Language of document : ECLI:EU:T:2019:73

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

8 febbraio 2019 (*)

«Marchio dell’Unione europea – Opposizione – Domanda di marchio dell’Unione europea figurativo CHIARA FERRAGNI – Marchio Benelux denominativo anteriore Chiara – Impedimento alla registrazione relativo – Insussistenza di rischio di confusione – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) 2017/1001]»

Nella causa T‑647/17,

Serendipity Srl, con sede a Milano (Italia),

Giuseppe Morgese, residente a Barletta (Italia),

Pasquale Morgese, residente a Barletta,

rappresentati da C. Volpi, L. Aliotta e F. Garbagnati Lo Iacono, avvocati,

ricorrenti,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da L. Rampini, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO:

CKL Holdings NV, con sede a Bussum (Paesi Bassi),

avente ad oggetto il ricorso proposto contro la decisione della quarta commissione di ricorso dell’EUIPO, del 17 luglio 2017 (procedimento R 2444/2016‑4), relativa a un’opposizione tra, da un lato, la CKL Holdings e, dall’altro, la Serendipity e i sigg. Morgese,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto da H. Kanninen, presidente, J. Schwarcz e C. Iliopoulos (relatore), giudici,

cancelliere: E. Coulon

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 22 settembre 2017,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 gennaio 2018,

visto che le parti non hanno presentato, nel termine di tre settimane dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento, domanda di fissazione di un’udienza, e avendo deciso, ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire senza la fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 9 luglio 2015 i ricorrenti – la Serendipity Srl nonché i sigg. Giuseppe Morgese e Pasquale Morgese – hanno presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), ai sensi del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1)].

2        Il marchio oggetto della domanda di registrazione è il segno figurativo di seguito riprodotto:

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3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano, in particolare, nelle classi 18 e 25 ai sensi dell’Accordo di Nizza, del 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come rivisto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di tali classi, alla descrizione seguente:

–        classe 18: «Borse; sacche; sacche da viaggio in tela; cuoio; imitazioni di cuoio; valigie; portamonete [pelletteria]; astucci portachiavi; ombrelli»;

–        classe 25: «Abbigliamento; camicie; maglioni; pantaloni; gonne; jeans; costumi da bagno; magliette; T‑shirt; pantaloncini; abbigliamento sportivo; biancheria intima; cappelleria; calzature».

4        La domanda di marchio è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi dell’Unione europea n. 131/2015, del 16 luglio 2015.

5        Il 16 ottobre 2015 la CKL Holdings NV ha proposto opposizione, ai sensi dell’articolo 41 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 46 del regolamento 2017/1001), alla registrazione del marchio richiesto, in particolare per i prodotti di cui al punto 3 supra.

6        L’opposizione era basata sul marchio denominativo anteriore Chiara, registrato nel Benelux il 29 luglio 2015 con il n. 975272 per prodotti, in particolare, della classe 25 che corrispondono alla descrizione seguente: «Abbigliamento; calzature e cappelleria; costumi da bagno; abbigliamento per lo sport e per il tempo libero».

7        Il motivo dedotto a sostegno dell’opposizione era quello indicato all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001].

8        Con decisione del 31 ottobre 2016 la divisione di opposizione ha parzialmente accolto l’opposizione per quanto riguarda «borse, sacche; astucci portachiavi; portamonete [pelletteria]» della classe 18 e tutti i prodotti designati dal marchio richiesto rientranti nella classe 25, con la motivazione che sussisteva un rischio di confusione tra i segni in conflitto. La divisione di opposizione ha respinto il ricorso quanto al resto.

9        Il 28 dicembre 2016 i ricorrenti hanno proposto un ricorso dinanzi all’EUIPO, ai sensi degli articoli da 58 a 64 del regolamento n. 207/2009 (divenuti articoli da 66 a 71 del regolamento 2017/1001), avverso la decisione della divisione di opposizione per i prodotti di cui al punto 8 supra.

10      Con decisione del 17 luglio 2017 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la quarta commissione di ricorso dell’EUIPO ha respinto il ricorso dei ricorrenti contro la decisione della divisione di opposizione. Anzitutto, essa ha constatato che il pubblico di riferimento era costituito dal grande pubblico dei tre paesi del Benelux, che i prodotti rientranti nella classe 25 per i quali è stata richiesta la registrazione erano identici ai prodotti designati dal marchio Benelux anteriore rientranti nella classe 25 e che i prodotti appartenenti alla classe 18 presentavano con questi ultimi una somiglianza di grado medio. La commissione di ricorso ha poi rilevato, da un lato, che i segni in esame presentavano «un grado medio» di somiglianza visiva, un grado di somiglianza fonetica «al di sopra della media» e che la comparazione concettuale era «neutrale» e, dall’altro, che il marchio anteriore presentava un carattere distintivo intrinseco «normale». Essa ha concluso che sussisteva pertanto un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 tra i marchi in conflitto, per quanto concerne i prodotti oggetto del ricorso e rientranti nelle classi 18 e 25, nella mente del pubblico di riferimento con un livello di attenzione medio.

 Conclusioni delle parti

11      I ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’EUIPO alle spese.

12      L’EUIPO chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare i ricorrenti alle spese.

 In diritto

13      A sostegno del ricorso, i ricorrenti deducono un motivo unico, vertente sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009. Essi addebitano sostanzialmente alla commissione di ricorso di avere, in primo luogo, constatato l’esistenza di un rischio di confusione mentre i ricorrenti erano già titolari del marchio dell’Unione europea denominativo anteriore CHIARA FERRAGNI che copriva le stesse classi designate dal marchio richiesto, in secondo luogo, commesso un errore di valutazione per quanto riguarda la somiglianza visiva, fonetica e concettuale tra i marchi in conflitto e, in terzo luogo, commesso un errore nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione.

