Language of document : ECLI:EU:T:2013:372

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

11 luglio 2013 (*)

«Marchio comunitario – Procedimento di dichiarazione di nullità – Marchio comunitario denominativo GRUPPO SALINI – Malafede – Articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009»

Nella causa T‑321/10,

SA.PAR. Srl, con sede a Roma, rappresentata da A. Masetti Zannini de Concina, M. Bussoletti e G. Petrocchi, avvocati,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato da. G. Mannucci e P. Bullock, in qualità di agenti,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI, interveniente dinanzi al Tribunale:

Salini Costruttori SpA, con sede a Roma, rappresentata da C. Bellomunno e S. Troilo, avvocati,

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della prima commissione di ricorso dell’UAMI del 21 aprile 2010 (procedimento R 219/2009‑1), relativa a un procedimento di dichiarazione di nullità tra la Salini Costruttori SpA e la SA.PAR. Srl,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione),

composto da H. Kanninen, presidente, S. Soldevila Fragoso e G. Berardis (relatore), giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

visto il ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 4 agosto 2010,

visto il controricorso dell’UAMI depositato nella cancelleria del Tribunale il 18 novembre 2010,

visto il controricorso dell’interveniente depositato nella cancelleria del Tribunale il 15 novembre 2010,

in seguito all’udienza del 19 aprile 2013,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 12 maggio 2004 la SA.PAR. Srl, ricorrente, presentava una domanda di registrazione di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), ai sensi del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio del quale veniva chiesta la registrazione è il segno denominativo GRUPPO SALINI.

3        I servizi per i quali veniva chiesta la registrazione rientrano nelle classi 36, 37 e 42 ai sensi dell’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

–        classe 36: «Assicurazioni; affari finanziari; affari monetari; affari immobiliari»;

–        classe 37: «Costruzioni edili; riparazione; servizi d’installazione»;

–        classe 42: «Servizi scientifici e tecnologici e servizi di ricerca e progettazione ad essi relativi; servizi di analisi e ricerche industriali; progettazione e sviluppo di hardware e software per computer; servizi legali».

4        La domanda di marchio veniva pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 7/2005, del 14 febbraio 2005. Il marchio veniva registrato il 12 settembre 2005 con il n. 3831161.

5        Il 5 ottobre 2007 la Salini Costruttori SpA, interveniente, depositava presso l’UAMI una domanda diretta a far dichiarare la nullità del marchio controverso con riguardo a tutti i servizi per i quali lo stesso era stato registrato. I motivi di nullità lamentati a sostegno di tale domanda erano quelli attinenti, in primo luogo, all’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94 [divenuto articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009], in secondo luogo, all’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94 [divenuto articolo 53, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009], in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009], e, in terzo luogo, all’articolo 52, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 40/94 [divenuto articolo 53, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009], in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 40/94 (divenuto articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009). A sostegno di tale domanda, l’interveniente rivendicava il segno SALINI utilizzato in Italia e notoriamente conosciuto per contraddistinguere i servizi «affari immobiliari; costruzioni edili; riparazione; servizi d’installazione; servizi di progettazione».

6        Il 17 dicembre 2008 la divisione di annullamento respingeva integralmente la domanda di dichiarazione di nullità. In particolare, nella parte in cui la domanda si fondava sull’articolo 52, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 40/94, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 4, del medesimo regolamento, la divisione di annullamento riteneva che la documentazione prodotta dall’interveniente non fosse sufficiente a dimostrare l’esistenza di un «preuso» del segno denominativo SALINI. Nella parte in cui la domanda si fondava sull’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento, la divisione di annullamento rilevava che l’interveniente aveva prodotto a sostegno di tale motivo la stessa documentazione presentata a sostegno del motivo precedente e giungeva alla conclusione che il segno dell’interveniente non aveva raggiunto il grado minimo richiesto di conoscenza del marchio. Infine, nella parte in cui la domanda si fondava sull’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), di detto regolamento, la divisione di annullamento riteneva, in sostanza, che l’interveniente non fosse stata in grado di apportare la prova della malafede della ricorrente.

7        Il 9 febbraio 2009 l’interveniente proponeva ricorso dinanzi all’UAMI avverso la decisione della divisione di annullamento, ai sensi degli articoli da 57 a 62 del regolamento n. 40/94 (divenuti articoli da 58 a 64 del regolamento n. 207/2009).

