Language of document : ECLI:EU:C:2016:677

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MELCHIOR WATHELET

presentate il 13 settembre 2016 (1)

Causa C‑104/16 P

Consiglio dell’Unione europea

contro

Front populaire pour la libération de la saguia-el-hamra et du rio de oro

(Front Polisario)

«Impugnazione – Accordo in forma di scambio di lettere tra l’Unione europea e il Regno del Marocco – Liberalizzazione reciproca in materia di prodotti agricoli, di prodotti agricoli trasformati, di pesce e di prodotti della pesca»

Indice

I – Introduzione

II – Fatti

III – Ricorso dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

V – Sulla ricevibilità dell’impugnazione

A – Argomenti delle parti

B – Valutazione

VI – Sul merito dell’impugnazione

A – In via principale

1. Sulla prima parte del secondo motivo di impugnazione, nella parte in cui verte sull’applicazione dell’accordo di liberalizzazione al Sahara occidentale

a) Argomenti delle parti

b) Valutazione

i) Status del Sahara occidentale, come determinato dall’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, e sue conseguenze

ii) Assenza di riconoscimento, da parte dell’Unione e dei suoi Stati membri, della sovranità del Regno del Marocco sul Sahara occidentale

iii) Qual è la sorte di un’applicazione de facto al territorio del Sahara occidentale che ne farebbe «una prassi successivamente seguita»?

iv) Effetto relativo dei trattati (pacta tertiis nec nocent nec prosunt)

B – In subordine

1. Sul primo motivo, concernente errori di diritto relativi alla capacità del Front Polisario di stare in giudizio dinanzi ai giudici dell’Unione

a) Argomenti delle parti

b) Valutazione

2. Sul secondo motivo, relativo ad errori di diritto concernenti la legittimazione ad agire del Front Polisario

a) Sulla prima parte, nella parte che attiene alla natura della decisione controversa

i) Argomenti delle parti

ii) Valutazione

b) Sulla seconda parte, relativa all’incidenza diretta nei confronti del Front Polisario

i) Argomenti delle parti

ii) Valutazione

– Sulla questione se ricorrenti non privilegiati possano essere «direttamente interessati» da decisioni del Consiglio relative alla conclusione di accordi internazionali

– Sulle nozioni di incidenza diretta e di effetto diretto

c) Sulla terza parte, relativa all’incidenza individuale nei confronti del Front Polisario

i) Argomenti delle parti

ii) Valutazione

C – In ulteriore subordine

1. Sul terzo motivo, attinente ad un errore di diritto relativo al controllo, da parte del Tribunale, del potere discrezionale di cui gode il Consiglio nel settore delle relazioni economiche esterne

a) Argomenti delle parti

b) Valutazione

2. Sul quarto motivo, relativo al fatto che il Tribunale ha statuito ultra petita

a) Argomenti delle parti

b) Valutazione

3. Sul quinto motivo, attinente ad errori di diritto relativi all’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e del principio di sovranità permanente sulle risorse naturali

a) Sulla prima parte, relativa all’obbligo di esaminare la questione del rispetto dei diritti fondamentali

i) Argomenti delle parti

ii) Valutazione

– Sulla ricevibilità del motivo del ricorso di annullamento del Front Polisario relativo alla violazione dei diritti fondamentali

– Sulla censura relativa ad un’interpretazione e ad un’applicazione erronee della Carta dei diritti fondamentali

b) Sulla seconda parte, relativa all’obbligo di esaminare la questione della conformità dell’accordo di liberalizzazione all’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite e al principio di sovranità permanente sulle risorse naturali

i) Argomenti delle parti

ii) Valutazione

4. Sul sesto motivo, relativo ad un errore di diritto concernente la portata dell’annullamento della decisione controversa

a) Argomenti delle parti

b) Valutazione

VII – Sulle spese

A – In via principale e in subordine

B – In ulteriore subordine

VIII – Conclusione





I –          Introduzione

1.        Con la sua impugnazione, il Consiglio dell’Unione europea chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 10 dicembre 2015, Fronte Polisario/Consiglio (T‑512/12, EU:T:2015:953; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale quest’ultimo ha parzialmente annullato la decisione 2012/497/UE del Consiglio dell’8 marzo 2012, relativa alla conclusione dell’accordo in forma di scambio di lettere tra l’Unione europea e il Regno del Marocco in merito a misure di liberalizzazione reciproche per i prodotti agricoli, i prodotti agricoli trasformati, il pesce e i prodotti della pesca, alla sostituzione dei protocolli nn. 1, 2 e 3 e dei relativi allegati e a modifiche dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra (2) (in prosieguo: la «decisione controversa»), «nella parte in cui approva l’applicazione di detto accordo al Sahara occidentale».

2.        La presente causa riveste un’importanza significativa, in quanto solleva diverse questioni spinose. In primo luogo, la Corte avrà l’occasione di precisare se un’organizzazione, come il Front populaire pour la libération de la saguia-el-hamra et du rio de oro (Front Polisario), disponga della capacità, dell’interesse e della legittimazione ad agire ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. In tale contesto, la Corte dovrà risolvere la questione se il Sahara occidentale rientri nell’ambito di applicazione territoriale dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra, firmato a Bruxelles il 26 febbraio 1996 e approvato a nome di dette Comunità tramite la decisione 2000/204/CE, CECA del Consiglio e della Commissione, del 24 gennaio 2000 (3) (in prosieguo: l’«accordo di associazione»), e dell’accordo in forma di scambio di lettere tra l’Unione europea e il Regno del Marocco in merito a misure di liberalizzazione reciproche per i prodotti agricoli, i prodotti agricoli trasformati, il pesce e i prodotti della pesca, alla sostituzione dei protocolli nn. 1, 2 e 3 e dei relativi allegati e a modifiche dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra, firmato a Bruxelles il 13 dicembre 2010 (4) (in prosieguo: l’«accordo di liberalizzazione»).

3.        In secondo luogo, la Corte potrebbe essere indotta a chiarire la portata del controllo giurisdizionale esercitato dai giudici dell’Unione in settori come quello delle relazioni economiche esterne, in cui il Consiglio gode di un ampio potere discrezionale, nonché a prendere posizione sugli elementi che il Consiglio dovrebbe prendere in considerazione prima di approvare un accordo internazionale concluso con un paese terzo. In tale contesto, la Corte dovrebbe esaminare questioni complesse di diritto internazionale pubblico concernenti lo status del Sahara occidentale e il diritto del suo popolo all’autodeterminazione.

4.        Non si deve trascurare neanche l’importanza rivestita dalla presente causa per la comunità internazionale e per il futuro degli investimenti marocchini ed altri nel Sahara occidentale. Infatti, il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), il sig. Ban Ki-moon, ne ha fatto menzione nella sezione intitolata «Diritti dell’uomo» della sua relazione del 19 aprile 2016 sulla situazione del Sahara occidentale (5).

II – Fatti

5.        Il Front Polisario è, secondo l’articolo 1 del suo statuto, «un movimento di liberazione nazionale, frutto della lunga resistenza saharawi contro le varie forme di occupazione straniera», costituito il 10 maggio 1973.

6.        Il contesto storico e internazionale nel quale è esso stato creato e la successiva evoluzione della situazione del Sahara occidentale vengono illustrati ai punti da 1 a 16 della sentenza impugnata.

7.        Come risulta da tali punti, il Sahara occidentale è un territorio dell’Africa nord-occidentale, che è stato colonizzato dal Regno di Spagna nel XIX secolo prima di divenire una provincia spagnola ed essere poi inserito nell’elenco dei territori non autonomi ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, ove compare a tutt’oggi (6).

8.        Il 20 dicembre 1966, l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la risoluzione 2229 (XXI) sulla questione dell’Ifni e del Sahara spagnolo, ribadendo il «diritto inalienabile de[l] popol[o] (…) del Sahara spagnolo all’autodeterminazione». Essa ha chiesto al Regno di Spagna, nella sua veste di potenza amministratrice, di «definire quanto prima, conformemente alle aspirazioni della popolazione autoctona del Sahara spagnolo e in consultazione con i governi marocchino e mauritano nonché con ogni altra parte interessata, le modalità dell’organizzazione di un referendum da svolgersi sotto l’egida dell’[ONU] per consentire alla popolazione autoctona del territorio di esercitare liberamente il proprio diritto all’autodeterminazione».

9.        Il 20 agosto 1974, il Regno di Spagna ha informato l’ONU che si proponeva di organizzare, sotto l’egida di quest’ultima, un referendum nel Sahara occidentale.

10.      Il 16 ottobre 1975, a seguito di una domanda in tal senso dell’Assemblea generale dell’ONU, la Corte internazionale di giustizia ha rilasciato il suo parere consultivo relativo al Sahara occidentale (CIJ, Recueil 1975, pag. 12), al punto 162 del quale essa ha concluso quanto segue:

«Gli elementi e le informazioni a conoscenza della Corte mostrano l’esistenza, al momento della colonizzazione spagnola, di vincoli giuridici fra il Sultano del Marocco e alcune tribù che vivevano nel territorio del Sahara occidentale. Essi mostrano parimenti l’esistenza di diritti, inclusi taluni diritti relativi alla terra, che costituivano vincoli giuridici fra l’insieme mauritano, nel senso inteso dalla Corte, e il territorio del Sahara occidentale. Per contro, la Corte conclude che gli elementi e le informazioni a sua conoscenza non dimostrano l’esistenza di alcun vincolo di sovranità territoriale tra il Sahara occidentale, da un lato, e il Regno del Marocco o l’insieme mauritano, dall’altro. La Corte non ha dunque rilevato l’esistenza di vincoli giuridici tali da modificare l’applicazione della [risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU del 14 dicembre 1960, 1514 (XV), sulla concessione dell’indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali (in prosieguo: la “risoluzione 1514 (XV)”)] con riferimento alla decolonizzazione del Sahara occidentale e, in particolare, all’applicazione del principio di autodeterminazione mediante la libera e autentica espressione della volontà delle popolazioni del territorio».

11.      Il 14 novembre 1975, il Regno di Spagna, il Regno del Marocco e la Repubblica islamica di Mauritania hanno sottoscritto una dichiarazione che prevedeva il trasferimento dei poteri e delle responsabilità del Regno di Spagna, in veste di potenza amministratrice del Sahara occidentale, a un’amministrazione tripartita temporanea.

12.      Nel corso dell’autunno del 1975, la situazione nel Sahara occidentale si è deteriorata. In un discorso pronunciato il giorno stesso della pubblicazione del citato parere della Corte internazionale di giustizia, il re Hassan II del Marocco, ritenendo che «tutti» avessero riconosciuto che il Sahara occidentale apparteneva al Regno del Marocco e che ai marocchini non restasse altro che «occupare il [loro] territorio», ha fatto appello all’organizzazione di una «marcia pacifica» verso il Sahara occidentale, con la partecipazione di 350 000 persone.

13.      Il Consiglio di sicurezza dell’ONU (in prosieguo: il «Consiglio di sicurezza») ha esortato le parti coinvolte e interessate a dar prova di cautela e moderazione. Esso ha espresso inoltre la propria preoccupazione con riferimento alla grave situazione nella regione mediante tre risoluzioni sul Sahara occidentale, vale a dire le risoluzioni 377 (1975), 379 (1975) e 380 (1975). Nell’ultima di queste risoluzioni, esso ha deplorato lo svolgimento della marcia annunciata dal re del Marocco e ha chiesto al Regno del Marocco l’immediato ritiro dal territorio del Sahara occidentale di tutti i partecipanti alla marcia stessa.

14.      Il 26 febbraio 1976, il Regno di Spagna ha informato il Segretario generale dell’ONU che, a partire da tale data, esso poneva fine alla propria presenza nel Sahara occidentale e che si riteneva ormai svincolato da qualsiasi responsabilità di carattere internazionale relativa all’amministrazione di tale territorio.

15.      Nel frattempo, era esploso un conflitto armato tra il Regno del Marocco, la Repubblica islamica di Mauritania e il Front Polisario.

16.      Il 10 agosto 1979, a seguito di un accordo concluso con il Front Polisario, la Repubblica islamica di Mauritania ha rinunciato a qualsiasi rivendicazione territoriale sul Sahara occidentale.

17.      Nella sua risoluzione 34/37 del 21 novembre 1979, sulla questione del Sahara occidentale, l’Assemblea generale dell’ONU ha riaffermato «il diritto inalienabile del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione e all’indipendenza» e si è felicitata per l’accordo mauritano‑saharawi firmato ad Algeri il 10 agosto 1979 tra la Repubblica islamica di Mauritania e il Front Polisario. Essa ha inoltre vivamente deplorato «l’aggravarsi della situazione derivante dalla persistenza dell’occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco e dall’estensione dell’occupazione stessa al territorio recentemente evacuato dalla Mauritania». Essa ha chiesto al Regno del Marocco di impegnarsi a sua volta nel processo di pace ed ha raccomandato a tal fine che il Front Polisario, «rappresentante del popolo del Sahara occidentale, partecip[asse] pienamente ad ogni ricerca di una soluzione politica equa, duratura e definitiva della questione del Sahara occidentale».

18.      Il conflitto armato è proseguito tra il Front Polisario e il Regno del Marocco fino a che, il 30 agosto 1988, entrambe le parti hanno in via di principio accettato talune proposte di accordo formulate, segnatamente, dal Segretario generale dell’ONU e che prevedevano, in particolare, la proclamazione di un cessate il fuoco, nonché l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione sotto il controllo dell’ONU.

19.      Ad oggi, tale referendum non ha ancora avuto luogo.

20.      Attualmente, la maggior parte del territorio del Sahara occidentale è controllata dal Regno del Marocco, il quale si considera il sovrano del Sahara occidentale, mentre il Front Polisario controlla una parte di minore estensione e assai poco abitata, nella parte orientale di tale territorio. Il territorio controllato dal Front Polisario è separato dal territorio controllato dal Regno del Marocco da un muro di sabbia costruito da quest’ultimo e sorvegliato dall’esercito marocchino. Un rilevante numero di rifugiati originari del Sahara occidentale vive in campi amministrati dal Front Polisario, situati in territorio algerino, nei pressi del Sahara occidentale.

III – Ricorso dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

21.      Con atto di ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 19 novembre 2012, il Front Polisario ha proposto un ricorso inteso all’annullamento della decisione controversa e alla condanna del Consiglio alle spese.

22.      A sostegno delle sue conclusioni, il Front Polisario ha dedotto undici motivi, relativi, il primo, alla violazione dell’obbligo di motivazione; il secondo, all’inosservanza del «principio di consultazione»; il terzo, alla violazione dei diritti fondamentali; il quarto, alla «violazione del principio di coerenza della politica dell’Unione»; il quinto, alla «violazione dei valori fondanti dell’Unione e dei principi che disciplinano la sua azione esterna»; il sesto, al «mancato perseguimento dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile»; il settimo, alla «violazione dei principi e degli obiettivi dell’azione esterna dell’Unione nell’ambito della cooperazione allo sviluppo»; l’ottavo, alla violazione del principio della tutela del legittimo affidamento; il nono, alla «contrarietà della decisione impugnata a vari accordi stipulati dall’Unione»; il decimo, alla contrarietà al diritto internazionale generale, e, l’undicesimo, alla violazione del «diritto della responsabilità internazionale dell’Unione».

23.      A sua difesa, il Consiglio ha chiesto il rigetto del ricorso per irricevibilità ovvero, in mancanza, per infondatezza, nonché la condanna del Front Polisario alle spese.

24.      Con ordinanza del presidente dell’Ottava Sezione del Tribunale del 6 novembre 2013, la Commissione europea è stata autorizzata a intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

25.      Nella sentenza impugnata, il Tribunale, in primo luogo, ha esaminato gli argomenti del Consiglio e della Commissione secondo i quali il ricorso doveva essere respinto in quanto irricevibile poiché, da un lato, il Front Polisario non aveva dimostrato di essere munito di personalità giuridica e nemmeno della capacità di agire in giudizio e, dall’altro, la decisione controversa non lo riguardava né direttamente né individualmente. Esso ha respinto rispettivamente questi due motivi di irricevibilità ai punti da 34 a 60 e da 61 a 114 della sentenza impugnata.

26.      In secondo luogo, il Tribunale ha analizzato i motivi di annullamento dedotti dal Front Polisario a sostegno delle proprie conclusioni, indicando, anzitutto, che, in sostanza, esso «lamenta[va] un’illegittimità della decisione [controversa] in quanto essa [avrebbe] viol[ato] il diritto dell’Unione nonché il diritto internazionale» (7). Il Tribunale aggiunge che «tutti i motivi di ricorso sollevano in realtà la questione dell’esistenza o meno di un divieto assoluto di stipulare, a nome dell’Unione, un accordo internazionale che possa applicarsi a un territorio di fatto controllato da uno Stato terzo, senza tuttavia che la sovranità di tale Stato sul territorio in questione sia riconosciuta dall’Unione e dai suoi Stati membri o, più in generale, da tutti gli altri Stati (in prosieguo: un “territorio conteso”), nonché, eventualmente, la questione dell’esistenza di un potere discrezionale delle istituzioni dell’Unione a tal proposito, dei limiti di tale potere e delle sue condizioni di esercizio» (8).

27.      Il Tribunale ha poi esaminato ciascuno degli undici motivi di annullamento dedotti dal Front Polisario e ha respinto ciascuno di essi in quanto infondato o, in un caso, in quanto irricevibile, ai punti 127, 139, 148, 158, 167, 172, 175, 178, 199, 211 e 214 della sentenza impugnata.

28.      Nell’ambito di tale esame, esso ha considerato, segnatamente, che nessuno degli argomenti fatti valere dal Front Polisario consentiva «di concludere che sia assolutamente preclusa dal diritto dell’Unione o dal diritto internazionale la stipulazione con uno Stato terzo di un accordo potenzialmente applicabile a un territorio conteso» (9).

29.      Allo stesso tempo, il Tribunale si è riservato di esaminare una serie di argomenti invocati dal Front Polisario a sostegno del primo, del terzo, del quinto, del sesto, del nono e del decimo motivo, relativi in sostanza, a suo avviso, alla questione sussidiaria delle condizioni alle quali le istituzioni dell’Unione potevano approvare la conclusione di un accordo applicabile ad un territorio conteso (10).

30.      Infine, il Tribunale ha proceduto all’analisi di tale questione ai punti da 223 a 247 della sentenza impugnata. A tal riguardo, esso ha ritenuto, in sostanza, che il Consiglio, pur beneficiando di un ampio potere discrezionale nell’ambito della conduzione delle relazioni esterne dell’Unione, avesse l’obbligo, quando intendeva approvare un accordo internazionale applicabile ad un territorio conteso e inteso a favorire l’esportazione verso l’Unione di prodotti originari di tale territorio, di esaminare in via preliminare tutti gli elementi rilevanti della fattispecie ed assicurarsi, in particolare, che lo sfruttamento di tali prodotti non avvenisse a danno della popolazione di detto territorio e non implicasse la violazione dei suoi diritti fondamentali. Il Tribunale ha parimenti rilevato che, nella specie, il Consiglio era venuto meno a tale obbligo.

31.      Tali considerazioni hanno indotto il Tribunale a concludere, al punto 247 della sentenza impugnata, che il «Consiglio e[ra] venuto meno al proprio obbligo di esaminare tutti gli elementi della fattispecie preliminarmente all’adozione della decisione [controversa]» e, di conseguenza, ad annullare quest’ultima «nella parte in cui approva l’applicazione al Sahara occidentale dell’accordo [di liberalizzazione]».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

32.      Con la sua impugnazione, depositata presso la Corte il 19 febbraio 2016, il Consiglio chiede che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata;

–        statuire sulla causa, respingendo il ricorso, e

–        condannare il Front Polisario a rifondere le spese sostenute dal Consiglio in primo grado e nell’ambito del giudizio di impugnazione.

33.      Con la sua comparsa di risposta, depositata presso la Corte il 9 maggio 2016, il Front Polisario chiede che la Corte voglia:

–        in via principale, dichiarare l’impugnazione irricevibile;

–        in subordine, dichiarare l’impugnazione infondata;

–        in ulteriore subordine, nel caso in cui la Corte dovesse accogliere le conclusioni del Consiglio, nella parte in cui sono intese all’annullamento della sentenza impugnata, statuire sulla causa annullando la decisione controversa sulla base dei motivi respinti dal Tribunale, e

–        condannare il Consiglio alle spese sostenute dal Front Polisario in primo grado e nell’ambito del giudizio di impugnazione.

34.      Con la sua comparsa di risposta, depositata presso la Corte il 3 maggio 2016, la Commissione chiede alla Corte di accogliere l’impugnazione.

35.      Con atto separato presentato presso la cancelleria della Corte al momento del deposito della sua impugnazione, il Consiglio ha chiesto di sottoporre la causa alla procedura accelerata prevista all’articolo 133 del regolamento di procedura della Corte.

36.      Con ordinanza del 7 aprile 2016, il presidente della Corte ha accolto tale domanda.

37.      Con decisioni del presidente della Corte del 2, del 13, del 18 e del 24 maggio 2016, il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese e la Repubblica portoghese sono stati ammessi ad intervenire nella controversia a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Tuttavia, la Repubblica federale di Germania non ha depositato né una memoria di intervento né ha partecipato all’udienza.

38.      Con ordinanza del presidente della Corte del 9 giugno 2016, la Confédération marocaine de l’agriculture et du développement rural (Confederazione marocchina dell’agricoltura e dello sviluppo rurale) (Comader) è stata ammessa ad intervenire nella controversia a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

39.      Il 19 luglio 2016, è stata organizzata un’udienza, in occasione della quale il Consiglio, la Comader, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica portoghese, il Front Polisario e la Commissione hanno presentato osservazioni orali.

V –    Sulla ricevibilità dell’impugnazione

A –    Argomenti delle parti

40.      Il Front Polisario contesta la ricevibilità dell’impugnazione, facendo valere che il Consiglio non dispone di un interesse a proporre la medesima. A tal riguardo, esso rileva, in primo luogo, che la sentenza impugnata ha annullato la decisione controversa solo «nella parte in cui approva l’applicazione al Sahara occidentale [dell’]accordo [di liberalizzazione]». In secondo luogo, esso sostiene che né il Regno del Marocco né l’Unione sono competenti a concludere un accordo applicabile al Sahara occidentale. Esso ne conclude che il Consiglio non può trarre alcun beneficio da un’eventuale reintegrazione del Sahara occidentale nell’ambito di applicazione dell’accordo di liberalizzazione.

41.      Il Consiglio e la Commissione contestano la fondatezza di tale argomento, affermando, in via principale, che le istituzioni dell’Unione possono proporre un’impugnazione senza dover dimostrare un interesse ad agire e, in subordine, che tale condizione è soddisfatta nella specie. Inoltre, il Consiglio afferma che l’argomento del Front Polisario relativo all’irricevibilità dell’impugnazione è esso stesso irricevibile, dal momento che si risolve nel chiedere la modifica del punto 220 della sentenza impugnata e che, ai sensi dell’articolo 174 del regolamento di procedura della Corte, esso è fuori luogo in una comparsa di risposta.

B –    Valutazione

42.      Ai sensi dell’articolo 56, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, «[l]’impugnazione può essere proposta da qualsiasi parte che sia rimasta parzialmente o totalmente soccombente nelle sue conclusioni».

43.      Ciò avviene manifestamente nel caso del Consiglio, che dinanzi al Tribunale ha sostenuto che il ricorso del Front Polisario era irricevibile o, in ogni caso, infondato.

