Language of document : ECLI:EU:T:2020:491

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione)

15 ottobre 2020 (*)

«Marchio dell’Unione europea – Domanda di marchio dell’Unione europea figurativo FAKE DUCK – Impedimento assoluto alla registrazione – Carattere descrittivo – Articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento (UE) 2017/1001 – Principi di parità di trattamento e di legalità»

Nella causa T‑607/19,

Itinerant Show Room Srl, con sede in San Giorgio in Bosco (Italia), rappresentata da E. Montelione, avvocato,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da M.L. Capostagno, in qualità di agente,

convenuto,

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della seconda commissione di ricorso dell’EUIPO del 1° luglio 2019 (caso R 830/2019‑2), concernente una domanda di registrazione del segno figurativo FAKE DUCK come marchio dell’Unione europea,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione),

composto da M.J. Costeira, présidente, B. Berke e T. Perišin (relatrice), giudici,

cancelliere: E. Coulon

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 settembre 2019,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 dicembre 2019,

vista la domanda di fissazione di un’udienza di discussione presentata dalla ricorrente, e avendo deciso, in applicazione dell’articolo 106, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, di aprire la fase orale del procedimento,

viste le lettere, trasmesse in risposta al quesito del Tribunale relativo allo svolgimento delle udienze di discussione nel contesto della crisi sanitaria legata al COVID-19, mediante le quali le parti principali hanno dichiarato che non desideravano essere ascoltate nell’ambito di un’udienza di discussione, e avendo inoltre deciso, ritenendosi sufficientemente edotto dagli atti del fascicolo, di chiudere la fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti all’origine della controversia

1        Il 23 agosto 2018, la ricorrente, Itinerant Show Room Srl, ha presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea dinanzi all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) a norma del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1).

2        Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è il segno figurativo che segue:

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3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nelle classi 18 e 25 ai sensi dell’Accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

–        classe 18: «Cuoio grezzo o semilavorato; pellicce [pelli di animali]; pelli di animali da macelleria; pelli d’animali; bauli e valigie; ombrelli e ombrelloni; bastoni da passeggio; fruste; articoli da selleria; portafogli; borsellini; porta‑carte di credito [portafogli]; borse casual; bauletti destinati a contenere articoli da toilette detti vanity cases; collari per animali; abiti per animali»;

–        classe 25: «Abbigliamento; cappelleria; giacche; giacche a vento; giacche a vento con cappuccio; giacche‑camicie; giacche, cappotti, pantaloni, gilet da uomo e da donna; giacche catarifrangenti; giacche con le maniche; giacche da abito; giacche da boscaiolo; giacche da caccia; giacche da camera; giacche da equitazione; giacche da motociclismo; giacche da pesca; giacche da safari; giacche da sera; giacche da smoking; giacche da tight; giacche di asino; giacche di felpa; giacche di montone; giacche di pelle; giacconi da snowboard; giacconi da sci; giacconi da marinaio; pellicce (indumenti); guanti (abbigliamento); camicie; pantaloni; cinture (abbigliamento); foulards [fazzoletti]; cravatte; maglieria; calzini; calzerotti; calzature da spiaggia; abbigliamento per lo sci; tute per lo sci nautico; doposcì; calze per lo sport; scarpe per lo sport; calzini per lo sport; biancheria personale; calzature; abbigliamento per ginnastica; calzature da uomo; galosce [calzature]; scarponcini; sneaker; stivali».

4        Con decisione del 14 febbraio 2019, l’esaminatrice ha parzialmente respinto la domanda di registrazione del marchio richiesto, sulla base dell’articolo 7, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento 2017/1001, letto in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 2, del medesimo regolamento, nella parte in cui detta domanda riguardava i seguenti prodotti della classe 25: «Abbigliamento; giacche; giacche a vento; giacche a vento con cappuccio; giacche‑camicie; giacche, cappotti, pantaloni, gilet da uomo e da donna; giacche catarifrangenti; giacche con le maniche; giacche da abito; giacche da boscaiolo; giacche da caccia; giacche da camera; giacche da equitazione; giacche da motociclismo; giacche da pesca; giacche da safari; giacche da sera; giacche da smoking; giacche da tight; giacche di asino; giacche di felpa; giacche di montone; giacche di pelle; giacconi da snowboard; giacconi da sci; giacconi da marinaio; pellicce (indumenti); guanti (abbigliamento); pantaloni; maglieria; abbigliamento per lo sci; doposcì; scarpe per lo sport; calzature; abbigliamento per ginnastica; calzature da uomo; galosce [calzature]; scarponcini; sneaker; stivali».

5        Il 14 aprile 2019, la ricorrente ha proposto dinanzi all’EUIPO un ricorso contro tale decisione.

6        Con decisione in data 1° luglio 2019 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la seconda commissione di ricorso dell’EUIPO ha respinto il ricorso ed ha confermato la decisione dell’esaminatrice.