8        Con decisione del 21 aprile 2010 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’UAMI accoglieva tale ricorso annullando la decisione della divisione di annullamento e dichiarando nullo il marchio comunitario controverso.

9        In primo luogo, la commissione di ricorso affermava che, tenendo conto del fatto che nel caso di specie si trattava di attività imprenditoriali dirette alla realizzazione di grandi opere d’ingegneria, la divisione di annullamento aveva commesso un errore nel ritenere che le prove fornite dall’interveniente per dimostrare un uso tale da conferire una notorietà generale in Italia al segno SALINI fossero insufficienti. A suo avviso, il pubblico cui si rivolgono tali servizi è costituito dai committenti delle opere, ossia enti pubblici o clienti privati nell’ambito di gare d’appalto. Pertanto, la semplice dimostrazione che le opere sono state realizzate proverebbe che tale pubblico ha avuto occasione di vedere il segno dell’interveniente. I documenti versati agli atti dall’interveniente, inclusi quelli prodotti dinanzi alla commissione di ricorso e da questa dichiarati ammissibili, proverebbero sufficientemente che il cognome «Salini» è stato utilizzato quale marchio dall’interveniente nell’ambito delle sue attività d’impresa e che detto marchio era notoriamente conosciuto in Italia ai sensi dell’articolo 6 bis della Convenzione di Parigi del 20 marzo 1883 per la protezione della proprietà industriale, come riveduta e modificata. Tuttavia, la commissione di ricorso riteneva che le prove dimostrassero l’uso del segno soltanto per una parte dei servizi rivendicati, mentre l’uso non sarebbe stato provato per i servizi «assicurazioni; affari finanziari; affari monetari; affari immobiliari».

10      In secondo luogo, per quanto riguarda il rischio di confusione tra il segno anteriore SALINI, da solo o abbinato al termine «costruttori», ed il marchio comunitario contestato GRUPPO SALINI, la commissione di ricorso, dopo aver considerato l’elemento comune «salini» come dominante ed i termini «gruppo» e «costruttori» come elementi descrittivi e generici, giungeva alla conclusione che sarebbe sussistito un rischio di confusione tra i segni in conflitto per il pubblico di riferimento se fossero stati usati per contraddistinguere servizi e attività identici o simili, in particolare per i servizi «costruzioni edili; riparazione; servizi d’installazione», appartenenti alla classe 37, e per i «servizi scientifici e tecnologici e servizi di ricerca e progettazione ad essi relativi; servizi di analisi e ricerche industriali», appartenenti alla classe 42. Escludeva invece qualsiasi rischio di confusione per i servizi «assicurazioni, affari finanziari, affari monetari, affari immobiliari», appartenenti alla classe 36, e per i servizi «progettazione e sviluppo di hardware e software per computer; servizi legali», anch’essi appartenenti alla classe 42.

11      In terzo luogo, dopo aver precisato che il richiedente un marchio può essere considerato in malafede quando deposita una domanda di marchio nella consapevolezza di arrecare un danno ad un terzo e che quel danno è la conseguenza di un comportamento riprovevole dal punto di vista morale e commerciale, la commissione di ricorso riteneva che, nel caso di specie, l’interveniente avesse fornito la prova di siffatta malafede della ricorrente. Più in particolare, secondo la commissione di ricorso, la malafede era stata dimostrata dal fatto che, alla data del deposito della domanda di marchio: 

–        la ricorrente deteneva un’importante partecipazione nel capitale dell’interveniente e i suoi amministratori erano membri del consiglio di amministrazione di quest’ultima;

–        la ricorrente non poteva pertanto ignorare l’esistenza del segno SALINI ed il suo uso da parte dell’interveniente e, di conseguenza, il fatto di agire in violazione dei diritti di quest’ultima;

–        esisteva un contenzioso tra l’interveniente e la ricorrente, il quale confermava l’intenzione da parte di quest’ultima di usurpare i diritti dell’interveniente sul segno anteriore.

 Conclusioni delle parti

12       La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’UAMI alle spese, comprese quelle del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso.

13       La Commissione e l’interveniente chiedono che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–         condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

14      A sostegno del ricorso, la ricorrente deduce tre motivi vertenti, rispettivamente, sulla violazione dell’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 2, lettera c), dello stesso regolamento, sulla violazione dell’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), di detto regolamento, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 2, lettera b), del medesimo regolamento, e sulla violazione dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), di detto regolamento. Nell’ambito di tali motivi, la ricorrente deduce altresì, unitamente alla violazione di dette disposizioni, un difetto di motivazione.