44.      Poiché il Tribunale ha respinto gli argomenti del Consiglio sulla ricevibilità del ricorso del Front Polisario e ha annullato parzialmente la decisione controversa, il Consiglio è risultato parzialmente soccombente. Esso è pertanto legittimato ad impugnare la sentenza controversa.

45.      In ogni modo, come statuito dalla Corte nell’ambito di controversie diverse da quelle fra l’Unione e i suoi agenti, le istituzioni dell’Unione non devono dimostrare un interesse per poter impugnare una sentenza del Tribunale (11), ad eccezione dei casi in cui esse chiedono una sostituzione dei motivi (12).

46.      È vero che la Corte ha dichiarato, al punto 46 della sentenza del 19 luglio 2012, Consiglio/Zhejiang Xinan Chemical Industrial Group (C‑337/09 P, EU:C:2012:471), che «[essa poteva] dichiarare un’impugnazione irricevibile qualora un fatto successivo alla sentenza del Tribunale a[vesse] privato quest’ultima dei suoi effetti pregiudizievoli per la parte impugnante[, nella specie il Consiglio]».

47.      Tuttavia, il Front Polisario non indica alcun fatto successivo alla sentenza impugnata che avrebbe privato quest’ultima dei suoi effetti pregiudizievoli. Esso sembra limitarsi ad affermare che il dispositivo della sentenza impugnata, secondo il quale la decisione controversa è annullata «nella parte in cui approva l’applicazione al Sahara occidentale [dell’]accordo [di liberalizzazione]», non contraddice la sua tesi secondo la quale né le istituzioni dell’Unione né il Regno del Marocco sono competenti a concludere un accordo applicabile al Sahara occidentale (13).

48.      Anche se tale linea argomentativa non mira affatto a contestare il punto 220 della sentenza impugnata (14) (il che sarebbe peraltro impossibile al di fuori di un’impugnazione incidentale), essa non è in grado di fondare l’eccezione di irricevibilità del Front Polisario. L’eccezione di irricevibilità del Front Polisario deve pertanto essere respinta.

VI – Sul merito dell’impugnazione

A –    In via principale

49.      Poiché il cuore del problema è costituito dalla questione se si applichi o meno l’accordo di liberalizzazione al Sahara occidentale, esaminerò in primo luogo la prima parte del secondo motivo di impugnazione, nella parte in cui verte sull’applicazione di detto accordo. Infatti, qualora la risposta a tale questione sia negativa, occorrerà annullare la sentenza del Tribunale, il quale, fondandosi sull’ipotesi inversa, avrà commesso un errore di diritto, e dichiarare irricevibile il ricorso del Front Polisario per mancanza di interesse e di legittimazione ad agire.

1.      Sulla prima parte del secondo motivo di impugnazione, nella parte in cui verte sull’applicazione dell’accordo di liberalizzazione al Sahara occidentale

a)      Argomenti delle parti

50.      Il Consiglio rileva che, per pronunciarsi sulla legittimazione ad agire del Front Polisario, il Tribunale ha esaminato, in via preliminare, ai punti da 73 a 103 della sentenza impugnata, la questione dell’eventuale applicazione dell’accordo di liberalizzazione al Sahara occidentale. Esso ritiene che, al punto 73 della sentenza impugnata, il Tribunale abbia proceduto a tale esame fondandosi su una presunzione secondo la quale una risposta affermativa ad una siffatta questione aveva come conseguenza automatica che il Front Polisario poteva risultare direttamente e individualmente interessato dalla decisione controversa. Esso aggiunge che tale presunzione è erronea in diritto, in quanto la decisione controversa non può creare diritti ed obblighi la cui portata ecceda l’ambito di applicazione territoriale dei Trattati, ed è dunque priva di qualsiasi effetto giuridico nel territorio del Sahara occidentale.

51.      Da parte sua, la Commissione considera, da un lato, che la circostanza che l’accordo di liberalizzazione venga applicato de facto al Sahara occidentale (15) non consente di ritenere che esista una «prassi successivamente seguita», ai sensi dell’articolo 31 della convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, del 23 maggio 1969 (16) (in prosieguo: la «convenzione di Vienna»), che giustifichi un’interpretazione dell’articolo 94 dell’accordo di associazione nel senso che esso rende tale accordo, nonché l’accordo di liberalizzazione, applicabili al territorio del Sahara occidentale.

52.      Dall’altro, secondo la Commissione, sarebbe contrario al principio dell’effetto relativo dei trattati (pacta tertiis nec nocent nec prosunt) codificato all’articolo 34 della convenzione di Vienna, al diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione e all’assenza di un’estensione espressa di detti accordi al Sahara occidentale ritenere che essi siano applicabili a quest’ultimo.

53.      Il Front Polisario risponde osservando che il Tribunale ha esaminato la questione dell’applicazione dell’accordo di liberalizzazione al Sahara occidentale al fine non di trarne una qualsivoglia presunzione quanto alla ricevibilità del ricorso, bensì al fine di determinare il contesto di fatto e di diritto nel quale la sua legittimazione ad agire doveva essere intesa. Infatti, il Consiglio e la Commissione avrebbero a lungo sostenuto che tale accordo non era applicabile a detto territorio, prima di riconoscere che esso veniva effettivamente applicato ai prodotti originari del medesimo. Orbene, tale elemento sarebbe proprio uno di quelli che distinguono detto accordo dai due accordi comparabili conclusi dal Regno del Marocco con gli Stati Uniti d’America, da un lato, e con gli Stati membri dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), dall’altro.

b)      Valutazione

54.      La questione dell’ambito di applicazione territoriale dell’accordo di liberalizzazione (il quale dipende dall’ambito di applicazione territoriale dell’accordo di associazione che esso ha modificato) riveste un’importanza fondamentale nella presente causa, in quanto essa impregna l’intero ricorso di annullamento del Front Polisario, incluse le questioni di merito (17), oltre a quella della sua legittimazione (e del suo interesse) ad agire.

55.      A tal riguardo, il Consiglio afferma che il Tribunale, decidendo, al punto 73 della sentenza impugnata, di verificare se il Front Polisario potesse risultare direttamente e individualmente interessato dalla decisione controversa in funzione dell’applicazione o meno dell’accordo di liberalizzazione al Sahara occidentale, «[ha fatto] dell’applicazione dell’accordo concluso in forza della decisione [controversa] nella specie ad un territorio al di fuori dell’Unione una condizione preliminare affinché il [Front Polisario] sia interessato individualmente e direttamente da detta decisione» (18). Secondo il Consiglio, ciò sarebbe contrario ai punti 90, 91 e 94 dell’ordinanza del 3 luglio 2007, Commune de Champagne e a./Consiglio e Commissione (T‑212/02, EU:T:2007:194), in cui esso aveva statuito che la decisione di approvazione di un accordo internazionale poteva esplicare effetti solo sul territorio dell’Unione.

56.      A mio avviso, tale argomento deve essere respinto per la semplice ragione che, nella causa sfociata nell’ordinanza del 3 luglio 2007, Commune de Champagne e a./Consiglio e Commissione (T‑212/02, EU:T:2007:194), la portata dell’ambito di applicazione territoriale dell’accordo oggetto di tale causa era pacifica. Il Tribunale si è dunque limitato a verificare se la decisione di approvazione di tale accordo comportasse «effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi di chi li impugna, modificando in misura rilevante la situazione giuridica di questi» (19).

57.      Anche se, statuendo in tal modo, il Tribunale sembra accorpare le nozioni di atto impugnabile e di legittimazione ad agire, ciò non toglie che, nella presente causa, il Tribunale non avrebbe potuto pronunciarsi sull’incidenza diretta e individuale nei confronti del Front Polisario senza prima decidere se il Sahara occidentale facesse o meno parte dell’ambito di applicazione territoriale degli accordi di associazione e di liberalizzazione. È evidente che, se il Sahara occidentale non rientrasse nell’ambito di applicazione territoriale di detti accordi, l’incidenza diretta e individuale nei confronti del Front Polisario sarebbe esclusa, nella misura in cui tutti i suoi argomenti si basano, nella specie, su tale applicazione.

58.      Occorre dunque esaminare gli argomenti della Commissione secondo i quali la decisione controversa non ha manifestamente modificato la situazione giuridica del Front Polisario, poiché l’accordo di associazione e, pertanto, l’accordo di liberalizzazione, non erano applicabili al Sahara occidentale. Essa ritiene in tal senso che, ai punti da 88 a 104 della sentenza impugnata, il Tribunale abbia interpretato erroneamente l’articolo 94 dell’accordo di associazione (20).

59.      Occorre precisare, anzitutto, che non è necessario prendere posizione sulla questione se il Regno del Marocco possa concludere, senza violare il diritto internazionale, un accordo internazionale applicabile al Sahara occidentale; ciò non è, a mio avviso, dimostrato in modo chiaro (21) ed è peraltro fortemente contestato dal Front Polisario.

60.      Infatti, ai fini della presente causa, è sufficiente risolvere la questione distinta relativa a se gli accordi di cui trattasi siano applicabili al Sahara occidentale in forza dell’articolo 94 dell’accordo di associazione, il quale dispone che «[l’accordo di associazione] si applica, da un lato, [al territorio dell’Unione] e, dall’altro, al territorio del Regno del Marocco» (22).

61.      Rilevo, a tal riguardo, che i termini «territorio del Regno del Marocco» non vengono definiti negli accordi di cui trattasi.

62.      A tal riguardo, l’articolo 29 della convenzione di Vienna dispone che, «[a] meno che un’intenzione diversa non si ricavi dal trattato o non risulti per altra via, un trattato vincola ciascuna delle parti rispetto all’intero suo territorio» (23).

63.      Esistono due posizioni differenti in merito a tale aspetto.

64.      Da un lato, malgrado le loro differenti motivazioni, il Front Polisario e la Commissione ritengono che il Sahara occidentale sia un territorio non autonomo ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite e che, in quanto tale, esso non possa fare parte del territorio del Regno del Marocco ai sensi dell’articolo 94 dell’accordo di associazione. Nessuno di essi riconosce la sovranità di quest’ultimo sul Sahara occidentale.

65.      Sebbene la Commissione riconosca che gli accordi di associazione e di liberalizzazione sono stati applicati a prodotti provenienti dal Sahara occidentale, essa ha sottolineato in udienza che si trattava unicamente di una mera tolleranza che la stessa non aveva contestato, pur avendo potuto farlo sulla base dell’articolo 86 dell’accordo di associazione, aggiungendo che il fatto che essa non fosse ricorsa a tale disposizione non era una prova della sua accettazione.

66.      Dall’altro lato, il Consiglio e il Regno del Marocco ritengono che l’accordo di liberalizzazione sia applicabile al Sahara occidentale, ma per ragioni diverse. Come affermato dal Tribunale al punto 100 della sentenza impugnata, secondo «il Regno del Marocco (…), il Sahara occidentale fa parte integrante del suo territorio».

67.      Quanto al Consiglio, lo stesso, durante l’intero procedimento dinanzi alla Corte e in udienza, ha sostenuto tesi divergenti o addirittura contraddittorie. Cito qui l’ultima versione della sua interpretazione dell’ambito di applicazione degli accordi di cui trattasi, fornita dal Consiglio nella sua replica in udienza. Secondo tale tesi, «il Consiglio non ha accettato tacitamente l’interpretazione del [Regno del] Marocco, secondo la quale l’accordo [di liberalizzazione] si applicherebbe al Sahara occidentale quale parte del suo territorio, il che potrebbe costituire un indizio di riconoscimento indiretto [della sua sovranità]. Esso ha tacitamente accettato che l’accordo [di liberalizzazione] si applica parimenti (…) ad un territorio non autonomo che il Regno del Marocco amministra, il che non implica né riconoscimento né acquiescenza né accettazione. Il Regno del Marocco e l’Unione sono consapevoli di avere un’interpretazione diversa. They agree to disagree. Essi hanno un’intesa reciproca secondo la quale l’Unione ammette l’applicazione dell’accordo sul territorio del Sahara occidentale e il [Regno del] Marocco non ne trae un argomento a sostegno della rivendicazione della sua sovranità». La sua tesi può essere brevemente riassunta come quella di un’«applicazione senza riconoscimento»; il Consiglio aggiunge che «quando l’accordo è stato concluso (…), era pacifico fra i [suoi] membri (…) il fatto che [il Regno del Marocco considerava il Sahara occidentale parte del suo territorio]». Tuttavia, secondo il Consiglio, aspettarsi che l’accordo in questione sia applicato al Sahara occidentale non implica, da parte sua, che esso prenda posizione sulla questione di sovranità sul territorio del Sahara occidentale.

68.      A mio avviso, ragionando sulla sola base dell’articolo 94 dell’accordo di associazione, il Sahara occidentale non fa parte del territorio del Regno del Marocco ai sensi di tale articolo, e ciò per le seguenti ragioni.

i)      Status del Sahara occidentale, come determinato dall’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, e sue conseguenze

69.      È vero che, come statuito dalla Corte al punto 46 della sentenza del 5 luglio 1994, Anastasiou e a. (C‑432/92, EU:C:1994:277), in relazione all’accordo di associazione fra l’Unione e la Repubblica di Cipro (24), «per la [sua] interpretazione ed attuazione [l’Unione] deve tenere in particolare considerazione la controparte».

70.      Ciò non implica, tuttavia, che l’Unione debba accettare qualsiasi posizione della sua controparte sull’interpretazione e l’applicazione dell’accordo di associazione, soprattutto allorché detta controparte difenda posizioni che la comunità internazionale e l’Unione non hanno mai accettato.

71.      Orbene, poiché il Sahara occidentale è inserito dall’ONU, dal 1963, nel suo elenco dei territori non autonomi ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite (25), ne consegue che, in tale qualità, esso ricade nell’ambito di applicazione della risoluzione 1514 (XV) concernente l’esercizio del diritto all’autodeterminazione da parte dei popoli coloniali (26), come statuito dalla Corte internazionale di giustizia al punto 162 del suo parere consultivo del 16 ottobre 1975 sul Sahara occidentale (27).

72.      In tal senso, non condivido il punto di vista del Tribunale espresso al punto 56 della sentenza impugnata, e ripreso dal Consiglio in udienza, secondo il quale «il Sahara occidentale è un territorio il cui status internazionale risulta ad oggi indeterminato» (28). Ciò che attualmente è indeterminato non è il suo status, bensì il suo futuro.

73.      Non condivido neanche la qualificazione del Sahara occidentale come «territorio conteso» effettuata dal Tribunale ai punti 117, 141, 142, 165, 198, 205, 210, 211, 215, 217, 220, 222, 223 e 227 della sentenza impugnata.

74.      Contrariamente alla causa sfociata nella sentenza del 6 luglio 1995, Odigitria/Consiglio e Commissione (T‑572/93, EU:T:1995:131) (29), in cui figuravano i termini «zone litigieuse» in francese ma «zone in dispute» in inglese (il che potrebbe spiegare i termini utilizzati dal Tribunale nella presente causa), non siamo in presenza, nella specie, di un conflitto di delimitazione di frontiere, bensì si tratta di determinare le conseguenze che devono essere tratte dallo status del Sahara occidentale quale territorio non autonomo ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite (30).

75.      In tale qualità, il Sahara occidentale possiede, in forza di detta Carta, «uno status separato e distinto da quello dello Stato che l’amministra (…) fintanto che il popolo (…) del territorio non autonomo non eserciti il suo diritto all’autodeterminazione conformemente alla Carta e, più in particolare, ai suoi scopi e principi» (31).

76.      Di conseguenza, come sostenuto dalla Commissione dinanzi al Tribunale (32), l’ambito di applicazione territoriale degli accordi in questione non può includere il Sahara occidentale senza estensione espressa, inesistente nella specie (33).

77.      A tal riguardo, la prassi degli Stati che hanno assunto o assumono la responsabilità di amministrare territori non autonomi riveste un’importanza particolare, in quanto essi sono gli unici Stati a poter elaborare una prassi in proposito (34).

78.      In tale contesto, la prassi degli Stati Uniti d’America, della Nuova Zelanda, della Repubblica francese e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord riveste un’importanza particolare, in quanto si tratta dei quattro Stati (35) che figurano nell’elenco delle potenze amministratrici tenuto dall’ONU (36) e che amministrano sedici dei diciassette territori non autonomi figuranti nell’elenco allegato a detta relazione del Segretario generale dell’ONU (37).

79.      Secondo la prassi degli Stati Uniti d’America, della Nuova Zelanda e del Regno Unito (38), che costituiscono la maggioranza delle potenze amministratrici e che amministrano la maggioranza dei territori non autonomi, ogni applicazione di trattati o di accordi ai territori non autonomi è subordinata ad un’estensione espressa al momento della loro ratifica (39).

80.      Orbene, tenuto conto del fatto che l’Unione considera il Sahara occidentale un territorio non autonomo, nessuna estensione espressa degli accordi di associazione e di liberalizzazione nei suoi confronti è stata prevista né da tali accordi né al momento della loro ratifica da parte del Regno del Marocco.

81.      Inoltre, la mia tesi è rafforzata dalla posizione degli Stati Uniti d’America, della Repubblica di Islanda, del Regno di Norvegia e della Confederazione svizzera, che ritengono parimenti che il Sahara occidentale non rientri nell’ambito di applicazione territoriale degli accordi di libero scambio conclusi con il Regno del Marocco (40), anche se tali accordi, come l’accordo di associazione, non escludono esplicitamente il Sahara occidentale dal loro ambito di applicazione territoriale (41).

82.      Deduco da quanto precede che il Sahara occidentale non può far parte del territorio del Regno del Marocco ai sensi dell’articolo 94 dell’accordo di associazione. Di conseguenza, gli accordi di associazione e di liberalizzazione non sono ad esso applicabili.

ii)    Assenza di riconoscimento, da parte dell’Unione e dei suoi Stati membri, della sovranità del Regno del Marocco sul Sahara occidentale

83.      Come il Consiglio e la Commissione hanno sostenuto dinanzi al Tribunale (42) e sostengono dinanzi alla Corte, l’Unione e i suoi Stati membri non hanno mai riconosciuto che il Sahara occidentale facesse parte del territorio del Regno del Marocco o rientrasse nella sua sovranità.

84.      Peraltro, il Consiglio non spiega affatto come sia possibile, dal punto di vista giuridico, applicare su un territorio determinato un accordo concluso con un paese senza riconoscere una qualsivoglia competenza o autorità giuridica di tale paese su detto territorio, il tutto senza neanche invocare gli articoli da 34 a 36 della convenzione di Vienna, né dimostrare la loro applicazione al caso concreto.

85.      Al contrario, a mio avviso, l’applicabilità implica, necessariamente e inevitabilmente, il riconoscimento.

86.      Inoltre, non mi è possibile accettare la tesi dell’«applicazione senza riconoscimento» del Consiglio, la quale tenta di conciliare applicabilità o applicazione degli accordi in questione al Sahara occidentale e volontà di non prendere posizione su un qualunque riconoscimento, da parte dell’Unione e dei suoi Stati membri, dell’appartenenza del Sahara occidentale al Regno del Marocco. Tale assenza di riconoscimento esclude in maniera certa e definitiva la possibilità che, negoziando gli accordi di associazione e di liberalizzazione, l’Unione abbia avuto l’intenzione di rendere tali accordi applicabili al Sahara occidentale.

iii) Qual è la sorte di un’applicazione de facto al territorio del Sahara occidentale che ne farebbe «una prassi successivamente seguita»?

87.      Nel procedimento dinanzi al Tribunale, il Front Polisario ha invocato l’esistenza di una prassi secondo la quale gli accordi di associazione e di liberalizzazione erano applicati de facto al territorio del Sahara occidentale, circostanza che il Consiglio e la Commissione hanno confermato nell’udienza dinanzi al Tribunale (43) e ribadito dinanzi alla Corte (44).

88.      Tale circostanza non mi sembra idonea ad estendere l’ambito di applicazione di detti accordi al Sahara occidentale, come riconosciuto dal Tribunale al punto 103 della sentenza impugnata.

89.      È vero che, sebbene una «prassi successivamente seguita» ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 3, lettera b), della convenzione di Vienna (45) possa essere presa in considerazione quale indizio supplementare del significato da attribuire al testo di un accordo alla luce del suo oggetto e del suo scopo, tale prassi non è, di per sé, decisiva (46).

90.      Come sostenuto dalla Commissione, gli elementi relativi alla prassi seguita dall’Unione e dal Regno del Marocco in relazione all’applicazione degli accordi in questione al Sahara occidentale, esaminati dal Tribunale ai punti da 78 a 87 della sentenza impugnata, non ne fanno una «prassi successivamente seguita» ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 3, lettera b), della convenzione di Vienna (47).

91.      A tal riguardo, non condivido l’interpretazione del diritto internazionale data dalla Corte nella sentenza dell’11 marzo 2015, Oberto e O’Leary (C‑464/13 e C‑465/13, EU:C:2015:163), in cui essa ha dichiarato che «come emerge dalla giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia, la prassi successivamente seguita nell’applicazione di un trattato può prevalere sui termini chiari di tale Trattato se detta prassi traduce l’accordo delle parti [CIG, causa del tempio di Preah Vihear (Cambogia c. Tailandia), sentenza del 15 giugno 1962, Racc. 1962, pag. 6]» (48).

92.      Rilevo anzitutto che la sentenza della Corte internazionale di giustizia nella causa del tempio Préah Vihéar è anteriore alla convenzione di Vienna, firmata nel 1969. Essa non poteva pertanto riguardare direttamente l’interpretazione dell’articolo 31, paragrafo 3, lettera b), di tale convenzione, disposizione che all’epoca non esisteva.

93.      Inoltre, non rilevo alcuna indicazione in tale sentenza della circostanza che la Corte internazionale di giustizia abbia detto, espressamente o meno, che la prassi successivamente seguita nell’applicazione di un trattato poteva prevalere sui termini chiari di tale trattato.

94.      Infine, nei limiti in cui tale disposizione riflette una norma di diritto internazionale consuetudinario, occorre osservare che la Corte internazionale di giustizia non affermava che una prassi successivamente seguita poteva prevalere sui termini chiari di un trattato se tale prassi traduceva l’accordo delle parti.

95.      Al contrario, detta sentenza è una delle sentenze principali della Corte internazionale di giustizia sulla nozione di estoppel o di acquiescenza nel diritto internazionale (49), le quali sono nozioni del tutto distinte da quella di «prassi successivamente seguita».

96.      A mio avviso, pare impossibile che una «prassi successivamente seguita» contraria al senso ordinario dei termini di un accordo possa prevalere su tali termini, salvo che essa costituisca una prassi, nota e accettata dalle parti, sufficientemente diffusa e dalla durata sufficientemente lunga da costituire di per sé un nuovo accordo. Orbene, gli elementi contenuti nel fascicolo della presente causa ed esaminati dal Tribunale ai punti da 78 a 87 della sentenza impugnata non sono sufficienti a dimostrare una siffatta prassi.

97.      In primo luogo, la risposta fornita dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione, sig.ra Catherine Ashton, a nome della Commissione, ai quesiti parlamentari recanti i riferimenti E‑001004/11, P‑001023/11 et E‑002315/11 (GU 2011, C 286 E, pag. 1), citata al punto 78 della sentenza impugnata, non costituisce, quale dichiarazione, una prassi nel senso di un’attuazione degli accordi di associazione e di liberalizzazione. Inoltre, in udienza, il Consiglio non ha sostenuto la tesi espressa in tale risposta, secondo la quale il Regno del Marocco era la potenza amministrativa de facto del Sahara occidentale.