7        In primo luogo, dato che l’elemento verbale del marchio richiesto comprendeva due termini in lingua inglese (traducibili con «finta anatra») e che la domanda di registrazione riguardava abbigliamento e calzature, la commissione di ricorso ha considerato che il pubblico di riferimento era formato dal grande pubblico, provvisto di un livello di attenzione medio. Essa ha altresì considerato che il pubblico di riferimento era formato dal pubblico anglofono dell’Unione europea, in ciò includendo non soltanto gli Stati membri nei quali l’inglese è una lingua ufficiale (vale a dire l’Irlanda, Malta e il Regno Unito), ma anche il pubblico nei territori dell’Unione europea in cui la conoscenza della lingua inglese è assai diffusa, quali i «paesi scandinavi», i Paesi Bassi e la Finlandia.

8        In secondo luogo, la commissione di ricorso ha ritenuto, da un lato, che il marchio richiesto sarebbe stato immediatamente percepito dal pubblico di riferimento come un’informazione diretta e immediata circa il fatto che tali prodotti contenevano finta anatra. A questo proposito, essa ha sottolineato che la piuma d’anatra è utilizzata come imbottitura di diversi capi di abbigliamento e calzature, e che esiste una tendenza, nel settore in questione, ad allontanarsi dall’utilizzo di prodotti di origine animale a favore di prodotti analoghi di origine sintetica. Dall’altro lato, la commissione di ricorso ha precisato che i caratteri tipografici dell’elemento verbale componente il marchio richiesto, nonché la rappresentazione dell’uovo, che peraltro rafforzerebbe il concetto veicolato dall’elemento verbale, non erano idonei a distogliere l’attenzione del pubblico di riferimento dal carattere descrittivo dell’elemento verbale del marchio richiesto.

9        In terzo luogo, la commissione di ricorso ha affermato che il marchio richiesto non sarebbe stato percepito come distintivo: infatti, avendo il segno carattere descrittivo, esso sarebbe stato per tale motivo necessariamente sprovvisto di carattere distintivo. A suo avviso, il marchio richiesto era un messaggio informativo ordinario concernente una caratteristica dei prodotti in questione, che poteva essere particolarmente apprezzato da chi è incline ad acquistare capi di abbigliamento o calzature con imbottiture sintetiche piuttosto che di origine animale.

10      In quarto luogo, la commissione di ricorso ha rilevato che la ricorrente aveva citato la precedente registrazione del proprio marchio denominativo dell’Unione europea n. 17891138, FAKEDUCK (in prosieguo: il «marchio denominativo anteriore FAKEDUCK»), che contrassegnava i medesimi prodotti, nonché la sostanziale identità del disegno dell’uovo rispetto a quello della domanda di registrazione n. 17946881 (attualmente oggetto di un’opposizione) ed il cui segno figurativo è rappresentato qui di seguito:

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11      A questo proposito, la commissione di ricorso ha precisato che l’applicazione dei principi di parità di trattamento e di buona amministrazione doveva conciliarsi con il rispetto del principio di legalità. Essa ha altresì rilevato che l’esame di ogni domanda di registrazione doveva essere rigoroso e completo al fine di evitare la registrazione indebita di marchi. Inoltre, la commissione di ricorso ha sottolineato che il marchio figurativo anteriore menzionato supra conteneva il disegno di un uovo rotto, differente da quello del marchio richiesto.

 Conclusioni delle parti

12      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        constatare che il marchio richiesto ha un’intrinseca capacità distintiva;

–        annullare la decisione impugnata;

–        in subordine, nel caso in cui il Tribunale accertasse che il marchio denominativo anteriore FAKEDUCK è stato registrato per errore dell’EUIPO, condannare tale Ufficio al risarcimento dei danni da essa subiti;

–        condannare l’EUIPO alle spese.

13      L’EUIPO conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

 Sullirricevibilità del primo capo di conclusioni

14      Con il primo capo delle conclusioni da essa formulate con il suo ricorso, la ricorrente chiede che il Tribunale voglia constatare che il marchio richiesto ha un intrinseco carattere distintivo. In tal modo, la ricorrente mira, in realtà, a far riconoscere al giudice dell’Unione la fondatezza dei motivi da essa dedotti a sostegno del proprio ricorso. Orbene, secondo una consolidata giurisprudenza, conclusioni siffatte sono irricevibili [v. sentenza del 16 dicembre 2008, Budějovický Budvar/UAMI – Anheuser-Busch (BUD), T‑225/06, T‑255/06, T‑257/06 e T‑309/06, EU:T:2008:574, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata].

15      Ne consegue che questo primo capo di conclusioni è irricevibile.

 Sullirricevibilità del terzo capo di conclusioni 

16      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia, in subordine, condannare l’EUIPO a risarcire il danno subìto nell’ipotesi in cui esso constatasse che la registrazione del marchio denominativo anteriore FAKEDUCK è stata concessa per errore dall’EUIPO.

