Language of document : ECLI:EU:T:2022:727

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)

30 novembre 2022 (*)

«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive adottate nei confronti del PKK nell’ambito della lotta al terrorismo – Congelamento dei capitali – Posizione comune 2001/931/PESC – Applicabilità alle situazioni di conflitto armato – Gruppo terroristico – Base fattuale delle decisioni di congelamento dei capitali – Decisione adottata da un’autorità competente – Autorità di uno Stato terzo – Riesame – Proporzionalità – Obbligo di motivazione – Diritti della difesa – Diritto a una tutela giurisdizionale effettiva – Adattamento del ricorso»

Nelle cause riunite T‑316/14 RENV e T‑148/19,

Kurdistan Workers’ Party (PKK), rappresentato da A. van Eik e T. Buruma, avvocate,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da S. Van Overmeire e B. Driessen, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da

Commissione europea, rappresentata da T. Ramopoulos, J. Norris, J. Roberti di Sarsina e R. Tricot, in qualità di agenti,

interveniente nella causa T‑316/14 RENV,

procedimenti in cui le altre parti sono:

Repubblica francese, rappresentata da A.-L. Desjonquères, B. Fodda e J.-L. Carré, in qualità di agenti,

e

Regno dei Paesi Bassi, rappresentato da M. Bulterman e J. Langer, in qualità di agenti,

intervenienti in sede d’impugnazione,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata),

composto da S. Gervasoni (relatore), presidente, L. Madise, P. Nihoul, R. Frendo e J. Martín y Pérez de Nanclares, giudici,

cancelliere: I. Kurme, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento nella causa T‑148/19, in particolare:

–        la decisione del 26 luglio 2019 che ammette l’intervento del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord,

–        gli adattamenti delle conclusioni del ricorrente del 7 ottobre 2019, del 13 marzo e del 29 settembre 2020,

vista la sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316), che rinvia la causa T‑316/14 RENV dinanzi al Tribunale,

visto il rinvio delle cause T‑148/19 e T‑316/14 RENV dinanzi alla Quarta Sezione ampliata,

vista la decisione dell’8 febbraio 2022 di riunione delle cause T‑148/19 e T‑316/14 RENV ai fini della fase orale del procedimento e della decisione che definisce il giudizio,

vista l’ordinanza del 25 marzo 2022, recante cancellazione del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dalle cause T‑148/19 e T‑316/14 RENV in qualità di interveniente,

in seguito all’udienza del 31 marzo 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso nella causa T‑316/14 RENV, fondato sull’articolo 263 TFUE, il Kurdistan Workers’ Party (PKK), ricorrente, chiede l’annullamento:

–        del regolamento di esecuzione (UE) n. 125/2014 del Consiglio, del 10 febbraio 2014, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo e abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 714/2013 (GU 2014, L 40, pag. 9);

–        del regolamento di esecuzione (UE) n. 790/2014 del Consiglio, del 22 luglio 2014, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione n. 125/2014 (GU 2014, L 217, pag. 1);

–        della decisione (PESC) 2015/521 del Consiglio, del 26 marzo 2015, che aggiorna e modifica l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione 2014/483/PESC (GU 2015, L 82, pag. 107);

–        del regolamento di esecuzione (UE) 2015/513 del Consiglio, del 26 marzo 2015, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione n. 790/2014 (GU 2015, L 82, pag. 1);

–        della decisione (PESC) 2015/1334 del Consiglio, del 31 luglio 2015, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione 2015/521 (GU 2015, L 206, pag. 61);

–        del regolamento di esecuzione (UE) 2015/1325 del Consiglio, del 31 luglio 2015, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione 2015/513 (GU 2015, L 206, pag. 12);

–        del regolamento di esecuzione (UE) 2015/2425 del Consiglio, del 21 dicembre 2015, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo e che abroga il regolamento di esecuzione 2015/1325 (GU 2015, L 334, pag. 1);

–        del regolamento di esecuzione (UE) 2016/1127 del Consiglio, del 12 luglio 2016, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione 2015/2425 (GU 2016, L 188, pag. 1);

–        del regolamento di esecuzione (UE) 2017/150 del Consiglio, del 27 gennaio 2017, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione 2016/1127 (GU 2017, L 23, pag. 3);

–        della decisione (PESC) 2017/1426 del Consiglio, del 4 agosto 2017, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione (PESC) 2017/154 (GU 2017, L 204, pag. 95);

–        del regolamento di esecuzione (UE) 2017/1420 del Consiglio, del 4 agosto 2017, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione 2017/150 (GU 2017, L 204, pag. 3), nella parte in cui tali atti lo riguardano.

2        Con il suo ricorso nella causa T‑148/19, anch’esso fondato sull’articolo 263 TFUE, il ricorrente chiede l’annullamento:

–        della decisione (PESC) 2019/25 del Consiglio, dell’8 gennaio 2019, che modifica e aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione (PESC) 2018/1084 (GU 2019, L 6, pag. 6);

–        della decisione (PESC) 2019/1341 del Consiglio, dell’8 agosto 2019, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e abroga la decisione 2019/25 (GU 2019, L 209, pag. 15);

–        del regolamento di esecuzione (UE) 2019/1337 del Consiglio, dell’8 agosto 2019, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2019/24 (GU 2019, L 209, pag. 1);

–        del regolamento di esecuzione (UE) 2020/19 del Consiglio del 13 gennaio 2020, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo, e abroga il regolamento di esecuzione 2019/1337 (GU 2020, L 8I, pag. 1);

–        della decisione (PESC) 2020/1132 del Consiglio, del 30 luglio 2020, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e abroga la decisione (PESC) 2020/20 (GU 2020, L 247, pag. 18);

–        del regolamento di esecuzione (UE) 2020/1128 del Consiglio, del 30 luglio 2020, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e abroga il regolamento di esecuzione 2020/19 (GU 2020, L 247, pag. 1), nella parte in cui tali atti lo riguardano.

I.      Fatti

3        Il PKK è stato creato nel 1978 e ha avviato una lotta armata contro il governo turco al fine di far riconoscere il diritto dei curdi all’autodeterminazione.

4        Il 28 settembre 2001 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1373 (2001), che stabilisce strategie dirette a contrastare con ogni mezzo il terrorismo e, in particolare, il suo finanziamento.

5        Il 27 dicembre 2001, considerando che era necessaria un’azione dell’Unione europea per attuare la risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU 2001, L 344, pag. 93). In particolare, l’articolo 2 della posizione comune 2001/931 prevede il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche delle persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici, elencati nell’allegato di tale posizione comune.

6        Lo stesso 27 dicembre 2001, per attuare a livello dell’Unione le misure descritte nella posizione comune 2001/931, il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo (GU 2001, L 344, pag. 70), nonché la decisione 2001/927/CE, relativa all’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3 del regolamento n. 2580/2001 (GU 2001, L 344, pag. 83). Il nome del ricorrente non compariva in detto elenco iniziale.

7        Il 2 maggio 2002 il Consiglio ha adottato la posizione comune 2002/340/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931 (GU 2002, L 116, pag. 75). L’allegato alla posizione comune 2002/340 ha aggiornato l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano le misure restrittive previste dalla posizione comune 2001/931 e vi ha inserito, in particolare, il nome del ricorrente, così identificato: «Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK)».

8        Sempre il 2 maggio 2002 il Consiglio ha adottato la decisione 2002/334/CE, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e che abroga la decisione 2001/927 (GU 2002, L 116, pag. 33). Tale decisione ha iscritto il nome del ricorrente nell’elenco previsto all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001, negli stessi termini impiegati nell’allegato della posizione comune 2002/340.

9        Tali atti sono stati regolarmente aggiornati, in applicazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 e dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001. Il nome del ricorrente è stato sempre mantenuto negli elenchi dei gruppi ed entità ai quali si applicano le misure restrittive oggetto degli atti summenzionati (in prosieguo: gli «elenchi controversi»), e ciò nonostante la contestazione dinanzi al Tribunale o l’annullamento da parte di quest’ultimo di diverse decisioni e regolamenti ai quali sono allegati tali elenchi. Dal 2 aprile 2004, il nome dell’entità iscritta negli elenchi controversi è il «Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) (alias “KADEK”, alias “KONGRA-GEL”)».

10      Pertanto, le misure restrittive applicate al ricorrente sono state mantenute segnatamente dagli atti adottati nel 2014, vale a dire dal regolamento di esecuzione n. 125/2014 e dal regolamento di esecuzione n. 790/2014, da quelli adottati tra il 2015 e il 2017, ossia la decisione 2015/521, il regolamento di esecuzione 2015/513, la decisione 2015/1334, il regolamento di esecuzione 2015/1325, il regolamento di esecuzione 2015/2425, il regolamento di esecuzione 2016/1127, il regolamento di esecuzione 2017/150, la decisione 2017/1426 e il regolamento di esecuzione 2017/1420, nonché dagli atti adottati nel 2019 e nel 2020, che sono la decisione 2019/25, la decisione 2019/1341, il regolamento di esecuzione 2019/1337, il regolamento di esecuzione 2020/19, la decisione 2020/1132 e il regolamento di esecuzione 2020/1128.

11      Nelle esposizioni dei motivi relative agli atti adottati nel 2014, il Consiglio ha descritto il PKK come un’entità coinvolta in atti terroristici che, a partire dal 1984, aveva commesso numerosi atti di tale natura. Il Consiglio ha indicato che le attività terroristiche del PKK continuavano, nonostante un certo numero di cessate il fuoco che quest’ultimo aveva dichiarato unilateralmente, in particolare, a partire dal 2009. A tale riguardo, il Consiglio ha precisato che gli atti terroristici commessi dal PKK comprendevano attentati dinamitardi, attacchi con razzi, l’uso di esplosivi, l’assassinio e il sequestro di cittadini turchi e di turisti stranieri, la cattura di ostaggi, attacchi contro le forze di sicurezza turche e scontri armati con queste ultime, attacchi contro impianti petroliferi, trasporti pubblici, sedi diplomatiche, culturali e commerciali turche in diversi paesi, l’estorsione nei confronti di cittadini turchi residenti all’estero e altri atti criminali volti a finanziare le proprie attività. A titolo di esempio, il Consiglio ha redatto un elenco di 69 episodi, verificatisi tra il 14 novembre 2003 e il 19 ottobre 2011, qualificati come atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

12      Il Consiglio ha aggiunto che il PKK è stato oggetto di decisioni da parte di autorità nazionali competenti ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, citando a tale riguardo, da un lato, un’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 29 marzo 2001, volta a proscrivere il PKK ai sensi dell’UK Terrorism Act 2000 (legge contro il terrorismo del 2000, Regno Unito), come integrata da un’ordinanza del 14 luglio 2006, la quale considerava che «KADEK» e «KONGRA-GEL» costituivano altre denominazioni del PKK, e, dall’altro, alcune decisioni del governo degli Stati Uniti d’America, adottate in date non specificate dal Consiglio, che designano il PKK come «organizzazione terroristica straniera» (foreign terrorist organisation; in prosieguo: «FTO») conformemente alla sezione 219 dell’US Immigration and Nationality Act (legge statunitense sull’immigrazione e la nazionalità) e come «terrorista globale specificamente designato» (specially designated global terrorist; in prosieguo: «SDGT») ai sensi dell’Executive Order n. 13224 (decreto presidenziale n. 13224). Il Consiglio ha altresì menzionato alcune sentenze dei tribunali di sicurezza turchi pronunciate tra il 1990 e il 2006.

13      Nelle esposizioni dei motivi relative agli atti adottati tra il 2015 e il 2017, il Consiglio ha rilevato che il mantenimento dell’iscrizione del nome del ricorrente negli elenchi controversi era fondato sulle decisioni delle autorità del Regno Unito (2001 e 2006) e degli Stati Uniti (1997 e 2001) già prese in considerazione in precedenza, come integrate da una decisione delle autorità del Regno Unito del 3 dicembre 2014 che mantiene la proscrizione del PKK, da una sentenza del 2 novembre 2011 del tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi, Francia) che condannava il centro culturale curdo Ahmet Kaya per partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata alla preparazione di un atto terroristico e per finanziamento di attività terroristiche, confermata in appello da una sentenza del 23 aprile 2013 della cour d’appel de Paris (Corte d’Appello di Parigi, Francia) e, in cassazione, da una sentenza del 21 maggio 2014 della Cour de cassation (Corte di Cassazione, Francia), e da un riesame condotto dalle autorità degli Stati Uniti e concluso il 21 novembre 2013, che conferma la designazione del PKK come «organizzazione terroristica straniera».

14      Le esposizioni dei motivi relative agli atti adottati nel 2019 e nel 2020 riprendono le motivazioni precedenti, integrandole segnatamente a partire dalla decisione 2019/1341 e dal regolamento di esecuzione 2019/1337 con l’indicazione del mantenimento della designazione del PKK come «organizzazione terroristica straniera» da parte delle autorità degli Stati Uniti a seguito di un riesame concluso il 5 febbraio 2019.

II.    Conclusioni delle parti

15      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia annullare il regolamento di esecuzione n. 125/2014, il regolamento di esecuzione n. 790/2014, la decisione 2015/521, il regolamento di esecuzione 2015/513, la decisione 2015/1334, il regolamento di esecuzione 2015/1325, il regolamento di esecuzione 2015/2425, il regolamento di esecuzione 2016/1127, il regolamento di esecuzione 2017/150, la decisione 2017/1426 e il regolamento di esecuzione 2017/1420 (causa T‑316/14 RENV) nonché la decisione 2019/25, la decisione 2019/1341, il regolamento di esecuzione 2019/1337, il regolamento di esecuzione 2020/19, la decisione 2020/1132 e il regolamento di esecuzione 2020/1128 (causa T‑148/19), nella parte in cui lo riguardano. Esso chiede altresì, nella causa T‑148/19, in subordine, che il Tribunale ingiunga al Consiglio di adottare una misura meno restrittiva dell’iscrizione negli elenchi controversi. Esso chiede infine la condanna del Consiglio alle spese.

16      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione nella causa T‑316/14 RENV, chiede che il ricorso sia respinto e che il ricorrente sia condannato alle spese.

III. In diritto

A.      Sulla ricevibilità

17      Poiché il Consiglio ha rinunciato in udienza a contestare l’abilitazione dei due firmatari dei mandati rilasciati agli avvocati che hanno firmato le memorie del ricorrente a rappresentarlo, circostanza di cui è stato preso atto nel verbale d’udienza, permane solo il suo motivo di irricevibilità diretto contro i tre adattamenti del ricorso nella causa T‑148/19, riguardanti il regolamento di esecuzione 2019/1337, il regolamento di esecuzione 2020/19, la decisione 2020/1132 e il regolamento di esecuzione 2020/1128.

18      Il Consiglio fa valere, più in particolare, che tali atti non modificano né sostituiscono gli atti di cui era stato precedentemente richiesto l’annullamento, non soddisfacendo così i requisiti di cui all’articolo 86, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale.

19      Poiché questo stesso motivo di irricevibilità può applicarsi alle decisioni 2015/521, 2015/1334 e 2017/1426, contestate nell’ambito della causa T‑316/14 RENV, il Tribunale ha rilevato d’ufficio tale motivo di irricevibilità, che è di ordine pubblico in quanto attiene alla ricevibilità di un ricorso (v., in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punti da 139 a 145 e giurisprudenza ivi citata), e ha interpellato le parti al riguardo.

20      In risposta a tale quesito, il ricorrente ha ammesso l’irricevibilità dei suoi ricorsi nella parte in cui riguardano le decisioni 2015/521, 2015/1334 e 2017/1426 (causa T‑316/14 RENV) e la decisione 2020/1132 nonché i regolamenti di esecuzione 2019/1337, 2020/19 e 2020/1128 (causa T‑148/19), circostanza riportata nel verbale d’udienza.

21      Infatti, l’articolo 86, paragrafo 1, del regolamento di procedura dispone che, quando un atto di cui si chiede l’annullamento è sostituito o modificato da un altro atto avente il medesimo oggetto, il ricorrente, prima della chiusura della fase orale o prima della decisione del Tribunale di statuire senza fase orale, può adattare il ricorso per tener conto di tale elemento nuovo.

22      Orbene, nel caso di specie, le decisioni 2015/521, 2015/1334 e 2017/1426 non prorogano gli effetti né sostituiscono l’unico atto oggetto del ricorso nella causa T‑316/14 RENV, ossia il regolamento di esecuzione n. 125/2014, sostituito dal regolamento di esecuzione n. 790/2014, contestato nel primo adattamento di tale ricorso. Tali decisioni hanno il solo scopo di modificare l’elenco previsto dalla posizione comune 2001/931, che si fonda sul Trattato UE, mentre i regolamenti di esecuzione modificano l’elenco previsto dal regolamento n. 2580/2001, fondato segnatamente sull’articolo 301 CE (divenuto, dopo la modifica, articolo 215 TFUE), il quale mira ad attuare a livello dell’Unione le misure restrittive previste dalle decisioni relative alla politica estera e di sicurezza comune (PESC) e, in precedenza, le posizioni comuni. Pertanto, anche se le decisioni relative alla PESC e i regolamenti di esecuzione sono in linea di principio adottati lo stesso giorno e contengono uno stesso elenco di persone, gruppi ed entità interessati, essi costituiscono atti distinti.

23      Analogamente, il regolamento di esecuzione 2019/1337, il regolamento di esecuzione 2020/19, che l’ha abrogato, nonché il regolamento di esecuzione 2020/1128, che ha abrogato quest’ultimo, non prorogano gli effetti né sostituiscono l’unico atto oggetto del ricorso nella causa T‑148/19, ossia la decisione 2019/25, sostituita dalla decisione 2019/1341, oggetto del primo adattamento di tale ricorso. Si può rilevare al riguardo che, poiché le decisioni relative alla PESC condizionano l’adozione dei regolamenti adottati sul fondamento dell’articolo 215 TFUE, spetterà in ogni caso al Consiglio, conformemente all’articolo 266 TFUE, trarre le conseguenze dell’eventuale annullamento delle decisioni relative alla PESC sui regolamenti di esecuzione che le attuano (v., in tal senso, sentenza del 28 maggio 2013, Trabelsi e a./Consiglio, T‑187/11, EU:T:2013:273, punto 121).

24      Inoltre, la decisione 2020/1132, oggetto del terzo adattamento del ricorso nella causa T‑148/19, abroga, come risulta dal suo titolo, la decisione (PESC) 2020/20 del Consiglio, del 13 gennaio 2020, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931 e abroga la decisione 2019/1341 (GU 2020, L 8I, pag. 5), la quale non è stata contestata né nel ricorso né nei suoi adattamenti, impedendo in tal modo di considerare che le condizioni di cui all’articolo 86 del ricorso siano soddisfatte (v., in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punti 141 e 142). Se si ammettesse la ricevibilità della domanda di annullamento della decisione 2020/1132, per il motivo che tale decisione modifica l’elenco previsto dalla posizione comune 2001/931, allo stesso titolo delle decisioni 2019/25 e 2019/1341, ciò equivarrebbe, contrariamente alle esigenze di economia processuale e di certezza del diritto che hanno giustificato l’aggiunta di una disposizione dedicata agli adattamenti del ricorso nel regolamento di procedura entrato in vigore nel 2015 (v. motivazione dell’articolo 86 del nuovo regolamento di procedura), ad estendere la portata dell’articolo 86, paragrafo 1, che riguarda la modifica dell’«atto di cui si chiede l’annullamento», e non dell’insieme degli «atti aventi il medesimo oggetto».

25      Ne consegue che i presenti ricorsi devono essere dichiarati irricevibili nella parte in cui sono diretti all’annullamento delle decisioni 2015/521, 2015/1334 e 2017/1426 (causa T‑316/14 RENV), della decisione 2020/1132 nonché dei regolamenti di esecuzione 2019/1337, 2020/19 e 2020/1128 (causa T‑148/19).

26      Si può aggiungere che nulla impediva al ricorrente, al fine di contestare la legittimità di tali atti, di proporre un ricorso di annullamento nei loro confronti nella parte in cui lo riguardavano (v., in tal senso, sentenza del 12 febbraio 2020, Kande Mupompa/Consiglio, T‑170/18, EU:T:2020:60, punto 37).

27      Ne consegue che la fondatezza dei presenti ricorsi sarà esaminata nella parte in cui vertono su:

–        i regolamenti di esecuzione n. 125/2014 e n. 790/2014 (in prosieguo: gli «atti del 2014»);

–        i regolamenti di esecuzione 2015/513, 2015/1325, 2015/2425, 2016/1127, 2017/150 e 2017/1420 (in prosieguo: gli «atti dal 2015 al 2017»);

–        le decisioni 2019/25 e 2019/1341 (in prosieguo: le «decisioni del 2019»).