98.      In secondo luogo, neanche le visite effettuate dall’Ufficio alimentare e veterinario (UAV) della Commissione nel Sahara occidentale, alle quali il Tribunale fa riferimento al punto 79 della sentenza impugnata, costituiscono un’attuazione degli accordi in questione, in quanto esse non sono ivi previste e non possono essere prese in considerazione, secondo la Commissione, come un indizio interpretativo, poiché riguardano tutti i prodotti che entrano nel territorio dell’Unione a prescindere dal regime doganale loro applicabile.

99.      In terzo luogo, neanche la circostanza che 140 degli esportatori marocchini autorizzati dalla Commissione in base all’accordo di associazione siano stabiliti nel Sahara occidentale, richiamata dal Tribunale al punto 80 della sentenza impugnata, costituisce un’attuazione degli accordi in questione, e ciò a maggior ragione in quanto tali esportatori sono parimenti stabiliti in Marocco, come riconosciuto dall’Unione e dai suoi Stati membri, e hanno il diritto di beneficiare di detti accordi a tale titolo.

100. Infine, anche se il Consiglio e la Commissione hanno indicato, come osservato dal Tribunale al punto 87 della sentenza impugnata, che l’accordo di liberalizzazione era stato de facto applicato al Sahara occidentale, la portata e la durata di tale applicazione restano sconosciute. Orbene, affinché ricorra una «prassi successivamente seguita» ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 3, lettera b), della convenzione di Vienna, «è necessario che sussista una concordanza indubbia fra le posizioni delle parti e che tali posizioni abbiano potuto determinare il senso di una disposizione del trattato» (50). Nella specie, una concordanza del genere non esiste in quanto, come rilevato dal Tribunale al punto 100 della sentenza impugnata, «il Regno del Marocco ha una concezione totalmente diversa dei fatti» da quella dell’Unione (51).

iv)    Effetto relativo dei trattati (pacta tertiis nec nocent nec prosunt)

101. In assenza di un’estensione espressa, l’applicazione al Sahara occidentale degli accordi di cui trattasi sarebbe parimenti contraria al principio generale di diritto internazionale dell’effetto relativo dei trattati (pacta tertiis nec nocent nec prosunt) il quale, come dichiarato dalla Corte nella sentenza del 25 febbraio 2010, Brita (C‑386/08, EU:C:2010:91) (52), trova specifica espressione nell’articolo 34 della convenzione di Vienna.

102. Al pari dell’articolo 94 dell’accordo di associazione di cui alla presente causa, l’articolo 83 dell’accordo di associazione UE-Israele dispone che «[esso] si applica [al territorio dell’Unione] da una parte, e al territorio dello Stato di Israele, dall’altra».

103. Ricordo che, come nella presente causa e malgrado il diverso parere dello Stato d’Israele a tal riguardo, l’Unione i suoi Stati membri non riconoscono né la sovranità dello Stato di Israele sul territorio della Cisgiordania e della Striscia di Gaza né la sua capacità a rappresentarlo internazionalmente e a concludere accordi per conto e in nome del medesimo, nella sua qualità di potenza occupante di tali territori (53).

104. In tale contesto, la Corte ha dichiarato che i prodotti originari della Cisgiordania non rientravano nell’ambito di applicazione dell’accordo di associazione UE-Israele «prendendo in considerazione, per un verso, il principio di diritto internazionale generale dell’effetto relativo dei trattati (…) (pacta tertiis nec nocent nec prosunt) (…) e, per altro verso, il fatto che l’Unione aveva altresì concluso un accordo di associazione con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), che agiva per conto dell’Autorità palestinese della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, accordo, quest’ultimo, segnatamente applicabile, secondo i suoi stessi termini, al territorio della Cisgiordania» (54).

105. Poiché il Sahara occidentale è un territorio non autonomo ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, esso costituisce un terzo (tertius) rispetto all’Unione e al Regno del Marocco.

106. È vero che il principio pacta tertiis nec nocent nec prosunt conosce parimenti delle eccezioni, segnatamente quelle codificate agli articoli 35 e 36 della convenzione di Vienna, relative ai trattati che prevedono obblighi o diritti per Stati terzi.

107. Nella specie, supponendo che l’accordo di liberalizzazione sia applicabile al Sahara occidentale, esso gli conferirebbe non un obbligo, bensì un diritto consistente nel poter esportare verso l’Unione, in un regime doganale preferenziale instaurato da tale accordo, i prodotti originari del suo territorio coperti da detto accordo.

108. Orbene, secondo l’articolo 36 della convenzione di Vienna, concernente i trattati che prevedono diritti per terzi, un diritto sorge per un terzo solo se questi vi consente, e tale consenso e' presunto fintanto che non vi sia un’indicazione contraria da parte sua. Inoltre, è necessario che esso possa esprimerlo, ma poiché il Sahara occidentale è un territorio non autonomo e il Regno del Marocco non si considera vincolato dall’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, il suo consenso non può essere presunto senza consultazione preliminare del suo popolo o dei suoi rappresentanti, la quale non ha avuto luogo.

109. Si evince da quanto precede che l’eccezione al principio generale di diritto internazionale dell’effetto relativo dei trattati prevista all’articolo 36 della convenzione di Vienna non è applicabile al caso in esame.

110. Di conseguenza, dichiarando, al punto 97 della sentenza impugnata, che «[l]e circostanze della presente causa sono diverse, poiché, nella specie, l’Unione non ha concluso alcun accordo di associazione vertente sui prodotti originari del Sahara occidentale né con il Fronte Polisario, né con un altro Stato o un’altra entità», il Tribunale ha operato una distinzione fra la presente causa e quella sfociata nella sentenza del 25 febbraio 2010, Brita (C‑386/08, EU:C:2010:91), ma non ne ha tratto la conclusione che l’applicazione degli accordi in questione al Sahara occidentale sarebbe contraria al principio generale dell’effetto relativo dei trattati.

111. Orbene, sulla base dell’articolo 94 dell’accordo di associazione e del principio dell’effetto relativo dei trattati, il Tribunale non poteva fondarsi sul fatto che «l’accordo di associazione (…) non include alcuna clausola interpretativa né alcun’altra disposizione da cui risulti l’esclusione del territorio del Sahara occidentale dal suo ambito applicativo» (55). Esso non poteva neanche dichiarare che il fatto che le istituzioni dell’Unione non avessero insistito sull’inclusione, «nel testo dell’accordo approvato dalla decisione [controversa], [di] una clausola che escludesse una tale applicazione (…) dimostra che esse accettano (…) l’interpretazione dell’accordo di associazione (…) secondo cui tali accordi trovano applicazione altresì alla parte del Sahara occidentale controllata dal Regno del Marocco» (56).

112. Ritengo pertanto che la prima parte del secondo motivo di impugnazione debba essere accolta nella parte in cui riguarda l’applicazione dell’accordo di liberalizzazione al Sahara occidentale.

113. Infatti, concludendo, al punto 103 della sentenza impugnata, che «l’accordo [di liberalizzazione], ricondotto al suo contesto (…), si applica altresì al territorio del Sahara occidentale ovvero, più precisamente, alla maggior parte del territorio stesso, controllata dal Regno del Marocco» (57), il Tribunale ha commesso un errore di diritto che, a mio avviso, comporta l’annullamento della sentenza impugnata.

114. In tale ipotesi, poiché lo stato degli atti lo consente, ai sensi dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, il ricorso di annullamento del Front Polisario deve essere dichiarato irricevibile per difetto di interesse e di legittimazione ad agire, dal momento che, se l’accordo di liberalizzazione non è applicabile al Sahara occidentale, l’annullamento della decisione controversa non potrebbe procurargli un qualsivoglia beneficio né riguardarlo direttamente e individualmente.

115. Per il caso in cui la Corte non aderisca alla mia conclusione secondo la quale il Tribunale, dichiarando che gli accordi di associazione e di liberalizzazione sono applicabili al Sahara occidentale, ha commesso un errore di diritto, analizzerò di seguito gli altri motivi di impugnazione.

B –    In subordine

1.      Sul primo motivo, concernente errori di diritto relativi alla capacità del Front Polisario di stare in giudizio dinanzi ai giudici dell’Unione

a)      Argomenti delle parti

116. Il Consiglio e la Commissione sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto concludendo, secondo il ragionamento illustrato ai punti da 34 a 60 della sentenza impugnata, che il Front Polisario doveva essere considerato una persona giuridica munita della capacità di chiedere al giudice dell’Unione l’annullamento della decisione controversa.

117. A tal riguardo, essi sottolineano in sostanza, anzitutto, che il Front Polisario non è munito di personalità giuridica in forza del diritto di uno Stato membro o di un paese terzo. Essi fanno poi valere che esso non può neanche essere considerato un soggetto di diritto internazionale.

118. Infine, essi affermano che, sebbene la giurisprudenza (58) sulla quale si è basato il Tribunale per concludere, ai punti da 48 a 52 della sentenza impugnata, nel senso della capacità di agire del Front Polisario concede, in via eccezionale, l’accesso al giudice dell’Unione ad entità che non sono munite di personalità giuridica, essa subordina la ricevibilità della loro azione al rispetto di due condizioni cumulative, la seconda delle quali non è soddisfatta dal Front Polisario, ossia essere stato trattato dall’Unione e dalle sue istituzioni come un soggetto distinto, capace di detenere diritti propri o essere sottoposto a obblighi o a restrizioni (v. punti 52, da 55 a 59 della sentenza impugnata) (59).

119. Secondo il Consiglio e la Commissione, il Tribunale avrebbe dovuto constatare che la seconda condizione non risultava soddisfatta, dal momento che il Front Polisario non era stato né interessato da atti adottati dalle istituzioni dell’Unione, né «[riconosciuto] come interlocutor[e] in occasione di trattative» (60) da queste ultime.

120. In tali circostanze, esso avrebbe poi commesso un errore di diritto fondandosi, ai punti da 56 a 59 della sentenza impugnata, sulla qualità di rappresentante del popolo del Sahara occidentale riconosciuta al Front Polisario dall’Assemblea generale dell’ONU e sulla partecipazione di tale entità alle trattative relative allo status definitivo del Sahara occidentale condotte sotto l’egida dell’ONU, per concludere nel senso della ricevibilità del ricorso.

121. In risposta, il Front Polisario fa valere, in primo luogo, che esso costituisce un soggetto di diritto internazionale, alla luce del suo status di movimento di liberazione nazionale.

122. In secondo luogo, esso contesta che la conclusione del Tribunale relativa alla sua capacità di agire in giudizio sia viziata da un errore di diritto. A tal riguardo, esso osserva, in primo luogo, che il Consiglio non contesta la constatazione del Tribunale secondo la quale esso dispone, in forza del suo statuto, di una struttura interna tale da garantirgli l’autonomia necessaria per agire come entità responsabile nell’ambito dei rapporti giuridici.

123. In secondo luogo, esso ritiene, in sostanza, che il Tribunale abbia potuto concludere nel senso che tale capacità giuridica gli consentiva, nella specie, di rivolgersi al giudice dell’Unione, dal momento che il Consiglio e la Commissione riconoscevano essi stessi la sua qualità di rappresentante del popolo del Sahara occidentale, di partecipante alle trattative dell’ONU relative al futuro di tale territorio, nonché di interlocutore legittimo dell’Unione a tal riguardo.

b)      Valutazione

124. Osservo che il Consiglio e la Commissione contestano unicamente la parte del ragionamento sulla quale il Tribunale si è fondato per statuire che il Front Polisario aveva la capacità di agire in giudizio, sebbene privo di personalità giuridica. In tal senso, essi non contestano il fatto che lo statuto del Front Polisario gli consenta di agire come un’entità responsabilità nell’ambito dei rapporti giuridici.

125. Ricordo che, in taluni casi, il diritto dell’Unione riconosce la capacità di agire ad entità prive di personalità giuridica. Come dichiarato dalla Corte al punto 114 della sentenza del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio (C‑229/05 P, EU:C:2007:32), «[l]e disposizioni dello Statuto della Corte di giustizia, in particolare il suo art[icolo] 21, del regolamento di procedura della Corte, in particolare il suo art[icolo 120], e del regolamento di procedura del Tribunale, in particolare il suo art[icolo 76], non sono state concepite in funzione della proposizione di ricorsi da parte di organizzazioni prive di personalità giuridica (…) In [una] situazione eccezionale le regole di procedura che disciplinano la ricevibilità di un ricorso di annullamento devono essere applicate adattandole, nella misura necessaria, alle circostanze del caso di specie».

126. Non condivido, a tal riguardo, la posizione del Consiglio espressa al punto 17 della sua impugnazione e fondata sull’ordinanza del 3 aprile 2008, Landtag Schleswig-Holstein/Commissione (T‑236/06, EU:T:2008:91), secondo la quale «la capacità di agire può essere attribuita dal diritto dell’Unione in modo autonomo soltanto quando la situazione giuridica del ricorrente è esclusivamente disciplinata dal diritto dell’Unione» (61).

127. Contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio, al punto 22 di tale ordinanza, confermata dall’ordinanza del 24 novembre 2009, Landtag Schleswig‑Holstein/Commissione (C‑281/08 P, non pubblicata, EU:C:2009:728), il Tribunale si è limitato a dichiarare che, «in caso di ricorsi presentati da enti territoriali substatali, il Tribunale valuta l’esistenza della personalità giuridica del ricorrente a norma del diritto pubblico nazionale».

128. Orbene, il Front Polisario non è un ente substatale al quale potrebbe essere applicata tale giurisprudenza, ed esso non fonda peraltro la sua capacità di stare in giudizio su un diritto nazionale.

129. Anche se il fatto che il Front Polisario disponga di uno statuto e di una struttura interna tali da garantirgli l’autonomia necessaria per agire come entità responsabile nell’ambito dei rapporti giuridici non è realmente contestata dalle parti, la questione è se l’Unione e le sue istituzioni abbiano trattato il Front Polisario come un soggetto distinto, capace di detenere diritti propri o essere sottoposto a obblighi o a restrizioni ai sensi della giurisprudenza citata al punto 52 della sentenza impugnata (62).

130. Occorre anzitutto osservare che la questione della capacità di stare in giudizio di un’organizzazione riconosciuta dall’ONU come rappresentante del popolo di un territorio non autonomo non è ancora stata sollevata nella giurisprudenza della Corte relativa alla capacità di stare in giudizio delle entità prive di personalità giuridica. È dunque normale che, in una certa misura, il caso del Front Polisario non ricada strettamente nei casi contemplati in tale giurisprudenza.

131. Rilevo, a tal riguardo, che la causa sfociata nella sentenza del 28 ottobre 1982, Groupement des Agences de voyages/Commissione (135/81, EU:C:1982:371), riguardava una società a responsabilità limitata lussemburghese in via di costituzione, la cui capacità di stare in giudizio era contestata dalla Commissione. Al punto 9 della sua sentenza, la Corte ha dichiarato che «[la Commissione] non [poteva] (…) contestare la capacita processuale di un ente che essa [aveva] ammesso a partecipare a una gara e alla quale [aveva] indirizzato una decisione negativa dopo l’esame comparativo del complesso degli offerenti».

132. Nella presente causa, il Consiglio non ha mai ammesso il Front Polisario a partecipare alla procedura di negoziazione dell’accordo di liberalizzazione.

133. Analogamente, la causa sfociata nella sentenza del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio (C‑229/05 P, EU:C:2007:32), riguardava, segnatamente, il «Kurdistan Workers’ Party (PKK)», la cui esistenza stessa era contestata, ma che era stato oggetto di misure restrittive adottate dall’Unione.

134. La Corte ha dichiarato che, «se (…) il legislatore [dell’Unione] ha ritenuto che il PKK continui ad avere un’esistenza sufficiente per essere oggetto delle misure restrittive previste dal regolamento (…), la coerenza e la giustizia impongono di riconoscere che detta entità continua a godere di un’esistenza sufficiente per contestare tale provvedimento. Ogni altra conclusione avrebbe la conseguenza che un’organizzazione potrebbe essere inclusa nell’elenco controverso senza poter proporre un ricorso contro tale inclusione» (63).

135. Nella presente causa, il Front Polisario non è interessato dalla decisione controversa, la quale approva un accordo internazionale concluso fra l’Unione e il Regno del Marocco.

136. Se è vero che il caso del Front Polisario non si iscrive nelle ipotesi previste dalle sentenze del 28 ottobre 1982, Groupement des Agences de voyages/Commissione (135/81, EU:C:1982:371), e del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio (C‑229/05 P, EU:C:2007:32), esso mi sembra per contro più vicino a quello trattato dalla sentenza dell’8 ottobre 1974, Union syndicale – Service public européen e a./Consiglio (175/73, EU:C:1974:95).

137. Al punto 12 di tale sentenza, che riguardava un ricorso di annullamento proposto da un sindacato senza personalità giuridica nei confronti delle nomine di taluni funzionari, la Corte ha elencato un certo numero di elementi da prendere in considerazione in occasione del controllo della capacità ad agire, fra cui figurava il fatto che «le istituzioni [dell’Unione] [avevano] riconosciuto il sindacato come proprio interlocutore nel corso di trattative concernenti problemi di interesse collettivo del personale», ossia su un problema diverso (e più ampio) di quello preso in considerazione dal ricorso.

138. Analogamente, anche se il ricorso di annullamento del Front Polisario dinanzi al Tribunale riguarda unicamente la decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell’accordo di liberalizzazione, il Front Polisario è uno dei due interlocutori riconosciuti dall’ONU, e dunque da tutti gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione (64), ai fini della determinazione del futuro del Sahara occidentale.

139. Inoltre, nel suo ricorso di annullamento, il Front Polisario mira, quale rappresentante del popolo del Sahara occidentale riconosciuto dall’ONU, a tutelare i diritti che questi trae dal diritto internazionale, ossia il suo diritto all’autodeterminazione e alla sua sovranità permanente sulle risorse naturali (65) del Sahara occidentale (66).

140. Da tali sentenze emerge che la Corte ha voluto adeguare la sua giurisprudenza a circostanze estremamente diverse, visto che la realtà è sempre più ricca dell’immaginazione dei legislatori, escludendo un approccio troppo formalista o troppo rigido.

141. Tale interpretazione della giurisprudenza della Corte non viene messa in discussione dagli argomenti del Consiglio e della Commissione secondo i quali il carattere politico delle questioni sollevate dalla presente causa porterebbe la Corte ad effettuare analisi politiche piuttosto che giuridiche.

142. Condivido in tal senso la risposta della Corte internazionale di giustizia a questo tipo di argomento presentato in un caso analogo: «la Corte ritiene che il fatto che una questione giuridica presenti parimenti aspetti politici, “come è il caso, per natura delle cose, di un buon numero di questioni che vengono a porsi nella vita internazionale”, non basti a privarla del suo carattere di “questione giuridica” e a “privare la Corte di una competenza espressamente conferitale dal suo Statuto (…)”. A prescindere dagli aspetti politici della questione sollevata, la Corte non può negare un carattere giuridico ad una questione che l’invita ad espletare una funzione essenzialmente giudiziaria (…)» (67).

143. Per tali motivi, il Front Polisario ha la capacità di stare in giudizio dinanzi ai giudici dell’Unione ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

144. Non è pertanto necessario verificare se il Front Polisario abbia la capacità di agire quale movimento nazionale di liberazione munito di personalità e di capacità giuridica di diritto internazionale.

145. Occorre tuttavia sottolineare che il fatto che il Front Polisario non benefici dello status particolare di movimento nazionale di liberazione in seno all’Assemblea generale dell’ONU, come avveniva nel caso dell’OLP, non implica necessariamente ed automaticamente, come affermato dal Consiglio e dalla Commissione, che il Front Polisario sia privo di personalità giuridica di diritto internazionale.

146. Al contrario, il suo riconoscimento quale movimento nazionale di liberazione da parte di diversi Stati (68), di rappresentante del popolo del Sahara occidentale da parte dell’Assemblea generale dell’ONU (69), la sua adesione come membro all’organizzazione internazionale «Unione africana», la conclusione di accordi con la Repubblica islamica di Mauritania e il Regno del Marocco (70) e il suo impegno a rispettare le convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 per la protezione delle vittime di guerra, assunto in conformità all’articolo 96, paragrafo 3, del protocollo aggiuntivo relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali dell’8 giugno 1977, militano piuttosto a favore del riconoscimento della personalità giuridica concessa dal diritto internazionale ai movimenti di liberazione nazionali.

147. Il primo motivo deve, quindi, essere respinto.

2.      Sul secondo motivo, relativo ad errori di diritto concernenti la legittimazione ad agire del Front Polisario

148. Tale motivo consta di tre parti distinte, delle quali ho esaminato parzialmente la prima. Il mio ragionamento in subordine presuppone che la Corte abbia respinto la mia conclusione.

a)      Sulla prima parte, nella parte che attiene alla natura della decisione controversa

i)      Argomenti delle parti

149. Il Consiglio rileva che il Tribunale, dichiarando, ai punti 70 e 71 della sentenza impugnata, che la decisione controversa era un atto legislativo, ha commesso un errore di diritto. Il Consiglio ritiene che la decisione controversa non sia un atto legislativo, in quanto la sua base giuridica, ossia l’articolo 207, paragrafo 4, primo comma, in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafo 6, lettera a), TFUE, non fa esplicitamente riferimento ad una procedura legislativa. A suo avviso, essa non è neanche un atto regolamentare, in quanto non è di applicazione generale. Di conseguenza, essa non può riguardare una persona fisica e giuridica direttamente e individualmente.

150. In risposta, il Front Polisario respinge l’argomento del Consiglio ritenendo che l’obiettivo di quest’ultimo sia sottrarre la decisione controversa alle garanzie conferite dall’ordinamento giuridico dell’Unione. A suo avviso, se la decisione controversa non fosse un atto legislativo, essa sarebbe certamente un atto regolamentare, quale atto di portata generale.

ii)    Valutazione

151. Come osservato dal Consiglio, l’articolo 207, paragrafo 4, e l’articolo 108, paragrafo 6, lettera a), TFUE, i quali formano le basi giuridiche della decisione controversa, non richiamano esplicitamente una procedura legislativa, ordinaria o speciale, come fatto peraltro dagli articoli 203, 349 e 352 TFUE.

152. Tuttavia, tale constatazione non è sufficiente a dimostrare che la decisione controversa, la quale ha come effetto di introdurre norme di portata generale nell’ordinamento giuridico dell’Unione, non è un atto legislativo.

153. L’articolo 289, paragrafo 3, TFUE, definisce gli atti legislativi come «[g]li atti giuridici adottati mediante procedura legislativa», ossia la procedura legislativa ordinaria o la procedura legislativa speciale.

154. Secondo l’articolo 289, paragrafo 2, TFUE, la procedura legislativa speciale consiste nell’«adozione di (…) una decisione da parte del [Consiglio] con la partecipazione del Parlamento europeo».

155. L’articolo 218, paragrafo 6, lettera a), i), TFUE, dispone che «il Consiglio adotta la decisione di conclusione dell’accordo (…) previa approvazione del Parlamento europeo [nel] cas[o] [degli] accordi di associazione».

156. Non vedo come il requisito della previa approvazione del Parlamento non possa essere considerato una partecipazione del Parlamento alla procedura.

157. Il fatto che l’articolo 289, paragrafo 2, TFUE impieghi i termini «[n]i casi specifici previsti dai trattati» non implica necessariamente che ciascuna disposizione del Trattato FUE che prevede la procedura legislativa speciale debba annunciarlo esplicitamente. È sufficiente che la definizione data da tale disposizione sia rispettata.