15      Il Tribunale esaminerà anzitutto il terzo motivo, con il quale la ricorrente addebita sostanzialmente alla commissione di ricorso di aver commesso un errore di diritto per essere giunta alla conclusione che essa aveva agito in malafede quando aveva depositato presso l’UAMI una domanda diretta a far registrare il marchio contestato come marchio comunitario. La commissione di ricorso avrebbe fondato la sua conclusione in merito all’esistenza della malafede da parte della ricorrente esclusivamente sui rapporti intercorrenti tra i suoi dirigenti e quelli dell’interveniente nonché sul contenzioso che le vede opposte dinanzi ai giudici italiani, senza argomentare o suffragare con elementi di prova la presunta conoscenza del danno che essa avrebbe arrecato all’interveniente.

16       L’UAMI e l’interveniente contestano l’argomentazione della ricorrente.

17      Occorre rammentare, innanzi tutto, che il sistema di registrazione del marchio comunitario riposa sul principio del «primo depositante», sancito all’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009. In forza di tale principio, un marchio può essere registrato come marchio comunitario soltanto nei limiti in cui non vi osti un marchio anteriore, che si tratti di un marchio comunitario, di un marchio registrato in uno Stato membro o dall’ufficio del Benelux per la proprietà intellettuale, di un marchio oggetto di registrazione internazionale con effetto in uno Stato membro o, ancora, di un marchio oggetto di registrazione internazionale con effetto nell’Unione. Per contro, fatta salva l’eventuale applicazione dell’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009, il solo fatto che un terzo utilizzi un marchio non registrato non osta a che un marchio identico o simile sia registrato come marchio comunitario, per prodotti o servizi identici o simili [sentenze del Tribunale del 14 febbraio 2012, Peeters Landbouwmachines/UAMI – Fors MW (BIGAB), T‑33/11, punto 16, e del 21 marzo 2012, Feng Shen Technology/UAMI – Majtczak (FS), T‑227/09, punto 31].

18      L’applicazione di tale principio è temperata, in particolare, dall’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, ai sensi del quale un marchio comunitario è dichiarato nullo, su domanda presentata all’UAMI o su domanda riconvenzionale nell’ambito di un’azione per contraffazione, qualora al momento del deposito della domanda di marchio il richiedente abbia agito in malafede. Spetta al richiedente la declaratoria di nullità che intende fondarsi su tale motivo dimostrare le circostanze che consentono di pervenire alla conclusione che il titolare di un marchio comunitario era in malafede al momento del deposito della domanda di registrazione di quest’ultimo (sentenze BIGAB, punto 17 supra, punto 17, e FS, punto 17 supra, punto 32).

19      Il concetto di malafede, di cui all’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, come osservato dall’avvocato generale Sharpston nelle conclusioni relative alla sentenza della Corte dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, Racc. pagg. I‑4893, I‑4896; in prosieguo: la «sentenza Lindt Goldhase»), non è quindi né definito né delineato né delimitato e neppure descritto in alcun modo nella legislazione dell’Unione.

20      A questo riguardo va osservato che, nella sentenza Lindt Goldhase, punto 19 supra, la Corte, investita di una questione pregiudiziale, ha apportato molte precisazioni riguardo alle modalità occorrenti all’interpretazione del concetto di malafede di cui all’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

21      Secondo la Corte, ai fini della valutazione dell’esistenza della malafede del richiedente, ai sensi di tale disposizione, occorre prendere in considerazione tutti i fattori pertinenti propri del caso di specie ed esistenti al momento del deposito della domanda di registrazione di un segno come marchio comunitario e, in particolare, in primo luogo, il fatto che il richiedente sappia o debba sapere che un terzo utilizza, in almeno uno Stato membro, un segno identico o simile per un prodotto o servizio identico o simile e confondibile con il segno di cui viene chiesta la registrazione, in secondo luogo, l’intenzione del richiedente di impedire a detto terzo di continuare a utilizzare un siffatto segno, nonché, in terzo luogo, il grado di tutela giuridica di cui godono il segno del terzo ed il segno di cui viene chiesta la registrazione (sentenza Lindt Goldhase, punto 19 supra, punto 53).

