Language of document : ECLI:EU:T:2023:782

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

6 dicembre 2023 (*)

[Testo rettificato con ordinanza del 1º febbraio 2024]

«Marchio dell’Unione europea – Procedimento di dichiarazione di nullità – Marchio dell’Unione europea figurativo agricolavinica. Le Colline di Ripa – Marchio dell’Unione europea denominativo anteriore VENICA – Motivo di nullità relativa – Assenza di rischio di confusione – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), e articolo 60, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) 2017/1001»

Nella causa T‑627/22,

Vi.ni.ca. Srl - soc. agr., con sede in Ripalimosani (Italia), rappresentata da S. Di Pardo, avvocato,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da R. Raponi, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO:

Venica & Venica di Gianni e Giorgio Venica Ss soc. agr., con sede in Dolegna del Collio (Italia),

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione),

composto da M.J. Costeira (relatrice), presidente, U. Öberg e P. Zilgalvis, giudici,

cancelliere: R. Ūkelytė, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento,

in seguito all’udienza del 14 settembre 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso fondato sull’articolo 263 TFUE, la Vi.ni.ca. Srl - soc. agr., ricorrente, chiede, in sostanza, di annullare o riformare la decisione della quarta commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) dell’11 luglio 2022 (procedimento R 90/2022-4) (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

I.      Fatti

2        Il 19 novembre 2020 la Venica & Venica di Gianni e Giorgio Venica Ss soc. agr., controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO, ha presentato all’EUIPO una domanda di dichiarazione di nullità del marchio dell’Unione europea che era stato registrato a seguito di una domanda depositata il 13 febbraio 2020 per il seguente segno figurativo:

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3        I prodotti contrassegnati dal marchio contestato per i quali veniva chiesta la dichiarazione di nullità rientravano nella classe 33 ai sensi dell’Accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come rivisto e modificato, e corrispondevano alla seguente descrizione: «Vino; vini con denominazione d’origine protetta; vini con indicazione geografica protetta; vini da dessert; vini da tavola; vini rosati; vino bianco; vino rosso».

4        La domanda di dichiarazione di nullità era basata sul marchio dell’Unione europea denominativo anteriore VENICA, registrato il 13 giugno 2003 con il n. 2564086 per, inter alia, i prodotti della classe 33 corrispondenti alla seguente descrizione: «Bevande alcoliche (tranne le birre)».

5        Il motivo invocato a sostegno della domanda di dichiarazione di nullità era quello di cui all’articolo 60, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1), in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento.

6        Il 18 novembre 2021 la divisione di annullamento ha accolto la domanda di dichiarazione di nullità.

7        Il 14 gennaio 2022 la ricorrente ha presentato ricorso all’EUIPO avverso la decisione della divisione di annullamento.

8        Con la decisione impugnata la commissione di ricorso ha respinto il ricorso. Essa ha anzitutto considerato che il territorio rilevante fosse quello dell’Unione europea e che il pubblico di riferimento fosse composto dal grande pubblico, il cui grado di attenzione era medio. Essa ha concentrato la sua analisi sulla parte di tale pubblico che parla la lingua italiana. Essa ha poi rilevato che i prodotti di cui trattasi erano identici. Successivamente, la commissione di ricorso ha constatato che l’elemento «agricolavinica» era l’elemento dominante del segno contestato e che l’elemento «vinica» ne era l’elemento maggiormente distintivo. In seguito essa ha ritenuto che i segni in conflitto presentassero una somiglianza visiva e fonetica «inferiore alla media» e che non potesse essere effettuato alcun confronto sotto il profilo concettuale, cosicché essi dovevano essere considerati nel complesso diversi. Infine, la stessa ha concluso che sussisteva un rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001.

II.    Conclusioni delle parti

9        La ricorrente chiede, in sostanza, che il Tribunale voglia:

–        annullare o «comunque» riformare la decisione impugnata;

–        condannare l’EUIPO alle spese.

10      In udienza, in risposta a un quesito del Tribunale, la ricorrente ha precisato che il suo primo capo delle conclusioni doveva essere interpretato come diretto ad annullare la decisione impugnata e, in subordine, a riformare detta decisione.

11      L’EUIPO chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese sostenute in caso di convocazione a un’udienza.

III. In diritto

A.      Sulla domanda di annullamento della decisione impugnata

12      A sostegno del suo ricorso la ricorrente deduce un motivo unico, vertente, in sostanza, sulla violazione dell’articolo 60, paragrafo 1, lettera a), in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001. Essa contesta le conclusioni della commissione di ricorso relative, sotto un primo profilo, alla definizione e al livello di attenzione del pubblico di riferimento; sotto un secondo profilo, all’elemento distintivo del segno contestato; sotto un terzo profilo, al grado di somiglianza tra i segni in conflitto sul piano visivo e fonetico; e, sotto un quarto profilo, alla valutazione globale del rischio di confusione.

13      Ai sensi dell’articolo 60, paragrafo 1, lettera a), in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, il marchio dell’Unione europea è dichiarato nullo, su domanda del titolare di un marchio anteriore, se, a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

14      Secondo una giurisprudenza costante, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico creda che i prodotti o i servizi di cui trattasi provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate. Secondo questa stessa giurisprudenza il rischio di confusione dev’essere valutato globalmente, in base alla percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi e tenendo conto di tutti i fattori rilevanti del caso di specie, in particolare dell’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o dei servizi designati [v. sentenza del 9 luglio 2003, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑162/01, EU:T:2003:199, punti da 30 a 33 e giurisprudenza ivi citata].

15      Ai fini dell’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, un rischio di confusione presuppone sia un’identità o una somiglianza tra i marchi in conflitto sia un’identità o una somiglianza tra i prodotti o servizi che essi designano. Si tratta di condizioni cumulative [v. sentenza del 22 gennaio 2009, Commercy/UAMI – easyGroup IP Licensing (easyHotel), T‑316/07, EU:T:2009:14, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

16      È alla luce dei principi summenzionati che occorre valutare se la commissione di ricorso abbia correttamente ritenuto che sussistesse, nel caso di specie, un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001.

1.      Sul pubblico di riferimento

17      La ricorrente fa valere, in sostanza, che la commissione di ricorso avrebbe erroneamente ritenuto che i prodotti designati dal marchio anteriore e quelli designati dal marchio contestato si rivolgessero al medesimo pubblico. A suo avviso i primi, corrispondenti a vini non biologici, sarebbero destinati al consumatore medio il cui livello di attenzione è medio mentre i secondi, i vini biologici, si rivolgerebbero a un pubblico di nicchia avveduto. La ricorrente afferma che la natura biologica del vino sarebbe una caratteristica inerente al prodotto e non alla sua modalità di commercializzazione. Pertanto, il consumatore di vino biologico sarebbe differente dal consumatore di vino non biologico, indipendentemente dalla strategia commerciale adottata dall’impresa.

18      L’EUIPO osserva che, poiché l’elenco dei prodotti designati dal marchio contestato non contiene alcun riferimento ai vini ottenuti da uve biologiche, gli argomenti della ricorrente a tal riguardo sarebbero irrilevanti. In ogni caso, esso fa valere che il vino biologico è venduto negli stessi punti vendita, sugli stessi scaffali e, spesso, accanto al vino non biologico. Inoltre, il pubblico di riferimento cui si rivolgono i prodotti designati dal marchio anteriore e quelli contrassegnati dal marchio contestato sarebbe lo stesso e il livello di attenzione di quest’ultimo sarebbe identico in relazione a tutti i prodotti in conflitto.

19      Secondo la giurisprudenza, nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione occorre prendere in considerazione il consumatore medio della categoria di prodotti interessata, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Occorre anche tener conto del fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi di cui trattasi [v. sentenza del 13 febbraio 2007, Mundipharma/UAMI – Altana Pharma (RESPICUR), T‑256/04, EU:T:2007:46, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

20      Nel caso di specie, in primo luogo, al punto 27 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha precisato che il territorio rilevante era quello dell’Unione nel suo complesso, posto che il marchio anteriore è un marchio dell’Unione europea, e che occorreva valutare l’esistenza di un rischio di confusione in base alla percezione del pubblico di lingua italiana.

