Language of document : ECLI:EU:T:2005:418

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

24 novembre 2005 (*)

«Marchio comunitario – Opposizione – Domanda di registrazione di un marchio comunitario figurativo contenente l’elemento verbale “KINJI by SPA” – Marchio comunitario denominativo anteriore KINNIE – Rischio di confusione – Art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94 – Art. 73 del regolamento n. 40/94»

Nel procedimento T‑3/04,

Simonds Farsons Cisk plc, con sede in Mrieħel (Malta), rappresentata dalla sig.ra M. Bagnall, dal sig. I. Wood, solicitor, e dal sig. R. Hacon, barrister,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno      (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. A. Folliard-Monguiral, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI e interveniente dinanzi al Tribunale:

Spa Monopole, compagnie fermière de Spa SA/NV, con sede in Spa (Belgio), rappresentata dai sigg. L. de Brouwer, E. Cornu, É. De Gryse e D. Moreau, avocats,

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione 4 novembre 2003 della prima commissione di ricorso dell’UAMI (pratica R 996/2002‑1), relativa ad un procedimento di opposizione tra la Simonds Farsons Cisk plc e la Spa Monopole, compagnie fermière de Spa SA/NV,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione),

composto dal sig. M. Vilaras, presidente, dalle sig.re E. Martins Ribeiro e K. Jürimäe, giudici,

cancelliere: sig.ra B. Pastor, cancelliere aggiunto,

visto il ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 6 gennaio 2004,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 15 aprile 2004,

vista la comparsa di risposta dell’interveniente depositata presso la cancelleria del Tribunale il 19 aprile 2004,

in seguito alla trattazione orale del 22 febbraio 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti all’origine della controversia

1        Il 16 giugno 2002, l’interveniente ha chiesto, in forza del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1997, L 11, pag. 1), come modificato, la registrazione di un marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI).

2        Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è il segno figurativo qui di seguito riprodotto:

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I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nelle classi 29 e 32, in base all’accordo di Nizza del 15 giugno 1957 relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato e corrispondono, per ciascuna di tali classi, alla descrizione seguente:

–        classe 29: «Polpa di frutta»;

–        classe 32: «Acque minerali e gassose e altre bevande analcoliche; bevande di frutta e succhi di frutta; sciroppi e altri preparati per fare bevande».

3        L’8 gennaio 2001, la domanda è stata pubblica nel Bollettino dei marchi comunitari n. 6/2001.

4        Il 30 gennaio 2001, la ricorrente ha proposto un’opposizione, ai sensi dell’art. 42 del regolamento n. 40/94, alla registrazione del marchio comunitario richiesto. L’opposizione era basata sull’esistenza del marchio comunitario n. 427237, costituito dal segno denominativo KINNIE (in prosieguo: il «marchio anteriore»), di cui è stata richiesta la registrazione il 25 novembre 1996 e che è stato registrato il 7 aprile 1999. I prodotti designati da tale marchio rientrano nella classe 32 ai sensi dell’Accordo di Nizza e rispondono alla seguente descrizione: «bevande analcoliche, altri preparati per fare bevande».

5        L’opposizione riguardava tutti i prodotti compresi nella domanda di marchio. Il motivo invocato a sostegno dell’opposizione era quello previsto all’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

6        Con decisione 27 settembre 2002, n. 2880, la divisione di opposizione dell’UAMI ha accolto l’opposizione in quanto esisteva un rischio di confusione nella mente del pubblico dell’Unione europea tra il marchio di cui era stata chiesta la registrazione e il marchio anteriore a causa, da un lato, della somiglianza dei segni e, dall’altro, dell’identità o della notevole somiglianza tra i prodotti di cui si trattava.

7        Il 27 novembre 2002, la parte interveniente ha proposto contro la decisione della divisione di opposizione un ricorso dinanzi all’UAMI, ai sensi degli artt. 57‑62 del regolamento n. 40/94.

8        Con decisione 4 novembre 2003, come rettificata da un corrigendum in data 10 novembre 2003 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso ha annullato la decisione della divisione di opposizione. In sostanza, la commissione di ricorso ha valutato che, anche se i prodotti di cui si trattava erano o identici o praticamente identici, i segni in conflitto dal punto di vista visivo, fonetico e concettuale erano diversi e quindi che tale diversità escludeva qualsiasi rischio di confusione.