22      Ciò premesso, dalla formulazione adottata dalla Corte in detta sentenza deriva che i fattori ivi enumerati sono soltanto degli esempi tra un insieme di elementi che possono essere presi in considerazione al fine di decidere sull’eventuale malafede del richiedente la registrazione di un marchio al momento del deposito della domanda (sentenze del Tribunale BIGAB, punto 17 supra, punto 20, e del 13 dicembre 2012, pelicantravel.com/UAMI – Pelikan (Pelikan), T‑136/11, punto 26).

23      Occorre quindi considerare che, nell’ambito dell’analisi complessiva svolta ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, si può anche tenere conto della logica commerciale nella quale si inserisce il deposito della domanda di registrazione del segno come marchio comunitario (sentenza BIGAB, punto 17 supra, punto 21), così come della cronologia degli avvenimenti che hanno caratterizzato detto deposito (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte del 3 giugno 2010, Internetportal und Marketing, C‑569/08, Racc. pag. I‑4871, punto 52).

24      È segnatamente alla luce delle considerazioni che precedono, purché siano applicabili alla presente causa, che occorre verificare la legittimità della decisione impugnata, nella parte in cui la commissione di ricorso ha concluso per l’esistenza della malafede della ricorrente al momento del deposito della domanda del marchio contestato.

25      Nel caso di specie, si evince dal fascicolo, e non può essere plausibilmente contestato, che la ricorrente non poteva ignorare, se non addirittura sapeva, che l’interveniente usava da molto tempo, in Italia e all’estero, il segno SALINI, solo o abbinato al termine «costruttori», nell’edilizia e nella progettazione di grandi opere pubbliche d’infrastruttura, nella costruzione di edifici e nei servizi di progettazione nel settore del genio civile. Al riguardo occorre rilevare, alla stregua dell’UAMI, che la conoscenza che la ricorrente aveva della situazione commerciale e societaria dell’interveniente, compreso il fatto che, al momento del deposito della domanda di marchio, quest’ultima viveva una fase di netta espansione e stava accrescendo la sua notorietà e le sue quote di mercato tanto in Italia che all’estero, come si evince, in particolare, dai punti 31 e 35 della decisione impugnata, poteva essere considerata «qualificata», acquisita cioè da persone che non soltanto erano membri della famiglia Salini come i soci dell’interveniente, ma detenevano anche una quota molto importante del capitale sociale di quest’ultima o agivano all’interno della stessa partecipando ai suoi organi di gestione, come risulta anche dai punti da 70 a 72 della decisione impugnata. Per di più, è necessario rilevare che, considerati i posti di alto livello che taluni soci della ricorrente occupavano all’interno degli organi direttivi dell’interveniente o considerata la loro partecipazione al suo consiglio di amministrazione, questi si trovavano in una posizione tale da poter influire sulle scelte dell’interveniente, compresa quella dell’eventuale registrazione del segno che quest’ultima usava da lungo tempo. A tale proposito si evince in particolare dal fascicolo amministrativo presentato dinanzi all’UAMI che uno di detti soci, il sig. F.S.S., dal 2000 al 2003 è stato presidente del consiglio di amministrazione dell’interveniente.

26      Una simile conoscenza da parte del richiedente un marchio, per quanto «qualificata» come quella che la ricorrente aveva nel caso di specie, non è tuttavia sufficiente, di per sé, perché sia dimostrata l’esistenza della malafede di quest’ultima. Infatti, si deve prendere in considerazione anche l’intenzione del richiedente al momento del deposito della domanda di registrazione (sentenza Lindt Goldhase, punto 19 supra, punti 40 e 41).

27      Orbene, benché tale intenzione sia chiaramente un elemento soggettivo, essa va nondimeno determinata con riferimento alle circostanze oggettive del caso di specie (sentenza Lindt Goldhase, punto 19 supra, punto 42).

28      Pertanto, come osserva l’UAMI, per valutare la sua eventuale malafede, occorre esaminare le intenzioni del richiedente il marchio che possono essere dedotte dalle circostanze oggettive e dal suo operato concreto, dal ruolo o dalla posizione rivestita, dalla conoscenza che aveva dell’uso del segno anteriore, dalle relazioni di natura contrattuale, precontrattuale o post contrattuale che intratteneva con il richiedente la declaratoria di nullità, dall’esistenza di doveri o obblighi reciproci, inclusi quelli di lealtà e di correttezza scaturenti dall’aver ricoperto o dal ricoprire ancora cariche sociali o funzioni direttive all’interno dell’impresa del richiedente la declaratoria di nullità, e, più in generale, da tutte le situazioni oggettive di conflitto d’interessi in cui il richiedente il marchio si è trovato ad operare.

