Language of document : ECLI:EU:T:2005:428

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

29 novembre 2005 (*)

«Concorrenza – Art. 81 CE – Intesa – Mercato del fosfato di zinco – Ammenda – Art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 – Fatturato pertinente – Ricorso di annullamento»

Nella causa T-33/02,

Britannia Alloys & Chemicals Ltd, con sede in Gravesend (Regno Unito), rappresentata dalle sig.re S. Mobley e H. Bardell e dal sig. M. Commons, solicitors,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. R. Wainwright e F. Castillo de la Torre, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento parziale della decisione della Commissione 11 dicembre 2001, 2003/437/CE, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 81 del Trattato CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/E-1/37.027 – Fosfato di zinco) (GU 2003, L 153, pag. 1), ovvero, in subordine, una domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente,

ILTRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione),

composto dalla sig.ra P. Lindh, presidente, nonché dai sigg. R. García‑Valdecasas e J.D. Cooke, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 1° luglio 2004,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La Britannia Alloys & Chemicals Ltd (in prosieguo: la «ricorrente» oppure la «Britannia»), società di diritto inglese, è una controllata della M.I.M. Holdings Ltd (in prosieguo: la «MIM»), una società di diritto australiano. Nell’ottobre 1993 la Pasminco Europe (ISC Alloys) Ltd ha venduto le proprie attività nel settore dello zinco alla MIM, che le ha trasferite alla Britannia. Tale impresa produceva e vendeva prodotti a base di zinco, ivi compreso il fosfato di zinco. Nel marzo 1997 la Trident Alloys Ltd (in prosieguo: la «Trident»), una società autonoma costituita dalla direzione della Britannia, ha rilevato le attività di quest’ultima nel settore dello zinco per la somma di lire sterline (GBP) 14 359 072. La Britannia esiste ancora quale controllata della MIM, ma ha cessato di esercitare qualsiasi attività economica e dunque non ha più alcun fatturato.

2        Benché le loro formule chimiche possano variare leggermente, gli ortofosfati di zinco rappresentano un prodotto chimico omogeneo, designato con la denominazione generica di «fosfato di zinco». Il fosfato di zinco, che si ottiene dall’ossido di zinco e dall’acido fosforico, viene frequentemente usato come pigmento minerale anticorrosione nell’industria delle vernici. Esso viene commercializzato sul mercato tanto come fosfato di zinco standard, quanto come fosfato di zinco modificato o «attivato».

3        Nel 2001 i seguenti cinque produttori europei detenevano la maggior parte del mercato mondiale del fosfato di zinco: la Dr. Hans Heubach GmbH & Co. KG (in prosieguo: la «Heubach), la James M. Brown Ltd (in prosieguo: la «James Brown»), la Société nouvelle des couleurs zinciques SA (in prosieguo: la «SNCZ»), la Trident (in precedenza la Britannia) e la Union Pigments AS (già Waardals AS) (in prosieguo: la «Union Pigments»).

4        Il 13 e il 14 maggio 1998 la Commissione ha proceduto, simultaneamente e senza preavviso, ad alcuni accertamenti presso gli uffici della Heubach, della SNCZ e della Trident, a norma dell’art. 14, n. 2, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204). Dal 13 al 15 maggio 1998, a seguito di una richiesta della Commissione a norma dell’art. 8, n. 3, del Protocollo 23 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE), l’Autorità di vigilanza dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA) ha effettuato, simultaneamente e senza preavviso, alcuni accertamenti presso gli uffici della Union Pigments, a norma dell’art. 14, n. 2, del capitolo II del Protocollo 4 dell’Accordo tra gli Stati EFTA sull’istituzione di un’Autorità di vigilanza e di una Corte di giustizia.

5        In data 11 dicembre 2001 la Commissione ha adottato la decisione 2003/437/CE, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 81 del Trattato CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/E‑1/37.027 – Fosfato di zinco) (GU 2003, L 153, pag. 1). La decisione presa in considerazione ai fini della presente sentenza è quella che è stata notificata alle imprese interessate e che è allegata al ricorso introduttivo (in prosieguo: la «decisione impugnata»). Tale decisione è, per taluni aspetti, diversa da quella pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

6        Nella decisione impugnata la Commissione afferma che tra il 24 marzo 1994 ed il 13 maggio 1998 è esistita un’intesa che ha visto riunite la Britannia (la Trident a partire dal 15 marzo 1997), la Heubach, la James Brown, la SNCZ e la Union Pigments. L’intesa sarebbe stata limitata al fosfato di zinco standard. In primo luogo, i membri dell’intesa avrebbero messo in atto un accordo di ripartizione del mercato con quote di vendita per i produttori. In secondo luogo, i detti membri avrebbero fissato dei prezzi «minimi» o «raccomandati» a ciascuna riunione e li avrebbero in genere rispettati. In terzo luogo, sarebbe stata effettuata, in una certa misura, una spartizione della clientela.

7        Il dispositivo della decisione impugnata è formulato nei seguenti termini:

«Articolo 1

Britannia (...), (...) Heubach (...), James (...) Brown (...), [SNCZ], Trident (...) e [Union Pigments] hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, del trattato CE e dell’articolo 53, paragrafo 1, dell’accordo SEE partecipando a un accordo continuato e/o a una pratica concordata nel settore del fosfato di zinco.

La durata dell’infrazione è stata la seguente:

(...)

b) nel caso di Britannia (...): dal 24 marzo 1994 al 15 marzo 1997.

(...)

Articolo 3

Per l’infrazione di cui all’articolo 1, sono irrogate le seguenti ammende:

a) Britannia (...): 3,37 milioni di EUR,

b) (...) Heubach (...): 3,78 milioni di EUR,

c) James (...) Brown (...): 940 000 EUR,

d) [SNCZ]: 1,53 milioni di EUR,

e) Trident (...): 1,98 milioni di EUR,

f) [Union Pigments]: 350 000 EUR.

(…)»

8        Ai fini del calcolo dell’importo delle ammende, la Commissione ha utilizzato il metodo esposto negli Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti») e la comunicazione 18 luglio 1996, sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»).

