Language of document : ECLI:EU:T:2006:390

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

13 dicembre 2006(*)

«Politica agricola comune – Polizia sanitaria – Encefalopatia spongiforme bovina (“malattia della mucca pazza”) – Nuova variante del morbo di Creutzfeldt-Jakob – Ricorso per risarcimento danni – Responsabilità extracontrattuale – Responsabilità della Comunità in mancanza di un comportamento illecito dei suoi organi – Danno – Nesso causale – Vizi di forma – Procedure nazionali parallele – Prescrizione – Irricevibilità»

Nel procedimento T‑138/03,

É. R., O. O., J. R., A. R., B. P. R., residenti in Vaulx-en-Velin (Francia),

T. D., J. D., D. D., V. D., residenti in Palaiseau (Francia),

D. E., É. E., residenti in Ozoir-la-Ferrière (Francia),

C. R., residente in Vichy (Francia),

H. R., M. S. R., I. R., B. R., M. R., residenti in Pau (Francia),

C. S., residente in Parigi (Francia),

rappresentati dall’avv. F. Honnorat,

ricorrenti,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato inizialmente dalla sig.ra M. Balta e dal sig. F. Ruggeri Laderchi, successivamente dalla sig.ra Balta e dal sig. F. Florindo Gijón, in qualità di agenti,

e

Commissione delle Comunità europee, rappresentata inizialmente dai sigg. D. Booss e G. Berscheid, successivamente dal sig. Berscheid e dal sig. T. van Rijn, in qualità di agenti,

convenuti,

avente ad oggetto domande di risarcimento ai sensi degli artt. 235 CE e 288, secondo comma, CE, intese ad ottenere la riparazione dei danni asseritamente subiti dai ricorrenti a causa della contaminazione e del decesso di loro familiari che presentavano una nuova variante della malattia di Creutzfeldt‑Jakob, che sarebbe legata alla comparsa e alla propagazione in Europa dell’encefalopatia spongiforme bovina, di cui sarebbero responsabili il Consiglio e la Commissione,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione),

composto dal sig. R. García‑Valdecasas, presidente, dal sig. J.D. Cooke e dalla sig.ra I. Labucka, giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 16 febbraio 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti all’origine della controversia

I –  Comparsa dell’encefalopatia spongiforme bovina e della nuova variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob e misure comunitarie e nazionali di lotta contro tali malattie

1        L’encefalopatia spongiforme bovina (in prosieguo: la «BSE»), cosiddetto morbo «della mucca pazza», fa parte di un gruppo di malattie chiamate encefalopatie spongiformi trasmissibili, caratterizzate da una progressiva degenerazione del cervello e dall’aspetto spongiforme delle cellule nervose, rilevabile all’analisi microscopica. Tali malattie sono precedute da un periodo di incubazione silenziosa, durante la quale i soggetti contaminati, apparentemente sani, non mostrano alcun segno clinico rivelatore. La probabile origine della BSE consisterebbe in una modificazione della composizione dei mangimi destinati ai bovini, che avrebbero contenuto proteine provenienti da pecore affette dalla malattia detta «trotto della pecora» (scrapia). La trasmissione della malattia sarebbe stata determinata, principalmente, dall’ingestione di alimenti, in particolare di farine di carne e di ossa, contenenti l’agente infettivo non eliminato.

2        Il primo caso di BSE è stato rilevato nel Regno Unito nel 1986. L’epizoozia si è rapidamente diffusa in tale paese, passando dai 442 casi della fine del 1987 a un’incidenza massima annua di circa 37 000 casi nel 1992. All’inizio degli anni ’90, sono stati rilevati casi di BSE in altri Stati membri.

3        Nel luglio 1988, il Regno Unito ha deciso, da un lato, di vietare la vendita dei mangimi destinati ai ruminanti e contenenti proteine di ruminanti e, dall’altro, di proibire agli allevatori di alimentare i ruminanti con mangimi di tal genere [«Ruminant Feed Ban», contenuto nel Bovine Spongiform Encephalopathy Order (decreto sull’encefalopatia spongiforme bovina) (1988, SI 1988/1039), modificato successivamente].

4        Anche le istituzioni comunitarie hanno preso provvedimenti, a partire dal luglio 1989, per fronteggiare la BSE. La maggior parte di tali misure è stata adottata sulla base della direttiva del Consiglio 11 dicembre 1989, 89/662/CEE, relativa ai controlli veterinari applicabili negli scambi intracomunitari, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno (GU L 395, pag. 13), e della direttiva del Consiglio 26 giugno 1990, 90/425/CEE, relativa ai controlli veterinari e zootecnici applicabili negli scambi intracomunitari di taluni animali vivi e prodotti di origine animale, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno (GU L 224, pag. 29), le quali consentono alla Commissione di adottare misure di salvaguardia allorché esiste un rischio per gli animali o per la salute umana.

5        La decisione della Commissione 28 luglio 1989, 89/469/CEE, recante misure di protezione contro la BSE nel Regno Unito (GU L 225, pag. 51), ha dunque introdotto un certo numero di restrizioni agli scambi intracomunitari di bovini nati nel Regno Unito prima del luglio 1988. Tale decisione è stata modificata dalla decisione della Commissione 7 febbraio 1990, 90/59/CEE (GU L 41, pag. 23), che ha generalizzato il divieto di esportazione dei bovini dal Regno Unito estendendolo a tutti i bovini di età superiore ai sei mesi. La decisione della Commissione 8 giugno 1990, 90/261/CEE, recante modifica della decisione 89/469 e della decisione 90/200/CEE, che stabilisce requisiti supplementari per taluni tessuti ed organi in relazione all’encefalopatia spongiforme bovina (BSE) (GU L 146, pag. 29), ha stabilito che il rispetto di tale divieto doveva essere garantito mediante l’apposizione sugli animali di un marchio speciale nonché mediante l’impiego di un sistema di registrazione computerizzato per consentire l’identificazione degli animali. Inoltre, la decisione della Commissione 6 marzo 1990, 90/134/CEE (GU L 76, pag. 23), ha aggiunto la BSE nell’elenco delle malattie assoggettate a notifica dalla direttiva del Consiglio 21 dicembre 1982, 82/894/CEE, concernente la notifica delle malattie degli animali nella Comunità (GU L 378, pag. 58).

6        La decisione della Commissione 9 aprile 1990, 90/200/CEE, che stabilisce requisiti supplementari per taluni tessuti ed organi in relazione alla BSE (GU L 105, pag. 24), ha introdotto una serie di misure destinate a limitare gli scambi intracomunitari tra il Regno Unito e gli altri Stati membri di taluni tessuti e organi – cervello, midollo spinale, tonsille, timo, milza e intestino – provenienti da bovini che avessero superato i sei mesi al momento della macellazione. Con la detta decisione è stata vietata anche l’esportazione di altri tessuti e organi non destinati al consumo umano e si è disposto che qualsiasi bovino che presentasse i sintomi clinici della BSE doveva essere abbattuto separatamente e il suo cervello esaminato al fine di evidenziare il morbo. Qualora la BSE fosse stata confermata, la decisione imponeva la distruzione della carcassa e delle frattaglie dell’animale. La decisione della Commissione 14 maggio 1992, 92/290/CEE, recante misure di protezione contro la BSE nel Regno Unito relativamente agli embrioni di bovini (GU L 152, pag. 37), ha imposto a tutti gli Stati membri di non spedire verso altri Stati membri della Comunità embrioni di specie bovine raccolti da femmine in cui fosse stata confermata o sospettata la presenza della BSE. Per quanto riguarda il Regno Unito, tale decisione vietava l’esportazione di embrioni provenienti da animali nati prima del 18 luglio 1988 e imponeva l’adozione delle misure necessarie per l’identificazione degli animali donatori.

7        La decisione della Commissione 27 giugno 1994, 94/381/CE, concernente misure di protezione per quanto riguarda la BSE e la somministrazione, con la dieta, di proteine derivate da mammiferi (GU L 172, pag. 23), ha vietato nell’intera Comunità l’impiego di proteine provenienti da mammiferi nei mangimi dei ruminanti; tuttavia, gli Stati membri che fossero in grado di far applicare un sistema atto a distinguere le proteine ricavate da ruminanti da quelle ricavate dai non ruminanti potevano essere autorizzati dalla Commissione a consentire l’alimentazione dei ruminanti con proteine ricavate da altre specie di mammiferi.

8        Nel 1995, l’unità di sorveglianza sulla malattia di Creutzfeldt-Jakob (in prosieguo: la «MCJ») di Edimburgo (Regno Unito) ha identificato dieci casi di MCJ. Tale malattia neurologica incurabile e mortale colpisce l’uomo e appartiene alla famiglia delle encefalopatie spongiformi umane. I casi identificati presentavano una forma sufficientemente distinta dalla MCJ classica per essere descritta come una nuova variante della MCJ (in prosieguo: la «nvMCJ»). I pazienti erano tutti giovani (dai 19 ai 41 anni, con un’età media di 29 anni); essi presentavano una malattia dal decorso relativamente lungo (in media 13 mesi) e un quadro clinico diverso rispetto alla MCJ classica, nonché caratteristiche istologiche totalmente nuove, constatate con l’autopsia.

9        Il 20 marzo 1996 lo Spongiform Encephalopathy Advisory Committee (in prosieguo: il «SEAC»), organismo scientifico indipendente con funzioni di consulenza del governo del Regno Unito in materia di BSE, ha emesso un comunicato nel quale venivano riferiti i suddetti dieci casi di nvMCJ e si precisava che, «pur non esistendo alcuna prova diretta di un collegamento (...), la spiegazione [a quella data] più verosimile [era] che tali casi [fossero] collegati a un’esposizione alla BSE prima dell’introduzione, nel 1989, del divieto concernente talune frattaglie specifiche di carni bovine».

10      Il 27 marzo 1996 la Commissione ha adottato la decisione 96/239/CE, relativa a misure di emergenza in materia di protezione contro la BSE (GU L 78, pag. 47), vietando la spedizione di bovini vivi, di carni bovine o di qualsiasi prodotto ottenuto da carni bovine dal territorio del Regno Unito verso gli altri Stati membri e i paesi terzi. La detta decisione riguardava in particolare: in primo luogo, bovini vivi, ovvero sperma o embrioni dei medesimi; in secondo luogo, carni di bovini macellati nel Regno Unito; in terzo luogo, prodotti ottenuti da animali della specie bovina macellati nel Regno Unito, idonei ad entrare nella catena alimentare umana o animale, nonché i prodotti destinati ad uso medico, cosmetico o farmaceutico; in quarto luogo, le farine di carne e di ossa provenienti da mammiferi.

11      Il 18 luglio 1996 il Parlamento europeo ha costituito una commissione temporanea d’inchiesta sulla BSE. Il 7 febbraio 1997 tale commissione ha adottato una relazione sugli addebiti di infrazione o di cattiva amministrazione nell’applicazione del diritto comunitario in materia di BSE, fatte salve le competenze dei giudici comunitari e nazionali (in prosieguo: la «relazione della commissione d’inchiesta»). Tale relazione rilevava una cattiva gestione della crisi della BSE da parte della Commissione, del Consiglio e delle autorità del Regno Unito e criticava il funzionamento dei comitati comunitari incaricati delle questioni veterinarie e sanitarie.

12      La decisione della Commissione 30 luglio 1997, 97/534/CE, sul divieto di utilizzare materiale a rischio per quanto concerne le encefalopatie spongiformi trasmissibili (GU L 216, pag. 95), ha vietato qualsiasi utilizzo dei cosiddetti «materiali specifici a rischio» (in prosieguo: gli «MSR»), vale dire, in primo luogo, il cranio, compreso il cervello e gli occhi, le tonsille e il midollo spinale di bovini di età superiore ai dodici mesi e di ovini e caprini di età superiore ai dodici mesi o ai quali fosse spuntato un dente incisivo permanente, e, in secondo luogo, la milza di ovini e caprini. Sin dall’entrata in vigore della detta decisione, era vietata qualsiasi utilizzazione di MSR, nonché l’utilizzazione della colonna vertebrale di bovini, ovini e caprini per la produzione di carni separate meccanicamente. Inoltre, gli MSR dovevano essere oggetto di un trattamento di distruzione specifico, in quanto dovevano essere inceneriti, fatte salve le eventuali misure supplementari adottate dagli Stati membri per gli animali macellati nel loro proprio territorio. La data inizialmente prevista per l’entrata in vigore della detta decisione, ossia il 1° gennaio 1998, è stata successivamente rinviata al 30 giugno 2000.

13      Tuttavia, il 29 giugno 2000 la Commissione ha adottato la decisione 2000/418/CE, che disciplina l’impiego di materiale a rischio per quanto concerne le encefalopatie spongiformi trasmissibili e modifica la decisione 94/474/CE (GU L 158, pag. 76), che stabilisce misure di protezione contro l’encefalopatia spongiforme bovina ed abroga le decisioni 89/469/CEE e 90/200/CEE (GU L 194, pag. 96), adottata dalla Commissione il 27 luglio 1994. La decisione 2000/418 ha abrogato e sostituito la decisione 97/534 e ha infine disciplinato l’impiego degli MSR, definendo i materiali di bovini, ovini e caprini che dovevano essere prelevati e distrutti dopo il 1° ottobre 2000 in base a una procedura specifica, destinata a garantire la non trasmissibilità della BSE. Tale decisione ha altresì vietato l’utilizzazione delle ossa della testa e della colonna vertebrale di tali animali in taluni casi e l’impiego di alcuni metodi di macellazione.

14      Il 4 dicembre 2000 il Consiglio ha adottato la decisione 2000/766/CE, relativa a talune misure di protezione nei confronti delle encefalopatie spongiformi trasmissibili e alla somministrazione di proteine animali nell’alimentazione degli animali (GU L 306, pag. 32), la quale è entrata in vigore il 1° gennaio 2001 ed imponeva agli Stati membri il divieto di utilizzare proteine animali trasformate nei mangimi degli animali d’allevamento tenuti, ingrassati o allevati per la produzione di alimenti.