17      L’EUIPO contesta tale capo di conclusioni giudicandolo irricevibile.

18      Occorre ricordare che il controllo che il Tribunale esercita ai sensi dell’articolo 72, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001 è un controllo della legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso dell’UAMI, e che detto giudice può annullare o riformare la decisione oggetto del ricorso solo se questa, nel momento in cui è stata adottata, era viziata per una delle ragioni enunciate all’articolo 72, paragrafo 2, del citato regolamento (v. sentenza del 5 luglio 2011, Edwin/UAMI, C‑263/09 P, EU:C:2011:452, punto 71 e la giurisprudenza ivi citata). Orbene, come giustamente sottolineato dall’EUIPO, da un lato, l’oggetto del ricorso verte, nella specie, sulla decisione adottata dalla seconda commissione di ricorso per quanto riguarda la domanda di registrazione n. 17946879, e non sulla registrazione del marchio denominativo anteriore FAKEDUCK.

19      Inoltre, la conformità all’articolo 7 del regolamento 2017/1001 di una registrazione di marchio dell’Unione europea già concessa può essere riesaminata soltanto a seguito di un’azione di nullità instaurata dinanzi all’EUIPO o nel quadro di una procedura per contraffazione dinanzi ad un tribunale dei marchi dell’Unione europea.

20      Di conseguenza, tale capo di conclusioni, presentato in via subordinata, è irricevibile.

 Nel merito

21      A sostegno del ricorso, la ricorrente deduce quattro motivi. Il primo motivo riguarda un’erronea interpretazione del regolamento 2017/1001 per non avere adeguatamente considerato l’intrinseca capacità distintiva dell’espressione «fake duck». Il secondo motivo verte su un’erronea interpretazione del regolamento 2017/1001 per non avere adeguatamente considerato la complessità del marchio FAKE DUCK e del disegno dell’uovo. Il terzo motivo concerne un’erronea interpretazione del regolamento 2017/1001 per non avere adeguatamente applicato il principio di parità di trattamento. Il quarto motivo si riferisce ad un’erronea interpretazione del regolamento 2017/1001 per non avere adeguatamente applicato il principio di legalità.

22      Il Tribunale reputa opportuno esaminare in maniera congiunta, da un lato, il primo e il secondo motivo, che si riferiscono, in sostanza, alla violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento 2017/1001, e, dall’altro, il terzo e il quarto motivo, che si riferiscono alla violazione del principio di parità di trattamento e del principio di legalità.

 Sul primo e sul secondo motivo, relativi all’erronea interpretazione del regolamento 2017/1001 per non avere adeguatamente considerato l’intrinseca capacità distintiva dell’espressione «fake duck», la complessità del marchio FAKE DUCK e il disegno dell’uovo

23      In primo luogo, la ricorrente addebita alla commissione di ricorso di essersi limitata alla traduzione o all’interpretazione letterale dell’espressione «fake duck» senza prendere in considerazione la percezione del marchio richiesto da parte del pubblico di riferimento. Essa sottolinea, a questo proposito, che l’aggettivo «fake» verrebbe inteso come sinonimo di «contrario» e potrebbe assumere anche il significato di «ribelle» o di oggetto/soggetto «non in regola», «sovversivo» o «strano». In altre parole, il consumatore di riferimento percepirebbe il marchio come «anatra ribelle», «anatra sovversiva», «anatra strana», «anatra».

24      In secondo luogo, la ricorrente sostiene che esiste uno scarto percettibile tra il marchio richiesto e la semplice somma degli elementi che lo compongono. Essa censura, inoltre, la commissione di ricorso per non aver attribuito alcuna rilevanza alla complessità del marchio richiesto e, segnatamente, al fatto che l’espressione «fake duck» è posta su due livelli separati ed all’interno del disegno di un uovo intero. A suo avviso, la rappresentazione dell’uovo ha una valenza simbolica.

25      In terzo luogo, la ricorrente asserisce che il consumatore non percepirebbe il marchio richiesto come descrittivo, dato che la commissione di ricorso ha considerato il marchio richiesto come facente riferimento ad un tipo di imbottitura e non ad un prodotto confezionato.

26      In quarto luogo, la ricorrente sostiene che l’espressione «fake duck» è un’espressione di mera fantasia e che il marchio richiesto contiene tre elementi distintivi, e cioè la parola «fake», la parola «duck» e l’elemento figurativo corrispondente al disegno di un uovo.

27      Inoltre, la ricorrente sottolinea che l’EUIPO ha riconosciuto valore distintivo alla rappresentazione di un uovo rotto pubblicando la sua domanda di registrazione n. 17946881.