158. Ciò è tanto più vero in quanto, come dichiarato dalla Corte al punto 55 della sentenza del 24 giugno 2014, Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025), «il Trattato di Lisbona ha imposto l’approvazione del Parlamento in riferimento alla conclusione di un accordo internazionale proprio per gli accordi attinenti a settori ai quali, sul piano interno, si applica la procedura legislativa ordinaria, prevista dall’articolo 294 TFUE, o la procedura legislativa speciale, ma solo quando questa esiga l’approvazione del Parlamento».

159. In ogni caso, e contrariamente a quanto asserito dal Consiglio, se la decisione controversa non fosse un atto legislativo, è indubbio che essa dovrebbe essere necessariamente un atto regolamentare ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, come interpretato dalla Corte ai punti 58 e 61 della sentenza del 3 ottobre 2003, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio (C‑583/11 P, EU:C:2013:625), essendo, in tal caso, un atto di portata generale (nella misura in cui fa rientrare un accordo internazionale nell’ordinamento giuridico dell’Unione) (71) che non è un atto legislativo.

160. Ciò non potrebbe aiutare il Consiglio, in quanto il Front Polisario potrebbe essere dispensato dall’obbligo di dimostrare l’incidenza individuale nei suoi confronti qualora fosse ammesso che la decisione controversa non comporta misure di esecuzione.

161. Di conseguenza, il Tribunale, dichiarando, ai punti 70 e 71 della sentenza impugnata, che la decisione controversa costituisce un atto legislativo adottato tramite una procedura legislativa speciale, non è incorso in un errore di diritto.

b)      Sulla seconda parte, relativa all’incidenza diretta nei confronti del Front Polisario

i)      Argomenti delle parti

162. Il Consiglio e la Commissione fanno valere che il Tribunale ha commesso diversi errori di diritto ritenendo, ai punti da 106 a 110 della sentenza impugnata, che il Front Polisario fosse direttamente interessato dalla decisione controversa, per il fatto che l’accordo di liberalizzazione conteneva esso stesso un insieme di clausole che producevano effetti diretti sulla situazione giuridica del Sahara occidentale e che riguardavano il Front Polisario quale interlocutore del Regno del Marocco nell’ambito delle trattative da condurre fra i medesimi sotto l’egida dell’ONU al fine di risolvere la disputa relativa a tale territorio.

163. A tal riguardo, il Consiglio sostiene in sostanza che, anche ammesso che sia dimostrato, l’effetto diretto di talune clausole dell’accordo di liberalizzazione che precisano le condizioni di importazione nell’Unione di prodotti originari del territorio al quale tale accordo è applicabile non consente di ritenere che la decisione controversa riguardi direttamente la situazione giuridica del Front Polisario, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, e ciò a maggior ragione in quanto il Tribunale ha sottolineato nella specie, al punto 203 della sentenza impugnata, che detto accordo non vincolava tale entità. Infatti, le nozioni di «effetto diretto» e di «incidenza diretta» sarebbero distinte e la prima sarebbe irrilevante, o in ogni caso non decisiva, nell’ambito di un esame in funzione della seconda.

164. Inoltre, secondo la Commissione, l’accordo di liberalizzazione non avrebbe effetti diretti nell’Unione, in quanto è stato necessario adottare il regolamento di esecuzione (UE) n. 812/2012 della Commissione del 12 settembre 2012, recante modifica del regolamento (CE) n. 747/2001 del Consiglio per quanto riguarda i contingenti tariffari dell’Unione per determinati prodotti agricoli e prodotti agricoli trasformati originari del Marocco (72), al fine di attuarlo.

165. Infine, effetti giuridici su territori non assoggettati al diritto dell’Unione sarebbero irrilevanti nell’ambito dell’esame richiesto dall’articolo 263, quarto comma, TFUE.

166. In ogni caso, la sentenza impugnata si limiterebbe a menzionare un vincolo indiretto fra gli asseriti effetti giuridici delle clausole dell’accordo di liberalizzazione sul territorio del Sahara occidentale, sui prodotti che ne sono originari, nonché sui loro esportatori o importatori, da un lato, e la partecipazione del Front Polisario a negoziati politici intesi a risolvere una disputa relativa a tale territorio, dall’altro. In realtà, il Tribunale avrebbe dovuto concludere nel senso che la decisione controversa non era idonea, alla luce del suo oggetto e della sua natura, a riguardare direttamente il Front Polisario e, più in generale, ogni altro ricorrente non privilegiato, pur trattandosi di un’entità che rivendica il territorio al quale l’accordo internazionale approvato tramite una siffatta decisione è destinato ad essere applicato.

167. In risposta, il Front Polisario ritiene che, alla luce del fatto che l’accordo di liberalizzazione si applica ai prodotti originari del Sahara occidentale, il Tribunale abbia giustamente concluso che la decisione controversa lo riguardava direttamente. A tal riguardo, esso sottolinea, in particolare, che tale decisione è intesa a produrre effetti giuridici e non può pertanto essere considerata inidonea, per sua natura, ad essere impugnata. Esso espone poi che detta decisione ha approvato l’accordo di liberalizzazione e che ha dunque prodotto, per il solo fatto della sua adozione, effetti giuridici sulle condizioni di esportazione verso l’Unione dei prodotti originari del Sahara occidentale. Esso afferma infine, in sostanza, che, dal momento che l’Assemblea generale dell’ONU gli ha riconosciuto la qualità di rappresentante del popolo del Sahara occidentale, che le trattative dell’ONU relative al Sahara occidentale sono intese a consentire l’esercizio del diritto all’autodeterminazione di tale popolo, e che il controllo delle risorse naturali costituisce un elemento fondamentale di tale diritto, il Tribunale ha potuto validamente considerare che la decisione controversa incideva direttamente sulla sua situazione giuridica.

ii)    Valutazione

–       Sulla questione se ricorrenti non privilegiati possano essere «direttamente interessati» da decisioni del Consiglio relative alla conclusione di accordi internazionali

168. Non posso condividere la tesi del Consiglio secondo la quale le decisioni relative alla conclusione di un accordo internazionale adottate sulla base giuridica dell’articolo 218, paragrafo 6, TFUE non possono, per la loro stessa natura, essere impugnate da ricorrenti non privilegiati, come il Front Polisario.

169. Il Consiglio, sostenendo che, per loro natura, tali decisioni non possono avere effetti diretti e che, di conseguenza, solo i ricorrenti privilegiati che non sono tenuti a dimostrare il loro interesse ad agire possono introdurre un ricorso di annullamento nei loro confronti, sembra confondere le nozioni di atto impugnabile e di interesse ad agire.

170. Ricordo che «[p]er costante giurisprudenza, sono considerati atti impugnabili ai sensi dell’articolo 263 TFUE tutti i provvedimenti, a prescindere dalla loro forma, adottati dalle istituzioni dell’Unione ed intesi alla produzione di effetti giuridici vincolanti» (73).

171. Il fatto che le decisioni relative alla conclusione di accordi internazionali producano simili effetti è consolidato da tempo nella giurisprudenza della Corte (74), altrimenti «l’esercizio delle competenze devolute alle istituzioni [dell’Unione] nel campo internazionale [si sottrarrebbe] al controllo giurisdizionale di legittimità previsto dall’art[icolo263 TFUE]» (75).

172. L’impugnabilità della decisione controversa mi sembra dunque pacifica.

173. Lo stesso vale per l’interesse ad agire del Front Polisario.

174. Come dichiarato dalla Corte al punto 25 della sentenza del 17 aprile 2008, Flaherty e a./Commissione (C‑373/06 P, C‑379/06 P e C‑382/06 P, EU:C:2008:230), «[s]econdo una costante giurisprudenza, l’interesse ad agire di un ricorrente deve sussistere, relativamente all’oggetto del ricorso, nella fase della presentazione dello stesso pena l’irricevibilità. Tale oggetto della controversia deve perdurare, così come l’interesse ad agire, fino alla pronuncia della decisione del giudice, pena il non luogo a statuire, il che presuppone che il ricorso possa, con il suo esito, procurare un beneficio alla parte che l’ha proposto».

175. Nella misura in cui gli accordi di associazione e di liberalizzazione siano applicabili al Sahara occidentale, è evidente che il ricorso di annullamento è idoneo a procurare un beneficio al Front Polisario, il quale ritiene che l’applicazione di tali accordi al Sahara occidentale sia contraria al diritto del suo popolo all’autodeterminazione, al principio di sovranità permanente sulle risorse naturali e all’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite.

–       Sulle nozioni di incidenza diretta e di effetto diretto

176. Come dichiarato dal Tribunale al punto 105 della sentenza impugnata, «risulta da una costante giurisprudenza che la condizione secondo cui una persona fisica o giuridica dev’essere “direttamente interessata” dall’atto che costituisce oggetto del ricorso richiede la compresenza di due criteri cumulativi, vale a dire che il provvedimento contestato, in primo luogo, produca direttamente effetti sulla situazione giuridica del soggetto interessato e, in secondo luogo, non lasci ai propri destinatari alcun potere discrezionale quanto alla sua applicazione, la quale ha carattere meramente automatico e deriva dalla sola normativa dell’Unione, senza intervento di altre norme intermedie».

177. Sebbene il Consiglio e la Commissione non neghino una certa connessione fra il secondo criterio della nozione di incidenza diretta e la nozione di effetto diretto (76), il Consiglio contesta che il primo criterio sia soddisfatto nella presente causa, mentre la Commissione contesta che sia soddisfatto il secondo.

178. Per quanto attiene al primo criterio, secondo il quale la misura contestata deve produrre direttamente effetti sulla situazione giuridica del soggetto interessato, il Consiglio sostiene che il criterio dell’incidenza diretta deve essere esaminato rispetto al soggetto interessato e non rispetto al territorio interessato. Esso si basa dunque sul presupposto secondo il quale la posizione giuridica di un territorio non può essere pregiudicata dalle disposizioni di un accordo internazionale, anche qualora siano munite di un effetto diretto; ciò implicherebbe, a suo avviso, la necessità di valutare gli effetti sulla posizione giuridica del soggetto interessato e non su quella del territorio interessato.

179. Non condivido il presupposto di partenza sul quale si fonda la posizione del Consiglio.

180. Anzitutto, il fatto che la situazione giuridica di taluni territori possa certamente essere pregiudicata dalle disposizioni di un accordo internazionale, e ciò a prescindere dalla questione se tali disposizioni producano un effetto diretto, è dimostrato in particolare, nella specie, dal parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del 16 ottobre 1975 sul Sahara occidentale (77), nell’ambito del quale il Regno del Marocco ha presentato, come prova dell’esercizio della sua sovranità sul Sahara occidentale, taluni atti internazionali che costituivano, a suo avviso, il riconoscimento da parte di altri Stati di tale sovranità, in quanto essi riguardavano il Sahara occidentale (78).

181. Come si evince dal punto 108 di tale parere, la Corte internazionale di giustizia ha esaminato la questione «se la sua analisi della situazione giuridica quale risulta[va] dallo studio degli atti interni invocati dal [Regno del] Marocco [era] significativamente pregiudicata dagli atti internazionali che, a suo avviso, dimostrerebbero che la sovranità del Sultano era direttamente o indirettamente riconosciuta estendersi al [Sahara occidentale]» (79). Tali atti comprendevano diversi accordi internazionali conclusi dallo Stato sharif (ex denominazione del Regno del Marocco) (80), nonché la corrispondenza diplomatica sull’interpretazione di una disposizione di un trattato (81).

182. Di conseguenza, come ammesso dalla Commissione al punto 30 del suo controricorso, l’applicazione degli accordi di associazione e di liberalizzazione al Sahara occidentale potrebbe essere interpretata come una violazione del diritto di autodeterminazione (82) del suo popolo e pregiudicare dunque la situazione giuridica di tale territorio, in quanto conferisce una certa legittimità alla rivendicazione di sovranità del Regno del Marocco (83).

183. Ciò premesso, occorre esaminare anche l’argomento del Consiglio presentato in udienza, consistente nel contestare il nesso fra l’incidenza diretta nei confronti del territorio del Sahara occidentale (ammesso che essa sia dimostrata) e quella del Front Polisario. Tale nesso è stato accertato dal Tribunale, al punto 110 della sentenza impugnata, sulla base della partecipazione del Front Polisario, insieme al Regno del Marocco, alla procedura negoziale, sotto l’egida dell’ONU, sul futuro del Sahara occidentale.

184. A tal riguardo, il Consiglio ritiene che «il Tribunale postuli in maniera arbitraria un’identità assoluta fra il territorio e un soggetto (…) che avanza rivendicazioni riguardo al medesimo». A suo avviso, «la sequenza del Tribunale avrebbe senso solo se il Front Polisario avesse come obiettivo intrinseco la difesa degli interessi commerciali del Sahara occidentale, il che presupporrebbe che esso ne sia l’emanazione istituzionale riconosciuta, in diritto internazionale, o almeno nella prassi internazionale».

185. Condivido tale critica del Consiglio nel senso che il Front Polisario è riconosciuto dall’ONU soltanto come il rappresentante del popolo del Sahara occidentale nel processo politico (84) destinato a risolvere la questione dell’autodeterminazione del popolo di tale territorio. È in tale contesto politico che esso è il rappresentante del popolo del Sahara occidentale, mentre il Regno del Marocco è l’altra parte della contesa e il Regno di Spagna si considera svincolato dal 26 febbraio 1976 da qualsiasi responsabilità di carattere internazionale relativa all’amministrazione del Sahara occidentale.

186. Orbene, la controversia in esame non fa parte del processo politico nel quale il Front Polisario esercita la missione di rappresentante del popolo del Sahara occidentale riconosciutagli dall’ONU.

187. Il Consiglio contesta peraltro la qualità del Front Polisario quale rappresentante esclusivo del popolo del Sahara occidentale. Anche il Front Polisario ritiene di non essere la sola entità munita della capacità di rappresentare il popolo del Sahara occidentale in quanto, a suo avviso, il Regno di Spagna resta la potenza amministratrice del Sahara occidentale (85).

188. È vero che il Regno di Spagna si considera svincolato dal 26 febbraio 1976 da qualsiasi responsabilità di carattere internazionale relativa alla sua amministrazione del Sahara occidentale. Tuttavia, non può essere categoricamente escluso che, nonostante la sua rinuncia, il Regno di Spagna abbia conservato in diritto internazionale la sua qualità di potenza amministratrice e che, in tale qualità, esso sia l’unica entità ad avere la capacità, o addirittura l’obbligo, di proteggere, anche sul piano giuridico, i diritti del popolo del Sahara occidentale, e segnatamente il suo diritto all’autodeterminazione e la sua sovranità sulle risorse naturali di tale territorio.

189. Infatti, e senza che sia necessario esaminare tale aspetto nella presente causa, i termini dell’obbligo imposto alle potenze amministratrici dall’articolo 73, lettere a) e b), della Carta delle Nazioni Unite (86), mi fanno dubitare che esse possano svincolarsi da tale missione senza averla portata a termine tenendo conto degli interessi e delle esigenze del popolo del territorio non autonomo interessato.

190. Tale dubbio è rafforzato dal fatto che l’ONU continua a ritenere che l’obbligo di comunicazione al Segretario generale dell’ONU delle informazioni sul Sahara occidentale previsto all’articolo 73, lettera e), della Carta delle Nazioni Unite gravi sul Regno di Spagna (87).

191. Inoltre, il Ministerio Fiscal (pubblico ministero) del Regno di Spagna, nonché l’Audiencia Nacional (Corte centrale, Spagna) riconoscono la qualità del Regno di Spagna quale potenza amministratrice del Sahara occidentale, che «in quanto tale, conserva, fino alla fine del periodo di decolonizzazione, gli obblighi risultanti dagli articoli 73 e 74 della Carta delle Nazioni Unite, fra cui figura la protezione, anche giurisdizionale, dei suoi cittadini a fronte di qualsiasi abuso» (88). Su tale base, il Regno di Spagna ha esteso la propria competenza internazionale in materia penale sui crimini commessi nel Sahara occidentale (89).

192. Rilevo che, in udienza, il governo spagnolo si è astenuto dal commentare la posizione degli organi giudiziari spagnoli, limitandosi ad indicare che esso rispettava le decisioni dei giudici spagnoli.

193. Concludendo su tale punto, il nesso fra la decisione controversa e il Front Polisario mi sembra eccessivamente indiretto per fondare l’incidenza diretta nei confronti di quest’ultimo.

194. Di conseguenza, ritengo che il punto 110 della sentenza impugnata sia viziato da un errore di diritto nella parte in cui esso riconosce l’incidenza diretta nei confronti del Front Polisario.

195. Alla luce di tale conclusione, è solo a titolo di completezza che analizzerò il secondo criterio di incidenza diretta, ossia che la decisione controversa non deve lasciare ai propri destinatari alcun potere discrezionale quanto alla sua applicazione. A tal riguardo, non condivido il parere della Commissione, secondo il quale esso non sarebbe soddisfatto nella presente causa, a causa del regolamento di esecuzione n. 812/2012 che essa ha dovuto adottare al fine di attuare l’accordo di liberalizzazione.

196. A mio avviso, l’atto impugnato ha sicuramente un «carattere meramente automatico e deriva dalla sola normativa dell’Unione, senza intervento di altre norme intermedie» (90). La sua entrata in vigore consente l’esercizio dei diritti e l’esecuzione degli obblighi previsti dall’accordo di liberalizzazione.

197. Il regolamento di esecuzione n. 812/2012 si limita ad aggiornare il regolamento (CE) n. 747/2001 del Consiglio del 9 aprile 2001, che fissa le modalità di gestione dei contingenti tariffari e dei quantitativi di riferimento comunitari per i prodotti che possono beneficiare di preferenze in virtù di accordi con taluni paesi mediterranei e che abroga i regolamenti (CE) n. 1981/94 e (CE) n. 934/95 (91), presentando in maniera sintetica (un’unica disposizione accompagnata da una tabella riassuntiva) alcune delle riforme essenziali introdotte dall’accordo di liberalizzazione.

198. Infatti, come si evince dall’articolo 2 del protocollo n. 1, figurante all’allegato 1 dell’accordo di liberalizzazione, quest’ultimo ha ad oggetto l’importazione nell’Unione «di prodotti agricoli, prodotti trasformati, pesce e prodotti della pesca originari del Regno del Marocco» mentre il regolamento di esecuzione n. 812/2012 sembra riguardare solo alcuni di tali prodotti che vengono importati nell’Unione soggetti a contingenti tariffari (92). L’assenza di un regolamento di esecuzione non avrebbe affatto impedito l’applicazione dell’accordo tanto a tali prodotti quanto agli altri.

199. In udienza, la Commissione non ha spiegato come il regolamento di esecuzione n. 812/2012 attui l’accordo di liberalizzazione in relazione a tutti gli altri prodotti.

200. In ogni modo, anche nel caso dei prodotti di cui al regolamento di esecuzione n. 812/2012 (ad esempio, i pomodori) per i quali esiste un contingente tariffario le cui modalità sono disciplinate da tale regolamento, occorre osservare che il Front Polisario non sostiene, come farebbe un importatore, di essere direttamente interessato dal contingente tariffario previsto dall’accordo di liberalizzazione. La sua censura è relativa all’applicazione stessa di tale accordo al Sahara occidentale, questione del tutto slegata dall’eventuale attuazione di quest’ultimo da parte di detto regolamento.

201. Di conseguenza, ritengo che il secondo criterio di incidenza diretta enunciato al punto 105 della sentenza impugnata sia soddisfatto nella presente causa.

c)      Sulla terza parte, relativa all’incidenza individuale nei confronti del Front Polisario

202. Analizzo questa terza parte solo per il caso in cui la Corte dovesse concludere nel senso che il Front Polisario è direttamente interessato dalla decisione controversa.

i)      Argomenti delle parti

203. Il Consiglio e la Commissione sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto ritenendo, ai punti 111 e 113 della sentenza impugnata, che il Front Polisario fosse individualmente interessato dalla decisione controversa per il fatto che partecipava a negoziati internazionali intesi a risolvere la controversia relativa al Sahara occidentale e che si trovava, per questo motivo, in una situazione che lo contraddistingueva rispetto a chiunque altro. Infatti, anche ammettendo l’esistenza di una siffatta situazione, il ragionamento del Tribunale non dimostrerebbe in che modo, alla luce del suo oggetto, la decisione controversa pregiudicherebbe in una qualsivoglia maniera il Front Polisario ai sensi della giurisprudenza. Al contrario, la partecipazione del medesimo ai negoziati condotti sotto l’egida dell’ONU dimostrerebbe un mero interesse generale di ordine politico, privo di qualsiasi nesso sostanziale e procedurale con la decisione controversa e con l’accordo di liberalizzazione, accordo il quale ha esclusivamente ad oggetto questioni di ordine commerciale e doganale.

204. Al contrario, il Front Polisario fa valere che i punti 111 e 113 della sentenza impugnata indicano correttamente che la decisione controversa lo riguarda individualmente. A tal riguardo, esso osserva innanzitutto che è pacifico e non contestato che esso ha la qualità di rappresentante del popolo del Sahara occidentale e che è a tale titolo che esso costituisce l’unico interlocutore del Regno del Marocco nell’ambito dei negoziati condotti sotto l’egida dell’ONU. Esso espone poi che tali negoziati mirano non a trovare una mera soluzione politica ad una contesa territoriale, come esposto dal Consiglio e dalla Commissione, bensì a consentire l’esercizio del diritto all’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale. Infine, esso sottolinea che l’accordo di liberalizzazione si applica al Sahara occidentale e alle sue risorse naturali, il cui controllo fa parte di detto diritto.

ii)    Valutazione

205. Anche se la presente causa non rientra nella giurisprudenza della Corte citata dalla Commissione e relativa alla legittimazione ad agire nei confronti di una decisione della Commissione in materia di aiuti di Stato di soggetti diversi dallo Stato membro destinatario di tale decisione (93), nulla esclude, in linea di principio, che il Front Polisario possa soddisfare il criterio dell’incidenza individuale, anche se, a causa delle circostanze particolari che lo caratterizzano, il suo caso non rientra in nessun precedente che la Corte ha già avuto l’occasione di esaminare.

206. In tale contesto, non condivido il parere della Commissione secondo il quale il punto 113 della sentenza impugnata contrasta con la sentenza del 10 aprile 2003, Commissione/Nederlandse Antillen (C‑142/00 P, EU:C:2003:217) (94), in quanto la posizione del Front Polisario non è affatto paragonabile a quella delle Antille olandesi.

207. Infatti, ai punti da 66 a 67 di tale sentenza, la Corte ha dichiarato che, anche se la maggior parte delle importazioni nell’Unione di riso originario degli PTOM proveniva dalle Antille olandesi, non solo tale settore rappresentava soltanto lo 0,9% del prodotto nazionale lordo delle Antille olandesi, ma, inoltre, queste ultime non erano il solo PTOM produttore di riso interessato dai regolamenti in questione.

208. Su tale fondamento, la Corte ha dichiarato, al punto 68 di detta sentenza, che i regolamenti in questione non avevano provocato gravi ripercussioni in un settore importante dell’economia delle Antille olandesi, a differenza di ogni altro PTOM, né che esse erano state pregiudicate dalle disposizioni in questione a motivo di qualità che le distinguevano rispetto ad altri PTOM, ai quali, ugualmente, si applicavano i suddetti regolamenti.

209. Il Front Polisario è lungi dal trovarsi in una situazione analoga a quella delle Antille olandesi. Sebbene la Corte abbia statuito, al punto 69 di detta sentenza, che «l’interesse generale che un PTOM può nutrire, in quanto soggetto competente sul suo territorio per le questioni di indole economica e sociale, al fine di ottenere un risultato favorevole alla prosperità economica del suo territorio non è, di per sé, sufficiente per considerarlo (…) come soggetto individualmente interessato», la missione del Front Polisario non riguarda affatto questioni di ordine economico e sociale.