14      L’EUIPO contesta gli argomenti dei ricorrenti.

15      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se, a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio con il marchio anteriore e dell’identità o della somiglianza tra i prodotti o i servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore. Peraltro, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), ii) e iii), del regolamento n. 207/2009 [divenuto articolo 8, paragrafo 2, lettera a), ii) e iii), del regolamento n. 2017/1001], devono intendersi per marchi anteriori i marchi registrati in uno o più Stati membri e i marchi registrati in base ad accordi internazionali con effetto in più Stati membri, la cui data di deposito sia anteriore a quella della domanda di marchio dell’Unione europea.

16      Per giurisprudenza costante, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate tra loro. Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione deve essere valutato globalmente, in base alla percezione dei segni e dei prodotti o dei servizi di cui trattasi da parte del pubblico di riferimento, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza tra i segni e la somiglianza tra i prodotti o i servizi designati [v. sentenza del 9 luglio 2003, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑162/01, EU:T:2003:199, punti da 30 a 33 e giurisprudenza ivi citata].

17      Ai fini dell’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, un rischio di confusione presuppone sia un’identità o una somiglianza tra i marchi in conflitto sia un’identità o una somiglianza tra i prodotti o servizi che essi designano. Si tratta di condizioni cumulative [v. sentenza del 22 gennaio 2009, Commercy/UAMI – easyGroup IP Licensing (easyHotel), T‑316/07, EU:T:2009:14, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

18      Alla luce di tali considerazioni si deve esaminare se la commissione di ricorso abbia a ragione ritenuto che sussistesse, nel caso di specie, un rischio di confusione tra i marchi in conflitto.

 Sul pubblico di riferimento

19      Dalla giurisprudenza risulta che, nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione, occorre prendere in considerazione il consumatore medio della categoria di prodotti o di servizi interessata, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Occorre anche prendere in considerazione il fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi di cui trattasi [v. sentenza del 13 febbraio 2007, Mundipharma/UAMI – Altana Pharma (RESPICUR), T‑256/04, EU:T:2007:46, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

20      A tale proposito, la commissione di ricorso ha ritenuto, ai punti 12 e 24 della decisione impugnata, che, poiché il marchio denominativo anteriore era un marchio registrato nel Benelux, il territorio pertinente per la valutazione del rischio di confusione nel caso di specie fosse quello del Belgio, del Lussemburgo e dei Paesi Bassi. Per quanto riguarda il livello di attenzione, essa ha considerato che i prodotti in questione erano destinati al grande pubblico, con un livello di attenzione medio.

21      Sulla base degli elementi del fascicolo, si deve quindi considerare che tali constatazioni della commissione di ricorso relative al pubblico di riferimento e al suo livello di attenzione, peraltro non contestate dai ricorrenti, sono fondate.

 Sul confronto tra i prodotti

22      Secondo una giurisprudenza costante, per valutare la somiglianza tra i prodotti o i servizi di cui trattasi, occorre tener conto di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra gli stessi [v. sentenza dell’11 luglio 2007, El Corte Inglés/UAMI – Bolaños Sabri (PiraÑAM diseño original Juan Bolaños), T‑443/05, EU:T:2007:219, punto 37 e giurisprudenza ivi citata].

23      Nel caso di specie, la commissione di ricorso ha concluso, al punto 20 della decisione impugnata, che i prodotti in esame appartenenti alla classe 25 erano identici e quelli appartenenti alla classe 18 erano «simil[i, a un grado medio, ai prodotti anteriori] compresi nella classe 25».

24      Tale conclusione, peraltro non contestata dalle parti, è priva di errori e deve essere accolta.

 Sul confronto tra i segni

25      Ai sensi della giurisprudenza, due marchi sono simili quando, dal punto di vista del pubblico di riferimento, esiste tra loro un’uguaglianza almeno parziale per quanto riguarda uno o più aspetti pertinenti [v. sentenza del 23 marzo 2017, Vignerons de la Méditerranée/EUIPO – Bodegas Grupo Yllera (LE VAL FRANCE), T‑216/16, non pubblicata, EU:T:2017:201, punto 23 e giurisprudenza ivi citata].

26      La valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale tra i segni in conflitto, sull’impressione complessiva prodotta dagli stessi, tenendo conto, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. La percezione dei marchi che ha il consumatore medio dei prodotti o dei servizi in questione svolge un ruolo determinante nella valutazione globale di detto rischio. A tale riguardo, il consumatore medio di solito percepisce un marchio come un tutt’uno e non si dedica a esaminarne i vari dettagli (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

27      In presenza di un marchio complesso, la valutazione della somiglianza tra due marchi non può limitarsi a prendere in considerazione solo una componente di un marchio complesso e a paragonarla con un altro marchio. Occorre invece operare il confronto esaminando i marchi in questione considerati ciascuno nel suo insieme, il che non esclude che l’impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico di riferimento da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). È solo quando tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili che si può valutare la somiglianza sulla sola base dell’elemento dominante (sentenze del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 42, e del 20 settembre 2007, Nestlé/UAMI, C‑193/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:539, punto 42). È quanto potrebbe verificarsi in particolare quando tale elemento è atto a dominare da solo l’immagine di detto marchio che al pubblico di riferimento resta in mente, di modo che tutti gli altri elementi del marchio siano trascurabili nell’impressione complessiva prodotta da questo (sentenza del 20 settembre 2007, Nestlé/UAMI, C‑193/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:539, punto 43).