 Conclusioni delle parti

9        La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        confermare la decisione 27 settembre 2002, n. 2880, della divisione di opposizione;

–        ordinare all’UAMI di respingere la domanda di marchio comunitario della parte interveniente;

–        condannare l’UAMI e/o la parte interveniente a sopportare le spese del procedimento di opposizione, del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso e del procedimento dinanzi al Tribunale.

10      L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il quarto capo delle conclusioni della ricorrente irricevibile in quanto tende ad ottenere dal Tribunale una decisione che condanna l’UAMI alle spese del procedimento di opposizione;

–        respingere il ricorso quanto al resto;

–        condannare la ricorrente alle spese.

11      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

 Sulla ricevibilità

12      Con il secondo e terzo capo delle sue conclusioni, la ricorrente chiede al Tribunale di confermare la decisione n. 2880/2002 della divisione di opposizione e di ordinare all’UAMI di respingere la richiesta di registrazione del marchio comunitario dell’interveniente.

13      A tale proposito occorre ricordare che, in conformità dell’art. 63, n. 6, del regolamento n. 40/94, l’UAMI è tenuto a prendere i provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza del giudice comunitario. Di conseguenza, non spetta al Tribunale rivolgere ingiunzioni all’UAMI. Incombe, infatti, a quest’ultimo trarre le conseguenze dal dispositivo e dalla motivazione della presente sentenza. Il secondo e il terzo capo delle conclusioni della ricorrente sono quindi, per tale motivo, irricevibili [sentenze del Tribunale 8 luglio 1999, causa T‑163/98, Procter & Gamble/UAMI (BABY-DRY), Racc. pag. II‑2383, punto 53, e 27 febbraio 2002, causa T‑34/00, Eurocool Logistik/UAMI (EUROCOOL), Racc. pag. II‑683, punto 12].

 Sul merito

14      La ricorrente invoca due motivi a sostegno della sua domanda di annullamento, vertenti su un violazione, rispettivamente, dell’art. 8, n. 1, lett. b), e dell’art. 73 del regolamento n. 40/94.

 Sul primo motivo, vertente su una violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94

–       Argomenti delle parti

15      Anzitutto la ricorrente afferma che la commissione di ricorso non ha attribuito sufficiente importanza alle somiglianze fonetiche e visive tra i segni di cui si tratta. Inoltre, essa ritiene che, poiché i segni in esame sono privi di senso, non è possibile alcun confronto concettuale tra essi.

16      Per quanto riguarda il confronto fonetico, la ricorrente afferma che le parole «kinnie» e «kinji» saranno pronunciate in modo molto simile in talune lingue comunitarie. Infatti, in svedese, in danese e in olandese, la lettera «j» sarebbe pronunciata esattamente come la lettera «y» in inglese. Secondo la ricorrente, contrariamente a quanto ha affermato la commissione di ricorso, i segni sarebbero quindi simili sul piano fonetico.

17      Per quanto riguarda il confronto visivo, la ricorrente asserisce che, quando un segno comprende sia elementi verbali sia elementi figurativi, è l’elemento verbale che deve essere considerato come l’elemento dominante. Essa aggiunge che la commissione di ricorso ha commesso un errore ritenendo che non esistesse una grande somiglianza tra gli elementi verbali dei segni ad eccezione delle prime lettere «kin». A suo parere, le altre lettere dei due elementi verbali «kinji» e «kinnie» hanno formule simili. Essa aggiunge che, anche per quanto riguarda il confronto visivo, non si potrebbe ignorare il modo in cui le parole vengono pronunciate. Così, quando percepisce i due segni, il consumatore medio, in particolare quello che parla svedese, danese o olandese, si ricorderebbe in modo approssimativo, sul piano fonetico, dei nomi dei prodotti, ma non si ricorderebbe della forma delle lettere utilizzate per scrivere i loro nomi. In quanto tali, i segni KINJI e KINNIE presenterebbero quindi una notevole somiglianza, anche sul piano visivo.

18      Inoltre la ricorrente rimprovera alla commissione di ricorso di aver attribuito eccessiva importanza a numerosi aspetti grafici del marchio di cui è stata chiesta la registrazione, come il simbolo del procione lavatore e la grafica a forma di tronchi di bambù utilizzata per scrivere l’elemento verbale «kinji». La commissione di ricorso avrebbe così, secondo la ricorrente, violato la giurisprudenza della Corte secondo cui, in un marchio figurativo, è alla parola che si deve attribuire la maggiore importanza. Inoltre, la ricorrente ritiene che la menzione «by SPA» sarà ignorata dalla maggior parte dei consumatori.

