Language of document : ECLI:EU:T:1998:223

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

17 settembre 1998 (1)

«Ricorso d'annullamento — Importazioni di carne bovina di alta qualità (”bovini Hilton”) — Regolamento (CEE) n. 1430/79 — Art. 13 — Decisione della Commissione che nega lo sgravio dei dazi all'importazione — Diritti della difesa — Errore manifesto di valutazione»

Nella causa T-50/96,

Primex Produkte Import-Export GmbH & Co. KG, società di diritto tedesco, con sede in Bad Homburg (Germania),

Gebr. Kruse GmbH, società di diritto tedesco, con sede in Amburgo (Germania),

Interporc Im- und Export GmbH, società di diritto tedesco, con sede in Amburgo (Germania),

con l'avv. Georg M. Berrisch, dei fori di Amburgo e Bruxelles, con domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio dell'avv. Guy Harles, 8-10, rue Mathias Hardt,

ricorrenti,

sostenute da

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato inizialmente dalla signora Stephanie Ridley, del Treasury Solicitor's Department, in qualità di agente, e in seguito dal signor John E. Collins, dello stesso servizio, in qualità di agente, assistito dal signor David Anderson, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo presso la sede dell'ambasciata del Regno Unito, 14, boulevard Roosevelt,

interveniente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal signor Götz zur Hausen, consigliere giuridico, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro del servizio giuridico, Centre Wagner, Kirchberg,

convenuta,

avente ad oggetto il ricorso diretto all'annullamento della decisione della Commissione 26 gennaio 1996, documento K(96) 180 def., indirizzata alla Repubblica federale di Germania e relativa a una domanda di sgravio dei dazi all'importazione,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione),

composto dai signori B. Vesterdorf, presidente, R.M. Moura Ramos e P. Mengozzi, giudici,

cancelliere: A. Mair, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 31 marzo 1998,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Contesto normativo

1.
    L'art. 13, n. 1, del regolamento del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al rimborso o allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione (GU L 175,

pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 1430/79»), nella versione modificata dall'art. 1, n. 6, del regolamento del Consiglio 7 ottobre 1986, n. 3069 (GU L 286, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 3069/86») recita:

«Si può procedere al rimborso o allo sgravio dei diritti all'importazione in situazioni particolari (...) derivanti da circostanze che non implichino alcuna simulazione o negligenza manifesta da parte dell'interessato».

2.
    L'art. 4, n. 2, lett. c), del regolamento (CEE) della Commissione 12 dicembre 1986, n. 3799, che fissa le disposizioni d'applicazione degli artt. 4 bis, 6 bis, 11 bis e 13 del regolamento (CEE) n. 1430/79 (GU L 352, pag. 19; in prosieguo: il «regolamento n. 3799/86») considera come situazioni che non costituiscono di per se stesse situazione particolare derivante da circostanze che non implicano alcuna simulazione o negligenza manifesta da parte dell'interessato, ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79, «la presentazione in buona fede, per la concessione di un trattamento tariffario preferenziale a favore di merci dichiarate per la libera pratica, di documenti rivelatisi ad ulteriore esame falsi, falsificati o non validi per la concessione di tale trattamento tariffario preferenziale».

3.
    L'art. 5, n. 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, relativo al recupero a posteriori dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che non sono stati corrisposti dal debitore per le merci dichiarate per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento (GU L 197, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 1697/79»), stabilisce quanto segue:

«Le autorità competenti hanno la facoltà di non procedere al recupero a posteriori dell'importo dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione qualora tali dazi non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorità competenti medesime che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore, purché questi abbia, dal canto suo, agito in buona fede e osservato tutte le disposizioni previste, per la sua dichiarazione in dogana, della regolamentazione vigente».

4.
    Il 12 ottobre 1992 il Consiglio ha adottato il regolamento (CEE) n. 2913/92, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale»), entrato in vigore il 1° gennaio 1994. L'art. 251, n. 1, del codice doganale ha abrogato in particolare i regolamenti nn. 1430/79, 1697/79.

