le autorità turche, di trasmettere alla Commissione i facsimile delle impronte dei timbri e delle firme utilizzati dai loro uffici doganali per vistare i certificati di trasporto delle merci deriva sia dal regime preferenziale istituito con la Repubblica di Turchia, sia dall’art. 93 del regolamento d’applicazione del CDC. Contrariamente alla tesi della Commissione, l’art. 4 della decisione n. 1/96 opererebbe un rinvio all’art. 93 del regolamento d’applicazione del CDC e lo adatterebbe ove i termini «modulo A» ivi impiegati venissero sostituiti dai termini «A.TR.1». Non sarebbe quindi necessario prevedere espressamente l’obbligo di comunicazione dei facsimile nelle decisioni del Consiglio di associazione. La Commissione avrebbe torto nel sostenere che, per quanto riguarda le norme in materia di origine, il rinvio all’Accordo di associazione ed alle disposizioni rilevanti del Consiglio di associazione operato dall’art. 27, lett. a), e dall’art. 20, n. 3, lett. d), del CDC esclude l’obbligo di trasmettere i detti facsimile.

140    Inoltre, l’obbligo di comunicare i facsimile varrebbe non solo per i certificati rilasciati secondo la procedura semplificata prevista dall’art. 12, n. 5, della decisione n. 1/96, ma sarebbe imposto in via generale e costituirebbe la base del controllo sull’autentiticità e sulla regolarità dei detti certificati. Tale obbligo deriverebbe anche dall’art. 26 della decisione n. 1/95, relativo al miglioramento progressivo del regime preferenziale per gli scambi di prodotti agricoli.

141    All’argomento della Commissione secondo cui, non essendo la Repubblica di Turchia membro della Comunità, rientrerebbe nel suo potere sovrano di imporre o meno un tale obbligo di comunicazione, la ricorrente controbatte che vi sono altri Stati sovrani con cui è stata convenuta la comunicazione dei timbri e delle firme nell’ambito della cooperazione amministrativa. La ricorrente cita, a titolo di esempio, l’accordo euromediterraneo concluso con lo Stato d’Israele il 21 giugno 2000 (GU L 147, pag. 1).

142    Infine, la ricorrente sottolinea che, se, nell’ambito dei certificati che erano stati emessi in applicazione dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT) del 1994, l’obbligo di trasmettere alla Commissione i timbri e le firme dell’autorità doganale nazionale esiste perfino all’interno dell’Unione europea, con la sua unione doganale ed un mercato agricolo comune, esso dovrebbe, a fortiori, valere, sulla base delle disposizioni summenzionate, nelle relazioni tra la Comunità e la Repubblica di Turchia.

143    La Commissione afferma, innanzi tutto, che le autorità turche non erano tenute a trasmetterle i facsimile dei timbri e delle firme usati nei loro uffici doganali. Secondo la Commissione, l’art. 93 del regolamento d’applicazione del CDC non è applicabile nella fattispecie, in quanto, da un lato, esso riguarda solo i formulari APR ed i certificati d’origine «modulo A», relativi solo all’importazione di merci provenienti da paesi in via di sviluppo e, dall’altro, l’art. 20 del CDC non lo dichiara applicabile, per analogia, nell’ambito dell’Accordo di associazione.

144    Inoltre, la Commissione sostiene che nemmeno l’art. 28, n. 4, del regolamento (CEE) 16 novembre 1988, n. 3719, che stabilisce le modalità comuni d’applicazione del regime dei titoli d’importazione, di esportazione e di fissazione anticipata relativi ai prodotti agricoli (GU L 331, pag. 1), quale interpretato nella citata sentenza Bonn Fleisch Ex- und Import/Commissione, impone un tale obbligo di comunicazione, in quanto l’art. 1 del detto regolamento ne limiterebbe l’ambito di applicazione. Infatti, l’unione doganale e/o l’Accordo di associazione non vi sarebbero menzionati, mentre le decisioni del Consiglio di associazione e/o i regolamenti della Comunità che li approvano non dichiarerebbero che il regolamento n. 3719/88 è applicabile per analogia a tale ambito.

145    Peraltro, la Commissione ritiene che l’analogia con la convenzione mediterranea tra l’Unione europea e lo Stato d’Israele non permetta di concludere per l’applicabilità dell’art. 93 del regolamento d’applicazione del CDC. Infatti, a ciò osterebbe la formulazione esplicita dell’Accordo di associazione e delle decisioni del Consiglio di associazione.

146    Inoltre, la Commissione sostiene che la ricorrente non tiene in debita considerazione il fatto che, ai sensi del regime previsto dall’Accordo di associazione, il controllo e la constatazione eventuali del carattere non autentico dei certificati di circolazione delle merci A.TR.1 spettano alle competenti autorità turche e non alle istituzioni comunitarie. Orbene, secondo la Commissione, le autorità turche hanno chiaramente dichiarato a più riprese, e in particolare nella summenzionata lettera dell’8 marzo 1999, che i 32 certificati controversi non erano autentici, in quanto falsificati. Pertanto, le supposizioni della ricorrente relativamente all’autenticità dei certificati controversi sarebbero prive di rilevanza.

147    Infine, alle affermazioni della ricorrente circa la vetustà dei timbri e la scarsa leggibilità delle loro impronte la Commissione controbatte che ciò non implica necessariamente che i timbri usati dalle autorità turche sull’originale fossero vetusti o illeggibili, in quanto la ricorrente fa riferimento alle copie. Inoltre, la vetustà dei timbri ed il grado di leggibilità delle loro impronte non costituirebbero assolutamente indizi del fatto che i certificati in questione siano stati rilasciati dalle autorità turche.

 Giudizio del Tribunale

–       Osservazioni preliminari

148    In via preliminare occorre rilevare che, per giurisprudenza consolidata, al fine di valutare l’esistenza di inadempimenti da parte delle autorità di paesi terzi e/o della Commissione, idonei ad integrare situazioni particolari ai sensi dell’art. 239 del CDC, occorre esaminare, caso per caso, la natura effettiva degli obblighi incombenti, rispettivamente, alle autorità medesime e alla Commissione sulla base della normativa pertinente (sentenza Hyper/Commissione, cit., punto 117).

149    A tale titolo, si rileva che l’argomento della ricorrente si fonda sostanzialmente sulla tesi secondo cui le autorità turche hanno effettivamente rilasciato e vistato i certificati controversi. I vari inadempimenti addebitati dalla ricorrente alle autorità turche costituirebbero indizi della fondatezza della sua tesi. Quindi, la ricorrente sostiene che la situazione particolare in cui si trovava risulta dall’insieme delle circostanze del caso di specie, ed in particolare da quelle relative agli inadempimenti da essa imputati alle autorità turche.

–       Nel merito

150    Per quanto riguarda gli inadempimenti relativi ai timbri e alle firme imputati alle autorità turche, occorre rilevare che gli argomenti della ricorrente aventi ad oggetto l’asserita originalità dei timbri e delle firme apposti sui certificati controversi sono privi di rilevanza. Infatti, l’accertamento del carattere originale o falsificato dei documenti emessi dalle autorità spetta esclusivamente a queste ultime, come ricordato ai precedenti punti 120 e 121. Orbene, nel caso di specie le autorità turche hanno concluso per la natura falsificata dei certificati controversi. Pertanto, anche ammettendo che i timbri originali di cui disponevano le autorità doganali di Mersin fossero poco leggibili, il fatto che i timbri apposti sui certificati controversi siano parimenti poco leggibili è irrilevante. Un’identica conclusione s’impone per quanto riguarda gli argomenti della ricorrente relativi alla somiglianza tra le copie dei certificati controversi in suo possesso e dei certificati non falsificati.

151    Infine, occorre anche respingere l’argomento della ricorrente secondo cui il fatto che le autorità doganali italiane abbiano paragonato le impronte dei timbri di cui disponevano con i certificati controversi prima di accettarli permetterebbe di concludere per l’autenticità degli stessi. Infatti, per giurisprudenza costante, il debitore non può nutrire un legittimo affidamento quanto alla validità dei certificati per il fatto che essi siano stati ritenuti inizialmente veritieri dalle autorità doganali di uno Stato membro, dato che le operazioni effettuate dai detti uffici nell’ambito dell’accettazione iniziale delle dichiarazioni non ostano affatto all’esercizio di controlli successivi (v. sentenza Faroe Seafood e a., cit., punto 93, e la giurisprudenza ivi citata).

152    Di conseguenza, gli argomenti della ricorrente al riguardo, non consentendole di dimostrare l’esistenza di giustificazioni atte a configurare una situazione particolare, devono essere respinti.

b)     Sulla registrazione dei certificati da parte delle autorità turche

 Argomenti delle parti

153    La ricorrente sostiene che l’autenticità dei certificati controversi è confermata dal fatto che essi sono stati ufficialmente registrati. Al riguardo, la ricorrente afferma che l’ufficio doganale di Mersin possiede un registro recante i numeri di registrazione dei 32 certificati controversi. A sostegno di tale affermazione, la ricorrente fa valere che suoi mandatari hanno preso visione di tali registri alla dogana di Mersin e hanno chiesto a un funzionario turco presso tale ufficio doganale di fornirne una copia. Questi, benché inizialmente disponibile ad accogliere la richiesta, avrebbe poi rifiutato in seguito a minacce.

154    Relativamente all’obbligo, incombente alle autorità turche, di registrare i numeri dei certificati A.TR.1 in registri doganali, la ricorrente respinge l’argomento della Commissione secondo cui ciò non sarebbe imposto da nessuna decisione del Consiglio di associazione. Secondo la ricorrente, una tale registrazione costituisce una questione interna all’ordinamento giuridico turco, e sarebbe così ovvia da rendere superflua una decisione del Consiglio di associazione.

155    Ciò nondimeno, una buona reciproca assistenza esigerebbe non solo la registrazione dei certificati A.TR.1, ma anche la loro archiviazione in Turchia. Al riguardo, la ricorrente rinvia all’art. 7, n. 2, dell’allegato 7 alla decisione n. 1/95, ai sensi del quale le domande di assistenza vengono trattate conformemente alle disposizioni legislative della parte contraente interpellata. Tale disposizione obbligherebbe anche le autorità doganali turche a registrare i certificati da esse rilasciati trascrivendo per lo meno i dati che devono essere indicati nella casella 12 degli A.TR.1. In assenza di una registrazione dei certificati, sarebbe assolutamente impossibile fornire le informazioni relative alla loro autenticità e regolarità. Pertanto, tale registrazione rappresenterebbe il fondamento principale di una cooperazione tra le amministrazioni turche e quelle comunitarie nell’ambito del regime preferenziale.

156    Inoltre, secondo la ricorrente, l’art. 8, n. 1, della decisione n. 1/96 prescrive che il certificato di circolazione delle merci A.TR.1 sia vistato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione. Ai sensi dell’allegato II, punto II, n. 12, della decisione n. 1/96, la casella 12 andrebbe completata dall’autorità competente. Nel caso concreto, la casella 12 di ciascuno dei 32 A.TR.1 controversi riporterebbe non solo un timbro accompagnato da una firma, ma anche uno speciale numero di registrazione per una data precisa, il quale dev’essere riportato in un registro tenuto dall’autorità doganale competente.

157    Infine, la ricorrente fa valere che da un esame dei 32 certificati controversi risulta che essi corrispondono ai modelli legali vigenti (art. 10, n. 2, secondo comma, e allegato 1 della decisione n. 1/96). Nel caso di specie, nel loro margine inferiore sinistro, essi farebbero riferimento ad una tipografia autorizzata e recherebbero il nome, l’indirizzo ed un marchio distintivo della stessa, nonché un numero di serie, che ne permettono l’identificazione. Per quanto riguarda l’argomento della Commissione secondo cui falsari avrebbero potuto riprodurre quanto più fedelmente possibile i numeri di certificati originali, la ricorrente afferma che si tratta di una pura speculazione.

158    La Commissione evidenzia, in via preliminare, che né l’Accordo di associazione né le decisioni del Consiglio di associazione prevedevano la tenuta di registri per l’iscrizione dei certificati doganali.

159    Inoltre, anche ammettendo che tali registri esistano, si potrebbe immaginare che le autorità doganali turche abbiano rilasciato alla ricorrente 32 certificati A.TR.1 per lotti diversi dalle forniture controverse. Sarebbe quindi possibile che falsari abbiano riprodotto 32 certificati autentici che non riguardavano le forniture controverse alla ricorrente, al fine di utilizzarli in seguito per queste ultime.

160    Infine, la Commissione sostiene che l’affermazione della ricorrente secondo cui i certificati falsificati corrispondono ai modelli legali è irrilevante, essendo questi generalmente noti. Quanto alla dichiarazione secondo cui i certificati controversi recavano anche il nome, l’indirizzo, le caratteristiche ed il numero di serie della tipografia autorizzata in Turchia, la Commissione fa valere che soli alcuni dei 32 certificati controversi contengono tali indicazioni e che è difficile stabilire con certezza se tali diciture stampate corrispondano effettivamente alle caratteristiche delle tipografie o se si tratti solo di dati di fantasia. Al riguardo, la Commissione evidenzia che, anche supponendo che si trattasse di dati relativi a tipografie autorizzate, si potrebbe ciò nondimeno anche supporre che un numero sufficientemente elevato di certificati autentici provenienti da tipografie autorizzate era in circolazione, il che avrebbe permesso ad un falsario di procurarsene un esemplare o una copia al fine di produrre un falso.

 Giudizio del Tribunale

161    Per quanto riguarda la registrazione dei certificati da parte delle autorità turche, occorre rilevare che né l’Accordo di associazione né le sue disposizioni d’applicazione prevedono esplicitamente la tenuta di tali registri. Ciò nonostante, l’allegato II, punto II, n. 12, della decisione n. 1/96 prevede l’iscrizione, nella casella 12 dei certificati A.TR.1, del numero del documento. Inoltre, l’art. 13 della stessa decisione dispone che in caso di frazionamento dei certificati, la casella 12 dell’estratto indichi, in particolare, il numero di registrazione del certificato iniziale. È quindi possibile che i certificati A.TR.1 siano registrati dalle autorità del rilascio, nonostante la ricorrente non fornisca alcun elemento di prova circa l’esistenza di tali registri.

162    Occorre però rilevare che, anche qualora si ammettesse che i numeri indicati nella casella 12 dei certificati controversi siano riportati nei registri degli uffici doganali turchi, ciò non implicherebbe l’autenticità dei certificati. Infatti, come giustamente rilevato dalla Commissione, i falsari avrebbero tutto l’interesse ad utilizzare per i certificati falsificati un numero di registrazione corrispondente ad un certificato regolare.