15      Il 13 settembre 2001, la Corte dei conti ha adottato la relazione speciale n. 14/2001 relativa alla BSE (GU C 324, pag. 1). In tale relazione, la Corte dei conti ha esaminato le misure relative alla BSE adottate e attuate dall’Unione europea per identificare e gestire il rischio di comparsa e di diffusione della BSE e la minaccia che tale malattia poteva costituire per la salute umana e animale. La Corte dei conti ha constatato in particolare che la strategia della Commissione in materia di BSE era generalmente soddisfacente e fondata sulle conoscenze scientifiche disponibili, ma che la sua efficacia era stata compromessa da un’attuazione carente da parte degli Stati membri e dall’insufficienza delle risorse di cui la Commissione disponeva per imporre a questi ultimi misure correttive.

II –  Circostanze specifiche dei ricorrenti e procedure avviate presso autorità amministrative e giurisdizionali francesi

16      I ricorrenti hanno proposto il ricorso in esame in qualità di vittime indirette e di aventi diritto di cinque persone decedute in Francia tra il 1996 e il 2002 a causa della nvMCJ.

17      É. R., O. O., J. R., A. R. e B. P. R. sono, rispettivamente, il padre, la madre e i tre fratelli di H. E. R., deceduto il 4 gennaio 1996 all’età di 27 anni.

18      T. D., J. D., D. D. e V. D. sono, rispettivamente, la madre, i fratelli e la sorella di L. D., deceduta il 4 febbraio 2000, all’età di 36 anni.

19      D. E. e É. E. sono i genitori di A. E., deceduto il 25 aprile 2001, all’età di 19 anni. Essi agiscono anche in qualità di legali rappresentanti della loro figlia minorenne J. E., sorella di A. E.

20      C. R. è la vedova di F. R., deceduto il 10 febbraio 2002, all’età di 36 anni. Essa agisce anche in qualità di legale rappresentante del loro figlio minorenne. D. R. H. R., M. S. R., I. R, B. R. e M. R. sono rispettivamente il padre, la madre e le sorelle di F. R.

21      C. S. è il vedovo di S. C. S, deceduta il 14 dicembre 2002, all’età di 32 anni. Egli agisce anche in qualità di legale rappresentante dei loro figli minorenni, M. S., S. S. S. e A. S.

22      I ricorrenti hanno esperito azioni di risarcimento dinanzi al giudice amministrativo francese contro le autorità di tale Stato, dirette a far sanzionare il comportamento asseritamente illegittimo di queste ultime consistente nella mancata adozione di misure appropriate per la prevenzione dei rischi implicati dalla BSE. Il 5 ottobre 2005, il Tribunal administratif de Paris (Francia) ha respinto le richieste dei ricorrenti, considerando che le date del contagio delle vittime potevano essere anteriori al maggio 1988, data cui risalirebbe l’inadempimento della Repubblica francese contestato dai ricorrenti. I ricorrenti interponevano appello contro tali sentenze dinanzi alla Cour administrative d’appel de Paris. Inoltre, essi si costituivano parte civile nell’ambito di un procedimento penale delegato al vicepresidente istruttore del Tribunal de grande instance de Paris, relativo all’omicidio colposo delle persone contagiate dalla nvMCJ.

23      In base agli impegni assunti dal Ministero francese della Salute, della Famiglia e delle Persone disabili con lettere 25 febbraio e 7 luglio 2004, il Ministro dell’Interno francese ha concesso ai ricorrenti «contributi di solidarietà» nel giugno 2004 e nel gennaio 2005. Tali indennizzi erano diretti a risarcire i danni subiti dalle vittime e dai loro aventi diritto a causa della nvMCJ e sono stati corrisposti su parere della commissione per il risarcimento delle vittime della malattia di Creutzfeldt-Jakob iatrogena conseguente a un trattamento con ormoni della crescita, la cui missione era stata estesa alla valutazione dei danni subiti dalle persone colpite dalla nvMCJ. Gli importi totali di tali risarcimenti ammontano a EUR 1 431 000.

 Procedimento e conclusioni delle parti

24      Con atto introduttivo pervenuto nella cancelleria del Tribunale il 24 aprile 2003, i ricorrenti hanno proposto il ricorso in esame.

25      Con lettera pervenuta nella cancelleria del Tribunale il 22 maggio 2003, C. S. ha chiesto di beneficiare del patrocinio legale gratuito per sé e per i suoi tre figli minorenni, a nome dei quali aveva proposto il ricorso, in qualità di loro legale rappresentante. Con ordinanza del presidente della Quinta Sezione 9 febbraio 2004, il Tribunale ha loro concesso il detto beneficio.

26      Nelle loro memorie, i convenuti hanno chiesto che il procedimento in esame venga sospeso fino a che non siano decise le cause relative alle azioni di responsabilità esercitate dai ricorrenti, ad eccezione della famiglia di H. E. R., contro le autorità francesi, dinanzi ai giudici di tale Stato membro. Tali azioni sarebbero fondate sugli stessi fatti e sulle stesse censure e riguarderebbero gli stessi danni oggetto del presente procedimento. Con lettera 25 ottobre 2003, i ricorrenti si sono opposti alla domanda di sospensione. Poiché i ricorrenti si erano opposti e la domanda non rientrava in alcuno dei casi previsti dall’art. 54, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia e dall’art. 77 del regolamento di procedura del Tribunale, quest’ultimo non ha accolto tale domanda.

27      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di aprire la fase orale. Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha posto vari quesiti alle parti e ha chiesto loro di produrre taluni documenti. Le parti hanno risposto e prodotto i documenti entro il termine stabilito.

28      Le parti hanno esposto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti del Tribunale all’udienza del 16 febbraio 2006.

29      I ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        dichiarare ricevibile il ricorso;

–        condannare in solido il Consiglio e la Commissione a un risarcimento per complessivi EUR 3 780 733, 71, più gli interessi compensativi al tasso del 10% calcolati a decorrere dalla rispettiva data del decesso delle persone in questione e gli interessi di mora calcolati a decorrere dalla sentenza interlocutoria da pronunciarsi;

–        in ogni caso, riservare EUR 1 sul risarcimento di ciascuno dei danni identificati, al fine di preservare il loro interesse ad agire;

–        condannare il Consiglio e la Commissione alle spese.

30      Il Consiglio e la Commissione chiedono che il Tribunale voglia:

–        in via principale, dichiarare irricevibile il ricorso;

–        in subordine, dichiarare infondate le domande;

–        condannare i ricorrenti alle spese.

 Sulla ricevibilità

31      La Commissione e il Consiglio, convenuti, deducono tre motivi di irricevibilità. Il primo motivo verte sulla mancanza di precisione degli elementi fondamentali di fatto e di diritto sui quali si basa il ricorso. Il secondo motivo riguarda il mancato esaurimento dei mezzi di ricorso nazionali e la connessione con procedimenti nazionali. Il terzo motivo attiene alla prescrizione.

I –  Sul primo motivo di irricevibilità, vertente sulla mancanza di precisione degli elementi fondamentali di fatto e di diritto sui quali si basa il ricorso

A –  Argomenti delle parti

32      I convenuti ricordano che, ai sensi dell’art. 21 dello Statuto della Corte e dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura, ogni istanza deve indicare l’oggetto della controversia e contenere l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Un ricorso diretto al risarcimento dei danni che si affermano causati da un’istituzione comunitaria deve contenere gli elementi che consentono di individuare il comportamento contestato, il nesso di causalità tra tale comportamento e il danno lamentato, nonché la natura e l’entità di tale danno. Orbene, nella fattispecie, il ricorso non consentirebbe di individuare senza ambiguità il comportamento illegittimo contestato, a causa segnatamente di una confusione tra le violazioni contestate al Consiglio e quelle addebitate alla Commissione o, ancora, quelle imputate alle autorità francesi. Del pari, secondo la Commissione, mancano nel ricorso le informazioni relative alla comparsa dei primi sintomi clinici della malattia, il che impedisce di stabilire, da un lato, il termine di decorrenza della prescrizione quinquennale e, dall’altro, in funzione di tale data, la rilevanza, per ciascuna delle persone decedute, degli atti o delle omissioni contestati. Il Consiglio rileva inoltre che i ricorrenti non producono elementi oggettivi atti a dimostrare il nesso tra il contagio dei loro parenti e i comportamenti contestati. Infine, mancherebbero nel ricorso, oltreché qualsiasi informazione sul metodo di calcolo seguito per quantificare i presunti danni, anche i documenti giustificativi e i dati oggettivi idonei a consentire di determinarli.

33      I ricorrenti sostengono che le censure formulate dai convenuti riguardano la fondatezza delle loro richieste e non la ricevibilità del ricorso. Essi affermano che i comportamenti contestati, la natura e l’entità dei danni lamentati, nonché il nesso di causalità individuato sono stati descritti con sufficiente precisione.

B –  Giudizio del Tribunale

34      Ai sensi dell’art. 21 dello Statuto della Corte e dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura, il ricorso deve indicare l’oggetto della controversia e contenere l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Al fine di garantire la certezza del diritto e una corretta amministrazione della giustizia è necessario, affinché un ricorso sia considerato ricevibile, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso è fondato emergano, anche sommariamente, purché in modo coerente e comprensibile, dall’atto introduttivo stesso (ordinanze del Tribunale 28 aprile 1993, causa T‑85/92, De Hoe/Commissione, Racc. pag. II‑523, punto 20, e 29 novembre 1993, causa T‑56/92, Koelman/Commissione,Racc. pag. II‑1267, punto 21). Secondo costante giurisprudenza, per essere conforme a tali requisiti, un ricorso inteso al risarcimento dei danni causati da un’istituzione comunitaria deve contenere elementi che consentano di individuare il comportamento che il ricorrente addebita all’istituzione, le ragioni per le quali egli ritiene che esista un nesso di causalità tra il comportamento e il danno che asserisce di aver subito, nonché il carattere e l’entità di tale danno (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 18 settembre 1996, causa T‑387/94, Asia Motor France e a./Commissione,Racc. pag. II‑961, punto 107; ordinanza del Tribunale 21 novembre 1996, causa T‑53/96, Syndicat des producteurs de viande bovine e a./Commissione,Racc. pag. II‑1579, punto 22).

35      Orbene, si deve constatare che, nella fattispecie, il ricorso soddisfa i suddetti requisiti. Infatti, in primo luogo, i ricorrenti espongono ampiamente e dettagliatamente le azioni e omissioni che contestano alle istituzioni convenute, nonché i principi che sarebbero stati violati da queste ultime (v. segnatamente ricorso, punti 96‑204). In secondo luogo, i ricorrenti quantificano in maniera molto precisa i risarcimenti richiesti da ciascuno di loro (v. ricorso, punti 230‑244). Del pari, essi definiscono il «danno da contagio» lamentato, fornendo anche esempi di risarcimenti concessi dai giudici francesi per tale motivo (v. ricorso, punti 226‑228), e descrivono i danni morali che affermano di avere subito (v. ricorso, punto 229). In terzo luogo, i ricorrenti espongono i motivi per cui ritengono che esista un nesso di causalità tra i comportamenti da loro imputati al Consiglio e alla Commissione e i danni che sostengono di avere subito. Infatti, essi rilevano che l’esistenza di un nesso tra la BSE e la nvMCJ è stata dimostrata con argomenti medici, scientifici ed epidemiologici (v. ricorso, punti 248‑254) e addebitano alle istituzioni convenute la responsabilità del contagio dei loro parenti, in particolare per le presunte carenze nella gestione della crisi della BSE (v. ricorso, punti 256‑268).

36      Pertanto, si deve concludere che nella fattispecie sussistono le condizioni di cui all’art. 21 dello Statuto della Corte e all’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura.

37      Di conseguenza, si deve respingere questo motivo di irricevibilità.

II –  Sul secondo motivo di irricevibilità, vertente sul mancato esaurimento dei mezzi di ricorso nazionali e sulla connessione con procedimenti nazionali

A –  Argomenti delle parti

38      I convenuti rilevano che, quando le autorità nazionali sono chiamate ad attuare la legislazione comunitaria, i singoli devono esperire i mezzi di ricorso disponibili dinanzi ai giudici nazionali quando questi sono in grado di garantire la tutela dei loro diritti (sentenza della Corte 29 settembre 1987, causa 81/86, De Boer Buizen/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 3677, punto 9). Essi constatano che richieste di risarcimento aventi per oggetto gli stessi fatti e il medesimo danno e risarcimento di cui alla presente causa sono state presentate dai ricorrenti, ad eccezione della famiglia di H. E. R., dinanzi al Tribunal administratif de Paris, nei confronti delle autorità francesi. Il ricorso in esame sarebbe quindi prematuro e, di conseguenza, irricevibile. Esisterebbe inoltre il rischio di decisioni contraddittorie, nonché la possibilità che i ricorrenti vengano risarciti due volte per lo stesso danno. In ogni caso, il ricorso sarebbe manifestamente irricevibile sia per quanto riguarda il danno derivante dagli atti adottati dalle autorità nazionali nell’ambito delle loro competenze che per quello causato da un presunto controllo inadeguato da parte delle istituzioni comunitarie in ordine all’applicazione del diritto comunitario da parte degli Stati membri (ordinanza del Tribunale 3 luglio 1997, causa T‑201/96, Smanor e a./Commissione,Racc. pag. II‑1081, punti 30 e 31).

39      I ricorrenti ricordano che i giudici comunitari hanno competenza esclusiva a statuire sui ricorsi diretti al risarcimento di danni imputabili alle istituzioni dell’Unione europea. Essi aggiungono che il Tribunale può disporre che gli siano trasmessi, in qualsiasi momento, gli elementi utili ai fini della sua decisione, per esempio i documenti prodotti in un procedimento nazionale. Ciò garantirebbe che i ricorrenti non possano ottenere un duplice risarcimento degli stessi danni.

B –  Giudizio del Tribunale

40      Secondo costante giurisprudenza, l’azione per il risarcimento dei danni ai sensi degli artt. 235 CE e 288, secondo comma, CE è stata istituita come rimedio giurisdizionale autonomo, dotato di una particolare funzione nell’ambito del sistema dei mezzi di tutela giurisdizionale e subordinato, quanto al suo esercizio, a condizioni attinenti al suo oggetto (sentenza del Tribunale 13 dicembre 1995, cause riunite T‑481/93 e T‑484/93, Exporteurs in Levende Varkens e a./Commissione,Racc. pag. II‑2941, punto 69). Tuttavia, è esatto che tale azione dev’essere valutata alla luce del sistema complessivo di tutela giurisdizionale dei singoli e che la sua ricevibilità può quindi essere subordinata, in certi casi, all’esaurimento dei rimedi giurisdizionali interni offerti per ottenere l’annullamento di una decisione dell’autorità nazionale. A tal fine occorre tuttavia che i suddetti rimedi nazionali garantiscano in modo efficace la tutela dei singoli interessati e che possano condurre al risarcimento dell’asserito danno (sentenza della Corte 26 febbraio 1986, causa 175/84, Krohn/Commissione, Racc. pag. 753, punto 27, e sentenza De Boer Buizen/Consiglio e Commissione, cit., punto 9).