5.
    Il regolamento n. 3799/86 è stato abrogato dall'art. 913 del regolamento (CEE) della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, che stabilisce talune disposizioni d'applicazione del regolamento n. 2913/92 (GU L 253, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 2454/93»), con effetto dal 1° gennaio 1994, data d'entrata in vigore del regolamento n. 2454/93.

6.
    L'art. 907 di quest'ultimo regolamento stabilisce:

«Previa consultazione di un gruppo di esperti, composto di rappresentanti di tutti gli Stati membri riuniti nell'ambito del comitato per esaminare il caso in oggetto, la Commissione adotta una decisione che stabilisce che la situazione particolare esaminata giustifica la concessione del rimborso o dello sgravio oppure non la giustifica.

La decisione dev'essere presa entro sei mesi dalla data di ricezione, da parte della Commissione, della pratica di cui all'articolo 905, paragrafo 2. Quando la Commissione debba chiedere allo Stato membro elementi d'informazione complementari per poter deliberare, il termine di sei mesi è prorogato del tempo intercorrente tra la data di invio da parte della Commissione della richiesta di elementi di informazione complementari e la data in cui questi ultimi pervengono alla Commissione».

7.
    L'art. 909 dello stesso regolamento stabilisce che:

«Se la Commissione non ha adottato alcuna decisione nel termine di cui all'articolo 907 o non ha comunicato alcuna decisione allo Stato membro in causa nel termine di cui all'articolo 908, l'autorità doganale di decisione dà seguito favorevole alla domanda di rimborso o di sgravio».

8.
    L'art. 904 dello stesso regolamento stabilisce che:

«Non si procede (...) allo sgravio dei dazi all'importazione quando, secondo il caso, l'unico motivo a sostegno della domanda (...) di sgravio è costituito:

(...)

c) dalla presentazione, anche in buona fede, per la concessione di un trattamento tariffario preferenziale per merci dichiarate per la libera pratica, di documenti rivelatesi in un secondo tempo falsi, falsificati o non validi per la concessione di tale trattamento».

Fatti all'origine della controversia

9.
    Negli anni 1991 e 1992 le importazioni di carni bovine di alta qualità dall'Argentina erano, nell'ambito della Tariffa doganale comune [v. regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1987, n. 2658, relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica e alla Tariffa doganale comune (GU L 256, pag. 1), poi modificato], assoggettate a un dazio doganale del 20%.

10.
    In aggiunta a questo dazio doganale poteva essere applicato un prelievo all'importazione, il cui importo veniva regolarmente stabilito dalla Commissione conformemente all'art. 12 del regolamento (CEE) del Consiglio 27 giugno 1968, n. 805, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore della carne bovina

(GU L 148, pag. 24, come successivamente modificato). Al momento delle importazioni controverse, esso ammontava a 10 DM per kg.

11.
    Tuttavia, dal 1980 la Comunità aveva l'obbligo, contratto nell'ambito dell'Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (GATT), di aprire un contingente tariffario comunitario annuo esente da prelievo all'importazione di carne bovina proveniente, in particolare, dall'Argentina.

12.
    In conformità di quest'obbligo, il Consiglio, per gli anni 1991 e 1992, adottava i regolamenti (CEE) 20 dicembre 1990, n. 3840 (GU L 367, pag. 6), e 11 dicembre 1991, n. 3668 (GU L 349, pag. 3), relativi all'apertura di un contingente tariffario comunitario per le carni bovine di qualità pregiata (detta «Hilton Beef»), fresche, refrigerate o congelate, dei codici doganali NC 0201 e 0202, e per i prodotti dei codici NC 0206 10 95 e 0206 29 91 (in prosieguo: la «carne bovina Hilton»). Per la carne importata nell'ambito di questo contingente (in prosieguo: il «contingente Hilton»), doveva essere versato solo il dazio della Tariffa doganale comune vigente, fissato al 20% (art. 1, n. 2, di ciascuno dei detti regolamenti).

13.
    Per gli stessi due anni, il Consiglio adottava peraltro i regolamenti (CEE) 25 luglio 1991, n. 2329 (GU L 214, pag. 1), e 28 aprile 1992, n. 1158 (GU L 122, pag. 5), relativi all'apertura, a titolo autonomo di un contingente eccezionale di importazioni di carni bovine di qualità pregiata, fresche, refrigerate o congelate dei codici NC 0201 e 0202, come pure dei prodotti dei codici NC 0206 10 95 e 0206 29 91. In forza di questi regolamenti i quantitativi che potevano essere importati nell'ambito del contingente Hilton venivano aumentati.