9        La Commissione ha anzitutto ritenuto che l’importo di base appropriato per la ricorrente fosse di EUR 3,75 milioni (‘considerando’ 313 della decisione impugnata). Essa ha poi ricordato il limite che, a norma dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, l’ammenda da infliggere a ciascuna delle imprese interessate non poteva superare. Ai fini della fissazione del tetto massimo del 10% del fatturato realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente previsto dalla detta disposizione, la Commissione ha, quanto alla ricorrente, «tenuto conto del suo fatturato globale relativo all’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 1996, che è l’ultima cifra disponibile relativa a un intero anno di attività normale» (‘considerando’ 345, nota 196 a piè di pagina). Essendo tale fatturato pari ad EUR 55,7 milioni (‘considerando’ 50), il limite massimo dell’ammenda è stato fissato ad EUR 5,5 milioni circa. Poiché l’importo dell’ammenda prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione era inferiore al detto limite massimo, la Commissione non ha proceduto ad una riduzione a tale titolo.

10      Infine, la Commissione ha accordato alla ricorrente una riduzione del 10 % ai sensi della comunicazione sulla cooperazione (‘considerando’ 366). L’importo finale dell’ammenda inflitta alla ricorrente è dunque risultato di EUR 3,37 milioni (‘considerando’ 370).

 Procedimento e conclusioni delle parti

11      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 21 febbraio 2002, la ricorrente ha proposto l’odierno ricorso.

12      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) ha deciso di aprire la fase orale ed ha chiesto alla Commissione, a titolo di misure di organizzazione del procedimento, di rispondere per iscritto ad un quesito relativo alla definizione del mercato e di fornire la versione integrale della dichiarazione della Trident del 23 aprile 1999 relativa all’intesa. La Commissione ha ottemperato a tali richieste entro il termine impartito.

13      Le parti hanno svolto le loro difese orali e risposto ai quesiti del Tribunale all’udienza che si è tenuta il 1° luglio 2004.

14      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        in via principale, annullare l’art. 3 della decisione impugnata nella parte relativa ad essa ricorrente;

–        in via subordinata, riformare l’art. 3 della decisione impugnata in modo da ridurre sensibilmente l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta;

–        condannare la Commissione alle spese.

15      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        rigettare il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

16      La ricorrente deduce un unico motivo. Tale motivo si compone di tre parti, con le quali la ricorrente lamenta che, utilizzando il fatturato da essa realizzato nel corso dell’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 1996 ai fini del calcolo del limite massimo del 10% del fatturato, la Commissione ha violato:

–        l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 ed il principio di proporzionalità;

–        il principio di parità di trattamento;

–        il principio di certezza del diritto.

 Quanto alla prima parte del motivo, relativa ad una violazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e del principio di proporzionalità

 Argomenti delle parti

17      La ricorrente fa valere che la Commissione ha violato l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 in quanto, per calcolare il limite massimo del 10% del fatturato, ha preso in considerazione il fatturato realizzato dalla detta ricorrente nel corso di un esercizio sociale diverso da quello precedente la decisione impugnata.

18      Secondo la ricorrente, la detta disposizione offre due possibilità per fissare l’importo dell’ammenda da infliggere ad un’impresa. La Commissione potrebbe infliggere o un’ammenda compresa tra EUR 1 000 ed EUR 1 milione, o un’ammenda superiore ad EUR 1 milione, a condizione però che l’importo finale non superi il 10% del fatturato realizzato nel corso dell’«esercizio sociale precedente», vale a dire l’esercizio sociale che precede la decisione che infligge l’ammenda. La ricorrente sottolinea che il testo dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 è chiaro e privo di ambiguità, nel senso che la Commissione deve fare riferimento all’esercizio sociale precedente allorché determina il limite massimo del 10% del fatturato. La Commissione non avrebbe il potere discrezionale di riferirsi ad un altro esercizio sociale per fissare tale tetto massimo. La ricorrente aggiunge che, quando il fatturato dell’impresa in questione non supera EUR 10 milioni, la Commissione non può infliggere un’ammenda superiore ad EUR 1 milione in virtù della seconda parte dell’art. 15, n. 2, in quanto l’importo di un’ammenda siffatta supererebbe necessariamente il tetto massimo del 10%.

19      La ricorrente sostiene che, nel caso di specie, la Commissione ha erroneamente utilizzato il fatturato realizzato nel corso dell’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 1996 per calcolare il limite massimo del 10% del fatturato applicabile alla sua ammenda (‘considerando’ 345 della decisione impugnata, nota 196 a piè di pagina). Poiché la decisione impugnata reca la data dell’11 dicembre 2001, l’esercizio sociale precedente, che avrebbe dovuto essere utilizzato per determinare tale tetto massimo, sarebbe quello conclusosi il 30 giugno 2001. La ricorrente sostiene che essa all’epoca era una società non commerciale e che il suo fatturato era dunque pari a zero. Essa ritiene che la Commissione non fosse dunque autorizzata ad infliggerle un’ammenda superiore ad EUR 1 milione sulla base della seconda parte dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. La Commissione avrebbe dovuto applicare la prima parte di tale disposizione ed infliggerle un’ammenda compresa tra EUR 1 000 ed EUR 1 milione. La ricorrente sostiene che il fatto che essa abbia realizzato un fatturato pari a zero nell’esercizio sociale precedente non ha come conseguenza di modificare la prescrizione secondo cui la Commissione deve fare riferimento a questo stesso esercizio sociale allorché fissa il tetto massimo del 10%. La Commissione, qualora avesse deciso di infliggere un’ammenda di EUR 1 milione, avrebbe dovuto ridurre tale ammenda nella percentuale che essa ha reputato appropriata nell’ambito della comunicazione sulla cooperazione, vale dire il 10%, e portarla ad EUR 900 000.

20      Secondo la ricorrente, risulta dalla giurisprudenza che «l’esercizio sociale precedente» di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 si riferisce all’«ultimo esercizio sociale completo» dell’impresa interessata (sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T-25/95, T-26/95, da T-30/95 a T-32/95, da T-34/95 a T-39/95, da T-42/95 a T-46/95, T‑48/95, da T-50/95 a T-65/95, da T-68/95 a T-71/95, T-87/95, T‑88/95, T-103/95 e T-104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punto 5009). Posto che gli orientamenti utilizzano indifferentemente le espressioni «esercizio sociale» ed «esercizio contabile» [punto 5, lett. a)], il significato naturale dell’espressione «ultimo esercizio sociale completo» utilizzata dal Tribunale nella citata sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione designerebbe l’ultimo esercizio finanziario completo a fini contabili.