41      Orbene, tale situazione non sussiste nel caso di specie. In primo luogo, va rilevato che il risarcimento dei danni lamentati dai ricorrenti non può essere ottenuto, neanche in parte, mediante l’annullamento di un atto o di determinati atti di un’autorità nazionale. In secondo luogo, si deve osservare che la domanda di risarcimento proposta dai ricorrenti si fonda su pretesi comportamenti illegittimi del Consiglio e della Commissione. Orbene, considerato in particolare che il giudice comunitario ha competenza esclusiva a statuire, in forza dell’art. 288 CE, sulle controversie relative al risarcimento di un danno imputabile alla Comunità, i mezzi di tutela giurisdizionale nazionali non potrebbero ipso facto garantire ai ricorrenti nella fattispecie una tutela efficace dei loro diritti, ossia, segnatamente, il risarcimento di tutti i danni da essi lamentati (v., in tal senso, sentenze della Corte 13 marzo 1992, causa C‑282/90, Vreugdenhil/Commissione,Racc. pag. I‑1937, punto 14, e 8 aprile 1992, causa C‑55/90, Cato/Commissione, Racc. pag. I‑2533, punto 17; sentenze del Tribunale 18 settembre 1995, causa T‑167/94, Nölle/Consiglio e Commissione,Racc. pag. II‑2589, punti 41 e 42; Exporteurs in Levende Varkens e a./Commissione, cit., punto 72, e 11 gennaio 2002, causa T‑210/00, Biret e Cie/Consiglio,Racc. pag. II‑47, punti 37 e 38).

42      Si deve peraltro osservare che, secondo la Corte, quando lo stesso danno è stato oggetto di due azioni di risarcimento, una diretta contro uno Stato membro dinanzi a un giudice nazionale, l’altra contro la Comunità dinanzi al giudice comunitario, può risultare necessario, prima di stabilire l’entità del danno di cui la Comunità sarà dichiarata responsabile, attendere che il giudice nazionale si pronunci sull’eventuale responsabilità dello Stato membro, al fine di evitare che, a causa di una divergenza di valutazione tra due giudici diversi, il ricorrente venga risarcito in misura insufficiente o eccessiva (v., in tal senso, sentenze della Corte 14 luglio 1967, cause riunite 5/66, 7/66 e 13/66‑24/66, Kampffmeyer e a./Commissione CEE, Racc. pag. 287, a pag. 312, e 30 novembre 1967, causa 30/66, Becher/Commissione, Racc. pag. 337, a pagg. 355 e 356). Va rilevato che, in ogni caso, tale questione non riguarda la ricevibilità del ricorso proposto dinanzi al giudice comunitario, ma unicamente, se del caso, la determinazione definitiva dell’importo del risarcimento che quest’ultimo deve concedere.

43      Infine, per quanto riguarda gli argomenti con cui il Consiglio e la Commissione fanno valere che i presunti danni derivano da azioni compiute dalle autorità nazionali nell’ambito delle loro competenze e dal controllo inadeguato, da parte delle istituzioni comunitarie, sull’applicazione del diritto comunitario da parte degli Stati membri, è sufficiente osservare che tali argomenti non sono idonei a determinare l’irricevibilità del ricorso in esame. Sarà opportuno analizzarli, se del caso, nell’ambito dell’esame dei comportamenti illeciti contestati ai convenuti, o dei danni lamentati dai ricorrenti.

44      Pertanto, va respinto anche il secondo motivo di irricevibilità.

III –  Sul terzo motivo di irricevibilità, concernente la prescrizione

A –  Argomenti delle parti

45      I convenuti ricordano che, conformemente all’art. 46 dello Statuto della Corte, le azioni contro la Comunità in materia di responsabilità extracontrattuale si prescrivono in cinque anni a decorrere dal momento in cui avviene il fatto che dà loro origine. Nella fattispecie, il menzionato termine inizierebbe a decorrere dalla data in cui sono comparsi i primi sintomi della malattia, momento nel quale si sarebbero verificati il danno personale delle vittime e il presunto danno indiretto dei loro parenti.

46      I convenuti sottolineano che H. E. R. è deceduto il 4 gennaio 1996 e che i sintomi clinici della sua malattia erano già comparsi nell’agosto 1994. Essi ricordano che il probabile collegamento tra la nvMCJ e la BSE era stato rivelato dalla pubblicazione del comunicato del SEAC del 20 marzo 1996 ed era stato oggetto di ampia diffusione sulla stampa. I convenuti concludono che la prescrizione dell’azione della famiglia di H. E. R. è ampiamente acquisita. Essi esprimono dubbi anche in ordine alla prescrizione delle azioni delle famiglie di L. D., A. E. e F. R., in quanto il ricorso non consentirebbe di individuare la data esatta della comparsa dei primi sintomi della malattia per la quale sono deceduti i loro parenti. Orbene, l’onere di provare che la comparsa di questi primi sintomi non si è verificata oltre cinque anni prima della presentazione del ricorso incomberebbe ai ricorrenti.

47      I ricorrenti sostengono che la prescrizione dell’azione di risarcimento non può iniziare a decorrere dalla data in cui sono comparsi i primi sintomi della malattia. Essi affermano che i criteri diagnostici della nvMCJ si verificano con certezza solo attraverso constatazioni effettuate post mortem e che i primi sintomi della malattia non sono sufficienti a giustificare una presunzione diagnostica.

48      I ricorrenti rilevano che il decesso di H. E. R. e la successiva autopsia che ha confermato la diagnosi della nvMCJ sono intervenuti prima che tale malattia venisse ufficialmente descritta dagli esperti e quindi prima che fosse conosciuta con un ragionevole grado di certezza l’identità dell’agente patogeno della BSE e della nvMCJ. Infatti, fino all’adozione del parere del Comitato scientifico direttivo (in prosieguo: il «CSD») del 10 dicembre 1999, la famiglia di H. E. R. non avrebbe potuto disporre degli elementi necessari per conoscere il fatto generatore del danno causatole. Tale parere avrebbe sancito l’esistenza di un consenso scientifico sull’identità dell’agente patogeno che collega la BSE alla nvMCJ, mentre in precedenza il nesso tra queste due malattie avrebbe costituito solo una «ipotesi plausibile». Inoltre, la relazione del consulente tecnico nominato dal giudice che avrebbe fornito una certezza diagnostica sarebbe stata notificata ufficialmente alla famiglia di H. E. R. solo il 13 novembre 2003. Per quanto riguarda le altre vittime, le rispettive relazioni di perizia medica proverebbero che la diagnosi della nvMCJ non è stata menzionata prima dei cinque anni precedenti la presentazione del ricorso.

B –  Giudizio del Tribunale

49      Ai sensi dell’art. 46 dello Statuto della Corte, le azioni contro la Comunità in materia di responsabilità extracontrattuale si prescrivono in cinque anni a decorrere dal momento in cui avviene il fatto che dà loro origine. Il termine di prescrizione non può tuttavia iniziare a decorrere prima che sussistano tutti i presupposti cui è subordinato l’obbligo del risarcimento e, segnatamente, ove si tratti di casi in cui la responsabilità deriva, come nel caso di specie, da un atto normativo, prima che si siano prodotti gli effetti dannosi dei detti atti (sentenza della Corte 27 gennaio 1982, cause riunite 256/80, 257/80, 265/80, 267/80 e 5/81, Birra Wührer e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. 85, punto 10; sentenza Biret e Cie/Consiglio, cit., punto 41). Infine, qualora la vittima del danno abbia potuto avere conoscenza del fatto che lo ha causato solo con ritardo, il termine può iniziare a decorrere nei suoi confronti solo dall’avvenuta conoscenza (v., in tal senso, sentenza della Corte 7 novembre 1985, causa 145/83, Adams/Commissione, Racc. pag. 3539, punto 50).

50      Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostengono i convenuti, non si può opporre ai ricorrenti, quale termine iniziale della prescrizione della loro azione, il momento in cui sono comparsi i primi sintomi clinici caratteristici della malattia contratta dai loro parenti. Infatti, in primo luogo, gli effetti dannosi in questione sono legati sia al contagio da nvMCJ che al decesso delle persone colpite dalla malattia. Pertanto, non si può ritenere che tali danni si siano pienamente verificati prima della morte delle vittime. In secondo luogo, è pacifico che, all’epoca dei fatti della presente causa, la diagnosi della nvMCJ risultava particolarmente difficile e spesso non poteva essere confermata con certezza prima del decesso del paziente. Il Tribunale rileva quindi che, nel caso di specie, il termine di prescrizione non deve iniziare a decorrere prima delle rispettive date del decesso di ognuna delle vittime o, se interviene successivamente, dalla diagnosi definitiva della nvMCJ.

51      Per quanto riguarda le famiglie di L. D., A. E. e F. R., il decesso dei loro parenti a causa della nvMCJ non è avvenuto prima dei cinque anni precedenti la presentazione del ricorso. Infatti, L. D. è deceduta il 4 febbraio 2000, A. E., il 25 aprile 2001, F. R., il 10 febbraio 2002. Si deve inoltre osservare che dalle relazioni peritali redatte per ciascuna di tali vittime su richiesta del Tribunal de grande instance de Paris e del Tribunal administratif de Paris in data 1° ottobre 2002, 13 aprile, 20 maggio, 6 giugno 2003 e 29 gennaio 2004, emerge che in nessuno di questi casi era stata diagnosticata la nvMCJ, neanche in via preliminare, prima dei cinque anni precedenti la presentazione del ricorso.

52      Per contro, va rilevato che H. E. R. è deceduto il 4 gennaio 1996, cioè oltre sette anni prima della presentazione del ricorso nel presente procedimento. I ricorrenti negano tuttavia che l’azione della famiglia di H. E. R. sia prescritta e osservano, in primo luogo, che la relazione del consulente tecnico nominato dal giudice in cui viene elaborata una diagnosi certa è stata notificata agli interessati solo il 13 novembre 2003 e che, in secondo luogo, prima dell’adozione del parere del CSD del 10 dicembre 1999 non esisteva consenso scientifico sull’identità dell’agente patogeno che collega la BSE alla nvMCJ. Tali argomenti, tuttavia, non possono essere accolti.

53      Infatti, in primo luogo, anche se la relazione peritale del 2 luglio 2003, elaborata da due consulenti tecnici su richiesta del primo giudice istruttore del Tribunal de grande instance de Paris, è stata notificata ai parenti di H. E. R. solo il 13 novembre 2003, è pur vero che tale relazione è stata redatta sulla base della cartella clinica di H. E. R. Orbene, da tale cartella risulta che, il 23 novembre 1995, da una biopsia cerebrale era stata dedotta una diagnosi preliminare dell’encefalopatia spongiforme che aveva colpito il paziente. Tale diagnosi è stata confermata da analisi complementari nel novembre 1995. L’autopsia dell’encefalo di H. E. R. ha confermato che egli era stato colpito da «una encefalopatia spongiforme di Creutzfeldt-Jakob». Infine, dagli atti emerge altresì, come del resto ammesso dai ricorrenti in udienza, che la famiglia di H. E. R. è stata informata della conferma di tale diagnosi nel 1996.

54      In secondo luogo, si deve rilevare che è generalmente ammesso che l’esistenza di un probabile collegamento tra la BSE e la nvMCJ è stata riconosciuta su basi scientifiche dal comunicato del SEAC del marzo 1996. Più in particolare, il detto comunicato, con la sua diffusione mediatica, ha segnato l’inizio della presa di coscienza, da parte del grande pubblico, dei rischi legati alla BSE e del collegamento esistente tra tale patologia e la nvMCJ. Infatti, le informazioni contenute nel comunicato del SEAC modificavano notevolmente la percezione, da parte dei consumatori, del pericolo che questa malattia rappresentava per la salute umana (sentenza della Corte 5 maggio 1998, causa C‑180/96, Regno Unito/Commissione,Racc. pag. I‑2265, punti 52 e 53, e sentenza del Tribunale 30 settembre 1998, causa T‑149/96, Coldiretti e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑3841, punto 109). Per contro, il parere del CSD del 10 dicembre 1999 sul rischio di esposizione umana alla BSE per via alimentare non sembra rivestire la stessa importanza nell’ambito delle ricerche scientifiche in questo settore, dato che si limita piuttosto a fare un quadro delle ricerche complementari effettuate al fine di valutare e precisare i rischi che la BSE comportava per la salute umana. In ogni caso, tale parere del CSD del 10 dicembre 1999 non ha sicuramente avuto una copertura mediatica e un impatto sull’opinione pubblica paragonabili a quelli del comunicato del SEAC del 1996. Va quindi respinta la tesi dei ricorrenti secondo cui la famiglia di H. E. R. ha ragionevolmente potuto avere conoscenza della probabile causa della malattia di H. E. R. solo dopo il parere del CSD del 10 dicembre 1999.

55      Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve concludere che, per quanto riguarda il risarcimento dei danni derivanti dal contagio e dal decesso di H. E. R., il ricorso in esame è stato proposto dopo la scadenza del termine di prescrizione.

56      Di conseguenza, si deve dichiarare prescritta l’azione di É. R., O. O., J. R., A. R. e B. P. R. Il terzo motivo d’irricevibilità va respinto per il resto.

 Nel merito

57      In via principale, i ricorrenti contestano alla Commissione e al Consiglio la violazione di una norma superiore di diritto a tutela dei singoli, per avere omesso di garantire un livello elevato di protezione della salute dei consumatori. In subordine, essi sostengono che, tenuto conto del carattere anormale e speciale del danno in questione, il risarcimento dev’essere garantito dalle istituzioni comunitarie anche in mancanza di illecito delle stesse.