14.
    Infine, per lo stesso periodo, la Commissione adottava il regolamento (CEE) 27 dicembre 1990, n. 3884, che stabilisce le modalità d'applicazione dei regimi di importazione istituiti dai regolamenti (CEE) n. 3840/90 e (CEE) n. 3841/90 del Consiglio nel settore delle carni bovine (GU L 367, pag. 129), e il regolamento (CEE) 18 dicembre 1991, n. 3743, che stabilisce le modalità d'applicazione dei regimi d'importazione istituiti dai regolamenti (CEE) n. 3668/91 e (CEE) n. 3669/91 del Consiglio nel settore delle carni bovine (GU L 352, pag. 36; in prosieguo: i «regolamenti d'applicazione»).

15.
    In base al contingente Hilton, taluni quantitativi di carne bovina Hilton provenienti dall'Argentina potevano quindi essere importati nella Comunità in esenzione da prelievo. La concessione di questo vantaggio era subordinata alla presentazione, al momento dell'importazione, di un certificato di autenticità rilasciato dall'ente competente del paese esportatore.

16.
    Fino a tutto il 1991 il rilascio dei certificati d'autenticità in Argentina era di competenza della «Junta Nacional de Carnes». A fine 1991 inizio 1992, il rilascio dei certificati d'autenticità veniva demandato alla «Secretaría de Agricultura,

Ganadería y Pesca». Solo gli esportatori di carne bovina riconosciuti dalle autorità argentine potevano ottenere certificati d'autenticità.

17.
    Dopo essere stata informata, nel 1993, del rischio di falsificazioni di certificati d'autenticità, la Commissione, in collaborazione con le autorità argentine, avviava indagini al riguardo.

18.
    Ripetutamente, funzionari della Commissione si recavano in Argentina per indagare sui fatti in collaborazione con funzionari nazionali.

19.
    Una prima missione si svolgeva dall'8 al 19 novembre 1993. Il risultato di questa missione era esposto in una relazione del 24 novembre 1993 (in prosieguo: la «relazione del 1993»), che confermava l'esistenza di irregolarità.

20.
    Secondo questa relazione, le autorità argentine si erano poste l'interrogativo riguardo ai motivi per i quali queste irregolarità non erano state scoperte al momento dell'importazione della carne bovina Hilton nella Comunità. Il punto 11 della relazione era così formulato: «(...) le autorità argentine hanno sottolineato che, da anni, esse trasmettono agli uffici competenti della Commissione (DG VI), con una certa regolarità, un elenco di tutti i certificati d'autenticità per la carne bovina Hilton rilasciati durante i dieci giorni precedenti, indicando taluni dati come l'esportatore argentino e il destinatario nella Comunità, il peso lordo e netto ecc. In base a tale elenco, sarebbe facilmente stato possibile, secondo i nostri interlocutori, raffrontare i dati con quelli indicati nei certificati presentati all'importazione dei prodotti in questione e identificare quelli che non corrispondevano coi dati risultanti dall'elenco».

21.
    Una seconda missione in Argentina aveva luogo dal 19 aprile al 6 maggio 1994. Secondo la relazione di questa missione, in data 17 agosto 1994 (in prosieguo: la «relazione di sintesi»), oltre 460 certificati d'autenticità argentini presentati nel 1991 e nel 1992 erano stati falsificati.

22.
    Le imprese ricorrenti, Primex Produkte Import-Export GmbH & Co. KG (in prosieguo: la «Primex»), Gebr. Kruse GmbH (in prosieguo: la «Gebr. Kruse») e Interporc Im- und Export GmbH (in prosieguo: la «Interporc»), sono società tedesche che si occupano in particolare di importazione di carni e di prodotti derivati della carne. Da vari anni importano anche carne nell'ambito del contingente Hilton.