29      Emerge dalla decisione impugnata che, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, la commissione di ricorso non si è limitata a tener conto della conoscenza che quest’ultima aveva dell’uso del segno da parte dell’interveniente in forza della sua posizione privilegiata di azionista di quest’ultima, il che non è peraltro contestato dalla ricorrente, ma ha anche constatato la sua malafede fondandosi su un insieme di circostanze oggettive suscettibili di chiarire le sue intenzioni o quelle dei suoi dirigenti.

30      In primo luogo, come rammenta la giurisprudenza, la cronologia degli avvenimenti che hanno caratterizzato la sopravvenienza della registrazione del marchio contestato può costituire un elemento pertinente per la valutazione della malafede (v., in tal senso e per analogia, sentenza Internetportal und Marketing, punto 23 supra, punto 52). Nel caso in esame, il fatto che la ricorrente abbia chiesto la registrazione del marchio contestato, di cui non è stato dimostrato alcun utilizzo precedente, solamente qualche mese dopo l’inizio del contenzioso societario con l’interveniente e dopo che si era creata una fase di incertezza quanto ai suoi equilibri interni, merita una particolare attenzione, come giustamente rileva la commissione di ricorso al punto 74 della decisione impugnata, al fine di valutare l’eventuale esistenza di malafede da parte della ricorrente. Si evince peraltro dal fascicolo che, durante il periodo precedente il deposito della domanda di registrazione, l’interveniente ha aumentato significativamente il suo volume d’affari e la sua notorietà, al punto da essere annoverata fra i maggiori operatori del settore dell’ingegneria civile in Italia, come risulta dal punto 31 della decisione impugnata. Orbene, in forza della sua posizione di azionista in possesso di una rilevante partecipazione al capitale sociale dell’interveniente, la ricorrente non poteva ignorare il rischio di danno che le avrebbe fatto correre, registrando a suo nome un segno patronimico quasi identico a quello che l’interveniente usava da lungo tempo, nello stesso momento in cui quest’ultima viveva una fase di forte espansione negli ambienti interessati. 

31      In secondo luogo, il fatto che la ricorrente sapesse, o pretendesse di sapere, che l’interveniente non era interessata a registrare il segno patronimico SALINI, alla luce del particolare contesto fattuale appena descritto, amplificava il potenziale conflitto d’interessi in cui si trovava la ricorrente nei confronti dell’interveniente. Infatti, non si può escludere, ciò che peraltro nessuno degli elementi prodotti dalla ricorrente consente di fare, che l’interveniente avesse scelto di non registrare detto segno in considerazione della specificità del pubblico al quale essa offriva i propri servizi o addirittura in forza dell’asserito accordo tacito tra tutti i membri della famiglia Salini, la cui esistenza è stata richiamata dalla ricorrente, sull’uso del cognome nelle loro rispettive attività, ritenendo nondimeno di aver acquisito su tale segno distintivo una tutela giuridica e una notorietà a prescindere dalla sua registrazione. La commissione di ricorso ha quindi giustamente considerato, al punto 71 della decisione impugnata, che il fatto che la ricorrente, data la sua rilevante partecipazione nel capitale sociale dell’interveniente, avesse agito a nome proprio anziché a nome di quest’ultima era indice della sua malafede.

