Language of document : ECLI:EU:C:2006:789

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

14 dicembre 2006 (*)

«Marchio comunitario – Art. 98, n. 1, del regolamento (CE) n. 40/94 – Atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione – Obbligo per un tribunale dei marchi comunitari di emettere un’ordinanza che vieti a terzi la prosecuzione di tali atti – Nozione di “motivi particolari” per non pronunciare un tale divieto – Obbligo per un tribunale dei marchi comunitari di adottare misure idonee a garantire l’osservanza di un tale divieto – Normativa nazionale che prevede un divieto generale di atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione accompagnato da sanzioni penali»

Nel procedimento C-316/05,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dallo Högsta domstolen (Svezia) con decisione 9 agosto 2005, pervenuta in cancelleria il 16 agosto 2005, nella causa tra

Nokia Corp.

e

Joacim Wärdell,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. K. Lenaerts, E. Juhász, K. Schiemann e M. Ilešič (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Nokia Corp., dal sig. H. Wistam, advokat;

–        per il sig. Wärdell, dal sig. B. Stanghed, advokat;

–        per la Repubblica francese, dai sigg. G. de Bergues e J.-C. Niollet, in qualità di agenti;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. W. Wils e K. Simonsson, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 13 luglio 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 98, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento»).

 Contesto normativo

 Normativa comunitaria

2        L’art. 9 del regolamento, intitolato «Diritti conferiti dal marchio comunitario», così dispone:

«1.      Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:

a)      un segno identico al marchio comunitario per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

(…)

2.      Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 1:

a)      l’apposizione del segno sui prodotti o sul loro confezionamento;

(…)

c)      l’importazione o l’esportazione dei prodotti sotto la copertura del segno;

(…)».

3        L’art. 14 del regolamento, intitolato «Applicazione complementare della legislazione nazionale in materia di contraffazione», precisa quanto segue:

«Gli effetti del marchio comunitario sono disciplinati esclusivamente dalle disposizioni del presente regolamento. Inoltre, le contraffazioni di un marchio comunitario sono soggette alle norme nazionali riguardanti le contraffazioni di un marchio nazionale conformemente al disposto del titolo X.

(…)

3.      Le norme di procedura applicabili sono determinate conformemente alle disposizioni del titolo X».

4        Il titolo X del regolamento, intitolato «Competenza e procedura concernenti le azioni giudiziarie relative ai marchi comunitari», comprende gli artt. 90-104.

5        Conformemente agli artt. 91, n. 1, e 92, lett. a), del regolamento, gli Stati membri designano nei rispettivi territori tribunali nazionali di prima e di seconda istanza, denominati «tribunali dei marchi comunitari», a cui è attribuita una competenza esclusiva per tutte le azioni in materia di contraffazione e – qualora siano previste dalla legislazione nazionale – per le azioni relative alla minaccia di contraffazione di marchi comunitari.

6        L’art. 97 del regolamento così prevede:

«1.      I tribunali dei marchi comunitari applicano le disposizioni del presente regolamento.

2.      Per tutte le questioni che non rientrano nel campo di applicazione del presente regolamento il tribunale dei marchi comunitari applica la legge nazionale, compreso il suo diritto internazionale privato.

3.      Se il presente regolamento non dispone altrimenti, il tribunale dei marchi comunitari applica le norme procedurali che disciplinano lo stesso tipo di azioni relative a un marchio nazionale nello Stato membro in cui tale tribunale è situato».

7        L’art. 98 del regolamento dispone quanto segue:

«1.      Quando un tribunale dei marchi comunitari accerta che il convenuto ha contraffatto un marchio comunitario o commesso atti che costituiscono minaccia di contraffazione, emette un’ordinanza vietandogli, a meno che esistano motivi particolari che sconsiglino una siffatta decisione, di continuare gli atti di contraffazione o che costituiscono minaccia di contraffazione. Prende anche, in conformità della legge nazionale, le misure dirette ad assicurare l’osservanza del divieto.

2.      Negli altri casi, il tribunale dei marchi comunitari applica la legge dello Stato membro in cui sono stati commessi gli atti di contraffazione o che costituiscono minaccia di contraffazione, compreso il suo diritto internazionale privato».