28      L’EUIPO contesta gli argomenti della ricorrente.

29      Occorre rilevare, in via preliminare, che la ricorrente censura, in sostanza, la commissione di ricorso per non aver valutato correttamente l’intrinseco carattere distintivo del marchio richiesto, e contesta il fatto che la commissione di ricorso abbia ritenuto che il marchio richiesto fosse descrittivo, senza dunque tener conto della complessità di tale marchio. La ricorrente non distingue chiaramente, nella sua argomentazione, gli argomenti addotti a sostegno dell’assenza di carattere descrittivo del marchio richiesto da quelli fatti valere a sostegno del carattere distintivo di tale marchio.

30      Tuttavia, poiché ciascuno degli impedimenti assoluti alla registrazione enunciati all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001 esige un esame separato, occorre procedere a tale esame e, nella specie, esaminare, in primo luogo, gli argomenti relativi all’assenza di carattere descrittivo del marchio richiesto [v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2014, Pågen Trademark/UAMI (gifflar), T‑520/12, non pubblicata, EU:T:2014:620, punto 13].

31      Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001, sono esclusi dalla registrazione i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio. Pertanto, i segni e le indicazioni che possono servire, nel commercio, per designare caratteristiche del prodotto o del servizio per il quale viene chiesta la registrazione sono, a norma del regolamento 2017/1001, considerati inidonei, per loro stessa natura, a svolgere la funzione di origine del marchio. L’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001 precisa altresì che il «paragrafo 1 si applica anche se le cause d’impedimento esistono soltanto per una parte dell’Unione».

32      Vietando la registrazione come marchio dell’Unione europea di segni o indicazioni siffatti, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001 persegue una finalità di interesse generale, la quale esige che i segni o le indicazioni descrittivi delle caratteristiche di prodotti o di servizi per i quali viene chiesta la registrazione possano essere liberamente utilizzati da tutti. Tale disposizione impedisce, pertanto, che simili segni o indicazioni siano riservati ad un’unica impresa in virtù della loro registrazione come marchio [v. sentenza del 29 gennaio 2020, Volkswagen/EUIPO (CROSS), T‑42/19, non pubblicata, EU:T:2020:15, punto 16 e la giurisprudenza ivi citata].

33      Oltre a ciò, i segni o le indicazioni che possono servire, nel commercio, per designare talune caratteristiche del prodotto o del servizio per il quale viene richiesta la registrazione sono, in virtù dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001, considerati inidonei a svolgere la funzione essenziale del marchio, ossia quella di identificare l’origine commerciale del prodotto o del servizio, al fine di permettere così al consumatore che acquista il prodotto o il servizio contrassegnati dal marchio di fare, in occasione di un acquisto successivo, la stessa scelta, ove l’esperienza si riveli positiva, o un’altra scelta, ove tale esperienza si riveli negativa (v. sentenza del 29 gennaio 2020, CROSS, T‑42/19, non pubblicata, EU:T:2020:15, punto 17 e la giurisprudenza ivi citata).

34      In tale prospettiva, i segni e le indicazioni contemplati dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001 sono quelli che possono servire, in un uso normale dal punto di vista del consumatore, per designare, direttamente o mediante la menzione di una delle sue caratteristiche essenziali, un prodotto o un servizio quale quello per il quale la registrazione viene richiesta [v. sentenza del 22 novembre 2011, mPAY24/UAMI – Ultra (MPAY24), T‑275/10, non pubblicata, EU:T:2011:683, punto 36 e la giurisprudenza ivi citata].

35      La scelta, da parte del legislatore dell’Unione, del termine «caratteristica» mette in evidenza il fatto che i segni contemplati dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001 sono soltanto quelli che servono per designare una proprietà, facilmente riconoscibile da parte delle cerchie di persone interessate, dei prodotti o dei servizi per i quali la registrazione viene richiesta. Pertanto, un segno può essere rifiutato alla registrazione sulla base dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001 soltanto qualora sia ragionevole ipotizzare che esso sarà effettivamente riconosciuto dalle cerchie di persone interessate come una descrizione di una delle caratteristiche suddette [v. sentenza del 20 settembre 2019, Multifit/EUIPO (real nature), T‑458/18, non pubblicata, EU:T:2019:634, punto 17 e la giurisprudenza ivi citata].

36      Ne consegue che, perché un segno ricada sotto il divieto enunciato all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001, occorre che esso presenti con i prodotti o i servizi in questione un rapporto sufficientemente diretto e concreto tale da permettere al pubblico di riferimento di percepire, immediatamente e senza altra riflessione, una descrizione dei prodotti e dei servizi in questione o di una delle loro caratteristiche. La valutazione del carattere descrittivo di un segno può essere effettuata soltanto, da un lato, in rapporto ai prodotti o ai servizi di cui trattasi e, dall’altro, in rapporto all’intendimento che di esso ha il pubblico di riferimento (v. sentenza del 29 gennaio 2020, CROSS, T‑42/19, non pubblicata, EU:T:2020:15, punto 18 e la giurisprudenza ivi citata).