21      Nella sua replica la ricorrente contesta l’affermazione della Commissione secondo cui il Tribunale dovrebbe non soltanto limitarsi ad un’interpretazione letterale dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, ma anche fare ricorso ai metodi di interpretazione storico e teleologico. Una giurisprudenza costante affermerebbe che il metodo di interpretazione letterale prevale nel caso in cui il testo di una disposizione sia chiaro e privo di ambiguità e sia manifestamente riferito alla situazione in oggetto (sentenze della Corte 14 dicembre 2000, causa C‑245/97, Germania/Commissione, Racc. pag. I‑11261, punto 72, e 4 ottobre 2001, causa C‑133/00, Bowden e a., Racc. pag. I‑7031, punti 38‑44; conclusioni dell’avvocato generale Mayras nella causa 67/79, Fellinger, conclusasi con sentenza della Corte 28 febbraio 1980, Racc. pag. 535, in particolare pag. 547). Nel caso di specie, sarebbe la stessa Commissione ad ammettere che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 è chiaro, laddove essa afferma, nel suo controricorso, che «il riferimento all’esercizio sociale precedente di cui all’art. 15, n. 2, sembra logicamente correlarsi all’esercizio che precede l’adozione della decisione di infliggere un’ammenda».

22      Inoltre, l’interpretazione letterale dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 sarebbe conforme agli obiettivi perseguiti dal legislatore comunitario. Il riferimento, contenuto nella detta disposizione, all’esercizio sociale precedente piuttosto che, ad esempio, al fatturato dell’ultimo anno dell’infrazione dimostrerebbe che il legislatore voleva che fosse garantita una valutazione del probabile impatto sull’impresa e dunque la proporzionalità dell’ammenda alla luce della situazione finanziaria dell’impresa nell’epoca in cui l’ammenda viene inflitta. Infatti, secondo la ricorrente, l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 contempla precisamente il caso – che è anche quello presente – in cui l’impresa responsabile dell’infrazione continui ad esistere, ma goda di una potenza economica assai scarsa rispetto a quella di cui disponeva all’epoca dell’infrazione, motivo per cui essa non dovrebbe vedersi infliggere un’ammenda eccessiva e sproporzionata.

23      La ricorrente censura la Commissione laddove questa afferma che la propria interpretazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 è necessaria per garantire che l’ammenda inflitta abbia un effetto sufficientemente dissuasivo. Anzitutto, la ricorrente nega che tale disposizione si fondi sull’ipotesi che il fatturato realizzato da un’impresa durante l’esercizio sociale precedente una decisione rifletta in maniera soddisfacente il fatturato di tale impresa nel momento in cui l’infrazione viene commessa. La ricorrente ritiene che nulla consenta di affermare che il legislatore si sia fondato su una tale ipotesi e che la scelta dell’esercizio sociale precedente piuttosto che, ad esempio, dell’ultimo anno dell’infrazione indichi che lo scopo perseguito è di valutare il probabile impatto sull’impresa, e dunque il carattere proporzionato dell’ammenda, alla luce della situazione finanziaria dell’impresa stessa alla data in cui l’ammenda viene inflitta. In risposta all’argomento della Commissione secondo cui un’ammenda di EUR 1 milione è troppo esigua, la ricorrente rileva poi che un tale importo è stato ritenuto sufficientemente dissuasivo nella decisione della Commissione 9 dicembre 1998, 1999/271/CE, relativa ad una procedura ai sensi dell’art. 85 del Trattato CE (IV/34.466 – Traghetti greci) (GU 1999, L 109, pag. 24; in prosieguo: la «decisione Traghetti greci»). Inoltre, la ricorrente afferma che l’argomento della Commissione relativo al rischio di occultamento del fatturato da parte di un’impresa al fine di evitare l’imposizione di un’ammenda più elevata non è pertinente nel caso di specie in quanto nessuno ha sostenuto che essa ricorrente abbia agito in tal modo. La ricorrente sostiene che il Tribunale dovrebbe limitare il proprio esame ai fatti quali risultano dal fascicolo nella presente causa.

24      La ricorrente contesta la Commissione laddove questa afferma di aver interpretato l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 al fine di garantirne l’effetto utile, in conformità della giurisprudenza. La ricorrente ritiene che la giurisprudenza invocata dalla Commissione non sia pertinente e dimostri che, quando si tratta di infliggere un’ammenda ad un’associazione di imprese o ad un’impresa che agisce in nome dei membri di tale associazione, il tetto massimo del 10% deve essere calcolato in rapporto al fatturato complessivo dei membri. Il significato che nella detta giurisprudenza è stato dato al termine «fatturato» sarebbe pertinente soltanto nel contesto dei rispettivi procedimenti.

25      Nella sua prassi antecedente, la Commissione avrebbe rispettato il principio secondo cui la fissazione dell’importo di base e l’applicazione del tetto massimo del 10% sono fasi distinte nella determinazione dell’importo dell’ammenda, e non avrebbe reputato necessario applicare tale tetto massimo all’anno più vicino possibile a quello nel corso del quale l’impresa ha commesso l’infrazione nel caso in cui esistesse una differenza significativa tra il fatturato dell’esercizio sociale precedente e le dimensioni dell’impresa stessa al momento dell’infrazione. Infatti, nella sua decisione 18 luglio 2001, 2002/271/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 del Trattato CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/E-1/36.490 – Elettrodi di grafite) (GU L100, pag. 1), la Commissione avrebbe fissato l’importo di base sulla scorta del fatturato di EUR 1 022 milioni registrato dalla UCAR International nel 1998, anno precedente la fine dell’infrazione. Sebbene il fatturato della UCAR nel 2000, anno precedente l’adozione della decisione, fosse inferiore di EUR 181 milioni rispetto al suo fatturato del 1998, la Commissione avrebbe applicato il tetto massimo del 10% al fatturato del 2000.

