Language of document : ECLI:EU:C:2005:594

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

6 ottobre 2005 (*)

«Marchi – Direttiva 89/104/CEE – Art. 5, n. 1, lett. b) – Rischio di confusione – Uso del marchio ad opera di un terzo – Segno composto che comprende la denominazione del terzo seguita dal marchio»

Nel procedimento C-120/04,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dall’Oberlandesgericht Düsseldorf (Germania) con decisione 17 febbraio 2004, pervenuta in cancelleria il 5 marzo 2004, nella causa tra

Medion AG

e

Thomson multimedia Sales Germany & Austria GmbH,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg. C. Gulmann (relatore), R. Schintgen, G. Arestis e J. Klučka, giudici,

avvocato generale: sig. F.G. Jacobs

cancelliere: sig.ra K. Sztranc, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 14 aprile 2005,

viste le osservazioni presentate:

–       per la Medion AG, dal sig. P.-M. Weisse, Rechtsanwalt, e dal sig. T. Becker, Patentanwalt;

–       per la Thomson multimedia Sales Germany & Austria GmbH, dal sig. W. Kellenter, Rechtsanwalt;

–       per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. T. Jürgensen e N.B. Rasmussen, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 giugno 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       La domanda di pronuncia pregiudiziale ha ad oggetto l’interpretazione dell’art. 5, n. 1, lett. b), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»).

2       Tale domanda è stata formulata nell’ambito di una controversia tra la Medion AG (in prosieguo: la «Medion») e la Thomson multimedia Sales Germany & Austria GmbH (in prosieguo: la «Thomson») in merito all’utilizzo da parte della Thomson, nel segno composto «THOMSON LIFE», del marchio registrato LIFE, di cui è titolare la Medion.

 Contesto normativo

3       Il decimo ‘considerando’ della direttiva, relativo alla tutela accordata dal marchio, prevede quanto segue:

«(...) la tutela che è accordata dal marchio di impresa registrato e che mira in particolare a garantire la funzione d’origine del marchio di impresa, è assoluta in caso di identità tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi; (...) la tutela è accordata anche in caso di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi; (...) è indispensabile interpretare la nozione di somiglianza in relazione al rischio di confusione; (...) il rischio di confusione, la cui valutazione dipende da numerosi fattori, e segnatamente dalla notorietà del marchio di impresa sul mercato, dall’associazione che può essere fatta tra il marchio di impresa e il segno usato o registrato, dal grado di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi designati, costituisce la condizione specifica della tutela (...)».

4       L’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva è così formulato:

«Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

(...)

b)      un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa».

5       La citata disposizione è stata trasposta nel diritto tedesco con l’art. 14, n. 2, punto 2, della legge sulla tutela dei marchi e degli altri segni distintivi (Markengesetz) del 25 ottobre 1994 (BGBl. 1994 I, pag. 3082).

 Causa principale e questione pregiudiziale

6       La Medion è titolare, in Germania, del marchio LIFE, registrato il 29 agosto 1998, per apparecchi elettronici per il tempo libero. Essa realizza un fatturato annuo pari a svariati miliardi di euro nell’ambito della produzione e della commercializzazione di prodotti di tal genere.

7       La Thomson fa parte di uno dei principali gruppi mondiali nel settore dell’elettronica del tempo libero. Essa commercializza taluni dei suoi prodotti utilizzando la denominazione «THOMSON LIFE».

8       Nel luglio 2002 la Medion ha introdotto presso il Landgericht Düsseldorf un ricorso per violazione del diritto dei marchi. Essa ha chiesto a tale giurisdizione di vietare alla Thomson l’utilizzo del segno «THOMSON LIFE» per designare taluni apparecchi elettronici per il tempo libero.

9       Il Landgericht Düsseldorf ha respinto il ricorso di cui sopra, ritenendo che non sussistesse alcun rischio di confusione con il marchio LIFE.