210. Infatti, la sua missione, quale risulta dall’articolo 8 del suo statuto, è molto più generale e consiste, in sostanza, nel condurre il popolo del Sahara occidentale, del quale esso è il rappresentante riconosciuto dall’ONU (95), ad esercitare il suo diritto all’autodeterminazione.

211. Tuttavia, per le stesse ragioni fornite ai paragrafi da 185 a 194 delle presenti conclusioni, ritengo che gli elementi che precedono non consentano di ritenere sussistente l’incidenza individuale nei confronti del Front Polisario.

212. Di conseguenza, dichiarando, al punto 113 della sentenza impugnata, che il Front Polisario è individualmente interessato dalla decisione controversa, il Tribunale ha commesso un errore di diritto.

213. Occorre pertanto annullare i punti da 110 a 114 della sentenza impugnata, il che, a mio avviso, comporta l’annullamento di tale sentenza.

214. In tale ipotesi, poiché lo stato degli atti lo consente, ai sensi dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, il ricorso di annullamento del Front Polisario deve essere respinto in quanto irricevibile, in assenza di incidenza diretta ed individuale.

215. Per il caso in cui la Corte non dovesse essere dell’avviso che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto statuendo che il Front Polisario era direttamente e individualmente interessato dalla decisione controversa, esaminerò nel prosieguo gli altri motivi dell’impugnazione.

C –    In ulteriore subordine

1.      Sul terzo motivo, attinente ad un errore di diritto relativo al controllo, da parte del Tribunale, del potere discrezionale di cui gode il Consiglio nel settore delle relazioni economiche esterne

a)      Argomenti delle parti

216. Il Consiglio e la Commissione affermano che il Tribunale ha commesso un errore di diritto considerando, al punto 225 della sentenza impugnata, che l’ampio potere discrezionale riconosciuto al Consiglio ai fini della conclusione di accordi economici con paesi terzi aveva come contropartita un obbligo preliminare di esaminare tutti gli elementi rilevanti della fattispecie.

217. A tal riguardo, essi contestano, in primo luogo, il principio stesso di un siffatto obbligo. Infatti, esso dovrebbe essere inteso come una garanzia procedurale assicurata dal diritto dell’Unione come contropartita del potere discrezionale di cui può disporre l’autorità decisionale nell’ambito dei procedimenti amministrativi intesi a dare esecuzione, in singoli casi, a normative dell’Unione applicabili a settori tecnici che implicano valutazioni complesse. Alla luce della sua ratio, tale garanzia procedurale non sarebbe destinata ad essere trasposta all’esercizio dell’ampio potere discrezionale di cui gode il Consiglio ai fini dell’adozione di atti legislativi o normativi, anche se esso deve parimenti tenere conto dei dati disponibili in tale ambito. In ogni caso, in un settore politico come la conclusione di accordi internazionali, il controllo giurisdizionale dell’ampio potere discrezionale riconosciuto al legislatore dovrebbe limitarsi a verificare che l’atto posto in essere non sia stato manifestamente inadeguato rispetto all’obiettivo perseguito.

218. In secondo luogo, il Consiglio e la Commissione ritengono che il Tribunale sia incorso in errori di diritto nel precisare le modalità di attuazione dell’obbligo di esame preliminare definito dalla sentenza impugnata. Quest’ultima collegherebbe detto esame, infatti, all’esistenza di dubbi relativi al rispetto dei diritti del popolo del Sahara occidentale, quali attestati da una relazione prodotta dal consiglio del Front Polisario, anziché dimostrare la violazione di una norma di diritto o l’esistenza di un manifesto errore di valutazione. Inoltre, una siffatta relazione, alla luce della sua origine, non potrebbe essere considerata una prova valida.

219. Secondo il Front Polisario, l’obbligo di esame preliminare evidenziato dal Tribunale fa parte delle garanzie fondamentali che devono essere assicurate, all’interno di un’Unione di diritto, nei casi in cui un’istituzione dell’Unione goda di un potere discrezionale, e dunque, segnatamente, nel settore delle relazioni economiche esterne dell’Unione. Inoltre, tale obbligo si ricollegherebbe al principio generale di buona amministrazione, il cui rispetto dovrebbe essere assicurato, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (96), nell’ambito non solo dei procedimenti amministrativi, bensì anche dei procedimenti che sfociano nell’adozione di atti di portata normativa. Infatti, detto obbligo contribuirebbe a mettere il Consiglio in condizione di esercitare il suo potere di valutazione con cognizione di causa, senza limitarne in nulla la portata, nonché a consentire al giudice di assicurare che nessun manifesto errore di valutazione ne abbia viziato l’esercizio.

b)      Valutazione

220. Secondo una giurisprudenza costante, «occorre riconoscere al legislatore dell’Unione un ampio potere discrezionale in settori che richiedono da parte sua scelte di natura politica, economica e sociale, e rispetto ai quali esso è chiamato ad effettuare valutazioni complesse. [La Corte ne ha dedotto che], solo la manifesta inidoneità di un provvedimento adottato in tale ambito, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di detto provvedimento» (97).

221. A tal riguardo, come è stato riconosciuto dai giudici dell’Unione, le sue istituzioni godono di tale ampio potere discrezionale nel settore delle relazioni economiche esterne, del quale fanno parte gli accordi di associazione e di liberalizzazione (98).

222. È vero che, come sottolineato dal Consiglio e dalla Commissione, la giurisprudenza sulla quale si è fondato il Tribunale, al punto 225 della sentenza impugnata (99), per concludere nel senso dell’esistenza di un obbligo generale delle istituzioni dell’Unione di «esamina[re], in modo accurato e imparziale, tutti gli elementi rilevanti della fattispecie sui quali si fondano le conclusioni che ne vengono tratte», preliminarmente all’adozione dell’atto di cui trattasi, non è rilevante nel settore delle relazioni economiche esterne. Infatti, tale giurisprudenza impone un simile obbligo alle istituzioni dell’Unione allorché esse intendono adottare, nell’ambito di un procedimento amministrativo (100), una decisione che incide sugli interessi di una persona fisica o giuridica (101).

223. Tuttavia, non ritengo che il riferimento del Tribunale alle sentenze del 21 novembre 1991, Technische Universität München (C‑269/90, EU:C:1991:438), nonché del 22 dicembre 2010, Gowan Comércio Internacional e Serviços (C‑77/09, EU:C:2010:803), anziché alla giurisprudenza citata al paragrafo 220 delle presenti conclusioni, incida sulla sua conclusione, in quanto i principi applicabili nei procedimenti amministrativi sono, mutatis mutandis, applicabili ai procedimenti legislativi.

224. Infatti, secondo una ben consolidata giurisprudenza, benché il legislatore dell’Unione goda di un ampio potere discrezionale politico allorché esso pondera diversi interessi generali nell’ambito dell’adozione di un atto legislativo o regolamentare, esso è sempre vincolato dall’obbligo di tenere conto di tutti i «dati di base» rilevanti e degli «elementi di fatto» disponibili (102). In tale contesto, la Corte deve verificare che tale esercizio sia effettivamente avvenuto (103) e che l’atto adottato non sia manifestamente inidoneo (104).

225. A tal riguardo, ritengo che la sentenza del 16 aprile 2013, Spagna e Italia/Consiglio (C‑274/11 e C‑295/11, EU:C:2013:240), sia particolarmente importante, in quanto essa aveva ad oggetto una decisione del Consiglio che autorizzava una cooperazione rafforzata ai sensi dell’articolo 329, paragrafo 1, TFUE, che, al pari della decisione controversa, rientra in quello che la Commissione ha denominato il «nocciolo duro del potere discrezionale delle istituzioni dell’Unione».

226. In sede di controllo di legittimità di tale decisione, la Corte ha ripreso quasi alla lettera il principio enunciato nelle sentenze del 21 novembre 1991, Technische Universität München (C‑269/90, EU:C:1991:438, punto 14), nonché del 22 dicembre 2010, Gowan Comércio Internacional e Serviços (C‑77/09, EU:C:2010:803, punto 57), e ribadito dal Tribunale al punto 225 della sentenza impugnata, dichiarando che, «esercitando il suo controllo del rispetto della condizione relativa all’adozione in ultima istanza di una decisione che autorizza una cooperazione rafforzata, [è necessario che la Corte] verifichi se il Consiglio abbia esaminato con cura ed imparzialità gli elementi rilevanti a tale riguardo e se la conclusione alla quale quest’ultimo è pervenuto sia sufficientemente motivata» (105).

227. Se è vero che il Consiglio è soggetto a siffatti requisiti allorché esso opera in veste di legislatore, è difficile immaginare che esso non lo sia qualora ricorra ad una procedura legislativa speciale per concludere un accordo internazionale (106).

228. Per le stesse ragioni fornite al paragrafo 142 delle presenti conclusioni, i riferimenti fatti dalla Commissione, ai punti da 12 a 14 della sua controreplica, alla natura politica della questione del Sahara occidentale, non sono idonei ad impedire il controllo limitato che la Corte deve esercitare nel settore delle relazioni internazionali, nel quale le istituzioni godono di un ampio potere discrezionale (107).

229. Per questi motivi, ritengo che il Tribunale non abbia commesso un errore di diritto dichiarando, al punto 225 della sentenza impugnata, che, «nei casi in cui un’istituzione dell’Unione disponga di un ampio potere discrezionale, al fine di verificare se essa abbia commesso un errore manifesto di valutazione, il giudice dell’Unione deve valutare se tale istituzione abbia esaminato, in modo accurato e imparziale, tutti gli elementi rilevanti della fattispecie sui quali si fondano le conclusioni che ne vengono tratte».

230. Infine, non condivido nemmeno la posizione della Commissione, secondo la quale, anziché collegare l’esame preliminare degli elementi rilevanti all’esistenza di dubbi relativi al rispetto dei diritti del popolo del Sahara occidentale, quali attestati da una relazione prodotta dal consiglio del Front Polisario, il Tribunale avrebbe dovuto dimostrare la violazione di una norma di diritto o l’esistenza di un manifesto errore di valutazione.

231. Ricordo che il Tribunale ha fondato l’annullamento parziale della decisione controversa su più motivi combinati del Front Polisario, fra cui, segnatamente, il primo motivo, relativo ad un’insufficienza di motivazione (108).

232. In tale contesto, il Tribunale ha dichiarato, anzitutto, che, preliminarmente all’adozione della decisione controversa, il Consiglio aveva l’obbligo di esaminare tutti gli elementi rilevanti (109) e in particolare, in tale causa, di prendere in considerazione l’impatto che la conclusione dell’accordo di liberalizzazione poteva avere sui diritti dell’uomo del popolo del Sahara occidentale e sullo sfruttamento delle risorse naturali di tale territorio (110).

233. Su tale fondamento, il Tribunale ha statuito, al punto 244 della sentenza impugnata, che «[n]è dagli argomenti del Consiglio, né dagli elementi da questo prodotti agli atti risulta che esso abbia svolto un [simile] esame».

234. Esso si è dunque fermato prima di esaminare, e a fortiori di pronunciarsi, sulla questione se la decisione controversa comportasse o contribuisse ad una violazione dei diritti dell’uomo nel Sahara occidentale o ad uno sfruttamento delle sue risorse naturali contrario al diritto internazionale. È per questo motivo che la giurisprudenza citata dalla Commissione (111) e concernente il controllo di legittimità di un atto dell’Unione alla luce dei principi del diritto internazionale consuetudinario non è applicabile al caso in esame.

235. Il Tribunale non ha neanche preso posizione in merito alla veridicità delle affermazioni contenute nella relazione dell’avvocato del Front Polisario, il cui valore probatorio è contestato dalla Commissione. Il Tribunale si è limitato ad osservare che «il Consiglio non ha formulato alcun particolare commento, né [l’]ha smentit[o], il che fa supporre che esso non si sia posto la questione se lo sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale sotto il controllo marocchino avvenisse o meno a vantaggio della popolazione di detto territorio» (112).

236. Poiché il Consiglio non si è conformato al suo obbligo di effettuare un esame di tutti gli elementi rilevanti prima dell’adozione della decisione controversa in un settore in cui esso gode di un ampio potere discrezionale, il Tribunale ha giudicato, in sostanza, che gli era impossibile esercitare il suo controllo giurisdizionale al fine di determinare se la decisione controversa fosse manifestamente inadeguata o meno (113). Pronunciandosi in tale modo, esso non è incorso in un errore di diritto.

237. Di conseguenza, il terzo motivo di impugnazione deve essere respinto.

2.      Sul quarto motivo, relativo al fatto che il Tribunale ha statuito ultra petita

a)      Argomenti delle parti

238. Il Consiglio e la Commissione sostengono che il Tribunale, verificando, ai punti 227 e 241 della sentenza impugnata, se il Consiglio era venuto meno al suo obbligo di esaminare tutti gli elementi rilevanti della fattispecie prima dell’adozione della decisione controversa, nonché annullando parzialmente quest’ultima per un siffatto motivo, al punto 247 di tale sentenza, ha viziato la propria sentenza con un errore di diritto. Infatti, contrariamente a quanto indicato dal punto 226 di detta sentenza e dal punto 125, al quale esso rinvia, il Front Polisario non avrebbe dedotto alcun motivo a tal riguardo. Pronunciandosi su tale questione, il Tribunale avrebbe pertanto rilevato d’ufficio un motivo che non era di ordine pubblico, oltretutto senza sentire preliminarmente il Consiglio.

239. Il Front Polisario contesta la fondatezza di tale motivo facendo valere in sostanza, anzitutto, che il Tribunale non ha statuito ultra petita, in quanto la sua domanda era effettivamente intesa all’annullamento della decisione controversa nella parte in cui essa aveva approvato l’applicazione dell’accordo di liberalizzazione al Sahara occidentale; inoltre, il motivo di annullamento alla base del dispositivo della sentenza impugnata non è stato rilevato d’ufficio, ma è stato sollevato ai punti da 78 a 85 del suo atto di ricorso depositato presso il Tribunale e, infine, benché gli argomenti fatti valere a tal riguardo siano stati dedotti nell’ambito di un motivo relativo ad un’insufficienza di motivazione, spettava al giudice dell’Unione restituire loro la corretta qualificazione giuridica.

b)      Valutazione

240. Come rilevato dal Front Polisario ai punti da 77 a 85 dell’atto di ricorso depositato presso il Tribunale, esso ha contestato la validità della decisione controversa per insufficienza di motivazione nell’ambito del suo primo motivo di annullamento.

241. Al punto 79 di tale atto, il Front Polisario afferma che «[i]l Consiglio aveva (…) l’obbligo di prendere in considerazione l’insieme del contesto giuridico e fattuale al fine di assicurarsi che il testo dell’accordo non potesse in alcun modo essere in contraddizione con il diritto internazionale o rimettere in discussione in maniera indiretta i diritti del popolo saharawi».

242. A tal riguardo, ai punti da 125 a 127 della sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto il primo motivo solo parzialmente, differendo l’esame della censura del Front Polisario secondo la quale il Consiglio non aveva esaminato gli elementi rilevanti della fattispecie prima dell’adozione della decisione controversa. Il Tribunale ha proceduto a tale esame ai punti da 226 a 247 della sentenza impugnata.

243. Inoltre, il Tribunale ha differito l’esame di una serie di argomenti invocati dal Front Polisario a sostegno del terzo motivo (violazione dei diritti fondamentali), del quinto motivo (violazione dei valori fondanti dell’Unione e dei principi che disciplinano la sua azione esterna), del sesto motivo (mancato perseguimento dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile), del nono motivo (contrarietà della decisione controversa a vari accordi stipulati dall’Unione) e del decimo motivo (contrarietà della decisione controversa al diritto internazionale), nella misura in cui essi miravano a contestare l’esercizio, da parte del Consiglio, del suo ampio potere discrezionale (114).

244. Per questi motivi, non ritengo che il Tribunale, esaminando la questione se la decisione controversa doveva essere preceduta da un esame di tutte le circostanze della specie, abbia statuito ultra petita.

245. Di conseguenza, il quarto motivo di impugnazione deve essere respinto.

3.      Sul quinto motivo, attinente ad errori di diritto relativi all’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e del principio di sovranità permanente sulle risorse naturali

a)      Sulla prima parte, relativa all’obbligo di esaminare la questione del rispetto dei diritti fondamentali

i)      Argomenti delle parti

246. La Commissione afferma, in primo luogo, che la censura relativa alla violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, come accolta dal Tribunale, non era stata sollevata in maniera comprensibile ai punti da 111 a 115 dell’atto introduttivo del ricorso di primo grado.

247. Il Consiglio e la Commissione deducono, in secondo luogo, che il ragionamento del Tribunale, ai punti 227, 228, 230 e 231 della sentenza impugnata, si fonda su un’interpretazione e un’applicazione erronee della Carta dei diritti fondamentali. A tal riguardo, essi espongono, anzitutto, che il Tribunale non conclude che la decisione controversa o l’accordo di liberalizzazione contengono una disposizione contraria ai diritti fondamentali, bensì addebita a tali atti di consentire l’esportazione verso l’Unione di prodotti ottenuti in condizioni idonee a pregiudicare i diritti fondamentali del popolo del Sahara occidentale e, a tale titolo, di incoraggiare indirettamente l’inosservanza di alcuni dei diritti sanciti nella Carta dei diritti fondamentali. Essi ritengono poi che un siffatto ragionamento equivalga a far dipendere la legittimità degli atti dell’Unione da comportamenti imputabili a paesi terzi con i quali essa conclude accordi internazionali. Gli stessi considerano, infine, che detto ragionamento conduce a conferire un effetto extraterritoriale alla Carta dei diritti fondamentali, in violazione del suo articolo 51, il quale dovrebbe essere inteso nel senso che le istituzioni dell’Unione sono tenute al rispetto dei diritti fondamentali all’interno dell’ambito di applicazione territoriale del diritto dell’Unione, quale definito dall’articolo 52 TUE, nonché dall’articolo 355 TFUE, e non, salvo eccezioni, al di fuori del medesimo.

248. In terzo ed ultimo luogo, il Consiglio e la Commissione fanno valere che la questione del rispetto dei diritti dell’uomo viene presa in considerazione, ai fini dell’azione esterna dell’Unione, in un quadro procedurale diverso da quello definito dal Tribunale. Infatti, ai sensi dell’articolo 21 TUE e dell’articolo 205 TFUE, la promozione e il sostegno dei diritti dell’uomo costituirebbero rispettivamente un principio e un obiettivo fondanti l’azione dell’Unione sulla scena internazionale. A tale titolo, essi dovrebbero essere presi in considerazione dal Consiglio nella conduzione delle relazioni esterne dell’Unione, potendo al contempo essere ponderati con altri principi e obiettivi, in forza dell’ampio potere discrezionale riconosciuto a tale istituzione. In pratica, la situazione dei diritti dell’uomo in un paese terzo dovrebbe essere considerata una questione di ordine politico che può portare il Consiglio a ricorrere alle clausole di sorveglianza previste dagli accordi internazionali conclusi dall’Unione, una volta che tali accordi siano entrati in vigore. Per contro, il rispetto dei diritti dell’uomo non costituirebbe né un elemento che deve formare l’oggetto di un esame preliminare del tipo di quello definito dal Tribunale, ai punti 228, 241 e 244 della sentenza impugnata, né un requisito sostanziale che condiziona la conclusione di un accordo internazionale.

249. Il Front Polisario contesta l’esistenza di errori di diritto facendo valere, in sostanza, che la fondatezza dei motivi contestati dal Consiglio e dalla Commissione doveva essere valutata alla luce del quadro giuridico e fattuale specifico nel quale il Tribunale si è pronunciato. A tal riguardo, quest’ultimo avrebbe constatato, in primo luogo, che il Sahara occidentale si situava al di fuori delle frontiere del Regno del Marocco, come riconosciute dall’ONU, dall’Unione e dai suoi Stati membri; in secondo luogo, che il Regno del Marocco non disponeva inoltre di alcun mandato internazionale per amministrarlo e, in terzo luogo, che, con il concorso del Consiglio e della Commissione, l’accordo di liberalizzazione approvato dalla decisione controversa si applicava dunque ad un territorio non autonomo.

250. Il Tribunale avrebbe poi ritenuto che, nel caso specifico in cui un accordo internazionale concluso dall’Unione sia destinato ad essere applicato ad un territorio conteso, la questione dei diritti fondamentali rivesta un’importanza particolare. Esso ne avrebbe infine tratto la conseguenza che tale questione esigeva un esame da parte del Consiglio preliminarmente all’adozione di detta decisione. Tale approccio sarebbe conforme all’articolo 51 della Carta dei diritti fondamentali, dal momento che tale articolo impone al Consiglio di rispettare i diritti fondamentali allorché esercita le competenze che esso trae dai Trattati, come ha fatto nella specie. Esso sarebbe parimenti coerente con l’articolo 205 TFUE, con l’articolo 21 TUE e con le clausole dell’accordo di associazione che impongono nella specie il rispetto dei diritti dell’uomo.

251. Inoltre, il Front Polisario rileva che la Carta dei diritti fondamentali deve essere considerata applicabile sia ratione personae sia ratione materiae, dal momento che, da un lato, un numero elevato di Saharawi nati nel periodo cosiddetto «di provincializzazione» del Sahara occidentale sotto il Regno di Spagna ha la cittadinanza spagnola, e che, dall’altro, l’esistenza di violazioni dei loro diritti fondamentali è ufficialmente attestata da numerosi documenti dell’ONU, nonché dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

ii)    Valutazione

–       Sulla ricevibilità del motivo del ricorso di annullamento del Front Polisario relativo alla violazione dei diritti fondamentali

252. Non condivido il parere della Commissione secondo il quale il terzo motivo del ricorso di annullamento del Front Polisario, relativo ad una violazione dei diritti fondamentali, è irricevibile in quanto incomprensibile.

253. Si evince chiaramente dai punti da 96 a 101 e da 111 a 115 dell’atto introduttivo del ricorso del Front Polisario in primo grado che, a suo avviso, la decisione controversa comportava la violazione dei diritti fondamentali del popolo del Sahara occidentale, e segnatamente degli articoli 6, 17, 37, 47 e 53 della Carta dei diritti fondamentali, in quanto essa contribuisce a perpetuare la presenza marocchina nel Sahara occidentale.

–       Sulla censura relativa ad un’interpretazione e ad un’applicazione erronee della Carta dei diritti fondamentali

254. Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, dell’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, paragrafo 2, lettera b), e paragrafo 3, e dell’articolo 23 TUE, nonché dell’articolo 205 TFUE, i diritti dell’uomo e la loro protezione fanno parte dei principi e dei valori essenziali dell’Unione che devono guidare la sua azione sulla scena internazionale.

255. Infatti, come dichiarato recentemente dalla Corte in relazione ad un accordo internazionale approvato da una decisione del Consiglio (115) avente come base giuridica l’articolo 37 TUE, in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafi 5 e 6, TFUE, «[il] rispetto [dei principi dello Stato di diritto e dei diritti dell’uomo nonché della dignità umana] si impone a qualsiasi azione dell’Unione, compreso nel settore della PESC, come risulta dal combinato disposto dell’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, paragrafo 2, lettera b), e paragrafo 3, TUE e dell’articolo 23 TUE» (116).

256. Inoltre, si evince da una giurisprudenza costante che le competenze dell’Unione devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale (117). Ne consegue che, a meno di non essere in pratica irrilevante, la questione della conformità dell’accordo di cui trattasi al diritto internazionale deve essere presa in considerazione nell’esame preliminare di tutti gli elementi rilevanti che le istituzioni devono effettuare prima di concludere un accordo internazionale.