26      La ricorrente aggiunge che la Commissione, riferendosi ad un esercizio sociale diverso dall’esercizio sociale precedente ai fini del calcolo del limite massimo del 10% del fatturato, non tiene conto della sua situazione finanziaria all’epoca dell’adozione della decisione impugnata e, di conseguenza, viola il principio di proporzionalità. Tale principio imporrebbe che qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione non ecceda quanto è necessario per raggiungere un obiettivo legittimo [sentenza della Corte 24 settembre 1985, causa 181/84, Man (Sugar), Racc. pag. 2889, punto 20]. La decisione della Commissione, nel caso di specie, di applicare il tetto massimo del 10% ad un esercizio sociale della ricorrente privo di qualsiasi rapporto con la situazione finanziaria di quest’ultima, calcolata in termini di fatturato, all’epoca della decisione impugnata, avrebbe come risultato che l’ammenda inflitta non rifletterebbe il potere economico della ricorrente medesima e non sarebbe dunque proporzionata. La ricorrente ricorda che essa non aveva alcun fatturato all’epoca dell’adozione di tale decisione e che, oltre a ciò, l’ammenda in questione è sostanzialmente più ingente dell’insieme delle sue attività attuali, pari ad EUR 1,9 milioni circa secondo i suoi conti rivisti riguardanti l’esercizio finanziario conclusosi il 30 giugno 2001.

27      In via preliminare, la Commissione ricorda, per parte sua, che la ricorrente era responsabile dell’infrazione in questione e, quando la decisione impugnata è stata adottata, era ancora esistente. Di conseguenza, occorrerebbe infliggerle un’ammenda (‘considerando’ 242‑250 della decisione impugnata) (sentenza del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑6/89, Enichem Anic/Commissione, Racc. pag. II‑1623, punto 236).

28      La Commissione riconosce che il riferimento all’esercizio sociale precedente contenuto nell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 «sembra logicamente correlarsi all’esercizio che precede l’adozione della decisione di infliggere un’ammenda». Tuttavia, essa ritiene di essere autorizzata, qualora il fatturato dell’esercizio sociale precedente dia una visione totalmente falsata delle dimensioni dell’impresa in questione, a prendere in considerazione il fatturato realizzato da tale impresa nel corso di un esercizio anteriore.

29      La Commissione contesta l’interpretazione assolutamente letterale dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 che la ricorrente compie. Risulterebbe dalla giurisprudenza che, anche se il tenore letterale di una disposizione sembra chiaro, è necessario riferirsi allo spirito, all’economia generale e al contesto di tale disposizione (sentenze della Corte 5 febbraio 1963, causa 26/62, van Gend en Loos, Racc. pag. 3, e 21 febbraio 1973, causa 6/72, Europemballage e Continental Can/Commissione, Racc. pag. 215).

30      Quanto alla presente fattispecie, nella quale il fatturato dell’impresa era pari a zero, la Commissione ritiene che, per valutare le dimensioni e la potenza economica di tale impresa, essa fosse legittimata a prendere in considerazione il fatturato del gruppo cui la predetta appartiene oppure, in alternativa, il fatturato dell’ultimo anno in cui essa ha avuto un’attività economica normale. Posto che il regolamento fa riferimento all’«impresa di cui trattasi», la Commissione ha ritenuto che occorresse scegliere la seconda possibilità. Le due opzioni comporterebbero un certo scarto rispetto al tenore letterale del regolamento n. 17, ma ciò sarebbe già stato ritenuto ammissibile dal giudice comunitario, e la seconda possibilità sarebbe probabilmente la più favorevole per l’impresa in questione.

31      La Commissione fa valere poi vari argomenti per giustificare la propria interpretazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. In particolare, essa sostiene che la propria interpretazione è necessaria per garantire un sufficiente effetto dissuasivo dell’ammenda. A questo proposito, la Commissione afferma che, allorché un’impresa resta in attività fino all’adozione della decisione finale, essa istituzione ed il regolamento n. 17 partono dal presupposto che l’esercizio sociale precedente rifletta in maniera soddisfacente l’ordine di grandezza del fatturato dell’impresa nel momento in cui l’infrazione è stata commessa. L’interpretazione della ricorrente vanificherebbe l’obiettivo di una dissuasione sufficiente e, di conseguenza, la possibilità di infliggere ammende verrebbe totalmente privata di effetto utile.

32      Inoltre, la Commissione asserisce che l’interpretazione da essa fornita dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 è pienamente conforme alla giurisprudenza. Da un lato, il giudice comunitario avrebbe interpretato tale regolamento in modo da garantire il suo effetto utile. Dall’altro, la correlazione tra tale disposizione e la valutazione delle reali dimensioni dell’impresa al momento dell’infrazione troverebbe conferma nella giurisprudenza (v., ad esempio, sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑298/98 P, Finnboard/Commissione, Racc. pag. I‑10157, punto 66; sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑338/94, Finnboard/Commissione, Racc. pag. II‑1617, punto 282, e 23 febbraio 1994, cause riunite T‑39/92 e T‑40/92, CB e Europay/Commissione, Racc. pag. II‑49, punti 136 e 137).

 Giudizio del Tribunale

33      Occorre rilevare, in via preliminare, come la ricorrente non contesti né la propria partecipazione all’intesa, né la violazione dell’art. 81 CE ascrittale, né la valutazione compiuta dalla Commissione della gravità e della durata dell’infrazione. Essa intende soltanto ottenere l’annullamento dell’ammenda inflitta ovvero la riduzione del suo ammontare, a motivo del fatto che la Commissione avrebbe violato l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 infliggendole un’ammenda eccedente la soglia massima del 10% del fatturato realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente prevista dalla detta disposizione.

34      Ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la Commissione può infliggere alle imprese «ammende che variano da un minimo di mille unità di conto ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione (…)».

35      Secondo la giurisprudenza, il tetto massimo del 10% previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 mira ad evitare che le ammende siano sproporzionate rispetto all’importanza dell’impresa e, in particolare, mira ad evitare che vengano inflitte ammende che prevedibilmente le imprese non saranno in grado di pagare. Posto che solo il fatturato complessivo può effettivamente dare un’indicazione approssimativa in proposito, è opportuno intendere questa percentuale come riferita al fatturato complessivo (sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite da 100/80 a 103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 119).