23.
    Al momento dell'immissione in libera pratica nella Comunità della carne bovinaimportata dalle ricorrenti, veniva concessa loro un'esenzione dai prelievi, nell'ambito dei contingenti tariffari aperti, su presentazione dei certificati d'autenticità.

24.
    Dopo la scoperta delle falsificazioni di cui sopra, le autorità tedesche intimavano alle ricorrenti di versare a posteriori i dazi all'importazione. Tra il 3 marzo 1994 e

il 10 giugno 1994 venivano inviate ingiunzioni di pagamento, rispettivamente per 90 975,30 DM (Primex), 174 286,46 DM (Gebr. Kruse) e 99 966,63 DM (Interporc).

25.
    Con lettere 1° febbraio, 24 febbraio e 22 marzo 1995, le ricorrenti chiedevano alle autorità doganali tedesche uno sgravio dei dazi all'importazione (in prosieguo: le «domande di sgravio»), motivate in memorie del 6 aprile 1995. Ai sensi della normativa tedesca, esse richiedevano ed ottenevano del pari una proroga dei termini di pagamento.

26.
    Tali richieste venivano trasmesse al ministero federale delle Finanze. Quest'ultimo chiedeva alla Commissione di stabilire se fosse giustificata la concessione di uno sgravio dei dazi all'importazione a norma dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79. Le richieste venivano registrate dalla Commissione il 1° agosto (pratica REM 8/95, Primex) e, rispettivamente, il 21 agosto 1995 (pratiche REM 11/95, Gebr. Kruse, e REM 12/95, Interporc).

27.
    Il 4 dicembre 1995 un gruppo di esperti composto da rappresentanti di tutti gli Stati membri si riuniva per emettere un parere sulla fondatezza della richiesta di sgravio dei dazi all'importazione, conformemente all'art. 907 del regolamento n. 2454/93.

28.
    Con decisione 26 gennaio 1996, indirizzata alla Repubblica federale di Germania, la Commissione dichiarava che le domande di sgravio non erano giustificate (in prosieguo: la «decisione impugnata»). Alle ricorrenti veniva notificata il 7 febbraio 1996.

Procedimento e conclusioni delle parti

29.
    Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 12 aprile 1996, le ricorrenti hanno proposto un ricorso diretto all'annullamento della decisione impugnata.

30.
    Con atto separato, depositato nella cancelleria del Tribunale il 25 giugno 1996, le ricorrenti hanno chiesto al Tribunale, ai sensi degli artt. 64, n. 4, e 114 del regolamento di procedura, di ordinare alla Commissione di produrre taluni documenti ritenuti pertinenti per la soluzione della controversia.

31.
    Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 4 luglio 1996, la Commissione ha chiesto al Tribunale di respingere la domanda di misure istruttorie.

32.
    Nel frattempo, con lettera 23 febbraio 1996, l'Interporc ha chiesto alla Commissione di poter consultare taluni documenti relativi al controllo delle importazioni di carne bovina Hilton in forza della decisione della Commissione 8

febbraio 1994, 94/90/CECA, Ce, Euratom, sull'accesso del pubblico ai documenti della Commissione (GU L 46, pag. 58).

33.
    I direttori generali della DG VI e della direzione generale Dogane e imposte indirette (DG XXI) hanno in ampia misura respinto la richiesta di consultazione dei documenti, con lettere 22 e 25 marzo 1996. Con lettera 27 marzo 1996, l'Interporc ha ribadito la sua domanda del 23 febbraio 1996. Con decisione 29 maggio 1996, il segretario generale della Commissione ha respinto la detta richiesta reiterata.

34.
    Con ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 9 agosto 1996, l'Interporc ha chiesto l'annullamento della decisione 29 maggio 1996. Con sentenza 6 febbraio 1998, causa T-124/96, Interporc/Commissione (Racc. pag. II-231), il Tribunale ha annullato la decisione della Commissione 29 maggio 1996, per insufficienza di motivazione.

35.
    Con istanza depositata nella cancelleria del Tribunale l'8 ottobre 1996, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha chiesto di intervenire a sostegno delle ricorrenti. La richiesta è stata accolta con ordinanza del presidente della Terza Sezione 30 gennaio 1997.

36.
    Con decisione del Tribunale 2 luglio 1997, il giudice relatore è stato assegnato alla Prima Sezione, alla quale è stata conseguentemente attribuita la causa.