257. Oltre all’obbligo, risultante dal diritto dell’Unione, di esaminare la situazione generale dei diritti dell’uomo nella controparte dell’accordo internazionale, e più precisamente di studiare l’impatto che tale accordo potrebbe avere sui diritti dell’uomo, il diritto internazionale impone agli attori del diritto internazionale, e segnatamente agli Stati e alle organizzazioni internazionali, il rispetto delle norme imperative del diritto internazionale (ius cogens) e degli obblighi erga omnes.

258. A tal riguardo, la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato che, «per la loro stessa natura, [gli obblighi erga omnes] “riguardano tutti gli Stati” e “[a]lla luce dell’importanza dei diritti in questione, tutti gli Stati possono essere considerati avere un interesse giuridico a che tali diritti siano protetti”» (118). Su tale fondamento, essa ha statuito che «tutti gli Stati sono obbligati a non riconoscere la situazione illecita derivante dalla [violazione degli obblighi erga omnes e] sono parimenti obbligati a non prestare aiuto o assistenza al mantenimento della situazione creata da tale [violazione]» (119).

259. Di conseguenza, prima di concludere accordi internazionali, le istituzioni dell’Unione devono assicurare il rispetto dell’elenco, estremamente ristretto, delle norme imperative del diritto internazionale (ius cogens) (120) e degli obblighi erga omnes (121), i quali includono «la messa fuori legge degli atti di aggressione e di genocidio ma anche principi e norme concernenti i diritti fondamentali della persona umana, inclusa la protezione nei confronti della pratica della schiavitù e della discriminazione razziale» (122), nonché il diritto all’autodeterminazione (123).

260. A tal riguardo, occorre osservare che il Consiglio non contesta il fatto che la situazione generale dei diritti dell’uomo nella controparte di un accordo internazionale sia uno degli elementi da prendere in considerazione al momento della negoziazione e della conclusione di tale accordo. Orbene, ai punti 32 e 82 del suo atto introduttivo del ricorso di primo grado, il Front Polisario gli addebitava di non avere effettuato, prima della conclusione di detto accordo, uno studio di impatto dell’accordo di liberalizzazione sui diritti dell’uomo.

261. Poiché la situazione dei diritti dell’uomo nel Sahara occidentale è uno dei punti controversi fra il Front Polisario e il Regno del Marocco e, per questo motivo, è oggetto di un esame da parte del Segretario generale dell’ONU nelle sue relazioni annuali sul Sahara occidentale (124), non si può sostenere che non vi era la materia per uno studio di impatto.

262. A mio avviso, né il Consiglio né la Commissione, né nessuno degli intervenienti offre una ragione convincente per la quale, alla luce di tali esigenze, le istituzioni dell’Unione non sarebbero tenute ad esaminare, preliminarmente alla conclusione di un accordo internazionale, la situazione dei diritti dell’uomo nella controparte dell’accordo, nonché l’impatto che la conclusione dell’accordo di cui trattasi potrebbe avere a tal riguardo.

263. Rilevo che il Consiglio e la Commissione, da parte loro, sono divenuti molto più esigenti, decidendo di «inserire i diritti umani nelle valutazioni di impatto, man mano che vengono realizzate per proposte legislative e non legislative (…) e accordi commerciali che hanno un notevole impatto economico, sociale e ambientale» (125).

264. Poco sorprende, pertanto, che il Mediatore europeo abbia constatato, con la sua decisione del 26 febbraio 2016 nella causa 1409/2014/MHZ, concernente l’inadempimento della Commissione al suo obbligo di effettuare uno studio di impatto preliminarmente alla conclusione dell’accordo di libero scambio fra l’Unione e la Repubblica socialista del Vietnam (126), che il fatto che la Commissione non avesse fornito ragioni valide intese a giustificare il suo rifiuto di effettuare una simile analisi costituiva un caso di cattiva amministrazione.

265. È vero che, come osservato dal Consiglio e dalla Commissione, gli articoli 2, 3 e 90 dell’accordo di associazione, nonché la dichiarazione comune relativa all’articolo 90 dell’accordo allegato all’atto finale di detto accordo, consentono all’Unione di ottemperare al suo obbligo permanente di rispettare e di promuovere il rispetto dei diritti dell’uomo per tutta la durata di detto accordo, di cui essi costituiscono un «elemento essenziale» (127).

266. Tuttavia, come affermato dal Mediatore europeo al punto 24 della sua decisione del 26 febbraio 2016 nella causa 1409/2014/MHZ, la sola maniera affinché lo studio di impatto possa avere un effetto utile è effettuarlo prima della conclusione dell’accordo internazionale in questione, in quanto è al momento della sua negoziazione che l’Unione può promuovere in modo più efficace i suoi valori e obiettivi, di cui fanno parte il rispetto e la protezione dei diritti dell’uomo.

267. Contrariamente a quanto dedotto dal Consiglio e dalla Commissione, l’obbligo di effettuare uno studio di impatto dell’accordo di liberalizzazione sui diritti dell’uomo non ha come effetto di far dipendere la legittimità degli atti dell’Unione da atti giuridici di uno Stato terzo come il Regno del Marocco.

268. Come dichiarato dal Tribunale al punto 231 della sentenza impugnata, «se l’Unione consente l’esportazione verso i propri Stati membri di prodotti provenienti da tale altro paese, che sono stati fabbricati o ottenuti in condizioni non rispettose dei diritti fondamentali della popolazione del territorio da cui provengono, essa rischia di incoraggiare indirettamente simili violazioni o di trarne vantaggio».

269. Anche qualora si contestasse l’esistenza e la tutela giurisdizionale di un siffatto principio nel diritto dell’Unione, è chiaro che il diritto internazionale impone un obbligo chiaro all’Unione e ai suoi Stati membri di non riconoscere una situazione illecita risultante dalla violazione dei principi e delle norme concernenti i diritti fondamentali e di non aiutare o prestare assistenza al mantenimento della situazione creata da tale violazione. A tal fine, le istituzioni dell’Unione e i suoi Stati membri devono esaminare l’impatto che l’accordo internazionale di cui trattasi poteva avere sui diritti dell’uomo.

270. Quanto all’affermazione del Consiglio e della Commissione, secondo la quale il Tribunale, basandosi, al punto 228 della sentenza impugnata, sugli articoli da 1 a 3, 5, 15, 16, 17, 31 e 32 della Carta dei diritti fondamentali, ha conferito alle sue disposizioni un effetto extraterritoriale contrario all’articolo 51 della medesima, occorre osservare anzitutto che, come ammesso dal Regno del Belgio e dalla Commissione, i diritti fondamentali possono, a talune condizioni, produrre effetti extraterritoriali. Ciò avviene sicuramente in presenza di un’attività disciplinata dal diritto dell’Unione e condotta sotto il controllo effettivo dell’Unione e/o dei suoi Stati membri, ma al di fuori del loro territorio (128).

271. Tuttavia, poiché, nella specie, né l’Unione né i suoi Stati membri esercitano un controllo sul Sahara occidentale e questo non fa parte dei territori ai quali il diritto dell’Unione è applicabile, deve escludersi l’applicabilità nella presente fattispecie della Carta dei diritti fondamentali, anche se diversi Saharawi possiedono, come sostenuto dal Front Polisario, la cittadinanza spagnola.

272. Pertanto, anche se il Tribunale ha correttamente dichiarato, al punto 228 della sentenza impugnata, che «il Consiglio è tenuto ad esaminare, in modo accurato e imparziale, tutti gli elementi rilevanti per accertarsi che le attività di produzione dei prodotti destinati all’esportazione (…) non comportino violazioni dei (…) diritti fondamentali [della popolazione del Sahara occidentale]», esso non poteva tuttavia basarsi su disposizioni della Carta dei diritti fondamentali. Il punto 228 della sentenza impugnata è pertanto inficiato da un errore di diritto.

273. Tuttavia, se dalla motivazione di una sentenza del Tribunale risulta una violazione del diritto dell’Unione, ma il dispositivo appare fondato per altri motivi di diritto, una siffatta violazione non può comportare l’annullamento di tale sentenza ed occorre procedere ad una sostituzione dei motivi (129).

274. Ciò avviene nella specie, in quanto la circostanza che il Tribunale abbia fatto riferimento alla Carta dei diritti fondamentali non incide sull’obbligo delle istituzioni dell’Unione, risultante dal diritto dell’Unione e dal diritto internazionale (130), di esaminare, preliminarmente all’adozione della decisione controversa, la situazione dei diritti dell’uomo nel Sahara occidentale, nonché l’impatto che la conclusione dell’accordo di cui trattasipotrebbe avere ivi a tal riguardo.

275. Ricordo, a tal proposito, che il ragionamento relativo al potere discrezionale delle istituzioni dell’Unione e agli elementi di cui esse devono tenere conto, adottato dal Tribunale per fondare l’annullamento parziale della decisione controversa, era basato su diversi motivi combinati del Front Polisario, fra cui, segnatamente, quelli relativi ad un’insufficienza di motivazione, alla violazione dei diritti fondamentali, alla violazione dei valori fondanti l’azione esterna dell’Unione (articoli 21 TUE e 205 TFUE) e alla violazione del diritto internazionale.

276. In tale contesto, il Tribunale avrebbe dovuto fare riferimento ai principi e alle norme concernenti i diritti fondamentali della persona umana (131), che, secondo la giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia, costituiscono obblighi erga omnes di diritto internazionale che devono essere oggetto di protezione da parte degli Stati, i quali sono tenuti ad astenersi dal prestare aiuto o assistenza al mantenimento delle situazioni create dalla loro violazione (132).

277. È vero che la Corte ha dichiarato, al punto 107 della sentenza Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), che «i principi di diritto internazionale consuetudinario (…) possono essere invocati da un singolo ai fini dell’esame, da parte della Corte, della validità di un atto dell’Unione se e in quanto, da un lato, essi siano idonei a mettere in discussione la competenza dell’Unione ad adottare tale atto (…) e, dall’altro, l’atto in questione possa incidere su diritti attribuiti al singolo dal diritto dell’Unione oppure far sorgere in capo a tale singolo obblighi correlati al diritto dell’Unione stesso».

278. Tuttavia, nella fattispecie in esame la discussione non verte sulla legittimità della decisione controversa alla luce dei principi del diritto internazionale, bensì sulla sua legittimità rispetto alla mancata considerazione, preliminarmente alla sua adozione, di tutti gli elementi rilevanti, fra cui la sua compatibilità con il diritto internazionale dei diritti dell’uomo. Di conseguenza, le condizioni enunciate ai punti da 107 a 110 della sentenza Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), concernenti la possibilità di invocare le norme di diritto internazionale consuetudinario, non sono applicabili (133).

279. Pertanto, occorre respingere la prima parte del quinto motivo.

b)      Sulla seconda parte, relativa all’obbligo di esaminare la questione della conformità dell’accordo di liberalizzazione all’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite e al principio di sovranità permanente sulle risorse naturali

i)      Argomenti delle parti

280. Il Consiglio e la Commissione sostengono che il Tribunale, addebitando al Consiglio, ai punti 228, 231, 241 e 244 della sentenza impugnata, di non avere esaminato le condizioni di sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale prima di adottare la decisione controversa, esige, in definitiva, che esso verifichi che i paesi terzi con i quali esso intende concludere accordi internazionali idonei ad essere applicati a territori non autonomi, nella specie il Regno del Marocco, ottemperino agli obblighi risultanti dall’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite. Orbene, tale ragionamento sarebbe inficiato da tre serie di errori di diritto.

281. In primo luogo, l’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite imporrebbe, di per sé, obblighi soltanto ai membri delle Nazioni Unite, i quali abbiano assunto o assumano la responsabilità dell’amministrazione di territori non autonomi. Orbene, non sarebbe questo il caso dell’Unione. Inoltre, la possibilità che il Regno del Marocco non rispetti i suoi obblighi risultanti da tale disposizione quale potenza amministratrice de facto del Sahara occidentale non sarebbe idonea a modificare la portata di tale articolo, imponendo alle istituzioni dell’Unione un obbligo di verifica allorché esse intendono concludere un accordo con tale paese. Al contrario, tali questioni politiche delicate rientrerebbero nella competenza esclusiva del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

282. In secondo luogo, l’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite non soddisfarebbe le condizioni che consentono ad un singolo di agire in giudizio per contestare la legittimità di un atto dell’Unione.

283. In terzo ed ultimo luogo, il Tribunale avrebbe proceduto ad un’interpretazione erronea del diritto internazionale consuetudinario, in quanto esso non ha citato alcuna base giuridica che imporrebbe alle istituzioni dell’Unione di verificare il rispetto, da parte delle controparte all’accordo, del principio di sovranità permanente sulle risorse naturali e della preminenza degli interessi degli abitanti dei territori non autonomi. Analogamente, esso non ha citato alcuna base giuridica che consenta di ritenere che, in assenza di una siffatta verifica, l’accordo concluso dall’Unione sarebbe idoneo ad incoraggiare indirettamente la violazione di tali principi.

284. In ogni modo, il Tribunale avrebbe ecceduto i limiti del suo controllo giurisdizionale in quanto, alla luce del carattere impreciso di tali principi, esso avrebbe dovuto concludere che nessun manifesto errore di valutazione giustificava l’annullamento della decisione controversa, invece di imporre un obbligo procedurale inedito al Consiglio.

285. In risposta, il Front Polisario fa valere che è inconferente addebitare al Tribunale di avere controllato la conformità della decisione impugnata all’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, in quanto il riferimento a tale disposizione è presente solo nell’ambito di un ragionamento inteso a determinare se il Consiglio aveva l’obbligo di esaminare le condizioni di sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale prima di adottare la decisione controversa.

286. Inoltre, tale ragionamento sarebbe scevro da errori di diritto, in quanto il principio di diritto internazionale consuetudinario relativo alla sovranità permanente sulle risorse naturali si ricollegherebbe al diritto all’autodeterminazione, il quale costituirebbe esso stesso una norma di ius cogens con effetti erga omnes. Di conseguenza, incomberebbe a ciascuno Stato assicurarne il rispetto.

ii)    Valutazione

287. Occorre anzitutto osservare che la questione che si trova al centro della seconda parte del quinto motivo di impugnazione è non se la decisione controversa rispetti o meno l’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, il diritto all’autodeterminazione e il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali, ma semplicemente se il Consiglio dovesse prendere in considerazione tali questioni prima dell’adozione della decisione controversa.

288. In tal senso, occorre respingere gli argomenti del Consiglio e della Commissione relativi al fatto che tali norme di diritto internazionale pubblico non soddisfarebbero le condizioni che consentono ad un singolo di far valere in giudizio dette norme per contestare la legittimità di un atto dell’Unione, come enunciate nella giurisprudenza della Corte (134).

289. Occorre dunque esaminare se il Tribunale abbia correttamente statuito, al punto 241 della sentenza impugnata, che, nell’ambito dell’esame di tutti gli elementi rilevanti, «il Consiglio (…) era tenuto ad accertarsi esso stesso che non vi fossero indizi di uno sfruttamento delle risorse naturali del territorio del Sahara occidentale sotto il controllo marocchino che potesse svolgersi a danno dei suoi abitanti e che potesse arrecare pregiudizio ai loro diritti fondamentali».

290. Si evince da una giurisprudenza costante che le competenze dell’Unione devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale (135). Tale requisito vale per qualsiasi azione esterna dell’Unione, inclusa la negoziazione e la conclusione di accordi internazionali (136).

291. I principi fondamentali applicabili ai territori non autonomi sono enunciati all’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, secondo il quale «i [m]embri [dell’ONU], i quali abbiano od assumano la responsabilità dell’amministrazione di [tali territori] riconoscono il principio che gli interessi degli abitanti di tali territori sono preminenti [ed] accettano come sacra missione l’obbligo di promuovere al massimo [il loro] benessere».

292. Oltre al loro obbligo risultante dalla risoluzione 1514 (XV) di aiutare il popolo di tali territori ad esercitare il suo diritto all’autodeterminazione, le potenze amministratrici devono parimenti rispettare il principio della sovranità permanente di tali popoli sulle risorse naturali dei loro territori (137), il quale è stato riconosciuto dalla Corte internazionale di giustizia come principio di diritto internazionale consuetudinario (138).

293. Nel caso dei territori non autonomi, il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali implica, in sostanza, che la potenza amministratrice non può, senza violare gli obblighi ad essa incombenti in forza della Carta delle Nazioni Unite, privare i popoli dei territori non autonomi dell’esercizio di loro diritti legittimi sulle risorse naturali degli stessi o subordinare i diritti e gli interessi di tali popoli ad interessi economici e finanziari stranieri (139). Per contro, gli investimenti economici stranieri intrapresi in collaborazione con i popoli dei territori non autonomi e in conformità ai loro desideri al fine di apportare un valido contributo allo sviluppo socio‑economico dei territori sono conformi a detto principio (140).

294. Quanto all’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite e al principio di sovranità permanente sulle risorse naturali, essi non hanno mai figurato fra le norme imperative del diritto internazionale (ius cogens) o degli obblighi erga omnes (141). Di conseguenza, la possibilità di una violazione dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite e del principio di sovranità permanente sulle risorse naturali non può chiamare in causa la responsabilità dell’Unione, in quanto l’obbligo di non riconoscere come lecita una situazione creata da una violazione grave di un obbligo erga omnes e di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento di tale situazione (142) non è applicabile.

295. Il necessario corollario del fatto che l’articolo 73 di detta Carta e il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali non sono obblighi erga omnes è che essi possono essere violati solo da coloro che sono vincolati da tali disposizioni, il che non è il caso dell’Unione e delle sue istituzioni. A tal riguardo, anche ammesso che essi siano applicabili al Sahara occidentale, gli accordi di associazione e di liberalizzazione si limitano ad attuare un regime doganale favorevole quanto alle esportazioni dei prodotti originari del Sahara occidentale verso l’Unione. Pertanto, detti accordi non vertono sullo sfruttamento di risorse naturali, che esse si trovino in Marocco o nel Sahara occidentale.

296. È vero che la possibilità che i prodotti originari di tale territorio possano beneficiare di tale regime è idoneo a incoraggiare lo sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale. Tuttavia, tale sfruttamento non è di per sé contrario al diritto internazionale, ma dipende dalla questione se esso rispetta la preminenza degli interessi dei suoi abitanti, sancita all’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, e il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali. Orbene, il Regno del Marocco è di fatto l’unico in grado di assicurare che tale sfruttamento sia conforme al diritto internazionale.

297. Poiché l’Unione non può incorrere in responsabilità, neanche se lo sfruttamento di risorse naturali del Sahara occidentale si rivelasse contrario all’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite e al principio di sovranità permanente sulle risorse naturali, il Tribunale ha commesso un errore di diritto dichiarando, ai punti da 229 a 246 della sentenza impugnata, che l’impatto dell’accordo di liberalizzazione su tale principio era un elemento pertinente che il Consiglio doveva prendere in considerazione prima di concludere l’accordo di cui trattasi e che detta questione non riguardava unicamente il Regno del Marocco. Tali punti devono pertanto essere annullati.

298. Tuttavia, detto errore non può avere conseguenze sul resto della sentenza impugnata in quanto, come ho già spiegato ai paragrafi da 254 a 279 delle presenti conclusioni, il Tribunale ha correttamente statuito che il Consiglio era venuto meno al suo obbligo di esaminare, preliminarmente all’adozione della decisione controversa, la situazione dei diritti dell’uomo nel Sahara occidentale, nonché l’impatto che la conclusione dell’accordo in questione avrebbe potuto avere ivi a tal riguardo.

299. Di conseguenza, occorre respingere la seconda parte del quinto motivo di impugnazione in quanto inconferente.

4.      Sul sesto motivo, relativo ad un errore di diritto concernente la portata dell’annullamento della decisione controversa

a)      Argomenti delle parti

300. Il Consiglio e la Commissione sostengono che il Tribunale ha commesso due errori di diritto, al punto 247 della sentenza impugnata, annullando la decisione controversa nella misura in cui essa approva l’applicazione dell’accordo di liberalizzazione al Sahara occidentale. Infatti, in assenza di qualsiasi riferimento esplicito al Sahara occidentale in tale accordo, nessun elemento a tal riguardo potrebbe essere estrapolato da detta decisione. Inoltre, la sentenza impugnata porterebbe in definitiva a modificare unilateralmente la portata territoriale dell’accordo di liberalizzazione, nonché, di conseguenza, lo spirito e la sostanza della decisione controversa. Infatti, il Regno del Marocco non avrebbe mai accettato tale accordo se le istituzioni dell’Unione vi avessero incluso una clausola che escludeva esplicitamente la sua applicazione al Sahara occidentale.

301. Il Front Polisario obietta che l’elemento annullato dal Tribunale è separabile dal resto della decisione controversa e non ne modifica né lo spirito né la sostanza, dal momento che il Sahara occidentale costituisce un territorio non autonomo che dispone di frontiere internazionalmente riconosciute e che è distinto dal Regno del Marocco dal punto di vista sia del diritto internazionale sia del diritto dell’Unione. Esso espone parimenti che tale separabilità è confermata dalle ripetute affermazioni del Consiglio e della Commissione secondo le quali l’accordo di liberalizzazione resta in vigore e continua a produrre i suoi effetti nei confronti del Regno del Marocco, nonostante l’annullamento pronunciato dal Tribunale.

b)      Valutazione

302. Anche l’esame di tale motivo si situa nell’ambito dell’argomentazione che presento in subordine, ossia per il caso in cui la Corte dovesse decidere che l’accordo di liberalizzazione si applicava nel territorio del Sahara occidentale e concludesse parimenti che il Consiglio aveva violato il suo obbligo di esaminare tutti o taluni elementi rilevanti preliminarmente alla decisione controversa. A mio avviso, in tale caso, un annullamento parziale della decisione controversa non mi sembrerebbe tuttavia criticabile.

303. Occorre ricordare che la decisione del Tribunale di annullare parzialmente la decisione controversa è dovuta all’ambiguità della posizione del Consiglio e della Commissione, secondo i quali l’accordo di liberalizzazione non è applicabile al Sahara occidentale ma gli viene de facto applicato, ambiguità sulla quale il Tribunale ha fondato l’incidenza diretta e individuale nei confronti del Front Polisario.

304. Infatti, avendo constatato un’illegittimità nel procedimento (143) di adozione della decisione controversa, la quale vizia quest’ultima solo nei limiti in cui l’accordo di liberalizzazione si applica al Sahara occidentale, il Tribunale ha annullato la decisione controversa «nella parte in cui approva l’applicazione [dell’accordo di liberalizzazione] al Sahara occidentale».

305. Secondo una giurisprudenza costante, un «annullamento [parziale] è possibile solo se gli elementi di cui è chiesto l’annullamento sono separabili dal resto dell’atto (…). La Corte ha ripetutamente dichiarato che tale requisito della separabilità non è soddisfatto quando l’annullamento parziale di un atto avrebbe l’effetto di modificare la sostanza dell’atto medesimo (…) Per quanto concerne la verifica della separabilità delle disposizioni controverse, essa presuppone l’esame della portata di dette disposizioni, al fine di poter valutare se il loro annullamento modificherebbe lo spirito e la sostanza della decisione impugnata (…)» (144).

306. Nella specie, contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio, il Tribunale, annullando la decisione controversa nella parte in cui approva l’applicazione dell’accordo di liberalizzazione al Sahara occidentale, ha contestato non il potere del Consiglio di concludere con il Regno del Marocco un accordo applicabile al Sahara occidentale, bensì il fatto che il Consiglio ne ha approvato la conclusione senza esaminare preliminarmente tutti gli elementi rilevanti della fattispecie.