163    Orbene, la ricorrente non adduce alcun elemento di prova che permetta di stabilire che i numeri iscritti in tali registri corrispondano ai certificati controversi. Essa si limita ad affermare che i suoi rappresentanti hanno constatato l’esistenza di tali registri ed offre di ricorrere alla loro testimonianza.

164    Ne consegue che gli argomenti della ricorrente sono privi di rilevanza e devono quindi essere respinti.

c)     Sul concorso delle autorità doganali turche

 Argomenti delle parti

165    La ricorrente sostiene che sarebbe stato impossibile ottenere un certificato A.TR.1 di accompagnamento delle merci in questione senza il concorso delle autorità doganali turche. Infatti, la legislazione rilevante avrebbe ampiamente previsto il rischio di un utilizzo abusivo dei certificati A.TR.1: oltre alla convalida – con concomitante registrazione – di tali certificati da parte delle autorità doganali dello Stato esportatore, sarebbe anche previsto un controllo delle merci da essi coperte al fine di garantirne la reale esportazione. I certificati A.TR.1 sarebbero tenuti a disposizione dell’esportatore fino all’esportazione ed un certificato potrebbe essere vistato dopo l’esportazione solo in via eccezionale (v. art. 8, n. 1, della decisione n. 1/96, nonché art. 4, n. 1, della decisione n. 5/72). Tali disposizioni garantirebbero all’autorità doganale competente la possibilità, una volta che il certificato A.TR.1 è stato messo a disposizione dell’esportatore, di verificare se questo corrisponda all’origine delle merci.

166    La Commissione ribatte che gli argomenti della ricorrente relativi al concorso delle autorità turche nel rilascio dei certificati controversi sono irrilevanti. La Commissione sottolinea che è pacifico che la normativa legale debba escludere la presentazione di certificati A.TR.1 per prodotti non originari della Turchia. Nel presente caso, la presentazione di certificati A.TR.1 per le esportazioni controverse non indicherebbe che vi sia stata collusione con le autorità doganali turche.

 Giudizio del Tribunale

167    Per quanto riguarda l’argomento relativo al concorso delle autorità turche, è sufficiente ricordare che i certificati controversi si sono rivelati dei falsi. Orbene, la presentazione di documenti che si rivelano falsi non consente, di per sé, di concludere per una collusione tra gli esportatori e le autorità doganali che li hanno rilasciati.

168    Tale argomento è quindi privo di qualsiasi fondamento e deve pertanto essere respinto.

d)     Sulla violazione delle norme in materia di assistenza amministrativa

 Argomenti delle parti

169    La ricorrente sostiene innanzi tutto che le autorità doganali turche sono soggette ad un obbligo di assistenza amministrativa ai sensi delle disposizioni d’applicazione dell’Accordo di associazione. Al riguardo, la ricorrente invoca l’art. 15 della decisione n. 1/96 nonché l’art. 26 e l’allegato 7 della decisione n. 1/95. Per quanto riguarda l’argomento della Commissione secondo cui le decisioni nn. 1/95 e 1/96 si applicherebbero solo a partire dal 31 dicembre 1995, la ricorrente afferma, da un lato, che il regime di assistenza amministrativa si applicava già in forza delle decisioni precedenti e, dall’altro, che le decisioni nn. 1/95 e 1/96 sanciscono, in merito, un diritto formale che si applica anche per il passato.

170    Orbene, nel caso di specie le autorità doganali turche avrebbero violato l’obbligo di apportare un contributo rapido ed efficace all’indagine relativa ai certificati di circolazione e, in particolare, l’obbligo ad esse incombente di comunicare rapidamente informazioni esatte relativamente all’autenticità dei certificati controversi. Tali violazioni giustificherebbero la conclusione circa l’elevata probabilità di una loro partecipazione nella compilazione degli stessi.

171    Inoltre, la ricorrente illustra i principi che le autorità turche sembrano avere seguito al fine di qualificare un certificato A.TR.1 come irregolare o falso. Orbene, i certificati relativi a concentrati di succo di frutta originari di paesi terzi, trasformati in Turchia nell’ambito del regime di perfezionamento e poi esportati, sarebbero stati considerati irregolari, in quanto vistati a torto. Invece, i certificati A.TR.1 rilasciati per succo di frutta concentrato, soggetto in Turchia ad un regime di commercio di transito (Transit-Trade-Regime) sarebbero stati considerati falsi. Tale distinzione emergerebbe nelle lettere della Rappresentanza permanente turca del 10 luglio 1998 e del 1º ottobre 1999, indirizzate rispettivamente alla Commissione e all’OLAF, nonché nella lettera del 12 ottobre 1999 inviata dall’UCLAF alla Guardia di Finanza (ente incaricato della repressione delle infrazioni di natura finanziaria). La tesi della ricorrente sarebbe confermata dalla relazione di missione dell’UCLAF del 21 dicembre 1998, in cui si afferma che gli esportatori non sarebbero i soli responsabili della situazione e che si imponevano ricerche approfondite presso l’ufficio di Mersin. 

172    Al fine di dimostrare la mancanza di cooperazione delle autorità turche nell’ambito dell’assistenza amministrativa, la ricorrente invoca, innanzi tutto, una lettera del 9 gennaio 1998 indirizzata dalla Rappresentanza permanente turca all’UCLAF, in cui le autorità turche dichiaravano che non era necessario, in quel momento, che i rappresentanti dell’UCLAF venissero in Turchia. Al riguardo, la ricorrente contesta l’affermazione della Commissione secondo cui tale lettera non riguarderebbe l’esportazione di concentrati di succo di mela.

173    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che la lettera della Rappresentanza permanente turca del 10 luglio 1998, menzionata al precedente punto 41, non preciserebbe, conformemente alle indicazioni contenute nella casella 14 di ogni certificato A.TR.1, se i 22 certificati ivi menzionati erano non autentici o irregolari, limitandosi a qualificarli come «falsi», termine questo che racchiuderebbe entrambe le possibilità. Al riguardo, la ricorrente fa valere che, benché la casella 14 di ogni certificato A.TR.1 si intitoli «Domanda di controllo» e la casella 15 «Risultato del controllo», i documenti relativi alla riposta concreta data alle domande di controllo dei certificati controversi non sono stati prodotti.

174    In terzo luogo, la ricorrente sottolinea che la Commissione, al punto C di una lettera del 26 agosto 1999 indirizzata alla polizia criminale doganale di Colonia (Germania), avrebbe dichiarato che l’OLAF intendeva richiedere alle autorità turche di precisare, per ogni certificato non valido, se si trattasse di una falsificazione o piuttosto di un certificato irregolare. La ricorrente afferma però di non sapere se tale richiesta sia stata presentata.

175    Per quanto riguarda le affermazioni contraddittorie delle autorità turche, la ricorrente fa valere che certificati di contenuto identico sono stati considerati in alcuni casi regolari e in altri irregolari e, infine, che alcuni certificati qualificati in un primo momento come falsi sono stati in seguito qualificati come irregolari. Dall’elenco di documenti allegato dalla Commissione al suo controricorso emergerebbe che sono state scambiate 28 lettere con le autorità turche tra il 1998 e il 1999, senza che i fatti siano stati in definitiva accertati, e che la corrispondenza con la Rappresentanza permanente turca ha avuto termine nel 1999, poiché dal 2000 le autorità turche si sono rifiutate di proseguire qualunque collaborazione con la Commissione.

176    A titolo di esempio, la ricorrente indica il certificato A.TR.1 D 437214, che sarebbe passato dalla qualifica di falso, nella lettera dell’8 marzo 1999, a quella di irregolare in un momento successivo.

177    Parimenti, tra il 16 luglio e il 27 settembre 1999, in tre comunicazioni distinte e adottate in successione, il certificato A.TR.1 D 412662 sarebbe stato qualificato dalle autorità turche come inesatto, parzialmente esatto ed infine autentico (lettere del 16 luglio, 19 agosto e 27 settembre 1999).

178    Inoltre, il certificato A.TR.1 D 141591 sarebbe stato qualificato in un primo momento come falso (lettera del 15 maggio 1998) e in seguito come inesatto (lettera del 19 agosto 1999) in forza del fatto che le merci a cui esso si riferisce non erano di origine turca. Secondo la ricorrente, il certificato A.TR.1 D 141591 dev’essere raffrontato con i certificati A.TR.1 C 982920 e C 982938, i quali sono stati considerati inesatti e rispetto ai quali la Commissione ha rinunciato ad un recupero a posteriori dei dazi doganali. Quanto all’affermazione della Commissione secondo cui il servizio doganale di Ravenna avrebbe dichiarato, con parere del 12 giugno 1998, che il certificato A.TR.1 D 141591 era falso, la ricorrente risponde che essa non ha potuto prendere visione di tale documento nel corso del procedimento di consultazione del fascicolo.

179    La contraddittorietà delle informazioni fornite sarebbe stata confermata dal Tribunale civile e penale di Ravenna. Al riguardo, la ricorrente fa valere che la Procura di Verona ha anche chiesto l’archiviazione del procedimento penale nei suoi confronti, rilevando, in particolare, che le ripetute richieste della polizia giudiziaria al fine di ottenere elementi probatori non avevano mai trovato riscontro. Secondo la ricorrente, il Pubblico Ministero competente di Verona avrebbe chiesto alla Guardia di Finanza di indicargli i documenti, gli elementi e le prove sulla cui base i certificati rilasciati dalle autorità turche erano stati considerati come falsi materiali, senza che le autorità italiane abbiano potuto ottenere risposta.

180    Inoltre, la ricorrente ritiene che il fatto che le autorità doganali turche abbiano ammesso che, tra i 103 certificati oggetto di un controllo, 17 – o 16, se si esclude il certificato A.TR.1 D 437214 – erano irregolari, significa che esse li hanno scientemente vistati a torto e, pertanto, è sufficiente per mettere in discussione la qualità del controllo sui detti certificati nonché l’esattezza delle informazioni fornite nell’ambito della reciproca assistenza amministrativa.

181    Al riguardo, la ricorrente stabilisce un parallelismo con le cause che hanno dato luogo alla citata sentenza Televisori turchi, rispetto alle quali il caso di specie presenterebbe, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, nessi profondi, tra i quali, in particolare, il fatto che le autorità turche non abbiano mai dichiarato di essere state ingannate da terzi ed abbiano impedito l’accertamento dei fatti con le loro affermazioni contraddittorie.

182    Quanto all’argomento della Commissione secondo cui essa tenterebbe di creare confusione invocando le dichiarazioni delle autorità turche relative ai certificati considerati irregolari, nella fattispecie non vistati, la ricorrente afferma che la contraddittorietà delle informazioni fornite dalle varie autorità turche relativamente a certificati diversi da quelli controversi è determinante ai fini dell’analisi di tutte le dichiarazioni delle autorità turche, ivi incluse quelle afferenti i certificati controversi.

183    Infine, in merito all’argomento della Commissione in base il quale alcune comunicazioni delle autorità turche rappresenterebbero solo conclusioni intermedie, la ricorrente fa valere che le disposizioni sulla reciproca assistenza non prevedono la comunicazione né di siffatte conclusioni né di relazioni provvisorie.

184    La Commissione respinge le affermazioni della ricorrente dirette a dimostrare varie violazioni da parte delle autorità turche relativamente al loro obbligo di cooperazione e nega l’esistenza di dichiarazioni contraddittorie da parte loro.

185    Innanzi tutto, per quanto riguarda l’obbligo di cooperazione, la Commissione evidenzia, in primo luogo, che le decisioni nn. 1/95 e 1/96, sulle quali la ricorrente fonda un obbligo di cooperazione d’ufficio in capo alle autorità turche, erano in vigore solo nella fase definitiva del regime di associazione e non si applicano ai certificati controversi, emessi durante la fase transitoria. A questi si applicherebbero solo, a tale proposito, l’art. 2, n. 3, del regolamento n. 4115/86 e l’art. 11 della decisione n. 5/72, come modificata dalla decisione n. 1/78, come già precisato al punto 12.

186    Inoltre, la Commissione sostiene che l’analogia con la citata sentenza Televisori turchi non è rilevante nel caso di specie, in quanto la presente causa si fonda su fatti totalmente diversi. Al riguardo, la Commissione ricorda che le cause che hanno dato luogo a tale sentenza non vertevano su certificati falsificati, ma su certificati rilasciati dalle autorità turche che si erano rivelati invalidi in quanto non conformi ai requisiti di legge. In tale sentenza, il Tribunale avrebbe constatato che le autorità turche avevano indugiato nel chiarire la situazione, in quanto la loro cooperazione avrebbe reso manifeste le loro proprie infrazioni. Nel caso di specie, le autorità turche non potrebbero avere l’intenzione di nascondere le loro eventuali infrazioni, non avendo partecipato alla compilazione dei certificati controversi. Inoltre, il Tribunale non avrebbe assolutamente affermato che la mancanza di cooperazione delle autorità turche costituiva un indizio rilevante della loro partecipazione ad azioni illecite, come sosterrebbe la ricorrente.

187    Peraltro, quanto all’argomento della ricorrente secondo cui le autorità turche sapevano che esse rilasciavano a torto 16 o 17 certificati A.TR.1, la Commissione fa valere che esso è privo di interesse, in quanto i detti certificati non formano l’oggetto del presente procedimento ed i dazi all’importazione afferenti sono già stati rimborsati alla ricorrente, conformemente all’art. 239 del CDC. Al contrario, l’ammissione, da parte delle autorità turche, di aver consapevolmente rilasciato a torto 16 o 17 certificati indicherebbe che esse hanno collaborato al chiarimento dei fatti senza preoccuparsi del proprio prestigio e rappresenterebbe un indizio della credibilità delle loro dichiarazioni in merito alla non autenticità dei certificati controversi.

188    Inoltre, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui le autorità turche hanno omesso di compilare le caselle 14 e 15 dei certificati controversi, la Commissione evidenzia che tali caselle erano previste unicamente per i casi di controlli relativi al contenuto dei certificati, ossia sulla reale origine delle merci da essi contemplate. Costituendo i certificati controversi dei falsi, le autorità turche non avrebbero avuto alcuna ragione di autenticarli successivamente compilando le caselle 14 e 15.

189    Infine, la Commissione dichiara di non condividere la tesi della ricorrente secondo cui le dichiarazioni delle autorità turche contenute nella lettera del 9 gennaio 1998 all’UCLAF, in base alle quali non era necessario che l’UCLAF procedesse ad una verifica in Turchia, costituirebbero un indizio della loro complicità. Secondo la Commissione, tale comunicazione si riferisce al controllo a posteriori dei certificati controversi, il quale, in tale data, non era ancora inziato. Inoltre, la Commissione evidenzia che, dopo l’esecuzione delle indagini preliminari ad hoc, l’UCLAF ha svolto una missione di controllo in Turchia nel dicembre 1998, avendo le indagini, del resto, permesso di accertare in tempi rapidi, già dall’8 marzo 1999, che i certificati controversi non erano autentici, in quanto falsificati.