19      D’altronde, la ricorrente rimprovera alla commissione di ricorso di non aver tenuto conto a sufficienza del fatto, da un lato, che i prodotti sono identici o notevolmente simili e, dall’altro, che il marchio anteriore possiede un carattere distintivo assai elevato, poiché è un nome di pura invenzione.

20      Per quanto riguarda la valutazione del rischio di confusione, la ricorrente muove alla commissione di ricorso la censura di aver erroneamente fondato la decisione impugnata sulla premessa che il consumatore considerato acquisterà probabilmente i prodotti in questione in supermercati o in altri negozi al dettaglio in cui sarà in grado di controllare visivamente i prodotti e i marchi ad essi relativi prima di acquistarli. Secondo la ricorrente, i prodotti in esame saranno generalmente venduti nei negozi al dettaglio oppure nei bar o nei ristoranti.

21      Per quanto riguarda le vendite effettuate nei bar o nei ristoranti la ricorrente indica che, contrariamente a quanto afferma la commissione di ricorso, i consumatori ordineranno in generale i prodotti oralmente, riferendosi al loro marchio, ed è possibile che le bevande siano vendute senza che essi possano mai vedere il marchio di cui si tratta. La ricorrente, fondandosi sulla sentenza della Corte 22 giugno 1999, causa C‑342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer (Racc. pag. I‑3819, punto 28), sostiene non si può escludere che la somiglianza fonetica dei marchi possa creare un rischio di confusione.

22      Per quanto riguarda le vendite nei supermercati, la ricorrente asserisce che, sebbene il consumatore medio abbia la possibilità di esaminare i prodotti, la commissione di ricorso non ha tenuto conto del fatto che il consumatore ha solo raramente la possibilità di effettuare un confronto diretto tra i diversi marchi e deve fidarsi della rappresentazione approssimativa che ne ha conservato nella sua mente.

23      L’UAMI non contesta il fatto che i prodotti di cui si tratta nel caso di specie siano identici o notevolmente simili, ma sostiene che le differenze visive e concettuali tra i segni escludono qualsiasi rischio di confusione.

24      Per quanto riguarda l’aspetto visivo dei segni, l’UAMI fa osservare che essi sono diversi per le ragioni esposte nella decisione impugnata.

25      In merito al confronto concettuale dei segni in esame, l’UAMI afferma che l’elemento figurativo del marchio di cui si chiede la registrazione e la grafica rappresentante un bambù, utilizzata per la parola «kinji», sono elementi distintivi che evocano l’idea di un personaggio di cartoni animati esotico, e cioè un procione lavatore dallo stesso nome. Il consumatore percepirebbe probabilmente tale associazione, mentre il marchio anteriore non avrebbe al contrario alcun significato. Secondo l’UAMI, la circostanza che uno dei marchi in esame possieda un contenuto semantico mentre l’altro non lo possiede è sufficiente per concludere che i segni sono concettualmente diversi.

26      Per quanto riguarda il confronto fonetico, l’UAMI riconosce che, contrariamente a quanto constatato dalla commissione di ricorso nella decisione impugnata, il pubblico di taluni Stati membri può percepire una somiglianza fonetica tra i marchi in conflitto. L’UAMI aggiunge tuttavia che tale elemento non è sufficiente a viziare la decisione impugnata di illegittimità, poiché il grado di somiglianza fonetica tra i segni è annullato dalle loro differenze visive e concettuali, per cui non esiste alcun rischio di confusione anche ammettendo che il marchio anteriore sia dotato del massimo carattere distintivo possibile.

27      A tale titolo, l’UAMI sostiene che il grado di somiglianza fonetica tra i due marchi presenta un’importanza inferiore nel caso di prodotti commercializzati in modo tale che, al momento dell’acquisto, il pubblico a cui è destinato percepisce di norma il marchio visivamente. Ciò accadrebbe per i prodotti della ricorrente.

28      L’UAMI asserisce che, anche nei bar e ristoranti, le bottiglie saranno generalmente esposte su scaffali dietro il banco in modo che i consumatori siano in grado di esaminarle. Inoltre, anche se i bar e i ristoranti non costituiscono circuiti di distribuzione trascurabili per la vendita di bevande non alcoliche contenenti succo di frutta, tali circuiti sono sempre secondari in termini di volume di vendita rispetto alle vendite effettuate nei supermercati.