I –  Sulla responsabilità extracontrattuale della Comunità per comportamento illecito delle istituzioni convenute

A –  Argomenti delle parti

58      I ricorrenti sostengono che il Consiglio e la Commissione hanno privilegiato, in modo persistente e deliberato, gli interessi degli operatori del mercato della carne bovina a danno della salute dei consumatori in occasione della valutazione e della gestione dei rischi connessi alla BSE. Tali istituzioni sarebbero venute meno ai loro doveri e obblighi nel settore della salute animale e umana e avrebbero adottato norme e misure insufficienti, erronee, inadeguate o tardive per fronteggiare i rischi derivanti dalla BSE e dalla nvMCJ. Il Consiglio e la Commissione dovrebbero quindi essere considerati responsabili del contagio da nvMCJ dei familiari dei ricorrenti, ma tale responsabilità non sarebbe esclusiva.

59      I convenuti ricordano che, in materia di responsabilità extracontrattuale della Comunità, è riconosciuto un diritto al risarcimento qualora siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a tutelare i singoli e la sua violazione sia sufficientemente qualificata, che sia stabilita l’esistenza del danno e, infine, che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente alla Comunità e il danno subìto dai soggetti lesi (sentenze del Tribunale 14 novembre 2002, cause riunite T‑94/00, T‑110/00 e T‑159/00, Rica Foods e a./Commissione, Racc. pag. II‑4677, punti 250 e 251, e Exporteurs in Levende Varkens e a./Commissione, cit., punti 81 e 91). Essi negano che queste tre condizioni sussistano cumulativamente nel caso di specie e precisano che l’onere della prova incombe ai ricorrenti.

1.     Sui comportamenti illeciti contestati al Consiglio e alla Commissione

60      I ricorrenti sostengono che spettava in primo luogo al Consiglio e alla Commissione adottare le decisioni appropriate per prevenire i rischi legati alla diffusione della BSE. Essi sottolineano che, ai sensi dell’art. 129, n. 1, terzo comma, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 152, n. 1, primo comma, CE), e conformemente a una costante giurisprudenza, le esigenze di protezione della salute devono essere prese in considerazione dalle istituzioni comunitarie nell’attuazione sia della politica agricola comune (sentenza della Corte 15 settembre 1994, causa C‑146/91, KYDEP/Consiglio e Commissione,Racc. pag. I‑4199, punto 61) che del principio di libera circolazione delle merci (ordinanza del presidente del Tribunale 13 luglio 1996, causa T‑76/96 R, The National Farmers’ Union e a./Commissione,Racc. pag. II‑815).

61      I ricorrenti ammettono che le istituzioni comunitarie dispongono, in materia di politica agricola comune, di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda la definizione degli scopi perseguiti e la scelta degli opportuni strumenti d’azione e, pertanto, la determinazione del livello di rischio reputato inaccettabile per la società. Il sindacato del giudice comunitario dovrebbe quindi limitarsi a verificare se l’esercizio di un tale potere discrezionale non sia viziato da errore manifesto o da sviamento di potere (sentenze della Corte 25 gennaio 1979, causa 98/78, Racke, Racc. pag. 69, punto 5, e 21 febbraio 1990, cause riunite da C‑267/88 a C‑285/88, Wuidart e a., Racc. pag. I‑435, punto 14).

62      I ricorrenti ricordano che, in conformità dell’art. 130 R, n. 2, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 174, n. 2, CE), il principio di precauzione costituisce uno dei principi sui quali si fonda la politica della Comunità in materia ambientale. Tale principio si applicherebbe anche quando le istituzioni comunitarie adottano, nel quadro della politica agricola comune, misure di tutela della salute umana (sentenze della Corte Regno Unito/Commissione, cit., punto 100, e 5 maggio 1998, causa C‑157/96, National Farmers’ Union e a.,Racc. pag. I‑2211, punto 64). Quando sussistono incertezze scientifiche riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute del consumatore, le istituzioni potrebbero adottare misure cautelative senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi (sentenze Regno Unito/Commissione, cit., punto 99, e National Farmers’ Union e a., cit., punto 63; sentenza del Tribunale 16 luglio 1998, causa T‑199/96, Bergaderm e Goupil/Commissione, Racc. pag. II‑2805, punto 66).

63      I convenuti osservano che le misure in materia di tutela della sanità pubblica rientrano essenzialmente tra le competenze degli Stati membri, cui incomberebbe adottare tutti i provvedimenti necessari, sia sulla base dell’art. 30 CE, nei settori in cui non è stata realizzata un’armonizzazione a livello comunitario, che sulla base delle varie clausole di salvaguardia previste dalla legislazione comunitaria, nei settori in cui vi è stata armonizzazione. A tale proposito, i convenuti si riferiscono in particolare alle direttive 89/662 e 90/425. Gli Stati membri sarebbero quindi incaricati dell’esecuzione degli atti comunitari e del controllo della loro applicazione da parte dei singoli e delle imprese. Orbene, potrebbero formare oggetto di un’azione di risarcimento contro le istituzioni comunitarie solo gli atti o le omissioni che rientrano effettivamente nella competenza esclusiva di tali istituzioni.

64      La Commissione fa inoltre valere che, anche prima dell’affermazione, da parte della giurisprudenza, a partire dagli anni ’90, del principio di precauzione, quest’ultimo ha orientato le sue iniziative nella gestione della «crisi della mucca pazza». Essa ricorda che il probabile collegamento tra la nvMCJ e la BSE è stato annunciato solo nel 1996 e che prima di tale data gli esperti ritenevano che il rischio per l’uomo fosse minimo. Ciononostante, la Commissione non si sarebbe limitata a prendere misure dirette unicamente a proteggere la salute animale, bensì avrebbe adottato, a partire dal 1989, provvedimenti in materia di sanità pubblica. Benché tali provvedimenti possano oggi sembrare insufficienti, l’azione della Commissione andrebbe valutata alla luce delle conoscenze imperfette dell’epoca.

65      Per quanto riguarda i comportamenti illeciti concretamente contestati al Consiglio e alla Commissione, i ricorrenti sostengono, in primo luogo, che le istituzioni convenute hanno commesso errori manifesti di valutazione nella gestione dei rischi connessi alla BSE. In secondo luogo, essi contestano al Consiglio e alla Commissione uno sviamento di potere. In terzo luogo, lamentano una violazione dei principi del legittimo affidamento e di buona amministrazione.

a)     Sulla censura relativa a errori manifesti di valutazione nella gestione della crisi della BSE

66      I ricorrenti sostengono che i convenuti hanno adottato le misure pertinenti alla luce dei rischi connessi alla BSE con notevole ritardo rispetto alle misure adottate dalle autorità del Regno Unito, che hanno vietato le farine di carne e di ossa nell’alimentazione dei ruminanti nel luglio 1988.

67      La Commissione contesta questo presunto ritardo nell’adozione di misure adeguate. Essa rileva che la legittimità di un atto deve essere valutata in base alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l’atto è stato adottato (sentenza della Corte 7 febbraio 1979, cause riunite 15/76 e 16/76, Francia/Commissione, Racc. pag. 321, punto 7) e, pertanto, non può dipendere da valutazioni retrospettive riguardanti l’efficacia dei suoi risultati.

68      In primo luogo, i ricorrenti criticano il ritardo con cui sono state adottate le prime misure comunitarie per contrastare la BSE. Infatti, i primi divieti di esportare taluni bovini vivi dal Regno Unito sarebbero stati disposti solo il 28 luglio 1989, con la decisione 89/469. La notifica dei casi di BSE sarebbe stata resa obbligatoria solo il 6 marzo 1990, con la decisione 90/134. Infine, la decisione 90/200 ha vietato l’esportazione dal Regno Unito di taluni tessuti e organi bovini solo il 9 aprile 1990.

69      La Commissione replica di aver adottato le prime misure contro la BSE appena pochi mesi dopo la pubblicazione della relazione del gruppo di lavoro sulla BSE pubblicato dal Ministero dell’Agricoltura, della Pesca e dell’Alimentazione del Regno Unito nel febbraio 1989 (relazione Southwood).

70      In secondo luogo, i ricorrenti criticano la gestione da parte dei convenuti di fattori oggettivi di rischio quali il consumo di farine importate dal Regno Unito e il possibile riciclo dell’agente infettivo attraverso l’impiego di scarti di animali nella produzione di mangimi. Essi ricordano che le misure introdotte dalle autorità del Regno Unito nel 1988 non impedivano ai produttori di tale paese di esportare legalmente le farine verso altri Stati membri. Tuttavia, la Comunità avrebbe vietato l’impiego di farine di carne e di ossa ottenute da tessuti di mammiferi nell’alimentazione dei ruminanti solo nel luglio 1994, con la decisione 94/381. Dalla tardività di tali misure deriverebbe uno sviluppo epidemico testimoniato dai primi cinque casi conclamati di BSE in Francia nel 1991. I ricorrenti fanno infine valere che, anche dopo il divieto di utilizzare proteine di mammiferi nell’alimentazione dei ruminanti, gli allevamenti europei sono rimasti esposti al rischio di propagazione della BSE legato alle contaminazioni incrociate nei circuiti di produzione e distribuzione dei mangimi per animali.

71      La Commissione rileva che, nel 1989 e nel 1990, i comitati veterinari non avevano raccomandato l’adozione di una normativa comunitaria che vietasse le farine di carne e di ossa. Orbene, dinanzi al rifiuto, espresso dagli Stati membri nel 1989, di prendere misure che andassero oltre i pareri dei comitati scientifici, la Commissione sarebbe stata costretta a rinunciare a proibire tali farine, ma avrebbe invitato gli Stati membri ad applicare divieti unilaterali.

72      In terzo luogo, i ricorrenti contestano alle istituzioni convenute il ritardo nell’attuazione di un embargo su tutti i bovini e i prodotti di origine bovina provenienti dal Regno Unito. Tale embargo sarebbe stato imposto solo il 27 marzo 1996, con la decisione 96/239.

73      La Commissione replica che, dal 1989 al 1996, nessun parere scientifico aveva consigliato tale misura di embargo. Alla luce della scoperta di un possibile collegamento tra la BSE e la nvMCJ, rivelata dal comunicato del SEAC del 20 marzo 1996, la Commissione avrebbe immediatamente deciso di procedere a una nuova valutazione del rischio. Infatti, il 22 marzo 1996, essa avrebbe riunito il comitato scientifico veterinario (CSV) e, il 25 marzo 1996, avrebbe convocato il comitato veterinario permanente (CVP). Seguendo la raccomandazione di quest’ultimo, la Commissione ha adottato la decisione 96/239 in data 27 marzo 1996.

74      In quarto luogo, i ricorrenti criticano il ritardo nell’applicazione del divieto di utilizzare gli MSR. Infatti, l’opposizione di vari Stati membri, sia nell’ambito del CVP che in seno al Consiglio, avrebbe fatto sì che l’entrata in vigore della decisione 97/534, prevista per il 1° gennaio 1998, fosse rinviata a più riprese e che il divieto relativo agli MSR divenisse effettivo solo a partire dal 1° ottobre 2000, con l’adozione della decisione 2000/418. Orbene, tale divieto costituirebbe la principale misura di tutela della salute umana, dato che il consumo degli MSR avrebbe costituito la fonte diretta del contagio da nvMCJ.

75      La Commissione conferma che, contrariamente a quanto affermano i ricorrenti, la decisione 2000/418 non è stata la prima misura comunitaria relativa al divieto di MSR. Infatti, la decisione 90/200 avrebbe già previsto un divieto di esportazione dal Regno Unito di materiali quali cervello, midollo spinale, timo, tonsille, milza e intestino. La Commissione afferma di avere adottato, nel periodo compreso tra il 1989 e 1996, tutti i provvedimenti raccomandati dai pareri dei comitati scientifici in materia di ritiro degli MSR (precedentemente denominati «frattaglie bovine specifiche» o «SBO»).

76      In quinto luogo, i ricorrenti fanno valere che, sebbene le istituzioni convenute avessero rapidamente acquisito la certezza della diffusione della BSE in paesi europei diversi dal Regno Unito e fossero coscienti delle implicazioni di una valutazione prospettiva della situazione epidemiologica degli Stati membri, il CSD avrebbe raccomandato di procedere alla valutazione del rischio geografico rappresentato dalla BSE solo con un parere del 23 gennaio 1998, modificato il 20 febbraio 1998.

77      La Commissione contesta la tesi secondo cui, sin dal 1990, tale valutazione prospettiva della situazione epidemiologica degli Stati membri sarebbe stata indispensabile. In ogni caso, la decisione 90/134 avrebbe imposto a tutti gli Stati membri la notifica obbligatoria di ogni focolaio di BSE, il che avrebbe permesso di sorvegliare l’evoluzione dell’epidemia nei vari paesi.

b)     Sulla censura relativa allo sviamento di potere

78      I ricorrenti rilevano che, a più riprese, la Commissione ha minacciato di agire in giudizio contro alcuni Stati membri al fine di dissuaderli dall’adottare misure unilaterali di tutela contro i rischi legati alla BSE, nonostante l’art. 36 del Trattato CE (divenuto art. 30 CE) consenta loro di adottare tali misure. I ricorrenti si riferiscono segnatamente all’opposizione della Commissione all’adozione da parte della Francia, nel 1990, di una sospensione temporanea delle importazioni di bovini vivi e di prodotti derivati provenienti dal Regno Unito, nonché all’adozione, da parte della Francia, nel 1992 di misure temporanee per vietare la vendita di integratori alimentari e di prodotti destinati all’alimentazione dell’infanzia contenenti tessuti diversi da quelli muscolari di origine bovina e ovina. Tali intimazioni risponderebbero alla preoccupazione di non rivelare il rischio di incidenza della BSE in Francia e di celare l’insufficienza delle misure comunitarie in questo settore, e costituirebbero uno sviamento di potere.