190    In secondo luogo, la Commissione sostiene che le tesi della ricorrente secondo cui le autorità turche avrebbero rilasciato dichiarazioni contraddittorie sono parimenti irrilevanti.

191    Innanzi tutto, la Commissione afferma che la corrispondenza indicata dalla ricorrente verte su certificati considerati invalidi, ma ciò nondimeno autentici, non controversi nel caso di specie. Inoltre, si tratterebbe di conclusioni intermedie comunicate nella prima fase dell’indagine, quindi necessariamente provvisorie. Le autorità turche non sarebbero più tornate sulla conclusione, contenuta nella lettera dell’8 marzo 1999, secondo cui i certificati controversi costituivano dei falsi, in quanto non rilasciati da esse.

192    Infine, per quanto riguarda, in particolare, le affermazioni della ricorrente relative al certificato n. D 141591, la Commissione le ritiene irrilevanti, considerato che il detto certificato non figura nell’elenco dei certificati falsificati contenuto nella lettera delle autorità turche dell’8 marzo 1999, e non forma quindi l’oggetto del presente procedimento. Tuttavia, la Commissione ricorda che, con lettera del 3 giugno 2002, essa ha richiesto espressamente alle autorità doganali italiane se il certificato in questione fosse falsificato o solo inesatto quanto al suo contenuto. Con lettera del 6 giugno 2002, trasmessa alla Commissione con lettera del 7 giugno 2002, il servizio doganale di Ravenna avrebbe segnalato ai suoi superiori gerarchici, a Bologna e a Roma, che tale certificato di circolazione era stato qualificato come falso dalle autorità turche, in una loro nota del 15 maggio 1998. La falsificazione sarebbe stata confermata anche dall’UCLAF, in seguito ad una missione d’indagine in Ankara nell’ottobre 1998. Inoltre, il servizio doganale di Ravenna avrebbe dichiarato che la ricorrente non aveva né proposto ricorso contro il susseguente prelievo di tasse derivante dall’accertamento della falsificazione, né presentato una domanda di rimborso, così manifestamente riconoscendo che il detto certificato era un falso.

 Giudizio del Tribunale

193    Occorre ricordare che, ai sensi della normativa rilevante applicabile ai fatti del caso di specie, le parti contraenti dell’Accordo di associazione si prestano reciprocamente assistenza per garantire la corretta applicazione della legislazione doganale. La mutua assistenza mira in particolare a garantire il controllo dell’autenticità e della regolarità dei certificati di circolazione delle merci (per quanto riguarda la fase transitoria dell’unione doganale, v. art. 2, n. 3, del regolamento n. 4115/86 e art. 11 della decisione n. 5/72, quale modificata dalla decisione n. 1/78; per quanto riguarda la fase finale dell’unione doganale, v. art. 2 dell’allegato 7 e art. 29 della decisione n. 1/95, nonché art. 15 della decisione n. 1/96).

194    Innanzi tutto, relativamente all’argomento della ricorrente secondo cui l’assenza di un contributo rapido ed efficace delle autorità turche all’indagine indicherebbe che esse hanno partecipato alla compilazione e al rilascio dei certificati falsificati, occorre, in primo luogo, constatare che il controllo a posteriori dei certificati relativi alle importazioni effettuate dalla ricorrente è stato innescato dalla lettera delle autorità turche del 15 maggio 1998, indirizzata ai servizi doganali di Ravenna, in cui si dichiarava che il certificato D 141591 era falso. In seguito a tale segnalazione, l’UCLAF ha intrapreso una prima missione d’indagine in Turchia nel periodo compreso tra il 12 e il 15 ottobre 1998, ossia solo cinque mesi dopo la segnalazione delle autorità turche. Una seconda missione ha avuto luogo nel periodo compreso tra il 30 novembre e il 2 dicembre 1998. Al riguardo si rileva che, secondo la ricorrente, una lettera delle autorità turche del 9 gennaio 1998, in cui si dichiarava che una missione dell’UCLAF non sembrava necessaria, rivelerebbe la loro mancanza di cooperazione. Orbene, da un lato, è pacifico che le indagini relative ai certificati controversi sono iniziate solo dopo il 15 maggio 1998 e, dall’altro, che missioni dell’UCLAF sono state intraprese entro termini ragionevoli dalla segnalazione della prima falsificazione.

195    Peraltro, occorre rilevare che i controlli svolti dalle autorità turche vertevano su un numero assai elevato di certificati – varie centinaia, di cui 103 presentati dalla ricorrente –, ma che, ciò nondimeno, l’elenco dei certificati da esse considerati falsificati è stato trasmesso al servizio doganale di Ravenna con lettera dell’8 marzo 1999, ossia meno di tre mesi dopo la fine dell’ultima missione dell’UCLAF in Turchia.

196    Infine, occorre rilevare la copiosità della corrispondenza intercorsa tra le autorità comunitarie e le autorità turche relativamente ai certificati controversi. Al riguardo si deve constatare che la tesi della ricorrente secondo cui le autorità turche, e in particolare la Rappresentanza permanente turca, avrebbero rifiutato di collaborare con la Commissione a partire dall’anno 2000 non è avallata da nessuna prova. Parimenti, il contenuto della decisione della Procura di Verona che pone fine all’indagine avviata nei confronti della ricorrente non permette a quest’ultima di trarre alcuna valida conclusione per il caso di specie. Infatti, in tale decisione, il Pubblico Ministero competente si limita a menzionare le difficoltà riscontrate nel tentativo di ottenere elementi di prova, senza però indicare i responsabili di tali difficoltà. Di conseguenza, tale argomento non è fondato e dev’essere respinto.

197    In secondo luogo, occorre rilevare che la ricorrente sostiene che le autorità turche hanno impedito l’accertamento dei fatti fornendo informazioni contraddittorie relativamente al controllo della regolarità e dell’autenticità dei certificati di circolazione. Al riguardo, la ricorrente cita tre certificati precisi, ossia gli A.TR.1 D 437214, D 141591 e D 412662, i quali sarebbero stati oggetto di diverse qualifiche in comunicazioni delle autorità turche adottate in successione.

198    È vero, come rilevato dalla Commissione, che solo il certificato A.TR.1 D 437214 rientra tra i certificati controversi, gli altri due non essendo oggetto del presente procedimento. Tuttavia, occorre rilevare che la ricorrente fa riferimento ad eventuali contraddizioni relativamente ai tre certificati in questione al fine di dimostrare la mancanza di rigore nelle verifiche effettuate dalle autorità turche sulla totalità dei certificati di circolazioni presentati. Posto che una procedura lacunosa nel controllo dell’autenticità dei certificati può costituire un grave inadempimento delle autorità turche rispetto agli obblighi ad esse incombenti in forza dell’Accordo di associazione, occorre esaminare la rilevanza delle affermazioni della ricorrente anche per quanto riguarda i certificati non controversi nel caso di specie.

199    Per quanto riguarda il certificato D 141591, occorre rilevare che dalle comunicazioni oggetto del fascicolo emerge che, in un primo tempo, le autorità turche lo hanno qualificato come falso e, in seguito, come inesatto. L’ambiguità di tale qualifica ha indotto la Commissione a richiedere chiarimenti, in data 3 giugno 2002. Orbene, dalla risposta a tale richiesta, fornita dalle autorità italiane con lettera del 7 giugno 2002, risulta che l’accertamento della falsità del certificato in questione è stato ulteriormente confermato dalle autorità turche nella lettera dell’8 marzo 1999, con cui sono stati comunicati i risultati definitivi delle indagini svolte in Turchia. Da tale comunicazione del 7 giugno 2002 risulta anche che la constatazione della falsità del detto certificato si fonda anche sulle conclusioni della missione d’indagine svolta dall’UCLAF in Turchia nell’ottobre 1998. Occorre quindi concludere che ogni eventuale contraddizione relativa alla qualifica di tale certificato ha potuto essere chiarita a partire dall’ottobre 1998, e che la sua non autenticità non era più in dubbio dall’8 marzo 1999. Infine, occorre rilevare che tale certificato non fa parte dei certificati controversi nel caso di specie. Infatti, la ricorrente non ha né presentato ricorso contro il prelievo di dazi derivante dall’accertamento del falso, né richiesto il rimborso dei dazi riscossi, così implicitamente riconoscendo la non autenticità del certificato in questione.

200    Per quanto riguarda il certificato D 412662, occorre rilevare che, con lettera del 16 luglio 1999, le autorità turche lo hanno qualificato come inesatto in forza del fatto che le merci a cui esso si riferiva non erano originarie della Turchia. In seguito, con lettera del 10 agosto 1999, le autorità turche hanno comunicato all’OLAF di aver commesso un errore e che il certificato in questione andava qualificato come parzialmente inesatto, in quanto solo una parte delle merci ad esso relative non era di origine turca. Tale ultima dichiarazione è stata confermata da una lettera del 19 agosto 1999, indirizzata al servizio doganale di Ravenna. Dalle tre comunicazioni summenzionate risulta che le autorità turche non sono cadute in contraddizione nell’ambito della cooperazione amministrativa con le autorità comunitarie, ma che esse hanno semplicemente completato e parzialmente modificato la comunicazione iniziale del 16 luglio 1999.

201    Infatti, la contraddizione riscontrata dalla ricorrente risulta dal contenuto di una comunicazione successiva del 27 settembre 1999, indirizzata alla sua controllante, la Steinhauser, in cui le autorità turche dichiarano che il certificato D 411262 è esatto. Al riguardo, occorre innanzi tutto rilevare che tale lettera non è stata trasmessa nell’ambito della cooperazione tra amministrazioni doganali e non costituisce quindi un risultato ufficiale del procedimento di controllo sui certificati di circolazione delle merci. Inoltre, è possibile che le autorità doganali turche non si siano mostrate particolarmente zelanti nei loro rapporti con la ricorrente, e abbiano quindi omesso di informarla del fatto che il certificato in questione era solo parzialmente esatto. Pertanto, occorre concludere che la ricorrente non può validamente dedurne alcunché per il caso di specie. Tale conclusione non è inficiata dal fatto che il Tribunale civile e penale di Ravenna abbia, con sentenza 20 dicembre 2000, fatto riferimento all’errore commesso dalle autorità turche nel qualificare tale certificato.

202    Per quanto riguarda il certificato D 437214, dalle considerazioni esposte ai precedenti punti 120 e seguenti emerge che le autorità turche sembrano, a un certo punto, avere ritrattato la propria dichiarazione iniziale secondo cui tale certificato era un falso. Si deve ciò nondimeno osservare che una tale contraddizione non è evidente, a causa della mancanza di precisione dei termini usati nelle comunicazioni scritte delle autorità turche. Inoltre, occorre rilevare che le informazioni ambigue fornite dalle autorità turche hanno dato luogo ad una richiesta di chiarimenti da parte della Commissione. Orbene, una verifica posteriore ha permesso di confermare senza alcun possibile dubbio che la qualifica iniziale del detto certificato era corretta, e che si trattava effettivamente di un falso.

203    Da quanto precede risulta che le contraddizioni dedotte dalla ricorrente non permettono di concludere per l’irregolarità manifesta del procedimento di controllo sull’autenticità dei certificati svolto dalle autorità turche. Infatti, le ambiguità rilevate nell’ambito della cooperazione tra amministrazioni doganali riguarda solo due certificati, ossia gli A.TR.1 D 437214 e D 141591. In aggiunta, occorre rilevare che le dichiarazioni ambigue relative alla qualifica dei detti certificati sono state oggetto di richieste di chiarimenti e che è stato possibile stabilire con certezza la loro qualifica definitiva. Orbene, le dichiarazioni ambigue puntualmente rilasciate dalle autorità turche riguardano, rispetto al numero totale di certificati controllati, solo un numero assai limitato di essi. Di conseguenza, tali dichiarazioni, che sono state chiarite in seguito, non possono di per sé essere considerate costitutive di inadempimenti significativi rispetto agli obblighi di assistenza amministrativa derivanti dall’Accordo di associazione e dalle disposizioni d’applicazione dello stesso. Pertanto, alle autorità turche non può essere addebitato alcun inadempimento in tal senso.

204    In terzo luogo, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui le autorità turche avrebbero omesso di compilare le caselle 14 e 15 dei certificati di circolazione, basta osservare che tali caselle riguardano il controllo della reale origine delle merci e la loro conformità con il contenuto del certificato. Avendo le autorità turche concluso per la falsificazione dei certificati, esse non erano tenute a compilare le caselle 14 e 15, in quanto, per definizione, non si può porre la questione della conformità delle merci a documenti non autentici.

205    Infine, si rileva che la ricorrente si fonda su una tesi con cui tenta di ricostruire il metodo che le autorità turche avrebbero adottato per qualificare alcuni certificati come inesatti ed altri certificati come falsi, seppur identici. Al riguardo occorre constatare che la tesi della ricorrente non è avallata da nessun elemento di prova, cosicché essa dev’essere respinta per mancanza di prove.

206    Alla luce di quanto precede, occorre respingere, in quanto infondati, l’integralità degli argomenti della ricorrente relativi alle violazioni, da parte delle autorità turche, delle norme in materia di assistenza amministrativa.

e)     Sugli indizi aggiuntivi

 Argomenti della ricorrente

207    La ricorrente afferma che anche altri elementi provano inadempimenti delle autorità turche costitutivi di una situazione particolare in capo ad essa.

208    Innanzi tutto, la ricorrente afferma che il particolare inadempimento delle autorità doganali di Mersin era la conseguenza dell’inadempimento generale e strutturale delle autorità turche. A sostegno di tali affermazioni, essa deduce in primo luogo il fatto che, in occasione di un colloquio in Ankara con un responsabile dell’amministrazione centrale delle dogane turca, il suo rappresentante, sig. Nothelfer, è stato informato del fatto che un’indagine penale era stata disposta al fine di verificare tutti i certificati di trasporto delle merci. All’argomento della Commissione, secondo cui una tale indagine penale aveva il solo effetto di rafforzare la credibilità dell’amministrazione doganale turca, la ricorrente controbatte che la Commissione avrebbe dovuto sapere che si trattava solo di una delle scuse fornite dalla detta amministrazione per dare l’impressione di essersi attivata. In realtà i certificati rilasciati non sarebbero stati oggetto di nessuna indagine penale.