36      È necessario aggiungere che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 mira a conferire alla Commissione il potere di infliggere ammende allo scopo di consentirle di svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto comunitario (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 35, punto 105, e sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597, punto 105). Questo compito comprende quello di indagare e reprimere le singole infrazioni, ma implica pure il dovere di seguire una politica generale mirante ad applicare, in materia di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese. Ne consegue che la Commissione deve provvedere affinché le ammende abbiano carattere dissuasivo (v., in tal senso, sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra, punti 105 e 106).

37      Risulta altresì dalla giurisprudenza – ciò che non viene contestato dalle parti – che, ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, per «esercizio sociale precedente» si intende, in linea di principio, l’ultimo esercizio sociale completo di ciascuna delle imprese interessate alla data dell’adozione della decisione impugnata (sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, cit. supra al punto 20, punto 5009; sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑291/98 P, Sarrió/Commissione, Racc. pag. I‑9991, punto 85).

38      Tuttavia, tanto dagli obiettivi del sistema nel quale la detta disposizione si inserisce (v. supra, punti 35 e 36), quanto dalla giurisprudenza citata sopra al punto 37, risulta che l’applicazione del tetto massimo del 10% presuppone, da un lato, che la Commissione disponga del fatturato per l’ultimo esercizio sociale che precede la data di adozione della decisione e, dall’altro, che tali dati rappresentino un esercizio completo di attività economica normale durante un periodo di 12 mesi.

39      Così, ad esempio, se l’esercizio sociale si è concluso prima dell’adozione della decisione, ma i conti annuali dell’impresa in questione non sono ancora stati predisposti ovvero non sono ancora stati comunicati alla Commissione, quest’ultima è legittimata, e perfino obbligata, a fare ricorso al fatturato realizzato nel corso di un esercizio sociale antecedente al fine di applicare l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Allo stesso modo, se, a causa di una riorganizzazione o di una modifica delle pratiche contabili, un’impresa ha elaborato, per l’esercizio sociale precedente, conti riferiti ad un periodo inferiore a dodici mesi, la Commissione è legittimata ad utilizzare il fatturato realizzato nel corso di un esercizio completo antecedente al fine di applicare la detta disposizione.

40      Non si tratta dunque di una semplice questione di scelta tra un’ammenda massima di EUR 1 milione ed un tetto massimo fissato con riferimento al solo fatturato realizzato nell’esercizio sociale che precede la data di adozione della decisione.

41      Nel caso di specie, posto che la decisione impugnata reca la data dell’11 dicembre 2001, l’esercizio sociale precedente era quello dal 1° luglio 2000 al 30 giugno 2001. Orbene, la ricorrente aveva ceduto le proprie attività nel settore dello zinco nel 1997 ed aveva successivamente cessato di esercitare qualsiasi attività economica (v. supra, punto 1). Più in particolare, essa non aveva esercitato alcuna attività durante il periodo compreso tra il 1° luglio 2000 ed il 30 giugno 2001 e non aveva dunque realizzato alcun fatturato nel corso di tale periodo.

42      Di conseguenza, al momento dell’adozione della decisione impugnata, la Commissione non disponeva, quanto alla ricorrente, di un fatturato che rappresentasse un’attività economica esercitata da quest’ultima nel corso dell’esercizio sociale precedente. Il Tribunale ritiene che tale situazione non differisca sostanzialmente da quelle menzionate sopra al punto 39. Se un’impresa non ha esercitato alcuna attività economica nel corso dell’esercizio sociale precedente, il fatturato di tale periodo non fornisce alcuna indicazione in merito all’importanza dell’impresa suddetta, in contrasto con quanto richiesto dalla giurisprudenza (v. supra, punto 35), e, pertanto, non può servire quale base per la determinazione del tetto massimo previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

43      Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui lo scopo perseguito da tale tetto massimo è di valutare il probabile impatto dell’ammenda sull’impresa alla luce delle dimensioni di quest’ultima alla data in cui l’ammenda viene inflitta e secondo il quale la Commissione ha violato il principio di proporzionalità (v. supra, punti 22 e 26), occorre ricordare come l’obiettivo specifico del detto tetto massimo sia di evitare che le ammende siano sproporzionate rispetto all’importanza dell’impresa e, in particolare, di evitare che le imprese in questione non siano in grado di pagare le ammende inflitte (v. supra, punto 35). L’applicazione del tetto massimo del 10% per realizzare tale obiettivo presuppone che l’impresa in questione sia dedita ad un’attività commerciale alla data in cui l’ammenda viene inflitta. Orbene, nel caso di specie, nel 1997 è stata assunta la decisione commerciale di cedere le attività di impresa della ricorrente nel settore dello zinco alla Trident, di porre termine alle attività della ricorrente nel mercato in questione e di distribuire il ricavato di tale cessione, anziché intraprendere una nuova attività commerciale. La ricorrente, avendo realizzato il valore della propria attività commerciale mediante tale cessione, non ha fatto valere un’incapacità di pagare l’ammenda a causa dell’assenza di un’attività commerciale corrente (v. supra, punto 1). In tali circostanze, il Tribunale ritiene che non fosse sproporzionato stabilire il tetto massimo dell’ammenda in rapporto alle dimensioni della ricorrente prima della cessione delle attività commerciali.

44      La tesi della ricorrente secondo cui dalla sua interpretazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 risulta che la Commissione è sempre legittimata ad infliggere un’ammenda di EUR 1 milione – importo che la detta istituzione ha d’altronde ritenuto come sufficientemente dissuasivo – non può essere accolta. Il semplice fatto che la Commissione, nella sua prassi decisionale antecedente e, del resto, in circostanze differenti da quelle presenti, abbia ritenuto che un’ammenda di EUR 1 milione avesse un effetto sufficientemente dissuasivo non implica che essa sia obbligata ad effettuare la medesima valutazione delle proprie decisioni successive. Occorre aggiungere che gli orientamenti indicano che gli importi applicabili per le infrazioni «molto gravi» possono superare EUR 20 milioni e che la ricorrente non contesta il carattere «molto grave» dell’infrazione in questione nella presente fattispecie. La Commissione era dunque legittimata a ritenere che un’ammenda di EUR 1 milione non fosse sufficiente.

45      Risulta da quanto sopra esposto che la Commissione non era obbligata, per fissare il tetto massimo del 10% previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, a fare riferimento al fatturato inesistente della ricorrente relativo all’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 2001.

