Language of document : ECLI:EU:C:2001:307

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

31 maggio 2001 (1)

«Inadempimento di uno Stato - Libera circolazione dei lavoratori -

Libertà di stabilimento - Libera prestazione dei servizi -

Attività di sicurezza privata - Imprese di vigilanza privata

e guardie particolari giurate - Requisito di nazionalità»

Nella causa C-283/99,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata inizialmente dal sig. A. Aresu e dalla sig.ra M. Patakia, successivamente dal sig. E. Traversa e dalla sig.ra M. Patakia, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. U. Leanza, in qualità di agente, assistito inizialmente dal sig. P.G. Ferri e successivamente dalla sig.ra F. Quadri, avvocati dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto il ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana, disponendo che:

-    le attività di sicurezza privata, comprese quelle volte alla vigilanza o custodia di proprietà mobiliari o immobiliari, possono essere esercitate sul territorio italiano, previa licenza, solo da «istituti di vigilanza privata» aventi nazionalità italiana,

-    si possono impiegare come «guardie particolari giurate» solo cittadini italiani muniti di apposita licenza,

è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 48, 52 e 59 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE),

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta dai sigg. A. La Pergola, presidente di sezione, P. Jann (relatore), L. Sevón, S. von Bahr e C.W.A. Timmermans, giudici,

avvocato generale: F.G. Jacobs


cancelliere: sig.ra D. Louterman-Hubeau, capodivisione

vista la relazione d'udienza,

sentite le difese orali svolte dalle parti all'udienza del 14 dicembre 2000,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 15 febbraio 2001,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1.
    Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 29 luglio 1999 la Commissione delle Comunità europee ha presentato, ai sensi dell'art. 226 CE, un ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana, disponendo che:

-    le attività di sicurezza privata, comprese quelle volte alla vigilanza o custodia di proprietà mobiliari o immobiliari, possono essere esercitate sul territorioitaliano, previa licenza, solo da «istituti di vigilanza privata» aventi nazionalità italiana,

-    si possono impiegare come «guardie particolari giurate» solo cittadini italiani muniti di apposita licenza,

è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 48, 52 e 59 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE).

Normativa nazionale

2.
    L'attività di sicurezza privata è disciplinata in Italia dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (in prosieguo: il «testo unico»), approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (GURI n. 146 del 26 giugno 1931).

3.
    L'art. 133 del testo unico prevede:

«Gli enti pubblici, gli altri enti collettivi e i privati possono destinare guardie particolari alla vigilanza o custodia delle loro proprietà mobiliari od immobiliari.

Possono anche, con l'autorizzazione del prefetto, associarsi per la nomina di tali guardie da destinare alla vigilanza o custodia in comune delle proprietà stesse».

4.
    L'art. 134 dello stesso testo unico prevede:

«Senza licenza del prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opera di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari o immobiliari o di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati.

Salvo il disposto dell'art 11, la licenza non può essere conceduta alle persone che non abbiano la cittadinanza italiana o siano incapaci di obbligarsi o abbiano riportato condanna per delitto non colposo. La licenza non può essere conceduta per operazioni che importano un esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà individuale».

5.
    In forza dell'art. 138 del testo unico:

«Le guardie particolari devono possedere i requisiti seguenti:

1) essere cittadino italiano;

(...)».

Argomenti delle parti

6.
    Ritenendo che la normativa italiana in materia di vigilanza privata fosse incompatibile con il diritto comunitario, la Commissione ha avviato la procedura d'infrazione in esame. Dopo aver invitato la Repubblica italiana a presentare le proprie osservazioni, l'8 luglio 1998 la Commissione ha emesso un parere motivato, esortando tale Stato membro ad adottare le misure necessarie a conformarvisi entro due mesi dalla sua notifica. Ritenendo insoddisfacente la risposta del governo italiano, la Commissione ha presentato il ricorso di cui trattasi.

7.
    La Commissione fa valere che il requisito della nazionalità, previsto, in generale, dall'art. 134 del testo unico e, più specificamente, per il personale di vigilanza, dall'art. 138 dello stesso testo unico, costituisce un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi, in quanto impedisce ai lavoratori cittadini di altri Stati membri e alle imprese stabilite in altri Stati membri l'accesso alle attività di vigilanza privata.

8.
    Basandosi in particolare sulle sentenze della Corte 29 ottobre 1998, causa C-114/97, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-6717), e 9 marzo 2000, causa C-355/98, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-1221), la Commissione sostiene che le cause giustificative di cui agli artt. 55 e 66 del Trattato CE (divenuti artt. 45 CE e 55 CE) non si applicano alle attività di vigilanza privata, in quanto le imprese di vigilanza privata e le guardie particolari giurate non partecipano direttamente e specificamente all'esercizio di pubblici poteri. Ciò risulterebbe già, d'altra parte, dall'art. 134 del medesimo testo unico, poiché tale articolo prevede che la licenza richiesta per esercitare attività di vigilanza privata «non può essere conceduta per operazioni che importano un esercizio di pubbliche funzioni».