209    Inoltre, dal contenuto di un altro colloquio, condotto dai rappresentanti della ricorrente con il sig. Dogran, dell’ufficio degli affari economici del Primo Ministro turco, emergerebbe che la Repubblica di Turchia si preoccupava essenzialmente dello sviluppo economico delle sue imprese, ignorando il contenuto e l’importanza delle norme in materia di regime preferenziale e di origine delle merci. Tale atteggiamento corrisponderebbe a quanto riscontrato nelle cause che hanno dato luogo alla citata sentenza Televisori turchi, e solo più tardi l’UCLAF avrebbe informato le autorità turche dell’importanza dell’obbligo di rispettare le norme preferenziali. Al riguardo, nella sua replica, la ricorrente sottolinea che, contrariamente all’affermazione della Commissione, i servizi dell’ufficio del Primo Ministro turco avrebbero dovuto avere cognizione dei requisiti per la compilazione dei certificati di circolazione.

210    In secondo luogo, la ricorrente sottolinea di avere presentato una denuncia contro il sig. Akman, amministratore della società turca recante lo stesso nome, tramite uno studio di avvocati di Ankara. Tuttavia, nel 2001 la Procura di Mersin avrebbe sospeso il procedimento penale senza che, a tutt’oggi, i mandatari della ricorrente siano stati informati dei relativi motivi, nonostante le ripetute domande in tal senso. La ricorrente suppone sia stato accertato che i 32 certificati A.TR.1 controversi erano stati vistati per mezzo di timbri autentici dell’amministrazione doganale turca e che, di conseguenza, la Procura competente ha ricevuto da Ankara l’ordine di porre fine al procedimento.

211    Nella sua replica, la ricorrente respinge l’argomento della Commissione secondo cui la cessazione del procedimento penale a carico del sig. Akman potrebbe essere motivata dal fatto che questi non ha partecipato alle falsificazioni. La ricorrente ritiene, innanzi tutto, che non sia certo che tale azione giudiziaria sia stata effettivamente promossa. Inoltre, la ricorrente evidenzia che, supponendo che vi sia stata falsificazione, il sig. Akman ne sarebbe stato il principale beneficiario. Infine, la ricorrente sostiene che dalla relazione di missione dell’UCLAF del 23 dicembre 1998 risulta che alcuni agenti della Commissione sono stati a colloquio con il sig. Bolat, della Procura di Mersin, il quale avrebbe reso loro copia di tutti i certificati in cui figurava il nome del sig. Akman. Secondo la ricorrente, la Commissione non ha ottenuto risposta alla richiesta, formulata in occasione di tale colloquio, di essere tenuta informata sul risultato delle indagini.

212    In terzo luogo, la ricorrente afferma che la Commissione sembra essersi scontrata con i «limiti del possibile» nelle indagini da essa svolte in Turchia in merito alla compilazione dei certificati controversi. La ricorrente dichiara che l’UCLAF non ha potuto consultare i registri doganali presso l’ufficio di Mersin, né parlare con i funzionari competenti. Secondo la ricorrente, la ragione per la quale l’UCLAF non è stato in grado di svolgere un’indagine più approfondita risiede nel fatto che essa avrebbe altrimenti scoperto che un numero elevato di prodotti originari di paesi terzi era stato esportato, ai fini di sviluppo economico e con il concorso delle più alte cariche politiche turche, da Mersin verso la Comunità europea utilizzando il certificato A.TR.1.

213    La Commissione respinge, in primo luogo, le tesi avanzate dalla ricorrente relativamente ai suoi colloqui con le autorità turche. A tale titolo, la Commissione ritiene che l’ammissione, da parte dell’amministrazione centrale delle dogane di Ankara, del fatto che tutti i certificati A.TR.1 erano stati oggetto di un’indagine penale rafforzerebbe la credibilità delle conclusioni esposte nella summenzionata lettera dell’8 marzo 1999, secondo le quali i detti certificati non sono stati rilasciati dalle autorità doganali turche. Inoltre, la Commissione ritiene parimenti irrilevante l’affermazione della ricorrente secondo cui il sig. Dogran non conosceva né il contenuto, né il significato delle norme in materia di origine e del regime preferenziale, in quanto questi, in qualità di membro della sezione incaricata degli affari economici dell’ufficio del Primo Ministro turco, non sarebbe stato tenuto a conoscerli.

214    In secondo luogo, la Commissione evidenzia che la sospensione del procedimento penale avviato nei confronti del sig. Akman può derivare dal fatto che egli stesso era in buona fede e non aveva quindi partecipato alle falsificazioni. Inoltre, solo un numero assai ridotto di codici di procedura penale prevedrebbe l’obbligo di motivare la sospensione di un procedimento d’indagine a carico del denunciante.

215    In terzo luogo, per quanto riguarda l’affermazione della ricorrente secondo cui la Commissione e l’UCLAF, nella loro indagine, si sono scontrate con i «limiti del possibile», a causa dell’assenza di cooperazione delle autorità turche, la Commissione ricorda che queste hanno pienamente collaborato e che l’UCLAF ha potuto condurre correttamente le sue indagini in Turchia, non costatando alcuna falsa dichiarazione, come attestato dalle relazioni di missione del 9 e del 23 dicembre 1998.

 Giudizio del Tribunale

216    Innanzi tutto, per quanto riguarda le affermazioni della ricorrente relative al contenuto dei colloqui tra i suoi rappresentanti ed il sig. Dogran, dell’ufficio degli affari economici del Primo Ministro turco, occorre rilevare che esse sono irrilevanti. Infatti, la questione se un funzionario quale il sig. Dogran avesse o meno cognizione delle norme relative al regime preferenziale e alla compilazione dei certificati di circolazione non può avere alcuna incidenza sui fatti del caso di specie. Parimenti, per quanto riguarda le affermazioni della ricorrente relative alla dichiarazione rilasciata da un funzionario dell’amministrazione centrale delle dogane turca secondo cui un’indagine penale era stata ordinata per verificare i certificati di circolazione, è sufficiente rilevare che esse non solo sono prive di rilevanza, ma non sono nemmeno avallate da alcun elemento di prova.

217    Inoltre, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente relativo alla sospensione del procedimento penale contro il sig. Akman, amministratore della società turca recante lo stesso nome, ordinata dalla Procura di Mersin, esso non può essere accolto. Anche se risultasse che la ricorrente non era stata informata dei motivi sottesi a tale sospensione, ciò non permetterebbe, in nessun caso, di supporre che la sua denuncia non ha avuto seguito per la ragione che la Procura di Mersin non si sarebbe resa conto del fatto che i certificati controversi non costituivano dei falsi. Al riguardo, si rileva, da un lato, che si tratta di una questione interna all’ordinamento giuridico turco in materia penale e, dall’altro, che la ricorrente non ha nemmeno tentato di dimostrare che essa aveva diritto, in qualità di denunciante e in forza della legislazione turca applicabile, ad essere informata dei motivi sui quali si fondava l’ordine di archiviazione del procedimento. Parimenti, la ricorrente non adduce alcun elemento che permetta di affermare che le autorità turche non hanno dato seguito ad una domanda della Commissione di essere tenuta informata sui risultati delle indagini penali.

218    Infine, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui, in occasione delle indagini condotte in Turchia, l’UCLAF si sarebbe scontrata con diversi ostacoli creati dalle autorità turche, occorre rilevare che esso non è avallato da alcuna prova. Infatti, la ricorrente non si fonda su nessun elemento che lasci supporre che l’UCLAF non ha potuto condurre un’indagine approfondita, in particolare presso l’amministrazione doganale di Mersin. L’assenza di cooperazione è peraltro smentita dal contenuto delle relazioni di missione del 9 e del 23 dicembre 1998, dalle quali risulta la collaborazione delle autorità turche.

219    Alla luce di quanto precede, occorre dichiarare che nessuno degli elementi invocati dalla rincorrente è tale da integrare un grave inadempimento delle autorità turche rispetto agli obblighi ad esse incombenti in forza dell’Accordo di associazione e delle sue disposizioni d’applicazione.

220    Da quanto precede consegue che occorre respingere tale capo del secondo motivo.

3.     Sugli inadempimenti imputabili alla Commissione europea

221    La ricorrente afferma, in sostanza, che la Commissione ha commesso un grave inadempimento ai propri obblighi di tutela nei suoi confronti e nei confronti di altri importatori interessati. Gli inadempimenti addebitabili alla Commissione deriverebbero: 1) dall’assenza di sorveglianza e di controllo sull’applicazione del regime preferenziale da parte delle autorità turche, 2) dalla mancata trasmissione alle autorità doganali nazionali dei facsimile dei timbri e delle firme usati dalle autorità turche, 3) dalla violazione dell’obbligo di avvertire in tempo utile gli importatori, e 4) da una valutazione erronea dei fatti in occasione delle indagini condotte in Turchia.

a)     Sull’assenza di regolare controllo sul regime preferenziale

 Argomenti delle parti

222    Innanzi tutto, la ricorrente sostiene che le autorità turche non comprendevano le norme relative all’origine delle merci. A sostegno di tale affermazione, essa invoca gli accertamenti effettuati dai suoi rappresentanti in occasione dei loro colloqui in Ankara e in Mersin con le autorità turche. Secondo la ricorrente, le autorizzazioni di diversa natura rilasciate dall’ufficio degli affari economici del Primo Ministro turco erano sempre collegate al rilascio di un certificato A.TR.1. Inoltre, anche in altri casi, le autorità turche competenti avrebbero vistato certificati A.TR.1 senza tenere conto dell’origine delle merci, non avendo evidentemente alcuna consapevolezza circa l’illegalità di tali pratiche. Al riguardo, la ricorrente stabilisce un parallelismo con le cause che hanno dato luogo alla citata sentenza Televisori turchi, nelle quali il Tribunale avrebbe dichiarato che, per un periodo quasi identico a quello a cui si riferiscono i fatti di cui al caso di specie, le autorità turche competenti non avevano rispettato la normativa doganale applicabile, al fine di approfittare dell’unione doganale che si stava formando con le Comunità europee a vantaggio della propria economia.

223    Secondo la ricorrente, attualmente le disposizioni sulla compilazione e sul rilascio dei certificati di circolazione delle merci A.TR.1 sono sostanzialmente applicate in maniera corretta e più severa. Orbene, tale cambiamento sarebbe però intervenuto solo dopo le indagini svolte dall’UCLAF in Turchia e senza dubbio anche grazie ai colloqui intercorsi tra la Commissione e le autorità turche in seguito alle cause decise con la citata sentenza Televisori turchi e alla presente causa.

224    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione non ha vigilato sull’osservanza delle norme derivanti dall’Accordo di associazione, che essa era tenuta a garantire ai sensi dell’art. 211 CE e in forza del principio di buona amministrazione. La Commissione sarebbe soggetta a un particolare obbligo di sorveglianza sugli accordi preferenziali e di origine conclusi tra la Comunità e i paesi terzi.

225    La ricorrente sottolinea che l’art. 26 della decisione n. 1/95 prevede espressamente la necessità di garantire il funzionamento efficace dell’unione doganale e il miglioramento del regime preferenziale, essendosi lo stesso Consiglio di associazione impegnato ad esaminare regolarmente i miglioramenti apportati a tale regime. Peraltro, nell’ambito della creazione dell’unione doganale, la Commissione sarebbe costantemente in contatto con le autorità competenti in Turchia tramite il Consiglio di associazione ed il comitato doganale, in cui essa è rappresentata. La missione principale di questi due organi sarebbe di garantire la comprensione, una regolare introduzione nonché il controllo costante delle disposizioni sull’origine delle merci in Turchia.

226    Orbene, la ricorrente afferma che la Commissione è venuta meno al suo obbligo di diligenza, omettendo di rivolgersi tempestivamente al comitato per la cooperazione doganale al fine di chiarire la situazione e di adottare misure che garantissero il rispetto delle decisioni del Consiglio di associazione da parte dell’amministrazione doganale turca. Al riguardo, la ricorrente afferma di non capire l’argomento della Commissione secondo cui il Consiglio di associazione o il comitato doganale misto avrebbe potuto statuire solo all’unanimità. Poiché il Consiglio di associazione adotta decisioni vincolanti per le amministrazioni doganali della Turchia ed europee, il grave inadempimento della Commissione deriverebbe, da un lato, dal fatto che, né in sede di comitato doganale né in Turchia, essa si sarebbe informata circa il rispetto delle decisioni del Consiglio di associazione e, dall’altro, dal fatto che essa non avrebbe colto l’occasione offertale dalle cause decise con la citata sentenza Televisori turchi, per procedere, dal 1993 o dal 1994, ad un controllo rafforzato del rispetto delle norme relative all’origine in materia di prodotti agricoli.

227    In terzo luogo, la ricorrente aggiunge che l’obbligo di diligenza da parte della Commissione era accresciuto per quanto riguarda la Repubblica di Turchia, in particolare a causa dei precedenti inadempimenti delle autorità turche constatati nella citata sentenza Televisori turchi. Inoltre, la ricorrente rileva che le esportazioni di merci turche verso la Comunità sono notevolmente aumentate nel periodo a cui si riferiscono le importazioni controverse. Orbene, la Commissione non avrebbe potuto accettare tale rilevante aumento delle esportazioni senza imporre, da un lato, la trasmissione dei facsimile dei timbri e delle firme e, dall’altro, una verifica adeguata dei certificati di origine nell’ambito del procedimento di controllo.

228    Inoltre, il fatto che nel corso di tale procedimento di controllo siano state fornite informazioni contraddittorie ed ingannevoli avrebbe dovuto indurre la Commissione ad imporre controlli supplementari. Infine, tale obbligo di controllo sarebbe anche rafforzato dalla circostanza che le autorità turche non hanno utilizzato il verso dei certificati A.TR.1 per fornire una risposta chiara sulla validità degli stessi.

229    La Commissione contesta, innanzi tutto, qualsiasi analogia con le cause decise con la citata sentenza Televisori turchi. Infatti, la Commissione sostiene, in primo luogo, che il caso di specie presenta una differenza fondamentale rispetto alle dette cause, ossia che, nella presente fattispecie, si tratta di una falsificazione di certificati di origine operata da terzi e alla quale non hanno partecipato le autorità turche. Le lacune informative o le violazioni delle regole da parte delle autorità turche sarebbero quindi prive di rilevanza, non avendo queste ultime partecipato alla falsificazione dei 32 certificati controversi. Ciò nondimeno, al fine di dimostrare l’erroneità della tesi della ricorrente, la Commissione ritiene necessario enumerare le differenze che il caso di specie presenterebbe rispetto ai fatti di cui alla citata sentenza Televisori turchi.

230    Quindi, secondo la Commissione, nella sentenza Televisori turchi (punto 261), si dichiara che le autorità turche avevano atteso oltre 20 anni prima di recepire le disposizioni dell’Accordo di associazione e del protocollo addizionale relative al prelievo di compensazione. Inoltre, la Commissione non aveva correttamente controllato tale recepimento. Orbene, nel caso di specie, al contrario, i certificati di origine in questione sarebbero stati falsificati senza alcun concorso delle autorità turche. Inoltre, nella stessa sentenza (punto 262), il Tribunale avrebbe constatato che alcune decisioni rilevanti del Consiglio di associazione non erano state pubblicate nella Gazzetta ufficiale, mentre nel caso di specie tutti gli atti applicabili sarebbero stati regolarmente pubblicati. Infine (punto 263), la Commissione avrebbe reagito solo quattro anni dopo il deposito della prima denuncia relativa all’esistenza di problemi nell’applicazione delle disposizioni in questione, mentre nel caso di specie la Commissione sarebbe intervenuta tempestivamente nei confronti delle autorità turche.