29      L’interveniente riprende, in sostanza, gli argomenti esposti dalla commissione di ricorso nella decisione impugnata. Essa afferma che i marchi in conflitto sono diversi dal punto di vista visivo, fonetico e concettuale.

30      Per quanto riguarda il confronto visivo, l’interveniente aggiunge che, alla luce della notorietà del suo marchio nei paesi del Benelux, le parole «by SPA» attirano l’attenzione dei consumatori ed escludono qualsiasi rischio di confusione per quanto riguarda l’origine dei prodotti in esame.

31      Per quanto riguarda il confronto fonetico, l’interveniente fa valere che, anche nei paesi in cui la lettera «j» è pronunciata come la lettera «y» in inglese, il marchio verbale KINNIE sarebbe pronunciato con un suffisso finale più lungo, che basterebbe a distinguere, sul piano fonetico, i segni in esame.

–       Giudizio del Tribunale

32      Ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione «se, a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore».

33      Secondo una giurisprudenza costante, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o eventualmente da imprese economicamente legate tra loro. Secondo la stessa giurisprudenza il rischio di confusione nella mente del pubblico deve essere valutato globalmente, secondo la percezione che il pubblico rilevante ha dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi, e prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie. Tale valutazione globale implica una certa interdipendenza tra i fattori che entrano in considerazione, in particolare la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. Pertanto, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa [v. sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑162/01, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), Racc. pag. II‑2821, punti 31‑33 e giurisprudenza ivi citata]

34      Nella fattispecie, occorre rilevare che, dato che il marchio anteriore è un marchio comunitario, il territorio da prendere in considerazione per valutare il rischio di confusione è quello dell’insieme della Comunità europea.

35      D’altronde, dal momento che i prodotti in questione sono prodotti di consumo corrente, il pubblico destinatario è composto dai consumatori europei medi, normalmente informati e ragionevolmente attenti e consapevoli.

36      È alla luce delle considerazioni che precedono che occorre procedere al confronto, da un lato, dei prodotti di cui si tratta e, dall’altro, dei segni in conflitto.

37      Per quanto concerne il confronto dei prodotti, occorre rilevare, il che non è contestato dalle parti, che i prodotti designati dal marchio di cui si chiede la registrazione e i prodotti designati dal marchio anteriore sono o simili o identici.

38      Per quanto riguarda il confronto dei segni, risulta dalla giurisprudenza che la valutazione globale deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi (sentenze della Corte 11 novembre 1997, causa C‑251/95, SABEL, Racc. pag. I‑6191, punto23, e Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 25).

39      Occorre quindi procedere ad un confronto dei segni in conflitto nella fattispecie sul piano visivo, fonetico e concettuale.

40      Per quanto riguarda il confronto visivo, la commissione di ricorso ha ritenuto che l’elemento verbale forte «kinji» e gli elementi grafici e testuali aggiuntivi del marchio di cui si chiede la registrazione permettano di distinguere visivamente i due marchi (punto 18 della decisione impugnata).

41      A tale riguardo, occorre rilevare che il marchio di cui si chiede la registrazione è costituito da un segno complesso composto da elementi figurativi e verbali. Tale segno complesso contiene il termine «kinji», scritto in carattere grassetto stilizzato in forma di bambù con, al di sopra, le parole «by SPA» in caratteri più piccoli e, sotto, l’elemento figurativo rappresentante un procione lavatore saltellante con addosso un maglietta recante il nome «kinji». Occorre constatare che le caratteristiche grafiche del segno richiesto, e cioè il personaggio da cartone animato del procione lavatore, la stilizzazione delle lettere che compongono l’elemento verbale principale e le parole in caratteri più piccoli, «by SPA», colpiscono notevolmente l’attenzione, attirano lo sguardo del consumatore e contribuiscono in tal modo a distinguere dal punto di vista visivo i due segni, come ha sottolineato in modo pertinente la commissione di ricorso (punto 18 della decisione impugnata).

42      Il marchio anteriore, al contrario, è un marchio verbale sprovvisto di qualsiasi carattere grafico o figurativo particolare.