21      Non occorre rimettere in discussione tale valutazione della commissione di ricorso, del resto non contestata dalle parti.

22      In secondo luogo, la commissione di ricorso ha considerato, ai punti da 28 a 30 della decisione impugnata, che i prodotti di cui trattasi, vale a dire vini e bevande alcoliche (tranne le birre) in generale, si rivolgevano al grande pubblico, che si presume normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Essa ha ritenuto che, sebbene taluni vini o bevande alcoliche potessero essere alquanto costosi o, al contrario, potessero essere venduti a un prezzo relativamente basso, la valutazione del rischio di confusione nel caso di specie si baserebbe unicamente sulla percezione del consumatore medio che acquisti vino di media qualità e che mostri un livello di attenzione medio. La commissione di ricorso ha aggiunto, in sostanza, che la ricorrente non poteva validamente sostenere che tutto il pubblico presti un livello di attenzione superiore alla media, a motivo della provenienza biologica e locale degli uvaggi, dal momento che la ricorrente non aveva fornito elementi di fatto e prove per corroborare tale affermazione, e che la classificazione come vini biologici dei prodotti contrassegnati dal marchio contestato non era sufficiente a dimostrare che l’attenzione del pubblico di riferimento fosse più elevata.

23      La commissione di ricorso ha considerato, al punto 67 della decisione impugnata, che, in ogni caso, l’argomento della ricorrente relativo alla classificazione del suo vino come biologico non era rilevante, dato che tale classificazione rientrava nella sua strategia commerciale. Essa ha precisato che, secondo la giurisprudenza, l’analisi del rischio di confusione non può dipendere dalle intenzioni commerciali, realizzate o meno, e per loro natura soggettive, dei titolari dei marchi. Inoltre, a suo avviso, l’EUIPO poteva soltanto prendere in considerazione l’elenco dei prodotti richiesti quale risultava dalla domanda.

24      Occorre rilevare che, in primo luogo, i vini e le bevande alcoliche rientranti nella classe 33 sono prodotti destinati in generale al grande pubblico dell’Unione, poiché sono normalmente oggetto di una distribuzione generalizzata, che va dal reparto alimentari dei grandi magazzini ai ristoranti e ai bar, e si tratta di prodotti di consumo corrente per i quali il pubblico di riferimento è il consumatore medio dei prodotti di largo consumo. In secondo luogo, i consumatori di alcol fanno parte del grande pubblico che si presume normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto e che dimostra in generale un livello di attenzione medio [v. sentenza del 13 ottobre 2017, Sensi Vigne & Vini/EUIPO – El Grifo (CONTADO DEL GRIFO), T‑434/16, non pubblicata, EU:T:2017:721, punto 29 e giurisprudenza ivi citata]. Di conseguenza, occorre constatare che, nel caso di specie, il pubblico di riferimento è costituito dal grande pubblico dell’Unione il cui livello di attenzione è medio.

25      A tale riguardo, per quanto concerne l’argomento della ricorrente secondo cui i prodotti designati dal marchio anteriore non si rivolgerebbero allo stesso pubblico di quelli contrassegnati dal marchio contestato, essendo questi ultimi di natura biologica, esso deve essere respinto in quanto, secondo la giurisprudenza, nell’ambito di un procedimento di dichiarazione di nullità fondato sull’articolo 60, paragrafo 1, lettera a), del regolamento 2017/1001, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento, come quello del caso di specie, l’EUIPO può unicamente considerare l’elenco di prodotti richiesti quale risulta dalla domanda di marchio di cui trattasi, fatte salve eventuali modifiche di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza del 13 ottobre 2017, CONTADO DEL GRIFO, T‑434/16, non pubblicata, EU:T:2017:721, punto 90 e giurisprudenza ivi citata). Orbene, nel caso di specie, la ricorrente non ha registrato il marchio contestato per i vini biologici. Di conseguenza, l’EUIPO non doveva prendere in considerazione i vini biologici.

26      Pertanto, occorre constatare che la commissione di ricorso non ha commesso errori nel concludere che il pubblico di riferimento era costituito dal grande pubblico dell’Unione il cui livello di attenzione era medio e nel fondare la sua analisi sulla parte di tale pubblico di lingua italiana.

27      Di conseguenza, anche il Tribunale limiterà la sua analisi alla percezione della parte del pubblico di riferimento di lingua italiana.

2.      Sul confronto dei prodotti di cui trattasi

28      Ai fini della valutazione della somiglianza tra i prodotti o i servizi di cui trattasi, occorre tener conto di tutti i fattori rilevanti che caratterizzano il rapporto tra tali prodotti e servizi. Detti fattori includono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, il loro impiego nonché la loro concorrenzialità o complementarità. Anche altri fattori possono essere esaminati, come i canali di distribuzione dei prodotti di cui trattasi [v. sentenza del 14 maggio 2013, Sanco/UAMI – Marsalman (Rappresentazione di un pollo), T‑249/11, EU:T:2013:238, punto 21 e giurisprudenza ivi citata].

29      Nel caso di specie, la commissione di ricorso ha ritenuto che i prodotti di cui trattasi fossero identici. A tal riguardo, essa fa proprie le conclusioni della divisione di annullamento secondo cui i prodotti contrassegnati dal marchio contestato, ossia vari vini, sono compresi nell’ampia categoria dell’enunciato del marchio anteriore, vale a dire le bevande alcoliche (tranne le birre).

30      Orbene, dalla giurisprudenza risulta che, qualora i prodotti designati dal marchio anteriore comprendano i prodotti contrassegnati dal marchio contestato, tali prodotti sono considerati identici [v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2005, Sadas/UAMI – LTJ Diffusion (ARTHUR ET FELICIE), T‑346/04, EU:T:2005:420, punto 34 e giurisprudenza ivi citata].

31      Pertanto, occorre confermare la conclusione della commissione di ricorso, peraltro non contestata dalle parti, secondo la quale i prodotti di cui trattasi sono identici.

3.      Sulla comparazione dei segni in conflitto

32      Secondo la giurisprudenza, la valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei segni in conflitto, sull’impressione complessiva prodotta dagli stessi in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. La percezione dei marchi che il consumatore medio ha dei prodotti o dei servizi in questione svolge un ruolo determinante nella valutazione globale di detto rischio. A tale proposito, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

33      La valutazione della somiglianza tra due marchi non può limitarsi a prendere in considerazione solo una componente di un marchio complesso e paragonarla con un altro marchio. Occorre invece operare il confronto esaminando i marchi in questione, considerati ciascuno nel suo insieme, il che non esclude che l’impressione globale prodotta da un marchio complesso nella memoria del pubblico di riferimento possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). È solo quando tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili che si può valutare la somiglianza sulla sola base dell’elemento dominante (sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 42). È quanto potrebbe verificarsi in particolare quando tale componente è atta a dominare da sola l’immagine di tale marchio che al pubblico di riferimento resta in mente, di modo che tutte le altre componenti del marchio siano trascurabili nell’impressione complessiva prodotta da quest’ultimo [v. sentenza del 13 luglio 2018, Cipro/EUIPO – Papouis Dairies (Pallas Halloumi), T‑825/16, EU:T:2018:482, paragrafo 28 e giurisprudenza ivi citata].

34      Nel caso di specie, occorre confrontare, da un lato, il marchio denominativo anteriore VENICA e, dall’altro, il marchio contestato, riprodotto qui di seguito:

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35      Prima di affrontare la questione della somiglianza dei marchi in conflitto sotto i profili visivo, fonetico e concettuale, occorre esaminare la valutazione degli elementi distintivi e dominanti del marchio contestato effettuata dalla commissione di ricorso.

a)      Sugli elementi distintivi e dominanti del marchio contestato

36      La ricorrente contesta, in sostanza, alla commissione di ricorso di aver artatamente scomposto il marchio contestato in singoli elementi, anziché esaminarlo nel suo insieme, in quanto il consumatore medio percepirebbe un marchio come un tutt’uno e non procederebbe ad esaminarne i vari dettagli, e di aver concluso che la parola «vinica» costituiva l’elemento dominante del segno contestato.