231    In secondo luogo, la Commissione sostiene che l’ampia corrispondenza scambiata con le competenti autorità turche ed il fatto che l’UCLAF ha svolto una missione d’indagine in Turchia entro un termine relativamente breve dai primi sospetti di falsificazione basterebbero a dimostrare che la Commissione non è venuta meno ai propri obblighi di esame e di controllo del regime preferenziale.

232    In terzo luogo, la Commissione sottolinea che la ricorrente trascura il fatto che, ai sensi dell’Accordo di associazione e delle decisioni rilevanti del Consiglio di associazione o del comitato doganale misto, il soggetto competente a far rispettare le norme in materia di origine in Turchia era la Repubblica di Turchia, e non la Commissione. Pur non avendo, in nessun caso, lasciato la Repubblica di Turchia libera di agire a suo piacimento, la Commissione dichiara di essersi limitata a chiedere pareri al governo turco e, eventualmente, ad effettuare controlli in loco. Parimenti, il Consiglio di associazione o il comitato doganale misto – anche se fossero stati competenti in materia, cosa che non erano – sarebbero organi misti che potevano decidere solo all’unanimità (art. 23, n. 3, dell’Accordo di associazione), e quindi, in tali sedi, la Commissione non avrebbe potuto imporre alcunché contro la volontà dei rappresentanti turchi. Ciò nondimeno, tutte le decisioni del Consiglio di associazione sarebbero state applicate e controlli puntuali delle amministrazioni doganali degli Stati membri sarebbero stati effettuati. Inoltre, la Commissione afferma di aver regolarmente esposto alle autorità turche tutti i problemi sorti nell’ambito del regime preferenziale, come chiarito da tali autorità.

233    Infine, quanto all’argomento della ricorrente secondo cui le dichiarazioni contraddittorie delle autorità turche in merito ai certificati controversi avrebbero giustificato un maggiore controllo da parte sua, la Commissione rileva che, in mancanza di dichiarazioni contraddittorie, tale argomento è privo di rilevanza.

 Giudizio del Tribunale

234    Per quanto riguarda gli asseriti inadempimenti relativi alla sorveglianza e al controllo sull’applicazione dell’Accordo di associazione, occorre rilevare che, ai sensi dell’art. 211 CE e del principio di buona amministrazione, la Commissione ha l’obbligo di garantire una corretta applicazione dell’Accordo di associazione (v. sentenza Televisori turchi, cit., punto 257 e giurisprudenza ivi citata). Tale obbligo risulta inoltre dalla stesso Accordo di associazione e da talune decisioni adottate dal Consiglio di associazione (sentenza Televisori turchi, cit., punto 258).

235    Nel caso di specie, la ricorrente non è riuscita a provare che la Commissione non aveva fatto quanto necessario per garantire la corretta applicazione dell’Accordo di associazione.

236    Infatti, innanzi tutto, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui le autorità turche non comprenderebbero le norme relative all’origine dei prodotti che possono beneficiare del regime preferenziale, è sufficiente dichiararlo irrilevante dato che i certificati controversi non sono stati rilasciati da tali autorità. Infatti, come emerge dai precedenti punti 150 e seguenti, la ricorrente non è stata in grado di dimostrare la partecipazione delle autorità turche nella compilazione dei detti certificati.

237    Inoltre, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione avrebbe dovuto imporre un controllo rafforzato sull’applicazione, da parte della Repubblica di Turchia, delle norme in materia di compilazione dei certificati di origine, a causa, da un lato, del significativo aumento delle importazioni provenienti dalla Turchia e, dall’altro, dei rilievi emersi nelle cause decise con la citata sentenza Televisori turchi, è sufficiente constatare che esso è ugualmente irrilevante.

238    Infatti, la ricorrente si fonda su affermazioni generali relative a sistematiche violazioni dell’Accordo di associazione da parte delle autorità turche, senza però avallarle con elementi di prova. Inoltre, la ricorrente non può validamente pervenire, sulla base delle dichiarazioni del Tribunale nella citata sentenza Televisori turchi, alla conclusione generale che tutto il procedimento di compilazione di certificati di circolazione da parte delle autorità turche violava sistematicamente le norme in materia di origine. Infine, anche ammettendo che la Commissione fosse tenuta ad esercitare un maggiore controllo sull’applicazione dell’Accordo di associazione, occorre rilevare che – come risulta dal precedente punto 194 – l’UCLAF ha condotto indagini in Turchia dal momento in cui sono emersi i primi indizi di falsificazione di certificati di circolazione e, pertanto, che la Commissione ha effettivamente vigilato sulla corretta applicazione dell’Accordo di associazione.

239    Per quanto riguarda gli argomenti della ricorrente relativi all’obbligo della Commissione di rivolgersi al Consiglio di associazione o al comitato misto dell’unione doganale, il quale è istituito dall’art. 52 della decisione n. 1/95, occorre dichiararli irrilevanti. Infatti, ai sensi dell’art. 22 dell’Accordo di associazione, il principale obiettivo del Consiglio di associazione è di adottare le misure necessarie al fine di assicurare il buon funzionamento del detto accordo ed il rispetto di quest’ultimo ad opera delle parti contraenti (sentenza Televisori turchi, cit., punto 274). Parimenti, ai sensi dell’art. 52, n. 1, della decisione n. 1/95, il comitato misto dell’unione doganale ha come scopo principale di vigilare sul buon funzionamento dell’unione doganale, in particolare formulando raccomandazioni al Consiglio di associazione. Inoltre, l’art. 52, n. 2, della decisione n. 1/95 prevede che le parti contraenti si consultino nell’ambito del comitato misto su tutti i punti connessi all’attuazione della detta decisione che siano fonte di difficoltà per una di esse.

240    Orbene, alla luce di quanto precede, è giocoforza constatare che la ricorrente non è stata in grado di dimostrare che la Commissione ha riscontrato difficoltà nell’ambito dell’assistenza amministrativa convenuta con la Repubblica di Turchia, che giustificassero la discussione, in seno a tali organi, sull’adozione di misure specifiche dirette a contrastarle. Per quanto riguarda, in particolare, le dichiarazioni ambigue delle autorità turche relative a tre certificati di circolazione, è sufficiente rilevare che dal precedente punto 203 risulta non solo che queste non erano tali da mettere in discussione la regolarità del procedimento di controllo, ma anche che le autorità turche hanno collaborato con la Commissione quando questa ha rivolto loro le sue richieste di chiarimenti.

241    Per quanto riguarda l’analogia che la ricorrente cerca di stabilire con i fatti di cui alla citata sentenza Televisori turchi, occorre osservare che questi ultimi non sono comparabili a quelli esaminati nell’ambito del presente procedimento. Infatti, nelle cause decise con la citata sentenza Televisori turchi, il Tribunale ha dichiarato che le autorità turche avevano commesso gravi inadempimenti – tra i quali, in particolare, il mancato recepimento delle disposizioni dell’Accordo di associazione – che inficiavano tutte le esportazioni di televisori provenienti dalla Turchia. Tali inadempimenti avevano contribuito alla sopravvenienza di irregolarità relative alle esportazioni, le quali ponevano gli esportatori in una situazione particolare ai sensi dell’art. 239 del CDC (sentenza Televisori turchi, cit., punti 255 e 256).

242    Orbene, nel caso di specie, inadempimenti del genere relativi all’insieme delle esportazioni di succo di frutta non risultano provati per quanto riguarda i certificati controversi. Occorre rilevare che gli inadempimenti delle autorità turche, quali costituivi di una situazione particolare, esposti nella decisione impugnata riguardano unicamente i certificati di circolazione presentati dalla ricorrente che erano stati emessi irregolarmente dall’amministrazione doganale turca. È in rapporto a tali certificati che la Commissione ha ritenuto che le competenti autorità turche sapessero o avrebbero dovuto sapere che le merci per le quali esse rilasciavano certificati d’origine non rispondevano alle condizioni richieste per poter beneficiare del trattamento preferenziale. Invece, come è già stato rilevato, nessun inadempimento delle autorità turche ha contribuito alla compilazione dei 32 certificati controversi.

243    Alla luce di quanto precede, occorre respingere gli argomenti della ricorrente in quanto infondati.

b)     Sulla mancata trasmissione dei facsimile dei timbri e delle firme

 Argomenti delle parti

244    La ricorrente dichiara che la Commissione, non avendo trasmesso agli Stati membri, e in particolare al governo italiano, i facsimile delle impronte dei timbri e delle firme utilizzati dagli uffici doganali turchi di uscita, in particolare quelli di Mersin, ha commesso un grave inadempimento agli obblighi ad essa incombenti nei confronti di importatori quali la ricorrente. Secondo la ricorrente, l’art. 93 del regolamento d’applicazione del CDC, che, ai sensi dell’art. 20 del CDC, si applica anche nell’ambito dell’Accordo di associazione, imponeva alla Commissione di vigilare affinché l’amministrazione doganale turca le inviasse tali facsimile.

245    Al riguardo, la ricorrente sostiene che le autorità turche hanno riconosciuto il loro obbligo di trasmettere i detti facsimile alla Commissione e hanno affermato di avere effettivamente trasmesso almeno i timbri utilizzati a Mersin. Tale inadempimento sarebbe tanto più grave per il fatto che i timbri ufficiali utilizzati dall’ufficio doganale di Mersin erano molto usurati e la loro impronta era quindi assai debole. Orbene, la ricorrente ricorda che i timbri e le firme costituiscono mezzi essenziali per provare, anche in seno alla Comunità, se l’amministrazione doganale turca abbia o meno contribuito alla compilazione dei certificati controversi e, contemporaneamente, agevolerebbero un migliore controllo sui certificati presentati dagli importatori.

246    Nel caso di specie, le competenti autorità doganali italiane sarebbero state facilitate nelle comparazioni se la Commissione avesse loro inviato tutti i timbri e i modelli di firme dell’ufficio doganale di Mersin e se avesse vigilato sul rinnovo di tutti i timbri entro i termini prescritti. In tale ipotesi, l’addebito relativo alla falsificazione non avrebbe avuto luogo, oppure, in caso di falsificazione, questa avrebbe potuto essere scoperta e chiarita già dalle prime importazioni controverse.

247    La Commissione si limita ad affermare che la Repubblica di Turchia non era tenuta a comunicarle le firme e i timbri originali delle autorità doganali di Mersin in forza del fatto che, come da essa già precedentemente esposto (v. al precedente punto 143), l’art. 93 del regolamento d’applicazione del CDC non è applicabile nel caso di specie.

 Giudizio del Tribunale

248    Occorre rilevare che la ricorrente addebita alla Commissione la violazione degli obblighi ad essa incombenti in forza della normativa applicabile, non avendo trasmesso alle autorità doganali italiane i facsimile dei timbri e delle firme utilizzati dall’amministrazione doganale turca. In tal modo, la Commissione avrebbe agevolato la circolazione dei certificati falsificati. Si pone quindi la questione se la Commissione fosse tenuta ad ottenere i facsimile di cui trattasi e a trasmetterli poi alle autorità doganali degli Stati membri.

249    Al riguardo occorre rilevare che, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, l’art. 93 del regolamento d’applicazione del CDC non è applicabile nel caso di specie. Pertanto, tale articolo non imporrebbe né alle autorità turche di comunicare i facsimile dei timbri e delle firme usati dai loro uffici doganali, né alla Commissione di trasmetterli agli Stati membri. Ciò risulta dalla posizione che l’art. 93 occupa nel sistema del regolamento d’applicazione del CDC, ossia nella sottosezione 3, intitolata «Metodi di cooperazione amministrativa», della sezione 1, intitolata «Sistema delle preferenze generalizzate», del capitolo relativo all’origine preferenziale delle merci. Questo rientra nel titolo IV del regolamento d’applicazione del CDC, che tratta dell’origine delle merci. Orbene, come emerge da una lettura combinata dell’art. 67 e dell’art. 93 del regolamento d’applicazione del CDC, quest’ultima disposizione prevede metodi di cooperazione amministrativa che si applicano agli scambi tra la Comunità e alcuni paesi in via di sviluppo ai quali questa accorda preferenze tariffarie. È quindi giocoforza constatare che l’art. 93 del regolamento d’applicazione del CDC non riguarda merci originarie della Turchia.

250    Inoltre, occorre rilevare che una lettura combinata dell’art. 20, n. 3, lett. d), e dell’art. 27, lett. a), del CDC permette di concludere che, nell’ambito degli accordi che stabiliscono regimi tariffari preferenziali conclusi tra la Comunità e paesi terzi, le norme relative all’origine delle merci sono determinate da questi stessi accordi. Nel caso di specie è giocoforza constatare che l’Accordo di associazione stabilisce un tale regime. Orbene, occorre osservare che né l’Accordo in questione né le decisioni del Consiglio di associazione dirette all’attuazione delle sue disposizioni hanno previsto alcun obbligo di trasmissione dei facsimile dei timbri e di firme tra le parti contraenti.

251    Per quanto riguarda la fase finale dell’unione doganale, ossia il periodo successivo al 31 dicembre 1995, la summenzionata decisione n. 1/95 dispone, al suo art. 29, che la reciproca assistenza tra le autorità doganali delle parti contraenti è disciplinata dalle disposizioni del suo allegato 7 che, per quanto riguarda la Comunità, si applicano alle questioni di competenza di quest’ultima. Orbene, le disposizioni di tale allegato 7, che disciplinano esaustivamente i metodi di cooperazione amministrativa, non fanno alcun riferimento ad un eventuale obbligo di trasmissione di facsimile di timbri e di firme. Peraltro, occorre rilevare che nemmeno la decisione n. 1/96 del Comitato di cooperazione doganale CE‑Repubblica di Turchia, che determina le disposizioni di attuazione della decisione n. 1/95, impone un siffatto obbligo.

252    Tale rilievo non è inficiato dall’argomento della ricorrente secondo cui l’art. 4 della decisione n. 1/96 rinvierebbe all’art. 93 del CDC. Infatti, tale art. 4 si limita a sancire che le normative doganali comunitarie e turche si applicano agli scambi commerciali tra le due parti, nei loro rispettivi territori, alle condizioni previste nella decisione n. 1/96. Il capitolo 2 di tale decisione, intitolato «Disposizioni concernenti la cooperazione amministrativa per la circolazione delle merci», determina i requisiti sostanziali e formali a cui devono rispondere i certificati di circolazione delle merci rilasciati nell’ambito degli scambi commerciali tra la Comunità e la Repubblica di Turchia, senza però imporre un obbligo di trasmissione di timbri e firme. Peraltro, l’art. 15 della medesima decisione n. 1/96 dispone che il controllo dell’autenticità e della regolarità dei certificati è svolto nell’ambito della reciproca assistenza prevista dall’art. 29 e dall’allegato 7 della decisione n. 1/95.