B.      Nel merito

28      Nella causa T‑316/14 RENV, il ricorrente ha indicato, nelle sue osservazioni relative alla sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316), di mantenere tutti i motivi dedotti nel suo ricorso nella causa T‑316/14 ad eccezione del primo motivo, al quale aveva rinunciato all’udienza precedente alla sentenza del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14, EU:T:2018:788), annullata dalla Corte in sede di impugnazione. A sostegno di tale ricorso dinanzi al Tribunale, il ricorrente deduceva otto motivi. Tali motivi vertevano, il primo, al quale il ricorrente ha poi rinunciato, sulla violazione del diritto internazionale in materia di conflitti armati sia mediante gli atti del 2014 e gli atti dal 2015 al 2017 sia mediante la posizione comune 2001/931 e il regolamento n. 2580/2001, il secondo, sull’errata qualificazione del ricorrente come gruppo terroristico ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, il terzo sull’assenza di una decisione adottata da un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, il quarto, sulla violazione degli articoli 4 e 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») in quanto gli atti del 2014 e gli atti dal 2015 al 2017 sarebbero basati in parte su informazioni ottenute sotto tortura o a seguito di maltrattamenti, il quinto, sull’assenza di un riesame conforme ai requisiti dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, il sesto, sulla violazione dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà, il settimo, sulla violazione dell’obbligo di motivazione e, l’ottavo, sulla violazione dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

29      Nella causa T‑148/19, il ricorrente deduce sei motivi a sostegno del suo ricorso, vertenti, il primo, sull’errata qualificazione del ricorrente come gruppo terroristico ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, il secondo, sull’assenza di una decisione adottata da un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, il terzo, sull’assenza di un riesame conforme ai requisiti dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, il quarto, sulla violazione dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà, il quinto, sulla violazione dell’obbligo di motivazione e, il sesto, sulla violazione dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

30      Tenuto conto delle somiglianze tra sei dei motivi dedotti nelle due cause, occorre esaminarli congiuntamente, distinguendo tra le cause T‑316/14 RENV e T‑148/19 unicamente qualora argomenti specifici dedotti a sostegno di tali motivi e talune differenze tra gli atti impugnati lo richiedano.

31      Tali motivi vertono principalmente sulla violazione dell’articolo 1 della posizione comune 2001/931, fermo restando che detta posizione comune costituisce il testo rilevante nel caso di specie, anche per l’esame dei regolamenti di esecuzione impugnati fondati formalmente soltanto sul regolamento n. 2580/2001, dal momento che quest’ultimo mira ad attuare la misura di congelamento dei capitali delle persone ed entità terroristiche all’interno degli Stati membri a partire dai principi e dalle definizioni degli atti terroristici contenuti nella posizione comune e sulla base degli elenchi redatti dal Consiglio in forza della posizione comune. Tale articolo 1, ai suoi paragrafi 3, 4 e 6, così dispone:

«3.      Ai fini della presente posizione comune per “atto terroristico” si intende uno degli atti intenzionali di seguito indicati, che, per la sua natura o contesto possa recare grave danno a un paese o un’organizzazione internazionale, definito reato in base al diritto nazionale, quando è commesso al fine di:

i)      intimidire seriamente la popolazione; o

ii)      costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto; o

iii)      destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche, costituzionali, economiche o sociali fondamentali di un paese o un’organizzazione internazionale:

a)      attentati alla vita di una persona che possono causarne il decesso;

b)      attentati gravi all’integrità fisica di una persona;

c)      sequestro di persona e cattura di ostaggi;

d)      distruzioni massicce di strutture governative o pubbliche, sistemi di trasporto, infrastrutture, compresi i sistemi informatici, piattaforme fisse situate sulla piattaforma continentale ovvero di luoghi pubblici o di proprietà private, che possono mettere a repentaglio vite umane o causare perdite economiche considerevoli;

e)      sequestro di aeromobili o navi o di altri mezzi di trasporto collettivo di passeggeri o di trasporto di merci;

f)      fabbricazione, detenzione, acquisto, trasporto, fornitura o uso di armi da fuoco, esplosivi, armi atomiche, biologiche e chimiche, nonché, per le armi biologiche e chimiche, ricerca e sviluppo;

g)      diffusione di sostanze pericolose, cagionamento di incendi, inondazioni o esplosioni il cui effetto metta in pericolo vite umane;

h)      manomissione o interruzione della fornitura di acqua, energia o altre risorse naturali fondamentali il cui effetto metta in pericolo vite umane;

i)      minaccia di mettere in atto uno dei comportamenti elencati alle lettere da a) a h);

j)      direzione di un gruppo terroristico;

k)      partecipazione alle attività di un gruppo terroristico, anche fornendo informazioni o mezzi materiali o finanziandone in qualsiasi forma le attività, nella consapevolezza che tale partecipazione contribuirà alle attività criminose del gruppo.

Ai fini del presente paragrafo, per “gruppo terroristico” s’intende l’associazione strutturata di più di due persone, stabilita nel tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere atti terroristici. Il termine “associazione strutturata” designa un’associazione che non si è costituita fortuitamente per la commissione estemporanea di un reato e che non deve necessariamente prevedere ruoli formalmente definiti per i suoi membri, continuità nella composizione o una struttura articolata.

4.      L’elenco è redatto sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo da cui risulta che un’autorità competente ha preso una decisione nei confronti delle persone, gruppi ed entità interessati, si tratti dell’apertura di indagini o di azioni penali per un atto terroristico, il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale atto o la sua agevolazione, basate su prove o indizi seri e credibili, o si tratti di una condanna per tali fatti. Nell’elenco possono essere inclusi persone, gruppi ed entità individuati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come collegati al terrorismo e contro i quali esso ha emesso sanzioni.

Ai fini dell’applicazione del presente paragrafo, per “autorità competente” s’intende un’autorità giudiziaria o, se le autorità giudiziarie non hanno competenza nel settore di cui al presente paragrafo, un’equivalente autorità competente nel settore.

(…)

6.      I nomi delle persone ed entità riportati nell’elenco in allegato sono riesaminati regolarmente almeno una volta per semestre onde accertarsi che il loro mantenimento nell’elenco sia giustificato».

32      Dalla giurisprudenza che ha interpretato tali disposizioni della posizione comune 2001/931 risulta che il procedimento che può portare a una misura di congelamento dei capitali ai sensi di detta posizione comune si svolge su due livelli, uno nazionale e l’altro europeo (v., in tal senso, sentenze del 14 marzo 2017, A e a., C‑158/14, EU:C:2017:202, punto 84, e del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punti 203 e 204). In un primo momento, un’autorità nazionale competente adotta nei confronti dell’interessato una decisione che soddisfi la definizione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931. In un secondo momento, il Consiglio, deliberando all’unanimità, decide di includere l’interessato nell’elenco di congelamento dei capitali, sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo che dimostrino che una siffatta decisione è stata adottata (sentenze del 12 dicembre 2006, Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio, T‑228/02, EU:T:2006:384, punto 117, e del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑256/07, EU:T:2008:461, punto 131).

33      Infatti, in assenza di mezzi dell’Unione che consentano alla stessa di condurre le indagini sul coinvolgimento di una determinata persona in atti terroristici, il ricorso al requisito di una previa decisione di un’autorità nazionale ha la funzione di accertare la sussistenza di prove o indizi seri e credibili del coinvolgimento della persona interessata in attività terroristiche, considerati affidabili dalle autorità nazionali e tali da indurle ad adottare, quantomeno, misure istruttorie. Emerge, quindi, dal riferimento a una decisione nazionale così come dalla menzione di «informazioni precise» e «prove o indizi seri e credibili» nell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 che quest’ultima si prefigge lo scopo di proteggere le persone interessate facendo sì che la loro iscrizione nell’elenco di congelamento dei capitali avvenga esclusivamente su di una base fattuale sufficientemente solida, e che essa si propone di raggiungere tale obiettivo imponendo la necessità di una decisione assunta da un’autorità nazionale (sentenze del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punti 68 e 69, e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punto 24).

34      Da tale forma di cooperazione specifica tra il Consiglio e gli Stati membri nell’ambito della lotta al terrorismo, stabilita dalla posizione comune 2001/931, derivano varie conseguenze.

35      Ne consegue, in primo luogo, che, conformemente all’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, l’iscrizione iniziale di una persona o di un’entità nell’elenco di congelamento dei capitali presuppone l’esistenza di una decisione nazionale proveniente da un’autorità competente. Per contro, una siffatta condizione non è prevista all’articolo 1, paragrafo 6, di tale posizione comune, relativa al riesame dell’iscrizione.

36      Ne consegue, in secondo luogo, che l’onere della prova che il congelamento dei capitali di una persona, di un gruppo o di un’entità è legalmente giustificato, che incombe al Consiglio, ha un oggetto relativamente ristretto a livello del procedimento dinanzi alle istituzioni dell’Unione. La forma di cooperazione specifica istituita tra gli Stati membri e il Consiglio in materia di lotta al terrorismo comporta infatti, per tale istituzione, l’obbligo di rimettersi, per quanto possibile, alla valutazione dell’autorità nazionale competente (sentenze del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑256/07, EU:T:2008:461, punti 133 e 134; del 4 dicembre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑284/08, EU:T:2008:550, punto 53, e del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punto 282).

37      Tale obbligo per il Consiglio di rimettersi, per quanto possibile, alla valutazione dell’autorità nazionale competente riguarda principalmente le decisioni nazionali di condanna prese in considerazione al momento dell’iscrizione iniziale ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931. Più in particolare, non spetta al Consiglio verificare la veridicità o l’imputazione dei fatti accertati nelle decisioni nazionali di condanna su cui è fondata un’iscrizione iniziale. Infatti, un siffatto obbligo di verifica imposto al Consiglio riguardo ai fatti all’origine di una decisione nazionale che ha fondato un’iscrizione iniziale negli elenchi di congelamento dei capitali comprometterebbe senza dubbio il sistema a due livelli che caratterizza detta posizione comune, dal momento che la valutazione, da parte del Consiglio, della sussistenza di tali fatti rischierebbe di porsi in conflitto con la valutazione e gli accertamenti effettuati dall’autorità nazionale interessata, e un siffatto conflitto sarebbe tanto più inopportuno in quanto il Consiglio non dispone necessariamente di tutti i dati fattuali e gli elementi di prova figuranti nel fascicolo di tale autorità (v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punti da 240 a 242 e giurisprudenza ivi citata). Occorre inoltre ricordare che la garanzia, per le persone interessate, che la loro iscrizione nell’elenco di congelamento dei capitali sia fondata su una base fattuale sufficientemente solida si basa proprio sul requisito di una decisione adottata da un’autorità nazionale e sulla fiducia che le istituzioni dell’Unione pongono nella valutazione delle prove e degli indizi effettuata da detta autorità nazionale (v. punto 33 supra).

38      Per contro, per quanto riguarda gli elementi sui quali il Consiglio si fonda per dimostrare la persistenza del rischio di coinvolgimento in attività terroristiche ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, che si tratti di elementi ricavati da una decisione nazionale adottata da un’autorità competente o da altre fonti, spetta al Consiglio, in caso di contestazione, dimostrare la fondatezza degli accertamenti di fatto menzionati negli atti di mantenimento negli elenchi e al giudice dell’Unione verificare la loro esattezza materiale, il che implica la verifica della veridicità dei fatti di cui trattasi nonché la loro qualificazione come elementi che giustificano l’applicazione di misure restrittive nei confronti della persona interessata (v., in tal senso, sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punti da 52 a 55 e giurisprudenza ivi citata).

39      Inoltre, come la Corte ha altresì ricordato nella sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punti da 60 a 62 e da 78 a 80 e giurisprudenza ivi citata), il Consiglio resta soggetto all’obbligo di motivazione per quanto riguarda tanto gli episodi accertati nelle decisioni prese in considerazione ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 quanto gli episodi accertati in decisioni nazionali successive o gli episodi di cui il Consiglio ha tenuto conto a titolo autonomo, senza alcun riferimento a siffatte decisioni.

40      Ne consegue che occorre distinguere, per ciascuno degli atti contestati, a seconda che essi siano fondati sulle decisioni delle autorità nazionali competenti che hanno giustificato l’iscrizione iniziale del ricorrente o a seconda che essi si basino su decisioni successive di tali autorità nazionali o su elementi considerati autonomamente dal Consiglio. Una siffatta distinzione è tanto più necessaria in quanto questi due tipi di fondamenti sono disciplinati da disposizioni diverse della posizione comune 2001/931, dato che i primi rientrano nell’articolo 1, paragrafo 4, di tale posizione e i secondi nel suo articolo 1, paragrafo 6.

41      Orbene, nel caso di specie, gli atti del 2014 sono fondati, da un lato, su un’analisi autonoma, da parte del Consiglio, di diversi episodi elencati nelle esposizioni dei motivi e, dall’altro, su decisioni delle autorità del Regno Unito, degli Stati Uniti e della Turchia. Gli atti dal 2015 al 2017 e le decisioni del 2019 sono, invece, fondati unicamente su decisioni emesse da diverse autorità nazionali, ossia quelle del Regno Unito, degli Stati Uniti e della Francia. Occorre altresì precisare che, tra le decisioni nazionali prese in considerazione, alcune hanno fondato l’iscrizione iniziale del ricorrente, mentre altre decisioni adottate successivamente sono state prese in considerazione dal Consiglio nell’ambito del suo riesame dell’iscrizione del ricorrente.

42      Occorre, pertanto, esaminare i sei motivi simili diretti contro gli atti impugnati alla luce di tali considerazioni preliminari, fermo restando che il motivo specifico alla causa T‑316/14 RENV, vertente sulla violazione degli articoli 4 e 51 della Carta e diretto unicamente contro gli atti del 2014, sarà trattato congiuntamente al motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 (v. punti 166 e 175 infra). Si esaminerà quindi di seguito se tali atti rispettino il paragrafo 3 (primo motivo), il paragrafo 4 (secondo motivo) e il paragrafo 6 (terzo motivo) dell’articolo 1 della posizione comune 2001/931, nonché il principio di proporzionalità (quarto motivo) – dato che il ricorrente ha precisato in udienza, circostanza che è stata riportata nel verbale, che il motivo in questione era fondato unicamente sulla violazione di tale principio, e non anche sulla violazione del principio di sussidiarietà –, l’obbligo di motivazione (quinto motivo) e, infine, i diritti della difesa e il diritto del ricorrente a una tutela giurisdizionale effettiva (sesto motivo), iniziando con l’esame del secondo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

1.      Sul motivo vertente sulla violazione dellarticolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931

43      Occorre ricordare, in limine, che l’articolo 1 della posizione comune 2001/931 stabilisce una distinzione tra, da un lato, l’iscrizione iniziale di una persona o di un’entità nell’elenco di congelamento dei capitali, di cui al suo paragrafo 4, e, dall’altro, il mantenimento in detto elenco di una persona o di un’entità già iscritta nello stesso, di cui al suo paragrafo 6. Mentre l’iscrizione iniziale di una persona o di un’entità nell’elenco di congelamento dei capitali presuppone l’esistenza di una decisione nazionale di un’autorità competente, un simile presupposto non è previsto per il mantenimento del nome di tale persona o di detta entità nell’elenco, dal momento che tale mantenimento costituisce, in sostanza, il prolungamento dell’iscrizione iniziale e presuppone la persistenza del pericolo di un coinvolgimento della persona o dell’entità interessata in attività terroristiche, quale constatato inizialmente dal Consiglio, sulla base della decisione nazionale che ha costituito il fondamento di tale iscrizione iniziale (sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punti da 59 a 61, e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punti da 37 a 39).

44      Ne consegue, da un lato, che, qualora il Consiglio si basi ancora, per decidere, sul fondamento dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, di mantenere l’iscrizione di una persona o di un’entità, su una decisione nazionale proveniente da un’autorità competente, il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 è operante a sostegno di un ricorso diretto contro una siffatta decisione (v., in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punti 229 e 230), circostanza, peraltro, non contestata dal Consiglio. Si può aggiungere, al riguardo, che la Corte non ha rimesso in discussione tale operatività dichiarando, nella sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punto 38), che il Tribunale non aveva commesso alcun errore di diritto esaminando le decisioni di mantenimento negli elenchi esclusivamente alla luce dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931. Infatti, la Corte si è pronunciata sull’esame, da parte del Tribunale, dell’obbligo di motivazione del Consiglio, ritenendo così, in sostanza, che il rispetto di tale obbligo di motivazione dovesse essere esaminato alla luce degli elementi rientranti nell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, e ha inoltre rinviato al Tribunale l’esame di tutti gli altri motivi, tra cui quelli vertenti sulla violazione dell’articolo 1, paragrafi 3 e 4, di detta posizione comune.

45      Ne consegue, dall’altro lato, che, nel caso di specie, tale motivo sarà esaminato unicamente in relazione alle decisioni nazionali sulle quali è fondata l’iscrizione iniziale del ricorrente nel 2002, vale a dire:

–        l’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 29 marzo 2001;

–        le decisioni del governo degli Stati Uniti dell’8 ottobre 1997 e del 31 ottobre 2001.

46      Gli argomenti relativi alle decisioni giudiziarie francesi successive all’iscrizione iniziale del ricorrente, così come quelli volti a contestare le decisioni che rientrano nel seguito dato alle decisioni summenzionate adottate dalle autorità del Regno Unito nel 2014 e dalle autorità degli Stati Uniti nel 2013 e nel 2019, nonché gli elementi considerati a titolo autonomo dal Consiglio, saranno invece trattati nell’ambito dell’esame del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931.

47      Lo stesso vale per gli argomenti relativi alle sentenze dei tribunali di sicurezza turchi menzionate nelle esposizioni dei motivi degli atti del 2014. Infatti, anche se taluni passaggi di tali esposizioni dei motivi possono dar luogo a confusione, in quanto menzionano condanne del PKK da parte dei tribunali di sicurezza turchi, alcune delle quali sono anteriori al 2002, e concludono formalmente per l’esistenza di decisioni adottate in forza dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 a seguito dell’elencazione di tali condanne, si può dedurre dalla conclusione generale relativa al riesame delle iscrizioni controverse, che menziona unicamente il mantenimento in vigore delle decisioni del Regno Unito e degli Stati Uniti, che solo queste ultime decisioni sono state prese in considerazione ai sensi della suddetta disposizione della posizione comune, il che è confermato dal Consiglio nel suo controricorso e ammesso, del resto, dal ricorrente nella replica.

a)      Sulla decisione del Regno Unito

48      Il ricorrente contesta che l’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 29 marzo 2001 possa essere qualificata come decisione di un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, invocando argomenti relativi alla nozione di «autorità competente», alle indicazioni richieste per dimostrare che una siffatta decisione sia stata adottata e alla data degli episodi accertati in tale ordinanza.

1)      Sulla qualificazione del Ministro dell’Interno del Regno Unito come «autorità competente»

49      Il ricorrente ritiene che il Ministro dell’Interno del Regno Unito non possa essere qualificato come «autorità competente» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931. Infatti, tale Ministro sarebbe un’autorità non giudiziaria, bensì amministrativa. Le sue ordinanze avrebbero natura di atti amministrativi e non sarebbero adottate in esito a un procedimento articolato in più fasi, come quello che caratterizza le decisioni penali. I divieti sanciti da tali ordinanze avrebbero inoltre una durata illimitata in assenza di riesame periodico. Il Ministro dell’Interno disporrebbe peraltro di un ampio potere discrezionale, nei limiti in cui i poteri del Parlamento del Regno Unito sarebbero limitati ad una valutazione collettiva delle organizzazioni interessate senza essere a conoscenza delle informazioni riservate prese in considerazione dal Ministro.

50      In limine, occorre ricordare che il Tribunale, in più occasioni, ha ritenuto che l’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 29 marzo 2001 costituisse una decisione di un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 (v., in tal senso, sentenze del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑256/07, EU:T:2008:461, punti 144 e 145; del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 106; del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punti da 258 a 285; del 6 marzo 2019, Hamas/Consiglio, T‑289/15, EU:T:2019:138, punti da 71 a 96; del 10 aprile 2019, Gamaa Islamya Égypte/Consiglio, T‑643/16, EU:T:2019:238, punti da 108 a 133, e del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 112).

51      Infatti, secondo la giurisprudenza, anche se l’articolo 1, paragrafo 4, secondo comma, della posizione comune 2001/931 implica una preferenza per le decisioni promananti dalle autorità giudiziarie, esso non esclude la presa in considerazione di decisioni promananti da autorità amministrative qualora, da un lato, tali autorità siano effettivamente investite, nel diritto nazionale, della competenza ad adottare decisioni restrittive nei confronti di gruppi coinvolti nel terrorismo e, dall’altro, tali autorità, benché solo amministrative, possano essere considerate «equivalenti» alle autorità giudiziarie (sentenze del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 107; del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punto 259; del 6 marzo 2019, Hamas/Consiglio, T‑289/15, EU:T:2019:138, punto 72; del 10 aprile 2019, Gamaa Islamya Égypte/Consiglio, T‑643/16, EU:T:2019:238, punto 111, e del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 114).

52      Autorità amministrative possono essere considerate equivalenti ad autorità giudiziarie quando le loro decisioni sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale vertente sugli elementi di fatto e di diritto (v., in tal senso, sentenze del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑256/07, EU:T:2008:461, punto 145; del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punto 260; del 6 marzo 2019, Hamas/Consiglio, T‑289/15, EU:T:2019:138, punto 73; del 10 aprile 2019, Gamaa Islamya Égypte/Consiglio, T‑643/16, EU:T:2019:238, punto 112, e del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 115).

53      Di conseguenza, il fatto che alcuni organi giurisdizionali dello Stato interessato detengano competenze in materia di repressione del terrorismo non osta a che il Consiglio tenga conto delle decisioni adottate dall’autorità amministrativa nazionale incaricata dell’adozione delle misure restrittive in materia di terrorismo (sentenze del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 108; del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punto 261; del 6 marzo 2019, Hamas/Consiglio, T‑289/15, EU:T:2019:138, punto 74; del 10 aprile 2019, Gamaa Islamya Égypte/Consiglio, T‑643/16, EU:T:2019:238, punto 113, e del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 116).