79      I convenuti ricordano che costituisce uno sviamento di potere l’adozione, da parte di un’istituzione comunitaria, di un atto allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie (sentenza della Corte 12 novembre 1996, causa C‑84/94, Regno Unito/Consiglio, Racc. pag. I‑5755, punto 69). Orbene, poiché il funzionamento del mercato interno, la stabilità dei mercati agricoli e la garanzia di un reddito equo per gli agricoltori sono obiettivi legittimamente perseguiti dalla Comunità nell’ambito dei poteri conferitile dal Trattato, i fatti censurati dai ricorrenti non potrebbero integrare uno sviamento di potere.

c)     Sulla censura relativa alla violazione dei principi del legittimo affidamento e di buona amministrazione

80      I ricorrenti sostengono che i convenuti hanno violato il legittimo affidamento dei consumatori europei in quanto, per evitare che la diffusione degli effetti della BSE provocasse un crollo del mercato della carne bovina, essi hanno privilegiato una politica di opacità e di mancanza di trasparenza e hanno rinunciato ad attuare una «pedagogia del rischio». I ricorrenti criticano anche la mancanza di indipendenza e di trasparenza dei pareri scientifici comunitari. A tale riguardo essi rilevano che la relazione della commissione d’inchiesta del Parlamento del 7 febbraio 1997 ha vivamente criticato la prevalenza dei rappresentanti del Regno Unito in seno alla CSV. Infine, essi contestano alla Commissione di non avere effettuato alcuna ispezione relativa alla BSE fino al 1994.

81      I convenuti ricordano che nessuno può dedurre una violazione del legittimo affidamento in mancanza di assicurazioni precise fornitegli dall’amministrazione (sentenza del Tribunale 11 dicembre 1996, causa T‑521/93, Atlanta e a./CE,Racc. pag. II‑1707, punto 57). Orbene, nel caso di specie non sarebbe nemmeno stata contestata la violazione di assicurazioni in questo senso. Quanto alla presunta mancanza di ispezioni comunitarie sulla BSE tra il 1990 e il 1994, la Commissione precisa che il suo compito consiste solo nel controllare l’attività ispettiva degli Stati membri.

2.     Sull’esistenza di un danno

82      I ricorrenti invocano in primo luogo l’esistenza di un «danno da contagio», ossia un danno personale non economico che includerebbe tutti i disturbi e le sofferenze fisiologiche, fisiche e psichiche subiti da ciascuna vittima della malattia, che nel caso di specie avrebbero avuto natura eccezionale. Tale danno da contagio sarebbe stato valutato in EUR 340 000 dai giudici francesi in un caso di contagio iatrogeno (cioè causato da trattamenti sanitari) di MCJ dovuta a un’iniezione di ormoni della crescita. I ricorrenti lamentano, in secondo luogo, danni morali, affermando che le sofferenze dei loro parenti colpiti dalla malattia, le incertezze della diagnosi e la possibilità di essere a loro volta contagiati hanno avuto su di loro ripercussioni di carattere eccezionale. Essi chiedono un risarcimento, in terzo luogo, per i danni materiali, sia per le perdite subite che per il lucro cessante, causati dalla malattia dei loro parenti. Infine, essi chiedono interessi compensatori al tasso del 10% calcolati a decorrere dalla data del rispettivo decesso delle vittime, nonché gli interessi di mora a decorrere dalla pronuncia della futura sentenza interlocutoria.

83      In particolare, per quanto riguarda il contagio e il decesso di L. D., vengono formulate le seguenti richieste di risarcimento: un importo di EUR 457 347,05 agli aventi diritto della vittima, a titolo di risarcimento del danno da contagio; EUR 45 734,71 in favore della madre della vittima, per il danno morale derivante da tale contagio; EUR 30 489,80 per ciascuno dei due fratelli e per la sorella della vittima, per il danno morale sofferto.

84      Nel caso di A. E. vengono formulate le seguenti richieste di risarcimento: un importo di EUR 457 347,05 agli aventi diritto della vittima, a titolo di risarcimento del danno da contagio; EUR 76 224,51 per ciascuno dei genitori, a risarcimento del danno morale derivante dal contagio; EUR 76 224,51 sempre a favore dei genitori, in qualità di legali rappresentanti della figlia minorenne, per il danno morale subito da quest’ultima in conseguenza del contagio del fratello maggiore.

85      Per quanto riguarda F. R., vengono formulate le seguenti richieste di risarcimento: un importo di EUR 457 347 agli aventi diritto della vittima, a titolo di risarcimento del danno da contagio; EUR 76 224,51 in favore della vedova della vittima, per il danno morale derivante da contagio; del pari, alla stessa persona, in qualità di legale rappresentante del figlio minore, EUR 76 224,51 per il risarcimento del danno morale subito da quest’ultimo e lo stesso importo a titolo di risarcimento del danno materiale; EUR 45 735 per ciascuno dei genitori della vittima, per il danno morale derivante dal contagio; EUR 30 489 per ciascuna delle tre sorelle della vittima, a risarcimento del danno morale.

86      Infine, per quanto riguarda S. C. S., vengono formulate le seguenti richieste di risarcimento: un importo di EUR 457 347 in favore del vedovo della vittima, in qualità di avente diritto di quest’ultima e di legale rappresentante dei figli minori, a titolo di risarcimento del danno da contagio; EUR 76 224,51 per il danno morale sofferto dal vedovo in conseguenza del contagio della moglie deceduta; del pari, in qualità di legale rappresentante dei tre figli minori, EUR 76 224,51 per ciascuno di essi, a risarcimento del danno morale subito e lo stesso importo per i danni materiali.

87      I convenuti fanno valere che il ricorso fornisce scarse spiegazioni sulle modalità con cui sono stati calcolati i risarcimenti. I convenuti osservano inoltre che, per valutare il danno materiale subito a causa di una malattia, occorre prendere in considerazione i costi connessi alle cure e all’assistenza dei malati, il lucro cessante per la durata della malattia, i danni materiali derivanti direttamente dal decesso e la perdita materiale dovuta al lucro cessante per le persone che dipendono economicamente dalla vittima. Orbene, il ricorso non conterrebbe nessuna di tali informazioni. D’altro canto, i convenuti sostengono che il danno morale dei parenti dei malati non costituisce un danno risarcibile (sentenza della Corte 8 ottobre 1986, cause riunite 169/83 e 136/84, Leussink e a./Commissione, Racc. pag. 2801, punto 22) e negano che il danno morale della vittima possa trasmettersi agli aventi diritto. Infine, le istituzioni convenute contestano l’applicazione del tasso d’interesse del 10% chiesto dai ricorrenti.

88      La Commissione sostiene inoltre che, nel caso di specie, la responsabilità per i danni lamentati è imputabile prevalentemente agli Stati membri e afferma che, pertanto, l’importo del risarcimento eventualmente concesso andrebbe ridotto di conseguenza.

3.     Sull’esistenza di un nesso di causalità

89      I ricorrenti sostengono che il nesso tra BSE e nvMCJ è ormai dimostrato sia da argomenti medici o scientifici che da argomenti epidemiologici. Essi sottolineano inoltre che, nella fattispecie, le relazioni dei periti medici stabiliscono una diagnosi certa di nvMCJ per ciascuna delle vittime decedute.

90      I ricorrenti sottolineano che la BSE è stata descritta per la prima volta nel Regno Unito nel novembre 1986 e precisano che le autorità di tale paese hanno identificato la nvMCJ il 20 marzo 1996 e che nel Regno Unito si erano verificati 163 000 casi di BSE e oltre 150 casi di nvMCJ. In Francia, la BSE sarebbe comparsa nel 1991 con la dichiarazione di cinque casi di animali che non sarebbero stati importati dal Regno Unito, ma il cui contagio sarebbe avvenuto per il consumo di farine di carne provenienti dal Regno Unito. La Francia avrebbe conosciuto la massima incidenza di BSE tra i paesi continentali, con 679 casi accertati in data 29 agosto 2002, e avrebbe fatto registrare sei casi certi o probabili di nvMCJ fino al 2002.

91      I ricorrenti rilevano che la determinazione del periodo di esposizione dei consumatori al rischio di BSE deve tenere conto di tale evoluzione dell’incidenza della malattia bovina nei vari paesi europei e di quella dei flussi di bovini e di prodotti bovini provenienti dal Regno Unito, nonché dello sviluppo della normativa di tutela della salute dei consumatori nel periodo considerato. I ricorrenti ricordano che le prime misure preventive contro la BSE sono state adottate nel Regno Unito nel 1989. Orbene, tali misure avrebbero provocato un forte aumento delle importazioni dal Regno Unito di farine di carne e di ossa verso la Francia. Mentre l’incidenza della BSE sarebbe successivamente diminuita nel Regno Unito, tale malattia sarebbe comparsa sul continente europeo, segnatamente in Francia, a partire dal 1991. Nel 1996 sarebbe stato adottato un embargo comunitario sui bovini e sui prodotti originari del Regno Unito e in Francia sarebbero state ritirate dalla catena alimentare le frattaglie specifiche a rischio, ma tale misura sarebbe divenuta effettiva su scala comunitaria solo nel 2000. Nel frattempo, la Francia avrebbe importato 48 000 tonnellate di frattaglie provenienti dal Regno Unito tra il 1988 e il 1996, contro 3 180 tonnellate tra il 1978 e il 1987. I ricorrenti sostengono, sulla base di tali constatazioni, che la principale esposizione dei consumatori francesi al rischio di BSE è riferibile al periodo compreso tra il luglio 1988 e il 1996, dato che l’adozione di misure di tutela nel Regno Unito e la diminuzione del rischio di esposizione in tale paese sarebbero andate di pari passo con un aumento del rischio di esposizione negli altri paesi della Comunità, a causa dell’inerzia delle autorità nazionali e comunitarie.

92      I ricorrenti affermano, più precisamente, che da vari pareri scientifici è emersa l’utilità e la rilevanza del ritiro degli MSR dalla catena alimentare al fine di tutelare la salute umana. I ricorrenti contestano peraltro l’argomento secondo cui il danno deriverebbe dall’attività degli operatori che si sono dedicati al commercio illegale di prodotti bovini, in quanto dai pareri scientifici e dalle perizie mediche risulterebbe che le vittime in questione sono state contagiate attraverso l’ingestione di tessuti contaminati prima che questi ultimi fossero vietati in Francia nell’aprile 1996 e quindi prima delle misure di embargo generale sulla commercializzazione di bovini e di prodotti bovini provenienti dal Regno Unito.

93      I ricorrenti precisano infine che essi non considerano la Commissione e il Consiglio esclusivamente responsabili per il contagio dei loro parenti. Essi fanno valere che le autorità francesi non hanno adottato i provvedimenti necessari per prevenire l’esposizione dei consumatori francesi al rischio di BSE. Orbene, il fatto che uno Stato membro abbia commesso illeciti non escluderebbe, per ciò stesso, che la Comunità abbia contribuito al verificarsi del danno. In tal caso, la vittima potrebbe mettere in causa la responsabilità dello Stato membro dinanzi ai giudici nazionali e quella della Comunità dinanzi al giudice comunitario (sentenza Kampffmeyer e a./Commissione CEE, cit.).

94      I convenuti sostengono che i ricorrenti non hanno fornito la prova dell’esistenza di un nesso di causalità diretto tra il comportamento loro contestato e il danno lamentato.

95      I convenuti fanno valere che le relazioni mediche fornite dai ricorrenti non consentono di accertare in modo definitivo che, nella fattispecie, il contagio delle vittime determinato dall’agente patogeno della BSE sia avvenuto per via alimentare. Del pari, i ricorrenti non avrebbero fornito elementi né offerto mezzi di prova relativamente alla natura esatta dei prodotti che avrebbero costituito il vettore dell’agente patogeno e alle abitudini di consumo delle persone decedute. In particolare, non avrebbero specificato se il contagio sia stato causato da prodotti francesi o da prodotti importati dal Regno Unito. Orbene, considerato il numero estremamente limitato di casi di BSE rilevati al di fuori del Regno Unito, segnatamente in Francia (tra il 1988 e il 1996, 25 casi sarebbero stati confermati in quest’ultimo paese, contro i 167 875 accertati nel Regno Unito), sarebbe statisticamente molto improbabile che le vittime francesi abbiano contratto il morbo a seguito del consumo di carne francese proveniente da animali affetti da BSE. Sarebbe più logico supporre che le vittime abbiano consumato, in Francia o altrove, carne originaria del Regno Unito proveniente da animali che avessero contratto la malattia negli anni ’80.

96      A tale proposito, i convenuti affermano che nel caso di specie non si può individuare un nesso di causalità diretto, data l’incertezza scientifica che ancora caratterizza la ricerca sulla BSE, la nvMCJ e il collegamento tra queste due malattie. Secondo il parere del CSD del 10 dicembre 1999, tali incertezze riguarderebbero in particolare la durata massima del periodo di incubazione – o latenza – della nvMCJ – che potrebbe andare da un anno a oltre 25 anni –, la dose minima di contagio, la natura esatta dell’agente infettivo e il modo in cui l’infettività sarebbe ripartita tra i diversi tessuti di un animale o di un essere umano contagiato.

97      I convenuti sostengono che, segnatamente a causa della durata del periodo di incubazione della nvMCJ, non si può individuare la data in cui potrebbero essere state contagiare le persone decedute (v., al riguardo, il parere del sottogruppo BSE del CSV del 7 novembre 1995). Tale impossibilità di stabilire la data esatta del contagio impedirebbe di esaminare se, in quel momento, le istituzioni convenute fossero in grado di adottare misure di tutela adeguate.

98      La Commissione osserva inoltre che, come emerge dalla relazione speciale della Corte dei conti n. 14/2001, alcuni Stati membri hanno mostrato esitazioni nel recepire le misure comunitarie nel rispettivo ordinamento nazionale, ritardando l’attuazione di una tutela effettiva della salute pubblica e animale, e non hanno esercitato una sorveglianza ottimale sull’applicazione delle norme comunitarie.

B –  Giudizio del Tribunale

99      Secondo una costante giurisprudenza, il sorgere della responsabilità extracontrattuale della Comunità per il comportamento illecito dei suoi organi, ai sensi dell’art. 288, secondo comma, CE, è subordinato al ricorrere di un insieme di presupposti, vale a dire: l’illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento denunciato ed il danno lamentato (sentenza della Corte 29 settembre 1982, causa 26/81, Oleifici Mediterranei/CEE, Racc. pag. 3057, punto 16; sentenze del Tribunale 11 luglio 1996, causa T‑175/94, International Procurement Services/Commissione, Racc. pag. II‑729, punto 44; 16 ottobre 1996, causa T‑336/94, Efisol/Commissione,Racc. pag. II‑1343, punto 30, e 11 luglio 1997, causa T‑267/94, Oleifici Italiani/Commissione,Racc. pag. II‑1239, punto 20).