37.
    Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di passare alla fase orale senza procedere ad istruttoria. Tuttavia, con lettera 15 dicembre 1997, ha invitato le parti a produrre taluni documenti e a rispondere per iscritto ad alcuni quesiti. La Commissione e le ricorrenti hanno ottemperato a detto invito, con lettere depositate nella cancelleria del Tribunale rispettivamente il 13 e 14 gennaio 1998.

38.
    Le ricorrenti concludono che il Tribunale voglia:

—    annullare la decisione impugnata;

—    condannare la Commissione alle spese.

39.
    La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

—    respingere il ricorso;

—    condannare le ricorrenti alle spese.

40.
    Il Regno Unito, parte interveniente, conclude che il Tribunale voglia annullare la decisione impugnata.

Nel merito

41.
    A sostegno del loro ricorso, le ricorrenti deducono in sostanza cinque motivi, relativi, in primo luogo, ad una violazione dei diritti della difesa, in secondo luogo, ad una violazione delle forme sostanziali, in quanto la Commissione non avrebbe consentito al rappresentante della Repubblica federale di Germania di intervenire oralmente nel corso della riunione del 4 dicembre 1995 del gruppo di esperti composto dai rappresentanti degli Stati membri, in terzo luogo, ad una violazione dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79, in quarto luogo, ad una violazione del principio di proporzionalità e, in quinto luogo, ad un'insufficiente motivazione. Durante l'udienza, esse hanno rinunciato ad un altro motivo, inizialmente dedotto, relativo alla circostanza che la Commissione avrebbe fondato la decisione impugnata su un errato fondamento giuridico.

Sul primo motivo, relativo ad una violazione dei diritti della difesa

42.
    Le ricorrenti osservano che la decisione impugnata è inficiata da un vizio procedurale, in quanto esse non avrebbero avuto la possibilità di essere ascoltate e di difendersi adeguatamente dinanzi alla Commissione.

43.
    Emergerebbe dalla giurisprudenza che il rispetto del diritto alla difesa in qualsiasi procedimento promosso nei confronti di una persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario e dev'essere garantito anche in mancanza di qualsiasi norma riguardante il procedimento di cui trattasi (sentenza della Corte 29 giugno 1994, causa C-135/92, Fiskano, Racc. pag. I-2885, punto 39).

44.
    Inoltre, i diritti della difesa comprenderebbero non solo il diritto di esprimere il proprio punto di vista, ma anche il diritto di essere informati, prima dell'adozione della decisione, di tutti i fatti rilevanti (sentenza della Corte 27 giugno 1991, causa C-49/88, Jubail Fertilizer/Consiglio, Racc. pag. I-3187) e delle considerazioni giuridiche che la Commissione intende porre a fondamento della sua decisione. Nella fattispecie, la relazione di sintesi sarebbe stata comunicata solo dopo la conclusione del procedimento amministrativo, pur se, a quanto pare, la Commissione si sarebbe fondata su tale relazione per accertare la negligenza commessa dalle ricorrenti.

45.
    La Commissione avrebbe frainteso la funzione delle garanzie procedurali, nel rilevare che questa funzione consiste unicamente nell'informare l'autorità competente a decidere circa fatti ed argomenti ritenuti pertinenti dal richiedente. Sarebbe fondamentale anche per le ricorrenti avere piena cognizione dei fatti pertinenti, onde corroborare efficacemente le loro domande di sgravio.

46.
    La Corte avrebbe, certo, già ritenuto compatibili con il diritto comunitario le vecchie norme procedurali, che non prevedevano alcuna possibilità per i

contribuenti di farsi ascoltare dalla Commissione (sentenza della Corte 13 novembre 1984, cause riunite 98/83 e 230/83, Van Gend & Loos e Expeditiebedrijf Wim Bosman/Commissione, Racc. pag. 3763). Si dovrebbe tuttavia ricordare che l'art. F, n. 2, del Trattato sull'Unione europea, adottato nel frattempo, stabilisce in particolare che l'Unione rispetti i diritti fondamentali, quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950. Nella fattispecie, al contrario, la procedura non sarebbe conforme all'art. 6 di tale convenzione, specie al n. 3, lett. c), ai cui termini a chiunque è attribuito un diritto di autodifesa. In questo contesto, la Commissione si fonderebbe erroneamente sulla sentenza della Corte 6 luglio 1993, cause riunite C-121/91 e C-122/91, CT Control (Rotterdam) e JCT Benelux/Commissione (Racc. pag. I-3873, punto 52), posto che questa giurisprudenza non corrisponderebbe più allo stato attuale del diritto comunitario.