253    Infine, occorre rilevare che la sola situazione in cui è esplicitamente previsto un tale obbligo di trasmissione dei facsimile in questione riguarda la procedura semplificata per il rilascio di certificati [(v. art. 12, n. 5, lett. b), della decisione n. 1/96 e art. 9 bis, n. 5, lett. b), della decisione n. 5/72, quale modificata dalla decisione n. 2/94)]. In base alle disposizioni applicabili, i certificati rilasciati secondo la procedura semplificata devono specificamente farne menzione (v. art. 9 bis, n. 6, della decisione n. 5/72, quale modificata dalla decisione n. 2/94). Orbene, i certificati controversi non accennano in alcun modo a tale procedura semplificata.

254    Per quanto riguarda le merci importate durante la fase transitoria dell’unione doganale, ossia fino al 31 dicembre 1995, occorre rilevare che né la decisione n. 5/72 né la decisione n. 4/72 prevedono espressamente l’obbligo di trasmettere i facsimile di timbri e di firme.

255    È giocoforza constatare che, durante il periodo a cui si riferiscono le importazioni controverse, la Repubblica di Turchia e la Commissione non erano soggette ad alcun obbligo di trasmettere i facsimile dei timbri e delle firme utilizzati dalle loro autorità doganali. Pertanto la Commissione non poteva essere tenuta a trasmettere i facsimile in questione alle autorità doganali degli Stati membri.

256    Tale constatazione non può essere inficiata dall’argomento della ricorrente relativo all’applicabilità del regolamento n. 3719/88. Al riguardo basta osservare che l’art. 1 del regolamento n. 3719/88, relativo all’ambito di applicazione, dispone che il regolamento si applica ai certificati previsti dalle disposizioni di regolamenti ivi espressamente elencate. Orbene, è giocoforza constatare che né l’Accordo di associazione né le disposizioni d’applicazione di quest’ultimo vi sono menzionate. Parimenti, nessuna delle disposizioni rilevanti per l’applicazione dell’Accordo di associazione rinvia a tale regolamento.

257    In mancanza di obblighi in capo alla Commissione di trasmettere i facsimile di timbri e di firme agli Stati membri, occorre dichiarare l’infondatezza della presente censura.

258    Ad ogni modo, la presente censura è parimenti irrilevante per il fatto che, come evidenziato dalla Commissione in udienza, la Repubblica di Turchia ha trasmesso spontaneamente le impronte dei timbri utilizzati per i certificati A.TR.1.

259    Di conseguenza, la presente censura dev’essere respinta.

c)     Sulla violazione dell’obbligo di avvertenza tempestiva degli importatori

 Argomenti delle parti

260    La ricorrente rimprovera alla Commissione di essere venuta meno all’obbligo di avvertire tempestivamente gli importatori, derivante dalla giurisprudenza De Haan (sentenza della Corte 7 settembre 1999, causa C‑61/98, De Haan, Racc. pag. I‑5003, punto 36). Tale giurisprudenza imporrebbe alla Commissione l’obbligo di avvertire in tempo utile gli importatori qualora sia a conoscenza di irregolarità relative ad importazioni di merci da un paese terzo. In forza di ciò, la ricorrente riconosce che il Tribunale, nella citata sentenza Hyper/Commissione (punto 126), ha statuito che, in assenza di disposizioni comunitarie in tal senso, non esiste alcun obbligo di rendere edotti gli importatori circa i dubbi in merito alla validità delle operazioni doganali effettuate da questi ultimi nell’ambito di un regime preferenziale. Ciò nondimeno, un tale obbligo sussisterebbe nel momento in cui la Commissione ottenesse informazioni concrete sull’inosservanza delle norme in materia di origine in un paese esportatore, e ciò anche se essa non reagisce immediatamente.

261    Nel caso concreto, dal 1994 o dal 1995, il Parlamento europeo avrebbe attirato l’attenzione della Commissione sull’esistenza di irregolarità relative ai certificati di origine emessi in Turchia relativamente a vari prodotti, tra i quali conserve di succhi di frutta. Tuttavia, per anni la Commissione non avrebbe preso alcuna iniziativa in merito, intervenendo nel caso dei televisori turchi solo 20 anni dopo (sentenza Televisori turchi, cit., punti 261 e 262), e ciò solo dopo la creazione dell’UCLAF e le prime indagini svolte in loco da tale organismo.

262    Inoltre, la ricorrente sostiene che dal contenuto di una lettera dell’UCLAF del 9 dicembre 1998, inviata alla direzione del coordinamento della Comunità europea in Ankara, emerge che, dal 1993, la Commissione era senz’altro a conoscenza del fatto che i concentrati di succo di mela erano esportati verso l’Unione europea per mezzo di certificati di origine irregolari. Ad ogni modo, la Commissione avrebbe dovuto sapere, dalla relazione di missione del 1993, depositata nell’ambito delle cause decise con la citata sentenza Televisori turchi, che simili violazioni delle norme in materia di origine erano state commesse in sede di esportazione, a partire dalla Turchia, di altri prodotti, quali i succhi di frutta.

263    Infine, la ricorrente sostiene che, contemporaneamente a tale avvertimento, la Commissione era tenuta a dare alle autorità nazionali i mezzi per consentire loro di verificare l’autenticità dei certificati rilasciati dalle autorità turche, come è recentemente avvenuto nel caso delle importazioni di zucchero originario della Serbia e Montenegro (Avviso agli importatori, GU 2003, C 177, pag. 2).

264    La Commissione rileva, in via preliminare, che essa non era assolutamente tenuta ad avvisare gli importatori in tempo utile. Al riguardo, la Commissione ricorda, innanzi tutto, i principi fissati in materia dal Tribunale nella citata sentenza Hyper/Commissione (punti 126-128), ai sensi dei quali nessuna disposizione comunitaria obbliga espressamente la Commissione a rendere edotti gli importatori qualora nutra dubbi in merito alla validità delle operazioni doganali effettuate dagli importatori medesimi nell’ambito di un regime preferenziale. Come il Tribunale avrebbe parimenti dichiarato nella citata sentenza Hyper/Commissione, la Commissione è obbligata, sulla base del proprio obbligo generale di diligenza, ad avvertire sistematicamente gli importatori comunitari solo nel caso in cui nutra seri dubbi quanto alla regolarità di un elevato numero di esportazioni effettuate nell’ambito di un regime preferenziale.

265    Nel caso concreto, la Commissione sostiene, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, di non aver nutrito seri dubbi di tal genere già dal 1993, bensì che sarebbe entrata in possesso di informazioni più concrete sui certificati inesatti e falsificati solo dal 1998, in seguito all’apertura di un procedimento d’indagine. Per quanto riguarda l’asserita segnalazione da parte del Parlamento europeo, la Commissione rileva che la ricorrente non è in grado di citare al riguardo una sola risoluzione ad hoc del Parlamento europeo pubblicata sulla Gazzetta ufficiale. Peraltro, la Commissione afferma che, da un lato, le questioni parlamentari non hanno lo scopo di dare informazioni alla Commissione, ma, al contrario, di chiederne alla stessa, e, dall’altro, la ricorrente non affermerebbe neppure che il Parlamento europeo si sia pronunciato su un’eventuale falsificazione di certificati di origine relativi ad importazioni di succo di mela proveniente dalla Turchia.

266    La Commissione contesta inoltre qualsiasi analogia tra i fatti del caso di specie e quelli di cui alla citata sentenza De Haan. Infatti, secondo la Commissione, in tale causa le competenti autorità doganali olandesi erano già a conoscenza o, perlomeno, sospettavano seriamente dell’esistenza di una frode ancor prima dell’esecuzione delle operazioni doganali che hanno dato luogo alla riscossione. Nella presente fattispecie, al contrario, i primi sospetti relativi alla non autenticità o all’invalidità dei certificati di origine sarebbero emersi solo dopo le importazioni controverse. Le importazioni della ricorrente sarebbero terminate il 20 novembre 1997, mentre le prime segnalazioni di irregolarità sarebbero pervenute alla Commissione o alle autorità doganali italiane solo nel corso dell’anno 1998.

267    Inoltre, la Commissione afferma che, anche supponendo che essa fosse nel caso concreto tenuta ad avvertire tempestivamente gli importatori, tale omessa segnalazione non avrebbe originato il pregiudizio invocato dalla ricorrente, ossia l’insorgenza di dazi all’importazione, dato che le sue importazioni erano già cessate alla data in cui la Commissione avrebbe potuto procedere con l’avvertimento. La Commissione rileva che, con il suo argomento, la ricorrente mira ad affermare che la Commissione avrebbe dovuto, in via generale, sospettare la Repubblica di Turchia di violazioni dell’Accordo d’associazione, il che non rientrerebbe tra i suoi compiti.

268    Infine, la Commissione respinge l’analogia con la situazione relativa alle importazioni di zucchero originarie della Serbia e Montenegro. Infatti, in tale caso, l’avviso della Commissione agli importatori sarebbe espressamente dovuto alle lacune nella collaborazione amministrativa con le autorità della Serbia e Montenegro. Diverso sarebbe il caso delle autorità turche, che, al contrario, avrebbero pienamente collaborato con la Commissione.

 Giudizio del Tribunale

269    Occorre rilevare che la ricorrente addebita alla Commissione di essere venuta meno al suo obbligo di avvertire in tempo utile gli importatori, una volta a conoscenza dell’esistenza di irregolarità nelle esportazioni di prodotti originari della Turchia.

270    Al riguardo si ricorda che, secondo una giurisprudenza costante, nessuna disposizione comunitaria obbliga espressamente la Commissione a rendere edotti gli importatori qualora nutra dubbi in merito alla validità delle operazioni doganali effettuate dagli importatori medesimi nell’ambito di un regime preferenziale (sentenze De Haan, cit., punto 36, e Hyper/Commissione, cit., punto 126).

271    È pur vero che, nella citata sentenza Televisori turchi (punto 268), è stato riconosciuto che un siffatto obbligo a carico della Commissione poteva essere dedotto, in taluni casi specifici, dal suo obbligo generale di diligenza nei confronti degli operatori economici. Infatti, nelle cause da cui è scaturita tale sentenza, la Commissione era a conoscenza del fatto – ovvero sospettava seriamente – che le autorità turche avevano commesso gravi inadempimenti nell’ambito dell’applicazione dell’Accordo di associazione (segnatamente per la mancata trasposizione della disciplina relativa al prelievo di compensazione) e che tali inadempimenti incidevano sulla validità di tutte le esportazioni di televisori verso la Comunità.

272    Occorre tuttavia ricordare che nella citata sentenza Hyper/Commissione è stato anche dichiarato che la Commissione è obbligata, sulla base del proprio obbligo generale di diligenza, ad avvisare sistematicamente gli importatori comunitari solo nel caso in cui nutra seri dubbi quanto alla regolarità di un elevato numero di esportazioni effettuate nell’ambito di un regime preferenziale (sentenza Hyper/Commissione, cit., punto 128).

273    Orbene, nel caso di specie, la ricorrente non è stata in grado di provare l’esistenza di gravi inadempimenti da parte delle autorità turche, che inficiassero l’insieme delle esportazioni di succo di frutta concentrato e che avessero contribuito alla circolazione di certificati falsificati. Pertanto, come emerge dal precedente punto 242, non è possibile stabilire alcuna analogia con i fatti che hanno dato luogo alla citata sentenza Televisori turchi.

274    Inoltre, occorre rilevare che, al momento delle importazioni controverse, la Commissione non poteva nutrire seri dubbi relativamente alle importazioni di succo di frutta concentrato proveniente dalla Turchia. Infatti, dalla corrispondenza scambiata tra la Commissione, le autorità italiane e le autorità turche emerge che è solo dalla fine dell’anno 1998, dopo la scoperta, da parte delle autorità doganali italiane, del primo certificato falsificato e l’avvio di un procedimento d’indagine, che la Commissione ha potuto rendersi conto dell’esistenza dei certificati falsificati. Pertanto, come giustamente evidenziato dalla Commissione, anche supponendo che la Commissione fosse tenuta ad avvertire gli importatori fin dall’insorgere dei primi dubbi sulla regolarità dei certificati controversi, essa non sarebbe stata in grado di evitare il pregiudizio subìto dalla ricorrente, dato che le ultime importazioni controverse risalgono al 20 novembre 1997.

275    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione era senz’altro a conoscenza, dal 1993 o dal 1994, del fatto che i concentrati di succo di mela erano esportati dalla Turchia tramite certificati di origine irregolari, occorre constatare che la ricorrente non apporta alcun elemento di prova e che esso va quindi respinto.

276    Lo stesso vale per l’argomento relativo all’asserito avviso ad opera del Parlamento europeo, con cui questo invitava la Commissione ad indagare su irregolarità relative ai certificati di circolazione emessi dalla Repubblica di Turchia per un gran numero di prodotti. In mancanza di prove, tale argomento dev’essere respinto.

277    Occorre anche respingere l’affermazione della ricorrente secondo cui la Commissione avrebbe dovuto sapere, sulla base della relazione di missione dell’UCLAF nelle cause decise con la citata sentenza Televisori turchi, che simili violazioni delle norme in materia di origine erano state commesse nell’ambito dell’esportazione di altri prodotti, quali quelli oggetto del caso di specie. Infatti, da un lato, la ricorrente non avalla tale affermazione con nessun elemento di prova, e, dall’altro, i fatti sui cui l’UCLAF ha indagato in occasione della detta missione non riguardavano certificati falsificati da terzi, ma certificati irregolarmente emessi dalle autorità turche.

278    Peraltro, per quanto riguarda l’affermazione della ricorrente secondo cui, dal contenuto di una lettera del 9 dicembre 1998, inviata alla direzione del coordinamento della Comunità europea in Ankara, emerge che la Commissione sapeva dal 1993 che concentrati di succo di mela erano esportati per mezzo di certificati irregolari, si deve constatare che tale lettera, che è stata depositata dalla Commissione in seguito a un quesito scritto del Tribunale, non contiene nessuna informazione del genere. Infatti, in tale lettera, la Commissione chiede una verifica di tutte le esportazioni di succo di frutta concentrato per il periodo compreso tra il 1993 e il 1998, senza però specificare il momento in cui era venuta a conoscenza dell’esistenza delle irregolarità.