43      La commissione di ricorso ha anche giustamente rilevato, al punto 18 della decisione impugnata, che non esiste una stretta somiglianza tra l’elemento verbale forte del segno dell’interveniente e quello del segno della ricorrente, ad eccezione delle tre prime lettere «kin». Come l’UAMI segnala, sempre a giusto titolo, i due elementi verbali di cui si tratta hanno due lunghezze diverse, le loro terminazioni rispettive «nie» e «ji» sono visivamente distinte e il raddoppiamento della consonante «n» nel marchio anteriore è particolarmente evidente. Inoltre, l’utilizzazione del carattere grassetto complesso, in forma di bambù, nella grafica della parola «kinji» e l’iscrizione in piccoli caratteri dell’elemento verbale «by SPA» aggiungono un elemento di diversità visiva. Infine, nel marchio anteriore KINNIE, la sillaba «kin» è seguita dalla sillaba «nie» in tre lettere. Contrariamente alla sillaba in due lettere «ji» del marchio KINJI contestato, la sillaba «nie» crea una parola perfettamente simmetrica in cui le due «n» centrali, le due «i» e le lettere «k» e «e» si equilibrano perfettamente tra loro. Tale simmetria conferisce alla parola «kinnie» un carattere visivo diverso da quello della parola «kinji».

44      Ne consegue che la diversità visiva tra i due segni, creata dal carattere distinto di questi due elementi verbali, è accentuata dalla presenza, nel marchio di cui si chiede la registrazione, degli elementi figurativi particolari, evocati al punto 41 supra.

45      A tale riguardo, occorre precisare che, contrariamente a quanto asserisce la ricorrente, quando un segno comporta sia elementi figurativi sia elementi verbali, non ne consegue automaticamente che l’elemento verbale debba sempre essere considerato come dominante.

46      Infatti, occorre considerare che un marchio complesso può essere ritenuto simile ad un altro marchio, identico o simile ad una delle componenti del marchio complesso, solo se quest’ultima costituisce l’elemento dominante nell’impressione complessiva prodotta dal marchio complesso. Ciò si verifica quando tale componente può da sola dominare l’immagine di tale marchio che il pubblico rilevante conserva in memoria, in modo tale che tutte le altre componenti del marchio risultino trascurabili nell’impressione complessiva da questo prodotta sentenza del Tribunale 23 ottobre 2002, causa T‑6/01, Matratzen Concord/UAMI – Hukla Germany (MATRATZEN), Racc. pag. II‑4335, punto 33].

47      Dalla giurisprudenza del Tribunale risulta anche che, in un segno complesso, l’elemento figurativo occupa una posizione equivalente rispetto all’elemento verbale [v. sentenza 12 dicembre 2002, causa T‑110/01, Vedial/UAMI – France Distribution (HUBERT), Racc. pag. II‑5275, punto 53].

48      D’altronde, anche nel caso in cui due marchi in conflitto comprendano elementi verbali simili – il che non avviene nella fattispecie – tale fatto non permette, da solo, di affermare l’esistenza di una somiglianza visiva tra i segni in conflitto. La presenza, in uno dei segni, di elementi figurativi che hanno una configurazione particolare e originale fa sì che l’impressione globale fornita da ciascun segno sia differente [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑156/01, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO AIRE), Racc. pag. II‑2789, punto 74].

49      Nella fattispecie, occorre constatare che il complesso degli elementi figurativi presenti nel marchio di cui si chiede la registrazione costituisce indubbiamente una configurazione particolare e originale, che gioca un ruolo importante nella percezione visiva del marchio di cui si chiede la registrazione e permette di distinguerlo dal marchio anteriore. Di conseguenza, l’argomento della ricorrente vertente dal fatto che la commissione di ricorso avrebbe attribuito un’importanza eccessiva a numerosi elementi grafici del marchio di cui si chiede la registrazione nonché ai vocaboli «by SPA», scritti in caratteri piccoli, avendo tali elementi secondo la ricorrente un carattere accessorio nella percezione visiva dei segni in esame, non è fondato e deve essere respinto.

50      Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che la commissione di ricorso ha considerato, a giusto titolo, che le differenze rilevanti esistenti tra gli elementi verbali dei marchi in esame nonché gli elementi figurativi aggiuntivi del marchio di cui si chiede la registrazione hanno l’effetto che l’impressione visiva complessiva prodotta da ciascuno di questi due marchi è diversa.

51      Per quanto riguarda il confronto concettuale, la commissione di ricorso ha ritenuto che, anche se nessuno degli elementi verbali dominanti dei segni in esame ha un significato noto, gli elementi grafici del marchio richiesto evocano diversi concetti che mancano completamente nel marchio anteriore (decisione impugnata, punti 20 e 21).