37      Per cadere sotto il precetto dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001, è sufficiente che un segno verbale, in almeno uno dei suoi significati potenziali, designi una caratteristica dei prodotti o dei servizi di cui trattasi (v. sentenza del 22 novembre 2011, MPAY24, T‑275/10, non pubblicata, EU:T:2011:683, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata).

38      Infine, per quanto riguarda i neologismi, occorre ricordare che la combinazione di termini descrittivi è essa stessa in linea di principio descrittiva dei prodotti o dei servizi per i quali la registrazione è richiesta, salvo che, a motivo del carattere inusuale della combinazione, il segno in questione crei un’impressione sufficientemente distante da quella prodotta dalla semplice riunione delle indicazioni fornite dagli elementi che lo compongono, di modo che esso prevalga sulla somma di tali elementi (v. sentenza del 22 novembre 2011, MPAY24, T‑275/10, non pubblicata, EU:T:2011:683, punto 40 e la giurisprudenza ivi citata).

39      Inoltre, nel caso dei marchi composti da vari elementi verbali e figurativi, occorre ricordare che, per valutare il carattere descrittivo di un marchio complesso, bisogna esaminare non soltanto i diversi elementi da cui il marchio è composto, ma anche il marchio nel suo insieme, di modo che la valutazione suddetta deve fondarsi sulla percezione complessiva di tale marchio da parte del pubblico di riferimento [v. sentenza dell’8 maggio 2019, Team Beverage/EUIPO (LIEBLINGSWEIN), T‑55/18, non pubblicata, EU:T:2019:311, punto 25 e la giurisprudenza ivi citata].

40      A questo proposito, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, ai fini della valutazione del carattere descrittivo del segno di cui trattasi, la questione decisiva è sapere se gli elementi figurativi cambino, dal punto di vista del pubblico di riferimento, il significato del marchio richiesto in rapporto ai prodotti considerati. Occorre altresì ricordare che, qualora l’elemento verbale di un marchio sia descrittivo, il marchio è, nel suo insieme, descrittivo se i suoi elementi grafici non permettono di distogliere il pubblico di riferimento dal messaggio descrittivo trasmesso dall’elemento verbale [v. sentenza del 3 ottobre 2019, LegalCareers/EUIPO (LEGALCAREERS), T‑686/18, non pubblicata, EU:T:2019:722, punto 42 e la giurisprudenza ivi citata].

41      Nel caso di specie, anzitutto, la commissione di ricorso ha considerato che, poiché l’elemento verbale del marchio richiesto comprendeva due termini in lingua inglese (traducibili con «finta anatra»), il pubblico di riferimento era costituito dal pubblico anglofono dell’Unione europea, in ciò includendo non soltanto gli Stati membri nei quali l’inglese è una lingua ufficiale (vale a dire l’Irlanda, Malta e il Regno Unito), ma anche il pubblico nelle parti dell’Unione europea nelle quali la conoscenza della lingua inglese è assai diffusa, come i «paesi scandinavi», i Paesi Bassi e la Finlandia. Essa ha altresì considerato che i prodotti erano destinati al grande pubblico, provvisto di un livello di attenzione medio.

42      Tali valutazioni della commissione di ricorso non sono contestate dalla ricorrente.

43      Poi, occorre ricordare che il marchio richiesto è un marchio complesso composto da un elemento verbale, che comprende due termini della lingua inglese («fake» e «duck»), figuranti su due livelli separati e collocati all’interno di un elemento figurativo rappresentato dal disegno di un uovo.

44      Quanto all’elemento verbale del marchio richiesto, la commissione di ricorso ha rilevato che l’espressione «fake duck» era traducibile con «finta anatra» e che essa comprendeva due termini in lingua inglese, le cui definizioni erano state correttamente fornite dall’esaminatrice. La commissione di ricorso ha altresì sottolineato che tale espressione era utilizzata nella sua forma grammaticale abituale e che la sua costruzione lessicale era corretta.

45      La ricorrente non contesta l’esattezza del significato letterale di tale espressione attribuito dalla commissione di ricorso.

46      Per contro, essa censura la commissione di ricorso per essersi limitata alla traduzione o all’interpretazione letterale di tale espressione, senza valutare il modo in cui il pubblico di riferimento avrebbe percepito il marchio richiesto in collegamento con i prodotti in questione.

47      Nel caso di specie, da un lato, la commissione di ricorso ha rilevato che le piume di anatra erano utilizzate come imbottitura per diversi capi di abbigliamento e calzature e che esisteva una tendenza ad allontanarsi dall’utilizzo di prodotti di origine animale a beneficio di analoghi prodotti di origine sintetica per esigenze ecologiche. Dall’altro lato, essa ha considerato che il pubblico di riferimento avrebbe percepito l’espressione «fake duck» come un’informazione diretta e immediata in merito ad una caratteristica dei prodotti connessa alla loro natura/qualità, vale a dire un’imbottitura in finte piume di anatra, di origine sintetica.