37      In ogni caso, in primo luogo, la ricorrente sostiene, da un lato, che l’elemento denominativo «agricolavinica» formerebbe, con l’espressione «le colline di ripa», un tutt’uno che il consumatore medio percepirebbe in modo globale e inscindibile e, dall’altro, che il pubblico di riferimento lo assocerebbe all’idea di un’azienda agricola produttrice di vino sita sul territorio collinare di Ripa.

38      In secondo luogo, basandosi sulla sentenza del 18 settembre 2014, Società Italiana Calzature/UAMI (C‑308/13 P e C‑309/13 P, non pubblicata, EU:C:2014:2234), la ricorrente afferma che gli elementi grafici e colorati posti sotto l’espressione «le colline di ripa» compenserebbero il carattere tipografico più piccolo di tale espressione e la metterebbero in evidenza. Essa sostiene che la suddetta espressione sarebbe dotata di carattere distintivo e costituirebbe una parte essenziale del marchio, in quanto la sua funzione sarebbe quella di valorizzare il legame tra il vino e il territorio. Il termine «Ripa», asseritamente un riferimento a Ripalimosani, paese molisano, per il consumatore italiano descriverebbe il luogo di produzione delle uve, mentre nel consumatore straniero evocherebbe il concetto di italianità.

39      In terzo luogo, la ricorrente sostiene che la commissione di ricorso avrebbe erroneamente ritenuto che la parola «vinica» fosse l’elemento dominante del segno contestato. Anzitutto, a suo avviso, la commissione di ricorso avrebbe erroneamente considerato che il consumatore medio non distinguerebbe il termine «vini» dal termine «ca». La parola «vinica», infatti, sarebbe composta da due termini distinti e con significati autonomi. Da un lato, il termine «vini» richiamerebbe i prodotti e, dall’altro, il termine «ca», ritenuto un troncamento della parola «casa», evocherebbe l’origine dei prodotti.

40      La ricorrente sostiene, poi, che l’elemento denominativo «agricolavinica», nonché la rappresentazione della fogliolina verde che sormonta la lettera «i» della parola «agricola», veicolerebbe il messaggio che i vini prodotti da tale azienda sono biologici, in quanto «fatti in casa», derivanti direttamente dai vigneti coltivati da una singola famiglia e destinati a una consumazione di nicchia.

41      Inoltre, la ricorrente aggiunge che erroneamente la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto della circostanza che la parola «vinica» è dotata di autonomo significato, in quanto designa località della Croazia, della Macedonia del Nord e della Slovacchia e che sarebbe, pertanto, priva di carattere distintivo.

42      Da ultimo, la ricorrente ricorda che, sebbene all’interno dell’elemento denominativo «agricolavinica» la parola «agricola» sia priva di carattere distintivo, parimenti lo sarebbe la parola «vinica» dato che, scomposta negli elementi «vini» e «ca», essa descriverebbe il carattere genuino e biologico dei prodotti in questione nonché il loro metodo di produzione. Poiché i tre elementi che compongono l’elemento denominativo «agricolavinica», non separati graficamente gli uni dagli altri, avrebbero un significato autonomo, detto elemento denominativo sarebbe privo di carattere distintivo.

43      In primo luogo, l’EUIPO sostiene che il ragionamento della commissione di ricorso apparirebbe esente da errori e che quest’ultima avrebbe correttamente preso in considerazione l’impressione generale data dai segni in conflitto tenendo presente, in particolare, le loro componenti maggiormente distintive e dominanti, come specificato dalla giurisprudenza della Corte. Esso aggiunge che la circostanza che il marchio contestato debba essere valutato nel suo complesso non escluderebbe la possibilità che alcuni suoi elementi attirino meno l’attenzione di altri e, di conseguenza, siano in grado di influenzare in maniera minore l’impressione generale creata dal marchio. Inoltre, l’EUIPO condivide l’analisi della commissione di ricorso nella parte in cui quest’ultima conclude, da un lato, che l’elemento denominativo «agricolavinica» era dominante nel segno contestato a causa della sua dimensione e della sua posizione centrale e, dall’altro, che l’impatto degli elementi figurativi e dell’espressione «le colline di ripa» sul marchio contestato era ridotto.

44      In secondo luogo, esso fa valere che l’espressione «le colline di ripa» non costituirebbe un tutt’uno con l’elemento denominativo «agricolavinica». Da un lato, sotto il profilo visivo, l’espressione «le colline di ripa» sarebbe posta in una posizione secondaria e conterrebbe dimensioni e grafie diverse rispetto a quelle dell’elemento denominativo «agricolavinica». Dall’altro, sotto il profilo concettuale l’espressione «le colline di ripa» descriverebbe l’origine geografica dei prodotti, mentre l’elemento denominativo «agricolavinica» sarebbe percepito come l’elemento che svolge la funzione di indicare l’origine commerciale dei prodotti contraddistinti dal marchio. Inoltre, l’EUIPO sostiene che la sentenza del 18 settembre 2014, Società Italiana Calzature/UAMI (C‑308/13 P e C‑309/13 P, non pubblicata, EU:C:2014:2234), citata dalla ricorrente, sarebbe irrilevante e che le due linee ondulate poste al di sotto dell’espressione «le colline di ripa» non metterebbero quest’ultima in particolare evidenza e non contribuirebbero a unire tali elementi in un tutt’uno.

45      In terzo luogo, l’EUIPO aggiunge che dovrebbe essere confermata la conclusione della commissione di ricorso, secondo cui la parola «vinica» sarà percepita da una parte non trascurabile del pubblico italiano come priva di significato e di carattere distintivo e che dovrebbero essere pertanto respinti gli argomenti della ricorrente in relazione all’elemento dominante.

46      Anzitutto, l’argomento della ricorrente secondo cui la parola «vinica» sarebbe formata dai termini «vini» e «ca», aventi significati autonomi, apparirebbe difficilmente conciliabile con le sue affermazioni secondo cui i segni in conflitto dovrebbero essere valutati nel loro complesso e i loro singoli elementi non dovrebbero essere separati.

47      In ogni caso, l’interpretazione proposta dalla ricorrente in riferimento ai vini di casa sarebbe infondata e non costituirebbe una combinazione logica per i consumatori di lingua italiana. Infatti, secondo l’EUIPO, l’elemento «ca» non sarebbe riconosciuto dal pubblico di lingua italiana come un antico troncamento di «casa» alla fine dell’elemento denominativo «agricolavinica».

48      Inoltre, l’esistenza di tre località in Croazia, Macedonia del Nord e Slovacchia con il nome Vinica non sarebbe sufficiente per concludere che tale parola sia percepita come dotata di autonomo significato. L’EUIPO sostiene che appare alquanto improbabile che il pubblico di riferimento di lingua italiana conosca tali località che contano poche migliaia di abitanti e che non presentano alcun nesso apparente con il pubblico italiano e che, in ogni caso, la ricorrente non avrebbe apportato alcun elemento di prova che induca a ritenere che il pubblico di riferimento di lingua italiana le conoscesse.

49      Infine, per quanto riguarda l’espressione «le colline di ripa», l’EUIPO afferma che essa non potrebbe rappresentare l’elemento fondamentale e distintivo del marchio contestato, dal momento che sarebbe intesa dal pubblico italiano come un’indicazione geografica e avrebbe pertanto carattere meramente descrittivo.

50      Al punto 45 della decisione impugnata, in primo luogo, la commissione di ricorso ha constatato che l’elemento figurativo collocato a sinistra degli elementi denominativi sarebbe percepito come un disegno di fantasia privo di particolare significato per il pubblico di riferimento e che, anche se associato alle colture, come sostiene la ricorrente, esso sarebbe descrittivo dei prodotti contrassegnati dal marchio contestato. Essa ha altresì considerato che la foglia verde stilizzata posta sopra la lettera «i» dell’elemento denominativo «agricolavinica» non aveva particolare rilevo per la sua associazione con la natura e la sua ridotta dimensione.