 Normativa svedese

8        Ai sensi dell’art. 4 della legge (1960:644) in materia di marchi (varumärkeslagen; in prosieguo: la «legge in materia di marchi»), il diritto di apporre un segno distintivo sulle merci implica che nessun altro oltre al titolare del segno può impiegare in attività commerciali un segno idoneo a creare confusione per contraddistinguere i suoi prodotti, indipendentemente dal fatto che tali prodotti siano forniti o destinati ad essere forniti nel paese o all’estero o che siano ivi importati.

9        L’art. 37 della legge in materia di marchi prevede pene che possono essere inflitte in caso di contraffazione, dovuta a dolo o colpa grave.

10      L’art. 37 a della legge in materia di marchi prevede che un giudice, su domanda del titolare del marchio, possa vietare, pena un’ammenda, al contraffattore la prosecuzione degli atti di contraffazione. Il giudice del rinvio ha osservato che tale disposizione è facoltativa.

11      L’art. 66 della legge in materia di marchi prevede, da una parte, che l’art. 37 di questa legge dev’essere applicato in caso di contraffazione di un marchio comunitario. Esso precisa, d’altra parte, che l’art. 37 a si applica laddove il regolamento non preveda altrimenti.

 Controversia principale e questioni pregiudiziali

12      La Nokia Corp. (in prosieguo: la «Nokia») è titolare del marchio denominativo Nokia, registrato contemporaneamente come marchio nazionale svedese e come marchio comunitario, in particolare, per i prodotti «telefoni cellulari e loro accessori».

13      Nel 2002, il sig. Wärdell ha importato dalle Filippine dei «flash stickers». Si tratta di adesivi destinati ad essere applicati su telefoni cellulari e contenenti un diodo elettroluminescente che lampeggia quando il telefono suona.

14      In occasione dei controlli doganali, è stato scoperto che parte di tali «flash stickers» recavano il marchio Nokia, apposto sul prodotto medesimo o sulla sua confezione. Il sig. Wärdell ha sostenuto che si trattava di un errore di fornitura commesso, a sua insaputa, dal fornitore.

15      Facendo valere che il sig. Wärdell si era reso colpevole di contraffazione, la Nokia lo ha citato dinanzi allo Stockholms tinsrätt (Tribunale di primo grado di Stoccolma) affinché, a pena di ammenda, vietasse al convenuto di utilizzare in un’attività commerciale segni idonei a creare confusione con il marchio svedese e con il marchio comunitario Nokia.

16      Il tingsrätt ha affermato che la contraffazione era provata. Poiché il sig. Wärdell aveva dichiarato che egli aveva l’intenzione di importare altri «flash stickers», tale giudice ha ritenuto che esistesse un rischio che il convenuto commettesse un nuovo atto di contraffazione, ed ha pertanto disposto nei suoi confronti un’interdizione a pena dell’ammenda sollecitata.

17      Su appello del sig. Wärdell, lo Svea hovrätt (Corte d’appello per la regione «svedese») ha affermato che quest’ultimo aveva commesso un atto di contraffazione e anche che vi era un rischio che quest’ultimo potesse in futuro rendersi colpevole dei medesimi atti nei confronti dei marchi detenuti dalla Nokia. Tuttavia, constatando che il sig. Wärdell non aveva precedentemente commesso atti di contraffazione e che poteva essere accusato solo di negligenza, tale giudice ha considerato che non si potesse disporre un’interdizione nei suoi confronti a pena di ammenda.

18      La Nokia ha proposto ricorso dinanzi allo Högsta domstolen (Corte di cassazione). Essa fa valere che il fatto che il sig. Wärdell abbia oggettivamente violato il suo diritto di marchio è di per sé sufficiente per pronunciare l’interdizione a pena di ammenda.

19      In tali circostanze, lo Högsta domstolen ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la condizione relativa ai “motivi particolari” di cui all’art. 98, n. 1, prima frase, del regolamento (CE) (…) n. 40/94, (…) debba essere interpretata nel senso che un tribunale che accerta che il convenuto ha commesso atti di contraffazione del marchio comunitario può, a prescindere dalle altre circostanze, astenersi dall’interdire specificamente la reiterazione di tali atti qualora giudichi il rischio di successive contraffazioni non evidente o, in qualche modo, solo limitato.