46      Occorre poi verificare se la Commissione fosse legittimata – come ha fatto nella decisione impugnata – ad utilizzare il fatturato realizzato dalla ricorrente nel corso dell’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 1996 e, dunque, a non tener conto degli esercizi sociali più recenti.

47      La Commissione chiarisce, nella decisione impugnata, che, per fissare il tetto massimo del 10%, ha preso in considerazione il fatturato complessivo della ricorrente per l’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 1996, il quale rappresenta «l’ultima cifra disponibile relativa a un intero anno di attività normale» (v. supra, punto 9). Il fatturato della ricorrente per l’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 1996 era di EUR 55,7 milioni. Risulta dal fascicolo – ed è stato confermato dalle parti all’udienza – che la ricorrente ha in realtà proseguito normalmente le proprie attività fino al marzo 1997, data in cui essa ha ceduto alla Trident le sue attività d’impresa nel settore dello zinco (v. supra, punto 1). Inoltre, risulta dai conti della ricorrente per l’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 1997 che, dopo la detta cessione, la ricorrente ha esercitato attività commerciali in forma ridotta, consistenti nell’acquisto di zinco presso un fornitore nell’ambito di un accordo preesistente e nella rivendita del medesimo alla Trident al prezzo di costo. Pertanto, il fatturato della ricorrente per l’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 1997 era di GBP 34,8 milioni. Nel corso dell’anno successivo, essa ha posto fine a tale attività residuale, sicché, per l’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 1998, essa ha realizzato un fatturato di GBP 7,3 milioni soltanto. La ricorrente non ha realizzato alcun fatturato negli esercizi sociali successivi.

48      Come indicato sopra al punto 38, per fissare il tetto massimo previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la Commissione deve disporre di un fatturato che rappresenti un esercizio completo di attività economica normale durante un periodo di dodici mesi.

49      È giocoforza constatare che, anche in un normale esercizio di attività economiche, il fatturato di un’impresa potrebbe ridursi in maniera rilevante, e perfino sostanziale, rispetto agli anni precedenti, per ragioni di varia natura, quali un difficile contesto economico, una crisi nel settore di cui trattasi, un sinistro o uno sciopero. Tuttavia, qualora un’impresa abbia di fatto realizzato un fatturato nel corso di un esercizio completo durante il quale sono state esercitate delle attività economiche, ancorché ridotte, la Commissione deve tener conto dell’impresa così quale essa è al fine di determinare il tetto massimo previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Pertanto, quanto meno nelle situazioni in cui non vi siano elementi per ritenere che un’impresa abbia cessato le proprie attività commerciali od occultato il proprio fatturato per evitare l’imposizione di una pesante ammenda, il Tribunale ritiene che la Commissione sia obbligata a fissare il limite massimo dell’ammenda con riferimento al fatturato più recente rispecchiante un anno completo di attività economica.

50      A questo proposito, il Tribunale ritiene che, nel caso della ricorrente, l’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 1996 sia l’ultimo esercizio sociale «completo» ai sensi della sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, cit. supra al punto 20 (punto 5009). La ricorrente ha esercitato le proprie normali attività soltanto per nove mesi dell’esercizio sociale conclusosi il 30 giugno 1997 fino alla cessione alla Trident nel marzo 1997. Infatti, a partire dalla fine del mese di marzo 1997, la ricorrente stava ponendo fine alle proprie attività commerciali. La ricorrente, laddove ha continuato ad esercitare un’attività nel corso dell’ultimo trimestre del 1997, si è limitata all’acquisto di zinco nell’ambito di un accordo preesistente e alla rivendita del medesimo a prezzo di costo. Queste ultime attività della ricorrente non possono essere considerate come una normale attività economica, in quanto la ricorrente, nell’ambito del suo accordo di cessione delle sue attività d’impresa nel settore dello zinco, agiva quale tramite tra il fornitore e la Trident. Tali attività devono dunque essere considerate, a partire dal mese di marzo 1997, come rientranti nelle operazioni contabili facenti parte della cessione delle attività d’impresa nel settore dello zinco. 

51      Ne consegue che l’esercizio sociale chiuso al 30 giugno 1996 era l’ultimo esercizio sociale completo precedente la decisione impugnata ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e che, pertanto, la Commissione non ha violato tale disposizione fissando il tetto massimo in rapporto al detto esercizio.

52      Quanto all’argomento della ricorrente relativo alla violazione del principio di proporzionalità, esso deve essere respinto per le ragioni indicate sopra al punto 43.

 Quanto alla seconda parte del motivo, relativa ad una violazione del principio di parità di trattamento

 Argomenti delle parti

53      La ricorrente deduce due argomenti a sostegno della seconda parte del motivo, relativa ad una violazione del principio di parità di trattamento.

54      In primo luogo, essa fa valere che la Commissione, riferendosi ad un esercizio sociale diverso dall’esercizio sociale precedente ai fini del calcolo del tetto massimo del 10%, si è discostata dalla propria prassi antecedente e ha dunque violato il principio di parità di trattamento. Secondo la ricorrente, in passato la Commissione ha sempre utilizzato l’esercizio sociale precedente ai fini di tale calcolo. Essa afferma in particolare che, quando l’impresa interessata aveva venduto le proprie pertinenti attività ad un’altra entità durante il periodo di perpetrazione dell’illecito, la Commissione non applicava il tetto massimo al fatturato relativo ad un esercizio nel corso del quale alcune attività erano state ancora esercitate da tale impresa, bensì teneva conto del fatturato realizzato da quest’ultima nel corso dell’esercizio sociale precedente la propria decisione [decisione della Commissione 23 aprile 1986, 86/398/CEE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del Trattato CEE (IV/31.149 – Polipropilene) (GU L 230, pag. 1), e decisione della Commissione 27 luglio 1994, 94/599/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del Trattato CE (IV/31.865 – PVC) (GU L 239, pag. 14)]. La ricorrente ritiene che la Commissione abbia giustamente constatato che non godeva di un potere discrezionale di applicare il limite massimo del 10% del fatturato tenendo conto di un esercizio sociale diverso da quello precedente la decisione impugnata.