48      Al pari della commissione di ricorso, occorre rilevare che l’espressione «fake duck», associata a prodotti che possono avere un’imbottitura, può servire a designare un’imbottitura in finta piuma ed essere percepita dal pubblico di riferimento come un’informazione in merito ad una caratteristica dei prodotti in questione, vale a dire un’imbottitura che non sarebbe di origine animale.

49      Pertanto, occorre constatare che la commissione di ricorso ha correttamente accertato la percezione che dell’elemento verbale avrebbe il pubblico di riferimento, senza limitarsi alla traduzione dell’espressione «fake duck», contrariamente a quanto sostiene la ricorrente.

50      Quanto all’elemento figurativo del marchio richiesto, la commissione di ricorso ha osservato, al punto 21 della decisione impugnata, che la menzione «fake duck» appariva in caratteri tipografici standard e che l’elemento figurativo dell’uovo, peraltro rappresentato in toni neutri di bianco e di grigio chiaro in modo tale da far spiccare l’elemento verbale, non distoglieva l’attenzione del consumatore dall’espressione descrittiva ed era semmai suscettibile di facilitare il riferimento semantico all’anatra e dunque di rafforzare il messaggio dell’espressione «fake duck».

51      A questo proposito, occorre rilevare che, nella misura in cui il marchio richiesto è composto da un elemento verbale descrittivo, l’elemento figurativo dell’uovo, che rafforza il riferimento semantico all’anatra, non può distogliere l’attenzione del pubblico di riferimento dal messaggio descrittivo trasmesso dall’elemento verbale, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 40 supra.

52      Di conseguenza, è giocoforza constatare che la commissione di ricorso ha proceduto ad una valutazione del marchio richiesto nel suo insieme, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 39 supra, ed ha accertato, correttamente, la percezione del marchio richiesto da parte del pubblico di riferimento prendendo in considerazione il significato dell’elemento verbale associato ai prodotti e le caratteristiche dell’elemento figurativo, che non sono suscettibili di distogliere l’attenzione del pubblico pertinente dal messaggio descrittivo trasmesso dall’elemento verbale del marchio richiesto.

53      Tali valutazioni della commissione di ricorso non possono essere rimesse in discussione dall’argomento della ricorrente secondo cui l’aggettivo «fake» verrebbe percepito anche come sinonimo di «contrario», suscettibile di avere il significato di «ribelle» o di oggetto/soggetto «non in regola», «sovversivo» o «strano», secondo la giurisprudenza ricordata al punto 37 supra, in virtù della quale un segno deve essere rifiutato alla registrazione, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001, qualora, in almeno uno dei suoi potenziali significati, esso designi una caratteristica dei prodotti e dei servizi di cui trattasi. Occorre altresì osservare, al pari dell’EUIPO, che la ricorrente non ha addotto alcun argomento a sostegno della propria affermazione secondo cui tale termine potrebbe avere più significati.

54      L’argomento della ricorrente deve dunque essere respinto perché infondato.

55      Inoltre, la ricorrente cita, al punto 6 dell’atto introduttivo del giudizio, la giurisprudenza secondo cui un marchio, ove sia costituito da un neologismo o da una parola composta da elementi ciascuno dei quali è descrittivo delle caratteristiche dei prodotti o dei servizi per i quali la registrazione viene richiesta, è esso stesso descrittivo delle caratteristiche di tali prodotti o di tali servizi, salvo che esista uno scarto percettibile tra il neologismo o il termine e la semplice somma degli elementi che lo compongono. La ricorrente sostiene che tale scarto risulterebbe, da un lato, dal fatto che l’espressione in questione veniva da essa utilizzata soltanto come marchio per abbigliamento e, dall’altro, dalla rappresentazione dell’uovo, che avrebbe una valenza simbolica.

56      A questo proposito, occorre sottolineare, in primo luogo, che l’espressione «fake duck» non costituisce un neologismo, bensì una giustapposizione di due termini descrittivi, utilizzata nella sua forma grammaticale abituale, e, in ogni caso, non crea, nel pubblico di riferimento, in conformità della giurisprudenza citata al punto 38 supra, un’impressione sufficientemente distante da quella prodotta dalla semplice combinazione dei suoi elementi costitutivi, idonea a modificarne il senso o la portata. Occorre dunque rilevare che il fatto che tale espressione venga unicamente utilizzata dalla ricorrente non contribuisce a creare un’impressione sufficientemente distante da quella prodotta dalla combinazione degli elementi che la compongono.

57      In secondo luogo, e per quanto riguarda la rappresentazione grafica dell’uovo, la commissione di ricorso ha giustamente considerato che tale rappresentazione era suscettibile di facilitare il riferimento semantico all’anatra e di rafforzare il messaggio dell’espressione «fake duck». Inoltre, al pari dell’EUIPO, occorre constatare che la ricorrente non adduce alcun argomento a sostegno della propria tesi secondo cui l’immagine dell’uovo avrebbe una valenza simbolica, il che non permette di capire in che modo tale elemento sarebbe suscettibile di far sì che il marchio richiesto produca un’impressione sufficientemente distante da quella prodotta dalla semplice combinazione dei suoi elementi costitutivi.