100    Per quanto riguarda il primo presupposto, la giurisprudenza esige che si dimostri l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica intesa a conferire diritti ai singoli (sentenza della Corte 4 luglio 2000, causa C‑352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione,Racc. pag. I‑5291, punto 42). Quanto al presupposto relativo al fatto che la violazione dev’essere sufficientemente qualificata, il criterio decisivo per considerarlo soddisfatto è quello della violazione grave e manifesta, da parte dell’istituzione comunitaria interessata, dei limiti posti al suo potere discrezionale. Qualora l’istituzione in questione disponga soltanto di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per constatare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata (sentenza della Corte 10 dicembre 2002, causa C‑312/00 P, Commissione/Camar e Tico, Racc. pag. I‑11355, punto 54; sentenza del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑198/95, T‑171/96, T‑230/97, T‑174/98 e T‑225/99, Comafrica e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, Racc. pag. II‑1975, punto 134).

101    Quando uno di questi presupposti non è soddisfatto, il ricorso deve essere interamente respinto senza che sia necessario verificare gli altri presupposti (sentenza KYDEP/Consiglio e Commissione, cit., punti 19 e 81, e sentenza del Tribunale 20 febbraio 2002, causa T‑170/00, Förde-Reederei/Consiglio e Commissione,Racc. pag. II‑515, punto 37).

102    Nella fattispecie, occorre esaminare anzitutto la questione relativa all’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento asseritamente illegittimo delle istituzioni convenute e il danno lamentato dai ricorrenti.

103    Secondo una costante giurisprudenza, la presenza di un nesso di causalità ex art. 288, secondo comma, CE viene ammessa quando esiste un rapporto diretto e certo di causa ed effetto tra l’illecito commesso dall’istituzione di cui trattasi e il danno lamentato, nesso di cui spetta ai ricorrenti fornire la prova (sentenze della Corte 15 gennaio 1987, causa 253/84, GAEC de la Ségaude/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 123, punto 20, e 30 gennaio 1992, cause riunite C‑363/88 e C‑364/88, Finsider e a./Commissione, Racc. pag. I‑359, punto 25; sentenza Coldiretti e a./Consiglio e Commissione, cit., punto 101).

104    Nel caso di specie, i comportamenti illeciti contestati dai ricorrenti al Consiglio e alla Commissione consistono in sostanza in omissioni colpose dei loro obblighi nel settore della salute animale e umana e nell’adozione di norme e misure insufficienti, erronee, inadeguate o tardive per fronteggiare i rischi derivanti dalla BSE e dalla nvMCJ. I ricorrenti affermano che i danni subiti trovano origine immediata nel contagio da nvMCJ dei loro familiari e nel decesso di questi a causa della malattia. I ricorrenti sostengono che il Consiglio e la Commissione devono essere considerati responsabili, ma non in via esclusiva, di tale contagio.

105    Occorre quindi esaminare se i ricorrenti abbiano fornito prove o indizi idonei a dimostrare, in primo luogo, che i loro parenti sono stati contagiati dalla nvMCJ e che tale infezione è stata causata dal consumo di carne di bovini affetti da BSE e, in secondo luogo, che le azioni e omissioni contestate ai convenuti possono essere considerate all’origine del detto contagio.

106    Per quanto riguarda la prima questione, ossia la causa del decesso dei familiari dei ricorrenti, si deve anzitutto constatare che dalle due serie di relazioni mediche peritali prodotte dai ricorrenti – da un lato, le relazioni del 1° ottobre 2002, 13 aprile, 20 maggio e 6 giugno 2003, elaborate su richiesta del Tribunal de grande instance de Paris, e, dall’altro, le relazioni del 29 gennaio 2004, elaborate su richiesta del Tribunal administratif de Paris – emerge che, per tutte le vittime, è stata diagnosticata inequivocabilmente la nvMCJ, con espressa esclusione di qualsiasi altra diagnosi. Le menzionate relazioni concludono inoltre che la modalità d’infezione più probabile di questi casi di nvMCJ è stata la via orale, cioè tramite contagio alimentare. Si è quindi esclusa la possibilità di una MCJ iatrogena, vale a dire causata da trattamenti sanitari. Tali relazioni confermano, più precisamente, che si trattava di infezioni trasmesse all’uomo tramite la BSE.

107    Si deve inoltre osservare che sembra ormai generalmente ammesso in ambito scientifico che la nvMCJ sia dovuta a una contaminazione da parte dell’agente della BSE. Gli stessi convenuti hanno ammesso che è stato scientificamente provato che esistono caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche comuni alla BSE e alla nvMCJ. Del pari, nel parere del CSD del 10 dicembre 1999 sul rischio di esposizione umana alla BSE per via alimentare (v. punto 48, supra) si afferma che prove scientifiche dimostrano che la BSE e la nvMCJ sono molto probabilmente causate dallo stesso agente e se ne deduce che le vittime umane sono probabilmente state infettate a seguito del consumo per via orale di materiale contaminato dalla BSE. Infine, i ‘considerando’ della decisione 2000/418 enunciano che «[p]rove sempre più numerose dimostrano che l’agente della BSE è identico a quello della [nvMCJ]».

108    Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, il Tribunale considera sufficientemente dimostrato che i familiari dei ricorrenti sono deceduti a causa della nvMCJ e che tale malattia è stata provocata dal consumo di carne di bovini affetti da BSE.

109    Quanto alla seconda questione, ossia stabilire se le azioni e le omissioni contestate ai convenuti possano essere considerate all’origine del contagio dei familiari deceduti dei ricorrenti, questi ultimi affermano, in sostanza, che il Consiglio e la Commissione non hanno adottato, al momento opportuno, le misure necessarie e appropriate che s’imponevano per fronteggiare i rischi derivanti dalla crisi della BSE per la salute pubblica. Le dette istituzioni sarebbero quindi responsabili di non avere impedito la diffusione della BSE – che sarebbe passata dagli allevamenti del Regno Unito, in cui sarebbe comparsa, agli allevamenti di altri Stati membri –, e di non avere evitato che quest’ultima, sotto forma di nvMCJ, venisse trasmessa agli uomini.

110    Per esaminare tale questione, occorre prendere in considerazione, anzitutto, le date del contagio delle vittime e il periodo di incubazione della malattia e verificare, in secondo luogo, l’eventuale esistenza di un nesso di causalità tra i danni accertati e i vari presunti comportamenti illeciti concretamente contestati al Consiglio e alla Commissione.

111    Si deve ricordare, in ogni caso, che la possibilità di trasmissione della BSE all’uomo è stata scientificamente provata solo nel marzo 1996, momento in cui il SEAC ha emesso il comunicato in cui rilevava un probabile collegamento tra la BSE e la nvMCJ. Orbene, come osservano i convenuti, la loro azione va giudicata alla luce dello stato delle conoscenze scientifiche e del grado di prudenza e di precauzione esigibili all’epoca dei fatti.

1.     Per quanto riguarda le date del contagio delle vittime e il periodo di incubazione della malattia

112    Dagli atti emerge che le date del contagio dei familiari dei ricorrenti non possono essere stabilite con precisione. I ricorrenti sostengono al riguardo che la principale esposizione dei consumatori francesi al rischio di BSE è riferibile al periodo compreso tra il luglio 1988 – momento in cui le autorità del Regno Unito hanno adottato le prime misure di tutela in relazione alla BSE – e il marzo o aprile 1996 – allorché la Comunità ha imposto un embargo sui prodotti bovini e le farine di carne e di ossa provenienti dal Regno Unito e la Francia ha vietato il consumo di frattaglie specifiche a rischio (v. supra, punto 91). In particolare, i ricorrenti hanno affermato che i loro familiari sono stati contagiati al più tardi nel 1996 (v. supra, punto 92). Va inoltre osservato che le relazioni dei periti incaricati dal Tribunal de grande instance de Paris e dal Tribunal administratif de Paris, dopo avere constatato che le date del contagio dei familiari deceduti dei ricorrenti non potevano essere stabilite con precisione, hanno verosimilmente collocato le date di tale contagio tra il 1980 e il 1996.

113    A tale proposito, va rilevato che la nvMCJ è caratterizzata da una lunga durata del periodo di incubazione. Infatti, il parere del CSD del 10 dicembre 1999 sul rischio di esposizione umana alla BSE per via alimentare (v. supra, punto 48), pur rilevando che tale durata resta ignota, precisa che essa può andare da alcuni anni a oltre 25 anni. Gli stessi ricorrenti hanno rilevato che le encefalopatie spongiformi trasmissibili sono caratterizzate da una lunga fase di latenza nel soggetto infettato, che nell’uomo può durare fino a 30 anni (v. ricorso, punto 103). Infine, le relazioni peritali elaborate su richiesta del Tribunal de grande instance de Paris e del Tribunal administratif de Paris rilevano che «[i] dati clinici e le modellizzazioni concernenti la durata dell’incubazione sembrano indicare un intervallo di 15‑20 anni tra l’esposizione all’agente della BSE e la comparsa della nuova variante nell’uomo» e precisano che, «a prescindere dalla forma e dall’origine della [MCJ], si tratta di una malattia con un’incubazione molto lunga (vari anni)», che «tale incubazione ha una durata variabile a seconda dei casi» e che «anche nella variante legata alla [BSE] è presente tale caratteristica evolutiva del morbo». Infine, si deve ricordare che anche la BSE, che è all’origine dell’affezione da nvMCJ, ha un periodo di incubazione nei bovini che può durare vari anni. Infatti, secondo il parere del CSD del 10 dicembre 1999, il periodo di incubazione della BSE ha una durata media di cinque anni, nella maggior parte dei casi compresa tra quattro e sei anni.

114    Alle luce delle precedenti considerazioni, si deve concludere che, nel caso di specie, i familiari dei ricorrenti colpiti dalla nvMCJ possono essere stati infettati non solo tra il 1988 e il 1996, come sostengono i ricorrenti, ma anche prima del 1988. Orbene, occorre ricordare, in primo luogo, che è pacifico che la possibilità di trasmissione all’uomo della BSE è stata scientificamente riconosciuta solo nel 1996. In secondo luogo, come rileva il parere del CSD del 10 dicembre 1999 (v. supra, punto 48), la BSE è una malattia nuova, comparsa nel Regno Unito probabilmente tra il 1980 e il 1985, ma è stata identificata e descritta solo nel novembre 1986. Il contagio delle vittime in questione potrebbe quindi essersi verificato in un momento in cui i rischi legati alla BSE, e in particolare quelli concernenti la salute umana, erano in gran parte ignoti in ambito scientifico.

115    Più in particolare, poiché tale contagio potrebbe essersi verificato prima del 1988, non si può considerare accertato che i presunti comportamenti illeciti contestati dai ricorrenti al Consiglio e alla Commissione, che sono tutti successivi a tale data, siano necessariamente e direttamente all’origine dei danni lamentati.

2.     Per quanto riguarda l’esistenza di un nesso di causalità tra i danni lamentati e i comportamenti contestati al Consiglio e alla Commissione

116    Le due critiche fondamentali dei ricorrenti relativamente alla gestione della BSE e della nvMCJ da parte del Consiglio e della Commissione riguardano, da un lato, il presunto ritardo con cui essi hanno vietato l’impiego di farine di carne e di ossa nei mangimi degli animali di allevamento, che, secondo i ricorrenti, avrebbe causato la diffusione della BSE al di fuori del Regno Unito, e, dall’altro, il presunto ritardo con cui gli MSR sono stati ritirati dalla catena alimentare, che sarebbe all’origine dell’insorgenza della nvMCJ nelle vittime umane. Inoltre, i ricorrenti individuano altri comportamenti dei convenuti che costituirebbero un errore manifesto di valutazione e contestano loro anche uno sviamento di potere e una violazione dei principi del legittimo affidamento e di buona amministrazione.

a)     Sul presunto ritardo del divieto relativo alle farine di carne e di ossa

117    I ricorrenti sostengono che la BSE si è propagata nell’Europa continentale, segnatamente in Francia, soprattutto a causa dell’impiego, nei mangimi degli animali da allevamento, di farine di carne e di ossa contaminate importate dal Regno Unito. Essi osservano che le autorità di tale paese hanno vietato nel 1988 l’alimentazione dei ruminanti con farine di ruminanti, ma non hanno vietato l’esportazione di queste farine in altri Stati membri. Ciò avrebbe provocato un notevole aumento dell’importazione di farine contaminate dal Regno Unito verso la Francia, e il consumo di questi prodotti negli allevamenti bovini francesi sarebbe la causa della comparsa della BSE in tale paese. Orbene, i convenuti avrebbero vietato l’impiego delle farine di carne e di ossa derivate da tessuti di mammiferi nei mangimi dei ruminanti solo nel giugno 1994, con la decisione 94/381. Il divieto parziale di utilizzare farine di carne e di ossa sancito dalla detta decisione, inoltre, non avrebbe evitato l’esposizione dei bovini all’agente infettivo, a causa di contaminazioni incrociate. In udienza, i ricorrenti hanno precisato che, considerato il nesso tra la diffusione della BSE e l’esposizione umana alla nvMCJ, tali presunti comportamenti illeciti dei convenuti nella gestione della malattia bovina hanno avuto ripercussioni sui rischi per la salute umana.

118    Occorre rilevare, anzitutto, che, anche se l’esatta origine della BSE non sembra interamente conosciuta, i lavori scientifici realizzati in merito a tale morbo indicano che – tranne un numero ridotto di casi (meno del 10%) causati da trasmissione materna – la BSE deriva assai probabilmente dall’ingestione di farine di carne e di ossa contenenti l’agente infettivo. Infatti, come indicato dalla decisione 94/381, si ritiene che la presenza della BSE nel bestiame tragga origine da proteine di ruminanti che contenevano l’agente della scrapia e, successivamente, quello della BSE, e che non sono state sufficientemente trattate per rendere inattivi gli agenti infettivi. Ne consegue che, per contrastare la diffusione del morbo, era necessario in particolare impedire che i tessuti potenzialmente contenenti l’agente della BSE venissero introdotti nella catena alimentare animale.

119    Orbene, benché le autorità del Regno Unito, nel luglio 1988, abbiano vietato agli allevatori stabiliti nel loro territorio di nutrire i ruminanti con farine di carne e di ossa contenenti proteine di ruminanti, i convenuti, in un primo tempo, non hanno adottato misure analoghe a livello comunitario. Infatti, come rilevano i ricorrenti, solo nel giugno 1994, con la decisione 94/381, esse hanno vietato l’impiego di proteine provenienti da mammiferi nei mangimi dei ruminanti nell’intera Comunità. Del pari, l’esportazione di farine di carne e di ossa dal Regno Unito verso gli altri Stati membri è stata espressamente vietata solo nel 1996, con la decisione 96/239.