51      In secondo luogo, per quanto riguarda gli elementi denominativi del marchio contestato, la commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 46 della decisione impugnata, che l’elemento denominativo «agricolavinica» fosse l’elemento dominante a causa della sua dimensione maggiore rispetto a quella dell’espressione «le colline di ripa» e della sua posizione centrale nel segno.

52      Anzitutto, per quanto riguarda l’elemento denominativo «agricolavinica», la commissione di ricorso ha rilevato, al punto 47 della decisione impugnata, che il pubblico di riferimento lo scomporrebbe nella parola «agricola», che costituisce un chiaro riferimento all’agricoltura, e nella parola «vinica», che non ha alcun significato in relazione ai prodotti contrassegnati dal marchio contestato. Al punto 49 della decisione impugnata, essa ha ritenuto che fosse assai improbabile che il pubblico di riferimento divida la parola «vinica» nei termini «vini» e «ca», in riferimento ai vini di casa, in quanto, anzitutto, il termine «ca» costituiva un’antica e poco utilizzata abbreviazione di «casa»; inoltre, il pubblico di riferimento non lo riconoscerebbe come tale alla fine dell’elemento denominativo «agricolavinica» a causa della combinazione dei termini, illogica per il pubblico di riferimento di lingua italiana; e, infine, l’abbreviazione era quasi sempre seguita da un apostrofo e generalmente utilizzata in denominazioni di palazzi storici in Veneto. Di conseguenza, al punto 50 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha ritenuto che la parola «vinica» sarebbe percepita da una parte non trascurabile del pubblico di riferimento come un elemento distintivo, e non come un elemento descrittivo. Essa ha aggiunto che, al massimo, si potrebbe ritenere che la parola «vinica» costituisse un’allusione ai «vini» rientranti nella classe 33, ma che complessivamente non avesse alcun significato.

53      Inoltre, per quanto riguarda l’espressione «le colline di ripa», al punto 51 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha rilevato che essa presentava un carattere meramente descrittivo, in quanto indicava l’origine dei prodotti. Essa ha aggiunto che il pubblico di riferimento intenderebbe tale espressione come un’indicazione geografica, dato che la parola «Colline» faceva riferimento a un particolare tipo di paesaggio e che le due linee ricurve poste al di sotto di tale espressione richiamavano alla mente, appunto, le colline.

54      Pertanto, al punto 52 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha concluso che, poiché la parola «vinica», come confermato dall’EUIPO in udienza, era priva di significato diretto, essa costituiva l’elemento maggiormente distintivo del marchio contestato.

55      Nel caso di specie, il marchio contestato è composto dagli elementi denominativi «agricolavinica» e «le colline di ripa» nonché da elementi figurativi consistenti in una fogliolina verde, in due linee rosse di forma ondulare e in tre insiemi costituiti da tratti neri, punti oblunghi rossi o punti verdi.

56      In primo luogo, quanto alla valutazione del carattere dominante di una o più componenti determinate di un marchio complesso, occorre tenere conto, in particolare, delle qualità intrinseche di ciascuna di tali componenti paragonandole con quelle di altre componenti. Inoltre, ed in via accessoria, può essere presa in considerazione la posizione relativa delle diverse componenti nella configurazione di detto marchio [sentenza del 23 ottobre 2002, Matratzen Concord/UAMI – Hukla Germany (MATRATZEN), T‑6/01, EU:T:2002:261, punto 35].

57      Anzitutto, per quanto riguarda gli elementi denominativi, l’elemento denominativo «agricolavinica» occupa una posizione centrale nel segno ed è rappresentato in un carattere tipografico più grande e più largo rispetto all’espressione «le colline di ripa», la quale è rappresentata in caratteri ondulanti, più piccoli e più sottili, che ne riducono la leggibilità. Pertanto, gli elementi denominativi «agricolavinica» e «le colline di ripa» non costituiscono un tutto inscindibile, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente.

58      Inoltre, per quanto riguarda gli elementi figurativi, si deve ritenere che essi saranno piuttosto percepiti dal pubblico di riferimento come elementi decorativi, come ha giustamente sostenuto la commissione di ricorso. Infatti, sia a causa della loro posizione decentrata nel segno nel caso dei tre insiemi sulla sinistra e delle due linee ondulate rosse in basso a destra, sia a causa della sua dimensione ridotta nel caso della foglia, gli elementi figurativi sono secondari nel segno e non sono quelli che attirano maggiormente l’attenzione del pubblico di riferimento.

59      Pertanto, occorre confermare la valutazione della commissione di ricorso secondo cui nel segno contestato l’elemento «agricolavinica» è dominante.

60      In secondo luogo, occorre ricordare che, per valutare il carattere distintivo di un elemento costitutivo di un marchio, occorre valutare la sua maggiore o minore attitudine a concorrere a identificare i prodotti per i quali il marchio è stato registrato come provenienti da un’impresa determinata e, quindi, a distinguere tali prodotti da quelli di altre imprese. In tale contesto vanno prese in considerazione, in particolare, le qualità intrinseche dell’elemento di cui trattasi, per accertare se esso sia o meno privo di qualsiasi carattere descrittivo dei prodotti per i quali il marchio è stato registrato [v. sentenza del 13 giugno 2006, Inex/UAMI – Wiseman (Rappresentazione di una pelle di mucca), T‑153/03, EU:T:2006:157, punto 35 e giurisprudenza ivi citata].

61      Secondo una giurisprudenza costante, un termine avente un significato chiaro è considerato descrittivo solo se presenta con i prodotti o servizi di cui trattasi un rapporto tanto diretto e concreto da consentire al pubblico interessato di percepire immediatamente, e senza ulteriori riflessioni, una descrizione dei prodotti e dei servizi di cui trattasi o di una delle loro caratteristiche [v. sentenze del 22 giugno 2005, Metso Paper Automation/UAMI (PAPERLAB), T‑19/04, EU:T:2005:247, punti 24 e 25, nonché giurisprudenza ivi citata, e del 24 febbraio 2016, Tayto Group/UAMI – MIP Metro (REAL HAND COOKED), T‑816/14, non pubblicata, EU:T:2016:93, punto 63 e giurisprudenza ivi citata].

62      Inoltre, qualora taluni elementi rivestano carattere descrittivo dei prodotti e servizi per i quali il marchio è protetto o dei prodotti e servizi designati dalla domanda di registrazione, a tali elementi può essere riconosciuto soltanto un carattere distintivo debole, se non debolissimo [v., in tal senso, sentenze del 12 settembre 2007, Koipe/UAMI – Aceites del Sur (La Española), T‑363/04, EU:T:2007:264, punto 92, e del 13 dicembre 2007, Cabrera Sánchez/UAMI – Industrias Cárnicas Valle (el charcutero artesano), T‑242/06, non pubblicata, EU:T:2007:391, punto 52 e giurisprudenza ivi citata].

63      Occorre altresì rilevare che, quando un marchio è composto di elementi denominativi e figurativi, i primi sono, in linea di principio, maggiormente distintivi rispetto ai secondi, poiché il consumatore medio farà più facilmente riferimento al prodotto in questione citando il nome che descrivendo l’elemento figurativo del marchio [sentenza del 14 luglio 2005, Wassen International/UAMI – Stroschein Gesundkost (SELENIUM-ACE), T‑312/03, EU:T:2005:289, punto 37; v., altresì, sentenza dell’8 luglio 2020, Scorify/EUIPO – Scor (SCORIFY), T‑328/19, non pubblicata, EU:T:2020:311, punto 58 e giurisprudenza ivi citata].

64      Per quanto riguarda l’elemento denominativo dominante, ossia «agricolavinica», benché non abbia alcun significato in quanto tale in italiano, esso sarà scomposto dal pubblico di riferimento in due elementi, vale a dire «agricola» e «vinica», come giustamente rilevato dalla commissione di ricorso al punto 47 della decisione impugnata. Infatti, mentre il consumatore medio percepisce normalmente un marchio nel suo insieme e non procede ad analizzarne i vari dettagli, tuttavia, quando percepisce un elemento verbale all’interno di un segno figurativo, egli scompone tale elemento verbale in elementi che gli suggeriscono un significato preciso o che somigliano a parole a lui note [v. sentenza del 6 settembre 2013, Eurocool Logistik/UAMI – Lenger (EUROCOOL), T‑599/10, non pubblicata, EU:T:2013:399, punto 104 e giurisprudenza ivi citata].