28      È alla luce di tali principi che occorre esaminare i segni in conflitto.

29      Nel caso di specie, come risulta dai punti 14 e 15 della decisione impugnata, il marchio richiesto è un marchio complesso, composto tanto da elementi denominativi quanto da elementi figurativi. In particolare, esso è composto dai due elementi denominativi «chiara» e «ferragni», in caratteri maiuscoli neri, con le lettere «i» un po’ più grosse rispetto alle altre, e da un elemento figurativo collocato sopra gli elementi denominativi, consistente in un disegno che rappresenta un occhio azzurro con lunghe ciglia nere. Come sottolineano i ricorrenti, queste lunghe ciglia assomigliano alle lettere «i» delle parole «chiara» e «ferragni».

30      Il marchio anteriore è costituito dall’elemento denominativo «chiara».

31      La commissione di ricorso ha rilevato, ai punti da 15 a 19 della decisione impugnata, da un lato, che gli elementi denominativi costituivano la parte dominante e distintiva del marchio richiesto e, dall’altro, che i segni in conflitto presentavano, in particolare, un grado medio di somiglianza visiva, un livello «al di sopra della media» di somiglianza sotto il profilo fonetico e che, dal punto di vista concettuale, «poiché nessuno dei marchi in conflitto ha un significato, il confronto resta[va] neutrale».

32      I ricorrenti contestano ciascuna di tali valutazioni, mentre l’EUIPO, per parte sua, conclude nel senso della loro fondatezza.

 Sugli elementi distintivi e dominanti del marchio richiesto

33      La commissione di ricorso ha rilevato, al punto 15 della decisione impugnata, che l’elemento denominativo costituiva la parte dominante e distintiva del marchio richiesto. In mancanza di significato relativamente ai prodotti in questione, il gruppo composto da due parole «chiara ferragni» avrebbe un carattere distintivo per il consumatore di riferimento del Benelux, che potrebbe percepirlo come nomi o parole «esotic[i]» privi di un significato particolare. Per quanto riguarda l’elemento figurativo del marchio richiesto, la commissione di ricorso ha constatato che esso poteva essere percepito come una rappresentazione stilizzata di un occhio con lunghe ciglia, e che, quando un marchio era composto da elementi denominativi e da elementi figurativi, i consumatori tendevano a concentrarsi su questi ultimi.

34      I ricorrenti contestano tale valutazione. A loro avviso, la commissione di ricorso avrebbe dovuto considerare l’elemento figurativo del marchio richiesto come distintivo e dominante rispetto all’elemento denominativo, o almeno di importanza pari a quest’ultimo.

35      L’EUIPO contesta sostanzialmente tale argomento dei ricorrenti. Secondo l’EUIPO, nonostante la presenza di altri elementi nel marchio richiesto, la circostanza che il termine comune «chiara» compaia all’inizio dei segni in conflitto pesa maggiormente sulla valutazione globale della somiglianza visiva.

36      Anzitutto va ricordato che, secondo una giurisprudenza costante, il carattere distintivo di un elemento di un marchio dipende dalla maggiore o minore attitudine di detto elemento a concorrere a identificare i prodotti o i servizi per i quali il marchio è stato registrato come provenienti da un’impresa determinata e, quindi, a distinguere tali prodotti o servizi da quelli di altre imprese. In tale contesto vanno prese in considerazione, in particolare, le qualità intrinseche dell’elemento di cui trattasi, per accertare se esso sia o meno privo di qualsiasi carattere descrittivo dei prodotti o servizi per i quali il marchio è stato registrato [sentenze del 13 giugno 2006, Inex/UAMI – Wiseman (Rappresentazione di una pelle di mucca), T‑153/03, EU:T:2006:157, punto 35, e del 13 dicembre 2007, Cabrera Sánchez/UAMI – Industrias Cárnicas Valle (el charcutero artesano), T‑242/06, non pubblicata, EU:T:2007:391, punto 51].

37      Peraltro, sebbene, quando un marchio è composto da elementi denominativi e da elementi figurativi i primi siano, in linea di principio, maggiormente distintivi rispetto ai secondi – dato che il consumatore medio farà più facilmente riferimento ai prodotti in oggetto citando il nome del marchio piuttosto che descrivendone l’elemento figurativo – non ne consegue che gli elementi denominativi di un marchio debbano essere sempre considerati più distintivi rispetto agli elementi figurativi. Invero, nel caso di un marchio complesso, l’elemento figurativo può, in particolare per la sua forma, le sue dimensioni, il suo colore o la sua collocazione nel segno, occupare una posizione equivalente a quella dell’elemento denominativo [v., in tal senso, sentenza del 23 novembre 2010, Codorniu Napa/UAMI – Bodegas Ontañon (ARTESA NAPA VALLEY), T‑35/08, EU:T:2010:476, punti 37 e 39 e giurisprudenza ivi citata]. È pertanto necessario esaminare le qualità intrinseche dell’elemento figurativo e quelle dell’elemento denominativo del marchio richiesto, nonché le loro rispettive posizioni, al fine di identificare la componente dominante [v., in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2008, Inter-Ikea/UAMI – Waibel (idea), T‑112/06, non pubblicata, EU:T:2008:10, punto 49].