54      Orbene, come risulta dall’esposizione dei motivi degli atti dal 2015 al 2017 e delle decisioni del 2019, le ordinanze del Ministro dell’Interno del Regno Unito possono essere impugnate dinanzi alla Proscribed Organisations Appeal Commission (commissione di ricorso per le organizzazioni proscritte, Regno Unito; in prosieguo: la «POAC»), che statuisce, in diritto e in fatto, applicando i principi che disciplinano il sindacato giurisdizionale, e ciascuna parte può impugnare la decisione della POAC su una questione di diritto dinanzi ad un giudice d’appello se ottiene l’autorizzazione della POAC stessa o, in mancanza, del giudice d’appello (v., in tal senso, sentenze del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punto 262; del 6 marzo 2019, Hamas/Consiglio, T‑289/15, EU:T:2019:138, punto 75; del 10 aprile 2019, Gamaa Islamya Égypte/Consiglio, T‑643/16, EU:T:2019:238, punto 114, e del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 117).

55      In tali circostanze, l’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2001 deve essere considerata come adottata da un’autorità amministrativa equivalente a un’autorità giudiziaria, e quindi da un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 (v., in tal senso, sentenze del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punto 263; del 6 marzo 2019, Hamas/Consiglio, T‑289/15, EU:T:2019:138, punto 76; del 10 aprile 2019, Gamaa Islamya Égypte/Consiglio, T‑643/16, EU:T:2019:238, punto 115, e del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 118).

56      Occorre inoltre rilevare che, secondo la giurisprudenza, l’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 non richiede che la decisione dell’autorità competente s’inserisca nell’ambito di un procedimento penale stricto sensu, purché, alla luce degli obiettivi perseguiti dalla posizione comune 2001/931, il procedimento nazionale in questione abbia ad oggetto la lotta al terrorismo in senso ampio mediante l’adozione di misure di tipo preventivo o repressivo (v., in tal senso, sentenze del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punti da 269 a 271; del 6 marzo 2019, Hamas/Consiglio, T‑289/15, EU:T:2019:138, punti da 82 a 84; del 10 aprile 2019, Gamaa Islamya Égypte/Consiglio, T‑643/16, EU:T:2019:238, punti da 119 a 121, e del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 119).

57      Nella specie, l’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2001 sancisce misure di proscrizione nei confronti di organizzazioni considerate come terroristiche e si inserisce dunque, come richiesto dalla giurisprudenza, in un procedimento nazionale diretto, in via principale, all’imposizione di misure di tipo preventivo o repressivo nei confronti del PKK, nell’ambito della lotta al terrorismo (v., in tal senso, sentenze del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 115; del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punti 272 e 273; del 6 marzo 2019, Hamas/Consiglio, T‑289/15, EU:T:2019:138, punto 84; del 10 aprile 2019, Gamaa Islamya Égypte/Consiglio, T‑643/16, EU:T:2019:238, punto 121, e del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 120).

58      Dalle considerazioni che precedono risulta che gli atti impugnati non possono essere annullati per il fatto che, nelle esposizioni dei motivi ad essi relative, il Consiglio si è basato, per iscrivere il nome del ricorrente negli elenchi controversi, sull’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2001, che costituisce un’autorità amministrativa e le cui decisioni non hanno carattere penale.

59      Tale conclusione non è inficiata dagli altri argomenti dedotti dal ricorrente a sostegno del presente motivo.

60      In primo luogo, quanto all’asserita assenza di un procedimento articolato in più fasi, come avverrebbe nel caso dei procedimenti giudiziari, dal tenore letterale dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 non risulta che, per servire da base per un’iscrizione, la decisione nazionale in questione debba chiudere un procedimento che si è svolto in più fasi (sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 124).

61      In ogni caso, il procedimento che dà luogo alle ordinanze di proscrizione del Ministro dell’Interno del Regno Unito si svolge in più fasi. Anzitutto, la proscrizione impone a tale autorità un esame rigoroso degli elementi di prova sui quali si fonda la ragionevole convinzione che l’organizzazione sia coinvolta nel terrorismo. Tali elementi di prova comprendono informazioni provenienti da fonti d’informazione pubbliche e dai servizi di intelligence. Inoltre, l’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito interviene previa consultazione di tutto il governo nonché dei servizi di intelligence e delle autorità di polizia. Infine, l’ordinanza di proscrizione è soggetta al controllo e all’approvazione delle due camere del Parlamento del Regno Unito nell’ambito della procedura di ratifica (sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punti da 125 a 128).

62      In secondo luogo, per quanto riguarda l’asserita durata illimitata della proscrizione sancita dall’ordinanza del Ministro dell’Interno britannico, da un lato, va sottolineato che il fatto che tale ordinanza non sia soggetta a un obbligo di riesame annuale non impedisce al Consiglio di fondarsi su di essa per iscrivere l’entità a cui si riferisce negli elenchi di congelamento dei capitali, nella misura in cui il Consiglio, nell’ambito del suo obbligo di riesame, è tenuto a verificare se, alla data in cui intende mantenere tale entità in detti elenchi, la decisione in parola, altre decisioni o elementi di fatto successivi giustifichino ancora tale iscrizione (sentenza del 24 novembre 2021 nella causa T‑160/19, LTTE/Consiglio, non pubblicata, UE:T:2021:817, punto 131).

63      Dall’altro lato, in applicazione della sezione 4 della legge del Regno Unito del 2000 sul terrorismo, un’organizzazione o una persona interessata da una misura di proscrizione può presentare per iscritto una domanda al Ministro dell’Interno diretta a che quest’ultimo esamini l’opportunità di cancellarla dall’elenco delle organizzazioni proscritte e, in applicazione della sezione 5 della legge del Regno Unito del 2000 sul terrorismo, qualora il Ministro respinga una siffatta domanda, il richiedente può proporre ricorso dinanzi alla POAC, le cui decisioni possono essere a loro volta impugnate (sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 132) (v. punto 54 supra).

64      Ne consegue che, anche se la legge del Regno Unito del 2000 sul terrorismo non prevede un riesame annuale delle ordinanze di proscrizione del Ministro dell’Interno del Regno Unito, esse non hanno un effetto illimitato.

65      In terzo luogo, quanto all’asserito ampio potere discrezionale del Ministro dell’Interno del Regno Unito per vietare le organizzazioni terroristiche, occorre sottolineare che tale Ministro adotta le ordinanze di proscrizione non in funzione di considerazioni politiche, bensì in applicazione delle disposizioni del diritto nazionale che definiscono gli atti terroristici, come risulta dalla sezione 3 della legge del Regno Unito del 2000 sul terrorismo. Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente a proposito di tale disposizione, la circostanza che essa indichi che il Ministro dell’Interno proscrive un’entità quando «ritiene che essa sia coinvolta in attività terroristiche» verte sul grado di prova richiesto per l’iscrizione (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2016, Al-Ghabra/Commissione, T‑248/13, EU:T:2016:721, punti da 112 a 119) e può ancor meno consentire una valutazione discrezionale in quanto tale livello di prova implica un grado di convincimento, e quindi di precisione della motivazione, più elevato di quello consistente in semplici sospetti (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2016, Al-Ghabra/Commissione, T‑248/13, EU:T:2016:721, punti 114 e 115).

66      Si può aggiungere che, in ogni caso, l’ampio potere discrezionale del Ministro dell’Interno del Regno Unito è temperato dal controllo e dall’approvazione parlamentare ai quali sono soggetti i suoi progetti di ordinanza. Il Tribunale ha così già avuto occasione di considerare, proprio a proposito dei progetti di ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito, che tutti i membri della Camera dei Comuni, che è una delle due camere del Parlamento del Regno Unito che devono ratificare il progetto di ordinanza, ricevono una sintesi dei fatti per quanto riguarda ciascuna delle organizzazioni che figurano nell’elenco del progetto di ordinanza, il che implica la possibilità di un esame individuale da parte della Camera dei Comuni, che i dibattiti della Camera dei Comuni vertono effettivamente su organizzazioni individuali, come dimostrano peraltro le posizioni assunte nei confronti del PKK nel corso del dibattito parlamentare che ha portato alla ratifica dell’ordinanza del 2001, riprodotte nel caso di specie dal ricorrente nel ricorso, e che la Camera dei Comuni resta comunque libera di rifiutare l’approvazione del progetto di ordinanza (sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 122; v. altresì, in tal senso, sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punti 136 e 137).

67      Da tutto quanto precede risulta che tutti gli argomenti diretti a contestare la qualificazione del Ministro dell’Interno del Regno Unito come «autorità competente» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 devono essere respinti.

2)      Sulle «informazioni precise o [gli] elementi del fascicolo da cui risulta che un’autorità competente ha preso una decisione»

68      Il ricorrente addebita, in sostanza, al Consiglio di non aver menzionato informazioni precise o elementi del fascicolo da cui risulti che l’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito costituiva una decisione adottata da un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931. Un tale addebito comprende, secondo le memorie del ricorrente, tre censure. In primo luogo, il Consiglio non avrebbe indicato le ragioni per cui considerava il Ministro dell’Interno del Regno Unito come un’«autorità competente». In secondo luogo, gli atti impugnati non conterrebbero alcuna descrizione dei motivi sottesi all’ordinanza del 2001. In terzo luogo, i medesimi atti non preciserebbero neppure le ragioni per le quali il Consiglio ha ritenuto che i fatti in questione rientrassero nella nozione di atto terroristico ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

69      Riguardo alla prima censura, occorre constatare che essa rientra in una critica formale del rispetto dell’obbligo di motivazione (v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punti da 329 a 333) e che pertanto sarà esaminata in risposta al motivo vertente sulla violazione di tale obbligo (v. punti da 221 a 224 infra)

70      Riguardo alle altre due censure, è utile ricordare, anzitutto, il contenuto dei passaggi delle esposizioni dei motivi degli atti impugnati dedicati all’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2001.

71      Negli atti del 2014, il Consiglio ha indicato che il Ministro dell’Interno del Regno Unito, tenuto conto del compimento di atti terroristici da parte del PKK e della partecipazione di quest’ultimo a tali atti, aveva proscritto il PKK in quanto organizzazione coinvolta in atti terroristici. Esso ne ha dedotto, dopo aver altresì richiamato altre decisioni nazionali, che erano state prese decisioni da autorità competenti ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 (esposizione dei motivi, pagina 4).

72      Negli atti dal 2015 al 2017 e nelle decisioni del 2019, le cui esposizioni dei motivi sono identiche su tale punto, il Consiglio indica di essersi fondato sull’esistenza di decisioni da esso qualificate come decisioni di un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, tra cui l’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2001. Esso precisa di aver esaminato gli elementi di fatto su cui tali decisioni si fondavano e di aver considerato che essi rientravano certamente nelle nozioni di «atti terroristici» e di «gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici», ai sensi dell’articolo 1, paragrafi 2 e 3, della posizione comune 2001/931 (esposizione dei motivi, punti da 1 a 6). Inoltre, nell’allegato A dell’esposizione dei motivi, relativa a tale ordinanza, il Consiglio indica, in particolare, che quest’ultima è stata adottata nel 2001 poiché il Ministro dell’Interno del Regno Unito, a quell’epoca, aveva motivo di ritenere che il PKK avesse commesso atti terroristici e preso parte ad essi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 (punti 3, 4 e 16). Esso precisa che gli atti terroristici in questione comprendevano attacchi terroristici attribuiti al PKK a partire dal 1984 e che il PKK aveva condotto una campagna terroristica diretta a colpire gli interessi e gli investimenti occidentali all’inizio degli anni 1990, con l’obiettivo di aumentare le pressioni sul governo turco, che comprendevano il sequestro di turisti occidentali nonché, nel periodo tra il 1993 e il 1994, l’attacco ad una raffineria e attentati contro impianti turistici che avevano condotto al decesso di turisti stranieri. Esso rileva che, anche se il PKK sembrava aver abbandonato tale campagna tra il 1995 e il 1999, esso aveva continuato durante tale periodo a minacciare di attaccare gli impianti turistici turchi. Il Consiglio indica che esso considera che tali fatti rientrano nei fini enunciati all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punti i) e ii), della posizione comune 2001/931 e negli atti di violenza elencati all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punto iii), lettere a), c), d), f), g) e i), della posizione comune 2001/931 (punto 16).

73      Occorre poi ricordare che dalla giurisprudenza risulta che «[l]e informazioni precise o [gli] elementi del fascicolo» richiesti dall’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 devono dimostrare che è stata adottata una decisione di un’autorità nazionale che soddisfi la definizione di tale disposizione nei confronti delle persone o entità interessate, in modo da consentire, in particolare, a queste ultime di identificare tale decisione, ma non si riferiscono al contenuto di detta decisione (v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 148 e giurisprudenza ivi citata).

74      Ne consegue che, nel caso di specie, si può ritenere che il Consiglio abbia fornito, negli atti del 2014, «informazioni [sufficientemente] precise» relative all’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2001, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, indicando la data precisa di detta ordinanza, il suo autore e il suo fondamento giuridico, nella fattispecie la legge del Regno Unito del 2000 sul terrorismo.

75      Lo stesso vale per gli atti dal 2015 al 2017 e per le decisioni del 2019, che contengono le stesse indicazioni relative alla data precisa, all’autore e al fondamento giuridico dell’ordinanza del 2001.

76      Ne consegue che devono essere respinti tutti gli argomenti che contestano il rispetto da parte del Consiglio dei requisiti relativi alle «informazioni precise o [agli] elementi del fascicolo da cui risulta che un’autorità competente ha preso una decisione» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

3)      Sulla data degli atti terroristici che hanno fondato la proscrizione del PKK da parte del Ministro dell’Interno del Regno Unito

77      La critica secondo cui l’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2001 sarebbe fondata su episodi troppo risalenti per poter essere validamente presa in considerazione ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 è sollevata unicamente nella causa T‑148/19.

78      Occorre precisare, in via preliminare, che la «distanza temporale» che deve essere valutata nel caso di specie riguarda il tempo che separa gli episodi accertati nell’ordinanza del 2001 e la data di detta ordinanza, come del resto fatto valere in modo pertinente dal ricorrente.

79      Infatti, poiché tale argomento è dedotto a sostegno del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, occorre qui pronunciarsi unicamente sulla qualificazione dell’ordinanza del 2001 come «decisione di un’autorità competente» ai sensi di tale disposizione, in particolare tenuto conto della data degli episodi presi in considerazione in tale ordinanza (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2016:723, paragrafo 80), fermo restando che la distanza temporale che separa gli episodi oggetto di detta ordinanza e l’adozione di quest’ultima, da un lato, dalle decisioni di mantenimento dell’iscrizione impugnate nel caso di specie, dall’altro, sarà esaminata nell’ambito del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931.

80      Per quanto riguarda la valutazione, nel caso di specie, della distanza temporale di cui trattasi, si può constatare che gli ultimi fatti presi in considerazione nell’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2001, come descritta nelle decisioni del 2019, consistenti in minacce di attacchi contro gli impianti turistici turchi, riguardano un periodo compreso tra il 1995 e il 1999 (v. punto 72 supra). Occorre inoltre ricordare che non spetta al Consiglio controllare la sussistenza dei fatti accertati nelle decisioni nazionali di condanna che hanno fondato un’iscrizione iniziale (v. punto 37 supra), come l’ordinanza del 2001. Infatti, da una giurisprudenza consolidata risulta che tale ordinanza deve essere assimilata a una decisione di condanna, in quanto è definitiva nel senso che non deve essere seguita da un’indagine e mira a proscrivere le persone o le entità interessate nel Regno Unito con conseguenze penali per le persone che mantengano da vicino o da lontano un collegamento con esse (v. sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punti 155 e 156 e giurisprudenza ivi citata).

81      Ne consegue che, nonostante la contestazione da parte del ricorrente della sussistenza delle minacce di attacchi di cui trattasi, poiché lo stesso fa valere che le esposizioni dei motivi non contengono alcun elemento o argomento per avvalorare tali minacce, queste ultime possono essere prese in considerazione nel caso di specie. Ne consegue altresì che la distanza temporale tra gli ultimi fatti presi in considerazione (1999) e la data dell’ordinanza del 2001 è di circa due anni. Orbene, una siffatta distanza temporale, inferiore a cinque anni, non è considerata eccessiva (v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 208 e giurisprudenza ivi citata).

82      Pertanto, l’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 non è stato violato a motivo della data degli episodi accertati nell’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2001 presa in considerazione ai sensi di tale disposizione.

83      Risulta quindi da tutto quanto precede che le censure dirette contro il fatto che gli atti impugnati si fondano sull’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2001 devono essere respinte.

b)      Sulle decisioni degli Stati Uniti

84      Il ricorrente contesta che le decisioni delle autorità degli Stati Uniti del 1997 e del 2001 possano essere qualificate come decisioni di un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, invocando argomenti relativi alla nozione di «autorità competente» e alle indicazioni richieste per dimostrare che siffatte decisioni sono state adottate.

85      Occorre ricordare, a tale riguardo, la giurisprudenza ormai costante secondo cui la nozione di «autorità competente» utilizzata all’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 non si limita alle autorità degli Stati membri, ma può, in linea di principio, includere anche autorità di Stati terzi (sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 22; del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punto 244, e del 6 marzo 2019, Hamas/Consiglio, T‑289/15, EU:T:2019:138, punto 43).

86      Tale interpretazione è giustificata, da un lato, dal testo dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, che non limita la nozione di «autorità competenti» alle autorità degli Stati membri, e, dall’altro, dall’obiettivo di tale posizione comune, che è stata adottata per attuare la risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la quale mira ad intensificare la lotta al terrorismo su scala mondiale mediante la cooperazione sistematica e stretta di tutti gli Stati (sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 23; del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punto 245, e del 6 marzo 2019, Hamas/Consiglio, T‑289/15, EU:T:2019:138, punto 44).

87      Tuttavia, in forza di una giurisprudenza parimenti costante, spetta al Consiglio, prima di fondarsi su una decisione di un’autorità di uno Stato terzo, verificare se tale decisione sia stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punti 24 e 31, e del 4 settembre 2019, Hamas/Consiglio, T‑308/18, EU:T:2019:557, punto 58).

88      Occorre quindi iniziare esaminando gli argomenti del ricorrente che contestano tale verifica, come è stata effettuata nel caso di specie dal Consiglio. Occorre precisare, a tale riguardo, che la necessità di procedere a detta verifica risulta in particolare dalla finalità del requisito, previsto all’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, secondo cui l’iscrizione iniziale di una persona o di un’entità nell’elenco di congelamento dei capitali deve fondarsi su una decisione adottata da un’autorità competente. Tale requisito mira, infatti, a proteggere le persone o le entità interessate, assicurando che la loro iscrizione iniziale in detto elenco abbia luogo soltanto su una base fattuale sufficientemente solida (v., in tal senso, sentenza del 15 novembre 2012, 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa, C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punto 68). Orbene, tale obiettivo può essere raggiunto solo se le decisioni dei paesi terzi sulle quali il Consiglio fonda l’iscrizione iniziale di persone o entità in detto elenco sono adottate nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 26).

89      Nel caso di specie, nell’allegato C delle esposizioni dei motivi, relativo alle designazioni del PKK in quanto FTO e SDGT da parte delle autorità degli Stati Uniti, identico negli atti dal 2015 al 2017 e nelle decisioni del 2019, il Consiglio indica, in particolare, che la designazione in quanto FTO è stata decisa l’8 ottobre 1997 e che la designazione in quanto SDGT è stata decisa il 31 ottobre 2001 (punti 3 e 4).

90      Il Consiglio rileva poi che le designazioni in quanto FTO sono riesaminate d’ufficio dopo cinque anni dal segretario di Stato degli Stati Uniti se la designazione non è stata nel frattempo oggetto di una domanda di revoca. L’entità in questione può inoltre essa stessa chiedere, ogni due anni, che la sua designazione sia revocata fornendo prova che le circostanze su cui si fondava la sua designazione in quanto FTO sono sostanzialmente cambiate. Il segretario di Stato degli Stati Uniti e l’United States Congress (Congresso degli Stati Uniti, Stati Uniti d’America) possono altresì revocare d’ufficio una designazione in quanto FTO. Inoltre, l’entità interessata può presentare ricorso contro la sua designazione in quanto FTO presso la Circuit Court of Appeals for the District of Columbia (Corte d’appello federale del distretto di Columbia, Stati Uniti). Per quanto riguarda le designazioni in quanto SDGT, il Consiglio osserva che esse non sono soggette ad alcun riesame periodico, ma possono essere impugnate dinanzi alle corti e ai tribunali federali (punti da 8 a 11 dell’allegato C delle esposizioni dei motivi). Inoltre, il Consiglio constata che le designazioni del ricorrente in quanto FTO e SDGT non sono state contestate dinanzi alle corti e ai tribunali degli Stati Uniti e non sono oggetto di alcun procedimento giurisdizionale pendente (punti 11 e 12 dell’allegato C delle esposizioni dei motivi). Alla luce delle procedure di riesame e della descrizione dei mezzi di ricorso disponibili, il Consiglio ritiene che la normativa degli Stati Uniti applicabile garantisca la tutela dei diritti della difesa e del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva (punto 13 dell’allegato C delle esposizioni dei motivi).