65      Orbene, da un lato, per quanto riguarda l’elemento denominativo «agricola», il pubblico di riferimento lo considererà come un chiaro riferimento all’agricoltura, come sostenuto dalla commissione di ricorso al punto 47 della decisione impugnata, dato che si tratta di un aggettivo sempre in relazione con l’agricoltura.

66      Dall’altro lato, per quanto riguarda l’elemento denominativo «vinica», esso sarà percepito dal pubblico di riferimento, come constatato dalla commissione di ricorso ai punti 50 e 66 della decisione impugnata, come un’allusione ai vini, che evoca i prodotti contrassegnati dal marchio contestato. Tale percezione della parola «vinica» è tanto più evidente in quanto tale parola comprende tutte le lettere del termine «vini», corrispondenti al plurale della parola «vino», e ciò nello stesso ordine.

67      Pertanto, occorre respingere l’argomento dell’EUIPO secondo cui, in sostanza, la parola «vinica» sarà percepita da una parte significativa del pubblico di lingua italiana come priva di significato e di carattere distintivo.

68      Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, dagli elementi del fascicolo non risulta né che la parola «vinica» sarà compresa dal pubblico di riferimento di lingua italiana come un toponimo, né che detto pubblico dividerà tale parola negli elementi «vini» e «ca».

69      Di conseguenza, l’elemento denominativo «agricolavinica», considerato nel suo insieme, costituisce certamente un neologismo, ma ciò non impedirà al pubblico di riferimento di individuare in esso due componenti aventi una connotazione chiara. Infatti, la parola «agricola», in quanto riferimento all’agricoltura, costituisce una descrizione di una caratteristica dei prodotti designati dal marchio contestato e la parola «vinica» fa riferimento a questi stessi prodotti. Pertanto, occorre considerare che le due parole che costituiscono l’elemento denominativo «agricolavinica» presentano un rapporto sufficientemente diretto e concreto tale da consentire al pubblico di riferimento di percepire immediatamente, e senza ulteriori riflessioni, una descrizione dei prodotti contrassegnati dal marchio contestato e una delle loro caratteristiche. Alla luce della giurisprudenza citata ai precedenti punti 61 e 62, occorre considerare che gli elementi che costituiscono l’elemento denominativo «agricolavinica» sono descrittivi dei prodotti contrassegnati e possiedono, di conseguenza, un carattere distintivo debole.

70      Pertanto, poiché l’elemento «vinica» non è maggiormente distintivo dell’elemento «agricola», il pubblico di riferimento non terrà a mente solo una parte dell’elemento denominativo «agricolavinica», ma ricorderà l’intero elemento dominante. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla commissione di ricorso, l’elemento denominativo «agricolavinica», nella sua interezza, è l’elemento maggiormente distintivo del segno contestato.

71      Dalle suesposte considerazioni risulta che l’elemento denominativo «agricolavinica» del segno contestato costituisce al contempo il suo elemento dominante e il suo elemento maggiormente distintivo. Tuttavia, poiché l’espressione «le colline di ripa» e gli elementi figurativi non sono trascurabili nell’impressione complessiva prodotta dal marchio contestato, la comparazione dei segni in conflitto non potrà essere effettuata unicamente sulla base dell’elemento denominativo «agricolavinica».

b)      Sulla comparazione dei segni in conflitto

1)      Sulla comparazione visiva dei segni

72      La ricorrente contesta la valutazione della commissione di ricorso secondo cui la somiglianza visiva è inferiore alla media. Essa fa valere che non sarebbe possibile riscontrare elementi di somiglianza visiva tra i segni in conflitto, dal momento che gli elementi grafici, i plurimi elementi denominativi e i colori che compongono il segno contestato lo renderebbero del tutto diverso dal segno anteriore. A suo avviso, il consumatore conserverebbe nella memoria l’intera immagine grafica presente sul prodotto nonché i suoi elementi denominativi e non scomporrebbe i segni in conflitto. La commissione di ricorso avrebbe quindi erroneamente estrapolato talune lettere del segno contestato, rappresentate in un carattere diverso, al fine di affermare che esisteva una minima somiglianza visiva tra i segni in conflitto. Essa aggiunge che la commissione di ricorso avrebbe erroneamente sovrapposto la verifica della somiglianza figurativa a quella della somiglianza fonetica, non tenendo in debita considerazione gli elementi grafici del segno contestato e soffermandosi su una porzione dell’elemento denominativo, vale a dire la parola «vinica».

73      L’EUIPO afferma, in sostanza, che la commissione di ricorso avrebbe confrontato correttamente i segni in conflitto sul piano visivo. Infatti, dopo aver riconosciuto la necessità di prendere in considerazione tutti gli elementi del marchio contestato, la stessa avrebbe correttamente concluso che il consumatore si concentrerebbe principalmente sugli elementi denominativi del segno contestato come punto di riferimento, tanto più che gli elementi figurativi sarebbero descrittivi dei prodotti di cui trattasi.

74      Esso fa valere che l’argomento della ricorrente, secondo cui gli elementi denominativi del marchio contestato sarebbero rappresentati in un carattere diverso, sarebbe irrilevante dato che il marchio anteriore è un marchio denominativo e che, di conseguenza, il suo titolare ha il diritto di utilizzarlo con grafie diverse, anche con grafie di forma analoga a quella del segno contestato. Inoltre esso sostiene che, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, i colori del marchio contestato non lo distinguerebbero dal marchio anteriore dato che il colore verde, come ha precisato in udienza, sarebbe un colore classico e comunemente utilizzato per prodotti della classe 33, poiché si riferisce alla terra e alla natura.

75      Per quanto riguarda gli elementi denominativi, la commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 55 della decisione impugnata, che l’elemento denominativo «agricolavinica» attirerebbe visivamente l’attenzione del pubblico, essendo riprodotto al centro del segno contestato, al di sopra dell’espressione «le colline di ripa» e in dimensioni maggiori rispetto a quest’ultima espressione. Essa ha aggiunto che il marchio anteriore sarebbe praticamente compreso alla fine di questo elemento dominante del marchio contestato, preceduto soltanto dall’elemento denominativo descrittivo «agricola».

76      Per quanto concerne gli elementi figurativi essa ha considerato, al punto 56 della decisione impugnata, che, sebbene non fossero insignificanti, era probabile che il pubblico di riferimento si concentrasse principalmente sugli elementi denominativi come elementi di riferimento, tanto più che gli elementi figurativi sarebbero descrittivi dei prodotti contrassegnati dal marchio contestato.

77      La commissione di ricorso ha aggiunto, al punto 57 della decisione impugnata, che, per una parte del pubblico di riferimento, l’elemento dominante del marchio contestato sarebbe percepito come una combinazione della parola «agricola» e della parola distintiva «vinica»; gli altri elementi del marchio contestato sarebbero descrittivi dei prodotti contrassegnati. Tenendo conto che, per questa parte del pubblico, le lettere «v», «n», «i», «c» e «a» erano riprodotte nell’elemento distintivo, la commissione di ricorso ha confermato la valutazione della divisione di annullamento riguardo alla somiglianza visiva dei segni, sebbene quest’ultima fosse inferiore alla media.

78      A tale riguardo occorre rilevare che, quando un marchio figurativo contenente un elemento denominativo è comparato sul piano visivo con un marchio denominativo, i marchi sono considerati simili sul piano visivo se tale elemento denominativo e il marchio denominativo hanno in comune un numero significativo di lettere nella stessa posizione e se detto elemento denominativo non è altamente stilizzato, nonostante la rappresentazione grafica delle lettere in caratteri diversi, in corsivo o in grassetto, in minuscolo o in maiuscolo, o a colori [v. sentenza del 27 gennaio 2021, Olimp Laboratories/EUIPO – OmniVision (Hydrovision), T‑817/19, non pubblicata, EU:T:2021:41, punto 77 e giurisprudenza ivi citata].