32      In terzo luogo, anche la natura del marchio richiesto può essere pertinente al fine della valutazione dell’esistenza di un comportamento in malafede (v., in tal senso, sentenza Lindt Goldhase, punto 19 supra, punto 50). A tal riguardo, il fatto di aver chiesto la registrazione di un marchio denominativo costituito semplicemente dal cognome «Salini» abbinato al termine «gruppo», il quale indica tradizionalmente la presenza di un insieme di imprese che operano sotto lo stesso nome, non soltanto non obbedisce ad alcuna logica commerciale, ma è anche tale da confermare l’intenzione di usurpare i diritti sul marchio dell’interveniente che, in quanto società madre di un gruppo di cui facevano parte, al momento della domanda di registrazione, varie imprese, sarebbe stata la sola a poter utilizzare eventualmente l’espressione «gruppo salini», così come si evince, in sostanza, dall’analisi svolta dalla commissione di ricorso ai punti 70 e 71 della decisione impugnata. Risulta, d’altra parte, dal fascicolo amministrativo depositato dinanzi all’UAMI che a tale espressione viene fatto riferimento, segnatamente, nel codice etico adottato dal consiglio di amministrazione dell’interveniente nel 2003, vale a dire prima della domanda di registrazione del marchio contestato. In particolare, al punto 2 di tale codice, che ne definisce il campo di applicazione, si precisa che il medesimo «è stato redatto per l’intero Gruppo Salini» e che «per Gruppo Salini si intende Salini Costruttori SpA e qualsiasi altra società da essa controllata». Orbene, la ricorrente non può affermare che, al momento del deposito della domanda di marchio, ignorava l’esistenza di tale codice etico e la definizione dell’espressione «gruppo salini» in esso contenuta.

33      Occorre aggiungere che, ai fini della valutazione dell’esistenza della malafede del richiedente il marchio, si può infine prendere in considerazione il grado di notorietà di cui gode un segno al momento del deposito della domanda presentata in vista della sua registrazione, perché un siffatto grado di notorietà può appunto giustificare l’interesse del richiedente ad assicurare una maggiore tutela giuridica al suo segno (sentenza Lindt Goldhase, punto 19 supra, punti 51 e 52). Nel caso di specie, va rilevato che non si evince dal fascicolo che, al momento del deposito della domanda di registrazione, il marchio contestato fosse già stato utilizzato, mentre è assodato che il segno dell’interveniente era utilizzato da diversi decenni e che quest’ultima aveva conosciuto una forte crescita della propria attività in Italia nel corso degli ultimi anni, circostanza che ne ha rafforzato la notorietà presso il pubblico interessato.

34      Risulta da quanto precede che l’analisi effettuata dalla commissione di ricorso, che conclude per l’esistenza della malafede della ricorrente al momento del deposito della domanda di marchio, deve essere confermata. Nessuno degli argomenti dedotti dalla ricorrente è in grado di rimettere in discussione tale conclusione.

35      In primo luogo, il fatto, già menzionato al precedente punto 31, che l’interveniente non abbia manifestato interesse a tutelare il segno anteriore nell’Unione europea prima della data di deposito della domanda di marchio, e ciò nonostante il suo asserito uso in Italia dal 1940, non consente di dimostrare che la ricorrente non fosse in malafede all’epoca di detto deposito, poiché un fatto del genere attiene alla sfera soggettiva dell’interveniente (v., in tal senso, sentenza FS, punto 17 supra, punto 51). Peraltro, la possibilità, prevista all’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, di far dichiarare nullo un marchio quando chi lo richiede agisce in malafede al momento di depositare la domanda di registrazione, senza incorrere nella fattispecie della preclusione per tolleranza per avviare questo tipo d’azione, come risulta dall’articolo 54, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, risponde proprio all’esigenza di garantire un’ampia tutela ad ogni imprenditore che faccia uso di un segno che non ha tuttavia ancora registrato. Del resto, la ricorrente, quale azionista e detentrice di una partecipazione rilevante nel capitale sociale dell’interveniente e in considerazione delle funzioni e delle cariche che taluni dei suoi dirigenti ricoprivano o avevano ricoperto all’interno della sua struttura societaria, doveva essere perfettamente a conoscenza delle ragioni di tale asserita mancanza d’interesse dell’interveniente alla tutela del segno patronimico controverso. Ciò premesso, la ricorrente non può avvalersi dell’asserita situazione di disinteresse dell’interveniente, che avrebbe potuto contribuire a determinare o alla quale avrebbe potuto invece e in ogni caso opporsi, per dimostrare la sua assenza di malafede al momento di depositare la domanda di marchio.

36      Lo stesso dicasi per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui l’interveniente avrebbe lasciato trascorrere più di tre anni prima di agire dinanzi all’UAMI. Infatti, trattandosi di un elemento che attiene alla sfera soggettiva dell’interveniente, neanche la mancanza di reazione immediata dell’interveniente alla registrazione del marchio contestato, che, d’altra parte, non era nemmeno stata preceduta dall’uso di detto marchio, è in grado di influire sulla qualificazione delle intenzioni che animavano la ricorrente al momento del deposito della domanda di marchio comunitario.