120    E vero che, a quell’epoca, le caratteristiche della malattia e, più precisamente, le cause della sua trasmissione, non erano interamente conosciute. Parimenti, prima del 1994, l’incidenza della BSE in paesi diversi dal Regno Unito – e, in misura molto minore, dall’Irlanda – era molto limitata. Infatti, tra il 1988 e il 1994 nell’Europa continentale la BSE era stata rilevata solo in Germania (4 casi), Danimarca (1 caso), Francia (10 casi), Italia (2 casi) e Portogallo (18 casi).

121    In ogni caso, si deve osservare che, come risulta dalla risposta formulata dalla Commissione nel settembre 1996 alle domande postele dalla commissione d’inchiesta del Parlamento nel 1991, tutti gli Stati membri avevano già adottato misure nazionali per vietare l’importazione di farine di carne e di ossa provenienti dal Regno Unito, seguendo le raccomandazioni della Commissione al riguardo.

122    Del pari, sette Stati membri hanno adottato, tra il 1989 e il 1990, misure che vietavano l’impiego di proteine ottenute da tessuti di mammiferi nei mangimi dei ruminanti. In particolare, la Repubblica francese ha vietato l’uso di proteine di mammiferi nell’alimentazione dei bovini nel luglio 1990. Infatti, ai sensi dell’art. 1 del decreto 24 luglio 1990, relativo al divieto di impiego di talune proteine di origine animale nell’alimentazione e nella produzione di alimenti destinati ad animali della specie bovina (JORF dell’11 agosto 1990, pag. 9837), come modificato dall’art. 1 del decreto 26 settembre 1990 (JORF del 7 ottobre 1990, pag. 12162), «[è] vietato l’impiego di farine e polveri d’ossa e di proteine di origine animale, ad eccezione delle proteine dei prodotti lattieri, dei volatili, dei prodotti a base di uova, dei pesci o degli animali marini, se raccolti, stoccati e lavorati separatamente, per l’alimentazione degli animali della specie bovina o la produzione di mangimi destinati a tali animali».

123    D’altro canto, a decorrere dal 1994, i convenuti hanno progressivamente attuato una strategia specificamente diretta ad impedire, in tutta la Comunità, che i tessuti suscettibili di contenere l’agente della BSE fossero introdotti nella catena alimentare animale. Fra tali misure si deve porre l’accento sulla decisione 94/381, che ha vietato nell’intera Comunità la somministrazione, con la dieta, ai ruminanti di proteine derivate da mammiferi – ma con la possibilità di autorizzare, caso per caso, l’applicazione di sistemi che consentissero di distinguere le proteine derivate da ruminanti da quelle derivate da specie di animali non ruminanti.

124    I ricorrenti sostengono tuttavia che tali disposizioni erano insufficienti, soprattutto perché la decisione 94/381 ha vietato le proteine provenienti da mammiferi solo nell’alimentazione dei ruminanti, e quindi non in quella degli altri animali d’allevamento – maiali e pollame, in particolare. A loro parere, tale divieto parziale si sarebbe successivamente rivelato un veicolo di contaminazione incrociata e, pertanto, di diffusione della BSE.

125    A tale riguardo va osservato che il divieto assoluto di impiegare proteine animali nei mangimi di tutti gli animali da allevamento è intervenuto nell’intera Comunità solo con la decisione 2000/766, entrata in vigore il 1° gennaio 2001. Occorre rilevare, in ogni caso, che tale decisione si è resa necessaria per le sistematiche carenze nell’attuazione delle norme comunitarie sulle farine di carne e di ossa in vari Stati membri (v. quarto-sesto ‘considerando’ della decisione 2000/766).

126    Infatti, come emerge dalla relazione speciale della Corte dei conti n. 14/2001 (v. supra, punto 31), la maggior parte degli Stati membri, compresa la Repubblica francese, ha tollerato un certo livello di contagio, nonostante la normativa comunitaria non preveda margini di tolleranza. Del pari, dalle ispezioni condotte tra il 1998 e il 2000 dall’Ufficio alimentare e veterinario della Commissione (UAV), sono emerse carenze in materia di controllo degli scambi commerciali di tali farine nella maggior parte degli Stati membri. Le ispezioni dell’UAV hanno inoltre evidenziato che le industrie nel settore dei mangimi per animali non avevano fatto abbastanza per evitare il contagio dei mangimi per i bovini attraverso le farine di carne e di ossa e che i mangimi in questione non sempre erano correttamente etichettati, segnatamente in Francia. Tali carenze avrebbero contribuito a far sì che alcuni allevatori alimentassero inavvertitamente il bestiame con mangimi potenzialmente infetti (v. relazione speciale della Corte dei conti n. 14/2001, punto 33).

127    Di conseguenza, si deve concludere che non è dimostrato che la gestione dei convenuti dei problemi connessi all’impiego di farine di carne e di ossa nei mangimi degli animali da allevamento, fra cui i ruminanti, sia stata un fattore determinante della diffusione della BSE al di fuori del Regno Unito, segnatamente in Francia, e, pertanto, del contagio da nvMCJ dei familiari dei ricorrenti. Infatti, considerati in particolare sia i provvedimenti adottati da vari Stati membri, compresa la Francia, per vietare l’importazione di farine di carne e di ossa provenienti dal Regno Unito e l’impiego di proteine derivate da tessuti di mammiferi nei mangimi dei ruminanti, che gli inadempimenti delle autorità nazionali e degli operatori privati nell’applicazione delle norme comunitarie, il Tribunale non considera provato che i presunti danni non si sarebbero prodotti qualora la Commissione e il Consiglio avessero adottato – o avessero adottato più sollecitamente – le misure che i ricorrenti contestano loro di non avere preso. A fortiori, non è dimostrato che i comportamenti individuati dai ricorrenti possano costituire la causa certa e diretta del contagio da nvMCJ dei loro familiari.

b)     Sulla presunta tardività del divieto relativo all’impiego degli MSR

128    I ricorrenti sostengono, in sostanza, che il divieto relativo all’impiego di MSR costituisce la più importante delle misure di tutela contro il rischio rappresentato dalla nvMCJ per la salute umana, dato che tali materiali a rischio rappresentano la principale fonte di contagio per l’uomo. Essi rilevano che, sebbene vari pareri scientifici, dopo il 1989, avessero sottolineato l’esigenza di tale misura, i convenuti l’avevano adottata solo con grave ritardo. Infatti, il divieto relativo a tutti i tipi di MSR sarebbe stato stabilito solo nel 1997, con la decisione 97/534. Inoltre, l’entrata in vigore di tale decisione, che avrebbe dovuto intervenire il 1° gennaio 1998, sarebbe stata successivamente ritardata dalla Commissione e dal Consiglio di circa tre anni. Di conseguenza, tale divieto sarebbe entrato in vigore in tutta la Comunità solo il 1° ottobre 2000, in seguito alla decisione 2000/418.

129    Si deve anzitutto rilevare che, contrariamente a quanto sembrano affermare i ricorrenti, il parere del CSV del 27 novembre 1989 concludeva che all’epoca non era provato che le encefalopatie spongiformi animali fossero trasmissibili all’uomo, anche se rilevava che non si poteva escludere che potesse esistere un lieve rischio per la salute umana derivante da tessuti con un elevato livello di infettività. In tale contesto, il CSV ha unicamente raccomandato di escludere dalla catena alimentare umana frattaglie bovine specifiche (ossia cervello, midollo spinale, timo, tonsille, milza e intestino) di animali provenienti da paesi in cui si era diffusa la BSE.

130    A tale proposito, si deve ricordare che, fino al 1989, erano stati individuati casi di BSE solo nel Regno Unito. Successivamente, tra il 1989 e il 1996, la stragrande maggioranza dei casi di BSE è stata scoperta sempre in questo paese. Infatti, il Regno Unito ha rilevato in tale periodo 165 402 casi di BSE. L’Irlanda ha registrato a sua volta solo 189 casi. Infine, nello stesso periodo sono stati individuati solo 25 casi di BSE in Francia e anche gli altri Stati membri dell’Europa continentale hanno registrato pochissimi casi (64 casi in Portogallo, 4 in Germania, 2 in Italia e 1 in Danimarca).

131    Sin dal 1989, i convenuti hanno adottato una serie di misure dirette ad evitare la propagazione della BSE dal Regno Unito, introducendo segnatamente alcune restrizioni agli scambi intracomunitari di bovini provenienti da tale paese (v. in particolare le decisioni 89/469, 90/59 e 90/261). Del pari, nell’aprile 1990, la Commissione ha adottato la decisione 90/200, che ha vietato l’esportazione dal Regno Unito – l’unico paese in cui, all’epoca, si era propagata la BSE – del cervello, del midollo spinale, del timo, delle tonsille, della milza e dell’intestino provenienti da animali della specie bovina che avessero più di 6 mesi al momento della macellazione.

132    I ricorrenti, tuttavia, contestano ai convenuti di non avere adottato in quella fase un divieto generalizzato di impiego degli MSR nell’intera Comunità e ritengono che tale omissione sia all’origine del contagio dei loro parenti.

133    Orbene, in un settore come quello della salute animale e umana, l’esistenza di un nesso di causalità tra un comportamento e un danno va accertata sulla scorta dell’analisi dei comportamenti esigibili nei confronti delle istituzioni in base allo stato delle conoscenze scientifiche del momento. A tale proposito, il Tribunale rileva che la possibilità di trasmissione della BSE all’uomo è stata scientificamente accertata solo nel marzo 1996 (v. punti 8, 9 e 111, supra). Del pari, si deve rilevare che, prima dell’ottobre 1996, i comitati scientifici e veterinari comunitari non hanno proposto l’introduzione di un divieto generalizzato di impiegare MSR nell’intera Comunità, dato che le misure relative a tali materiali sono state ritenute necessarie solo nel Regno Unito. Pertanto, prima del 1996, non si sarebbe potuto contestare ai convenuti di non avere vietato del tutto l’impiego degli MSR nell’intera Comunità.

134    Va inoltre osservato che l’esistenza di un nesso di causalità implica che il comportamento contestato costituisca la causa certa e diretta del preteso danno e che, in casi come quello di specie, in cui il presunto comportamento all’origine del danno lamentato consiste in un’omissione, è necessario soprattutto avere la certezza che il danno sia stato effettivamente causato dalle omissioni contestate e non possa essere stato determinato da comportamenti diversi da quelli imputati alle istituzioni convenute.

135    Nella specie, il Tribunale ritiene che tale certezza non sussista.

136    Infatti, non si può concludere con un sufficiente grado di certezza che, qualora le istituzioni comunitarie convenute avessero adottato più sollecitamente un divieto assoluto di impiego degli MSR, il contagio dei membri dei familiari dei ricorrenti non si sarebbe verificato. A tale proposito, il Tribunale rileva in particolare che, nel caso di specie, l’efficacia delle misure normative che le istituzioni comunitarie dovevano adottare dipendeva in particolare dall’azione degli Stati membri, che non sempre hanno vigilato con sufficiente attenzione affinché le norme veterinarie venissero applicate in modo rigoroso (v. infra, punto 144).

137    Del pari, occorre osservare, come rileva il parere del CSD del 10 dicembre 1999 (v. supra, punto 48), che, sebbene gli MSR sembrino rappresentare di gran lunga la principale fonte di infezione da nvMCJ, un livello «ideale» di protezione dei consumatori contro tale malattia richiederebbe una totale assenza di animali affetti da BSE nella catena alimentare umana e, a tal fine, l’eliminazione degli MSR costituisce solo un «secondo livello di protezione». Infatti, il CSD osserva che né la dose minima di materiale infettato da BSE necessaria per causare il contagio nell’uomo né la distribuzione di tale infezione nei vari tessuti di un animale sono davvero noti, e conclude che occorrerebbe quindi evitare qualsiasi esposizione umana all’agente infettivo.

138    Alla luce di quanto precede, il Tribunale rileva che, sebbene un precoce divieto assoluto di consumo e di impiego degli MSR nell’intera Comunità, applicato rigorosamente ed efficacemente in tutti gli Stati membri, avrebbe potuto, qualora fosse stato deciso più sollecitamente, diminuire il rischio di contagio da nvMCJ dei consumatori europei, tuttavia non si può concludere con un sufficiente grado di certezza che, nel caso di specie, l’adozione di tale divieto da parte delle istituzioni convenute avrebbe evitato il contagio dei familiari dei ricorrenti. In ogni caso, tenuto conto in particolare delle verosimili date di contagio di questi ultimi e dei rispettivi periodi di incubazione della BSE e della nvMCJ (v. punti 112‑114, supra), tale misura, per risultare efficace nel caso di specie, avrebbe dovuto essere adottata non solo molto prima del 1996 – momento in cui è stata scientificamente accertata la trasmissibilità della BSE all’uomo –, ma anche prima del 1990 – momento in cui è stato scoperto il primo caso di BSE nell’Europa continentale –, o persino prima del 1986 – momento in cui il morbo della BSE è stato identificato e descritto per la prima volta nel Regno Unito. Orbene, come si è concluso al precedente punto 133, non si può contestare ai convenuti di non avere imposto un divieto assoluto di impiego degli MSR nell’intera Comunità prima del 1996.

139    Infine, per quanto riguarda il ritardo nell’adozione delle misure relative all’impiego di MSR contestato alle istituzioni convenute tra il 1997 e il 2000, il Tribunale osserva che tali critiche non sono pertinenti ai fini del procedimento in esame. Si deve infatti rilevare che, secondo gli stessi ricorrenti, i loro parenti hanno contratto la nvMCJ al più tardi nel 1996 (v. supra, punto 92). Del pari, le relazioni peritali disposte dal Tribunal de grande instance de Paris e dal Tribunal administratif de Paris hanno concluso che il contagio dei familiari deceduti dei ricorrenti si era verosimilmente verificato prima del 1996 (v. supra, punto 112). Di conseguenza, presunti comportamenti illeciti che i convenuti avrebbero tenuto dopo il 1996 non possono essere considerati la causa dei danni lamentati nel caso di specie.