9.
    Il governo italiano nega l'asserito inadempimento. Pur ammettendo che le clausole relative alla nazionalità di cui agli artt. 134 e 138 del testo unico possano comportare restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori, alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, esso fa valere che gli elementi caratterizzanti le attività in questione, segnatamente quelle delle guardie particolari giurate, consentono di affermare che tali attività riguardano l'esercizio di pubblici poteri, cosicché il requisito della nazionalità sarebbe giustificato in forza dell'art. 55, primo comma, del Trattato, in combinato disposto, se del caso, con l'art. 66 del Trattato.

10.
    Infatti, anzitutto, le attività delle imprese di vigilanza privata e delle guardie particolari giurate sarebbero assoggettate ad un controllo approfondito da parte dell'autorità pubblica al momento del rilascio o dell'eventuale revoca della licenza. Inoltre, nell'esercizio delle loro attività, le persone interessate si troverebbero assoggettate al controllo del questore, ossia del capo della polizia, che eserciterebbe nei loro confronti un potere disciplinare.

11.
    Inoltre, le guardie particolari giurate dovrebbero prestare dinanzi all'autorità giudiziaria - il pretore - un giuramento con il quale assumerebbero tanto l'impegno adadempiere le loro funzioni nell'interesse pubblico quanto un impegno di fedeltà alla Repubblica italiana.

12.
    Infine, le guardie particolari giurate svolgerebbero funzioni di polizia giudiziaria per la prevenzione e la repressione dei reati, che sarebbero loro peculiari e non costituirebbero una mera assistenza alle forze dell'ordine. Tali funzioni comporterebbero il potere di arresto in flagranza di reato, la facoltà di redigere verbali aventi valore probatorio nonché un obbligo di collaborazione con le autorità di polizia.

13.
    La Commissione confuta tali argomenti facendo valere, da un lato, che un controllo esercitato da un'autorità pubblica e l'obbligo di prestare giuramento non dimostrano che le attività in questione rientrano nell'ambito dell'esercizio di pubblici poteri.

14.
    D'altra parte, per quanto riguarda la facoltà delle guardie particolari giurate di redigere verbali aventi valore probatorio, nonché il loro obbligo di collaborare con le autorità di polizia, si tratterebbe di semplici funzioni ausiliarie.

15.
    Quanto al potere di arresto in flagranza di reato, occorrerebbe stabilire una distinzione. Le guardie particolari giurate, nel procedere ad un arresto in flagranza di reato in caso di delitto grave per il quale la legge italiana impone agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria di procedere all'arresto dell'autore, non eserciterebbero pubblici poteri ai sensi dell'art. 55 del Trattato, ma apporterebbero un mero contributo al mantenimento della pubblica sicurezza, che chiunque può essere chiamato a fornire (v. sentenza Commissione/Spagna, già citata, punto 37). Per contro, quando procedono ad un arresto in flagranza di reato nel caso di un reato di minore gravità, per il quale gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno la facoltà, ma non l'obbligo, di procedere all'arresto dell'autore, la Commissione ammette che l'esercizio di tale potere è di regola riservato a detti ufficiali ed agenti. Si tratterebbe però di un evento marginale nell'ambito delle mansioni che in genere le guardie particolari giurate sono chiamate a svolgere. Tale potere costituirebbe conseguentemente un elemento scindibile dall'insieme dell'attività professionale delle guardie particolari giurate che non potrebbe giustificare il fatto che l'intera professione eluda le disposizioni del Trattato relative alle libertà in forza dell'art. 55 dello stesso.

16.
    In udienza, il governo italiano ha sostenuto, senza essere contraddetto dalla Commissione, che le guardie particolari giurate non possono mai esercitare le loro attività come lavoratori autonomi, ma che devono sempre essere lavoratori dipendenti. Non vi sarebbero quindi guardie particolari giurate che esercitino la loro professione a titolo indipendente.

Giudizio della Corte

17.
    Occorre anzitutto rilevare che, come ammesso dallo stesso governo italiano, le clausole di nazionalità di cui agli artt. 134 e 138 del testo unico possono costituire restrizionialla libera circolazione dei lavoratori, alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, quali previste dagli artt. 48, 52 e 59 del Trattato.

Sul presupposto di nazionalità per esercitare le attività di vigilanza privata (art. 134 del testo unico)

18.
    Occorre rilevare, in primo luogo, che il presupposto della nazionalità imposto dall'art. 134 del testo unico agli enti e ai privati che svolgono attività di vigilanza o di custodia di beni, che svolgono investigazioni o ricerche, o che raccolgono informazioni per conto di privati impedisce ai cittadini e alle imprese di altri Stati membri di esercitare tale attività sul territorio italiano, indipendentemente dal fatto che si stabiliscano in Italia o svolgano tale attività a partire da un altro Stato membro.

19.
    Il governo italiano ha tuttavia fatto valere, senza però fornire dettagli al riguardo, che le attività di cui all'art. 134 del testo unico rientrano nell'esercizio di pubblici poteri. Va quindi esaminato se gli ostacoli alle libertà garantite dal Trattato che risultano dall'art. 134 del testo unico siano o meno giustificati dalla deroga prevista dall'art. 55, primo comma, del Trattato, in combinato disposto, se del caso, con l'art. 66 del Trattato.