38      Nel caso di specie, in primo luogo, occorre osservare che, come risulta sostanzialmente dal punto 15 della decisione impugnata, l’elemento figurativo del marchio richiesto è un disegno di fantasia rappresentante un occhio azzurro con lunghe ciglia nere. L’occhio è stilizzato in modo peculiare e può essere percepito dai consumatori come un elemento elaborato e originale, che sarebbe facilmente memorizzabile. Non può quindi essere descritto come un semplice elemento figurativo o come puramente decorativo. Inoltre, detto elemento figurativo non presenta alcun nesso con i prodotti delle classi 18 e 25 (v. punto 3 supra) e non può essere considerato descrittivo di tali prodotti. Ne consegue che l’elemento figurativo è dotato di un carattere distintivo intrinseco, che sarà preso in considerazione dal consumatore medio.

39      In secondo luogo, l’elemento figurativo è posto al di sopra dell’elemento denominativo e le sue dimensioni all’interno del marchio richiesto superano notevolmente, in altezza, quelle dell’elemento denominativo. Pertanto, come fanno valere i ricorrenti, esso occupa in tale marchio una posizione almeno altrettanto importante che quella occupata dagli elementi denominativi.

40      In circostanze del genere, si deve concludere che il carattere fortemente stilizzato, il colore, la posizione e le dimensioni dell’elemento figurativo saranno tali da distogliere l’attenzione del pubblico di riferimento dall’elemento denominativo, posto nella parte inferiore del marchio richiesto. I ricorrenti possono pertanto legittimamente sostenere, in sostanza, che l’elemento figurativo del marchio richiesto è almeno tanto distintivo quanto gli elementi denominativi di tale marchio, considerati nel loro insieme.

41      Da quanto precede risulta che, conformemente alla giurisprudenza citata ai punti 26 e 27 supra, la valutazione della somiglianza tra i segni di cui trattasi non può essere effettuata attribuendo, come ha sostanzialmente fatto la commissione di ricorso, maggior peso all’elemento denominativo rispetto all’elemento figurativo del marchio richiesto.

 Sulla somiglianza visiva

42      Per quanto attiene alla comparazione sul piano visivo, occorre ricordare, anzitutto, che nulla osta a che sia verificata la sussistenza di una somiglianza visiva tra un marchio denominativo e un marchio figurativo, dato che questi due tipi di marchi hanno una configurazione grafica che può dar luogo a un’impressione visiva [v. sentenza del 4 maggio 2005, Chum/UAMI – Star TV (STAR TV), T‑359/02, EU:T:2005:156, punto 43 e giurisprudenza ivi citata].

43      La commissione di ricorso, al punto 17 della decisione impugnata, ha considerato che sussisteva un grado medio di somiglianza visiva tra i segni, in quanto l’elemento denominativo «chiara» del marchio anteriore coincideva con il primo dei due elementi denominativi del marchio richiesto, su cui i consumatori tendevano a concentrarsi.

44      I ricorrenti contestano la valutazione della commissione di ricorso e ritengono che essa avrebbe dovuto concludere, al massimo, per un debole grado di somiglianza visiva. In primo luogo, essi sostengono che la commissione di ricorso, effettuando la comparazione visiva, non ha attribuito all’elemento figurativo la dovuta rilevanza. Infatti, la circostanza che il marchio anteriore sia contenuto interamente nel primo elemento denominativo del marchio richiesto non avrebbe alcuna incidenza sul piano visivo, in quanto, secondo i ricorrenti, l’elemento figurativo è dominante e distintivo rispetto a quello denominativo o, «al limite di identica valenza rispetto a quest’ultimo». In secondo luogo, indipendentemente dall’elemento figurativo, gli elementi denominativi dei due segni differiscono in quanto il marchio denominativo anteriore è composto da una sola parola e il marchio richiesto da due.

45      L’EUIPO, in sostanza, sottoscrive pienamente l’analisi della commissione di ricorso e contesta gli argomenti dei ricorrenti.

46      In via preliminare, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, il fatto che un marchio sia costituito esclusivamente dal marchio anteriore, al quale viene aggiunta un’altra parola, rappresenta un indizio della somiglianza tra questi due marchi [v. sentenza del 19 ottobre 2017, Aldi/EUIPO – Sky (SKYLITe), T‑736/15, non pubblicata, EU:T:2017:729 punto 91 e giurisprudenza ivi citata]. Poiché il marchio anteriore è ripreso interamente nel marchio richiesto, non si può addebitare alla commissione di ricorso di essersi basata su detta giurisprudenza per concludere che i segni in conflitto erano simili. Tuttavia, occorre esaminare se il grado di una siffatta somiglianza possa essere considerato medio, come rileva la commissione di ricorso, o «al massimo» debole, come sostengono i ricorrenti.

47      A tale riguardo, anzitutto, si deve ricordare che, come constatato ai punti 38 e 40 supra, l’elemento figurativo del marchio richiesto occupa una posizione tanto distintiva quanto quella occupata dagli elementi denominativi di tale marchio, considerati nel loro insieme. Pertanto, come rilevato dai ricorrenti, l’elemento figurativo ha un impatto significativo sull’impressione visiva globale.

48      Inoltre, anche senza tener conto di tale elemento figurativo, si deve constatare, da un lato, che il marchio richiesto è costituito da due elementi denominativi, contro uno solo per il marchio denominativo anteriore, e dall’altro, che l’elemento denominativo «ferragni» è più lungo rispetto a «chiara» (otto lettere contro sei). Pertanto, a livello visivo, l’elemento di differenziazione «ferragni» è più importante rispetto all’elemento di somiglianza «chiara».