10     La Medion ha interposto appello dinanzi all’Oberlandesgericht Düsseldorf. Essa chiede a tale giurisdizione di vietare alla Thomson l’utilizzo del segno «THOMSON LIFE» per televisori, radioregistratori, lettori CD e apparecchiature hi-fi.

11     Il giudice del rinvio rileva che ai fini della soluzione della controversia è necessario verificare se vi sia un rischio di confusione, ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva, tra il marchio LIFE e il segno composto «THOMSON LIFE».

12     Esso afferma che, secondo l’attuale giurisprudenza del Bundesgerichtshof, ispirata ad una teoria denominata «Prägetheorie» (teoria dell’impressione prodotta), per valutare la somiglianza del segno contestato è necessario basarsi sull’impressione complessiva prodotta dai due segni e verificare se la parte identica caratterizzi il segno composto in misura tale da mettere significativamente in secondo piano gli altri elementi dal punto di vista della creazione dell’impressione complessiva. Non sarebbe ammissibile un rischio di confusione nel caso in cui l’elemento identico contribuisca solamente a creare l’impressione complessiva del segno. Sarebbe poco rilevante la posizione distintiva («kennzeichnende Stellung») autonoma conservata dal marchio riportato nell’ambito del segno composto.

13     Secondo l’Oberlandesgericht, nel settore dei prodotti oggetto della controversia sottopostagli vi è una prassi denominativa secondo cui viene messo in primo piano il nome del produttore. Più precisamente, nella causa principale, il nome del produttore «THOMSON» contribuirebbe in modo essenziale all’impressione complessiva generata dal segno «THOMSON LIFE». La normale capacità distintiva collegata all’elemento «LIFE» non basterebbe a escludere che il nome del produttore «THOMSON» contribuisca a produrre l’impressione complessiva del segno.

14     Il giudice del rinvio rileva, tuttavia, che la giurisprudenza attuale del Bundesgerichtshof è controversa. Una parte della dottrina sosterrebbe una diversa tesi. Essa sarebbe conforme, del resto, alla precedente giurisprudenza dello stesso Bundesgerichtshof, secondo cui dovrebbe ammettersi l’esistenza di un rischio di confusione qualora la parte identica possieda una posizione distintiva autonoma nel segno in questione, non sia affievolita nell’ambito di quest’ultimo e non risulti posta in secondo piano al punto tale da rivelarsi inadatta a risvegliare il ricordo del marchio registrato.

15     L’Oberlandesgericht afferma che, qualora la tesi citata fosse applicata alla fattispecie di cui alla causa principale, si dovrebbe ammettere l’esistenza di un rischio di confusione, in quanto il marchio LIFE mantiene una posizione distintiva autonoma nell’ambito del segno «THOMSON LIFE».

16     Il giudice del rinvio si chiede in sostanza come sia possibile, applicando il criterio basato sull’impressione complessiva generata dai segni, evitare che un terzo si appropri di un marchio registrato aggiungendovi la denominazione della propria impresa.

17     In tale contesto, l’Oberlandesgericht Düsseldorf ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’art. 5, n. 1, seconda frase, lett. b), della [direttiva] debba essere interpretato nel senso che il pubblico rischia di confondersi tra due segni, in caso di identità dei prodotti o dei servizi da questi designati, anche qualora un marchio denominativo anteriore dotato di normale forza rappresentativa sia trasferito nel segno denominativo composto posteriore di un terzo oppure nel segno denominativo/figurativo di quest’ultimo caratterizzato da elementi nominativi, in modo da essere preceduto dal nome commerciale del terzo e da conservare nel segno composto, senza tuttavia avere carattere dominante, un’autonomia distintiva».

 Sulla questione pregiudiziale

18     Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva debba essere interpretato nel senso che può sussistere un rischio di confusione per il pubblico, in caso di identità dei prodotti o dei servizi, quando il segno controverso è costituito dalla giustapposizione, da un lato, della denominazione dell’impresa del terzo e, dall’altro, del marchio registrato, dotato di una normale capacità distintiva, e quando questo, pur senza determinare da solo l’impressione complessiva del segno composto, conserva nell’ambito di quest’ultimo una posizione distintiva autonoma.