2)      Se la condizione relativa ai “motivi particolari” di cui all’art. 98, n. 1, del regolamento sul marchio comunitario debba essere interpretata nel senso che un tribunale che accerta che il convenuto ha commesso atti di contraffazione del marchio comunitario può, anche se non sussiste un motivo per astenersi dall’interdire ulteriori atti di contraffazione come quello previsto nella prima questione, astenersi dal pronunciare tale interdizione in quanto risulta evidente che la reiterazione di tali atti rientra in un divieto generale di contraffazione previsto dalla normativa nazionale e che il convenuto può essere colpito da una sanzione penale qualora commetta ulteriori atti di contraffazione con dolo o colpa grave.

3)      In caso di soluzione negativa della seconda questione, se occorra adottare misure particolari, associando ad esempio l’interdizione di un’ammenda, per garantire il rispetto di tale interdizione, malgrado risulti evidente che la reiterazione degli atti di contraffazione rientra in un divieto generale di contraffazione previsto dalla normativa nazionale e che il convenuto può essere colpito da una sanzione penale qualora commetta ulteriori atti di contraffazione con dolo o colpa grave.

4)      Se, in caso di soluzione affermativa della terza questione, ciò valga anche qualora le condizioni per adottare tali misure particolari in presenza di un’analoga contraffazione del marchio nazionale non sembrino essere soddisfatte».

 Sulla prima questione

20      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se l’art. 98, n. 1, del regolamento debba essere interpretato nel senso che il semplice fatto che il rischio che gli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario proseguano non sia evidente o sia, in qualche modo, limitato costituisce un motivo particolare perché un tribunale dei marchi comunitari non emetta un’ordinanza che vieti al convenuto la prosecuzione di tali atti.

21      Dall’imperativo tanto dell’applicazione uniforme del diritto comunitario quanto del principio di uguaglianza discende che i termini di una disposizione di diritto comunitario che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata devono di norma essere oggetto nell’intera Comunità di un’interpretazione autonoma e uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione e della finalità perseguita dalla normativa di cui trattasi (v., in particolare, sentenze 18 gennaio 1984, causa 327/82, Ekro, Racc. pag. 107, punto 11; 19 settembre 2000, causa C‑287/98, Linster, Racc. pag. I‑6917, punto 43, e 17 marzo 2005, causa C‑170/03, Feron, Racc. pag. I‑2299, punto 26).

22      Ciò avviene per quanto riguarda i termini «motivi particolari» che figurano all’art. 98, n. 1, prima frase, del regolamento.

23      È vero che l’art. 14, n. 1, del regolamento dispone che «le contraffazioni di un marchio comunitario sono soggette alle norme nazionali riguardanti le contraffazioni di un marchio nazionale conformemente al disposto del titolo X».

24      Tuttavia, da una parte, tale rinvio ai diritti nazionali degli Stati membri non esclude la determinazione, da parte del legislatore comunitario, di talune regole che disciplinano uniformemente la questione delle contraffazioni dei marchi comunitari, come indicato dalla precisazione «conformemente al disposto del titolo X».

25      D’altra parte, come risulta dal suo secondo ‘considerando’, il regime comunitario dei marchi introdotto dal regolamento è segnatamente diretto a conferire alle imprese «il diritto di acquisire (…) marchi comunitari che godano di una protezione uniforme e producano i loro effetti in tutto il territorio della Comunità».

26      Ai fini della tutela del marchio comunitario è essenziale far rispettare il divieto di contraffazione dei detti marchi.

27      Orbene, se la nozione di «motivi particolari» dovesse essere interpretata diversamente nei vari Stati membri, le stesse circostanze potrebbero dar luogo ad un divieto di prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione in taluni Stati e non in altri. Di conseguenza, la tutela garantita ai marchi comunitari non sarebbe uniforme su tutto il territorio della Comunità.