55      La ricorrente rileva che, nella decisione Traghetti greci, cit. supra al punto 23, in cui il fatturato della Karageorgis, una delle imprese coinvolte, relativo all’esercizio sociale precedente non era disponibile, la Commissione ha invocato la prima parte dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 per infliggere un’ammenda di EUR 1 milione a tale impresa. Secondo la ricorrente, la sua situazione nel caso di specie è assai simile a quella dell’impresa suddetta, in quanto entrambe si sono ritirate dal mercato molto tempo prima che la Commissione adottasse la propria decisione.

56      In secondo luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione ha violato il principio di parità di trattamento, in quanto non l’ha trattata, quanto alla fissazione del tetto massimo dell’ammenda, nello stesso modo della Union Pigments e della SNCZ, malgrado essa si trovasse nella medesima situazione di tali imprese. Per determinare il tetto massimo delle ammende inflitte alla Union Pigments e alla SNCZ, la Commissione avrebbe tenuto conto del fatturato da queste realizzato nell’esercizio sociale precedente ed avrebbe così ridotto le loro ammende. Per contro, per quanto riguarda la ricorrente, la Commissione avrebbe fatto riferimento ad un esercizio sociale antecedente e non avrebbe dunque ridotto la sua ammenda. Mentre nel caso della Union Pigments e della SNCZ sarebbe stata presa in considerazione la loro situazione finanziaria in termini di fatturato al momento dell’adozione della decisione impugnata, ciò non sarebbe avvenuto nel caso della ricorrente.

57      La Commissione respinge gli argomenti della ricorrente relativi alla presunta violazione del principio di parità di trattamento.

58      In primo luogo, essa asserisce di non aver modificato la propria prassi antecedente in senso contrario a tale principio. Essa riconosce che utilizzava normalmente, per fissare il tetto massimo del 10%, il fatturato realizzato dall’impresa in questione nel corso dell’esercizio sociale precedente l’adozione della decisione. La Commissione asserisce che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, essa agiva in tal modo non perché ritenesse di non essere legittimata ad utilizzare un altro esercizio sociale, bensì in quanto non si era trovata dinanzi alla situazione esistente nel caso di specie, in cui un membro dell’intesa ha ceduto tutte le proprie attività pur continuando ad esistere sul piano giuridico. A questo proposito, la Commissione ricorda che la propria prassi antecedente non può fungere quale quadro giuridico‑normativo per le ammende in materia di concorrenza, posto che quest’ultimo è definito unicamente dal regolamento n. 17 (sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 234).

59      In secondo luogo, la Commissione contesta la fondatezza della tesi della ricorrente secondo cui essa ha ricevuto un trattamento diverso da quello di altre imprese che si trovavano nella medesima situazione.

 Giudizio del Tribunale

60      Secondo una costante giurisprudenza, il principio di parità di trattamento risulta violato soltanto quando situazioni analoghe vengono trattate in maniera differente o quando situazioni differenti vengono trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra al punto 36, punto 69, e sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T-311/94, BPB de Eendracht/Commissione, Racc. pag. II-1129, punto 309).

61      Il primo argomento della ricorrente, relativo al fatto che la Commissione si sarebbe discostata dalla propria prassi antecedente, è infondato. Infatti, la ricorrente non si trova in una situazione analoga a quella delle imprese oggetto dei procedimenti citati sopra al punto 54, in quanto essa non ha realizzato alcun fatturato nel corso dell’esercizio sociale precedente la decisione impugnata. Pertanto, essa non può pretendere di essere trattata allo stesso modo delle imprese oggetto di precedenti procedimenti.

62      Anche il secondo argomento della ricorrente, relativo ad una presunta discriminazione tra essa, da un lato, e la SNCZ e la Union Pigments, dall’altro, deve essere respinto. Alla luce della giurisprudenza ricordata sopra al punto 60, il Tribunale ritiene che la ricorrente si trovi chiaramente in una situazione diversa da quella della SNCZ e della Union Pigments. Queste ultime, a differenza della ricorrente, erano ancora presenti nel settore del fosfato di zinco nel momento in cui la decisione impugnata è stata adottata, sicché il loro fatturato nel corso dell’esercizio sociale precedente costituiva un indizio affidabile della loro importanza economica. Posto che un fatturato pari a zero fornisce un’immagine falsata dell’importanza della ricorrente, la Commissione era legittimata a fare ricorso ad un esercizio anteriore e, di conseguenza, a trattare la ricorrente in modo diverso dalla SNCZ e dalla Union Pigments.

63      Occorre aggiungere che l’argomento della ricorrente relativo ad una violazione del principio di parità di trattamento trascura il fatto che, se la Commissione non avesse potuto utilizzare il fatturato realizzato nel corso di un esercizio sociale antecedente, vi sarebbe stata una discriminazione chiara ed ingiustificata in favore della ricorrente, soprattutto in rapporto alla Trident. Se la Commissione si fosse limitata ad infliggere alla ricorrente un’ammenda di EUR 1 milione, per un’infrazione che era durata tre anni (dal 24 marzo 1994 al 15 marzo 1997), tale ammenda avrebbe rappresentato soltanto la metà di quella inflitta alla Trident, che aveva acquistato le attività della ricorrente nel settore dello zinco e che aveva partecipato all’infrazione quale «avente causa» di quest’ultima per un periodo di quattordici mesi (dal 15 marzo 1997 al 13 maggio 1998).

64      Occorre pertanto respingere la seconda parte dell’unico motivo.

 Quanto alla terza parte del motivo, relativa ad una violazione del principio di certezza del diritto

 Argomenti delle parti

65      La ricorrente fa valere che la Commissione, riferendosi ad un esercizio sociale diverso da quello precedente la decisione impugnata al fine di fissare il tetto massimo del 10% del fatturato, ha violato il principio di certezza del diritto. In base a tale principio, le imprese dovrebbero essere in grado di svolgere le loro attività in maniera prevedibile. Le misure che comportano effetti giuridici dovrebbero essere certe e la loro applicazione prevedibile. Tale principio dovrebbe essere osservato in maniera particolarmente rigorosa quando si tratta di misure che hanno conseguenze finanziarie, come l’inflizione di ammende (sentenza della Corte 15 dicembre 1987, causa 326/85, Paesi Bassi/Commissione, Racc. pag. 5091, punto 24). Secondo la ricorrente, il principio di certezza del diritto esige che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 venga interpretato restrittivamente nel senso che il tetto massimo del 10% deve essere sempre applicato all’esercizio sociale che precede immediatamente l’adozione della decisione che infligge un’ammenda. Se la Commissione avesse il potere arbitrario di applicare tale tetto massimo agli esercizi sociali antecedenti, le imprese non sarebbero più in grado di prevedere le sanzioni che potrebbero essere loro inflitte.