91      Tuttavia, il Tribunale ha già avuto occasione di dichiarare, in diverse sentenze che si pronunciavano su esposizioni dei motivi identiche a quelle allegate agli atti dal 2015 al 2017 e alle decisioni del 2019, che esse non erano sufficienti per poter constatare che il Consiglio aveva proceduto alla verifica richiesta per quanto riguarda il rispetto, negli Stati Uniti d’America, del principio del rispetto dei diritti della difesa (sentenze del 6 marzo 2019, Hamas/Consiglio, T‑289/15, EU:T:2019:138, punti da 54 a 65; del 10 aprile 2019, Gamaa Islamya Égypte/Consiglio, T‑643/16, EU:T:2019:238, punti da 93 a 104, e del 4 settembre 2019, Hamas/Consiglio, T‑308/18, EU:T:2019:557, punti da 65 a 76). Inoltre, la Corte ha dichiarato, nella sola sentenza su impugnazione in cui si è pronunciata su un motivo di ricorso volto a criticare l’analisi, da parte del Tribunale, del fatto che il Consiglio si è basato sulle decisioni americane (sentenza del 4 settembre 2019, Hamas/Consiglio, T‑308/18, EU:T:2019:557), che tali critiche erano irricevibili e che l’analisi del Tribunale nella sentenza impugnata aveva autorità di cosa giudicata (sentenza del 23 novembre 2021, Consiglio/Hamas, C‑833/19 P, EU:C:2021:950, punti da 36 a 40 e 82).

92      Infatti, il principio del rispetto dei diritti della difesa esige che le persone interessate da decisioni che pregiudichino in maniera sensibile i loro interessi siano messe in condizione di far conoscere utilmente il proprio punto di vista in merito agli elementi posti a loro carico per fondare le decisioni di cui trattasi. Nel caso di misure volte a inserire i nomi di persone o di entità in un elenco di congelamento dei capitali, tale principio implica che la motivazione di tali misure sia comunicata a dette persone o entità in concomitanza con o immediatamente dopo la loro adozione (v., sentenza del 4 settembre 2019, Hamas/Consiglio, T‑308/18, EU:T:2019:557, punti 65 e 66 e giurisprudenza ivi citata).

93      Orbene, per quanto riguarda la normativa degli Stati Uniti che disciplina la designazione in quanto SDGT all’origine della decisione del 2001, la descrizione generale fornita dal Consiglio nelle esposizioni dei motivi non menziona alcun obbligo, per le autorità degli Stati Uniti, di trasmettere agli interessati una motivazione né tantomeno di pubblicare tali decisioni, impedendo di ritenere che il principio dei diritti della difesa sia stato rispettato (v., in tal senso, sentenza del 4 settembre 2019, Hamas/Consiglio, T‑308/18, EU:T:2019:557, punti 69 e 70).

94      Riguardo alla normativa che disciplina la designazione in quanto FTO all’origine della decisione del 1997, è pur vero che essa prevede una pubblicazione delle decisioni di cui trattasi nel Registro federale. Tuttavia, dalle esposizioni dei motivi non risulta che, oltre al dispositivo di tali decisioni, figuri una qualsiasi motivazione in tale pubblicazione – come testimoniano peraltro gli estratti del Registro federale comunicati in allegato al controricorso nella causa T‑316/14 RENV – o sia stata messa a disposizione del ricorrente in qualsiasi modo (v., in tal senso, sentenza del 4 settembre 2019, Hamas/Consiglio, T‑308/18, EU:T:2019:557, punti da 71 a 75). Il «fascicolo amministrativo» del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti riguardante il PKK, risalente al 2013 o al 2019 di cui disporrebbero le autorità degli Stati Uniti, menzionato nelle esposizioni dei motivi, è infatti ampiamente successivo alle decisioni degli Stati Uniti del 1997 e del 2001, e nulla indica che esso contenga dati relativi a tali decisioni e alla loro motivazione. Inoltre, il Consiglio non precisa affatto le condizioni di accesso a tale fascicolo amministrativo, limitandosi ad affermare, e ciò peraltro solo nelle sue memorie, che il ricorrente non ha esercitato il suo diritto di accesso a detto fascicolo.

95      Orbene, una siffatta pubblicazione del dispositivo della decisione del 1997 nel Registro federale, e quindi la sola menzione di tale pubblicazione nelle esposizioni dei motivi, è insufficiente perché si possa constatare che il Consiglio ha proceduto alla verifica richiesta per quanto riguarda il rispetto, negli Stati Uniti d’America, del principio dei diritti della difesa (sentenza del 4 settembre 2019, Hamas/Consiglio, T‑308/18, EU:T:2019:557, punto 76).

96      Ne consegue che occorre ritenere, nel caso di specie, alla stregua di quanto dichiarato dal Tribunale nelle sue sentenze del 6 marzo 2019, Hamas/Consiglio (T‑289/15, EU:T:2019:138, punto 65), del 10 aprile 2019, Gamaa Islamya Égypte/Consiglio (T‑643/16, EU:T:2019:238, punto 104), e del 4 settembre 2019, Hamas/Consiglio (T‑308/18, EU:T:2019:557, punto 76), che le decisioni degli Stati Uniti non potessero servire da fondamento agli atti dal 2015 al 2017 e alle decisioni del 2019, in quanto decisioni di autorità competenti ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, senza che sia necessario esaminare la questione del rispetto del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

97      Quanto agli atti del 2014, essi sono a fortiori viziati dalla stessa lacuna, dal momento che il Consiglio si limita, nelle esposizioni dei motivi corrispondenti, a menzionare i controlli giurisdizionali o amministrativi di cui possono essere oggetto le decisioni di cui trattasi, senza menzionare alcun obbligo, per le autorità degli Stati Uniti, di comunicare agli interessati una motivazione né tantomeno di pubblicare tali decisioni. Si può inoltre rilevare che, nell’indicazione delle decisioni degli Stati Uniti negli atti del 2014, il Consiglio non menziona neppure la data di dette decisioni, circostanza da cui risulta che tali atti non rispettano neppure i requisiti prescritti dall’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, in termini di fornitura di informazioni precise che dimostrino che un’autorità competente abbia preso una decisione (v. punti 74 e 75 supra).

98      Da tutto quanto precede risulta che il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 deve essere accolto nella parte in cui gli atti impugnati si fondano sulle decisioni degli Stati Uniti del 1997 e del 2001, ma respinto nella parte in cui si fondano sull’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2001.

2.      Sul motivo vertente sulla violazione dellarticolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931

99      Tenuto conto dell’accoglimento del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 per quanto riguarda le decisioni degli Stati Uniti del 1997 e del 2001, il presente motivo non sarà esaminato nella parte in cui contesta la qualificazione degli episodi accertati in tali decisioni come atti terroristici.

100    Nelle cause T‑316/14 RENV e T‑148/19, il ricorrente deduce due tipi di argomenti a sostegno del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, contestando, per alcuni, in generale, il perseguimento di un fine terroristico mediante atti compiuti nell’ambito di un conflitto armato a fini di autodeterminazione e, per altri, più specificamente i fini terroristici, come esplicitati in tale disposizione, che perseguirebbero taluni degli atti presi in considerazione nelle esposizioni dei motivi. Esso sostiene altresì, unicamente nella causa T‑148/19, che non potrebbe essere qualificato come «gruppo terroristico» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, dal momento che non costruirebbe un’associazione strutturata che agisce in modo concertato allo scopo di commettere atti terroristici.

101    Poiché il Consiglio contesta, nella causa T‑148/19, sia la ricevibilità sia l’operatività del presente motivo, occorre iniziare con l’esame di tali aspetti prima di esaminarne la fondatezza.

a)      Sulla ricevibilità del motivo

102    Il Consiglio fa valere l’irricevibilità del presente motivo, in quanto non sarebbe suffragato in alcun modo da elementi di prova.

103    Tale motivo di irricevibilità deve essere respinto.

104    Ai sensi dell’articolo 21, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, applicabile al procedimento dinanzi al Tribunale per effetto dell’articolo 53, primo comma, del medesimo Statuto e dell’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, il ricorso deve indicare l’oggetto della controversia, i motivi e gli argomenti dedotti nonché un’esposizione sommaria di detti motivi. Secondo una giurisprudenza costante, tale indicazione deve essere sufficientemente chiara e precisa da consentire alla parte convenuta di predisporre la propria difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza basarsi su altre informazioni. Al fine di garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia è necessario, affinché un ricorso sia considerato ricevibile, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso è fondato emergano, anche sommariamente, purché in modo coerente e comprensibile, dal testo del ricorso stesso. A tal fine, è necessario, in particolare, che il ricorrente presenti un argomento a sostegno del motivo dedotto che consenta al convenuto nonché al giudice dell’Unione di comprenderlo e di rispondervi (v., in tal senso, sentenza del 25 gennaio 2018, BSCA/Commissione, T‑818/14, EU:T:2018:33, punti da 94 a 96 e giurisprudenza ivi citata).

105    Per contro, non è necessario che il ricorrente presenti elementi di prova a sostegno del motivo da esso dedotto, dato che il carattere suffragato da tali elementi rientra nella valutazione della fondatezza di detto motivo e l’assenza di tali elementi può portare al rigetto del motivo in quanto infondato. Il riferimento, nella giurisprudenza summenzionata, agli «elementi di fatto» che devono figurare sommariamente nel ricorso verte infatti sui motivi fattuali che consentono di rendere il ricorso comprensibile, indipendentemente dalla dimostrazione di tali motivi di fatto mediante elementi di prova (v. punto 104 supra).

106    Orbene, nel caso di specie, il ricorrente ha presentato un’argomentazione dettagliata a sostegno del primo motivo, dedicandovi più di 60 punti del ricorso nella causa T‑148/19, circostanza che, del resto, il Consiglio non contesta e prende peraltro in considerazione rispondendo dettagliatamente a ciascuno degli argomenti dedotti dal ricorrente a sostegno del motivo. Di conseguenza, il motivo è ricevibile.

b)      Sulloperatività del motivo

107    Il ricorrente sostiene di non costituire un’associazione strutturata che agisce in modo concertato allo scopo di commettere atti terroristici. Il PKK designerebbe al tempo stesso un partito strutturato all’interno di un «complesso» a più strati, il «complesso» stesso e il movimento sociale curdo, e il Consiglio non avrebbe chiaramente fatto emergere nelle decisioni del 2019 quale di tali realtà abbia inteso mantenere negli elenchi controversi. Orbene, secondo il ricorrente, né il «complesso», che designa una moltitudine di partiti e altre forme di raggruppamenti organizzati in modo indipendente, né il movimento sociale curdo, di cui il ricorrente non controlla né direttamente né indirettamente i membri, possono essere considerati come un’associazione strutturata e, quindi, tantomeno come un gruppo terroristico. Riguardo al PKK, in quanto partito all’interno del «complesso», sebbene sia sufficientemente strutturato, esso non avrebbe l’obiettivo di commettere atti terroristici e non ne commetterebbe.

108    Il Consiglio ritiene che tale censura dedotta a sostegno del presente motivo sia inoperante, in quanto dalla formulazione dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 risulterebbe che la qualificazione di «gruppo terroristico», e in particolare quella di «gruppo», ai sensi di tale disposizione, non costituirebbe una condizione di applicazione di detta posizione comune.

109    Risulta effettivamente dai termini della posizione comune 2001/931 che la qualificazione di «gruppo terroristico» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, secondo comma, di tale posizione comune, vale a dire «l’associazione strutturata di più di due persone, stabilita nel tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere atti terroristici», non costituisce una condizione generale di applicazione di detta posizione comune.

110    Infatti, come indicato all’articolo 1, paragrafo 2, della posizione comune 2001/931, quest’ultima si applica alle persone fisiche e ai gruppi ed entità, i quali non sono peraltro distinti nell’elenco allegato alla posizione comune e alle decisioni del 2019, che elencano, in un primo punto, le «persone fisiche» e, in un secondo punto, i «gruppi o entità». La definizione di «gruppo terroristico» data all’articolo 1, paragrafo 3, secondo comma, della posizione comune 2001/931 mira unicamente a precisare due specifici fini terroristici che sono la «direzione di un gruppo terroristico» [articolo 1, paragrafo 3, primo comma, lettera j), della posizione comune 2001/931] e la «partecipazione alle attività di un gruppo terroristico» [articolo 1, paragrafo 3, primo comma, lettera k), della posizione comune 2001/931], i quali non esauriscono l’ambito di applicazione di tale posizione comune e, del resto, non sono stati presi in considerazione dal Consiglio nelle decisioni del 2019 relativamente al PKK (v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 253).

111    Ne consegue che, poiché il ricorrente, conformemente alle prescrizioni della posizione comune 2001/931, è stato iscritto negli elenchi controversi come «gruppo o entità» e non contesta affatto la sua qualificazione come «entità», è irrilevante che, come esso sostiene, il PKK non costituisca un «gruppo terroristico».

112    Il presente motivo deve pertanto essere respinto in quanto inoperante, nella parte in cui critica la qualificazione come «gruppo terroristico» del ricorrente.

113    Per contro, occorre precisare, in risposta all’affermazione del Consiglio secondo la quale non gli spettava verificare la qualificazione dei fatti operata dall’autorità nazionale competente, che un siffatto obbligo incombe al Consiglio e che gli argomenti del ricorrente sono, pertanto, operanti nella parte in cui contestano il risultato della verifica della corrispondenza degli atti presi in considerazione dalle autorità nazionali alla definizione dell’atto terroristico stabilita all’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

114    Infatti, come risulta dai termini dell’articolo 1, paragrafo 4, primo comma, della posizione comune 2001/931, che menzionano in particolare la «condanna» per «un atto terroristico, il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale atto o la sua agevolazione», il Consiglio deve verificare se gli atti accertati dalle autorità nazionali corrispondano effettivamente ad atti terroristici come definiti all’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 (v., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 191). Tale verifica è tanto più necessaria in quanto, come risulta da talune censure sollevate dal ricorrente, le definizioni dell’atto terroristico variano da uno Stato all’altro e non corrispondono necessariamente in tutti i punti alla definizione adottata nella posizione comune 2001/931.

115    Tuttavia, qualora, nel corso del procedimento dinanzi al Consiglio, l’entità interessata non contesti in maniera circostanziata che la decisione nazionale riguarda atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, il Consiglio non è tenuto a pronunciarsi in modo più dettagliato su tale questione e l’indicazione nelle esposizioni dei motivi secondo cui esso ha verificato se le motivazioni alla base delle decisioni adottate dalle autorità nazionali competenti rientrassero nella definizione di terrorismo figurante nella posizione comune 2001/931 è sufficiente (v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punti 162 e 163 e giurisprudenza ivi citata).

116    Occorre altresì precisare che tale verifica che si impone al Consiglio ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 verte unicamente sugli episodi accertati nelle decisioni delle autorità nazionali che hanno fondato l’iscrizione iniziale dell’entità interessata. Infatti, come risulta dalla sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio (T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punti 168 e 276), il Consiglio, quando mantiene il nome di un’entità negli elenchi di congelamento dei capitali nell’ambito del suo riesame condotto ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, deve dimostrare non già che tale entità abbia commesso atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, di detta posizione comune, ma che il rischio che essa sia coinvolta in siffatti atti persiste, il che non implica necessariamente che essa commetta tali atti.

117    Resta tuttavia il fatto che, se si può ritenere che il PKK abbia commesso atti terroristici dopo la sua iscrizione iniziale, ciò giustifica a fortiori il mantenimento della sua iscrizione.

118    Da tutto quanto precede risulta che il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 è inoperante nella parte in cui riguarda la qualificazione come «gruppo terroristico» del ricorrente e verte sugli atti presi in considerazione ai fini del mantenimento del suo nome negli elenchi controversi in occasione dei riesami effettuati dal Consiglio ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, ma è invece operante nella parte in cui contesta la qualificazione come atti terroristici degli episodi accertati dalle decisioni delle autorità nazionali all’origine della sua iscrizione iniziale.

c)      Sulla fondatezza del motivo

1)      Sull’argomento secondo cui i fini di cui all’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 dovrebbero essere interpretati alla luce del legittimo conflitto armato per l’autodeterminazione del popolo curdo

119    Occorre sottolineare, in via preliminare, che, se è vero che il ricorrente ha rinunciato al suo primo motivo nella causa T‑316/14 RENV, vertente sulla violazione del diritto internazionale in materia di conflitti armati (v. punto 28 supra), esso mantiene i propri argomenti relativi alla necessaria presa in considerazione dell’esistenza di un conflitto armato ai fini dell’interpretazione e dell’applicazione dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

120    Il ricorrente nega che gli atti che gli sono stati imputati dal Consiglio siano stati commessi a un fine terroristico, facendo valere il conflitto armato che lo vede contrapposto alla Repubblica di Turchia. Sarebbe fondamentale, secondo il ricorrente, prendere in considerazione il contesto nel quale si inseriscono gli atti impugnati, vale a dire il legittimo conflitto armato per l’autodeterminazione del popolo curdo che oppone il PKK alle autorità turche, dal momento che l’uso della violenza sarebbe in linea di principio autorizzato in tempi di conflitto armato in forza del diritto internazionale. Infatti, conformemente all’articolo 3, paragrafo 5, e all’articolo 21 TUE, l’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 dovrebbe essere interpretato alla luce del diritto internazionale in materia di autodeterminazione, del diritto internazionale umanitario o dei valori fondamentali della democrazia e dello Stato di diritto.

121    Il ricorrente contesta in tal modo i fini terroristici che gli atti che gli sono stati attribuiti perseguirebbero, sottolineando la necessaria distinzione tra la realizzazione di un atto e la sua realizzazione a un fine terroristico. In particolare, esso non intenderebbe né destabilizzare né distruggere lo Stato turco e tenderebbe unicamente a migliorarlo e a renderlo più conforme ai principi democratici adottati all’interno dell’Unione, tra cui il diritto fondamentale all’autodeterminazione. Esso mirerebbe inoltre a costringere il governo turco ad accettare una posizione migliore per i curdi, di modo che i suoi sforzi non potrebbero essere considerati indebiti. Il ricorrente sostiene infine che nessuno degli atti che gli sono stati imputati era diretto contro la popolazione civile, essendo soltanto previsti obiettivi militari legittimi, anche se talvolta hanno provocato perdite civili.

122    Occorre ricordare, al riguardo, che dalla giurisprudenza tanto della Corte quanto del Tribunale risulta che l’esistenza di un conflitto armato ai sensi del diritto internazionale umanitario non esclude l’applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione relative alla prevenzione del terrorismo, come la posizione comune 2001/931, agli eventuali atti terroristici commessi in tale contesto (sentenza del 14 marzo 2017, A e a., C‑158/14, EU:C:2017:202, punti 97 e 98; v., altresì, sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 294 e giurisprudenza ivi citata).

123    Infatti, da un lato, la posizione comune 2001/931 non opera alcuna distinzione, per quanto attiene al proprio ambito di applicazione, a seconda che l’atto in questione venga commesso o meno nell’ambito di un conflitto armato ai sensi del diritto internazionale umanitario. Dall’altro lato, gli obiettivi dell’Unione e dei suoi Stati membri consistono nella lotta al terrorismo, a prescindere dalle forme che esso possa assumere, conformemente agli obiettivi del diritto internazionale in vigore (sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 58).

124    Il ricorrente non contesta peraltro l’applicabilità della posizione comune 2001/931 in caso di conflitto armato, ma ritiene, in sostanza, che le sue disposizioni debbano essere interpretate tenendo conto della legittimità del conflitto armato che esso conduce contro le autorità turche per l’autodeterminazione del popolo curdo.

125    Occorre riconoscere, a seguito del ricorrente, che il principio consuetudinario di autodeterminazione ricordato, in particolare, all’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite, firmata a San Francisco il 26 giugno 1945, è un principio di diritto internazionale applicabile a tutti i territori non autonomi e a tutti i popoli che non hanno ancora ottenuto l’indipendenza (v., in tal senso, sentenze del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario, C‑104/16 P, EU:C:2016:973, punto 88, e del 4 settembre 2019, Hamas/Consiglio, T‑308/18, EU:T:2019:557, punto 217).

126    Senza prendere posizione sulla sua applicazione nella presente causa, né tantomeno sulla legittimità del ricorso alla forza armata per giungere all’autodeterminazione, si deve considerare che tale principio non implica che, per esercitare il diritto all’autodeterminazione, un popolo o gli abitanti di un territorio possano ricorrere a mezzi che ricadono nell’ambito dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 (sentenze del 4 settembre 2019, Hamas/Consiglio, T‑308/18, EU:T:2019:557, punto 218, e del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 299).

127    Infatti, il Tribunale ha già avuto occasione di dichiarare che un’eccezione al divieto di atti terroristici nei conflitti armati a vantaggio dei movimenti di liberazione avviati in un conflitto armato contro un «governo oppressivo» non si fonda su alcun fondamento di diritto dell’Unione e neppure di diritto internazionale. Le disposizioni di diritto internazionale, più in particolare la risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, del 28 settembre 2001, la Convenzione di Ginevra, del 12 agosto 1949, relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra, i protocolli addizionali I e II alle Convenzioni di Ginevra, dell’8 giugno 1977, relativi alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali e non internazionali, nonché la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, firmata a New York il 9 dicembre 1999, non stabiliscono, nella loro condanna degli atti terroristici, alcuna distinzione a seconda dello status dell’autore dell’atto e degli scopi da esso perseguiti (sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 68).