49      Da quanto precede risulta che la commissione di ricorso avrebbe dovuto concludere, tutt’al più, nel senso di un debole grado di somiglianza visiva, in particolare a causa della presenza, nel marchio richiesto, dell’elemento figurativo, che ha un impatto significativo sull’impressione visiva complessiva prodotta da tale marchio.

50      Detta conclusione non può essere inficiata dagli argomenti dedotti dall’EUIPO.

51      In primo luogo, l’EUIPO sostiene che il pubblico generalmente presta maggiore attenzione alla parte iniziale di un segno piuttosto che a quella finale. Orbene, nonostante, in linea di principio, la parte iniziale dei marchi denominativi possa attirare maggiormente l’attenzione del consumatore rispetto alle parti seguenti, ciò non può valere in tutti i casi e non può comunque rimettere in discussione il principio secondo cui l’esame della somiglianza tra i marchi deve tenere conto dell’impressione complessiva da essi prodotta, dato che il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non ne esamina i vari dettagli [v. sentenza del 10 dicembre 2008, Giorgio Beverly Hills/UAMI – WHG (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑228/06, non pubblicata, EU:T:2008:558, punto 28 e giurisprudenza ivi citata]. Nel caso di specie, data la notevole influenza esercitata dall’elemento figurativo del marchio richiesto sull’impressione complessiva prodotta da tale marchio, il fatto che l’elemento denominativo «chiara» sia posto prima dell’elemento denominativo «ferragni» non può rimettere in discussione la constatazione di una somiglianza visiva che può tutt’al più essere qualificata come debole.

52      In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento dell’EUIPO secondo cui il nome Chiara non ha alcun valore semantico per il pubblico di riferimento, il quale, al massimo, lo percepirà come un nome «esotic[o]», occorre rilevare che la menzionata constatazione non è tale da compensare il fatto che la somiglianza visiva tra i marchi in conflitto può tutt’al più essere qualificata come debole.

53      Da quanto precede risulta che, sebbene l’elemento denominativo «chiara» sia presente in entrambi i segni in conflitto, nel loro insieme, questi ultimi presentano soltanto una somiglianza, tutt’al più, debole sul piano visivo.

 Sulla somiglianza fonetica

54      La commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 18 della decisione impugnata, che i segni in conflitto fossero simili foneticamente ad un livello al di sopra della media. Più precisamente, essa ha considerato che, tenuto conto del fatto che l’elemento figurativo non sarà pronunciato, le prime tre sillabe del marchio richiesto («chi», «a», «ra», «fe», «rra» e «gni»), erano identiche al marchio anteriore con tre sillabe («chi», «a» e «ra») e che il consumatore si concentrerà su tale identico inizio.

55      I ricorrenti sostengono che la somiglianza fonetica tra i segni avrebbe dovuto essere qualificata come «tenue» e non come «superiore alla media», come ha fatto la commissione di ricorso. Infatti, i segni in conflitto avrebbero in comune solo due sillabe su cinque, vale a dire le sillabe «chia» e «ra», nonché sei lettere su quattordici. Di conseguenza, l’elemento denominativo «ferragni» contribuirebbe in modo significativo all’impressione fonetica complessiva prodotta dal marchio richiesto.

56      L’EUIPO contesta tale argomento, basandosi in particolare sulla constatazione, da un lato, che la pronuncia della parola «chiara» sarà identica in entrambi i segni e, dall’altro, che l’attenzione del consumatore si rivolge sull’inizio della parola e che ciò vale anche per la sua pronuncia.

57      In primo luogo, occorre osservare che il marchio anteriore è costituito da un unico elemento, formato – per il pubblico di riferimento – dalle tre sillabe «chi», «a» e «ra», mentre il marchio richiesto consta di due elementi, rappresentanti un totale di sei sillabe, vale a dire «chi», «a», «ra», «fer», «ra», «gni». Così, le sei sillabe formate dal marchio richiesto si distinguono per lunghezza, ritmo e accentuazione dalle tre sillabe che compongono il marchio anteriore esaminato [v., in tal senso, sentenza del 18 settembre 2017, Codorníu/EUIPO – Bodegas Altun (ANA DE ALTUN), T‑86/16, non pubblicata, EU:T:2017:627, punto 43]. A tale riguardo, si deve anche constatare che l’elemento di differenziazione «ferragni», per la sua lunghezza, è foneticamente più importante rispetto all’elemento di somiglianza «chiara».

58      In secondo luogo, occorre constatare che, giacché l’elemento denominativo «chiara» non appare dominante nel marchio richiesto (v. punti da 36 a 41 supra), non si può presumere che l’elemento denominativo «ferragni» non sarà pronunciato. Al contrario, la parola «ferragni» contiene lo stesso numero di sillabe della parola «chiara» e contribuisce in modo rilevante all’impressione fonetica complessiva prodotta da tale marchio. Pertanto, le differenze sul piano fonetico tra i marchi in conflitto appaiono almeno altrettanto significative che le loro somiglianze.

59      In terzo luogo, occorre notare, come rilevato dall’EUIPO, che, di regola, l’attenzione del consumatore si dirige soprattutto sulla parte iniziale della parola [sentenza del 17 marzo 2004, El Corte Inglés/UAMI – González Cabello e Iberia Líneas Aéreas de España (MUNDICOR), T‑183/02 e T‑184/02, EU:T:2004:79, punto 83]. La circostanza che l’elemento denominativo «chiara», che costituisce il marchio anteriore, compaia prima dell’elemento denominativo «ferragni» nel marchio richiesto potrebbe pertanto effettivamente costituire un indizio di una certa somiglianza fonetica [v., in tal senso, sentenza del 27 settembre 2012, Tuzzi fashion/UAMI – El Corte Inglés (Emidio Tucci), T‑535/08, non pubblicata, EU:T:2012:495, punto 56].