66      La ricorrente aggiunge che l’interpretazione che la Commissione fornisce dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, al fine di essere autorizzata a scegliere un anno che rispecchi più o meno la potenza economica dell’impresa in questione all’epoca dell’infrazione qualora il fatturato realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente fornisca un’immagine totalmente deformata di tale impresa, comporta un grado inaccettabile di incertezza giuridica nel caso di un’impresa il cui fatturato subisca una diminuzione nel corso dell’esercizio sociale che precede la decisione. Tale impresa non potrebbe assolutamente stabilire se la Commissione terrà conto del fatturato realizzato nel corso di un anno diverso dall’esercizio sociale precedente e quale anno essa giudicherà accettabile. Il solo modo di garantire la certezza del diritto sarebbe di utilizzare l’esercizio sociale precedente come riferimento per stabilire il tetto massimo in conformità del testo dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

67      Inoltre, la ricorrente sostiene che dal fatto che essa non ha asseritamente sollevato tale questione nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti non si può dedurre che essa avesse previsto la scelta che la Commissione avrebbe operato. La ricorrente ricorda di aver sottolineato, nella detta risposta, che non poteva essere ritenuta responsabile per un’ammenda e che la Commissione doveva infliggere un’ammenda per la totalità del periodo dell’infrazione alla Trident, che le era succeduta da un punto di vista economico. La ricorrente afferma di aver sempre ritenuto che, se la Commissione avesse deciso di infliggerle un’ammenda, l’importo massimo di quest’ultima sarebbe stato di EUR 1 milione, prima della riduzione per la cooperazione. Un’ammenda di tale ammontare non potrebbe essere qualificata come «simbolica» per un’impresa che, come essa, non aveva alcun fatturato e disponeva soltanto di attivi assai esigui. La ricorrente afferma di non essersi pronunciata in merito all’interpretazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti in quanto riteneva che il testo di tale disposizione fosse assolutamente chiaro e vincolante.

68      La Commissione ritiene che la terza parte del motivo debba essere respinta nella sua interezza. Da un lato, essa contesta la tesi della ricorrente secondo cui l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 deve essere interpretato restrittivamente. Dall’altro, la detta istituzione afferma che l’interpretazione da essa fornita di tale disposizione era prevedibile.

 Giudizio del Tribunale

69      Il principio di certezza del diritto esige che le norme giuridiche siano chiare e precise, ed è diretto a garantire la prevedibilità delle situazioni e dei rapporti giuridici rientranti nella sfera del diritto comunitario (sentenza della Corte 15 febbraio 1996, causa C‑63/93, Duff e a., Racc. pag. I‑569, punto 20, e sentenza del Tribunale 21 ottobre 1997, causa T‑229/94, Deutsche Bahn/Commissione, Racc. pag. II‑1689, punto 113).

70      È giocoforza constatare che le disposizioni disciplinanti l’attuazione dell’art. 81 CE, e segnatamente il regolamento n. 17 e gli orientamenti, consentono alle imprese di prevedere con certezza che un’ammenda verrà inflitta in caso di infrazione alle norme comunitarie sulla concorrenza e che l’importo dell’ammenda verrà determinato in base alla gravità e alla durata dell’infrazione.

71      L’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 garantisce che l’importo dell’ammenda, qualora sia superiore ad EUR 1 milione, non eccederà il limite massimo del 10% del fatturato realizzato dall’impresa in questione nel corso dell’esercizio sociale precedente. Tuttavia, l’interpretazione e l’applicazione di tale disposizione dipendono dalle circostanze proprie di ciascuna fattispecie e, come indicato sopra al punto 39, dalla disponibilità e dalla completezza dei conti annuali attestanti il fatturato in questione.

72      Oltre a ciò, le conseguenze dell’applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 devono garantire l’effetto utile di quest’ultimo.

73      Nel caso di specie, era perfettamente prevedibile che un’ammenda sarebbe stata inflitta alla ricorrente, in quanto questa aveva partecipato ad un’infrazione che la giurisprudenza qualifica come «violazione manifesta delle norme comunitarie sulla concorrenza» (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑148/89, Tréfilunion/Commissione, Racc. pag. II‑1063, punto 109, e BPB de Eendracht/Commissione, cit. supra al punto 60, punti 303 e 338). Era altresì prevedibile che tale ammenda sarebbe stata determinata in funzione della gravità e della durata dell’infrazione e sarebbe stata modulata in base alle circostanze proprie dell’impresa interessata, ivi comprese le sue dimensioni, le sue capacità economiche ed eventuali circostanze aggravanti ed attenuanti. Per contro, il principio di certezza del diritto non dava alla ricorrente la garanzia che la cessazione delle sue attività commerciali le avrebbe consentito di sfuggire ad un’ammenda.

74      Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la Commissione non ha il potere arbitrario di applicare il tetto massimo del 10% agli esercizi sociali antecedenti a quello che precede la data di adozione della decisione. La Commissione può ricorrere a uno di tali esercizi sociali antecedenti soltanto in circostanze eccezionali. Inoltre, come chiarito sopra al punto 49, la Commissione non dispone, neppure in tal caso, di un ampio margine discrezionale nella scelta dell’esercizio sociale da utilizzare per fissare il limite massimo dell’ammenda. Essa infatti è obbligata a fare riferimento all’ultimo esercizio sociale completo rispecchiante un intero anno di attività economiche normali.

75      Alla luce di tali fatti, occorre respingere anche la terza parte dell’unico motivo e, di conseguenza, il motivo stesso.

76      Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che il ricorso deve essere interamente respinto.

 Sulle spese

77      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La ricorrente è condannata alle spese.

Lindh

García-Valdecasas

Cooke

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 29 novembre 2005.

Il cancelliere

 

      Il presidente

E. Coulon

 

      P. Lindh


* Lingua processuale: l'inglese.