128    Per di più occorre rilevare che, nel caso di specie, il ricorrente si limita a menzionare una sola disposizione, nella fattispecie del diritto dell’Unione, specificamente a sostegno della sua affermazione dell’esistenza di un’eccezione al divieto degli atti terroristici nei conflitti armati a fini di autodeterminazione, vale a dire la decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, sulla lotta contro il terrorismo (GU 2002, L 164, pag. 3), e, più in particolare, il considerando 11 di tale decisione quadro, secondo il quale quest’ultima «non disciplina le attività delle forze armate in tempo di conflitto armato, secondo le definizioni date a questi termini dal diritto internazionale umanitario, attività disciplinate da questo stesso diritto, né le attività svolte dalle forze armate di uno Stato nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali, che sono disciplinate da altre norme del diritto internazionale». Il ricorrente aggiunge che la decisione quadro 2002/475 era accompagnata da una dichiarazione del Consiglio che escludeva esplicitamente la resistenza armata – come quella condotta dai diversi movimenti di resistenza europei durante la seconda guerra mondiale – dal suo ambito di applicazione.

129    Tuttavia, la posizione comune 2001/931, al pari della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite da essa attuata a livello dell’Unione, non contiene alcuna disposizione analoga al considerando 11 della decisione quadro 2002/475 e l’assenza di un siffatto considerando in detta posizione comune deve essere interpretata proprio nel senso che esprime la volontà del Consiglio di non prevedere alcuna eccezione all’applicazione delle disposizioni della posizione comune quando si tratta di prevenire il terrorismo lottando contro il suo finanziamento (sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punti da 74 a 76).

130    Ne consegue che il riferimento operato dal ricorrente alla decisione quadro 2002/475 e a una dichiarazione del Consiglio che accompagna tale decisione quadro non è pertinente.

131    Inoltre, occorre distinguere tra, da un lato, gli obiettivi che un popolo o gli abitanti di un territorio intendono conseguire e, dall’altro, i comportamenti che gli stessi mettono in atto per conseguirli. Infatti, i «fini» menzionati all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punti da i) a iii), della posizione comune 2001/931 non corrispondono a siffatti obiettivi, che possono essere qualificati come finali o sottostanti. Essi riguardano, come risulta dai termini impiegati (intimidazione, costrizione, destabilizzazione o distruzione), la natura stessa degli atti compiuti, il che porta a ritenere che l’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, della posizione comune 2001/931 faccia riferimento unicamente ad «atti», e non a «fini» (v., sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 300 e giurisprudenza ivi citata).

132    In tal senso, in particolare, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, lo scopo perseguito dagli attentati contro le strutture fondamentali dello Stato turco [articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punto iii), della posizione comune 2001/931], che consisterebbe nel modificare tali strutture per renderle più democratiche, qualora fosse accertato, non deve essere preso in considerazione. Allo stesso modo, il termine «indebitamente» [articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punto ii), della posizione comune 2001/931] deve essere inteso come riferito all’illiceità della costrizione esercitata, in particolare mediante i mezzi coercitivi utilizzati, e non deve essere valutata alla luce del carattere asseritamente legittimo dello scopo perseguito dall’esercizio di tale coercizione. Infine, quanto all’intimidazione della popolazione [articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punto i), della posizione comune 2001/931], per la quale il ricorrente fa valere che il conflitto armato da esso condotto per l’autodeterminazione del popolo curdo comporta che siano contemplati unicamente obiettivi militari, si deve constatare che tale argomento è infondato in punto di fatto, dal momento che molti degli atti menzionati nelle esposizioni dei motivi, in particolare gli attacchi diretti contro impianti turistici, hanno riguardato principalmente, e non soltanto in modo collaterale, popolazioni civili (v., in particolare, punti 142 e 143 infra)

133    Occorre infine sottolineare che da quanto precede non si può dedurre che lo strumento di prevenzione del terrorismo, costituito dalla posizione comune 2001/931 e, più in generale, dall’insieme del sistema delle misure restrittive dell’Unione, costituisca un ostacolo all’esercizio del diritto all’autodeterminazione delle popolazioni all’interno di Stati oppressivi. Infatti, la posizione comune 2001/931 e la sua attuazione da parte del Consiglio non mirano a determinare chi, in un conflitto tra uno Stato e un gruppo, abbia ragione o abbia torto, ma a lottare contro il terrorismo (sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 71). In un’ipotesi del genere, spetta al Consiglio, avvalendosi dell’ampio potere discrezionale riconosciuto alle istituzioni dell’Unione in materia di gestione delle relazioni esterne dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 28 ottobre 1982, Faust/Commissione, 52/81, EU:C:1982:369, punto 27; del 16 giugno 1998, Racke, C‑162/96, EU:C:1998:293, punto 52, e ordinanza del 6 settembre 2011, Mugraby/Consiglio e Commissione, T‑292/09, non pubblicata, EU:T:2011:418, punto 60), decidere nei confronti di chi, persone fisiche e giuridiche collegate allo Stato interessato o al popolo che intenda esercitare il suo diritto all’autodeterminazione, occorra adottare misure restrittive.

134    Di conseguenza, occorre respingere l’argomento del ricorrente relativo alla presa in considerazione del legittimo conflitto armato per l’autodeterminazione del popolo curdo al fine di interpretare i fini di cui all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, della posizione comune 2001/931.

135    Ne consegue che devono essere parimenti respinti tutti gli argomenti del ricorrente diretti a contestare i fini terroristici considerati per taluni degli atti che gli sono imputati per il motivo che essi sarebbero stati commessi per rappresaglia contro l’esercito turco.

2)      Sulla contestazione della natura terroristica degli scopi perseguiti da taluni degli atti attribuiti al ricorrente

136    Occorre respingere anzitutto la censura vertente, in sostanza, sulla violazione del principio di legalità dei reati e delle pene, in quanto il Consiglio non potrebbe fondare gli atti impugnati su episodi intervenuti prima dell’entrata in vigore della posizione comune 2001/931. Infatti, tenuto conto del carattere puramente cautelare del congelamento dei capitali previsto dalla posizione comune 2001/931, che non costituisce, pertanto, una sanzione penale o amministrativa (v. sentenza del 7 dicembre 2010, Fahas/Consiglio, T‑49/07, EU:T:2010:499, punti 67 e 68 e giurisprudenza ivi citata), tale principio generale del diritto dell’Unione, sancito dall’articolo 49, paragrafo 1, prima frase, della Carta, secondo il quale «[n]essuno può essere condannato per un’azione (…) che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale», non è applicabile nel caso di specie (v., per analogia, sentenza del 27 febbraio 2014, Ezz e a./Consiglio, T‑256/11, EU:T:2014:93, punti da 70 a 81).

137    Deve peraltro essere respinta in quanto inoperante la censura relativa all’assenza di corrispondenza di taluni degli atti accertati dalle autorità del Regno Unito alla definizione di reati ai sensi della normativa di tale Stato. Infatti, dalla forma di cooperazione specifica istituita tra gli Stati membri e il Consiglio in materia di lotta al terrorismo e dall’obbligo che ne deriva per il Consiglio di rimettersi, per quanto possibile, alla valutazione dell’autorità nazionale competente su cui si fonda la sua decisione discende che esso è tenuto a rimettersi parimenti a tale autorità per quanto riguarda la qualificazione degli elementi di fatto accertati alla luce delle norme di diritto nazionale. Anche se il requisito della «defini[zione di] reato in base al diritto nazionale» è posto dall’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, tale qualificazione rientra nella stretta sfera nazionale ed è indipendente in quanto tale, qualora venga effettuata, dall’attuazione di detta posizione comune.

138    Quanto alla contestazione della corrispondenza di alcuni degli atti imputati al PKK ai criteri fissati dall’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 per definire la nozione di atto terroristico, è importante rilevare, in via preliminare, che, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, dalle critiche presentate a sostegno del presente motivo ed esaminate in prosieguo emerge proprio che quest’ultimo ha avuto a disposizione, per quanto riguarda gli episodi per i quali contesta la qualificazione di atti terroristici, dati sufficienti per dedurre argomenti a sostegno della sua contestazione. Si può inoltre dedurre dalla constatazione da parte della Corte, nella sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punti 62 e 80), che la descrizione degli episodi che hanno fondato gli atti del 2014, al pari di quella degli atti dal 2015 al 2017, ripresa in modo identico nelle decisioni del 2019, era, salvo per quanto riguarda l’episodio avvenuto nell’agosto 2014, sufficientemente motivata di modo che il ricorrente disponeva di dati sufficienti per dedurre argomenti a sostegno della sua contestazione della qualificazione degli episodi interessati come atti terroristici.

139    Si può poi ritenere che, a prescindere anche dal fatto che la natura terroristica degli scopi perseguiti dal ricorrente sia contestata solo per alcuni degli atti presi in considerazione dal Consiglio, tali contestazioni non consentano di rimettere in discussione le valutazioni del Consiglio.

140    Si deve sottolineare, infatti, che ciascuno dei tipi di atti menzionati all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, lettere da a) a k), della posizione comune 2001/931 può avere natura terroristica. Un atto, per essere qualificato come «terroristico», non deve cumulare gli undici obiettivi menzionati in tale disposizione.

141    Ne consegue che è irrilevante che, come sostiene il ricorrente, taluni degli atti che gli sono attribuiti non abbiano causato decessi [lettera a)], non abbiano implicato l’uso di armi da fuoco [lettera f)], non abbiano provocato distruzioni massicce [lettera d)] o non abbiano dato luogo a sequestri [lettera c)], dal momento che, da un lato, è pacifico che tali atti perseguivano altri fini terroristici tra quelli menzionati all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, lettere da a) a k), della posizione comune 2001/931 e, dall’altro, altri atti, tra quelli accertati, hanno avuto l’uno o l’altro di tali obiettivi.

142    In particolare, per quanto riguarda gli atti accertati dalle autorità del Regno Unito nel 2001, occorre ricordare che il Consiglio li ha menzionati come segue nelle esposizioni dei motivi degli atti dal 2015 al 2017 e nelle decisioni del 2019 (punto 16 dell’allegato A delle esposizioni dei motivi):

–        il sequestro di turisti occidentali, tra cui numerosi cittadini del Regno Unito, agli inizi degli anni 1990;

–        l’attacco ad una raffineria nel periodo tra il 1993 e il 1994;

–        tra il 1993 e il 1994, una campagna di attentati contro impianti turistici che ha condotto al decesso di turisti stranieri, tra cui cittadini del Regno Unito;

–        tra il 1995 e il 1999, minacce di attacchi nei confronti di impianti turistici turchi.

143    Pertanto, anche supponendo, come sostiene il ricorrente, che non sia dimostrato che l’attacco alla raffineria commesso nel periodo tra il 1993 e il 1994 abbia messo a repentaglio vite umane ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, lettera d), della posizione comune 2001/931, resta il fatto che non sono contestate né le distruzioni massicce generate, menzionate in tale disposizione, né la conseguenza ineluttabile di tali distruzioni che sono le perdite economiche considerevoli, citate, con la messa a repentaglio di vite umane, come una delle due possibili conseguenze alternative delle distruzioni sopra menzionate. Allo stesso modo, anche se l’attacco a tale raffineria non potesse essere attribuito al ricorrente, come esso sostiene, si può rilevare che altri atti sono accertati dalle autorità del Regno Unito nel 2001 (v. punto 142 supra), per i quali il ricorrente non contesta né il suo coinvolgimento né il fine o i fini terroristici perseguiti, tra cui gli attentati alla vita di persone. Infine, il ricorrente non può legittimamente contestare che le minacce di attacchi nei confronti di impianti turistici turchi tra il 1995 e il 1999 corrispondevano alla definizione degli atti terroristici di cui all’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, che riguarda esplicitamente i) le «minacc[e] di mettere in atto (…) comportamenti elencati alle lettere da a) a h)», quali attentati alla vita o distruzioni.

144    Inoltre, occorre respingere gli argomenti del ricorrente che contestano la qualificazione degli atti in questione come atti terroristici a causa di divergenze tra la definizione dell’atto terroristico nella normativa del Regno Unito e quella di cui all’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931. Infatti, la normativa nazionale di cui trattasi, vale a dire la legge del Regno Unito del 2000 contro il terrorismo, accoglie la stessa definizione in due fasi degli atti terroristici di cui alla suddetta posizione comune, definendo tali atti sia con i «fini» perseguiti sia con i mezzi impiegati a tali fini, e detti «fini» come tali mezzi corrispondono in larga misura. È pertanto priva di conseguenze la circostanza che il criterio di gravità sia collegato ai mezzi nella normativa del Regno Unito (che menziona ad esempio la violenza grave, il danno grave) e ai «fini» nella posizione comune 2001/931 (che menziona ad esempio il fatto di intimidire seriamente la popolazione, di destabilizzare gravemente o distruggere).

145    Quanto agli atti accertati dalle autorità del Regno Unito nel 2014, può essere rilevato, ad abundantiam (v. punti 116 e 117 supra), che il Consiglio non ha identificato specificamente i fini terroristici perseguiti da ciascuno di essi, poiché solo una conclusione generale elencava l’insieme di tali fini [nella fattispecie quelli di cui alle lettere a), c), d) e da f) a i) dell’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, della posizione comune 2001/931], sia per gli atti accertati nel 2001 sia per quelli accertati nel 2014, figuranti nelle esposizioni dei motivi (punto 19 dell’allegato A). Sono, pertanto irrilevanti, ai fini della qualificazione di atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, gli argomenti con cui si contesta al Consiglio di aver ritenuto che gli atti accertati nel 2014 avessero attentato alla vita di persone [articolo 1, paragrafo 3, primo comma, lettera a), della posizione comune 2001/931], avessero dato luogo all’uso di armi da fuoco [articolo 1, paragrafo 3, primo comma, lettera f), della posizione comune 2001/931] o avessero causato distruzioni massicce [articolo 1, paragrafo 3, primo comma, lettera d), della posizione comune 2001/931], che corrispondono solo a tre dei sette fini considerati, fermo restando inoltre che tali fini terroristici sono stati validamente considerati in relazione agli atti cui si riferisce la decisione delle autorità del Regno Unito del 2001 (v. punto 143 supra).

146    Di conseguenza, il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 deve essere respinto.

3.      Sul motivo vertente sulla violazione dellarticolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931

147    Occorre ricordare che, nell’ambito di un riesame effettuato ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, il Consiglio può mantenere il nome della persona o dell’entità interessata in un elenco di congelamento dei capitali se conclude per la persistenza del rischio di coinvolgimento di quest’ultima in attività terroristiche che hanno giustificato la sua iscrizione iniziale in tale elenco, cosicché detto mantenimento costituisce, in sostanza, il prolungamento dell’iscrizione iniziale della persona o dell’entità interessata in detto elenco. A tal fine il Consiglio è tenuto a verificare se, dal momento di tale iscrizione iniziale, la situazione di fatto non sia mutata a tal punto da non consentire più di trarre la medesima conclusione riguardo al coinvolgimento della persona o dell’entità in questione in attività terroristiche (v., in tal senso, sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punti 46 e 51 e giurisprudenza citata; del 20 giugno 2019, K.P., C‑458/15, EU:C:2019:522, punto 43, e del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punto 49).

148    Nell’ambito della verifica della persistenza del rischio di coinvolgimento della persona o dell’entità in questione in attività terroristiche, devono essere presi in debita considerazione gli sviluppi successivi della decisione nazionale che ha costituito il fondamento dell’iscrizione iniziale di tale persona o di detta entità negli elenchi di congelamento dei capitali, in particolare l’abrogazione o la revoca di tale decisione nazionale a motivo di fatti o di elementi nuovi o di una modifica della valutazione dell’autorità nazionale competente (sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 52, e del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punto 50).

149    Inoltre, il solo fatto che la decisione nazionale che ha costituito il fondamento dell’iscrizione iniziale resti in vigore può, alla luce del tempo trascorso e in funzione dell’evoluzione delle circostanze del caso di specie, non essere sufficiente per concludere nel senso della persistenza del rischio di coinvolgimento della persona o dell’entità interessata in attività terroristiche. In una situazione del genere, in particolare se la decisione nazionale su cui si è fondata l’iscrizione iniziale non è stata oggetto di riesame da parte dell’autorità competente, il Consiglio è tenuto a fondare il mantenimento del nome di tale persona o di detta entità negli elenchi di congelamento dei capitali su una valutazione aggiornata della situazione, tenendo conto di elementi più recenti, che dimostrino che tale rischio sussiste (v., in tal senso, sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punti 52, 62 e 72; del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punti 40 e 50; del 20 giugno 2019, K.P., C‑458/15, EU:C:2019:522, punti 52, 60 e 61, e del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punto 51).

150    Le condizioni che fanno sorgere tale obbligo di aggiornamento, che sono il decorso del tempo e l’evoluzione delle circostanze del caso di specie, sono di natura alternativa, e ciò malgrado l’utilizzo della congiunzione «e» nella giurisprudenza menzionata al precedente punto 149. Il giudice dell’Unione ha quindi potuto affermare l’obbligo di aggiornamento del Consiglio basandosi sul tempo trascorso, senza necessariamente menzionare anche un mutamento di circostanze nel corso di tale lasso di tempo (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punti 32 e 33), indicando talvolta anche che il lasso di tempo in questione costituisce «di per sé» un elemento che giustifica tale aggiornamento (sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 176). Infatti, il solo decorso di un lasso di tempo considerevole può essere sufficiente a giustificare un aggiornamento della valutazione del Consiglio, dato che si tratta di valutare la persistenza di un rischio e quindi l’evoluzione nel tempo di tale rischio. Allo stesso modo, difficilmente si può prescindere da un evento che segni un mutamento rilevante di circostanze, anche se quest’ultimo intervenisse solo qualche mese dopo l’adozione dell’atto di mantenimento dell’iscrizione.

151    Qualora sia giustificato dal decorso del tempo o dall’evoluzione delle circostanze del caso di specie, il Consiglio può basarsi, ai fini del necessario aggiornamento della sua valutazione, su elementi recenti ricavati non solo da decisioni nazionali adottate da autorità competenti, ma anche da altre fonti e, quindi, anche sulle proprie valutazioni (v., in tal senso, sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punti 52, 62 e 72; del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punti 40 e 50; del 20 giugno 2019, K.P., C‑458/15, EU:C:2019:522, punti 52, 60 e 61, e del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punto 51).

152    Occorre sottolineare, a tale riguardo, in risposta all’argomento dedotto dal ricorrente nella causa T‑316/14 RENV, relativo a un asserito obbligo di riesame da parte delle autorità nazionali e alla necessità per il Consiglio si basarsi su tali riesami, che è proprio perché il sistema di misure restrittive istituito dalla posizione comune 2001/931 non prevede un meccanismo che permetta al Consiglio di disporre, all’occorrenza, di decisioni nazionali, adottate posteriormente all’iscrizione iniziale, per procedere ai riesami cui esso è tenuto ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 6, di tale posizione comune, che non si può ritenere che tale sistema postuli che i riesami del Consiglio siano condotti esclusivamente sul fondamento di tali decisioni nazionali, pena limitare indebitamente i mezzi di cui dispone all’uopo il Consiglio medesimo (sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punti 63 e 64, e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punto 45).

153    Occorre peraltro ricordare che, per quanto riguarda gli elementi più recenti relativi alla valutazione aggiornata della situazione, indipendentemente dal fatto che essi siano ricavati da decisioni nazionali o da altre fonti, il giudice dell’Unione è tenuto a verificare, da un lato, il rispetto dell’obbligo di motivazione previsto all’articolo 296 TFUE e, pertanto, il carattere sufficientemente preciso e concreto dei motivi invocati, nonché, dall’altro, se tali motivi siano fondati, il che implica che tale giudice si assicuri, nell’ambito del controllo della legittimità sostanziale di tali motivi, che detti atti si fondino su una base fattuale sufficientemente solida e verifichi i fatti dedotti nell’esposizione dei motivi sottesa al mantenimento negli elenchi di congelamento dei capitali (v., in tal senso, sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 118 e 119; del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 70, e del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punto 52).

154    Ai fini di tale controllo giurisdizionale, la persona o l’entità interessata, nell’ambito del ricorso proposto contro il mantenimento del suo nome nell’elenco di congelamento dei capitali controverso, può contestare la totalità degli elementi sui quali il Consiglio si fonda per dimostrare la persistenza del rischio del suo coinvolgimento in attività terroristiche, indipendentemente dalla questione se tali elementi siano ricavati da una decisione nazionale adottata da un’autorità competente o da altre fonti. In caso di contestazione, spetta al Consiglio dimostrare la fondatezza degli accertamenti di fatto considerati e al giudice dell’Unione verificare l’esattezza materiale dei fatti di cui trattasi (v. sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 71 e giurisprudenza ivi citata; sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punto 53). Occorre sottolineare, al riguardo, che, tenuto conto del sistema di cooperazione specifico tra il Consiglio e gli Stati membri istituito dalla posizione comune 2001/931 e dell’obbligo che ne deriva per il Consiglio di rimettersi il più possibile alla valutazione delle autorità nazionali, le decisioni di tali autorità hanno una particolare forza probatoria, facilitando così l’accertamento dei fatti da parte del Consiglio e la loro verifica da parte del giudice dell’Unione quando detti fatti sono stati previamente accertati da autorità nazionali competenti.

155    È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare se gli atti del 2014, gli atti dal 2015 al 2017 nonché le decisioni del 2019 siano stati adottati nel rispetto dei requisiti di cui all’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, distinguendo questi tre tipi di atti tenuto conto degli elementi diversi presi in considerazione per l’aggiornamento della valutazione del Consiglio nelle esposizioni dei motivi che li accompagnano.

a)      Sul riesame effettuato dal Consiglio negli atti del 2014 (causa T316/14 RENV)

156    Dalle esposizioni dei motivi degli atti del 2014 risulta che, ai fini del mantenimento dell’iscrizione del nome del ricorrente negli elenchi controversi, il Consiglio si è basato, tenuto conto delle attività terroristiche del ricorrente succedutesi dal 1984 e dei cessate il fuoco dichiarati unilateralmente da quest’ultimo, in particolare dal 2009, non solo sulle decisioni delle autorità americane e turche tutte anteriori al 2009, ma anche sul fatto che l’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2001 che era servita da fondamento per l’iscrizione iniziale del PKK in tale elenco rimaneva in vigore e su un elenco di 69 episodi verificatisi tra il 14 novembre 2003 e il 19 ottobre 2011 che il Consiglio ha considerato come «atti terroristici», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, attribuibili al ricorrente (v. punti 11 e 12 supra).