79      Nel caso di specie, occorre constatare che l’elemento denominativo dominante del marchio contestato, «agricolavinica», e quello del marchio anteriore, «venica», hanno in comune le lettere «v», «n», «i», «c» e «a», collocate nello stesso ordine.

80      A tal riguardo, occorre ricordare che il Tribunale ha già dichiarato che il semplice fatto che una sequenza di lettere sia comune a due marchi non li rende necessariamente simili [sentenza del 14 ottobre 2009, Ferrero/UAMI – Tirol Milch (TiMi KiNDERJOGHURT), T‑140/08, EU:T:2009:400, punto 55; v., altresì, sentenza dell’11 febbraio 2020, Dalasa/EUIPO – Charité – Universitätsmedizin Berlin (charantea), T‑732/18, non pubblicata, EU:T:2020:43, punto 48 e giurisprudenza ivi citata]. Così è nel caso di specie.

81      Infatti, da un lato, i marchi in conflitto differiscono in quanto la lettera posta tra la «v» e la «n» è una «i» nel marchio contestato e una «e» nel marchio anteriore e, dall’altro, il termine «agricola» non ha alcun equivalente nel marchio anteriore.

82      Pertanto, il marchio contestato ha cinque lettere in comune con il marchio anteriore su un totale di quattordici.

83      Inoltre, i segni in conflitto differiscono visivamente nella loro struttura, dato che il marchio anteriore è un marchio denominativo costituito da un unico elemento denominativo e il marchio contestato è un marchio complesso composto da due elementi denominativi e da tre elementi figurativi disposti su più livelli.

84      Inoltre, gli elementi figurativi, pur non essendo dominanti nel segno contestato, non passeranno inosservati al pubblico di riferimento, contrariamente a quanto sostenuto dalla commissione di ricorso. Infatti, come risulta dal precedente punto 71, gli elementi figurativi del marchio contestato non sono trascurabili nell’impressione complessiva di detto marchio. Di conseguenza, essi accentuano le differenze tra i marchi in conflitto sul piano visivo.

85      Se è pur vero dunque che i marchi in conflitto hanno cinque lettere in comune, tuttavia essi differiscono per l’elemento «agricola» del segno contestato, e la differenza tra i marchi in conflitto è accentuata dagli elementi figurativi del marchio contestato.

86      Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve ritenere che i marchi in conflitto presentino un tenue grado di somiglianza visiva.

87      Pertanto, nel caso di specie la commissione di ricorso ha erroneamente considerato che il grado di somiglianza tra i segni in conflitto fosse inferiore alla media.

2)      Sulla comparazione fonetica dei segni

88      La ricorrente sostiene che la commissione di ricorso avrebbe erroneamente concluso per un grado di somiglianza fonetica inferiore alla media e avrebbe confrontato i segni in conflitto prendendo in considerazione solo gli elementi denominativi «venica» e «vinica», che essa ritiene distintivi. La ricorrente rileva, da un lato, che la parola «vinica» avrebbe senso compiuto, sia che la si divida negli elementi «vini» e «ca» sia che la si consideri interamente e, dall’altro, che l’espressione «le colline di ripa» dovrebbe essere considerata l’elemento distintivo. Secondo la ricorrente e come la stessa ha precisato in udienza, pur non volendo prendere in considerazione l’espressione «le colline di ripa», gli elementi denominativi dei segni in conflitto, «agricolavinica» e «venica», non presenterebbero alcuna somiglianza fonetica.

89      L’EUIPO conferma le valutazioni della commissione di ricorso relative alla somiglianza fonetica tra i segni in conflitto. Esso afferma che sarebbe assai probabile che l’espressione «le colline di ripa» non venga pronunciata, sia per la sua posizione sussidiaria nel segno contestato e le sue dimensioni ridotte, sia perché i consumatori la considererebbero un’indicazione geografica.

90      Ai punti 58 e 59 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha considerato che era assai probabile che, nel segno contestato, la pronuncia dell’espressione «le colline di ripa» fosse omessa, vuoi a causa della sua posizione sussidiaria nel marchio e della sua dimensione ridotta, vuoi perché i consumatori la considererebbero come un riferimento al luogo di produzione e, pertanto, tenderebbero ad abbreviare l’espressione «agricolavinica le colline di ripa» all’elemento «agricolavinica», come precisato dall’EUIPO in udienza. Secondo la commissione di ricorso, i segni coinciderebbero nella pronuncia delle lettere «v», «n», «i», «c» e «a», essendo la loro seconda vocale, rispettivamente «e» e «i», molto simile nel suono. Essa ha concluso che i segni in conflitto presentavano un grado di somiglianza fonetica inferiore alla media.

91      In via preliminare, da un lato, occorre ricordare che dalla giurisprudenza risulta che, quando i consumatori nominano segni complessi composti da elementi denominativi e figurativi, essi fanno generalmente ricorso ai soli elementi denominativi, trascurando quindi normalmente gli elementi figurativi, che non possono quindi essere presi in considerazione nell’ambito della valutazione fonetica [v. sentenza del 23 marzo 2017, Vignerons de la Méditerranée/EUIPO – Bodegas Grupo Yllera (LE VAL FRANCE), T‑216/16, non pubblicata, EU:T:2017:201, punto 72 e giurisprudenza ivi citata].

92      Pertanto, nel caso di specie è molto probabile che il pubblico di riferimento trascuri gli elementi figurativi del marchio contestato quando effettua una comparazione fonetica dei segni in conflitto.

93      Dall’altro lato, occorre considerare, come sostiene l’EUIPO, che il pubblico di riferimento non pronuncerà tutti gli elementi denominativi del marchio contestato. Infatti, per economia di linguaggio una parte del pubblico di riferimento ometterà l’espressione «le colline di ripa» quando pronuncia il marchio contestato, essendo quest’ultima relativamente lunga da pronunciare e facilmente separabile dal resto al momento della pronuncia tenuto conto, in particolare, della sua posizione secondaria all’interno di detto marchio [v., in tal senso, sentenza dell’11 gennaio 2013, Kokomarina/UAMI – Euro Shoe Group (interdit de me gronder IDMG), T‑568/11, non pubblicata, EU:T:2013:5, punto 44 e giurisprudenza ivi citata].

94      Pertanto, quando il pubblico di riferimento si riferirà foneticamente al marchio contestato esso si limiterà a pronunciare l’elemento denominativo «agricolavinica» nella sua interezza, come considerato dalla commissione di ricorso al punto 58 della decisione impugnata, tanto più che detto elemento è quello dominante e maggiormente distintivo del marchio contestato, come risulta dai precedenti punti 59 e 70.

95      Nel caso di specie occorre quindi, in sostanza, confrontare sul piano fonetico, da un lato, l’elemento denominativo «venica» del marchio anteriore e, dall’altro, l’elemento denominativo «agricolavinica» del marchio contestato.

96      Anzitutto, per quanto riguarda le parole «venica» e «vinica», esse hanno in comune cinque lettere su sei, iniziano con la stessa lettera e hanno le ultime due sillabe uguali. Tuttavia, come stabilito al precedente punto 94, il pubblico di riferimento pronuncerà l’elemento denominativo «agricolavinica» nella sua interezza e non si limiterà al termine «vinica». Pertanto, l’elemento denominativo «agricolavinica» contiene soltanto cinque lettere in comune con l’elemento «venica».

97      Occorre poi constatare che la commissione di ricorso ha erroneamente ritenuto che le vocali «e» e «i» avessero un suono molto simile nel caso di specie. Infatti, sebbene vi sia una certa somiglianza fonetica tra dette vocali, il pubblico di riferimento di lingua italiana pronuncerà la lettera «i», presente nella quinta sillaba dell’elemento denominativo del marchio contestato, diversamente dalla lettera «e» presente nella prima sillaba del marchio anteriore. Dato che l’intonazione data alle vocali varia con la posizione di queste ultime negli elementi denominativi, la differenza di pronuncia tra le lettere «e» e «i» è ancora più accentuata. Di conseguenza, le vocali «e» e «i» degli elementi denominativi del caso di specie hanno, tutt’al più, un suono mediamente simile per il pubblico di riferimento.