307. Tramite l’annullamento parziale, il Tribunale non ha neanche modificato lo spirito e la sostanza della decisione controversa, in quanto l’annullamento parziale è collegato a questioni concernenti unicamente la portata territoriale dell’accordo di liberalizzazione e non il suo merito.

308. Occorre quindi respingere il sesto motivo di impugnazione.

VII – Sulle spese

309. Ai sensi degli articoli 137 e 184, paragrafo 2, del suo regolamento di procedura, quando la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, quest’ultima statuisce sulle spese.

310. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza del suo articolo 184, paragrafo 1, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

A –    In via principale e in subordine

311. Poiché, a mio avviso, il Front Polisario è soccombente nel giudizio di impugnazione per le ragioni fornite, in via principale, ai paragrafi da 54 a 114 delle presenti conclusioni, e, in subordine, ai paragrafi da 185 a 194 e 211 delle presenti conclusioni, lo stesso deve essere condannato a sopportare, oltre alle proprie spese, la totalità delle spese sostenute dal Consiglio e dalla Commissione sia in primo grado che in sede di impugnazione.

312. In tal caso, in conformità all’articolo 140, paragrafo 1, di detto regolamento, applicabile al procedimento d’impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, le spese sostenute dagli Stati membri intervenuti nella causa restano a loro carico.

313. Occorrerebbe dunque condannare il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese e la Repubblica portoghese a sostenere le proprie spese.

314. Secondo l’articolo 140, paragrafo 3, di detto regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo, la Corte può decidere che una parte interveniente, diversa dagli Stati membri, dalle istituzioni dell’Unione, dagli Stati aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3), nonché dagli Stati parti dell’AELS, si faccia carico delle proprie spese.

315. Poiché la Comader non ha formulato una richiesta al riguardo, essa dovrebbe essere condannata a sopportare le proprie spese.

B –    In ulteriore subordine

316. Qualora la Corte non dovesse aderire alla mia tesi, secondo la quale gli accordi di associazione e di liberalizzazione non sono applicabili al Sahara occidentale, e decidesse che il Front Polisario era interessato direttamente e individualmente dalla decisione controversa, l’impugnazione dovrebbe essere respinta per i motivi da me forniti ai paragrafi da 116 a 308 delle presenti conclusioni.

317. In conformità all’articolo 138, paragrafi 1 e 2, e all’articolo 184, paragrafo 1, del regolamento di procedura, il Consiglio e la Commissione, in quanto soccombenti, dovrebbero sopportare ciascuno le proprie spese, nonché quelle sostenute dal Front Polisario sia in primo grado che in sede di impugnazione.

318. Le mie osservazioni sulle spese delle parti intervenute nell’impugnazione effettuate ai paragrafi da 312 a 315 delle presenti conclusioni sono parimenti valide in questa sede.

VIII – Conclusione

319. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte:

–        in via principale e in subordine

–        di annullare la sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 10 dicembre 2015, Fronte Polisario/Consiglio (T‑512/12, EU:T:2015:953), con la quale esso ha annullato la decisione 2012/497/UE del Consiglio dell’8 marzo 2012, relativa alla conclusione dell’accordo in forma di scambio di lettere tra l’Unione europea e il Regno del Marocco in merito a misure di liberalizzazione reciproche per i prodotti agricoli, i prodotti agricoli trasformati, il pesce e i prodotti della pesca, alla sostituzione dei protocolli nn. 1, 2 e 3 e dei relativi allegati e a modifiche dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra, nella parte in cui essa approva l’applicazione di tale accordo al Sahara occidentale;

–        di respingere il ricorso di annullamento del Front populaire pour la libération de la saguia-el-hamra et du rio de oro (Front Polisario) in quanto irricevibile;

–        di condannare il Front populaire pour la libération de la saguia-el-hamra et du rio de oro (Front Polisario) alle spese sostenute dal Consiglio dell’Unione europea e dalla Commissione europea sia in primo grado che in sede di impugnazione, e

–        di condannare il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese e la Repubblica portoghese, nonché la Confédération marocaine de l’agriculture et du développement rural (Comader) a sostenere le proprie spese.

–        In ulteriore subordine

–        di respingere l’impugnazione in quanto infondata;

–        di condannare il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea a sopportare ciascuno le proprie spese, nonché le spese sostenute dal Fronte di liberazione popolare di saguia-el-hamra e del rio de oro (Front Polisario) sia in primo grado che in sede di impugnazione, e

–        di condannare il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese e la Repubblica portoghese, nonché la Confédération marocaine de l’agriculture et du développement rural (Comader) a sostenere le proprie spese.


1 – Lingua originale: il francese.


2 – GU 2012, L 241, pag. 2.


3 – GU 2000, L 70, pag. 1.


4 – GU 2012, L 241, pag. 4.


5 – S/2016/355, punto 73.


6 – V. elenco allegato alla relazione del 1o febbraio 2016 del Segretario generale dell’ONU sulle «Informazioni relative ai territori comunicate in applicazione del comma e) dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite» (A/71/68).


7 – Punto 117 della sentenza impugnata.


8 – Punto 117 della sentenza impugnata.


9 – Punto 215 della sentenza impugnata. V., parimenti, punti 146, 165, 171, 198, da 205 a 211 e da 215 a 222 della sentenza impugnata.


10 – V. punti da 124 a 126, 147, 166, 172, 199 e 211 della sentenza impugnata.


11 – V. articolo 56, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e sentenza del 22 febbraio 2005, Commissione/max.mobil (C‑141/02 P, EU:C:2005:98, punti da 48 a 51).


12 – V. sentenza del 21 dicembre 2011, Iride/Commissione (C‑329/09 P, EU:C:2011:859, punto 50).


13 – V. punto 8 della controreplica del Front Polisario.


14 – Secondo il Tribunale, «la stipulazione, tra l’Unione e uno Stato terzo, di un accordo atto a trovare applicazione a un territorio conteso non è sempre contraria al diritto dell’Unione o al diritto internazionale, cui l’Unione deve conformarsi».


15 – V. punto 87 della sentenza impugnata.


16 – Recueil des traités des Nations unies, vol. 1155, pag. 331. Sia il Tribunale sia le parti fanno riferimento alla convenzione di Vienna, anche se, ai sensi del suo articolo 1, essa si applica solo ai trattati fra Stati, mentre la convenzione applicabile agli accordi di associazione e di liberalizzazione è la convenzione di Vienna sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali, conclusa a Vienna il 21 marzo 1986, la quale non è tuttavia ancora in vigore. Ciò premesso, come dichiarato dalla Corte al punto 37 della sentenza del 6 febbraio 2014, Helm Düngemittel (C‑613/12, EU:C:2014:52), «il diritto internazionale dei trattati è stato codificato, in sostanza, dalla Convenzione di Vienna e (…) le regole contenute in tale Convenzione si applicano ad un accordo concluso tra uno Stato ed un’organizzazione internazionale, quale l’accordo euromediterraneo con [la Repubblica araba di Egitto], nella misura in cui esse costituiscono espressione del diritto internazionale generale di natura consuetudinaria». V. parimenti, in tal senso, sentenza del 25 febbraio 2010, Brita (C‑386/08, EU:C:2010:91, punti da 40 a 42 e la giurisprudenza ivi citata), e articolo 3, lettera b), della convenzione di Vienna. Per questo motivo, tali norme «vincolano le istituzioni [dell’Unione] e fanno parte dell’ordinamento giuridico [dell’Unione]» (sentenza del 25 febbraio 2010, Brita, C‑386/08, EU:C:2010:91, punto 42). Nelle presenti conclusioni, mi riferirò alle disposizioni della convenzione di Vienna.


17 – Segnatamente, la questione dell’asserita applicazione extraterritoriale della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea al Sahara occidentale.


18 – V. punto 24 dell’impugnazione.


19 – V. punto 88.


20 – V., segnatamente, punti da 27 a 30 della comparsa di risposta della Commissione.


21 – La questione se la potenza amministratrice conservi la sua prerogativa di concludere accordi internazionali per conto e in nome del territorio non autonomo è stata sollevata nella causa Timor Est fra la Repubblica portoghese (quale potenza amministratrice espulsa da Timor Est dalla Repubblica indonesiana) e il Commonwealth di Australia (quale paese terzo che ha concluso con la Repubblica indonesiana un accordo internazionale applicabile a Timor Est). Tuttavia, la Corte internazionale di giustizia non ha statuito nel merito di tale causa, dichiarando che il fatto che la Repubblica indonesiana fosse terza rispetto alla controversia non le consentiva di esercitare la propria competenza. Essa ha tuttavia dichiarato che «non [poteva] essere desunto dal mero fatto che [talune risoluzioni dell’Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza] menzionino il Portogallo come potenza amministrativa di Timor Est che [tali] risoluzioni (…) hanno inteso sancire a carico degli Stati terzi un obbligo di trattare esclusivamente con il Portogallo le questioni attinenti alla piattaforma continentale di Timor Est». V. sentenza del 30 giugno 1995, Timor Est (Portogallo c. Australia), CIJ, Recueil 1995, pag. 90, punto 32.


22 – Il corsivo è mio.


23 – Il corsivo è mio.


24 – V. regolamento (CEE) n. 1246/73 del Consiglio del 14 maggio 1973, relativo alla conclusione dell’accordo che istituisce un’associazione tra la Comunità economica europea e la Repubblica di Cipro (GU 1973, L 133 pag. 1).


25 – V. punti 3 e 57 della sentenza impugnata, nonché l’elenco allegato alla relazione del 1o febbraio 2016 del Segretario generale dell’ONU sulle «Informazioni relative ai territori comunicate in applicazione del comma e) dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite» (A/71/68). V. parimenti, in tal senso, la lettera datata 29 gennaio 2002, indirizzata al presidente del Consiglio di sicurezza dal segretario generale aggiunto agli affari giuridici, consigliere giuridico (S/2002/161), punto 6: «[i]l trasferimento dei poteri amministrativi [da parte del Regno di Spagna] al [Regno del] Marocco e alla [Repubblica islamica di] Mauritania nel 1975 non ha avuto incidenza sullo status del Sahara occidentale quale territorio non autonomo».


26 – V. paragrafo 10 delle presenti conclusioni.


27 – CIJ, Recueil 1975, pag. 12.


28 – Il corsivo è mio.


29 – La sentenza del Tribunale è stata confermata dall’ordinanza del 28 novembre 1996, Odigitria/Consiglio e Commissione (C‑293/95 P, EU:C:1996:457). La causa verteva su accordi di pesca conclusi dall’Unione con la Repubblica del Senegal e la Repubblica della Guinea‑Bissau, accordi che non avevano escluso dal loro ambito di applicazione territoriale le zone marittime oggetto di rivendicazioni reciproche da parte dei due Stati. Con la sua domanda di risarcimento dei danni, la parte ricorrente addebitava al Consiglio e alla Commissione la mancata esclusione della zona controversa dagli accordi in questione, fino alla pronuncia della sentenza della Corte internazionale di giustizia.


30 – V., in tal senso, sentenza R (Western Sahara Campaign UK) v The Commissioners for Her Majesty’s Revenue & Customs and The Secretary of State for the Environment, Food and Rural Affairs [2015] EWHC 2898 (Admin), punto 39, sfociata nella causa Western Sahara Campaign (C‑266/16), pendente dinanzi alla Corte.


31 – Dichiarazione relativa ai principi del diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, approvata mediante la risoluzione 2625 (XXV) dell’Assemblea generale dell’ONU, del 24 ottobre 1970.


32 – V. punto 75 della sentenza impugnata.


33 – Al contrario ad esempio, secondo la Commissione, dell’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco, approvato dal regolamento (CE) n. 764/2006 del Consiglio del 22 maggio 2006 (GU 2006, L 141, pag.1), che impiega termini più ampi («acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco» e «acque soggette alla giurisdizione marocchina»); ciò implicherebbe che l’intenzione delle parti era la sua applicazione alle acque soggette alla giurisdizione marocchina [v. articolo 2, lettera a), e articolo 11 di tale accordo], il che includerebbe le acque del Sahara occidentale.


34 – L’importanza di tale prassi è stata sottolineata dalla Corte internazionale di giustizia nella sentenza del 20 febbraio 1969 nelle cause della Piattaforma continentale del mare del Nord (Repubblica federale di Germania c. Regno di Danimarca; Repubblica federale di Germania c. Regno dei Paesi Bassi), CIJ, Recueil 1969, pag. 3, facendo riferimento alla prassi degli Stati «che sono particolarmente interessati» (punto 74).


35 – Non prendo in considerazione il Regno di Spagna, il quale figura parimenti nell’elenco allegato alla relazione del 1o febbraio 2016 del Segretario generale dell’ONU sulle «Informazioni relative ai territori comunicate in applicazione dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite» (A/71/68), in quanto esso si reputa svincolato da qualsiasi responsabilità di carattere internazionale relativa alla sua amministrazione del Sahara occidentale dal 26 febbraio 1976.


36 – V. l’elenco allegato alla relazione del 1o febbraio 2016 del Segretario generale dell’ONU sulle «Informazioni relative ai territori comunicate in applicazione del comma e) dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite» (A/71/68).


37 – Gli Stati Uniti d’America amministrano il territorio di Guam, le Isole Vergini americane e il territorio delle Samoa americane. La Nuova Zelanda amministra i Tokélaou. La Repubblica francese amministra la Nuova Caledonia e la Polinesia francese. Il Regno Unito amministra Anguilla, le Bermuda, Gibilterra, le isole Caïman, le Isole Falkland, le Isole Turks e Caicos, le Isole Vergini britanniche, Montserrat, le Isole Pitcairn e Sant’Elena. Il diciassettesimo territorio non autonomo è il Sahara occidentale.


38 – Solo la Repubblica francese ha un’altra prassi; il governo francese ha spiegato, in udienza, che i trattati conclusi dalla Repubblica francese erano applicabili alla Nuova Caledonia e alla Polinesia francese, salvo esclusione espressa.


39 – V. «Guidelines on extension of treaties to overseas territories» del 19 marzo 2013 del Foreign & Commonwealth Office del Regno Unito, disponibile sul sito Internet: https://www.gov.uk/government/publications/guidelines-on-extension-of-treaties-to-overseas-territories. V. parimenti, in tal senso, «Federal Tax Laws and Issues Related to the United States Territories» del 15 maggio 2012 del Joint Committee on Taxation du Congrès des États-Unis disponibile sul sito Internet https://www.jct.gov/publications.html?func=startdown&id= 4427. V. parimenti, in tal senso, «External Relations and International Legal Obligations» sul sito Internet del governo delle Tokéla (http://www.tokelau.org.nz/About+Us/Government.html).


40 – V., in tal senso, la lettera dell’Ufficio esecutivo del Presidente degli Stati Uniti d’America del 20 luglio 2004 al membro del Congresso Joseph R. Pitts secondo la quale «[g]li Stati Uniti e diversi altri paesi non riconoscono la sovranità marocchina sul Sahara occidentale (…). [L’accordo di libero scambio] si applicherà al commercio con [il Regno del Marocco] e agli investimenti [sul] territorio del [Regno del] Marocco quale riconosciuto a livello internazionale e non includerà il Sahara occidentale» («The United States and many other countries do not recognize Moroccan sovereignity over Western Sahara (…) The [free trade agreement] will cover trade and investment in the territory of Morocco as recognized internationally, and will not include Western Sahara»). Questa lettera è disponibile sul sito Internet della gazzetta ufficiale del Congresso (https://www.gpo.gov/fdsys/pkg/CREC‑2004-07-22/pdf/CREC‑2004-07-22-pt2-PgH6615-4.pdf#page= 13). V. parimenti, in tal senso, la risposta del ministro degli Affari esteri del Regno di Norvegia ad un’interrogazione parlamentare, datata 11 maggio 2010, secondo la quale, «[p]oiché il [Regno del] Marocco non esercita la propria sovranità sul Sahara occidentale in modo riconosciuto a livello internazionale, quest’ultimo non è considerato parte del territorio del [Regno del] Marocco nell’ambito [dell’accordo di libero scambio]. [Tale accordo] non è dunque applicabile ai prodotti originari del Sahara occidentale» (v. sito Internet del Parlamento norvegese https://www.stortinget.no/no/Saker-og-publikasjoner/Sporsmal/Skriftlige-sporsmal-og-svar/Skriftlig-sporsmal/?qid= 46630). V. parimenti, in tal senso, il parere del Consiglio federale della Confederazione svizzera del 15 maggio 2013, secondo il quale «[gli accordi di libero scambio EFTA-Marocco e Svizzera‑Marocco] trovano applicazione esclusivamente nel territorio del Regno di Marocco. Secondo le risoluzioni dell’ONU il territorio del Sahara Occidentale risulta un "territorio non autonomo" e non fa quindi parte del Marocco. Nel caso in cui le merci non soddisfino le regole sull’origine dell’accordo preferenziale in questione (ad esempio perché prodotte nel Sahara occidentale) ma vengano comunque rilasciate prove dell’origine conformi a questo accordo (origine Marocco) e ciò venga constatato nell’ambito di una procedura di accertamento legalmente riconosciuta, il regime preferenziale per l’importazione in Svizzera non verrà concesso». (v. sito Internet del Parlamento svizzero https://www.parlament.ch/fr/ratsbetrieb/suche-curia-vista/geschaeft?AffairId= 20133178). V. parimenti, in tal senso, la risposta del ministro degli Affari esteri della Repubblica d’Islanda ad un’interrogazione parlamentare, data il 18 aprile 2016: «Concordiamo con l’interpretazione dell’accordo di libero scambio fra l’EFTA e il Marocco da parte delle autorità norvegesi e svizzere, secondo la quale [tale accordo] non copre i prodotti originari del Sahara occidentale» (v. sito Internet del Parlamento islandese http://www.althingi.is/altext/raeda/145/rad20160418T160934.html).


41 – V., in tal senso, articolo 2.1 dell’accordo di libero scambio, concluso il 15 giugno 2004 a Washington D.C. fra gli Stati Uniti d’America e il Regno del Marocco («Except as otherwise provided, this Chapter applies to trade in goods of a Party») e articolo 36 dell’accordo di libero scambio, concluso il 19 giugno 1997 a Ginevra fra gli Stati dell’EFTA e il Regno del Marocco («Il presente Accordo è applicabile nel territorio degli Stati Parti, fatte salve le disposizioni del Protocollo E» che autorizza il Regno di Norvegia ad escludere il territorio del Svalbard dall’ambito di applicazione dell’accordo di libero scambio).


42 – V. punti 74, 75 e 81 della sentenza impugnata.


43 – V. punto 87 della sentenza impugnata.


44 – V. paragrafi 65 (per la Commissione) e 67 (per il Consiglio) delle presenti conclusioni.


45 – Se è vero che l’articolo 31, paragrafo 1, di tale convenzione prevede che «[u]n trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo», il suo paragrafo 3, lettera b), prescrive che «[s]i terrà conto, oltre che del contesto (…) di qualsiasi prassi successivamente seguita nell’applicazione del trattato attraverso la quale si sia formato un accordo delle parti in materia di interpretazione del medesimo».


46 – V. Air Transport Services Agreement Arbitration (Stati Uniti d’America c. Repubblica italiana), 1965, Recueil des sentences arbitrales, vol. XVI, pag. 75, pag. 99, che si basa sul parere consultivo della Corte permanente di giustizia internazionale del 12 agosto 1922 sulla competenza dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) per la regolamentazione internazionale delle condizioni di lavoro delle persone impiegate nell’agricoltura (CPIJ, serie B, pagg. da 39 a 41).


47 – Se l’articolo 31, paragrafo 1, di tale convenzione prevede che «[u]n trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo», il suo paragrafo 3, lettera b), prescrive che «[s]i terrà conto, oltre che del contesto (…) di qualsiasi prassi successivamente seguita nell’applicazione del trattato attraverso la quale si sia formato un accordo delle parti in materia di interpretazione del medesimo».


48 – Punto 61 (il corsivo è mio). Il tempio di Préah Vihéar si eleva sul promontorio omonimo situato nella parte orientale della catena dei Dangrek, che delimita la frontiera fra il Regno di Cambogia a sud e il Regno di Tailandia a nord. Nel 1904, la Repubblica francese, della quale il Regno di Cambogia era all’epoca un protettorato, e il Regno del Siam (ex denominazione del Regno di Tailandia), hanno sottoscritto una convenzione che prevedeva la creazione di una commissione mista incaricata di procedere alla delimitazione della frontiera fra i due territori. Secondo tale convenzione, la frontiera seguirebbe la linea di divisione delle acque fra i bacini del Nam Sen e del Mekong. Nonostante il fatto che, secondo tale disposizione, detto tempio si trovi nel territorio tailandese, la commissione mista lo ha collocato nel territorio cambogiano. Dopo l’acquisto dell’indipendenza del Regno di Cambogia, il Regno di Tailandia ha occupato detto tempio nel 1954.


49 – V., ad esempio, Crawford, J., Brownlie’s Principles of Public International Law, 8° ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, pagg. da 419 a 421. Sebbene la commissione mista avesse collocato detto tempio nel territorio cambogiano, il Regno di Tailandia non ha mai protestato contro la mappa prodotta da tale commissione, sottopostale dal governo francese. In assenza della minima protesta da parte del Regno di Tailandia, la Corte internazionale di giustizia ha statuito che questi l’aveva tacitamente accettata, e che non gli era possibile contestare la sovranità cambogiana su detto tempio. V., in tal senso, pagg. 22, 23 e da 25 a 35 di tale sentenza.


50 – V. decisione del 14 gennaio 2003 del tribunale arbitrale costituito dal governo della Repubblica francese e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco) sulla questione del regime fiscale delle pensioni versate ai funzionari in pensione dell’Unesco residenti in Francia, Recueil des sentences arbitrales, vol. XXV (2003), pag. 233, punto 74. Il corsivo è mio.


51 – V., in tal senso, paragrafi da 63 a 66 delle presenti conclusioni.


52 – Tale sentenza relativa all’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e lo Stato di Israele, dall’altra, firmato a Bruxelles il 20 novembre 1995 (GU 2000, L 147, pag. 3; in prosieguo: l’«accordo di associazione UE-Israele»), riguardava l’esportazione verso l’Unione di prodotti fabbricati in Cisgiordania.


53 – Infatti, come dichiarato dalla Corte internazionale di giustizia al punto 78 del suo parere consultivo del 9 luglio 2004 sulle conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, CIJ, Recueil 2004, pag. 136: «[i] territori situati fra la Linea verde (…) e l’antica frontiera orientale della Palestina sotto mandato sono stati occupati da Israele nel 1967 nel corso del conflitto armato che ha opposto Israele alla Giordania. Secondo il diritto internazionale consuetudinario, si trattava quindi di territori occupati nei quali Israele rivestiva la qualità di potenza occupante. Gli avvenimenti successivamente accaduti in tali territori (…) non hanno per nulla modificato tale situazione. L’insieme di questi territori (ivi compresa Gerusalemme Est) restano territori occupati e Israele vi ha mantenuto la qualità di potenza occupante».


54 – Punto 96 della sentenza impugnata, che rimanda ai punti da 44 a 53 della sentenza del 25 febbraio 2010, Brita (C‑386/08, EU:C:2010:91).


55 – Punto 101 della sentenza impugnata.


56 – Punto 102 della sentenza impugnata.


57 – Il corsivo è mio. È noto che il Tribunale ha utilizzato il termine «si applica» al posto dei termini «è applicato», il che, leggendo i punti, sembrerebbe essere la sua tesi.