58      L’argomento della ricorrente deve dunque essere respinto perché infondato.

59      Infine, la commissione di ricorso ha considerato che il marchio richiesto presentava un nesso sufficientemente diretto e concreto con i prodotti in questione, che permetteva al pubblico di riferimento di percepire immediatamente e senza altra riflessione una descrizione della natura/qualità dei prodotti, nella misura in cui questi ultimi sono suscettibili di contenere un’imbottitura, anche minima, in finta piuma d’anatra.

60      La ricorrente censura la commissione di ricorso per non aver considerato che il marchio richiesto veniva domandato per essere apposto su un prodotto confezionato. In tal senso, la ricorrente precisa che il pubblico pertinente avrebbe percepito il marchio richiesto come descrittivo se fosse stato riferito ad un capo in pelle o ad un’imbottitura, ma non se si fosse trattato di un capo confezionato in un altro materiale.

61      Orbene, occorre rilevare che tutti i prodotti in questione sono prodotti del settore dell’abbigliamento. Se l’imbottitura in piume è più frequentemente utilizzata in alcuni prodotti piuttosto che in altri, ciò non toglie che tutti i prodotti sono suscettibili di contenere un’imbottitura nelle loro fodere, anche solo di fine spessore, di origine animale o sintetica.

62      Pertanto, l’espressione «fake duck» del marchio richiesto, avente il significato di «finta anatra», informa in modo diretto e immediato il pubblico pertinente che i prodotti in questione, che sono prodotti del settore dell’abbigliamento, contengono o possono contenere un’imbottitura in un materiale di origine sintetica che assomiglia alle piume d’anatra.

63      Dunque, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il pubblico di riferimento percepirà l’espressione «fake duck» come immediatamente descrittiva di una caratteristica facilmente riconoscibile dei prodotti in questione.

64      Occorre dunque constatare che la commissione di ricorso ha correttamente considerato che l’espressione «fake duck» presentava un nesso sufficientemente diretto e concreto con i prodotti in parola.

65      Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto del fatto che il marchio richiesto veniva domandato per essere apposto su un prodotto confezionato. Difatti, tale argomento non influisce sulla constatazione secondo cui il pubblico di riferimento percepirà immediatamente il marchio richiesto come descrittivo di una caratteristica connessa al tipo di materiale utilizzato per la fabbricazione dei prodotti.

66      Di conseguenza, giustamente la commissione di ricorso ha considerato che il marchio richiesto era descrittivo ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001.

67      In secondo luogo, per quanto riguarda gli argomenti relativi al carattere distintivo del marchio richiesto, quali menzionati ai punti 26 e 27 supra, occorre ricordare che, come risulta dal tenore letterale dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001, è sufficiente che sia applicabile uno degli impedimenti assoluti alla registrazione elencati da tale disposizione perché il segno richiesto non possa essere registrato come marchio dell’Unione [sentenza del 19 dicembre 2019, Vereinigung der Bayerischen Wirtschaft/EUIPO (eVoter), T‑175/19, non pubblicata, EU:T:2019:874, punto 44].

68      Nel caso di specie, poiché si è accertato che il marchio richiesto era descrittivo dei prodotti in questione, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001, non è necessario esaminare la fondatezza degli argomenti della ricorrente a sostegno del carattere distintivo del marchio richiesto, relativi ad una violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001.

69      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre respingere il primo e il secondo motivo di ricorso.

 Sul terzo e sul quarto motivo, relativi all’erronea interpretazione del regolamento 2017/1001 per non aver adeguatamente applicato il principio di parità di trattamento e il principio di legalità

70      In primo luogo, la ricorrente sostiene che l’EUIPO le ha concesso la registrazione del marchio denominativo anteriore FAKEDUCK per prodotti identici a quelli cui si riferisce il marchio richiesto. A suo avviso, se il marchio denominativo anteriore FAKEDUCK è distintivo, allora dovrebbe esserlo anche il marchio richiesto, composto dal medesimo vocabolo giudicato distintivo, associato al disegno di un uovo intero.

71      In secondo luogo, la ricorrente sostiene che la commissione di ricorso non può dichiarare, al punto 29 della decisione impugnata, che l’EUIPO ha commesso un errore accettando la registrazione del marchio denominativo anteriore FAKEDUCK, senza che ciò determini delle conseguenze. La ricorrente sostiene che, in caso di errore, l’EUIPO non solo crea un diritto di esclusiva senza che ve ne siano i presupposti, ma danneggia altresì economicamente il titolare del marchio concesso, perché questi si trova a non avere più l’esclusiva pur essendo stati creati i presupposti perché egli potesse investire nella promozione di un marchio. Di conseguenza, secondo la ricorrente, essa potrebbe pretendere il risarcimento dei danni subiti.