20.
    A tale proposito, dalla giurisprudenza della Corte emerge che tale deroga va limitata alle attività che, considerate di per sé, costituiscono una partecipazione diretta e specifica all'esercizio di pubblici poteri (v., in particolare, le precitate sentenze Commissione/Spagna, punto 35, e Commissione/Belgio, punto 25). La Corte ha anche dichiarato che l'attività delle imprese di sorveglianza o di vigilanza non costituisce di regola una partecipazione diretta e specifica all'esercizio di pubblici poteri (sentenza Commissione/Belgio, già citata, punto 26; v. anche sentenza Commissione/Spagna, già citata, punto 39).

21.
    Il governo italiano non ha addotto alcun elemento che possa condurre ad una valutazione diversa della situazione in Italia da quelle che hanno dato luogo alla giurisprudenza citata. In particolare, quanto all'argomento relativo al potere di arresto in flagranza di reato di cui disporrebbero le guardie particolari giurate occupate nelle imprese di vigilanza, è sufficiente rilevare che, come emerge dal paragrafo 45 delle conclusioni dell'avvocato generale, le guardie non hanno un potere maggiore di qualsiasi altro individuo.

22.
    Si deve dichiarare pertanto che la deroga prevista dall'art. 55, primo comma, del Trattato, in combinato disposto, se del caso, con l'art. 66 del Trattato, non si applica nel caso di specie. Pertanto, il presupposto della nazionalità stabilito dall'art. 134 del testo unico per le attività di vigilanza privata costituisce un ostacolo alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi che non può essere giustificato.

Sul presupposto della nazionalità per svolgere l'attività di guardia particolare giurata (art. 138 del testo unico)

23.
    Per quanto riguarda le guardie particolari giurate, il governo italiano ha precisato, in udienza, che esse non possono esercitare le loro attività quali lavoratori autonomi, bensì devono necessariamente svolgerle in veste di lavoratori subordinati. Si deve valutare quindi il requisito della nazionalità di cui all'art. 138 del testo unico, nonché la sua eventuale giustificazione, unicamente sotto il profilo dell'ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori.

24.
    A questo proposito occorre rilevare anzitutto che il presupposto della nazionalità imposto dall'art. 138 del testo unico impedisce ai lavoratori di altri Stati membri di occupare un posto di guardia particolare giurata in Italia.

25.
    Occorre poi constatare che, contrariamente alle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi, gli artt. 48 e seguenti del Trattato, che riguardano la libera circolazione dei lavoratori, non prevedono deroghe per le attività che partecipano all'esercizio di pubblici poteri. L'art. 48, n. 4, del Trattato precisa solamente che le disposizioni di tale articolo non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione. Ora, come ha sottolineato l'avvocato generale al paragrafo 26 delle sue conclusioni, la nozione di «impieghi nella pubblica amministrazione» non comprende impieghi alle dipendenze di un singolo o di una persona giuridica di diritto privato, quali che siano i compiti incombenti al lavoratore dipendente. Pertanto, le guardie particolari giurate non fanno incontestabilmente parte della pubblica amministrazione. L'art. 48, n. 4, del Trattato non è quindi applicabile al caso di specie.

26.
    Peraltro, il governo italiano non ha menzionato alcun motivo di ordine pubblico o di pubblica sicurezza atto a giustificare, in base all'art. 48, n. 3, del Trattato, deroghe alla libera circolazione dei lavoratori.

27.
    In tali circostanze, non possono essere accolti gli argomenti avanzati dal governo italiano relativi alla partecipazione delle guardie particolari giurate all'esercizio dei poteri pubblici.

28.
    Dall'insieme delle considerazioni che precedono deriva che la Repubblica italiana, disponendo che:

-    le attività di sicurezza privata, comprese quelle volte alla vigilanza o custodia di proprietà mobiliari o immobiliari, possono essere esercitate sul territorio italiano, previa licenza, solo da imprese di vigilanza privata aventi nazionalità italiana,

-    si possono impiegare come guardie particolari giurate solo cittadini italiani muniti di apposita licenza,

è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 48, 52 e 59 del Trattato.

Sulle spese

29.
    Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1) La Repubblica italiana, disponendo che:

-    le attività di sicurezza privata, comprese quelle volte alla vigilanza o custodia di proprietà mobiliari o immobiliari, possono essere esercitate sul territorio italiano, previa licenza, solo da imprese di vigilanza privata aventi nazionalità italiana,

-    si possono impiegare come guardie particolari giurate solo cittadini italiani muniti di apposita licenza,

è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 48, 52 e 59 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE).

2)    La Repubblica italiana è condannata alle spese.

La Pergola
Jann
Sevón

            von Bahr                        Timmermans

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 31 maggio 2001.

Il cancelliere

Il presidente della Quinta Sezione

R. Grass

A. La Pergola


1: Lingua processuale: l'italiano.