37      In secondo luogo, quanto all’argomento della ricorrente secondo il quale il cognome Salini sarebbe ampiamente utilizzato da altre imprese, è sufficiente osservare, alla stregua dell’UAMI, che nella fattispecie si tratta di imprese gestite con tutta probabilità da persone con tale cognome, il cui uso non poteva essere in alcun modo impedito dall’interveniente, e non di marchi che sono stati registrati e che sono formati da questo stesso cognome.

38      In terzo luogo, quanto all’argomento della ricorrente relativo all’esistenza di un preteso tacito accordo tra i membri della famiglia Salini, in forza del quale costoro avrebbero avuto la facoltà di utilizzare detto cognome per valorizzare le proprie attività professionali (v., anche, punto 31 supra), occorre considerare che un siffatto accordo, lungi dal provare l’assenza di malafede della ricorrente, è di fatto suscettibile di dimostrare la natura sleale della condotta della medesima. Infatti, un accordo del genere, supponendo che ne sia dimostrata l’esistenza, non può estendersi all’uso del cognome come marchio comunitario né, in ogni caso, conferire a coloro che abbiano tale cognome un diritto a registrarlo come marchio comunitario. Per converso e contrariamente a quanto sembra sostenere la ricorrente, è possibile vietare la registrazione di un marchio del genere, anche quando il richiedente la registrazione ha effettivamente tale cognome, qualora il marchio richiesto violi un diritto anteriore.

39      A tale riguardo occorre infatti rammentare che, ai termini dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo che lo legittima a vietare ai terzi di usare un segno per il quale, data l’identità o la somiglianza con detto marchio e data l’identità o la somiglianza dei prodotti o dei servizi contraddistinti da tale marchio e il segno di cui trattasi, sussiste un rischio di confusione per il pubblico [sentenza del Tribunale del 17 gennaio 2012, Hell Energy Magyarország/UAMI – Hansa Mineralbrunnen (HELL), T‑522/10, punto 73]. Orbene, un simile diritto esclusivo è contrario alla stessa ragion d’essere dell’asserito accordo tacito evocato dalla ricorrente.

40      In quarto luogo, quanto all’argomento che la ricorrente trae dalla circostanza che il contenzioso davanti ai giudici italiani, al quale è più volte fatto riferimento nelle memorie delle parti nonché, segnatamente, ai punti 3, 4 e 74 della decisione impugnata, scaturisce da motivi puramente interni all’interveniente e riguarda soltanto i suoi soci, è sufficiente osservare che, considerata la struttura societaria dell’interveniente, il cui azionariato era essenzialmente condiviso tra due rami della famiglia Salini, di cui uno corrisponde alla ricorrente, tale argomento si rivela inconferente. Infatti, l’esistenza di un simile contenzioso è rilevante solo per dimostrare il contesto in cui è stato effettuato il deposito della domanda di marchio, a prescindere dal fatto che la controversia all’origine di tale contenzioso sia sorta in seno all’interveniente o abbia riguardato quest’ultima e la ricorrente. Peraltro e in ogni caso, è giocoforza rilevare, alla stregua dell’UAMI, che almeno il sig. F.S.S., al momento dei fatti, si trovava in una posizione oggettiva di conflitto di interessi, data la sua duplice qualità di membro di entrambe le società, circostanza non trascurabile considerato il ruolo che egli ha rivestito in seno alla struttura societaria dell’interveniente, essendone stato presidente del consiglio d’amministrazione tra il 2000 e il 2003 (v. punto 25 supra) nonché successivamente direttore tecnico.

41      Per quel che concerne, infine, l’asserito difetto di motivazione invocato dalla ricorrente nell’intitolazione del terzo motivo nonché, incidentalmente e in maniera del tutto generica, nell’esposizione dello stesso, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, la motivazione richiesta dall’articolo 75, prima frase, del regolamento n. 207/2009, che ha la stessa portata di quella sancita dall’articolo 296 TFUE, deve far risultare in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’autore dell’atto. Tale obbligo ha il duplice scopo di consentire, da un lato, agli interessati di conoscere le ragioni alla base del provvedimento adottato al fine di difendere i loro diritti e, dall’altro, al giudice dell’Unione di esercitare il suo sindacato di legittimità sulla decisione [sentenze del Tribunale del 2 aprile 2009, Zuffa/UAMI (ULTIMATE FIGHTING CHAMPIONSHIP), T‑118/06, Racc. pag. II‑841, punto 19, e del 14 luglio 2011, Winzer Pharma/UAMI – Alcon (OFTAL CUSI), T‑160/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 35]. La corrispondenza della motivazione di una decisione a tali requisiti va valutata con riferimento non solo alla sua formulazione, ma anche al suo contesto nonché all’insieme delle norme che disciplinano la materia di cui trattasi (v. sentenza ULTIMATE FIGHTING CHAMPIONSHIP, cit., punto 20 e giurisprudenza ivi citata).