28      La nozione di «motivi particolari» dev’essere interpretata uniformemente nell’ordinamento giuridico comunitario.

29      A tale riguardo va constatato, in primo luogo, che, nelle diverse versioni linguistiche, l’art. 98, n. 1, prima frase, del regolamento è redatto in termini imperativi (v., in particolare, in spagnolo: «dictará providencia para prohibirle», in tedesco: «verbietet», in inglese, «shall (…) issue an order prohibiting», in francese: «rend (…) une ordonnance lui interdisant», in italiano: «emette un’ordinanza vietandogli», e in olandese: «verbiedt»).

30      Ne consegue che, in linea di principio, il tribunale dei marchi comunitari deve emettere un’ordinanza che vieti la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione e, pertanto, che la nozione di «motivi particolari che sconsiglino una siffatta decisione» – che, come emerge chiaramente dalla lettera della stessa disposizione, costituisce una deroga a questo obbligo (v., in particolare, in spagnolo: «[n]o habiendo», in tedesco: «sofern (…) nicht (...) entgegenstehen», in inglese: «unless there are», in francese: «sauf s’il y a», in italiano: «a meno que esistano», e in olandese: «tenzij er (…) zijn») – dev’essere interpretata restrittivamente.

31      In secondo luogo, l’art. 98, n. 1, del regolamento costituisce una disposizione essenziale per raggiungere l’obiettivo, perseguito dal regolamento, di una tutela dei marchi comunitari nella Comunità. 

32      Orbene, come ha sottolineato l’avvocato generale al paragrafo 24 delle sue conclusioni, se la pronuncia di un divieto di prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario fosse subordinata all’esistenza di un rischio evidente o non limitato di ripetizione di tali atti, il richiedente sarebbe probabilmente tenuto a fornire la prova di tale rischio. Una prova di tale tipo relativa alle azioni potenziali del convenuto in futuro sarebbe difficile da fornire da parte del richiedente e rischierebbe di privare d’effetto il diritto esclusivo che gli conferisce il suo marchio comunitario.

33      In terzo luogo, come è stato osservato al punto 25 della presente sentenza, la tutela dei marchi comunitari dev’essere uniforme su tutto il territorio della Comunità.

34      Orbene, un’interpretazione secondo cui la pronuncia di un divieto di prosecuzione di atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario sarebbe subordinata all’esistenza di un rischio evidente o non limitato di reiterazione di tali atti da parte del convenuto, avrebbe la conseguenza che la portata della tutela di tale marchio varierebbe da un giudice all’altro, o addirittura da un procedimento all’altro, a seconda della valutazione che verrebbe fatta di tale rischio.

35      Le considerazioni che precedono non ostano evidentemente a che un tribunale dei marchi comunitari non pronunci un tale divieto quando constata che la prosecuzione da parte del convenuto di atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione è ormai impossibile. Ciò accadrebbe in particolare se, successivamente alla commissione dei detti atti, venisse presentata una domanda nei confronti del titolare del marchio contraffatto e tale domanda comportasse la decadenza dai suoi diritti.

36      Occorre dunque risolvere la prima questione affermando che l’art. 98, n. 1, del regolamento dev’essere interpretato nel senso che il fatto che il rischio che gli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario proseguano non sia evidente o sia, in qualche modo, limitato non costituisce di per sé un motivo particolare perché un tribunale dei marchi comunitari non emetta un’ordinanza che vieti al convenuto la prosecuzione di tali atti.

 Sulla seconda questione

37      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede se l’art. 98, n. 1, del regolamento debba essere interpretato nel senso che la circostanza che la legge nazionale comporti un divieto generale di contraffazione dei marchi comunitari e preveda la possibilità di sanzionare penalmente la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione, dovuta a dolo o colpa grave, costituisce un motivo particolare perché un tribunale dei marchi comunitari non emetta un’ordinanza che vieti al convenuto la prosecuzione di tali atti.