52      A tale riguardo, occorre, infatti, rilevare che né il vocabolo «kinnie» né il vocabolo «kinji» hanno un significato preciso e noto. Tuttavia, come la commissione di ricorso ha rilevato e come sostengono l’UAMI e l’interveniente, il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è ricco, almeno sul piano concettuale e visivo. Il detto marchio utilizza un carattere stilizzato in forma di bambù per la grafica del suo principale elemento verbale e comprende un elemento figurativo costituito dalla rappresentazione antropomorfica di un procione lavatore che indossa una maglietta con la scritta «kinji». Pertanto si può prevedere che tali elementi suggeriscano, nello spirito di colui che lo percepisce, che il marchio e i prodotti in questione hanno un legame con la natura o con la vita selvaggia.

53      Come il Tribunale ha giudicato nella citata sentenza HUBERT «per verificare l’esistenza di una somiglianza concettuale tra i marchi di cui trattasi, è sufficiente constatare che il pubblico cui si rivolge il marchio stabilirà differenze tra le nozioni evocate da ciascun segno» (sentenza HUBERT, cit., punto 58). Di conseguenza, poiché, nella fattispecie, il marchio verbale anteriore non trasmette alcun significato e poiché, al contrario, il potere evocatore del marchio richiesto sembra sufficientemente pronunciato per poter essere percepito dai consumatori, occorre considerare che non esiste una somiglianza concettuale tra i marchi in conflitto.

54      Per quanto riguarda il confronto fonetico, sembra incontestabile, come d’altronde l’UAMI ha esplicitamente ammesso, che, contrariamente a quanto la commissione di ricorso ha constatato nella decisione impugnata (punto 19), il pubblico di taluni Stati membri può percepire una somiglianza fonetica tra i marchi in conflitto. Infatti, in svedese, in danese e in olandese, per esempio, la lettera «j» sarà pronunciata come la lettera «y» in inglese. Di conseguenza, in conformità delle regole di pronuncia di talune lingue europee, il marchio richiesto sarà pronunciato «kinyi». Benché tale similitudine riguardi solo un numero ridotto di Stati membri, occorre quindi constatare che i marchi in conflitto sono, almeno in tali Stati membri, simili sul piano fonetico.

55      Per quanto riguarda la valutazione complessiva del rischio di confusione tra i segni in esame, viene osservato che i marchi in conflitto presentano differenze importanti sul piano visivo e concettuale. Nella fattispecie, occorre considerare che le differenze visive e concettuali neutralizzano chiaramente la loro somiglianza fonetica.

56      Infatti, come l’UAMI ha fatto giustamente osservare, il grado di somiglianza fonetica tra due marchi ha un’importanza ridotta nel caso di prodotti commercializzati in modo che, di regola, il pubblico rilevante, al momento dell’acquisto, percepisca in modo visivo il marchio che li designa [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 14 ottobre 2003, causa T‑292/01, Phillips-Van Heusen/UAMI – Pash Textilvertrieb und Einzelhandel (BASS), Racc. pag. II‑4335, punto 55].

57      Orbene, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, ciò accade nel caso di specie. Infatti, occorre rilevare che la ricorrente non ha fornito la minima prova diretta a dimostrare che i prodotti sono generalmente venduti in modo tale che il pubblico non percepisca visivamente il marchio. La ricorrente afferma semplicemente che uno dei canali di vendita tradizionali è costituito dai bar e dai ristoranti, in cui il consumatore ordinerebbe i prodotti oralmente, rivolgendosi ad un cameriere senza avere mai l’occasione di visualizzare il marchio di cui si tratta.

58      A tale riguardo, occorre rilevare che, come l’UAMI ha fatto osservare molto a proposito, anche se i bar e i ristoranti sono canali di vendita non trascurabili per i prodotti della ricorrente, le bottiglie vi sono normalmente esposte su scaffali dietro il banco, per cui i consumatori sono anche in grado di esaminarle dal punto di vista visivo. Perciò, anche se non si può escludere che i prodotti di cui si tratta possano anche essere venduti su ordine orale, tale sistema non può essere considerato come il modo normale in cui vengono messi in commercio. Inoltre, anche se i consumatori possono ordinare oralmente una bevanda senza aver precedentemente esaminato tali scaffali, essi saranno, comunque, in grado di esaminare visivamente la bottiglia che sarà loro servita.

59      Inoltre, e soprattutto, non viene contestato che i bar e i ristoranti non sono i soli canali di vendita dei prodotti di cui si tratta. Infatti, tali prodotti sono anche venduti nei supermercati o in altri punti vendita al dettaglio (v. punto 14 della decisione impugnata). Orbene, occorre constatare che, al momento in cui sono effettuati gli acquisti, i consumatori potranno percepire i marchi in modo visivo, poiché le bottiglie sono esposte su scaffali, anche se essi possono non trovarsi l’uno accanto all’altro.