157    Il ricorrente contesta al Consiglio di non aver fondato il mantenimento del suo nome negli elenchi controversi su una valutazione aggiornata della situazione, come gli sarebbe imposto dall’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931. Infatti, il Consiglio si sarebbe basato unicamente su informazioni superate provenienti da decisioni nazionali e non avrebbe preso in considerazione le numerose informazioni recenti fornite dal ricorrente relative al processo di pace iniziato nel 2012, al cessate il fuoco che lo ha seguito, al conseguente ritiro delle sue truppe dal territorio turco nonché alla sua partecipazione alla lotta contro il Daech, la quale ha portato al lancio di vari appelli nel 2014 per cancellarlo dagli elenchi terroristici.

158    In primo luogo, si deve rilevare che tra l’adozione dell’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2001 e quella degli atti del 2014 è trascorso un lasso di tempo considerevole, il che giustifica di per sé un aggiornamento della valutazione della persistenza del rischio di coinvolgimento terroristico del PKK.

159    In secondo luogo, si può constatare che, durante il lasso di tempo di tredici anni che separa l’adozione dell’ordinanza del 2001 da quella degli atti del 2014, si sono verificati diversi eventi che segnano un’evoluzione delle circostanze ai sensi della giurisprudenza richiamata al precedente punto 149.

160    Sono infatti menzionati negli atti del 2014 diversi cessate il fuoco dichiarati unilateralmente dal PKK nel 2005, nel 2006 e «dal 2009» nonché una «tabella di marcia in tre fasi» per la pace stabilita dal PKK nel 2003. Anche se l’esposizione dei motivi degli atti del 2014 non vi fa riferimento, devono altresì essere menzionati i negoziati di pace che hanno avuto luogo tra il PKK e il governo turco nel 2012 e nel 2013, nonché l’appello alla pace lanciato il 21 marzo 2013 dal sig. Abdullah Öcalan, fondatore e leader del PKK, entrambi invocati dal ricorrente (v. punti da 167 a 171 infra).

161    Per contro, la partecipazione del ricorrente alla lotta contro il Daech non costituisce, in tale fase, un evento che segna un’evoluzione delle circostanze che giustificano un aggiornamento, dal momento che, secondo gli elementi contenuti nel fascicolo, essa è iniziata nel corso del secondo semestre del 2014, ossia dopo l’adozione degli atti del 2014.

162    Ne consegue che il Consiglio era tenuto ad aggiornare la sua valutazione della persistenza del rischio di coinvolgimento terroristico del ricorrente.

163    A tal fine, il Consiglio ha elencato un gran numero di episodi verificatisi tra il 14 novembre 2003 e il 19 ottobre 2011, tra cui, in particolare, 17 episodi, avvenuti tra il 17 gennaio 2010 e il 19 ottobre 2011, successivi ai cessate il fuoco dichiarati unilateralmente dal PKK dal 2009.

164    A tale riguardo, occorre rilevare, anzitutto, che la Corte ha dichiarato, nella sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316), che tale aggiornamento era sufficientemente motivato e il Tribunale è vincolato da tale valutazione. Secondo la Corte, le esposizioni dei motivi relative agli atti del 2014 consentivano al PKK di conoscere le ragioni specifiche e concrete per le quali il Consiglio aveva considerato che, nonostante i cessate il fuoco dichiarati unilateralmente dal 2009, il rischio di un coinvolgimento di tale organizzazione in attività terroristiche persisteva. La Corte ha precisato che, pertanto, gli elementi contenuti in tali esposizioni dei motivi erano sufficienti per consentire al PKK di comprendere quanto gli era stato addebitato per eventualmente contestarlo e per consentire al Tribunale di esercitare il suo controllo (sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punti 61 e 62).

165    Si può altresì rilevare, poi, che il ricorrente ha validamente contestato la sussistenza o l’imputazione nei suoi confronti solo di alcuni degli episodi interessati. Infatti, anche se dalla giurisprudenza risulta che la persona o l’entità interessata non può essere tenuta, ai fini di tale contestazione, a fornire la prova negativa dell’infondatezza di tali motivi (v. sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punto 54 e giurisprudenza ivi citata), essa deve quantomeno indicare specificamente gli episodi che contesta (v., in tal senso, sentenza del 6 marzo 2019, Hamas/Consiglio, T‑289/15, EU:T:2019:138, punto 151 e giurisprudenza ivi citata). Orbene, il ricorrente contesta specificamente solo alcuni dei 69 episodi. Allo stesso modo, tenuto conto della summenzionata valutazione della Corte relativa al rispetto da parte del Consiglio del suo obbligo di motivazione, il ricorrente non può seriamente trincerarsi dietro un’asserita mancanza di precisione della descrizione degli episodi in questione nelle esposizioni dei motivi per sostenere di essere nell’impossibilità di presentare una contestazione. Non si può nemmeno criticare il Consiglio per non aver indicato le fonti delle informazioni relative agli episodi presi in considerazione, poiché il Consiglio non era tenuto a una siffatta indicazione, dal momento che l’assenza della stessa non impedisce all’entità la cui iscrizione è mantenuta di comprendere le ragioni di tale mantenimento e detta entità può chiedere l’accesso ai documenti del Consiglio (v., in tal senso, sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punto 64; v., altresì, sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punti da 378 a 380 e giurisprudenza ivi citata). Ne risulta, nel caso di specie, che, in particolare dei 17 episodi intervenuti tra il 2010 e il 2011, il ricorrente ha contestato solo un numero limitato di essi.

166    Si può quindi ritenere, tenuto conto, altresì, della corretta qualificazione degli episodi in questione come atti terroristici (v. punti 116, 117 e 146 supra), che il Consiglio abbia rispettato il suo obbligo di aggiornamento fino al 2011. Ne consegue altresì che non occorre pronunciarsi sulle critiche rivolte al fatto che il Consiglio si sia fondato sull’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2006 che ha proscritto il «KADEK» e il «KONGRA-GEL» e sulle sentenze dei tribunali di sicurezza turchi di cui le ultime prese in considerazione risalgono al 2006.

167    Tuttavia, tra il 2011 e il 2014, periodo di tempo che, di per sé, non può essere considerato tale da rendere necessario un aggiornamento (v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 208 e giurisprudenza ivi citata), sono intervenuti un appello alla pace del sig. Öcalan nonché negoziati di pace tra il PKK e le autorità turche (v. punto 160 supra), che non sono menzionati né negli atti del 2014 e nelle loro esposizioni dei motivi, né nelle lettere che comunicano tali atti al ricorrente.

168    Orbene, tali elementi caratterizzano un’evoluzione delle circostanze che giustifica una valutazione aggiornata della situazione.

169    Anzitutto, l’appello alla pace del sig. Öcalan non era una dichiarazione isolata, ma si inseriva in un contesto di negoziati avviati da diversi mesi nel momento in cui è stato effettuato. Non era quindi in discussione una semplice cessazione temporanea o una sospensione delle attività terroristiche, per definizione unilaterale, ma erano interessati più ampiamente negoziati di pace, che presentano natura bilaterale, nell’ambito dei quali era dichiarata una siffatta cessazione o sospensione. Non è pertanto pertinente la giurisprudenza citata dal Consiglio, relativa alla minaccia che può continuare a costituire un’organizzazione che abbia commesso in passato atti terroristici, nonostante la sospensione delle sue attività terroristiche per un periodo più o meno ampio, ovvero la cessazione apparente delle stesse (sentenza del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑256/07, EU:T:2008:461, punto 112). Inoltre, sebbene la Corte abbia dichiarato, ai punti 61 e 62 della sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316), che il Consiglio aveva validamente motivato la persistenza del rischio di coinvolgimento terroristico del ricorrente nonostante i cessate il fuoco dichiarati, come sostiene il Consiglio, ciò è avvenuto sul fondamento della menzione degli episodi successivi ai cessate il fuoco dichiarati.

170    Inoltre, le stesse autorità dell’Unione, nella fattispecie le alte autorità in materia di politica estera, che sono l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e il membro della Commissione incaricato dell’allargamento e della politica europea di vicinato, avevano esse stesse riconosciuto quello che avevano qualificato come «processo di pace». Infatti, in un comunicato stampa del 21 marzo 2013, l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e il membro della Commissione incaricato dell’allargamento e della politica europea di vicinato avevano reso una dichiarazione comune in cui accoglievano con favore tale appello del sig. Öcalan al PKK a deporre le armi e a ritirarsi al di là delle frontiere turche, incoraggiando tutte le parti a operare incessantemente per portare la pace e la prosperità a tutti i cittadini della Turchia, fornendo pieno sostegno al processo di pace.

171    Infine, si può rilevare che tale processo era stato avviato da oltre un anno alla data del primo atto del 2014 e da più di 18 mesi alla data del secondo atto del 2014, senza che dagli atti del 2014 né dal fascicolo emerga alcun elemento che consenta di ritenere che sarebbe stato posto fine alla data di adozione di detti atti.

172    Occorre precisare che, in tal modo, e conformemente alla sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punti 56, 57, 74 e 88), dal silenzio del Consiglio non si deduce un difetto di motivazione. Si può per contro dedurre dal fatto che il Consiglio non menziona alcun esame o presa in considerazione degli elementi summenzionati che il riesame effettuato non è conforme ai requisiti dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931.

173    Una siffatta analisi è corroborata dalla circostanza che il Consiglio non fa alcuna menzione esplicita di detti elementi nelle sue memorie, limitandosi a evocare in modo generico dichiarazioni di cessazione di attività terroristiche e armate, di cui si deve sottolineare, da un lato, che esse non sono le uniche in discussione nel caso di specie, poiché la dichiarazione di cui trattasi del sig. Öcalan si inserisce in un processo di pace (v. punto 169 supra), e, dall’altro, che esse hanno in precedenza condotto, per quanto riguarda i cessate il fuoco del 2005 e del 2006, in particolare, a che il Consiglio verificasse il proseguimento delle attività terroristiche del PKK successivamente a detti cessate il fuoco (v. punti 160 e 163 supra), il che non è avvenuto in seguito ai negoziati e alle dichiarazioni del 2012 e del 2013.

174    È peraltro irrilevante al riguardo la dichiarazione del sig. Öcalan del 21 marzo 2015, che sollecita l’organizzazione di un congresso curdo per decidere di porre fine alla lotta armata, invocata dal Consiglio nelle sue memorie e che attesterebbe a suo parere che, prima di tale data, non era stata adottata alcuna decisione in tal senso. Infatti, anche se la valutazione della persistenza del rischio di coinvolgimento terroristico può comportare un’analisi in parte prospettica, essa non può condurre a rimettere in discussione la giurisprudenza costante, anche in materia di misure restrittive, in forza della quale la legittimità di un atto dell’Unione deve essere valutata in funzione degli elementi di fatto e di diritto esistenti al momento in cui l’atto è stato adottato (v. sentenze del 3 settembre 2015, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Commissione, C‑398/13 P, EU:C:2015:535, punto 22 e giurisprudenza ivi citata, e del 4 settembre 2015, NIOC e a./Consiglio, T‑577/12, non pubblicata, EU:T:2015:596, punto 112 e giurisprudenza ivi citata), cosicché si può tener conto soltanto degli elementi di fatto esistenti al momento dell’adozione degli atti impugnati [v., sentenza del 24 novembre 2021, Al Zoubi/Consiglio, T‑257/19, EU:T:2021:819, punto 58 (non pubblicata) e giurisprudenza ivi citata].

175    Ne consegue che il Consiglio ha violato l’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, il che porta all’annullamento degli atti del 2014, senza che sia necessario esaminare il motivo vertente sulla violazione degli articoli 4 e 51 della Carta, diretto unicamente contro la presa in considerazione delle sentenze dei tribunali di sicurezza turchi (v. punto 166 supra), né i tre motivi seguenti dedotti a sostegno della domanda di annullamento degli atti del 2014.

b)      Sul riesame effettuato dal Consiglio negli atti dal 2015 al 2017 (causa T316/14 RENV)

176    Occorre anzitutto rilevare che il Consiglio ha menzionato nelle esposizioni dei motivi relative agli atti dal 2015 al 2017 nuovi elementi che giustificavano, a suo avviso, il mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi.

177    In particolare, il Consiglio ha menzionato una nuova decisione del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 3 dicembre 2014 nonché, oltre all’indicazione per la prima volta delle date delle decisioni delle autorità degli Stati Uniti su cui era fondata l’iscrizione iniziale (1997 e 2001), il riesame effettuato da tali autorità il 21 novembre 2013 e il «fascicolo amministrativo» del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti anch’esso datato 2013, precisando gli episodi su cui erano fondate le decisioni nazionali interessate e quelli contenuti nel fascicolo amministrativo. Esso si è inoltre fondato per la prima volta su varie decisioni giurisdizionali francesi pronunciate tra il 2011 e il 2014. Il Consiglio ha inoltre affermato di aver esaminato se esistessero elementi in suo possesso che deponessero a favore della cancellazione del nome del PKK e, non avendone trovato alcuno, di aver ritenuto che i motivi che avevano giustificato l’iscrizione restassero validi (v. punto 13 supra).

178    Il ricorrente contesta gli episodi sui quali si fonda la decisione del Regno Unito del 2014 e sottolinea che essa non fa seguito a una domanda di revoca della proscrizione che esso avrebbe presentato, di modo che essa non sarebbe stata adottata sulla base di tutti i dati pertinenti. Esso sostiene, per quanto riguarda la decisione degli Stati Uniti del 2013, che non è dimostrato che il fascicolo amministrativo del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, recante la stessa data, ne sia alla base. Quanto alle decisioni dei giudici francesi del 2011, del 2013 e del 2014, il ricorrente rileva che non era parte nei procedimenti che hanno dato luogo a dette decisioni, che, per di più, esse non sarebbero fondate su prove imparziali, obiettive e sostanziali, in particolare in quanto in gran parte derivanti da informazioni provenienti dalla Turchia, e che esse si baserebbero su una definizione dell’atto terroristico più ampia di quella di cui alla posizione comune 2001/931 nonché su atti attribuiti al ricorrente anteriori al 2007. Nelle sue osservazioni relative alla sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316), il ricorrente deduce che la considerazione del Tribunale secondo cui le decisioni giudiziarie francesi non costituiscono una base sufficiente per giustificare il mantenimento del suo nome negli elenchi controversi, non essendo contestata dall’impugnazione del Consiglio, non è rimessa in discussione. Il ricorrente contesta infine al Consiglio di non aver tenuto conto degli elementi dettagliati e suffragati da documenti, presentati nel suo ricorso e nella sua replica, secondo i quali esso è un partner importante delle forze della coalizione degli Stati Uniti e dell’Europa nella lotta contro il Daech.

179    Occorre, pertanto, determinare se tali nuovi elementi consentano di ritenere che il Consiglio abbia validamente mantenuto il nome del ricorrente negli elenchi controversi alla luce degli argomenti che lo contestano dedotti da quest’ultimo, iniziando da quelli volti a criticare il fatto che il Consiglio si sia basato sulla decisione del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2014.

180    Negli atti dal 2015 al 2017, il Consiglio precisa che tale decisione si fonda sui seguenti elementi:

–        nel maggio 2014, l’attacco al cantiere di un nuovo avamposto militare avanzato turco nel corso del quale due militari sono stati feriti;

–        nell’agosto 2014, l’attacco a una centrale elettrica e il sequestro di tre ingegneri cinesi (punto 17 dell’allegato A delle esposizioni dei motivi);

–        nell’ottobre 2014, l’annuncio da parte del PKK di una rottura dei colloqui di pace con la Repubblica di Turchia se quest’ultima non fosse intervenuta contro il Daech (punto 18 dell’allegato A delle esposizioni dei motivi).

181    Occorre anzitutto sottolineare che la decisione del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2014 è stata adottata da un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, in quanto essa proviene dalla stessa autorità che ha adottato l’ordinanza del 2001 (v. punto 67 supra). Pertanto, sebbene il Consiglio non sia tenuto a basarsi su elementi tratti da decisioni di autorità nazionali competenti per mantenere il nome di un’entità negli elenchi di congelamento dei capitali (v. punti 151 e 152 supra), resta il fatto che, quando si basa su siffatte decisioni ai fini di tale mantenimento, gli elementi tratti da tali decisioni devono essere considerati dotati di particolare forza probatoria (v. punto 154 supra).

182    Occorre altresì ricordare che la Corte ha dichiarato, nella sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316), che la menzione dell’attacco del mese di agosto 2014 non era sufficientemente motivata, ma che, per contro, le menzioni degli atti del maggio e dell’ottobre del 2014 erano sufficientemente motivate (punti da 78 a 80). Essa ha inoltre dichiarato che, nei limiti in cui il Tribunale ha rilevato, al punto 103 della sentenza del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14, EU:T:2018:788), che il PKK aveva presentato argomenti diretti a contestare l’imputazione che gli era stata fatta degli episodi considerati nella decisione di riesame del Ministro dell’interno del 2014, come descritta nell’allegato A degli atti dal 2015 al 2017, nonché la loro qualificazione come atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, tale argomentazione mirava a contestare la veridicità dei fatti menzionati nonché la loro qualificazione giuridica, ossia non già a dimostrare la violazione da parte del Consiglio del suo obbligo di motivazione, bensì a contestare la legittimità sostanziale di tali atti e quindi a far scattare l’obbligo del Consiglio di dimostrare la fondatezza dei motivi invocati (punto 81).

183    Nel caso di specie, si può constatare, a seguito della risposta del ricorrente ad un quesito posto dal Tribunale in udienza, che questo si limita a contestare la minaccia di rottura dei colloqui di pace proferita nell’ottobre 2014, facendo valere che esso si sarebbe limitato ad avvertire le autorità turche di un rischio di fallimento dei negoziati di pace se non avessero agito contro il Daech, senza minacciarle di una rottura di tali negoziati. Per contro, è stato riportato nel verbale d’udienza che il ricorrente aveva ammesso che gli atti commessi dai guerriglieri curdi delle Forze per la difesa del popolo (HPG) potevano essergli attribuiti, circostanza da cui si può dedurre che esso non contesta più l’attacco del maggio 2014. Infatti, l’imputazione alle HPG e non al PKK era l’unico motivo di contestazione che il ricorrente aveva sollevato riguardo a tale attacco nella sua memoria di adattamento.

184    Inoltre, per quanto riguarda l’argomento del ricorrente secondo cui la decisione del 2014 non potrebbe essere presa in considerazione, in quanto la domanda di revoca della proscrizione cui essa risponde non proviene dal PKK, dalla giurisprudenza risulta che l’esito successivamente riservato alla decisione nazionale che ha costituito il fondamento dell’iscrizione iniziale deve essere debitamente preso in considerazione e che ciò che conta, al riguardo, è l’eventuale abrogazione o revoca oppure, al contrario, conferma di tale decisione nazionale a causa di fatti o elementi nuovi o in seguito ad una modifica della valutazione o a un’aggiunta a tale valutazione, piuttosto che l’entità che ha dato origine a tale nuova valutazione (v., in tal senso, sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 52, e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punto 30). Ciò vale a maggior ragione nel caso di specie in quanto il Ministro dell’Interno del Regno Unito ha fondato la sua decisione del 2014 su diversi nuovi atti terroristici intervenuti nel 2014, di cui almeno uno non è contestato dal ricorrente (v. punto 183 supra). Si può rilevare, in ogni caso, che il Consiglio ha indicato, nelle sue esposizioni dei motivi (punto 12 dell’allegato A), che il PKK stesso aveva chiesto senza successo in tre occasioni (nel 2001, nel 2009 e nel 2014) la revoca della sua proscrizione, circostanza da cui si può dedurre che l’autorità competente aveva a sua disposizione, in particolare nel 2014, gli argomenti e gli elementi addotti dal PKK a sostegno della sua domanda.

185    Ne consegue che, in considerazione del fatto che l’attentato del maggio 2014 è stato correttamente qualificato come atto terroristico (v. punti 135 e 145 supra), il Consiglio ha validamente considerato un coinvolgimento del PKK in atti terroristici fino al 13 maggio 2014, data dell’atto terroristico non contestato accertato nella decisione del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2014. Tale atto è inoltre successivo agli eventi del 2012 e del 2013 che sono stati ritenuti giustificare un aggiornamento della valutazione del rischio di coinvolgimento terroristico.

186    Il Consiglio ha pertanto validamente aggiornato la sua valutazione del rischio di coinvolgimento terroristico fino al maggio 2014, il che, in termini di «distanza temporale» rispetto alla data degli atti dal 2015 al 2017, di meno di cinque anni, anche per gli ultimi atti, è sufficiente per ritenere che il riesame ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 sia stato condotto in buona e debita forma (v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 208 e giurisprudenza ivi citata).