98      Inoltre, gli elementi «venica» e «agricolavinica» presentano una somiglianza fonetica unicamente per quanto riguarda le loro ultime due sillabe. L’elemento denominativo «agricolavinica» è notevolmente più lungo dell’elemento denominativo «venica», dato che esso conta un numero di sillabe più che doppio, avendo rispettivamente sette e tre sillabe. Di conseguenza, le due sillabe comuni «ni» e «ca» presentano un’importanza minore rispetto alle altre cinque sillabe dell’elemento «agricolavinica» nel segno controverso.

99      Infine, tali elementi presentano una struttura sillabica e un ritmo sonoro diversi. Il segno contestato è composto da sette sillabe e contiene la sequenza di vocali «a», «i», «o», «a», «i», «i», «a», mentre il segno anteriore consta di tre sillabe e ha la sequenza di vocali «e», «i», «a».

100    Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve ritenere che il grado di somiglianza fonetica tra i segni sia debole. Pertanto, occorre constatare che la commissione di ricorso ha erroneamente ritenuto che i segni in conflitto presentassero un grado di somiglianza fonetica inferiore alla media.

3)      Sulla comparazione concettuale dei segni

101    Al punto 60 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha concluso per l’assenza di somiglianza tra i segni in conflitto sotto il profilo concettuale.

102    Tale conclusione, che peraltro non è stata contestata dalle parti, deve essere condivisa.

4.      Sulla valutazione globale del rischio di confusione

103    La ricorrente sostiene che la commissione di ricorso non avrebbe tratto le corrette conclusioni dall’assenza di somiglianza concettuale tra i segni in conflitto. A suo avviso, poiché la parola «venica», che compone il marchio anteriore, sarebbe priva di significato e le parole «agricola», «venica» o i termini «vini» e «ca» e l’espressione «le colline di ripa» esprimerebbero concetti chiari all’interno del marchio contestato, l’aspetto concettuale neutralizzerebbe qualsivoglia somiglianza visiva e fonetica, eliminando ogni rischio di confusione, come emergerebbe dalla giurisprudenza della Corte. La ricorrente sostiene che le somiglianze fonetiche e visive tra i segni in conflitto dovrebbero ritenersi inesistenti e che il fatto che il marchio contestato richiami concetti specifici, al contrario del marchio anteriore, neutralizzerebbe qualsivoglia somiglianza tra i marchi. Inoltre, il reale elemento distintivo del marchio contestato sarebbe «le colline di ripa» e la commissione di ricorso avrebbe erroneamente ritenuto che gli elementi figurativi del marchio contestato avessero un’importanza marginale. La ricorrente conclude che non sussisterebbe alcun rischio di confusione tra i segni in conflitto.

104    La ricorrente fa altresì valere che la commissione di ricorso avrebbe erroneamente considerato che il consumatore si soffermerebbe sull’elemento denominativo «agricolavinica» e soprattutto sulla parola «vinica» allorquando ordina a voce un vino poiché si riferirebbe, in tale occasione, al nome del vino stesso piuttosto che al marchio. Così, ad esempio, i consumatori si riferirebbero ai prodotti contrassegnati dal marchio contestato come «lame del sorbo», «altre terre» o «la nuvola di piè» e ai prodotti designati dal marchio anteriore come «petris», «ronco del cero’», «ronco delle cime» o «jesera». Essa sostiene che il pubblico di riferimento, riferendosi al nome del produttore, non indicherebbe certamente il marchio.

105    L’EUIPO sostiene, da un lato, che, poiché la parola «agricola» e l’espressione «le colline di ripa» sarebbero concetti descrittivi, le differenze concettuali che ne derivano svolgerebbero un ruolo limitato nella valutazione del rischio di confusione. Dall’altro, la parola «vinica» sarebbe, nel suo complesso, priva di significato per il pubblico di riferimento, rappresenterebbe l’elemento maggiormente distintivo del marchio anteriore e sarebbe visivamente e foneticamente quasi identica al marchio anteriore. Pertanto, secondo l’EUIPO le differenze concettuali si limiterebbero a elementi secondari e descrittivi e non sarebbero in grado di neutralizzare le somiglianze visive e fonetiche esistenti tra i segni in conflitto.

106    Esso sostiene che sia inconferente l’argomento della ricorrente secondo cui il consumatore, al momento di ordinare a voce un vino, utilizzerebbe il nome stesso del vino anziché l’elemento denominativo «agricolavinica», dato che la ricorrente non avrebbe specificato quale sarebbe il nome di tale vino nel caso del marchio contestato.

107    L’EUIPO aggiunge che, considerata la mancanza di carattere distintivo dell’espressione «le colline di ripa» e la limitata propensione degli elementi figurativi a identificare i prodotti in questione, il consumatore di riferimento si riferirebbe plausibilmente ai prodotti contraddistinti dal marchio contestato come «agricolavinica», concentrandosi poi maggiormente sulla parola «vinica». L’EUIPO afferma poi che, anche nel caso in cui alcuni consumatori di riferimento intendano il termine «vini» come se fosse riferito ai prodotti della classe 33, una parte significativa del pubblico italiano percepirebbe la parola «vinica» come un termine di fantasia e, quindi, distintivo, il che sarebbe sufficiente per creare un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001.

108    L’EUIPO sostiene inoltre che i restanti argomenti della ricorrente relativi al rischio di confusione dovrebbero essere respinti in quanto infondati e che la commissione di ricorso abbia correttamente statuito che vi era un rischio di confusione tra i segni in conflitto, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001.

109    La commissione di ricorso, tenendo conto dell’identità dei prodotti contrassegnati dai marchi in conflitto, del livello medio di attenzione del pubblico di riferimento, del carattere distintivo medio del marchio anteriore, del fatto che la parola «vinica» è l’elemento maggiormente distintivo e l’elemento «agricolavinica» l’elemento dominante del marchio contestato, della somiglianza visiva e fonetica inferiore alla media e dell’assenza di somiglianza concettuale, ha concluso che esisteva un rischio di confusione nella mente del pubblico di riferimento di lingua italiana tra il marchio contestato e il marchio anteriore, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, a partire dalla data di deposito del marchio contestato, ossia il 13 febbraio 2020. Essa ha precisato che tale rischio di confusione esisteva per la parte del pubblico di riferimento per la quale la parola «vinica» era evocativa dei prodotti e presentava quindi un livello di distinzione inferiore e, a fortiori, per la parte restante del pubblico per la quale tale parola era priva di significato e presentava quindi un livello di distinzione medio.

110    Occorre ricordare che la valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori presi in considerazione e, in particolare, tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. Pertanto, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa [sentenze del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, punto 17, e del 14 dicembre 2006, Mast-Jägermeister/UAMI – Licorera Zacapaneca (VENADO con riquadro e a.), T‑81/03, T‑82/03 e T‑103/03, EU:T:2006:397, punto 74].

111    Tuttavia, il principio di interdipendenza non va applicato meccanicamente. Infatti, se è certamente vero che, in forza del principio d’interdipendenza, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi, viceversa nulla osta a che, alla luce delle circostanze di un caso di specie, non sussista alcun rischio di confusione, anche in presenza di prodotti identici e di un tenue grado di somiglianza tra i marchi in conflitto [v., in tal senso, la sentenza del 27 giugno 2019, Sandrone/EUIPO – J. García Carrión (Luciano Sandrone), T‑268/18, EU:T:2019:452, punti 95 e 96, nonché giurisprudenza ivi citata].

112    Nel caso di specie, in via preliminare è necessario confermare la valutazione della commissione di ricorso, peraltro non contestata dalle parti, secondo cui il marchio anteriore ha un carattere distintivo intrinseco medio.

113    Dalle suesposte considerazioni risulta che i prodotti sono identici, che i segni in conflitto sono nell’insieme leggermente simili, dato che il loro grado di somiglianza visiva e fonetica è minimo, e che non vi è alcuna somiglianza concettuale tra detti segni.