38      In primo luogo, come risulta dalla scelta dei termini impiegati dal legislatore comunitario nella prima frase dell’art. 98, n. 1, del regolamento (v., in particolare, in spagnolo: «razones especiales», in tedesco: «besondere Gründe», in inglese: «special reasons», in francese: «raisons particulières», in italiano: «motivi particolari», e in olandese: «speciale redenen»), la nozione di «motivi particolari» si riferisce a circostanze di fatto specifiche di una determinata fattispecie.

39      Orbene, la circostanza che la normativa di uno Stato membro preveda un divieto generale di contraffazione nonché la possibilità di sanzionare penalmente la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione non può essere considerata specifica di tutti i ricorsi per contraffazione o minaccia di contraffazione presentati ai tribunali dei marchi comunitari di tale Stato.

40      Inoltre, in virtù degli artt. 44, n. 1, e 61 dell’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (Accordo ADPIC – in lingua inglese: «TRIPs» –), che figura all’allegato 1 C dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (accordo OMC), approvato a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, con decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE (GU L 336, pag. 1), tutti gli Stati membri sono tenuti a prevedere sanzioni civili e penali, compreso il divieto, per le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale. L’esistenza di sanzioni di tale tipo nel diritto nazionale non può, a maggior ragione, costituire un motivo particolare ai sensi dell’art. 98, n. 1, prima frase, del regolamento.

41      In secondo luogo, se la circostanza che la legislazione di uno Stato membro prevede un divieto generale di contraffazione nonché la possibilità di sanzionare penalmente la prosecuzione di atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione dovesse essere considerata un motivo particolare, ai sensi dell’art. 98, n. 1, prima frase, del regolamento, l’applicazione del principio, enunciato in tale disposizione, secondo cui i tribunali dei marchi comunitari devono, salvo eccezioni, emettere un’ordinanza che vieti la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione, dipenderebbe dal contenuto del diritto nazionale applicabile.

42      Infatti, i tribunali dei marchi comunitari di uno Stato membro la cui normativa nazionale prevede un divieto generale di contraffazione nonché la possibilità di sanzionare penalmente la prosecuzione di tali atti sarebbero quindi sistematicamente dispensati dall’emettere un’ordinanza che vieti al convenuto la prosecuzione degli atti incriminati, senza nemmeno tener conto delle specificità di fatto di ogni caso, e, pertanto, l’art. 98, n. 1, del regolamento verrebbe privato di qualsiasi effetto sul territorio di tale Stato.

43      Una tale conseguenza sarebbe incompatibile sia con il principio della preminenza del diritto comunitario sia con il requisito della sua applicazione uniforme.

44      Infine, come rilevano la Nokia e il governo francese, nonché l’avvocato generale ai paragrafi 33 e 34 delle sue conclusioni, l’esistenza, nel diritto nazionale applicabile, di un divieto generale di atti di contraffazione e l’eventualità di una sanzione penale in caso di prosecuzione di tali atti non hanno il medesimo effetto dissuasivo di un divieto specifico al convenuto di prosecuzione di tali atti, corredato da misure idonee a garantire il rispetto, già pronunciato da una decisione giurisdizionale esecutiva. Pertanto, il diritto del titolare del marchio contraffatto non può essere tutelato in modo paragonabile in assenza di un tale divieto specifico.

45      Occorre dunque risolvere la seconda questione affermando che l’art. 98, n. 1, del regolamento dev’essere interpretato nel senso che la circostanza che la legge nazionale comporti un divieto generale di contraffazione dei marchi comunitari e preveda la possibilità di sanzionare penalmente la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione, dovuta a dolo o colpa grave, non costituisce un motivo particolare perché un tribunale dei marchi comunitari non emetta un’ordinanza che vieti al convenuto la prosecuzione di tali atti.

 Sulla terza questione

46      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede se l’art. 98, n. 1, del regolamento debba essere interpretato nel senso che un tribunale dei marchi comunitari che abbia emesso un’ordinanza che vieti al convenuto la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario è tenuto ad adottare, conformemente alla legge nazionale, le misure idonee a garantire l’osservanza di tale divieto, anche se tale legge comporta un divieto generale di contraffazione dei marchi comunitari e prevede la possibilità di sanzionare penalmente la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione, dovuta a dolo o a colpa grave.