72      In terzo luogo, la ricorrente addebita alla commissione di ricorso di aver fatto valere, al punto 29 della decisione impugnata, una sorta di gerarchia tra il principio di parità di trattamento e il principio di legalità. Orbene, una siffatta gerarchia non esisterebbe e l’EUIPO sarebbe, ad avviso della ricorrente, tenuto a rispettare entrambi questi principi. La ricorrente sostiene che, tenuto conto della registrazione del marchio denominativo anteriore FAKEDUCK, la commissione di ricorso avrebbe dovuto, proprio per rispettare il principio di legalità, autorizzare altresì la registrazione del marchio richiesto nel presente procedimento.

73      L’EUIPO contesta gli argomenti della ricorrente.

74      Occorre ricordare che l’EUIPO è tenuto ad esercitare le proprie competenze in conformità dei principi generali del diritto dell’Unione, quali il principio di parità di trattamento e il principio di buona amministrazione [v. ordinanza del 12 dicembre 2013, Getty Images (US)/UAMI, C‑70/13 P, non pubblicata, EU:C:2013:875, punto 41 e la giurisprudenza ivi citata].

75      Alla luce di questi due ultimi principi, l’EUIPO deve, nell’istruire una domanda di registrazione di un marchio dell’Unione, prendere in considerazione le decisioni già adottate in merito a domande simili e porsi con particolare attenzione la questione se occorra o meno decidere nel medesimo senso [v. ordinanza del 12 dicembre 2013, Getty Images (US)/UAMI, C‑70/13 P, non pubblicata, EU:C:2013:875, punto 42 e la giurisprudenza ivi citata].

76      Ciò premesso, i principi di parità di trattamento e di buona amministrazione devono conciliarsi con il rispetto della legalità. Di conseguenza, il soggetto che chiede la registrazione di un segno come marchio non può invocare a proprio vantaggio un’eventuale illegittimità commessa a favore di altri, al fine di ottenere una decisione identica [v. ordinanza del 12 dicembre 2013, Getty Images (US)/UAMI, C‑70/13 P, non pubblicata, EU:C:2013:875, punto 43 e la giurisprudenza ivi citata].

77      Del resto, per ragioni di certezza del diritto e, per l’appunto, di buona amministrazione, l’esame di ogni domanda di registrazione deve essere rigoroso e completo al fine di evitare la registrazione indebita di marchi. Quest’esame deve aver luogo in ciascun caso concreto. Infatti, la registrazione di un segno come marchio dipende da criteri specifici, applicabili nel quadro delle circostanze di fatto del caso di specie, destinati a stabilire se per il segno in questione non sussista un impedimento alla registrazione [v. ordinanza del 12 dicembre 2013, Getty Images (US)/UAMI, C‑70/13 P, non pubblicata, EU:C:2013:875, punto 44 e la giurisprudenza ivi citata].

78      Inoltre, risulta dalla giurisprudenza della Corte che tali considerazioni sono valide anche quando il segno di cui si chiede la registrazione come marchio dell’Unione sia composto in modo identico ad un marchio di cui l’EUIPO abbia già accettato la registrazione come marchio dell’Unione e che si riferisca a prodotti o a servizi identici o simili a quelli per i quali la registrazione del segno di cui trattasi viene richiesta [v. ordinanza del 12 dicembre 2013, Getty Images (US)/UAMI, C‑70/13 P, non pubblicata, EU:C:2013:875, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata].

79      Nel caso di specie, poiché la domanda di registrazione si scontra con l’impedimento alla registrazione previsto dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001, la ricorrente non può validamente invocare tale marchio denominativo anteriore FAKEDUCK, a sostegno delle violazioni dei principi di parità di trattamento e di legalità, né invocare a proprio vantaggio un’eventuale illegittimità che inficerebbe la registrazione di tale marchio, al fine di ottenere una decisione identica.

80      Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso avrebbe fatto valere una sorta di gerarchia tra il principio di parità di trattamento e il principio di legalità, occorre constatare che la ricorrente ha effettuato un’interpretazione errata della decisione impugnata. Infatti, nella decisione impugnata, la commissione di ricorso ha ricordato, giustamente, la giurisprudenza citata al punto 76 supra, precisando che l’applicazione dei principi di parità di trattamento e di buona amministrazione doveva conciliarsi con il rispetto del principio di legalità.

81      Alla luce dell’insieme delle considerazioni sopra esposte, occorre respingere il terzo e il quarto motivo di ricorso perché infondati.

82      Di conseguenza, occorre respingere il ricorso nella sua interezza.

 Sulle spese

83      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

84      Essendo rimasta soccombente, la ricorrente deve essere condannata alle spese, in conformità delle conclusioni in tal senso formulate dall’EUIPO.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.


2)      La Itinerant Show Room Srl è condannata alle spese.

Costeira

Berke

Perišin

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 ottobre 2020.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon

 

      M. van der Woude


*      Lingua processuale: l’italiano.