114    Pertanto, il ragionamento della commissione di ricorso che conclude nel senso di ritenere sussistente il rischio di confusione si basa su premesse errate. Da un lato, quest’ultima ha erroneamente identificato l’elemento «vinica» come l’elemento maggiormente distintivo del marchio contestato (v. supra, punti da 60 a 71). Dall’altro, non ha valutato correttamente il livello di somiglianza tra i segni in conflitto sotto il profilo visivo e fonetico (v. supra, punti da 78 a 87 e da 91 a 100).

115    Inoltre, nella sua valutazione complessiva del rischio di confusione, la commissione di ricorso ha erroneamente ritenuto, al punto 65 della decisione impugnata, che il pubblico di riferimento tenderebbe a designare i prodotti contrassegnati dal marchio contestato come «agricolavinica» concentrandosi principalmente sull’elemento «vinica». Infatti, dalla giurisprudenza risulta che, nel settore dei vini, il pubblico di riferimento è abituato a designare e a riconoscere il vino in funzione dell’elemento denominativo che serve a identificarlo, indipendentemente dal fatto che tale elemento designi in particolare il raccolto o la proprietà sulla quale il vino è prodotto [sentenza del 13 luglio 2005, Murúa Entrena/UAMI – Bodegas Murúa (Julián Murúa Entrena), T‑40/03, EU:T:2005:285, punto 56; v., altresì, sentenza del 27 giugno 2019, Luciano Sandrone, T‑268/18, EU:T:2019:452, punto 99 e giurisprudenza ivi citata]. Orbene, nel caso di specie l’elemento che serve a identificare i prodotti contrassegnati dal marchio contestato è l’elemento «agricolavinica», in quanto costituisce, nel suo complesso, l’elemento dominante e maggiormente distintivo del marchio contestato, come risulta dal precedente punto 71.

116    Inoltre, occorre considerare che il pubblico di riferimento attribuirà particolare importanza alla somiglianza fonetica, che nel caso di specie è debole, dato che i prodotti di cui trattasi sono spesso ordinati a voce nei ristoranti e nei bar (v. sentenza del 13 ottobre 2017, CONTADO DEL GRIFO, T‑434/16, non pubblicata, EU:T:2017:721, punto 88 e giurisprudenza ivi citata). Tale circostanza riduce la probabilità che il pubblico di riferimento confonda i segni in conflitto.

117    Ciò vale a maggior ragione in quanto il marchio anteriore dispone di un carattere distintivo medio, come risulta dal precedente punto 112. Un maggiore carattere distintivo intrinseco avrebbe potuto aumentare il rischio di confusione, conformemente alla giurisprudenza secondo la quale un siffatto rischio è tanto più elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore [sentenza dell’11 novembre 1997, SABEL, C‑251/95, EU:C:1997:528, punto 24; v., altresì, sentenza del 21 maggio 2015, Wine in Black/UAMI – Quinta do Noval-Vinhos (Wine in Black), T‑420/14, non pubblicata, EU:T:2015:312, punto 46 e giurisprudenza ivi citata].

118    Pertanto, la commissione di ricorso ha erroneamente concluso nel senso dell’esistenza di un rischio di confusione tra i segni in conflitto ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001.

119    Gli argomenti dell’EUIPO non possono rimettere in discussione tale conclusione.

120    Da un lato, occorre respingere l’argomento dell’EUIPO secondo cui il termine «agricola» svolgerebbe un ruolo limitato nella valutazione del rischio di confusione. Infatti, tale parola fa parte dell’elemento «agricolavinica» che è, nel suo insieme, l’elemento dominante e maggiormente distintivo del marchio contestato, come stabilito al precedente punto 71, ed è quindi di grande importanza nella valutazione del rischio di confusione.

121    Dall’altro lato, non può essere accolto l’argomento dell’EUIPO secondo cui, anche se una parte del pubblico di riferimento di lingua italiana comprende il termine «vini» come un riferimento ai vini, posto che una parte significativa del pubblico italiano percepisce la parola «vinica» come una parola di fantasia e quindi distintiva ciò sarebbe sufficiente per creare un rischio di confusione. Infatti, al precedente punto 66 è stato dimostrato che la parola «vinica» sarà intesa dal pubblico di riferimento di lingua italiana come un riferimento ai vini.

122    In tali circostanze, senza che sia necessario pronunciarsi sulla questione se i segni in conflitto presentino differenze concettuali in grado di neutralizzare le somiglianze fonetiche e visive esistenti tra loro, la cui rilevanza è contestata dall’EUIPO nelle circostanze del caso di specie, si deve concludere che i segni in conflitto sono nel complesso diversi nell’impressione complessiva che di loro ha il pubblico di riferimento di lingua italiana, di modo che non sussiste alcun rischio di confusione tra detti segni, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001.

123    Pertanto, il motivo unico della ricorrente deve essere accolto e, di conseguenza, la decisione impugnata deve essere annullata.

B.      Sulla domanda di riforma della decisione impugnata

124    Con la seconda parte del primo capo delle sue conclusioni, la ricorrente chiede al Tribunale di riformare la decisione impugnata, dichiarando la validità del marchio contestato in quanto non somigliante, sotto i profili visivo, fonetico e concettuale, al marchio anteriore e in quanto non sussisterebbe alcun rischio di confusione tra tali marchi.

125    L’EUIPO ritiene che tale domanda di riforma della ricorrente debba essere respinta in quanto infondata. Esso precisa che, nel caso di specie, né la divisione di annullamento né la commissione di ricorso avrebbero esaminato la domanda di dichiarazione di nullità sulla base del pubblico di riferimento in tutti gli Stati membri dell’Unione, avendo entrambe preso in considerazione unicamente il pubblico di lingua italiana, circostanza che la ricorrente non ha contestato in udienza. Di conseguenza, il Tribunale non potrebbe riformare la decisione impugnata.

126    Dalla giurisprudenza risulta che il potere di riforma, riconosciuto al Tribunale in forza dell’articolo 72, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001, non ha come effetto di conferire a quest’ultimo la facoltà di sostituire la propria valutazione a quella della commissione di ricorso e neppure la facoltà di procedere a una valutazione alla quale la commissione di ricorso non abbia ancora proceduto. Pertanto, in linea di principio, l’esercizio del potere di riforma deve essere limitato alle situazioni nelle quali il Tribunale, dopo aver controllato la valutazione compiuta dalla commissione di ricorso, sia in grado di determinare, sulla base degli elementi di fatto e di diritto accertati, la decisione che la suddetta commissione era tenuta a prendere [sentenza del 5 luglio 2011, Edwin/UAMI, C‑263/09 P, EU:C:2011:452, punto 72; v., altresì, sentenza del 28 gennaio 2016, Gugler France/UAMI – Gugler (GUGLER), T‑674/13, non pubblicata, EU:T:2016:44, punto 100 e giurisprudenza ivi citata].

127    Nel caso di specie, occorre rilevare che la commissione di ricorso non ha preso posizione, nella decisione impugnata, sull’esistenza di un rischio di confusione tra i segni in conflitto per la parte del pubblico di riferimento non di lingua italiana, cosicché non spetta al Tribunale procedere alla valutazione dell’esistenza di un rischio di confusione per tale parte del pubblico di riferimento nell’ambito dell’esame della domanda di riforma di detta decisione.

128    Infatti, poiché la commissione di ricorso ha limitato la sua analisi dell’esistenza di un rischio di confusione alla parte di lingua italiana del pubblico di riferimento, al pari della divisione di annullamento, e non ha chiarito le ragioni di tale scelta, il Tribunale non può concludere che non sussista alcun rischio di confusione tra i marchi in conflitto su tutto il territorio dell’Unione e per tutto il pubblico di riferimento, salvo sostituire la propria valutazione a quella della commissione di ricorso.

129    Pertanto, la domanda di riforma della ricorrente deve essere respinta.

IV.    Sulle spese

130    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

131    L’EUIPO, rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese, conformemente alla domanda della ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione della quarta commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) dell’11 luglio 2022 (procedimento R 90/2022-4) è annullata.

2)      [Come rettificato con ordinanza del 1º febbraio 2024] L’EUIPO è condannato alle spese.

Costeira

Öberg

Zilgalvis

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 6 dicembre 2023.

Il cancelliere

 

Il presidente

V. Di Bucci


*      Lingua processuale: l’italiano.