 Osservazioni presentate alla Corte

19     La Medion e la Commissione delle Comunità europee propongono di risolvere in senso affermativo la questione proposta.

20     La Medion contesta la «Prägetheorie». Questa consentirebbe di usurpare un marchio registrato aggiungendovi semplicemente il nome di un produttore. Un simile uso del marchio comprometterebbe la funzione di indicazione dell’origine dei prodotti.

21     La Commissione sostiene che, nelle circostanze di cui alla causa principale, i due termini utilizzati nel segno composto sono equivalenti. Il termine «LIFE» non avrebbe un ruolo totalmente subordinato. Poiché quindi la denominazione «THOMSON» non determinerebbe da sola l’impressione complessiva, il segno composto e il marchio registrato sarebbero simili ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva. Potrebbe quindi ammettersi l’esistenza di un rischio di confusione, tanto più che le due imprese offrono prodotti identici.

22     La Thomson propone di risolvere in senso negativo la questione sottoposta. Essa sostiene un’interpretazione della direttiva in senso conforme alla «Prägetheorie». Il segno controverso di cui alla causa principale non sarebbe confondibile con il marchio della Medion, poiché contiene l’elemento «THOMSON», nome del produttore, il quale presenta la stessa rilevanza dell’altro elemento che lo compone. Il termine «LIFE» servirebbe semplicemente a designare taluni prodotti della gamma commercializzata. In ogni caso, sarebbe da escludersi che l’elemento «LIFE» sia dominante nell’ambito dell’impressione complessiva prodotta dalla denominazione «THOMSON LIFE».

 Risposta della Corte

23     La funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato consentendo loro di distinguere senza confusione possibile questo prodotto o servizio da quelli di provenienza diversa (v., segnatamente, sentenze 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon, Racc. pag. I-5507, punto 28, e 29 aprile 2004, causa C-371/02, Björnekulla Fruktindustrier, Racc. pag. I‑5791, punto 20).

24     Il decimo ‘considerando’ della direttiva sottolinea che la tutela accordata dal marchio di impresa registrato mira a garantire la funzione d’origine del marchio di impresa e che in caso di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi il rischio di confusione rappresenta la condizione specifica della tutela.

25     L’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva è destinato ad applicarsi solo se, a causa dell’identità o della somiglianza dei marchi e dei prodotti o servizi designati, sussista un rischio di confusione per il pubblico.

26     Costituisce un rischio di confusione ai sensi della disposizione citata il rischio che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi di cui trattasi provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente collegate (v., segnatamente, sentenza 22 giugno 1999, causa C-342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I-3819, punto 17).

27     L’esistenza di un rischio di confusione nella mente del pubblico deve essere oggetto di valutazione globale, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie [v. sentenze 11 novembre 1997, causa C‑251/95, SABEL, Racc. pag. I-6191, punto 22; Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 18, e 22 giugno 2000, causa C-425/98, Marca Mode, Racc. pag. I-4861, punto 40, nonché, per quanto riguarda l’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), redatto in termini sostanzialmente identici a quelli dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva, ordinanza 28 aprile 2004, causa C‑3/03 P, Matratzen Concord/UAMI, Racc. pag. I‑3657, punto 28].

28     La valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi. La percezione dei marchi operata dal consumatore medio dei prodotti o servizi di cui trattasi svolge un ruolo determinante nella valutazione globale del detto rischio. Orbene, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi (v., segnatamente, citate sentenze SABEL, punto 23, Lloyd Schuhfabrik Meyer, punto 25, nonché ordinanza Matratzen Concord/UAMI, cit., punto 32).