60      Tuttavia, tale circostanza non è decisiva nel caso di specie e non può portare a qualificare il grado di somiglianza fonetica tra i marchi in esame «ad un livello al di sopra della media». È infatti usuale, per i nomi di persone, indicare prima il nome e poi il cognome. Se al fatto che il nome figura per primo fosse attribuita una grande importanza, ciò significherebbe quindi che sarebbe conferita un’importanza eccessiva al nome. Non si può tuttavia affermare che, nel caso di un marchio composto da un nome seguito da un cognome, relativamente al quale la commissione di ricorso ha ritenuto che sarà percepito come raro o «esotic[o]» nel Benelux, il pubblico attribuisce normalmente maggiore importanza al nome piuttosto che al cognome [v., per analogia, sentenza del 3 giugno 2015, Giovanni Cosmetics/UAMI – Vasconcelos & Gonçalves (GIOVANNI GALLI), T‑559/13, EU:T:2015:353, punti 43, 80 e 81 (non pubblicati)].

61      Da quanto precede risulta che, sul piano fonetico, a causa dell’elemento comune «chiara», i segni in conflitto presentano un grado di somiglianza. Tuttavia, stante l’elemento «ferragni» e le lettere «i» rappresentate in grassetto, tale grado di somiglianza non può essere qualificato come «superiore alla media», bensì piuttosto come «medio» o addirittura «tenue».

 Sulla somiglianza concettuale

62      La commissione di ricorso, al punto 19 della decisione impugnata, ha osservato che, dal punto di vista concettuale, «poiché nessuno dei marchi in conflitto ha un significato, il confronto resta[va] neutrale», precisando che ciò valeva «indipendentemente dal fatto che i marchi [siano o meno] percepiti come nomi, [dato che] un nome non è un concetto».

63      I ricorrenti contestano la valutazione della commissione di ricorso, sostenendo che il marchio richiesto gode di notorietà e possiede un contenuto semantico chiaro e preciso, di cui il marchio denominativo anteriore è privo. Essi sostengono infatti che le parole «chiara» e «ferragni» corrispondono al nome e al cognome della blogger di moda Chiara Ferragni, conosciuta in tutto il mondo come una persona influente nel campo della moda e nota già al momento del deposito del marchio richiesto. A sostegno di tale argomento, i ricorrenti hanno presentato dinanzi alla commissione di ricorso una serie di documenti consistenti, in particolare, in un estratto di Wikipedia, in una copia del profilo Instagram della sig.ra Chiara Ferragni e in numerosi estratti di pubblicazioni nel settore della moda in diversi paesi.

64      L’EUIPO contesta gli argomenti dei ricorrenti, ritenendo che la documentazione da essi prodotta fosse insufficiente per dimostrare che il nome Chiara Ferragni era ampiamente conosciuto dal pubblico interessato nei paesi del Benelux.

65      In primo luogo, per quanto concerne il confronto tra gli elementi denominativi dei segni in conflitto, occorre ricordare che la commissione di ricorso ha concluso che il pubblico di riferimento potrebbe percepire il nome Chiara Ferragni come «[nomi o parole] “esotic[i]” (…) senza alcun significato specifico» (v. punto 52 supra).

66      A tale riguardo, si deve rilevare che, anzitutto, per la parte del pubblico di riferimento nel territorio del Benelux che non identificherebbe la parola «chiara» del marchio denominativo anteriore come un nome femminile, gli elementi denominativi dei segni in conflitto sarebbero privi di significato concettuale e non potrebbero quindi essere considerati simili sotto il profilo concettuale.

67      Inoltre, quanto alla parte del pubblico di riferimento che assocerebbe il marchio anteriore Chiara a un nome femminile, si deve constatare che questa stessa parte del pubblico di riferimento assocerebbe parimenti il marchio richiesto Chiara Ferragni a un nome femminile e a un cognome.

68      Orbene, nonostante sia vero che i marchi in conflitto si riferiscono entrambi al nome femminile Chiara, occorre rilevare che, nel caso di specie, una somiglianza concettuale non può essere dedotta dalla semplice constatazione che i due marchi contengono lo stesso nome. Infatti il marchio richiesto identifica e contraddistingue una determinata persona, vale a dire una persona appartenente alla famiglia Ferragni, mentre il marchio anteriore si riferisce soltanto a un nome senza individuare una persona specifica (v., in tal senso, sentenza del 18 settembre 2017, ANA DE ALTUN, T‑86/16, non pubblicata, EU:T:2017:627, punto 55).

69      A tale riguardo, pur potendo certamente accadere che in una parte dell’Unione europea il cognome abbia, in generale, un carattere maggiormente distintivo rispetto al nome, occorre tuttavia prendere in considerazione gli elementi propri del caso di specie e, in particolare, la circostanza che il cognome di cui trattasi sia raro o, invece, molto comune, perché essa può influire su detto carattere distintivo, nonché l’eventuale notorietà della persona che chiede che il suo nome e cognome, congiuntamente, siano registrati come marchio [sentenze del 24 giugno 2010, Becker/Harman International Industries, C‑51/09 P, EU:C:2010:368, punto 36, e del 5 ottobre 2011, Cooperativa Vitivinícola Arousana/UAMI – Sotelo Ares (ROSALIA DE CASTRO), T‑421/10, non pubblicata, EU:T:2011:565, punto 50].