47      A tal riguardo occorre sottolineare, da una parte, che la seconda frase dell’art. 98, n. 1, del regolamento è redatta in termini imperativi (v., in particolare, in spagnolo: «adoptará las medidas», in tedesco: «trifft (…) die (…) Maßnahmen», in inglese: «shall (…) take (…) measures», in francese: «prend (…) les mesures», in italiano: «[p]rende le misure», e in olandese: «treft (…) maatregelen»).

48      D’altra parte, contrariamente a quanto accade per l’obbligo di emettere un’ordinanza che vieti la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione – previsto alla prima frase dell’art. 98, n. 1, del regolamento –, che è corredato da una deroga in caso di «motivi particolari», per l’obbligo di accompagnare tale divieto con misure idonee ad assicurarne l’osservanza, previsto alla seconda frase della medesima disposizione, non è prevista alcuna eccezione.

49      Ne consegue che, poiché il tribunale dei marchi comunitari di uno Stato membro ha emesso un’ordinanza che vieta la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione, esso ha l’obbligo di adottare, tra le misure previste nella legislazione di tale Stato membro, quelle che sono idonee a garantire l’osservanza di tale divieto.

50      Un’interpretazione di questo tipo è inoltre conforme allo scopo perseguito dall’art. 98, n. 1, del regolamento, che è quello di proteggere il diritto conferito dal marchio comunitario

51      Come emerge dalla soluzione della seconda questione, la circostanza che la normativa nazionale applicabile comporti un divieto generale di contraffazione dei marchi comunitari e preveda la possibilità di sanzionare penalmente la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione, dovuta a dolo o colpa grave, non esime un tribunale dei marchi comunitari dall’emettere un’ordinanza che vieti al convenuto di proseguire tali atti.

52      Di conseguenza, questa medesima circostanza non lo esime a maggior ragione dall’adottare, conformemente al diritto nazionale, le misure idonee a garantire l’osservanza di tale divieto.

53      Occorre dunque risolvere la terza questione affermando che l’art. 98, n. 1, del regolamento dev’essere interpretato nel senso che un tribunale dei marchi comunitari che abbia emesso un’ordinanza che vieti al convenuto la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario ha l’obbligo di adottare, conformemente alla legge nazionale, le misure idonee a garantire il rispetto di tale divieto, anche se tale legge comporta un divieto generale di contraffazione dei marchi comunitari e prevede la possibilità di sanzionare penalmente la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione, dovuta a dolo o colpa grave.

 Sulla quarta questione

54      Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’art. 98, n. 1, del regolamento debba essere interpretato nel senso che un tribunale dei marchi comunitari che abbia emesso un’ordinanza che vieti al convenuto la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario è tenuto ad adottare, conformemente alla legge nazionale, le misure idonee a garantire l’osservanza di tale divieto, quando tali misure non potrebbero, in virtù di tale legge, essere adottate in caso di contraffazione analoga di un marchio nazionale.

55      Dalle soluzioni alla seconda e alla terza questione emerge che il legislatore comunitario ha introdotto l’obbligo, per i tribunali dei marchi comunitari, da una parte, di vietare, salvo motivi particolari, la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario e, dall’altra, di adottare misure idonee a garantire l’osservanza di tale divieto.

56      Ai termini dell’art. 14, n. 1, del regolamento, «le contraffazioni di un marchio comunitario sono soggette alle norme nazionali riguardanti le contraffazioni di un marchio nazionale conformemente al disposto del titolo X [del regolamento]».

57      È così che la natura delle misure previste dall’art. 98, n. 1, seconda frase, del regolamento è determinata dalla legge nazionale dello Stato membro del tribunale dei marchi comunitari a cui è stato presentato il ricorso, come emerge dal rinvio espresso a tale legge operato dalla detta disposizione. A tale riguardo, come ha sottolineato l’avvocato generale al paragrafo 42 delle sue conclusioni, spetta agli Stati membri prevedere nel loro diritto nazionale misure efficaci per prevenire la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario.