279    Infine, occorre dichiarare che l’analogia con l’avviso dato dalla Commissione agli importatori nell’ambito delle importazioni di zucchero originarie della Serbia e Montenegro è irrilevante. Infatti, tale avviso si basava, da un lato, sull’esistenza di dubbi fondati quanto all’esistenza di frodi considerevoli e, dall’altro, sull’esistenza di lacune nella cooperazione amministrativa con le autorità competenti. Orbene, nella presente causa, la ricorrente non è stata in grado di provare fatti del genere.

280    Da quanto precede risulta che la Commissione non è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti, non avendo avvertito la ricorrente, prima delle importazioni controverse, dei dubbi che essa poteva avere sulla regolarità dei certificati controversi.

281    Ne deriva che la presente censura non è fondata e deve quindi essere respinta.

d)     Sulla valutazione erronea dei fatti nell’ambito delle indagini svolte in Turchia

 Argomenti delle parti

282    La ricorrente afferma che dal controricorso emerge che la Commissione non ha correttamente indagato sui fatti in occasione della missione effettuata nel dicembre 1998, o che essa non ha potuto procedere ad un’indagine corretta a causa della mancanza di cooperazione delle autorità turche, o ancora che essa ha rifiutato di divulgare i risultati di una tale indagine. Secondo la ricorrente, le disposizioni relative alla reciproca assistenza, in particolare gli artt. 3, 6, 7 e 8 dell’allegato 7 alla decisione n. 1/95, fornivano alla Commissione un fondamento normativo sufficiente per condurre un’indagine che le permettesse il corretto accertamento dei fatti. La Commissione avrebbe quindi potuto accertare se i certificati controversi fossero stati emessi dalle autorità turche, registrati dall’ufficio doganale di Mersin, e riportassero i timbri di quest’ultimo, nonché se un’indagine penale fosse stata condotta nei confronti di eventuali falsari. La Commissione, avendo omesso di procedere in tal modo, si sarebbe resa colpevole di un grave inadempimento.

283    La Commissione sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, essa ha correttamente esaminato e valutato l’insieme dei fatti rilevanti. La ricorrente sottovaluterebbe sistematicamente la circostanza che la Repubblica di Turchia non è membro dell’Unione e che, pertanto, in Turchia la Commissione dispone solo dei poteri che le sono stati espressamente concessi da tale paese.

 Giudizio del Tribunale

284    Per quanto riguarda gli asseriti inadempimenti della Commissione derivanti dal fatto che l’UCLAF non avrebbe svolto un’indagine corretta in Turchia, è sufficiente rilevare che la ricorrente non è in grado di avallare il suo argomento con elementi di prova. Peraltro, si deve rilevare che nessuna disposizione applicabile nel caso di specie obbligava l’UCLAF ad adottare i metodi d’indagine suggeriti dalla ricorrente. Infine, anche ammettendo che l’UCLAF non abbia condotto un’indagine esauriente nell’ambito delle missioni effettuate in Turchia, occorre constatare che la ricorrente non è stata in grado di dimostrare la necessità della stessa fornendo elementi idonei a mettere in discussione la validità del controllo sulla regolarità dei certificati controversi effettuato dalle autorità turche.

285    Di conseguenza, le censure della ricorrente relative agli asseriti inadempimenti imputabili alla Commissione sono infondate e vanno quindi respinte.

4.     Sull’assenza di negligenza manifesta in capo alla ricorrente e sulla valutazione dei rischi

a)     Argomenti delle parti

286    Innanzi tutto, relativamente all’assenza di negligenza da parte sua, la ricorrente afferma, in primo luogo, che nella decisione impugnata (punti 53-56), la Commissione ha correttamente concluso che, per quanto riguarda i certificati A.TR.1 giudicati irregolari, essa era in buona fede ed aveva mostrato la necessaria diligenza. Lo stesso varrebbe per i certificati controversi, in quanto non ci sarebbe alcuna differenza apparente tra questi ed i certificati giudicati irregolari. Peraltro, nella decisione impugnata, la Commissione non avrebbe, correttamente, in alcun modo addebitato alla ricorrente il fatto di non aver agito con prudenza e diligenza anche in rapporto ai certificati controversi.

287    La ricorrente nega poi di aver dato prova di negligenza manifesta, avendo omesso di accertarsi del fatto che i certificati controversi utilizzati nell’ambito dei suoi rapporti commerciali fossero autentici e validi. Al riguardo, la ricorrente sottolinea che essa non disponeva di alcun elemento che potesse far sorgere il timore di eventuali falsificazioni di certificati o che le lasciasse supporre che le autorità turche rilasciassero certificati A.TR.1 per merci non originarie della Turchia. Essa sarebbe giunta alla conclusione che le autorità turche avevano gravemente e durevolmente violato le norme relative ai certificati di origine solo in seguito a colloqui tenuti dai suoi responsabili in Turchia, alla corrispondenza scambiata dalla Commissione e le autorità italiane con le autorità turche, nonché alla consultazione parziale del fascicolo.

288    Inoltre, la ricorrente dichiara che le operazioni di importazione effettuate con la società turca Akman erano normali operazioni commerciali. Orbene, secondo la giurisprudenza, nel caso in cui le importazioni rientrino in una prassi commerciale normale, spetta alla Commissione dimostrare una negligenza manifesta da parte degli importatori (citate sentenze Eyckeler & Malt/Commissione, punto 159, e Televisori turchi, punto 297).

289    Infine, nella sua replica, la ricorrente contesta l’argomento della Commissione secondo cui, qualora il Tribunale concludesse per l’esistenza di una situazione particolare in capo alla ricorrente, la questione dell’eventuale assenza di negligenza manifesta da parte di quest’ultima dovrebbe formare l’oggetto di una nuova valutazione da parte della Commissione. Secondo la ricorrente, poiché la Commissione non ha preso posizione nel controricorso sulle condizioni soggettive di applicazione dell’art. 239 del CDC, tale argomento le sarebbe ormai precluso, non solo nell’ambito del presente procedimento, ma anche nel caso in cui il presente ricorso fosse giudicato fondato. Inoltre, la ricorrente ritiene che, qualora, nella sua controreplica, la Commissione concludesse per l’esistenza di una negligenza manifesta, una tale tesi andrebbe respinta a causa di preclusione o alla ricorrente dovrebbe essere concessa la possibilità di presentare osservazioni complementari. Infatti, qualsiasi altra soluzione procurerebbe alla Commissione un ingiusto vantaggio.

290    In secondo luogo, per quanto riguarda la valutazione dei rischi, la ricorrente sottolinea che dalle circostanze esposte emerge che sia la Commissione sia le autorità turche sono incorse in un grave inadempimento agli obblighi ad esse incombenti, contribuendo all’autenticazione e al rilascio di certificati asseritamente falsi ma in realtà irregolari. Tali inadempimenti avrebbero dato luogo ad una situazione che non rientrerebbe più nel normale rischio che ogni importatore deve accollarsi, ma che, al contrario, configurerebbe una situazione particolare, ai sensi dell’art. 239 del CDC, in capo alla ricorrente.

291    Inoltre, la Commissione sarebbe obbligata, nell’esercizio delle sue funzioni nell’ambito dell’art. 239 del CDC, a tener conto non solo dell’interesse della Comunità all’osservanza delle disposizioni doganali, bensì anche dell’interesse dell’importatore in buona fede a non subire i danni che vadano oltre l’ordinario rischio commerciale (citate sentenze Eyckeler & Malt/Commissione, punto 133, e Hyper/Commissione, punto 95).

292    Innanzi tutto, la Commissione sostiene che la sezione della decisione impugnata relativa ai certificati controversi, giudicati falsificati, non contiene alcun riferimento alla questione della diligenza o della negligenza della ricorrente. Secondo la Commissione, tale questione non presentava più alcun interesse una volta stabilita l’assenza di una situazione particolare, ai sensi del combinato disposto dell’art. 239 del CDC e dell’art. 905 del regolamento d’applicazione del CDC. Tuttavia, la Commissione sottolinea che, qualora nel caso di specie il Tribunale dovesse concludere per l’esistenza di una situazione particolare, la Commissione dovrebbe procedere ad una valutazione degli altri presupposti di fatto per l’applicazione dell’art. 239 del CDC, dato che i passaggi della decisione impugnata (ai punti 52 e seguenti) relativi alla diligenza e alla buona fede della ricorrente in rapporto ai certificati considerati irregolari non sono necessariamente trasponibili.

293    Inoltre, la Commissione sostiene che gli argomenti della ricorrente relativi alle gravi violazioni delle autorità turche, qualora fondati, rivelerebbero una violazione del dovere di diligenza ad essa incombente o una negligenza manifesta da parte sua, che escluderebbe qualsiasi rimborso ai sensi dell’art. 239 del CDC. Infatti, se la ricorrente sospettava le autorità turche di gravi violazioni delle norme in materia di certificati di origine, essa avrebbe dovuto accertarsi dell’autentiticità dei certificati da essa utilizzati nei suoi rapporti commerciali. Orbene, sarebbe solo a partire dall’aprile 1999, ossia quasi due anni dopo la fine delle importazioni controverse, che la ricorrente si sarebbe informata circa il metodo con cui la Repubblica di Turchia applicava il regime preferenziale.

294    Infine, per quanto riguarda l’esame dei rischi, la Commissione rileva che dalla sua esposizione risulta che la ricorrente ha presentato certificati di origine falsificati, alla cui fabbricazione non hanno partecipato le autorità turche. Ai sensi dell’art. 904, lett. c), del regolamento d’applicazione del CDC, tale situazione non costituirebbe una circostanza particolare ai sensi dell’art. 239 del CDC, ma la concretizzazione di un normale rischio commerciale contro il quale la ricorrente avrebbe dovuto assicurarsi. Pertanto, la Commissione ritiene che da ciò non derivi un’intollerabile discriminazione della ricorrente rispetto agli altri importatori.

b)     Giudizio del Tribunale

295    Occorre rilevare che la Commissione ha respinto la domanda di sgravio dei dazi all’importazione per la ragione che, «[s]econdo [lei], (…) le menzionate circostanze non [erano] costitutive di una situazione particolare ai sensi dell’articolo 239 del regolamento (…) n. 2913/92» (punto 39 della decisione impugnata). Come giustamente rilevato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, al fine di dimostrare che non sussisteva una situazione particolare, essa non si è pronunciata, nella sezione della decisione impugnata relativa ai certificati falsificati (punti 18-41), sulla questione della diligenza o della negligenza in capo alla ricorrente.

296    Ne consegue che la parte del secondo motivo relativo all’assenza di negligenza manifesta in capo alla ricorrente è inconferente e dev’essere quindi respinto (v., in tal senso, sentenza Bonn Fleisch Ex- und Import/Commissione, cit., punto 69).

297    Alla luce di quanto precede, occorre respingere integralmente il secondo motivo.

C –  Sul terzo motivo, relativo ad una violazione dell’art. 220, n. 2, lett. b), del CDC

1.     Argomenti delle parti

298    La ricorrente ricorda innanzi tutto che, nella decisione impugnata (punti 18 e segg.), la Commissione ha esaminato principalmente l’applicabilità dell’art. 220, n. 1, lett. b), del CDC, per concludere che non sussisteva alcun inadempimento da parte delle autorità turche e respingendo quindi l’applicazione dell’art. 220, n. 2, lett. b), del CDC. Secondo la ricorrente, i rilievi della Commissione sono inesatti, poiché l’amministrazione doganale turca sapeva per certo che i 32 certificati controversi da essa autenticati e registrati erano irregolari.

299    Peraltro, la ricorrente sostiene che i colloqui tenuti dai suoi rappresentanti nonché le indagini dell’UCLAF in Turchia attestano che, anche qualora i certificati controversi non fossero stati scientemente vistati dalle autorità turche, quanto meno queste sapevano o avrebbero dovuto sapere dello loro esistenza. Poiché la ricorrente ritiene che non vi sia alcun dubbio circa la sua buona fede, ne deriverebbe che i dazi all’importazione riscossi a posteriori debbano esserle rimborsati.

300    La Commissione afferma, in via principale, che dalla decisione impugnata emerge che, per quanto riguarda i certificati giudicati falsificati, i presupposti per l’applicazione dell’art. 220, n. 2, lett. b), del CDC non sussistevano nel caso di specie, non essendo stato rilevato alcun errore da parte delle autorità turche, dato che i certificati controversi non erano stati né rilasciati né firmati dalle stesse, ma, al contrario, erano stati falsificati da terzi (punti 18-28 della decisione impugnata).

301    La Commissione sostiene, peraltro, che, ai sensi di una giurisprudenza costante, il fatto che le autorità doganali italiane abbiano inizialmente accettato i certificati di origine falsificati non costituirebbe di per sé un errore ai sensi dell’art. 220, n. 2, lett. b), del CDC.

302    Infine, la Commissione dichiara che, poiché la ricorrente solleva solo argomenti già respinti nell’ambito del motivo relativo all’applicazione dell’art. 239 del CDC, essa si permette di rinviare a tali considerazioni anteriori. La Commissione ne deduce che, nel caso di specie, non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 220, n. 2, lett. b), del CDC e che, quindi, i dazi all’importazione controversi potevano essere contabilizzati a posteriori. Pertanto, anche sotto tale profilo, il ricorso sarebbe infondato.

2.     Giudizio del Tribunale

303    Ai sensi dell’art. 220, n. 2, lett. b), del CDC, affinché le autorità competenti possano omettere di procedere alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione, devono essere soddisfatte tre condizioni cumulative. Occorre, innanzi tutto, che i dazi non siano stati riscossi per un errore delle stesse autorità competenti; poi, che l’errore in cui esse sono incorse sia tale da non poter ragionevolmente essere scoperto da un debitore in buona fede e, infine, che quest’ultimo abbia rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla sua dichiarazione in dogana (v., per analogia, sentenze della Corte 12 luglio 1989, causa 161/88, Binder, Racc. pag. 2415, punti 15 e 16; 27 giugno 1991, causa C-348/89, Mecanarte, Racc. pag. I-3277, punto 12; 4 maggio 1993, causa C-292/91, Weis, Racc. pag. I-2219, punto 14, e Faroe Seafood e a., cit., punto 83; ordinanze della Corte 9 dicembre 1999, causa C‑299/98 P, CPL Imperial 2 e Unifrigo/Commissione, Racc. pag. I-8683, punto 22, e 11 ottobre 2001, causa C-30/00, William Hinton & Sons, Racc. pag. I-7511, punti 68, 69, 71 e 72; sentenza del Tribunale 5 giugno 1996, causa T-75/95, Günzler Aluminium/Commissione, Racc. pag. II-497, punto 42).