140    In base alle considerazioni che precedono, il Tribunale rileva che il comportamento contestato dai ricorrenti ai convenuti per quanto riguarda il divieto degli MSR non può essere considerato una causa certa e diretta dei danni lamentati nella fattispecie.

c)     Sugli altri comportamenti contestati al Consiglio e alla Commissione

141    Oltre ai pretesi comportamenti illeciti nella gestione delle farine e degli MSR, analizzati in precedenza, i ricorrenti formulano varie altre critiche all’operato dei convenuti nel contesto della lotta contro la BSE e la nvMCJ. In particolare, essi affermano che i convenuti hanno commesso errori manifesti di valutazione nella gestione dei rischi associati a tali malattie. Del pari, i ricorrenti contestano ai convenuti uno sviamento di potere, in quanto, al fine di proteggere gli interessi della filiera e del mercato bovini, le dette istituzioni avrebbero tentato di dissuadere gli Stati membri dall’adottare misure di tutela unilaterali contro i rischi rappresentati dalla BSE. Infine, i ricorrenti lamentano una violazione dei principi del legittimo affidamento e di buona amministrazione, in particolare per la disorganizzazione dei servizi della Commissione e per l’insufficienza e le carenze delle ispezioni veterinarie comunitarie relative alla BSE, nonché per carenze nella supervisione dei controlli veterinari degli Stati membri.

142    Orbene, si deve constatare che i ricorrenti non hanno affatto dimostrato il rapporto di causa ed effetto concretamente esistente tra tali pretesi comportamenti illeciti e i danni lamentati nel caso di specie, derivanti, come si è detto, dal contagio da nvMCJ e dal conseguente decesso dei loro familiari.

143    Si deve peraltro osservare che la responsabilità del controllo effettivo dell’applicazione della normativa veterinaria incombe in via principale agli Stati membri. Per quanto riguarda, in particolare, i controlli veterinari applicabili agli scambi intracomunitari, risulta dalla direttive 89/66 e 90/245 che essi spettano prioritariamente alle autorità dello Stato membro di spedizione delle merci e, in minor misura, a quelle dello Stato di destinazione. Concretamente, gli Stati membri, in caso di comparsa nel loro territorio di una zoonosi o di una malattia che possa comportare gravi rischi per gli animali o per la salute umana, debbono mettere immediatamente in atto le misure di lotta o di prevenzione previste dalla normativa comunitaria e adottare qualsiasi altra misura appropriata.

144    Si deve inoltre osservare che, come emerge dalla relazione speciale della Corte dei conti n. 14/2001, le ispezioni realizzate a partire dal 1996 dall’UAV rivelano che la maggior parte degli Stati membri non ha vigilato con sufficiente rigore affinché le misure legate alla BSE fossero debitamente attuate sul loro territorio. Secondo la Corte dei conti, tale attuazione carente della normativa comunitaria da parte degli Stati membri avrebbe contribuito ad impedire l’eradicazione della BSE e a favorirne la diffusione. Del pari, occorre prendere in considerazione anche la responsabilità di alcuni operatori economici privati nella propagazione della malattia. Infatti, la detta relazione della Corte dei conti ha constatato che il settore agroalimentare non aveva applicato con sufficiente rigore la normativa comunitaria in materia di BSE.

145    Alla luce di quanto precede, il Tribunale osserva che i ricorrenti non hanno dimostrato che tali pretesi comportamenti illeciti potevano essere considerati una causa certa e diretta del contagio da nvMCJ dei loro parenti.

3.     Conclusione

146    In base a tutto ciò che precede, il Tribunale rileva che non è stato provato che le presunte azioni e omissioni illecite del Consiglio e della Commissione possano essere considerate una causa certa e diretta del contagio dei familiari dei ricorrenti deceduti in Francia per nvMCJ, all’origine dei danni lamentati nel procedimento in esame. Infatti non è stato dimostrato, nelle circostanze del caso di specie, che, qualora tali istituzioni avessero adottato – o avessero adottato in precedenza – le misure che i ricorrenti contestano loro di non avere preso, i danni in questione non si sarebbero verificati.

147    Si deve quindi concludere che non è stato dimostrato il nesso di causalità tra il danno lamentato e il presunto comportamento colpevole delle istituzioni comunitarie.

148    Pertanto, si devono dichiarare infondate le domande dei ricorrenti relative alla responsabilità extracontrattuale della Comunità per comportamento illecito delle istituzioni convenute, senza che occorra pronunciarsi sulla sussistenza nel caso di specie degli altri presupposti di tale responsabilità, ossia l’illegittimità dei comportamenti contestati alle istituzioni convenute e l’effettività del danno.

II –  Sulla responsabilità extracontrattuale della Comunità in mancanza di comportamento illecito delle istituzioni convenute

A –  Argomenti delle parti

149    I ricorrenti rilevano che il diritto francese, oltre a un regime giuridico di responsabilità per colpa, riconosce anche il diritto fondamentale delle vittime al risarcimento del danno da esse subito mediante imputazione alle autorità pubbliche. Tale regime si fonderebbe sui valori costituzionali di uguaglianza e di solidarietà. In tale contesto, il legislatore francese avrebbe istituito, nel 1991, uno speciale fondo di indennizzo delle persone contagiate dal virus dell’immunodeficienza umana contratto a seguito di iniezioni di prodotti emoderivati e, nel 1993, una commissione indipendente per il risarcimento delle vittime di una forma iatrogena di MCJ dovuta all’iniezione di ormoni della crescita.

150    I ricorrenti rilevano che la giurisprudenza comunitaria non ha escluso il principio della responsabilità oggettiva della Comunità (sentenza del Tribunale 29 gennaio 1998, causa T‑113/96, Dubois e Figli/Consiglio e Commissione,Racc. pag. II‑125). Essi affermano, sulla base delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e dei diritti fondamentali, che le istituzioni comunitarie devono rispettare, che, quando il principio di uguaglianza venga violato in modo anormale e speciale, è legittimo imputare la responsabilità del danno alla Comunità. I ricorrenti ammettono che sarebbe auspicabile che la concessione di un risarcimento sulla base del principio di solidarietà venisse decisa dalle istituzioni «politiche», ma sostengono che si può riconoscere tale potere anche al giudice comunitario. Essi osservano che il Parlamento, con una risoluzione del 19 novembre 1997, ha invitato la Commissione e gli Stati membri interessati a destinare le risorse finanziarie necessarie a dimostrare la loro solidarietà alle famiglie delle vittime della nvMCJ.

151    I ricorrenti affermano di avere subito, in conseguenza del contagio dei loro parenti determinato dall’agente patogeno della BSE e del loro decesso a causa della nvMCJ, danni di entità e dalle ripercussioni eccezionali. Inoltre, a causa della mancata identificazione dell’agente infettivo e della difficoltà di determinare la data esatta e la fonte del contagio, essi non potrebbero basare le loro azioni di risarcimento sui regimi nazionali o comunitari di responsabilità dei fabbricanti e dei distributori. Sarebbe quindi equo che essi potessero porre l’onere del risarcimento a carico delle istituzioni comunitarie.

152    I convenuti rilevano che la responsabilità extracontrattuale della Comunità in mancanza di un comportamento illecito può essere dichiarata solo se sussistono cumulativamente tre condizioni tassative, vale a dire l’effettività del danno subito, l’esistenza di un nesso di causalità e il carattere anormale e speciale del danno in questione (sentenza della Corte 15 giugno 2000, causa C‑237/98 P, Dorsch Consult/Consiglio e Commissione,Racc. pag. I‑4549, punti 17‑19). Orbene, nel caso di specie farebbe difetto la condizione relativa al nesso di causalità. Del pari, andrebbe escluso il danno morale dei familiari e le somme richieste per il danno materiale sarebbero ingiustificate e sproporzionate. La Commissione fa inoltre valere che i ricorrenti non hanno dimostrato il carattere anormale e speciale del danno e afferma che, anche se il decesso è un danno particolarmente grave, è pur vero che i ricorrenti non hanno dimostrato che le vittime sono state esposte a un rischio particolare, diverso da quello cui sarebbero stati esposti gli altri consumatori di prodotti bovini.

B –  Giudizio del Tribunale

153    L’art. 288, secondo comma, CE basa l’obbligo da esso imposto alla Comunità di risarcire i danni causati dalle sue istituzioni sui «principi generali comuni ai diritti degli Stati membri», senza limitare, di conseguenza, la portata di tali principi al solo regime della responsabilità extracontrattuale della Comunità per comportamento illecito delle dette istituzioni. Orbene, i diritti nazionali relativi alla responsabilità extracontrattuale consentono ai singoli, anche se in misura variabile, in settori specifici e secondo modalità diverse, di ottenere in via giudiziale il risarcimento di taluni danni, anche in assenza di un’azione illecita dell’autore del danno (sentenze del Tribunale 14 dicembre 2005, causa T‑69/00, FIAMM e FIAMM Technologies/Consiglio e Commissione,Racc. pag. II‑5393, punti 158 e 159, e causa T‑383/00, Beamglow/Parlamento e a.,Racc. pag. II‑5459, punti 172 e 173). Nel caso di un danno causato da un comportamento delle istituzioni della Comunità la cui illiceità non è dimostrata, la responsabilità extracontrattuale della Comunità può sorgere quando siano cumulativamente soddisfatte le condizioni relative all’effettività del danno, al nesso di causalità tra il danno e il comportamento delle istituzioni comunitarie nonché al carattere anormale e speciale del danno in questione (sentenza Dorsch Consult/Consiglio e Commissione, cit., punto 19; sentenza FIAMM e FIAMM Technologies/Consiglio e Commissione, cit., punto 160, e sentenza Beamglow/Parlamento e a., cit., punto 174).

154    Orbene, si è già rilevato che nel caso di specie non è stato dimostrato il nesso di causalità tra i comportamenti dei convenuti individuai dai ricorrenti e i danni da questi lamentati. Pertanto, vanno dichiarate infondate le domande dei ricorrenti relative alla responsabilità extracontrattuale della Comunità in mancanza di un comportamento illecito dei convenuti, senza che occorra pronunciarsi sulla sussistenza, nel caso di specie, degli altri presupposti di tale responsabilità, ossia l’effettività del danno e il suo carattere anormale e speciale.

155    Va inoltre rilevato che il Tribunale non è competente, in mancanza di constatazione di una responsabilità extracontrattuale delle istituzioni comunitarie, a disporre un risarcimento per le vittime di una malattia, in particolare sulla base di un presunto principio di solidarietà. In ogni caso si deve osservare che, nella fattispecie, il governo francese ha assegnato «contributi di solidarietà» ai ricorrenti nel giugno 2004 e nel gennaio 2005 per i danni subiti dalle vittime e dai loro aventi diritto a causa della patologia della nvMCJ. I risarcimenti in questione sono costituiti da indennizzi per i danni subiti da ciascuna vittima e da indennizzi per i danni subiti da ciascuno dei familiari.

156    Alla luce di quanto precede, occorre respingere le domande dei ricorrenti relative alla responsabilità extracontrattuale della Comunità in mancanza di un comportamento illecito dei convenuti.

157    Di conseguenza, il ricorso dev’essere integralmente respinto.

 Sulle spese

158    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Tuttavia, a norma dell’art. 87, n. 3, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi eccezionali.

159    La Commissione e il Consiglio, alla luce delle circostanze del caso di specie, e in particolare del fatto che sono rimasti soccombenti nella maggior parte delle conclusioni sulla ricevibilità dei ricorsi, vanno condannati alle spese derivanti dai motivi concernenti la ricevibilità, che il Tribunale fissa in un quarto delle spese complessive. I ricorrenti sopporteranno tre quarti delle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è irricevibile per quanto riguarda É. R., O. O., J. R., A. R. e B. P. R.

2)      Il ricorso è respinto per il resto.

3)      I ricorrenti sopporteranno tre quarti delle spese. Il Consiglio e la Commissione sopporteranno un quarto delle spese.



García-Valdecasas

Cooke

Labucka

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 dicembre 2006.

Il cancelliere

 

       Il presidente

E. Coulon

 

       J.D. Cooke

Indice


Fatti all’origine della controversia

I – Comparsa dell’encefalopatia spongiforme bovina e della nuova variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob e misure comunitarie e nazionali di lotta contro tali malattie

II – Circostanze specifiche dei ricorrenti e procedure avviate presso autorità amministrative e giurisdizionali francesi

Procedimento e conclusioni delle parti

Sulla ricevibilità

I – Sul primo motivo di irricevibilità, vertente sulla mancanza di precisione degli elementi fondamentali di fatto e di diritto sui quali si basa il ricorso

A – Argomenti delle parti

B – Giudizio del Tribunale

II – Sul secondo motivo di irricevibilità, vertente sul mancato esaurimento dei mezzi di ricorso nazionali e sulla connessione con procedimenti nazionali

A – Argomenti delle parti

B – Giudizio del Tribunale

III – Sul terzo motivo di irricevibilità, concernente la prescrizione

A – Argomenti delle parti

B – Giudizio del Tribunale

Nel merito

I – Sulla responsabilità extracontrattuale della Comunità per comportamento illecito delle istituzioni convenute

A – Argomenti delle parti

1. Sui comportamenti illeciti contestati al Consiglio e alla Commissione

a) Sulla censura relativa a errori manifesti di valutazione nella gestione della crisi della BSE

b) Sulla censura relativa allo sviamento di potere

c) Sulla censura relativa alla violazione dei principi del legittimo affidamento e di buona amministrazione

2. Sull’esistenza di un danno

3. Sull’esistenza di un nesso di causalità

B – Giudizio del Tribunale

1. Per quanto riguarda le date del contagio delle vittime e il periodo di incubazione della malattia

2. Per quanto riguarda l’esistenza di un nesso di causalità tra i danni lamentati e i comportamenti contestati al Consiglio e alla Commissione

a) Sul presunto ritardo del divieto relativo alle farine di carne e di ossa

b) Sulla presunta tardività del divieto relativo all’impiego degli MSR

c) Sugli altri comportamenti contestati al Consiglio e alla Commissione

3. Conclusione

II – Sulla responsabilità extracontrattuale della Comunità in mancanza di comportamento illecito delle istituzioni convenute

A – Argomenti delle parti

B – Giudizio del Tribunale

Sulle spese


* Lingua processuale: il francese.