58      Invece, introducendo un obbligo assoluto, a carico dei tribunali dei marchi comunitari, di adottare tali misure quando emettono un’ordinanza che vieti la prosecuzione di atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione, il legislatore comunitario ha escluso che il diritto nazionale di uno Stato membro subordini la pronuncia delle dette misure al rispetto di condizioni supplementari.

59      Di conseguenza, occorre interpretare l’art. 98, n. 1, seconda frase, del regolamento nel senso che esso non rinvia alla legge nazionale per quanto riguarda le condizioni di attuazione delle misure previste nella detta legge che sono idonee a garantire l’osservanza del divieto di prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario, ma esige che tali misure siano pronunciate non appena sia stata emessa un’ordinanza di divieto di prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione. Ne consegue, in particolare, che i tribunali dei marchi comunitari sono tenuti ad adottare tali misure senza tenere in considerazione le condizioni richieste per la loro attuazione dalla legge nazionale applicabile.

60      Se ciò non accadesse, l’obiettivo di cui all’art. 98, n. 1, del regolamento, che è quello di tutelare in modo uniforme su tutto il territorio della Comunità il diritto conferito dal marchio comunitario contro il rischio di contraffazione, non sarebbe raggiunto. Infatti, un divieto di prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione non accompagnato da misure idonee a garantirne l’osservanza sarebbe, in larga misura, privo di effetto dissuasivo.

61      A maggior ragione è dunque indifferente che, in circostanze di fatto equivalenti, la legge nazionale non consenta ai giudici nazionali di accompagnare tali misure con un divieto di proseguire atti di contraffazione di un marchio nazionale. Occorre ricordare, a tal proposito, che la prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), ha certamente armonizzato il contenuto dei diritti conferiti dai marchi nazionali, ma non le azioni in giudizio destinate a far osservare tali diritti dai terzi.

62      Occorre dunque risolvere la quarta questione affermando che l’art. 98, n. 1, del regolamento dev’essere interpretato nel senso che un tribunale dei marchi comunitari che abbia emesso un’ordinanza che vieti al convenuto la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario ha l’obbligo di adottare, tra le misure previste dalla legge nazionale, quelle idonee a garantire l’osservanza di tale divieto anche se, in virtù di tale legge, queste misure non potrebbero essere adottate in caso di contraffazione analoga di un marchio nazionale.

 Sulle spese

63      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)       L’art. 98, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario, dev’essere interpretato nel senso che il fatto che il rischio che gli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario proseguano non sia evidente o sia, in qualche modo, limitato non costituisce di per sé un motivo particolare perché un tribunale dei marchi comunitari non emetta un’ordinanza che vieti al convenuto la prosecuzione di tali atti.

2)      L’art. 98, n. 1, del regolamento n. 40/94 dev’essere interpretato nel senso che la circostanza che la legge nazionale comporti un divieto generale di contraffazione dei marchi comunitari e preveda la possibilità di sanzionare penalmente la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione, dovuta a dolo o colpa grave, non costituisce un motivo particolare perché un tribunale dei marchi comunitari non emetta un’ordinanza che vieti al convenuto la prosecuzione di tali atti.

3)      L’art. 98, n. 1, del regolamento n. 40/94 dev’essere interpretato nel senso che un tribunale dei marchi comunitari che abbia emesso un’ordinanza che vieti al convenuto la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario ha l’obbligo di adottare, conformemente alla legge nazionale, le misure idonee a garantire il rispetto di tale divieto, anche se tale legge comporta un divieto generale di contraffazione dei marchi comunitari e prevede la possibilità di sanzionare penalmente la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione, dovuta a dolo o colpa grave.

4)      L’art. 98, n. 1, del regolamento n. 40/94 dev’essere interpretato nel senso che un tribunale dei marchi comunitari che abbia emesso un’ordinanza che vieti al convenuto la prosecuzione degli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione di un marchio comunitario ha l’obbligo di adottare, tra le misure previste dalla legge nazionale, quelle idonee a garantire l’osservanza di tale divieto anche se, in virtù di tale legge, queste misure non potrebbero essere adottate in caso di contraffazione analoga di un marchio nazionale.

Firme


* Lingua processuale: lo svedese.