70      Nel caso di specie, occorre rilevare che è pacifico tra le parti che il cognome Ferragni è un cognome inusuale nel territorio del Benelux, e più raro del nome Chiara che, come rileva l’EUIPO, sarà percepito come un nome italiano usuale dal pubblico di riferimento, in quanto tale nome sarà noto nelle varie versioni linguistiche locali, come quella francese (Claire) o tedesca (Klara). Pertanto, sebbene i due segni contengano entrambi il nome Chiara, l’elemento «ferragni» sarà memorizzato dal consumatore come elemento maggiormente distintivo rispetto al nome Chiara [v., in tal senso, sentenza del 20 febbraio 2013, Caventa/UAMI – Anson’s Herrenhaus (BERG), T‑224/11, non pubblicata, EU:T:2013:81, punto 52].

71      Peraltro, anche supponendo che il consumatore sia abituato a una prassi nel settore dei prodotti in questione consistente nel commercializzare prodotti non solo con una combinazione di un nome e di un cognome, ma anche con tale nome o con tale cognome singolarmente, ciò non significherebbe che il pubblico attribuisce sempre una stessa origine commerciale a tutti i prodotti in questione commercializzati con marchi contenenti lo stesso nome [v., per analogia, sentenza del 3 giugno 2015, GIOVANNI GALLI, T‑559/13, EU:T:2015:353, punti 121 e 125 (non pubblicati)].

72      Orbene, nel caso di specie, gli elementi del fascicolo non consentono di concludere che il consumatore che riconoscerebbe il termine Chiara come un nome percepirebbe con un sufficiente grado di probabilità il marchio denominativo anteriore come appartenente alla stessa famiglia di creatori dei prodotti in questione, vale a dire la famiglia Ferragni. Ne consegue che, anche nel caso di tale consumatore, i segni in conflitto non possono essere considerati simili sotto il profilo concettuale.

73      In secondo luogo, si deve constatare che il marchio richiesto contiene il disegno di un occhio, che presenta un contenuto semantico molto preciso, mentre il marchio anteriore non contiene alcun riferimento al concetto di un occhio. Pertanto, i segni non possono essere considerati simili sotto il profilo concettuale, a causa degli elementi figurativi.

74      Da quanto precede risulta che i segni in conflitto sono diversi sotto il profilo concettuale. La commissione di ricorso ha dunque avuto torto nel ritenere, al punto 19 della decisione impugnata, che il confronto tra i marchi in conflitto dovesse essere ritenuto «neutrale» dal punto di vista concettuale.

75      In simili circostanze, non è più necessario esaminare l’argomento dei ricorrenti sotto il profilo della questione di stabilire se la documentazione prodotta dai ricorrenti fosse sufficiente a dimostrare che il nome Chiara Ferragni era ampiamente conosciuto dal pubblico di riferimento nei paesi del Benelux.

76      Dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che, nella percezione del pubblico di riferimento, i segni in conflitto sono, tutt’al più, debolmente simili sul piano visivo, mediamente simili sul piano fonetico e distinti sul piano concettuale.

 Sul rischio di confusione

77      La valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori presi in considerazione e, in particolare, tra la somiglianza tra i marchi e quella tra i prodotti o i servizi designati. Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa [sentenze del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, punto 17, e del 14 dicembre 2006, Mast-Jägermeister/UAMI – Licorera Zacapaneca (VENADO con riquadro e a.), T‑81/03, T‑82/03 e T‑103/03, EU:T:2006:397, punto 74].

78      Nel caso di specie, ai punti da 25 a 28 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha concluso che, tenuto conto dell’identità e della somiglianza tra i prodotti in conflitto, della somiglianza visiva media e della somiglianza fonetica dei segni controversi superiore alla media, nonché del livello di attenzione medio del pubblico di riferimento e del carattere distintivo normale del marchio anteriore, sussisteva un rischio che una parte del pubblico di riferimento confondesse i marchi in conflitto. Infine, la commissione di ricorso ha respinto l’argomento dei ricorrenti secondo cui i marchi presentavano solo un debole grado di somiglianza visiva e la percezione visiva dei marchi avrebbe un ruolo maggiormente importante nella valutazione globale del rischio di confusione, rilevando che la somiglianza visiva tra i marchi non era debole, bensì media, e che comunque l’impressione fonetica non può essere trascurata per prodotti che sono generalmente acquistati a vista.

79      I ricorrenti contestano tale analisi, sostenendo che la commissione di ricorso si basa su una comparazione tra i segni erronea. Infatti il debole grado di somiglianza visiva, il livello di somiglianza fonetica tutt’al più medio e il contenuto semantico chiaro e preciso del marchio richiesto impedirebbero qualsiasi rischio di confusione tra i marchi in esame. Più precisamente, da un lato, la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto del fatto che l’impressione visiva dei marchi in questione aveva un’importanza maggiore nell’ambito della valutazione del rischio di confusione, dato che i prodotti di cui trattasi erano generalmente oggetto di un esame visivo e generalmente venivano provati prima dell’acquisto. Dall’altro, il fatto che, sotto il profilo concettuale, il marchio richiesto ha un significato preciso, dato che esso si riferisce a una persona specifica che gode di una certa notorietà, incide sul bilancio degli altri due elementi di somiglianza (visiva e fonetica) riducendo l’impatto e annullando, o riducendo al minimo, la somiglianza tra i marchi in questione.