58 – V. sentenze dell’8 ottobre 1974, Union syndicale – Service public européen e a./Consiglio (175/73, EU:C:1974:95); dell’8 ottobre 1974, Syndicat général du personnel des organismes européens/Commissione (18/74, EU:C:1974:96); del 28 ottobre 1982, Groupement des Agences de voyages/Commissione (135/81, EU:C:1982:371), e del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio (C‑229/05 P, EU:C:2007:32), nonché ordinanza del 14 novembre 1963, Lassalle/Parlamento (15/63, EU:C:1963:47).


59 – La prima condizione esige che l’entità in questione disponga di uno statuto e di una struttura interna tali da garantirgli l’autonomia necessaria per agire come entità responsabile nell’ambito dei rapporti giuridici (v. punti 53 e 54 della sentenza impugnata).


60 – Punto 49 della sentenza impugnata.


61 –       Il corsivo è mio.


62 –       V. la nota 58 delle presenti conclusioni.


63 – Punto 112.


64 – V., in tal senso, le risoluzioni del Parlamento europeo menzionate al punto 37 della sentenza impugnata, nonché le risoluzioni dell’Assemblea paritetica Africa‑Caraibi‑Pacifico (ACP)‑UE citate alla nota a piè di pagina 79 della comparsa di risposta del Front Polisario.


65 – Il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali è definito come «il diritto dei popoli e delle nazioni di usare e disporre delle risorse naturali racchiuse dai loro territori per assicurare il loro sviluppo e il loro benessere» [lettera del 29 gennaio 2002, indirizzata al presidente del Consiglio di sicurezza dal segretario generale aggiunto agli affari giuridici, consigliere giuridico (S/2002/161), punto 14]. Al punto 244 della sua sentenza del 19 dicembre 2005 nella causa relativa alle Attività militari sul territorio del Congo (Repubblica democratica del Congo c. Uganda), CIJ, Recueil 2005, pag. 168, la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato che tale principio rivestiva il carattere di un principio di diritto internazionale consuetudinario.


66 – V., in tal senso, la lettera datata 29 gennaio 2002, indirizzata al presidente del Consiglio di sicurezza dal segretario generale aggiunto agli affari giuridici, consigliere giuridico (S/2002/161), punto 24: «se le risorse dei territori non autonomi vengono sfruttate a beneficio dei popoli di tali territori, in loro nome o in consultazione con i loro rappresentanti, tale sfruttamento viene considerato compatibile con gli obblighi incombenti alle potenze amministratrici ai sensi della Carta e conforme alle risoluzioni dell’Assemblea generale, nonché al principio della “sovranità permanente sulle risorse naturali” ivi sancito».


67 – Parere consultivo del 9 luglio 2004 sulle conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punto 41.


68 – Ad esempio, la Repubblica del Benin, la Repubblica dello Yemen, la Repubblica algerina democratica e popolare, la Repubblica di Capo Verde, la Repubblica democratica popolare del Laos, Grenada, la Repubblica tunisina, la Repubblica islamica dell’Iran e la Repubblica di Zambia.


69 – V. risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU sulla questione del Sahara occidentale del 21 novembre 1979 (A/RES/34/37), punto 7, e dell’11 novembre 1980 (A/RES/35/19), punto 10.


70 – V., ad esempio, l’accordo mauritano-saharawi, firmato ad Algeri il 10 agosto 1979 fra la Repubblica islamica di Mauritania e il Front Polisario, l’accordo di compromesso fra il Regno del Marocco e il Front Polisario sulle questioni in sospeso relative all’identificazione, firmato a Londra il 19 e il 20 luglio 1997, e l’accordo di compromesso fra il Regno del Marocco e il Front Polisario sull’utilizzazione delle truppe, i prigionieri di guerra e i prigionieri o detenuti politici, firmato a Lisbona il 29 agosto 1997.


71 – V. sentenze del 30 aprile 1974, Haegeman (181/73, EU:C:1974:41, punto 5); del 30 settembre 1987, Demirel (12/86, EU:C:1987:400, punto 7); del 15 giugno 1999, Andersson e Wåkerås‑Andersson (C‑321/97, EU:C:1999:307, punto 25); del 23 settembre 2003, Ospelt e Schlössle Weissenberg (C‑452/01, EU:C:2003:493, punto 27); del 10 gennaio 2006, IATA e ELFAA (C‑344/04, EU:C:2006:10, punto 36), nonché del 28 ottobre 2010, Établissements Rimbaud (C‑72/09, EU:C:2010:645, punto 19).


72 – GU 2012, L 247, pag. 7.


73 – Sentenza del 13 febbraio 2014, Ungheria/Commissione (C‑31/13 P, EU:C:2014:70, punto 54 e la giurisprudenza ivi citata).


74 – V. sentenza del 9 agosto 1994, Francia/Commissione (C‑327/91, EU:C:1994:305, punto 15).


75 – Sentenza del 9 agosto 1994, Francia/Commissione (C‑327/91, EU:C:1994:305, punto 16).


76 – In relazione alla nozione di effetto diretto, la Corte ha dichiarato, al punto 54 della sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), che, affinché le disposizioni di un trattato invocate ai fini dell’esame della validità di un atto di diritto dell’Unione siano applicabili, è necessario che esse «appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise». Al punto 55 di tale sentenza, la Corte ha precisato che «[t]ale condizione risulta soddisfatta allorché la norma invocata stabilisce un obbligo chiaro e preciso che non è subordinato, quanto alla sua esecuzione o ai suoi effetti, all’intervento di alcun atto ulteriore», il che corrisponde all’assenza di norme intermedie richiesta dal secondo criterio della nozione di incidenza diretta.


77 – CIJ, Recueil, pag. 12.


78 – V. punti 98 e da 108 a 128.


79 – Il corsivo è mio.


80 – Si tratta di due trattati e di un accordo conclusi rispettivamente con il Regno di Spagna nel 1767, nel 1861 e nel 1900, di un trattato concluso nel 1836 con gli Stati Uniti d’America e di due trattati conclusi con il Regno Unito nel 1856 e nel 1895.


81 – Si tratta dell’articolo 8 del trattato di Tetuan del 1860 che ha posto fine alla prima guerra del Marocco (1859-1860).


82 – In relazione all’inviolabilità del diritto all’autodeterminazione al contempo quale norma imperativa del diritto internazionale (ius cogens) e obbligo erga omnes che tutti i suoi attori, e segnatamente gli Stati e le organizzazioni internazionali, devono rispettare in qualsiasi circostanza, v. paragrafo 259 delle presenti conclusioni e la giurisprudenza ivi citata.


83 – Il diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione è stato recentemente confermato dal Consiglio di sicurezza: v. risoluzione 2285 (2016) del 29 aprile 2016 (S/RES/2285).


84 – V. risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU A/RES/34/37, punto 7, e A/RES/35/19, punto 10.


85 – V. punto 8 del suo controricorso.


86 – «I Membri delle Nazioni Unite, i quali abbiano od assumano la responsabilità' dell’amministrazione di territori la cui popolazione non abbia ancora raggiunto una piena autonomia (…) accettano come sacra missione l’obbligo di promuovere al massimo (…) il benessere degli abitanti [del Sahara occidentale] e, a tal fine: (…) di assicurare (…) la loro protezione contro gli abusi [e] di sviluppare l’autogoverno delle popolazioni, di prenderne in debita considerazione le aspirazioni politiche e di assisterle nel progressivo sviluppo delle loro libere istituzioni politiche». Il corsivo è mio.


87 – V. elenco allegato alla relazione del 1o febbraio 2016 del Segretario generale dell’ONU sulle «Informazioni relative ai territori comunicate in applicazione del comma e) dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite» (A/71/68).


88 – V. ordinanza n. 40/2014 del 4 luglio 2014, dell’Audencia Nacional, sala de lo penal, pleno (Corte centrale, sezione penale, adunanza plenaria), nel procedimento ordinario n. 80/2013, disponibile sul sito Internet http://www.ligaproderechoshumanos.org/documentos/20140710_sala_penal_audiencia_nacional.pdf.


89 –       Idem.


90 – Punto 105 della sentenza impugnata. Il corsivo è mio.


91 – GU 2001, L 109, pag. 2.


92 – Si tratta essenzialmente dei pomodori, degli agli, dei cetrioli, delle zucchine, delle clementine, delle fragole e del fruttosio chimicamente puro (v. articolo 1 del regolamento di esecuzione n. 812/2012 e suo allegato).


93 – Si tratta delle sentenze del 2 febbraio 1988, Kwekerij van der Kooy e a./Commissione (67/85, 68/85 e 70/85, EU:C:1988:38); del 24 marzo 1993, CIRFS e a./Commissione (C‑313/90, EU:C:1993:111), nonché del 9 luglio 2009, 3F/Commissione (C‑319/07 P, EU:C:2009:435).


94 – La causa sfociata in tale sentenza riguardava il ricorso di annullamento avverso due regolamenti con i quali la Commissione ha posto fine ad un regime favorevole di importazione di riso dei paesi e territori d’oltremare (PTOM).


95 – V. risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU del 21 novembre 1979, A/RES/34/37, punto 7, e dell’11 novembre 1980, A/RES/35/19, punto 10.


96 – V. Corte EDU, 8 luglio 2003, Hatton e a. c. Regno Unito (CE:ECHR:2003:0708JUD00360229710, § 128), nonché 10 novembre 2004, Taşkin e a. c. Turchia (CE:ECHR:2004:1110JUD004611799, § 119).


97 – Sentenza del 1o marzo 2016, National Iranian Oil Company/Consiglio (C‑440/14 P, EU:C:2016:128, punto 77). V. parimenti, in tal senso, sentenze del 10 gennaio 2006, IATA e ELFAA (C‑344/04, EU:C:2006:10, punto 80); del 1o febbraio 2007, Sison/Consiglio (C‑266/05 P, EU:C:2007:75, punto 33); del 16 dicembre 2008, Arcelor Atlantique e Lorraine e a. (C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 57); dell’8 giugno 2010, Vodafone e a. (C‑58/08, EU:C:2010:321, punto 52); del 17 ottobre 2013, Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:661, punto 47), nonché del 28 novembre 2013, Consiglio/Manufacturing Support & Procurement Kala Naft (C‑348/12 P, EU:C:2013:776).


98 – V. sentenze del 10 marzo 1998, Germania/Consiglio (C‑122/95, EU:C:1998:94, punti 77 e 79), nonché del 6 luglio 1995, Odigitria/Consiglio e Commissione (T‑572/93, EU:T:1995:131, punto 38).


99 – Si tratta delle sentenze del 21 novembre 1991, Technische Universität München (C‑269/90, EU:C:1991:438, punto 14) e del 22 dicembre 2010, Gowan Comércio Internacional e Serviços (C‑77/09, EU:C:2010:803, punto 57).


100 – Nell’ambito di questo tipo di procedimento, l’obbligo di esame preliminare di tutti gli elementi rilevanti, obbligo che può essere ricollegato al principio di buona amministrazione [v. sentenze del 29 marzo 2012, Commissione/Estonia, C‑505/09 P, EU:C:2012:179, punto 95, e del 7 aprile 2016, Holcim (Romania)/Commissione, C‑556/14 P, EU:C:2016:207, punto 80], costituisce una garanzia procedurale assicurata alle persone interessate dalla decisione che l’istituzione intendere adottare per controbilanciare l’ampio potere discrezionale di cui essa gode nel settore in questione.


101 – V., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 114).


102 – V. sentenze del 7 settembre 2006, Spagna/Consiglio (C‑310/04, EU:C:2006:521, punti da 120 a 123); del 16 dicembre 2008, Arcelor Atlantique e Lorraine e a. (C‑127/07, EU:C:2008:728, punti da 57 a 59); dell’8 luglio 2010, Afton Chemical (C‑343/09, EU:C:2010:419, punti 33 e 34), nonché del 17 ottobre 2013, Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:661, punti da 48 a 50).


103 – V. sentenze del 7 settembre 2006, Spagna/Consiglio (C‑310/04, EU:C:2006:521, punti 122, 133 e 134), nonché dell’8 luglio 2010, Afton Chemical (C‑343/09, EU:C:2010:419, punto 34).


104 – V. sentenze del 7 settembre 2006, Spagna/Consiglio (C‑310/04, EU:C:2006:521, punto 99); del 16 dicembre 2008, Arcelor Atlantique e Lorraine e a. (C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 59); del 17 ottobre 2013 Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:661, punti da 48 a 51), nonché del 1o marzo 2016, National Iranian Oil Company/Consiglio (C‑440/14 P, EU:C:2016:128, punti da 77 a 88).


105 – Sentenza Spagna e Italia/Consiglio (C‑274/11 e C‑295/11, EU:C:2013:240, punto 54).


106 – V. punto 55 della sentenza del 24 giugno 2014, Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025), in cui la Corte ha dichiarato, in relazione all’articolo 218, paragrafo 6, secondo comma, lettera a), v), TFUE, che «da un lato, il Trattato di Lisbona ha imposto l’approvazione del Parlamento in riferimento alla conclusione di un accordo internazionale proprio per gli accordi attinenti a settori ai quali, sul piano interno, si applica la procedura legislativa ordinaria, prevista dall’articolo 294 TFUE, o la procedura legislativa speciale, ma solo quando questa esiga l’approvazione del Parlamento».


107 – Contrariamente a quanto asserito dalla Commissione, nessuna delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza citate nella presente causa menziona che esso è investito della questione del Sahara occidentale in forza del capo VII della Carta delle Nazioni Unite, intitolato «Azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace e agli atti di aggressione», circostanza confermata dal consigliere giuridico dell’ONU, il quale osserva che il Consiglio di sicurezza non è investito della questione dell’eventuale violazione del principio di sovranità permanente del popolo del Sahara occidentale sulle risorse naturali di quest’ultimo [v. lettera datata 29 gennaio 2002, indirizzata al presidente del Consiglio di sicurezza dal segretario generale aggiunto agli affari giuridici, consigliere giuridico (S/2002/161), punto 13].


108 – V. punto 226 della sentenza impugnata.


109 – V. punto 225 della sentenza impugnata.


110 – La questione se il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nell’affermare la rilevanza di queste due questioni forma l’oggetto del quinto motivo.


111 – Si tratta della sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 107), in cui la Corte ha dichiarato che «i principi di diritto internazionale consuetudinario (…) possono essere invocati da un singolo ai fini dell’esame, da parte della Corte, della validità di un atto dell’Unione se e in quanto, da un lato, essi siano idonei a mettere in discussione la competenza dell’Unione ad adottare tale atto (…) e, dall’altro, l’atto in questione possa incidere su diritti attribuiti al singolo dal diritto dell’Unione oppure far sorgere in capo a tale singolo obblighi correlati al diritto dell’Unione stesso».


112 – Punto 244 della sentenza impugnata.


113 – V., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2006, Spagna/Consiglio (C‑310/04, EU:C:2006:521, punti 99, 120 e 122).


114 – V. punti 147, 166, 172, 199 e 211 della sentenza impugnata.


115 – Si tratta della decisione 2014/198/PESC del Consiglio, del 10 marzo 2014, relativa alla firma e alla conclusione dell’accordo tra l’Unione europea e la Repubblica unita della Tanzania sulle condizioni del trasferimento delle persone sospettate di atti di pirateria e dei relativi beni sequestrati da parte della forza navale diretta dall’Unione europea alla Repubblica unita della Tanzania (GU 2014, L 108, pag. 1).


116 – Sentenze del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 101), nonché del 14 giugno 2016, Parlamento/Consiglio (C‑263/14, EU:C:2016:435, punto 47).


117 – V. sentenze del 24 novembre 1992, Poulsen e Diva Navigation (C‑286/90, EU:C:1992:453, punto 9); del 16 giugno 1998, Racke (C‑162/96, EU:C:1998:293, punto 45), nonché del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 291).


118 – Parere consultivo del 9 luglio 2004 sulle conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punto 155. V. parimenti, in tal senso, sentenza del 5 febbraio 1970 nella causa Barcelona Traction, Light and Power Company, Limited (Belgio c. Spagna), CIJ, Recueil 1970, pag. 3, punto 33.


119 – Parere consultivo del 9 luglio 2004 sulle conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punto 159.


120 – Secondo l’articolo 53 della convenzione di Vienna, «una norma imperativa del diritto internazionale generale [(jus cogens)] e' una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati nel suo complesso come norma alla quale non e' consentita alcuna deroga e che può' essere modificata soltanto da un’altra norma del diritto internazionale generale avente lo stesso carattere».


121 – Le norme riconosciute come norme imperative del diritto internazionale generale coincidono con quelle riconosciute come obblighi erga omnes. V. Crawford, J., op. cit., pag. 595.


122 – Sentenza della Corte internazionale di giustizia del 5 febbraio 1970 nella causa Barcelona Traction, Light and Power Company, Limited (Belgio c. Spagna), CIJ Recueil 1970, pag. 3, punto 34. Il corsivo è mio


123 – V. sentenze della Corte internazionale di giustizia del 30 giugno 1995, Timor-Oriental (Portogallo c. Australia), CIJ, Recueil 1995, pag. 90, punto 29, e del 3 febbraio 2006 nella causa sulle Attività militari nel territorio del Congo (nuovo ricorso: 2002) (Repubblica democratica del Congo c. Ruanda), CIJ, Recueil 2006, pag. 6, punto 64, nonché parere consultivo del 9 luglio 2004 sulle conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punto 155. V., parimenti, relazione del gruppo di studio della Commissione di diritto internazionale dell’ONU, intitolata «Frammentazione del diritto internazionale: difficoltà risultanti dalla diversificazione e dall’espansione del diritto internazionale», A/CN.4/L.702, 18 luglio 2006, punto 33.


124 – V., ad esempio, relazione del 19 aprile 2016 del Segretario generale dell’ONU sulla situazione concernente il Sahara occidentale, S/2016/355, punti da 54 a 82.


125 – V. conclusioni del Consiglio del 25 giugno 2012 sui diritti umani e la democrazia, il quadro strategico dell’UE in materia di diritti umani e di democrazia, nonché il piano d’azione dell’UE sui diritti umani e la democrazia, 11855/12, allegato III, sub I.1, pag. 11. V. parimenti, in tal senso, comunicazione congiunta della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 28 aprile 2015 [JOIN(2015) 16 final, pag. 24].


126 – La decisione è disponibile unicamente in lingua inglese sul sito Internet del Mediatore europeo (http://www.ombudsman.europa.eu/cases/decision.faces/en/64308/html.bookmark).


127 – La Commissione sostiene, al punto 70 della sua comparsa di risposta, che il Tribunale non spiega sotto quale profilo i diritti dell’uomo sarebbero tutelati in maniera più efficace nella controparte dell’accordo se l’Unione si rifiutasse di concludere l’accordo. Orbene, il Tribunale ha addebitato al Consiglio non di non essersi rifiutato di concludere l’accordo di liberalizzazione con il Regno del Marocco, ma semplicemente di non avere preso in considerazione la situazione generale dei diritti dell’uomo in tale paese e l’impatto che detto accordo potrebbe avere sui diritti dell’uomo (nell’Unione e in Marocco). Nulla, nel ragionamento del Tribunale, esclude la possibilità che il Consiglio, dopo aver effettuato tale analisi, decidesse di concludere l’accordo in questione.


128 – V., per analogia, Corte EDU, 23 marzo1995, Loizidou/Turchia (eccezioni preliminari) (CE:ECHR:1995:0323JUD001531889), che riguardava atti di uno Stato posti in essere all’interno dello spazio giuridico della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), ma al di fuori del proprio territorio; 7 luglio 2011, Al-Skeini e altri/Regno Unito (CE:ECHR:2011:0707JUD005572107), nonché 7 luglio 2011, Al-Jedda/Regno Unito (CE:ECHR:2011:0707JUD002702108), che riguardavano atti di uno Stato commessi in un territorio al di fuori dello spazio della CEDU. È parimenti possibile che un effetto extraterritoriale contrario alla CEDU venga prodotto da un atto di uno Stato commesso sul proprio territorio [v. Corte EDU, 7 luglio 1989, Soering/Regno Unito (CE:ECHR:1989:0707JUD001403888)].


129 – V. sentenza del 9 settembre 2008, FIAMM e a./Consiglio e Commissione (C‑120/06 P e C‑121/06 P, EU:C:2008:476, punto 187 e la giurisprudenza ivi citata).


130 – V. paragrafi da 254 a 258 delle presenti conclusioni.


131 – A tal riguardo, esso poteva ricorrere ai diritti riconosciuti e protetti dal patto internazionale sui diritti civili e politici, firmato a New York (Stati Uniti d’America) il 16 dicembre 1966, e al quale aderiscono attualmente 168 dei 193 Stati membri dell’ONU, fra cui tutti gli Stati membri dell’Unione e il Regno del Marocco.


132 – V. paragrafi 257 e 258 delle presenti conclusioni. V. parimenti, in tal senso, Crawford, J., op. cit., pagg. da 589 a 600 e da 642 a 644.


133 –       V. paragrafo 234 delle presenti conclusioni.


134 – Per quanto riguarda i trattati internazionali, v. sentenze del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punti da 51 a 55) e del 16 luglio 2015, Commissione/Rusal Armenal (C‑21/14 P, EU:C:2015:494, punto 37). Per quanto riguarda il diritto internazionale consuetudinario, v. sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punti 107 e 110).


135 – V. sentenze del 24 novembre 1992, Poulsen e Diva Navigation (C‑286/90, EU:C:1992:453, punto 9); del 16 giugno 1998, Racke (C‑162/96, EU:C:1998:293, punto 45), nonché del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 291).


136 – V. sentenza del 3 dicembre 1996, Portogallo/Consiglio (C‑268/94, EU:C:1996:461, punti 23 e 24).


137 – Secondo la Corte internazionale di giustizia, «il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali è stato sancito nella risoluzione 1803 (XVII) dell’Assemblea generale, in data 14 dicembre 1962, ed è stato poi sviluppato nella dichiarazione concernente l’instaurazione di un nuovo ordinamento economico internazionale [risoluzione 3201 (S.VI) dell’Assemblea generale, datata 1o maggio 1974], nonché nella Carta dei diritti e dei doveri economici degli Stati [risoluzione 3281 (XXIX) dell’Assemblea generale, datata 12 dicembre 1974]» [v. sentenza del 19 dicembre 2005 nella causa relativa alle Attività militari sul territorio del Congo (Repubblica democratica del Congo c. Uganda), CIJ, Recueil 2005, pag. 168, punto 244].


138 – V. sentenza del 19 dicembre 2005 nella causa relativa alle Attività militari sul territorio del Congo (Repubblica democratica del Congo c. Uganda), CIJ, Recueil 2005, pag. 168, punto 244.


139 – V., ad esempio, risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU 48/46 del 10 dicembre 1992, 49/40 del 9 dicembre 1994 e 50/33 del 6 dicembre 1995.


140 – V., ad esempio, risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU 50/33 del 6 dicembre 2005, 52/72 del 10 dicembre 1997, 53/61 del 3 dicembre 1998, 54/84 del 5 dicembre 1999, 55/138 dell’8 dicembre 2000 e 56/66 del 10 dicembre 2001.


141 – V. paragrafi da 257 a 259 delle presenti conclusioni.


142 – V. giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia citata al paragrafo 258 delle presenti conclusioni.


143 – Nel senso che il Tribunale ha statuito non che la decisione controversa era contraria ai diritti fondamentali e al diritto internazionale, ma che il Consiglio, prima dell’adozione della decisione controversa, aveva un obbligo di natura procedurale di esaminare la sua compatibilità con i diritti fondamentali e con il diritto internazionale.


144 – Sentenza Commissione/Consiglio (C‑425/13, EU:C:2015:483, punto 94 e la giurisprudenza ivi citata).