304    Occorre anche rilevare che, secondo una giurisprudenza costante, l’art. 220, n. 2, lett. b), del CDC ha lo scopo di tutelare il legittimo affidamento del debitore circa la fondatezza dell’insieme degli elementi che intervengono nella decisione di recuperare o meno i dazi doganali. Tuttavia, il legittimo affidamento del debitore merita la tutela conferita da tale disposizione solo se sono state le autorità competenti medesime a porre in essere i presupposti sui quali si fondava il detto affidamento. Quindi, solo gli errori imputabili ad un comportamento attivo delle autorità competenti e che il debitore non ha potuto ragionevolmente individuare danno diritto al mancato recupero a posteriori dei dazi doganali (sentenza Mecanarte, cit., punti 19 e 23).

305    Nel caso di specie occorre dichiarare che, nella parte controversa della decisione impugnata, la Commissione ha concluso che non sussistevano i presupposti per l’applicazione dell’art. 220, n. 2, lett. b), del CDC, non essendo rilevabile nessun errore nell’operato delle autorità competenti (punti 25-27).

306    Da quanto precede risulta quindi che la ricorrente non è stata in grado di provare che un comportamento attivo delle autorità competenti aveva contribuito all’emissione o all’accettazione dei certificati controversi rivelatisi falsi.

307    Il presente motivo va quindi respinto.

308    Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso dev’essere integralmente respinto.

 Sulle misure di organizzazione del procedimento e sui mezzi istruttori richiesti

309    La ricorrente chiede al Tribunale di disporre vari mezzi istruttori ai sensi dell’art. 64, n. 4, e dell’art. 65 del suo regolamento di procedura.

A –  Sulla produzione di documenti contenuti nel fascicolo amministrativo

1.     Argomenti delle parti

310    La ricorrente chiede che il Tribunale voglia invitare la Commissione a produrre l’insieme dei documenti che essa sostiene di non aver potuto consultare nell’ambito dell’accesso al fascicolo amministrativo (v. precedenti punti 72 e seguenti).

311    Al fine di dimostrare la mancanza di cooperazione delle autorità turche, nonché i loro inadempimenti nell’applicazione dell’Accordo di associazione e l’insufficienza delle indagini svolte dalla Commissione, essa chiede, in particolare, la produzione delle relazioni di missione dell’UCLAF. Nello specifico, la ricorrente desidera ottenere la relazione dell’UCLAF del 23 dicembre 1998, o di altra data, sulla natura, sul contenuto e sui risultati delle indagini condotte in Turchia, in particolare presso l’ufficio doganale di Mersin. 

312    La Commissione afferma, in sostanza, che la ricorrente ha potuto consultare tutti i documenti rilevanti e, quindi, che tali richieste sono prive di effetto.

2.     Giudizio del Tribunale

313    Innanzi tutto, dal precedente punto 99 risulta che la ricorrente ha potuto consultare le relazioni di missione dell’UCLAF del 9 e del 23 dicembre 1998 prima che la decisione impugnata venisse adottata. Inoltre, occorre rilevare che tali relazioni sono state depositate dalla Commissione in seguito ad un quesito scritto del Tribunale. In tale contesto, la presente istanza è priva di oggetto e deve quindi essere respinta.

B –  Sugli altri mezzi istruttori

1.     Argomenti delle parti

314    Innanzi tutto, al fine di provare l’obbligo di trasmettere i facsimile dei timbri e delle firme utilizzati dall’amministrazione doganale turca, in particolare le impronte e le firme dell’ufficio doganale di Mersin, ed il fatto che tali facsimile sono stati ufficialmente inviati alla Commissione dalle autorità turche e successivamente trasmessi alle autorità degli Stati membri, la ricorrente chiede al Tribunale di ordinare alla Commissione e all’amministrazione doganale italiana di allegarli al fascicolo, insieme ai documenti attestanti che le copie dei timbri e le firme autorizzate sono state inviate ai servizi competenti degli Stati membri.

315    In secondo luogo, al fine di dimostrare che i 32 certificati A.TR.1 controversi non sono dei falsi, la ricorrente chiede al Tribunale di nominare un esperto, quale il servizio di polizia doganale tedesco di Colonia, che controlli l’autenticità degli originali, per mezzo di una comparazione con le impronte originali dei timbri e delle firme rilevanti.

316    A tal fine, la ricorrente chiede anche che il Tribunale voglia ordinare alla Commissione di sollecitare le autorità doganali di Ravenna, oppure inviti direttamente queste ultime, a trasmettere all’esperto designato gli originali dei 103 certificati A.TR.1 menzionati nella lettera dell’amministrazione italiana allegata al ricorso. Anche il mandatario ad litem della ricorrente dovrebbe avere la possibilità di consultare tali certificati.

317    Il Tribunale dovrebbe anche richiedere al governo turco, eventualmente per tramite della Commissione, l’invio delle copie originali dei certificati controversi in suo possesso, al fine di compararli con gli originali nell’ambito del regime di assistenza amministrativa convenuto.

318    In terzo luogo, allo scopo di dimostrare che i certificati controversi costituiscono documenti autentici e sono stati registrati dall’ufficio doganale di Mersin, la ricorrente chiede al Tribunale di invitare l’amministrazione centrale turca delle dogane a designare un funzionario che dovrebbe produrre in udienza i modelli dei timbri e delle firme usati dall’ufficio doganale di Mersin nel periodo controverso, nonché i registri, e fornire informazioni circa la non autenticità o l’irregolarità dei certificati controversi.

319    A tale proposito, la ricorrente invoca la reciproca assistenza tra le parti contraenti dell’Accordo di associazione. Essa sottolinea, in particolare, che, ai sensi dell’art. 29 della decisione n. 1/95, in combinato disposto con il suo allegato 7 e con l’art. 15 della decisione n. 1/96, le autorità comunitarie e quelle turche si prestano mutua assistenza per il controllo dell’autenticità e della regolarità dei certificati A.TR.1. Inoltre, l’art. 12 dell’allegato 7 alla decisione n. 1/96 disporrebbe che i funzionari dell’autorità interpellata compaiono in qualità di esperti o di testimoni nella giurisdizione di un’altra parte contraente e producono i documenti o le copie autenticate eventualmente necessari ai fini del procedimento.

320    La Commissione ritiene che le richieste della ricorrente relativamente all’esibizione dei certificati controversi e al loro controllo da parte di un esperto debbano essere respinte dal momento che la verifica dell’autenticità dei certificati è di esclusiva competenza delle autorità turche.

321    Parimenti, la richiesta diretta ad accogliere la testimonianza di un agente doganale turco andrebbe dichiarata irricevibile, considerato che, secondo la Commissione, l’amministrazione doganale turca ha già confermato più volte le sue affermazioni in merito ai certificati controversi.

322    Per quanto riguarda la richiesta di trasmissione di atti provenienti dai registri dell’ufficio doganale di Mersin, la Commissione sostiene che essa è parimenti irricevibile, in quanto priva di effetti, avendo la Commissione già fatto riferimento alla possibilità dell’esistenza di 32 certificati autentici e che essi siano serviti ai falsari da modello per produrre i certificati controversi.

2.     Giudizio del Tribunale

323    Per quanto riguarda i mezzi istruttori richiesti, ai sensi di una giurisprudenza consolidata, spetta al Tribunale valutare l’utilità dei provvedimenti istruttori ai fini della soluzione della lite (sentenza del Tribunale 16 maggio 2001, causa T‑68/99, Toditec/Commissione, Racc. pag. II‑1443, punto 40).

324    Nel caso di specie occorre rilevare che, come evidenziato dalla Commissione, le autorità turche hanno chiaramente affermato che i certificati controversi erano stati falsificati. Pertanto, alla luce degli elementi del fascicolo e delle censure formulate dalla ricorrente, risulta che siffatte misure dirette a dimostrare che si tratta di documenti autentici non sono né rilevanti né necessarie ai fini della decisione della presente controversia. Non occorre quindi ricorrervi. Le richieste della ricorrente aventi ad oggetto il deposito dei certificati controversi ed il loro controllo da parte di un esperto devono quindi essere respinte.

C –  Sulle offerte di prova

1.     Argomenti delle parti

325    La ricorrente offre come prova dei vari fatti allegati l’ascolto, in qualità di testimone, del sig. Thomas Nothelfer, dipendente della società Steinhauser, che, nel periodo in questione, era responsabile, in particolare, dell’acquisto di concentrati di succo di frutta in Turchia e che avrebbe condotto vari colloqui con le autorità turche in occasione del suo soggiorno in Turchia nella prima metà del mese di aprile 1999. Essa offre anche alcune dichiarazioni del prof. Gerd Merke, che avrebbe accompagnato il sig. Nothelfer nel suo viaggio in Turchia.

326    Innanzi tutto, al fine di provare che i certificati controversi costituiscono documenti autentici, la ricorrente offre la testimonianza del sig. Nothelfer, secondo il quale i competenti agenti doganali di Mersin hanno riconosciuto che i timbri utilizzati erano appena leggibili e che l’autorità doganale centrale turca non ne aveva loro fornito di nuovi da più di un anno, a dispetto delle loro richieste in tal senso.

327    Inoltre, al fine di provare che i certificati controversi sono stati registrati dall’ufficio doganale di Mersin, la ricorrente offre la testimonianza del sig. Nothelfer, che attesta di aver visto tali registri. Il sig. Nothelfer potrebbe anche attestare che, in occasione di un colloquio con il competente agente doganale di Mersin, egli ha chiesto che fosse messa a sua disposizione una copia delle pagine del registro recanti i numeri dei 32 certificati A.TR.1 indicati come falsi, ma che, dopo aver accolto la sua richiesta, l’agente doganale non gli ha trasmesso alcuna copia.

328    Inoltre, al fine di provare che i certificati controversi costituiscono documenti autentici, la ricorrente offre le testimonianze del sig. Nothelfer e del sig. Merke secondo i quali, in una riunione con l’amministrazione centrale delle dogane in Ankara nell’aprile 1999, il sig. Nothelfer ha affermato che, in base alle informazioni in suo possesso, tutti i certificati A.TR.1 (irregolari o falsi) erano stati vistati e registrati dall’amministrazione doganale. Il rappresentante dell’autorità doganale centrale di Ankara gli avrebbe risposto che era stata disposta un’indagine penale al fine di verificare i documenti.

329    Peraltro, al fine di provare che le autorità turche non erano coscienti del contenuto e dell’importanza delle norme in materia di regime preferenziale e di origine delle merci, la ricorrente offre la testimonianza del sig. Nothelfer e del sig. Merke, relativamente al loro colloquio con il sig. Dogran, dell’ufficio degli affari economici del Primo Ministro turco. Tale testimonianza servirebbe anche a provare che l’UCLAF ha informato solo tardivamente le autorità turche dell’importanza delle norme preferenziali e dell’obbligo di osservarle.

330    Infine, allo scopo di dimostrare che la Commissione ha violato il suo dovere di avvisare gli importatori, la ricorrente offre come prova un’«informazione della Commissione europea e [un’]informazione del Parlamento europeo», che riguarderebbero irregolarità relative ai certificati di origine di vari prodotti in Turchia.

331    Secondo la Commissione, le offerte di prova relative ai registri tenuti dall’ufficio doganale di Mersin sono senza importanza. Innanzi tutto, le disposizioni rilevanti dell’Accordo di associazione non prevedrebbero la tenuta di tali registri. In secondo luogo, la Commissione sostiene che le autorità doganali turche hanno potuto rilasciare i 32 certificati A.TR.1 per lotti diversi dalle consegne controverse nel caso di specie.

332    Per quanto riguarda i colloqui dei rappresentanti della ricorrente con le autorità turche, la Commissione ritiene che essi rafforzino la credibilità delle conclusioni da esse trasmesse, e siano quindi irrilevanti. Inoltre, la Commissione sostiene che l’affermazione del sig. Nothelfer secondo cui alcuni membri del gruppo del Primo Ministro non conoscevano la normativa in materia di origine e di tariffe preferenziali è priva di rilevanza in quanto l’essenziale sarebbe la conoscenza di tali norme da parte dei servizi doganali.

2.     Giudizio del Tribunale

333    Per quanto riguarda le offerte di prova formulate dalla ricorrente, è sufficiente rilevare che, alla luce di quanto precede (v., in particolare, i precedenti punti 150 e seguenti, 161 e seguenti, 216 e 276), esse sono tutte irrilevanti e devono quindi essere respinte.

 Sulle spese

334    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la convenuta ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La ricorrente è condannata alle spese.

Vilaras

Martins Ribeiro

Jürimäe

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 6 febbraio 2007.

Il cancelliere

 

       Il presidente

E. Coulon

 

       M. Vilaras

Indice


Contesto normativo

A –  Normativa relativa al regime preferenziale

1.  Normativa in vigore nella fase transitoria

2.  Normativa in vigore nella fase finale

B –  Normativa doganale

1.  Normativa relativa allo sgravio dei dazi doganali

2.  Normativa relativa alle regole in materia di origine

C –  Normativa relativa alla riservatezza di alcuni documenti

Fatti all’origine della controversia

A –  Importazioni controverse

B –  Procedimento penale ed amministrativo dinanzi alle autorità italiane e comunitarie

C –  Certificato D 437214

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

A –  Sul primo motivo, relativo ad una violazione dei diritti della difesa

1.  Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

B –  Sul secondo motivo, relativo ad una violazione dell’art. 239 del CDC

1.  1. Sul certificato di circolazione A.TR.1 D 437214

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

2.  Sugli inadempimenti imputabili alle autorità turche

a)  Sui facsimile dei timbri e delle firme

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

–  Osservazioni preliminari

–  Nel merito

b)  Sulla registrazione dei certificati da parte delle autorità turche

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

c)  Sul concorso delle autorità doganali turche

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

d)  Sulla violazione delle norme in materia di assistenza amministrativa

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

e)  Sugli indizi aggiuntivi

Argomenti della ricorrente

Giudizio del Tribunale

3.  Sugli inadempimenti imputabili alla Commissione europea

a)  Sull’assenza di regolare controllo sul regime preferenziale

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

b)  Sulla mancata trasmissione dei facsimile dei timbri e delle firme

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

c)  Sulla violazione dell’obbligo di avvertenza tempestiva degli importatori

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

d)  Sulla valutazione erronea dei fatti nell’ambito delle indagini svolte in Turchia

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

4.  Sull’assenza di negligenza manifesta in capo alla ricorrente e sulla valutazione dei rischi

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

C –  Sul terzo motivo, relativo ad una violazione dell’art. 220, n. 2, lett. b), del CDC

1.  Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

Sulle misure di organizzazione del procedimento e sui mezzi istruttori richiesti

A –  Sulla produzione di documenti contenuti nel fascicolo amministrativo

1.  Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

B –  Sugli altri mezzi istruttori

1.  Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

C –  Sulle offerte di prova

1.  Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

Sulle spese


* Lingua processuale: il tedesco.