29     Nel verificare l’esistenza di un rischio di confusione, la valutazione della somiglianza tra due marchi non significa prendere in considerazione solo una componente di un marchio complesso e paragonarla con un altro marchio. Occorre invece operare il confronto esaminando i marchi di cui trattasi, considerati ciascuno nel suo complesso, il che non esclude che l’impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico pertinente da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti (v. ordinanza Matratzen Concord/UAMI, cit., punto 29).

30     Tuttavia, al di là del caso normale in cui il consumatore medio percepisce un marchio nella sua globalità, e nonostante che uno o più componenti di un marchio complesso possano risultare dominanti nell’impressione complessiva, non può in alcun modo escludersi che, in un caso particolare, un marchio anteriore, utilizzato da un terzo nell’ambito di un segno composto che comprende la denominazione dell’impresa del terzo stesso, conservi una posizione distintiva autonoma nel segno composto, pur senza costituirne l’elemento dominante.

31     In una simile ipotesi, l’impressione complessiva prodotta dal segno composto può indurre il pubblico a ritenere che i prodotti o i servizi in questione provengano, quantomeno, da imprese economicamente collegate, nel qual caso deve ammettersi l’esistenza di un rischio di confusione.

32     L’accertamento dell’esistenza di un rischio di confusione non può essere subordinato alla condizione che, nell’impressione complessiva generata dal segno composto, risulti dominante quella parte dello stesso che è costituita dal marchio anteriore.

33     Se si applicasse una simile condizione, il titolare del marchio anteriore sarebbe privato del diritto esclusivo conferito dall’art. 5, n. 1, della direttiva anche nel caso in cui tale marchio conservasse, nell’ambito del segno composto, una posizione distintiva autonoma, ma non dominante.

34     Ciò avverrebbe, ad esempio, nel caso in cui il titolare di un marchio rinomato utilizzasse un segno composto giustapponendo il marchio rinomato ed un marchio anteriore che non fosse a sua volta rinomato. Ciò avverrebbe del pari se il segno composto fosse costituito da tale marchio anteriore e da un nome commerciale rinomato. Infatti, l’impressione complessiva sarebbe, quasi sempre, dominata dal marchio rinomato o dal nome commerciale rinomato inserito nel segno composto.

35     Quindi, contrariamente all’intenzione del legislatore comunitario, espressa al decimo ‘considerando’ della direttiva, la tutela della funzione d’origine del marchio anteriore non risulterebbe garantita, nonostante il mantenimento, da parte del marchio stesso, di una posizione distintiva autonoma nell’ambito del segno composto.

36     Deve quindi ammettersi che, per accertare l’esistenza di un rischio di confusione, è sufficiente che, a causa della posizione distintiva autonoma conservata dal marchio anteriore, il pubblico attribuisca altresì al titolare di tale marchio l’origine dei prodotti o dei servizi contrassegnati dal segno composto.

37     Si deve pertanto risolvere la questione proposta nel senso che l’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva dev’essere interpretato nel senso che può sussistere un rischio di confusione per il pubblico, in caso di identità dei prodotti o dei servizi, quando il segno controverso è costituito dalla giustapposizione, da un lato, della denominazione dell’impresa del terzo e, dall’altro, del marchio registrato, dotato di normale capacità distintiva, e quando quest’ultimo, pur senza determinare da solo l’impressione complessiva del segno composto, conserva nell’ambito dello stesso una posizione distintiva autonoma.

 Sulle spese

38     Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

L’art. 5, n. 1, lett. b), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, dev’essere interpretato nel senso che può sussistere un rischio di confusione per il pubblico, in caso di identità dei prodotti o dei servizi, quando il segno controverso è costituito dalla giustapposizione, da un lato, della denominazione dell’impresa del terzo e, dall’altro, del marchio registrato, dotato di normale capacità distintiva, e quando quest’ultimo, pur senza determinare da solo l’impressione complessiva del segno composto, conserva nell’ambito dello stesso una posizione distintiva autonoma.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.