60      La ricorrente sostiene anche che la commissione di ricorso avrebbe dovuto concludere che il rischio di confusione tra i marchi era maggiore in quanto il marchio anteriore possedeva un carattere distintivo elevato. A tale proposito, è sufficiente osservare che il carattere distintivo elevato di un marchio dev’essere constatato con riguardo alle qualità intrinseche del marchio o tenuto conto della notorietà ad esso attribuita [sentenza del Tribunale 15 gennaio 2003, causa T‑99/01, MysteryDrinks/UAMI – Karlsberg Brauerei (MISTERY), Racc. pag. II‑43, punto 34]. Benché il marchio KINNIE sia incontestabilmente originale, la ricorrente non ha fornito la minima prova del fatto che il suo marchio possiede un carattere distintivo elevato. Essa si è limitata ad invocare il fatto che si tratta di un nome di pura invenzione per esigere che sia tenuto conto del suo carattere distintivo elevato.

61      Infine occorre respingere l’argomento della ricorrente secondo cui il consumatore medio riconoscerebbe i marchi in esame come visivamente simili, in quanto la percezione visiva delle lettere che compongono gli elementi verbali dei segni sarebbe fortemente influenzata dalla loro pronuncia, per cui, quando il consumatore medio vedrà i due segni, si ricorderà vagamente della consonanza dei nomi dei prodotti, ma non si ricorderà della forma delle lettere utilizzate per la loro grafica. Infatti un consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutto e non effettua un esame dei suoi diversi dettagli (sentenza SABEL, cit., punto 23). Tuttavia occorre constatare che, nel caso di specie, la percezione che avrà un consumatore medio del segno complesso di cui si chiede la registrazione non sarà determinata dal confronto tra un solo elemento di esso, e cioè l’elemento verbale «kinji», e il segno della ricorrente.

62      Pertanto, occorre concludere che, anche se i prodotti coperti dai marchi in esame sono identici o molto simili, le differenze dal punto di vista visivo e concettuale tra i segni in conflitto forniscono motivi sufficienti per ritenere che non esista alcun rischio di confusione nella mente del pubblico interessato. Ne consegue la commissione di ricorso ha giustamente concluso che non esiste un rischio di confusione tra il marchio richiesto e il marchio anteriore.

63      Alla luce di quanto precede, il motivo vertente su una violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 deve essere respinto come non fondato.

 Sul secondo motivo, vertente su una violazione dell’art. 73 del regolamento n. 40/94

–       Argomenti delle parti

64      La ricorrente asserisce che la commissione di ricorso ha violato l’art. 73 del regolamento n. 40/94 non mettendo le parti in condizione di presentare le loro osservazioni sui motivi menzionati al punto 14 della decisione impugnata relativi all’idea della commissione di ricorso circa il modo in cui le bevande sono ordinate e vendute in bar e ristoranti. Così alla commissione di ricorso viene mossa la censura di aver violato talune forme sostanziali.

65      L’UAMI afferma che il riferimento ai «metodi di vendita» e al modo in cui i marchi sono percepiti sul mercato considerato non costituisce un motivo in sé, ai sensi dell’art. 73 del regolamento n. 40/94, ma un argomento che conferma il ragionamento secondo cui le differenze visive e concettuali tra i marchi sono tali da escludere qualsiasi rischio di confusione sul mercato specifico dei prodotti in questione. Un simile riferimento non sarebbe indipendente dalla valutazione del rischio di confusione, ma rientrerebbe nel ragionamento seguito dalla commissione di ricorso.

66      Di conseguenza l’UAMI ritiene che, dando alla ricorrente l’occasione di presentare le sue osservazioni sull’argomento riguardante i «metodi di vendita», la commissione di ricorso non ha violato l’art. 73 del regolamento n. 40/94, in quanto tale argomento è stato utilizzato solo allo scopo di giustificare la decisione impugnata sulla base dei motivi e del ragionamento di cui la ricorrente era già stata informata.