80      L’EUIPO contesta tale argomento.

81      In primo luogo, per quanto riguarda l’asserita maggiore importanza dell’impressione visiva dei marchi rispetto all’impressione fonetica, occorre anzitutto rilevare che dall’analisi della somiglianza tra i segni in conflitto risulta che i ricorrenti hanno ragione nel contestare il fatto che la somiglianza visiva sia stata qualificata come media e la somiglianza fonetica come sopra la media. Come concluso supra, i marchi in conflitto presentano una somiglianza tutt’al più debole sul piano visivo e media sul piano fonetico. Occorre esaminare se tali errori commessi dalla commissione di ricorso abbiano potuto avere un’influenza determinante sulle conclusioni relative alla valutazione del rischio di confusione.

82      A tale riguardo, si deve ricordare che, anzitutto, nella valutazione globale del rischio di confusione gli aspetti visivo, fonetico o concettuale dei segni in conflitto non hanno sempre lo stesso valore. L’importanza degli elementi di somiglianza o di differenza tra i segni può dipendere, in particolare, dalle condizioni di commercializzazione dei prodotti o dei servizi contrassegnati dai marchi in conflitto. Occorre quindi analizzare le condizioni obiettive nelle quali i marchi possono presentarsi sul mercato [sentenze del 6 ottobre 2004, New Look/UAMI – Naulover (NLSPORT, NLJEANS, NLACTIVE e NLCollection), da T‑117/03 a T‑119/03 e T‑171/03, EU:T:2004:293, punto 49, e del 14 gennaio 2016, The Cookware Company/UAMI – Fissler (VITA+VERDE), T‑535/14, non pubblicata, EU:T:2016:2, punto 63].

83      Nel caso di specie, i prodotti delle classi 18 e 25 sono generalmente venduti in negozi self-service, di modo che la somiglianza visiva svolge un ruolo molto importante nella valutazione globale del rischio di confusione [v., in tal senso, sentenze del 6 ottobre 2004, NLSPORT, NLJEANS, NLACTIVE e NLCollection, da T‑117/03 a T‑119/03 e T‑171/03, EU:T:2004:293, punto 50, e del 19 giugno 2012, H.Eich/UAMI – Arav (H.EICH), T‑557/10, non pubblicata, EU:T:2012:309, punto 76]. Peraltro, anche se il consumatore si fa aiutare da un venditore, avrà la possibilità di vedere i prodotti prima dell’acquisto. La presenza del disegno raffigurante un occhio azzurro con lunghe ciglia nere nel marchio richiesto non potrà dunque sfuggire alla sua attenzione [v., in tal senso, sentenza del 3 giugno 2015, GIOVANNI GALLI, T‑559/13, EU:T:2015:353, punto 130 (non pubblicata)]. Pertanto, tenuto conto del metodo di acquisto di tali prodotti, il confronto visivo tra i segni deve prevalere [sentenza del 14 luglio 2016, Modas Cristal/EUIPO – Zorlu Tekstil Ürünleri Pazarlama (KRISTAL), T‑345/15, non pubblicata, EU:T:2016:405, punto 100].

84      Ne risulta che, avendo erroneamente concluso nel senso di un grado medio di somiglianza visiva e non avendo attribuito sufficiente importanza all’impressione visiva dei marchi, e in particolare all’elemento figurativo del marchio richiesto, la commissione di ricorso ha commesso un errore di valutazione del rischio di confusione.

85      Di conseguenza, le differenze tra i marchi in conflitto, in particolare sotto il profilo visivo, escludono nel caso di specie che i consumatori possano pensare che i prodotti in questione provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate quando sono venduti con i marchi in conflitto.

86      Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve concludere – senza che sia necessario esaminare l’argomento dei ricorrenti secondo cui il marchio richiesto è dotato di un contenuto semantico chiaro e preciso che dovrebbe controbilanciare la debole somiglianza visiva e fonetica – che, nonostante l’esistenza di un’identità o di una somiglianza tra i prodotti in questione, le differenze tra i segni esaminati, in particolare sotto il profilo visivo, costituiscono motivi sufficienti per escludere la sussistenza di un rischio di confusione nella percezione del pubblico di riferimento. La commissione di ricorso ha pertanto commesso un errore nel confermare la decisione della divisione di opposizione che constata la sussistenza di un rischio di confusione tra i due segni in esame per quanto riguarda i prodotti designati dal marchio richiesto rientranti nelle classi 18 e 25 (v. punto 8 supra).

87      Occorre pertanto accogliere il motivo unico dei ricorrenti e annullare la decisione impugnata, senza che sia necessario pronunciarsi sull’argomento dei ricorrenti vertente sull’anteriorità, rispetto al marchio Benelux denominativo anteriore Chiara, del marchio denominativo dell’Unione europea anteriore CHIARA FERRAGNI, di cui i ricorrenti sono titolari.

 Sulle spese

88      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

89      Poiché i ricorrenti ne hanno fatto domanda, l’EUIPO, rimasto soccombente, deve essere condannato alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione della quarta commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), del 17 luglio 2017 (procedimento R 2444/20164), è annullata.

2)      L’EUIPO è condannato a farsi carico, oltre che delle proprie spese, anche di quelle della Serendipity Srl e dei sigg. Giuseppe Morgese e Pasquale Morgese.

Kanninen

Schwarcz

Iliopoulos

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’8 febbraio 2019.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon

 

       H. Kanninen


*      Lingua processuale: l’italiano.