187    Tale considerazione non è rimessa in discussione dalla partecipazione del ricorrente alla lotta contro il Daech a partire dal secondo semestre del 2014, che quest’ultimo presenta come un evento che segna un mutamento di circostanze che giustifica un aggiornamento della valutazione del Consiglio (v. punto 178 supra) e che il Consiglio ha giustamente ritenuto di non dover prendere in considerazione. Infatti, una siffatta partecipazione è concomitante all’avvertimento summenzionato lanciato alle autorità turche, quand’anche tale avvertimento non avesse la portata indicata negli atti dal 2015 al 2017 (v. punto 183 supra). Essa non rivela, pertanto, alcuna distensione nelle relazioni del PKK con la Repubblica di Turchia e non implica, di per sé, la cessazione del suo conflitto con tale Stato e delle attività che possono essere considerate terroristiche svolte in tale ambito. Pertanto, da tale circostanza non si può dedurre un mutamento tale da obbligare il Consiglio ad assicurarsi della persistenza del rischio di coinvolgimento terroristico del PKK.

188    Ne consegue che il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 deve essere respinto nella parte in cui riguarda gli atti dal 2015 al 2017, senza che sia necessario esaminare gli argomenti volti a contestare il fatto che il Consiglio si sia basato sulle decisioni delle autorità americane e francesi fondate su episodi anteriori al 2014.

c)      Sul riesame effettuato dal Consiglio nellambito delle decisioni del 2019 (causa T148/19)

189    Le decisioni del 2019 sono quasi identiche agli atti dal 2015 al 2017. Gli argomenti dedotti dal ricorrente nei confronti di tali decisioni sono peraltro simili a quelli che contestano il riesame che ha dato luogo agli atti dal 2015 al 2017.

190    La sola differenza tra gli atti dal 2015 al 2017 e le decisioni del 2019 riguarda unicamente la decisione 2019/1341, nella quale figura l’indicazione di un ulteriore episodio datato 23 ottobre 2017 attribuito al PKK. Si tratta dell’attacco ad un veicolo militare turco con un ordigno esplosivo nella provincia meridionale di Hakkari, durante il quale è stato ucciso un soldato turco (punto 16, ultimo trattino, dell’esposizione dei motivi). Tale attacco è presentato come figurante nel fascicolo amministrativo delle autorità degli Stati Uniti del 2019. La fonte all’origine di tale informazione, ossia l’agenzia di stampa Reuters, è citata.

191    Occorre anzitutto rilevare che il ricorrente non contesta la sussistenza di tale attacco, né che ne sia l’autore, limitandosi a respingere la sua qualificazione come atto terroristico ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, per il motivo non pertinente che detto atto si iscriverebbe nel conflitto armato che lo vede opposto alla Repubblica di Turchia (v. punti 134 e 135 supra). L’indicazione di tale attacco nella decisione 2019/1341 è peraltro sufficientemente motivata (v. punto 231 infra).

192    Occorre sottolineare, inoltre, che la circostanza che gli atti asseritamente terroristici presi in considerazione ai fini del mantenimento negli elenchi controversi, di cui né la sussistenza né l’imputazione al ricorrente sono stati contestati da quest’ultimo, siano stati accertati da un’autorità nazionale che non può essere qualificata come autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931 non impedisce al Consiglio di basarsi validamente su tali atti nell’ambito del suo riesame del rischio di coinvolgimento terroristico. Infatti, nel riesame della fondatezza dell’iscrizione di un’entità, il Consiglio non è tenuto a fondarsi su elementi constatati in una decisione di un’autorità competente che soddisfi i criteri di cui all’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 (v., in tal senso, sentenze del 4 settembre 2019, Hamas/Consiglio, T‑308/18, EU:T:2019:557, punto 150, e del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 143).

193    Non è pertanto determinante nel caso di specie, come risulta dal precedente punto 96, che la qualificazione di autorità competente sia negata alle autorità degli Stati Uniti. Non è nemmeno rilevante la circostanza che, come sostiene il ricorrente, dalle decisioni del 2019 non risulterebbe chiaramente che gli episodi di cui trattasi, oltre a comparire nel fascicolo amministrativo degli Stati Uniti, abbiano fondato il mantenimento della sua designazione come organizzazione terroristica in esito ai riesami da parte delle autorità degli Stati Uniti.

194    Si deve altresì osservare che, a differenza della causa T‑316/14 RENV, ad eccezione del sequestro di tre ingegneri cinesi, il ricorrente non contesta neppure la sussistenza degli atti su cui è fondata la decisione del Ministro dell’Interno del Regno Unito del 2014 o la sua partecipazione a questi ultimi.

195    Occorre inoltre tener conto dell’insufficienza di motivazione constatata dalla Corte riguardo all’attacco alla centrale elettrica intervenuto nell’agosto 2014 e che ha portato al sequestro di tre ingegneri cinesi (sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punto 78). Anche se il ricorrente non deduce tale insufficienza di motivazione nella causa T‑148/19, nelle sue osservazioni relative alla sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316), tale considerazione è di ordine pubblico e le parti sono state messe in condizione di presentare le loro osservazioni al riguardo.

196    Ne consegue, per quanto riguarda, in primo luogo, la decisione 2019/25, che l’ultimo fatto commesso dal PKK validamente preso in considerazione e qualificato come terroristico dal Consiglio (v. punti 135 e 145 supra) risale al maggio 2014, il che corrisponde ad una distanza temporale di circa quattro anni e mezzo rispetto a detta decisione, la quale non rendeva necessario un aggiornamento, come risulta dal precedente punto 167.

197    Tale fatto è inoltre successivo agli eventi del 2012 e del 2013 che sono stati considerati giustificare un aggiornamento della valutazione del rischio di coinvolgimento terroristico, il quale può quindi essere considerato come effettuato correttamente al riguardo.

198    Si può peraltro considerare, al pari della valutazione effettuata a proposito degli atti dal 2015 al 2017, che il Consiglio ha validamente ritenuto che la partecipazione del PKK alla lotta contro il Daech successiva all’attacco del maggio 2014 non costituisse un mutamento di circostanze tale da obbligarlo ad assicurarsi della persistenza del rischio di coinvolgimento terroristico del PKK (v. punto 187 supra). Ciò vale a maggior ragione in quanto il ricorrente fa valere nella causa T‑148/19, a titolo di un altro mutamento di circostanze, la trasformazione dello Stato turco in uno Stato totalitario oppressore del popolo curdo, evidenziando in tal modo il mantenimento della sua ostilità nei confronti delle autorità turche. Poiché tale oppressione è peraltro sostanzialmente invocata a sostegno degli argomenti del PKK relativi al conflitto armato che lo vede opposto alla Repubblica di Turchia, essa non riflette un’evoluzione che implichi, in quanto tale, la pacificazione del PKK.

199    Lo stesso vale per le dichiarazioni del sig. Öcalan che indicano la sua disponibilità per negoziati politici e la necessità di pervenire ad una soluzione democratica piuttosto che mantenere atteggiamenti conflittuali e il ricorso alla violenza fisica. Infatti, indipendentemente dalla loro formulazione molto meno solenne e assertiva della summenzionata dichiarazione del 2013 e dalla circostanza che il PKK non vi è affatto menzionato, tali dichiarazioni raccolte dagli avvocati del sig. Öcalan e successivamente rese pubbliche, risalenti ai mesi da maggio ad agosto 2019, sono successive alla decisione 2019/25.

200    Per quanto riguarda, in secondo luogo, la decisione 2019/1341, l’ultimo fatto commesso dal PKK validamente perso in considerazione e qualificato come terroristico dal Consiglio (v. punto 191 supra) risale al 2017, ossia a meno di due anni da detta decisione, il che costituisce a fortiori una distanza temporale che non rende necessario un aggiornamento della persistenza del rischio di coinvolgimento terroristico.

201    Poiché l’attacco del 2017 è peraltro ampiamente successivo agli eventi del 2012 e del 2013 e all’inizio della partecipazione del PKK alla lotta contro il Daech, si può altresì ritenere che tale attacco giustificasse il fatto che il Consiglio, al termine del suo riesame, confermasse la persistenza del rischio di coinvolgimento terroristico del PKK e mantenesse l’iscrizione controversa con l’adozione della decisione 2019/1341 nonostante tali eventi e detta partecipazione. Quanto alle summenzionate dichiarazioni del sig. Öcalan rese tra maggio e agosto 2019, esse sono troppo recenti rispetto alla decisione 2019/1341, adottata l’8 agosto 2019, per giustificare, già in tale fase, un aggiornamento della valutazione del Consiglio, in assenza di una diminuzione sufficiente del seguito dato a tali dichiarazioni in termini di cessazione delle violenze o di avvio di un processo pacifico.

202    Ne consegue che il Consiglio ha rispettato i requisiti di cui all’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 in occasione del suo riesame della persistenza del rischio di coinvolgimento terroristico del PKK nelle decisioni del 2019.

203    Risulta quindi dall’insieme delle considerazioni che precedono che il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 deve essere accolto per quanto riguarda i soli atti del 2014 senza che occorra, pertanto, esaminare il motivo vertente sulla violazione degli articoli 4 e 51 della Carta sollevato unicamente nei confronti di tali atti del 2014 (v. punto 175 supra), né i tre motivi successivi dedotti a sostegno della domanda di annullamento di detti atti. Il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 deve, invece, essere respinto per quanto riguarda gli atti dal 2015 al 2017 e le decisioni del 2019.

4.      Sul motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

204    Il ricorrente fa valere che il mantenimento del suo nome negli elenchi controversi costituisce un mezzo sproporzionato per perseguire l’obiettivo della lotta al terrorismo, tenuto conto del mutamento di circostanze a partire dal 2002 nonché delle ripercussioni di tale iscrizione negli Stati membri, anche in termini di libertà di espressione e di riunione, sulle azioni politiche del PKK e nei confronti dei curdi in generale. Il ricorrente sottolinea peraltro che la durata dell’iscrizione di cui trattasi risulta illimitata e che esistono misure meno restrittive per la lotta al terrorismo.

205    Tenuto conto dell’accertata illegittimità degli atti del 2014, il presente motivo, relativo alla violazione del principio di proporzionalità, sarà esaminato, per ragioni di economia processuale, unicamente nella parte in cui riguarda gli atti dal 2015 al 2017 e le decisioni del 2019.

206    Occorre ricordare, al riguardo, che i diritti fondamentali, tra cui il diritto di proprietà, la libertà di espressione o il diritto di riunione, non godono, nel diritto dell’Unione, di una tutela assoluta. Possono essere apportate restrizioni all’esercizio di tali diritti a condizione, in primo luogo, che esse siano debitamente giustificate da obiettivi di interesse generale perseguiti dall’Unione e, in secondo luogo, che esse non rappresentino, alla luce di tali obiettivi, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la loro stessa sostanza (v., in tal senso, sentenza del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa, C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punto 121 e giurisprudenza ivi citata).

207    Per quanto riguarda la prima condizione, secondo costante giurisprudenza, il congelamento dei capitali, dei proventi finanziari e di altre risorse economiche delle persone e delle entità individuate, secondo le norme previste dal regolamento n. 2580/2001 e dalla posizione comune 2001/931, come coinvolte nel finanziamento del terrorismo persegue un obiettivo di interesse generale, poiché si inserisce nella lotta contro le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali derivanti dagli atti terroristici (v., in tal senso, sentenza del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa, C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punto 123 e giurisprudenza ivi citata).

208    Quanto alla seconda condizione, occorre rilevare che le misure che dispongono il congelamento dei capitali non sono considerate, in linea di principio, sproporzionate, intollerabili o lesive della sostanza dei diritti fondamentali o di alcuni di essi.

209    Infatti, tale tipo di misure è necessario, in una società democratica, per combattere il terrorismo (v., in tal senso, sentenza del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑256/07, EU:T:2008:461, punto 129 e giurisprudenza ivi citata). Per di più, le misure che dispongono il congelamento dei capitali non sono assolute, tenuto conto del fatto che gli articoli 5 e 6 del regolamento n. 2580/2001 prevedono la possibilità, da un lato, di autorizzare l’uso dei capitali congelati per soddisfare fabbisogni fondamentali o taluni obblighi e, dall’altro, di accordare autorizzazioni specifiche che consentano di scongelare, in condizioni particolari, i capitali, altre attività finanziarie o altre risorse economiche (v. sentenza del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa, C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punto 127 e giurisprudenza ivi citata).

210    Inoltre, il congelamento dei capitali non costituisce una misura permanente, dal momento che, in applicazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, il mantenimento del nome delle persone e delle entità negli elenchi di congelamento dei capitali costituisce l’oggetto di un riesame periodico diretto a garantire che ne siano cancellati coloro che non rispondono più ai criteri per comparirvi (sentenza del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa, C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punto 129).

211    Ne consegue, nel caso di specie, che, nei limiti in cui si è ritenuto che il Consiglio avesse correttamente proceduto al riesame della persistenza del rischio di coinvolgimento terroristico del ricorrente, tenuto conto in particolare dei mutamenti di circostanze addotti da quest’ultimo, negli atti dal 2015 al 2017 (v. punto 188 supra) e nelle decisioni del 2019 (v. punto 202 supra), si può ritenere che il principio di proporzionalità sia stato rispettato.

212    Tale conclusione non è rimessa in discussione dalla pretesa inefficacia delle misure di congelamento dei capitali di cui trattasi e, pertanto, dal loro carattere asseritamente inadeguato, in quanto esse non avrebbero impedito la violenza esercitata nei confronti dei curdi e non avrebbero condotto ad una soluzione pacifica e democratica del conflitto tra i curdi e le autorità turche. Infatti, tale non è l’obiettivo degli atti dal 2015 al 2017 e delle decisioni del 2019, come risulta del resto da alcuni dei loro titoli che riprendono quello della posizione comune 2001/931 e la menzione dell’obiettivo della lotta al terrorismo, obiettivo che non è peraltro contestato dal ricorrente né quanto alla sua esistenza né quanto alla sua legittimità, del resto confermata dalla giurisprudenza richiamata al precedente punto 207.

213    Sono parimenti irrilevanti gli asseriti effetti prodotti sui curdi e, più in generale, su qualsiasi persona che intenda fornire il proprio sostegno ai curdi. Infatti, gli atti dal 2015 al 2017 e le decisioni del 2019 riguardano esclusivamente la lotta al terrorismo e il PKK, unico menzionato negli allegati di tali atti e decisioni, in quanto parte interessata in atti terroristici. Pertanto, quand’anche le azioni denunciate dal ricorrente dirette contro persone prive di legami con esso, quali arresti od ostacoli alla libertà di circolazione, fossero accertate, siano esse ascrivibili ad autorità di Stati membri o alle autorità turche, alle quali gli atti dal 2015 al 2017 e le decisioni del 2019 peraltro non si impongono, tali azioni non potrebbero essere considerate come risultanti da detti atti e decisioni, che si limitano ad imporre un congelamento dei capitali, e non consentono quindi di accertarne il carattere sproporzionato.

214    Quanto all’argomento del ricorrente secondo cui misure meno restrittive consentirebbero di lottare contro il terrorismo, esso non spiega in che cosa dovrebbero consistere misure del genere. Il Tribunale non è quindi in grado di valutare se esse consentirebbero di raggiungere in modo altrettanto efficace delle misure di congelamento dei capitali l’obiettivo perseguito da queste ultime, vale a dire la lotta al finanziamento del terrorismo (v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punti 317 e 318).

215    Ne consegue che il motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità deve essere respinto nella parte in cui riguarda gli atti dal 2015 al 2017 e le decisioni del 2019.

5.      Sul motivo vertente sulla violazione dellobbligo di motivazione

216    Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la motivazione prescritta dall’articolo 296 TFUE deve far apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo (v. sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/ PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

217    La motivazione così richiesta deve essere adeguata alla natura dell’atto in questione ed al contesto in cui esso è stato adottato. L’obbligo di motivazione deve essere valutato in funzione delle circostanze concrete, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi addotti e dell’interesse che i destinatari o altre persone che l’atto riguarda direttamente ed individualmente ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE possono avere alle relative spiegazioni. In particolare, la motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti né rispondere in modo dettagliato alle considerazioni formulate dall’interessato in occasione della sua consultazione prima dell’adozione dello stesso atto, in quanto l’adeguatezza della motivazione deve essere valutata alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi. Di conseguenza, un atto che arreca pregiudizio è sufficientemente motivato quando è stato emanato in un contesto noto all’interessato, che gli consente di comprendere la portata del provvedimento adottato nei suoi confronti (v., sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

218    Per quanto riguarda, più in particolare, il mantenimento dell’iscrizione del nome di una persona o entità in un elenco di congelamento dei capitali, il giudice dell’Unione è tenuto, nell’ambito del suo esame del rispetto dell’obbligo di motivazione previsto all’articolo 296 TFUE, a verificare il carattere sufficientemente preciso e concreto dei motivi invocati (v., sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punti 52 e 56 e giurisprudenza ivi citata).

219    Ne consegue che, per soddisfare l’obbligo di motivazione previsto all’articolo 296 TFUE, spettava, nel caso di specie, al Consiglio fornire motivi sufficientemente precisi e concreti per consentire al ricorrente di conoscere i motivi a sostegno del mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi e al Tribunale di esercitare il suo controllo.

220    Il ricorrente solleva, in sostanza, sei censure a sostegno del motivo vertente sulla violazione del rispetto dell’obbligo di motivazione da parte degli atti impugnati. Tenuto conto dell’accoglimento del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 per quanto riguarda le decisioni delle autorità degli Stati Uniti del 1997 e del 2001 e dell’accoglimento del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 6, di tale posizione comune nella parte in cui riguarda gli atti del 2014, non occorre esaminare le censure volte a criticare la motivazione di tali atti e quella concernente il fatto di basarsi sulle decisioni degli Stati Uniti. Pertanto, in particolare, nei limiti in cui, con una delle sue sei censure, il ricorrente addebita al Consiglio di aver violato il suo obbligo di motivazione non avendo verificato se i diritti della difesa e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva fossero stati garantiti dalle autorità degli Stati Uniti al momento dell’adozione delle loro decisioni del 1997 e del 2001, saranno esaminate in prosieguo solo cinque censure a sostegno del motivo vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione del Consiglio e in relazione agli atti dal 2015 al 2017 nonché alle decisioni del 2019.

221    In primo luogo, il ricorrente fa valere che il Consiglio ha violato il suo obbligo di motivazione nel non spiegare perché le decisioni nazionali sulle quali si è fondato fossero decisioni ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

222    Il Tribunale ha dichiarato, nella sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio (T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punti 329 e 330), che non spettava al Consiglio spiegare sotto quale profilo la decisione nazionale sulla quale esso si basava costituiva una decisione di un’autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931 e che era solo se tale qualificazione fosse contestata in maniera circostanziata dalla persona o dall’entità interessata nel corso del procedimento amministrativo svoltosi dinanzi al Consiglio, il che non è avvenuto nel caso di specie, che quest’ultimo doveva motivare più dettagliatamente le misure adottate su tale punto.

223    In ogni caso, negli atti dal 2015 al 2017 come nelle decisioni del 2019, nell’ambito di una sezione specificamente dedicata alla «corrispondenza ai requisiti dell’autorità nazionale competente ai sensi della posizione comune 2001/931» nelle esposizioni dei motivi, il Consiglio ha fornito una tale motivazione, ricordando la giurisprudenza del Tribunale che aveva già avuto occasione di esaminare decisioni analoghe provenienti dalle autorità del Regno Unito ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, di detta posizione comune, per concludere nel senso di una siffatta corrispondenza (punto 3).

224    Ne consegue, nel caso di specie, che la prima censura vertente su un’insufficienza di motivazione deve essere respinta.

225    In secondo luogo, il ricorrente fa valere che il Consiglio ha violato il suo obbligo di motivazione non indicando i motivi effettivi e precisi sui quali si fondavano le decisioni nazionali prese in considerazione. Tale seconda censura è fatta valere per quanto riguarda l’insieme delle decisioni prese in considerazione negli atti dal 2015 al 2017 e unicamente a proposito delle decisioni degli Stati Uniti intervenute nel 2013 e nel 2019 nelle decisioni del 2019.

226    In terzo luogo, il ricorrente fa valere che il Consiglio ha violato il suo obbligo di motivazione non indicando i motivi effettivi e precisi che hanno giustificato il mantenimento del suo nome negli elenchi a seguito del riesame. Questa terza censura è sollevata unicamente con riferimento agli atti dal 2015 al 2017.

227    Occorre ricordare, quanto a tale seconda e terza censura, che la Corte ha dichiarato, nella sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punti da 76 a 89), in risposta al sesto e al settimo motivo di impugnazione, che, ad eccezione di uno degli episodi presi in considerazione, gli atti dal 2015 al 2017 erano sufficientemente motivati, in quanto si basavano sulla decisione del Regno Unito del 2014 e in quanto avevano mantenuto il nome del ricorrente negli elenchi controversi, e il Tribunale è vincolato da tale valutazione.

228    Quanto alle decisioni del 2019, la cui motivazione è contestata in quanto insufficiente nei limiti in cui esse sono fondate sulle decisioni delle autorità degli Stati Uniti, nella fattispecie sui riesami effettuati da tali autorità nel 2013 e nel 2019, occorre distinguere tra la decisione 2019/25 e la decisione 2019/1341.

229    Infatti, per quanto riguarda la decisione 2019/25, nei limiti in cui dall’esame del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 risulta che il mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi mediante detta decisione è conforme a tale disposizione indipendentemente dalla presa in considerazione delle decisioni degli Stati Uniti (v. punti 196 e 198 supra), non occorre pronunciarsi sull’asserita insufficienza di motivazione, che riguarda soltanto queste ultime decisioni.