67      L’interveniente fa valere che essa aveva già utilizzato l’argomento contestato dalla ricorrente nell’ambito del presente ricorso nelle osservazioni da essa presentate il 27 gennaio 2003 nel corso del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso, in cui essa aveva dichiarato che «i prodotti a cui i due marchi si riferiscono sono bevande non alcoliche vendute negli stessi negozi e nei supermercati in generale e che, contrariamente a quanto la divisione di opposizione ha dichiarato nella sua decisione (pag. 7, n. 3), il consumatore medio ha effettivamente la possibilità di effettuare un confronto diretto tra i prodotti».

68      L’interveniente ne deduce che, apparentemente, la ricorrente non ha giudicato necessario contestare tale affermazione, rispondendo nelle sue «osservazioni in risposta al ricorso» del 21 marzo 2003, che questo non accadeva in un bar o in un ristorante.

–       Giudizio del Tribunale

69      In conformità dell’art. 73 del regolamento n. 40/94, le decisioni dell’Ufficio devono essere fondate esclusivamente su motivi in ordine ai quali le parti hanno potuto presentare le proprie deduzioni [sentenza del Tribunale 9 ottobre 2002, causa T‑173/00, KWS Saat/UAMI (Nuance d’orange), Racc. pag. II‑3843, punto 57].

70      Nella fattispecie, occorre osservare che la commissione di ricorso ha precisato, al punto 14 della decisione impugnata che, «benché i prodotti siano (…) venduti nei bar e ristoranti, il consumatore che si trova in simili circostanze non li ordinerà generalmente utilizzando il loro nome, contrariamente a quello che fa, ad esempio, quando ordina un vino o una birra». La commissione di ricorso ha aggiunto in seguito che, «normalmente, i clienti dei bar e dei ristoranti ordinano semplicemente tali prodotti con il loro nome generico e chiedono, per esempio, del “succo d’arancia fresco”».

71      In realtà, si osserverà che ciò che la commissione di ricorso cerca di provare, al punto 14 della decisione impugnata, è che il consumatore tipico sarà normalmente in grado di esaminare visivamente i prodotti prima di acquistarli. Tale punto di vista è confermato dall’ultima frase del punto 14 della decisione impugnata, in cui la commissione di ricorso riassume la sua valutazione dichiarando che «[i]n altri termini, il consumatore tipico sarà generalmente in grado di controllare visivamente i prodotti e i marchi che vi sono associati prima di acquistarli (anche se è possibile che non trovi i due marchi l’uno accanto all’altro».

72      Quindi appare che le informazioni concernenti il modo in cui i consumatori ordinano i prodotti delle parti nei ristoranti o nei bar non costituiscono un motivo autonomo della decisione impugnata, ma fanno parte del ragionamento che la commissione di ricorso ha seguito a proposito della valutazione complessiva del rischio di confusione. Orbene, il fatto che la ricorrente non abbia presentato degli argomenti su tale punto non implica che essa non abbia potuto prendere posizione sui motivi relativi al confronto visivo e fonetico dei segni in questione sui quali è fondata la decisione impugnata.

73      Pertanto, il motivo in esame, relativo ad una violazione dell’art. 73 del regolamento n. 40/94, deve essere respinto.

74      Alla luce di quanto precede, il ricorso deve, quindi, essere respinto nella sua integralità.

 Sulle spese

75      La ricorrente chiede al Tribunale di condannare l’UAMI e/o l’interveniente a sopportare le spese riguardanti il procedimento di opposizione. Essa non esposto nei suoi scritti argomenti specifici relativi a tale domanda. Tuttavia, al momento dell’udienza, essa ha espresso il suo accordo con gli argomenti presentati dall’UAMI a tale proposito.

76      L’UAMI fa valere che tale domanda non può essere accolta in quanto tali spese non sono ripetibili in conformità degli artt. 87 e 136 del regolamento di procedura del Tribunale.

77      A tale proposito occorre ricordare che l’art. 136, n. 2, del regolamento di procedura dispone:

«Le spese indispensabili sostenute dalle parti per il procedimento dinanzi alla commissione di ricorso (…) sono considerate spese ripetibili».

78      Quindi, poiché le spese riguardanti il procedimento di opposizione non costituiscono spese ripetibili ai sensi dell’art. 136, n. 2, del regolamento di procedura, occorre respingere tale domanda in quanto irricevibile.

79      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, occorre condannarla alle spese sopportate dall’UAMI e dall’interveniente, conformemente alle conclusioni di questi ultimi.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La ricorrente è condannata alle spese.

Vilaras

Martins Ribeiro

Jürimäe

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 24 novembre 2005.

Il cancelliere

 

      Il presidente

E. Coulon

 

      M. Vilaras


* Lingua processuale: l'inglese.