42      Nel caso di specie, l’esame della decisione impugnata consente di constatare che la commissione di ricorso, ai punti da 68 a 74 di detta decisione, ha esposto i motivi in base ai quali essa considera, alla luce dei vari elementi del fascicolo, che l’interveniente aveva apportato la prova della malafede della ricorrente al momento del deposito della domanda di registrazione.

43      Orbene, tali argomenti, da un lato, hanno consentito alla ricorrente di conoscere le ragioni della decisione adottata per poter difendere i propri diritti e, dall’altro, consentono altresì al Tribunale di esercitare il proprio sindacato di legittimità sulla decisione impugnata. Perciò, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, alla commissione di ricorso non può essere imputato di non aver motivato la sua decisione a questo riguardo.

44      Alla luce di tutto quanto precede, la commissione di ricorso è giustamente pervenuta alla conclusione che il marchio contestato era nullo ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, ritenendo che esso era stato depositato in violazione dei principi di lealtà e di correttezza che, nelle circostanze del caso di specie, la ricorrente era tenuta a rispettare nei confronti dell’interveniente.

45      Pertanto, il terzo motivo dev’essere respinto in quanto infondato.

46      Quanto al primo e al secondo motivo, si evince dagli articoli 52 e 53 del regolamento n. 207/2009 che è sufficiente che una delle cause di nullità elencate in tali disposizioni trovi applicazione perché venga accolta una domanda di declaratoria di nullità.

47      Ciò premesso, il Tribunale, quando giunge alla conclusione che una delle cause di nullità invocate dal richiedente la dichiarazione di nullità è fondata, può limitare il suo sindacato di legittimità al motivo del ricorso che attiene a tale causa, che è sufficiente a fondare una decisione che accoglie la domanda di declaratoria di nullità [v., in tal senso e per analogia, ordinanza della Corte del 13 febbraio 2008, Indorata-Serviços e Gestão/UAMI, C‑212/07 P, non pubblicata nella Raccolta, punti 27 e 28: v. sentenze del Tribunale del 22 marzo 2007, Sigla/UAMI – Elleni Holding (VIPS), T‑215/03, Racc. pag. II‑711, punto 100, e del 7 dicembre 2010, Nute Partecipazioni e La Perla/UAMI – Worldgem Brands (NIMEI LA PERLA MODERN CLASSIC), T‑59/08, Racc. pag. II‑5595, punto 70 e giurisprudenza ivi citata]. Ciò vale a maggior ragione quando, come nel caso di specie, una delle cause di nullità accolte dalla commissione di ricorso è quella attinente alla malafede del richiedente il marchio, prevista all’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

48      Infatti, come giustamente rilevato dall’UAMI, l’esistenza della malafede al momento del deposito della domanda di registrazione comporta di per sé la nullità in toto del marchio contestato. Del resto, quando la commissione di ricorso ritiene, come nel caso di specie, che una delle cause di nullità invocate dal richiedente la declaratoria di nullità sia fondata, ma decide di esaminare e, all’occorrenza, di accogliere anche le altre cause di nullità eventualmente invocate, tale parte della motivazione della sua decisione non costituisce il fondamento necessario del dispositivo che accoglie la domanda di nullità, il quale si basa, in modo sufficiente, sulla causa di nullità che comporta la nullità in toto del marchio contestato, che nella fattispecie è quella attinente alla malafede del richiedente (v., in tal senso, sentenza NIMEI LA PERLA MODERN CLASSIC, punto 47 supra, punto 70).

49      Considerato quanto precede, il ricorso deve essere integralmente respinto, senza che occorra esaminare il primo e il secondo motivo.

 Sulle spese

50      Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

51      La ricorrente, poiché è rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda dell’UAMI e dell’interveniente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La SA.PAR. Srl è condannata alle spese.

Kanninen

Soldevila Fragoso

Berardis

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’11 luglio 2013.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.