230    Per quanto riguarda la decisione 2019/1341, nei limiti in cui il rigetto del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 è fondato in particolare sulla presa in considerazione dell’attacco del 2017 accertato dalle autorità degli Stati Uniti in occasione del loro riesame del 2019 (v. punti 191 e 200 supra), occorre verificare il carattere sufficiente della motivazione relativa a tale elemento di prova. Occorre precisare, a tale riguardo, che, nei limiti in cui detto elemento è preso in considerazione ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, è irrilevante che non sia stato accertato da un’autorità competente, così come è irrilevante, di conseguenza, che, come sostiene il ricorrente, dall’esposizione dei motivi della decisione 2019/1341 non risulti chiaramente se detto episodio, in quanto contenuto nel fascicolo amministrativo del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti del 2019, abbia parimenti fondato la decisione di mantenimento della designazione di terrorista da parte delle autorità degli Stati Uniti del 2019.

231    Per quanto riguarda i fatti pertinenti che giustificano il mantenimento negli elenchi di congelamento dei capitali, il rispetto dell’obbligo di motivazione presuppone la precisazione della loro natura, della loro data esatta (giorno) e del luogo della loro commissione, fermo restando che una certa approssimazione è consentita al riguardo poiché può essere menzionata la regione o la provincia e non necessariamente la città esatta (v., in tal senso, sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK, C‑46/19 P, EU:C:2021:316, punti 61, 62 e da 78 a 80). Orbene, simili precisazioni figurano nell’esposizione dei motivi della decisione 2019/1341, che menziona la natura dell’attacco di cui trattasi (attacco ad un veicolo militare turco con un ordigno esplosivo), la sua data (23 giugno 2017) e il luogo in cui è stato commesso (provincia meridionale di Hakkari). Le affermazioni relative all’insufficienza di motivazione della decisione 2019/1341 devono pertanto essere respinte.

232    In quarto luogo, il ricorrente fa valere che il Consiglio ha violato il suo obbligo di motivazione nel non verificare se gli atti esaminati dalle autorità nazionali potessero essere qualificati come atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

233    In quinto luogo, la violazione dell’obbligo di motivazione deriverebbe dalla mancata dimostrazione della pertinenza delle decisioni del Regno Unito nonché delle decisioni francesi prese in considerazione, tenuto conto in particolare del lasso di tempo trascorso.

234    Quanto a queste ultime due censure, occorre ricordare che l’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 296 TFUE costituisce una formalità sostanziale che va tenuta distinta dalla questione della fondatezza della motivazione, attinente alla legittimità nel merito dell’atto controverso. Infatti, la motivazione di una decisione consiste nell’esprimere formalmente le ragioni su cui si fonda tale decisione. Qualora tali ragioni siano viziate da errori, questi ultimi inficiano la legittimità nel merito della decisione, ma non la motivazione di quest’ultima, che può essere sufficiente pur illustrando ragioni errate. Ne consegue che le censure e gli argomenti diretti a contestare la fondatezza di un atto non sono pertinenti nell’ambito di un motivo vertente sul difetto o sull’insufficienza di motivazione (v., sentenza del 18 giugno 2015, Ipatau/Consiglio, C‑535/14 P, EU:C:2015:407, punto 37 e giurisprudenza ivi citata; sentenza del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto 143). Occorre precisare, al riguardo, che un’insufficienza nell’esame effettuato dal Consiglio costituisce un errore che inficia la legittimità nel merito dell’atto impugnato (v., in tal senso, sentenza del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, EU:C:1998:154, punto 72).

235    Orbene, nel caso di specie, la quarta e la quinta censura dedotte dal ricorrente a sostegno del suo motivo vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione criticano in realtà la portata e il tenore del riesame effettuato dal Consiglio ai fini dell’adozione delle decisioni impugnate, come rivela del resto il rinvio operato dal ricorrente ai suoi precedenti motivi vertenti su errori di merito.

236    Pertanto, il rispetto da parte del Consiglio del suo obbligo di assicurarsi della corrispondenza tra gli atti accertati dalle autorità nazionali e la definizione dell’atto terroristico figurante nella posizione comune 2001/931 (quarta censura) è stato esaminato in risposta al motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

237    Lo stesso vale per gli obblighi incombenti al Consiglio a titolo del riesame degli elenchi controversi e della presa in considerazione al riguardo del tempo trascorso nonché delle decisioni nazionali adottate a seguito di quelle su cui è fondata l’iscrizione iniziale (quinta censura), i quali sono stati esaminati nell’ambito del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, che è stato parzialmente accolto senza che sia stato necessario un esame delle decisioni francesi a tal fine.

238    Da tutto quanto precede risulta che il motivo vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione deve essere sostanzialmente respinto, vale a dire fatta eccezione per la motivazione dell’episodio dell’agosto 2014 accertato dalle autorità del Regno Unito, giudicata insufficiente dalla sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316) (v. punti 182 e 227 supra).

6.      Sul motivo vertente sulla violazione dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva

239    Il ricorrente deduce tre censure a sostegno di tale motivo. In primo luogo, il Consiglio non gli avrebbe comunicato, in violazione dei criteri elaborati dalla sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), gli elementi di prova sui quali si sono fondate le autorità del Regno Unito e degli Stati Uniti. In secondo luogo, il Consiglio non avrebbe neppure dimostrato che i diritti della difesa e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva siano stati garantiti dinanzi alle autorità americane e francesi. In terzo luogo, il ricorrente ritiene che i suoi diritti della difesa e il suo diritto a una tutela giurisdizionale effettiva siano stati parimenti violati a causa della flagrante violazione da parte del Consiglio della sentenza del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14, EU:T:2018:788).

240    Per quanto riguarda la prima censura, secondo costante giurisprudenza, quando informazioni sufficientemente precise che permettano all’entità interessata da una misura restrittiva di far conoscere utilmente il proprio punto di vista sugli elementi posti a suo carico da parte del Consiglio sono state comunicate, il principio del rispetto dei diritti della difesa non implica per quest’ultimo l’obbligo di concedere spontaneamente l’accesso ai documenti contenuti nel suo fascicolo. Soltanto su richiesta della parte interessata il Consiglio è tenuto a consentire l’accesso a tutti i documenti amministrativi non riservati relativi alla misura di cui trattasi (v., sentenza del 24 novembre 2021, LTTE/Consiglio, T‑160/19, non pubblicata, EU:T:2021:817, punto 367 e giurisprudenza ivi citata).

241    Nel caso di specie, da un lato, sono state comunicate al ricorrente informazioni sufficientemente precise per quanto riguarda gli elementi presi in considerazione ai fini del mantenimento del suo nome negli elenchi controversi nelle esposizioni dei motivi allegate agli atti dal 2015 al 2017 e alle decisioni del 2019, i soli esaminati in questa sede per ragioni di economia processuale tenuto conto dell’accertata illegittimità degli atti del 2014. Dall’altro lato, in risposta ad un quesito posto dal Tribunale, il ricorrente ha prodotto, per quanto riguarda tali atti e decisioni, una sola lettera, datata 6 marzo 2015 e inviata al Consiglio prima dell’adozione degli atti del 2015. Tale lettera, per quanto riguarda gli episodi tratti dalle decisioni delle autorità del Regno Unito e degli Stati Uniti presi in considerazione dal Consiglio ai fini del mantenimento negli elenchi controversi, gli unici in questione nel motivo, dal momento che il ricorrente può contestare la sussistenza e l’imputazione che gli viene fatta soltanto di tali episodi (v. punti 37 e 80 supra), si limita a criticare l’assenza di dettagli supplementari (quarto e sesto capoverso della lettera), impedendo di qualificare detti episodi come atti terroristici. Orbene, una siffatta menzione si ricollega alla questione della qualificazione di atti terroristici, e non a quella dell’imputazione o della veridicità degli episodi di cui trattasi, che potrebbe giustificare la comunicazione delle relative prove. Inoltre, ammettere che tale menzione costituisca una domanda di accesso, anche implicita, equivarrebbe a rimettere in discussione il principio di un accesso in via eccezionale e su richiesta, in quanto la comunicazione spontanea degli elementi del fascicolo è considerata un requisito eccessivo (v., in tal senso, sentenza del 14 ottobre 2009, Bank Melli Iran/Consiglio, T‑390/08, EU:T:2009:401, punto 97).

242    Ne consegue che, nel caso di specie, il Consiglio non era tenuto a comunicare al ricorrente gli elementi di prova pertinenti che non sono stati richiesti da quest’ultimo, cosicché la prima censura deve essere respinta.

243    Riguardo alla seconda censura, si può rilevare che, per quanto attiene alle decisioni degli Stati Uniti, essa si confonde con quella dedotta a sostegno del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, che contesta al Consiglio di non aver verificato se tali decisioni siano state adottate nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva. Poiché quest’ultima censura è stata accolta (v. punto 96 supra), occorre altresì accogliere la presente, in quanto formula lo stesso addebito al Consiglio.

244    Per quanto riguarda le decisioni francesi, non è necessario pronunciarsi sulla censura di cui trattasi, dal momento che si può statuire sul presente ricorso senza tenerne conto (v. punto 188 supra).

245    Quanto alla terza censura sollevata soltanto nella causa T‑148/19, che fa valere la violazione da parte del Consiglio della sentenza del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14, EU:T:2018:788), occorre precisare che, a seguito di un quesito posto dal Tribunale, il ricorrente ha indicato che la sua censura poteva essere interpretata come fondata su una violazione dell’articolo 266 TFUE, circostanza che è stata riportata nel verbale d’udienza. Il Consiglio non ha peraltro contestato tale interpretazione della censura.

246    Orbene, ai sensi dell’articolo 266 TFUE, l’istituzione da cui emana l’atto annullato è tenuta a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza di annullamento comporta. Tale obbligo le si impone sin dalla pronuncia della sentenza di annullamento qualora quest’ultima annulli decisioni – come avviene nel caso di specie, poiché, tra gli atti del 2014 e dal 2015 al 2017 annullati dalla sentenza del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14, EU:T:2018:788), figurano varie decisioni – a differenza delle sentenze che annullano regolamenti, che, in forza dell’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, hanno effetto soltanto a decorrere dalla scadenza del termine di impugnazione o, se è stata proposta impugnazione, a decorrere dal suo rigetto (v., in tal senso, sentenza del 21 febbraio 2018, Klyuyev/Consiglio, T‑731/15, EU:T:2018:90, punti da 259 a 262 e giurisprudenza ivi citata).

247    Più precisamente, in forza dell’articolo 266 TFUE, l’illegittimità accertata nella motivazione di una sentenza di annullamento obbliga l’istituzione da cui emana l’atto ad eliminare tale illegittimità nell’atto destinato a sostituirsi all’atto annullato. Tuttavia, tale obbligo, in quanto riguardi una disposizione di un determinato contenuto in una data materia, può anche comportare altre conseguenze per tale istituzione, tra cui quella di escludere dalle nuove normative che devono intervenire dopo la sentenza di annullamento qualsiasi disposizione che abbia lo stesso contenuto di quella ritenuta illegittima (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 1988, Asteris e a./Commissione, 97/86, 99/86, 193/86 e 215/86, EU:C:1988:199, punti 28 e 29).

248    Pertanto, alla data di adozione delle decisioni del 2019, al fine di rispettare i suoi obblighi ai sensi dell’articolo 266 TFUE, se intendeva mantenere il nome del ricorrente negli elenchi in questione, il Consiglio era tenuto ad adottare un atto di nuova iscrizione conforme alla motivazione della sentenza del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14, EU:T:2018:788). Un siffatto obbligo si imponeva al Consiglio, tenuto conto in particolare degli atti di cui trattasi nel caso di specie, i cui effetti sono limitati ad un periodo di tempo definito che implica che il Consiglio non debba sostituire l’atto annullato per il periodo considerato (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 1988, Asteris e a./Commissione, 97/86, 99/86, 193/86 e 215/86, EU:C:1988:199, punto 29) e che, inoltre, per quanto riguarda il riesame della persistenza di un rischio di coinvolgimento terroristico ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, si caratterizzano spesso per la riproduzione negli atti successivi della motivazione contenuta negli atti precedenti, come eventualmente aggiornata. Infatti, senza tale obbligo, l’annullamento pronunciato dal giudice dell’Unione non impedirebbe la reiterazione negli atti successivi di punti della motivazione viziati da illegittimità (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2017, Bank Tejarat/Consiglio, T‑346/15, non pubblicata, EU:T:2017:164, punto 31) e sarebbe pertanto privato di effetto utile.

249    Orbene, nel caso di specie, il Consiglio ha riprodotto nelle decisioni del 2019 la stessa motivazione che aveva adottato negli atti dal 2015 al 2017 e che era stata censurata dalla sentenza del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14, EU:T:2018:788). È vero che il Consiglio ha impugnato tale sentenza. Tuttavia, tale impugnazione, per quanto riguarda gli effetti dell’annullamento da parte del Tribunale delle decisioni controverse, non era sospensiva e non era accompagnata da una domanda, che il Consiglio era legittimato a presentare, diretta alla sospensione degli effetti della sentenza di annullamento. Un siffatto rifiuto da parte del Consiglio di trarre le conseguenze della cosa giudicata è tale da nuocere alla fiducia che i singoli ripongono nel rispetto delle decisioni giurisdizionali.

250    La violazione da parte del Consiglio dei suoi obblighi ai sensi dell’articolo 266 TFUE non può tuttavia condurre, nel caso di specie, all’annullamento delle decisioni del 2019. Infatti, la sentenza del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14, EU:T:2018:788), è stata annullata dalla sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316), in particolare nella parte in cui essa aveva a sua volta annullato gli atti dal 2015 al 2017. Tenuto conto del carattere retroattivo di tale annullamento da parte della Corte, la legittimità delle decisioni del 2019 non può più essere contestata sulla base di una violazione da parte del Consiglio della sentenza del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14, EU:T:2018:788) (v., in tal senso, ordinanza del 14 aprile 2014, Manufacturing Support & Procurement Kala Naft/Consiglio, T‑263/12, non pubblicata, EU:T:2014:228, punto 37). La terza censura deve, pertanto, essere respinta.

251    Tuttavia, nonostante il rigetto di questa terza censura, resta il fatto che, al momento dell’adozione delle decisioni del 2019 e della proposizione del ricorso nella causa T‑148/19, il Consiglio era tenuto a trarre le conseguenze delle illegittimità constatate con la sentenza del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14, EU:T:2018:788), non riprendendo i punti della motivazione viziati da tali illegittimità nelle esposizioni dei motivi. Il ricorrente ha potuto, pertanto, ritenersi legittimato a proporre il presente ricorso, circostanza di cui si dovrà tener conto in sede di decisione sulle spese.

252    Ne consegue che il presente motivo deve essere accolto unicamente nella parte in cui si contesta al Consiglio di non aver verificato se le decisioni delle autorità degli Stati Uniti siano state adottate nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

7.      Conclusione

253    Da tutto quanto precede risulta, pertanto, che, tenuto conto dell’accoglimento del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 per quanto riguarda gli atti del 2014, questi devono essere annullati.

254    Per contro, il carattere parzialmente fondato dei motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, sulla violazione dell’obbligo di motivazione nonché sulla violazione dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva non può condurre all’annullamento degli atti dal 2015 al 2017 e delle decisioni del 2019. Infatti, le corrispondenti illegittimità, che riguardino le decisioni delle autorità degli Stati Uniti del 1997 e del 2001 o l’episodio dell’agosto 2014 imputato al PKK, non consentono di rimettere in discussione la valutazione del Consiglio relativa alla persistenza di un rischio di coinvolgimento terroristico del PKK, la quale resta validamente fondata sul mantenimento in vigore dell’ordinanza del Ministro dell’Interno del Regno Unito nonché, a seconda del caso, su altri episodi verificatisi nel 2014 o su un fatto risalente al 2017 (v. punti 188 e 202 supra). Occorre, pertanto, respingere anche il capo delle conclusioni sollevato nella causa T‑148/19, diretto a che il Tribunale ingiunga al Consiglio di adottare una misura meno restrittiva dell’iscrizione negli elenchi controversi, senza che sia necessario pronunciarsi sulla ricevibilità di tale capo delle conclusioni.

IV.    Sulle spese

255    Ai sensi dell’articolo 133 del regolamento di procedura, si provvede sulle spese con la sentenza che definisce il giudizio. Ai sensi dell’articolo 219 di detto regolamento, spetta al Tribunale, quando si pronuncia dopo l’annullamento e il rinvio da parte della Corte, provvedere sulle spese relative, da un lato, ai procedimenti instaurati dinanzi ad esso e, dall’altro, al procedimento di impugnazione dinanzi alla Corte. Infine, ai sensi dell’articolo 134, paragrafi 1 e 3, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda e se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate.

256    Nel caso di specie, la Corte, nella sentenza del 22 aprile 2021, Consiglio/PKK (C‑46/19 P, EU:C:2021:316), ha annullato la sentenza del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14, EU:T:2018:788), e ha riservato le spese. Occorre quindi statuire, nella presente sentenza, sulle spese relative al procedimento iniziale dinanzi al Tribunale (causa T‑316/14), al procedimento di impugnazione dinanzi alla Corte (causa C‑46/19 P), al presente procedimento di rinvio (causa T‑316/14 RENV) nonché a quelle relative alla causa T‑148/19.

257    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che il ricorrente può fondatamente chiedere l’annullamento degli atti del 2014, ma che è rimasto soccombente nelle sue conclusioni relative a tutti gli altri atti impugnati.

258    Tuttavia, per quanto riguarda le decisioni del 2019, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 135, paragrafo 2, del regolamento di procedura, il Tribunale può condannare una parte, anche vittoriosa, parzialmente o totalmente alle spese, se ciò appare giustificato a causa del suo comportamento, compreso quello tenuto prima dell’avvio del giudizio, in particolare se essa ha causato all’altra parte spese che il Tribunale riconosce come superflue o defatigatorie. Secondo la giurisprudenza, si deve applicare l’articolo 135, paragrafo 2, del regolamento di procedura quando un’istituzione dell’Unione ha favorito, con il suo comportamento, il sorgere della controversia (v., in tal senso, sentenza del 22 maggio 2019, Ertico – ITS Europe/Commissione, T‑604/15, EU:T:2019:348, punto 182 e giurisprudenza ivi citata). Nel caso di specie, come risulta dal precedente punto 249, l’inosservanza da parte del Consiglio del suo obbligo di trarre le conseguenze delle illegittimità accertate dalla sentenza del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14, EU:T:2018:788), al momento dell’adozione delle decisioni del 2019 ha potuto indurre il ricorrente a proporre il ricorso nella causa T‑148/19.

259    Pertanto, si procederà ad un’equa valutazione dell’insieme delle circostanze condannando il ricorrente e il Consiglio a sopportare le proprie spese relative a ciascuno dei gradi di giudizio menzionati al precedente punto 256.

260    Infine, ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le spese sostenute dagli Stati membri e dalle istituzioni intervenuti nella causa restano a loro carico. Occorre quindi decidere che la Commissione, la Repubblica francese e il Regno dei Paesi Bassi sopporteranno le proprie spese relative ai gradi di giudizio a cui hanno partecipato.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il regolamento di esecuzione (UE) n. 125/2014 del Consiglio, del 10 febbraio 2014, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo e abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 714/2013, e il regolamento di esecuzione (UE) n. 790/2014 del Consiglio, del 22 luglio 2014, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione n. 125/2014, sono annullati nella parte in cui riguardano il Kurdistan Workers’ Party (PKK).

2)      Il ricorso nella causa T316/14 RENV è respinto quanto al resto.

3)      Il ricorso nella causa T148/19 è respinto.

4)      Il PKK e il Consiglio dell’Unione europea sopporteranno ciascuno le proprie spese relative alle cause T316/14, C46/19 P, T316/14 RENV e T148/19.

5)      La Commissione europea, la Repubblica francese e il Regno dei Paesi Bassi sopporteranno ciascuno le proprie spese.

Gervasoni

Madise

Nihoul

Frendo

 

      Martín y Pérez de Nanclares

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 30 novembre 2022.

Firme


Indice


I. Fatti

II. Conclusioni delle parti

III. In diritto

A. Sulla ricevibilità

B. Nel merito

1. Sul motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931

a) Sulla decisione del Regno Unito

1) Sulla qualificazione del Ministro dell’Interno del Regno Unito come «autorità competente»

2) Sulle «informazioni precise o [gli] elementi del fascicolo da cui risulta che un’autorità competente ha preso una decisione»

3) Sulla data degli atti terroristici che hanno fondato la proscrizione del PKK da parte del Ministro dell’Interno del Regno Unito

b) Sulle decisioni degli Stati Uniti

2. Sul motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931

a) Sulla ricevibilità del motivo

b) Sull’operatività del motivo

c) Sulla fondatezza del motivo

1) Sull’argomento secondo cui i fini di cui all’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931 dovrebbero essere interpretati alla luce del legittimo conflitto armato per l’autodeterminazione del popolo curdo

2) Sulla contestazione della natura terroristica degli scopi perseguiti da taluni degli atti attribuiti al ricorrente

3. Sul motivo vertente sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931

a) Sul riesame effettuato dal Consiglio negli atti del 2014 (causa T316/14 RENV)

b) Sul riesame effettuato dal Consiglio negli atti dal 2015 al 2017 (causa T316/14 RENV)

c) Sul riesame effettuato dal Consiglio nell’ambito delle decisioni del 2019 (causa T148/19)

4. Sul motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

5. Sul motivo vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione

6. Sul motivo vertente sulla violazione dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva

7. Conclusione

IV. Sulle spese


*      Lingua processuale: l’inglese.