47.
    Il rispetto del principio dei diritti della difesa nella fattispecie sarebbe ancor più indispensabile, dal momento che la Commissione era nel contempo giudice e parte. Infatti, essa stessa avrebbe valutato la portata del suo comportamento illegittimo e le conseguenze che ne sarebbero scaturite.

48.
    La Commissione nega di aver violato i diritti della difesa. Essa ricorda come le norme di procedura non prevedano allo stato attuale una partecipazione del soggetto passivo di un tributo al procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione. A questo proposito si dovrebbe constatare che, con la citata sentenza France-Aviation/Commissione, il Tribunale non ha criticato e nemmeno definito insufficienti le disposizioni del regolamento n. 2454/93.

49.
    Come la Corte avrebbe dichiarato nella citata sentenza CT Control (Rotterdam) e JCT Benelux/Commissione (punto 52), la procedura applicabile nel settore dei dazi antidumping sarebbe molto diversa da quella seguita nel campo degli sgravi dei dazi all'importazione. Non si potrebbe perciò far richiamo ai dazi formali relativi alle procedure antidumping per criticare le norme procedurali applicabili nella fattispecie.

50.
    Precisato quanto precede, la Commissione ritiene che, contrariamente alla situazione esaminata nella causa France-Aviation/Commissione, la decisione impugnata sia stata fondata su un fascicolo completo. Tanto la Commissione quanto i membri del gruppo di esperti contemplato dall'art. 907 del regolamento n. 2454/93 avrebbero infatti disposto non solo del fascicolo trasmesso dallo Stato membro, ma anche della domanda di sgravio debitamente documentata.

51.
    Conformemente alle prescrizioni poste dalla giurisprudenza, tutti gli elementi ritenuti essenziali dalle ricorrenti stesse figuravano nel fascicolo al momento dell'adozione della decisione impugnata [sentenze della Corte 17 marzo 1983, causa 294/81, Control Data Belgium/Commissione, Racc. pag. 911; Van Gend & Loos e Expeditiebedrijf Wim Bosman/Commissione, citata, e CT Control (Rotterdam) e JCT Benelux/Commissione, citata, punto 48].

52.
    Secondo la Commissione, nel dedurre il presente motivo le ricorrenti fraintenderebbero la funzione delle garanzie procedurali in materia di sgravio dei dazi all'importazione. L'unica finalità di queste garanzie sarebbe quella di mettere la Commissione al corrente dei fatti e degli argomenti ritenuti pertinenti dal richiedente e non di comunicare a quest'ultimo elementi sui quali la Commissione potrebbe successivamente fondare la sua decisione.

53.
    Il soggetto passivo di un tributo dovrebbe certo aver la possibilità di prendere posizione sui documenti presi in considerazione dalla Commissione per adottare la sua decisione (sentenze della Corte 21 novembre 1991, causa C-269/90, Technische Universität München, Racc. pag. I-5469, punto 25, e France-Aviation/Commissione, citata, punto 32), ma ciò non significherebbe ancora che esso debba essere posto in grado di pronunciarsi anche su altri documenti.

54.
    Quanto all'argomento secondo il quale la Commissione agirebbe nel contempo come giudice e come parte, l'istituzione ribatte che è perfettamente normale che un'autorità amministrativa decida se si debba procedere a un recupero dei dazi.

55.
    Infine, la Commissione osserva che il patrocinante delle ricorrenti, prima dell'adozione della decisione impugnata, ha intrattenuto vari colloqui sull'argomento con i responsabili dell'istituzione.

56.
    Il motivo andrebbe perciò disatteso.

Giudizio del Tribunale

57.
    In primo luogo, si deve osservare che il procedimento amministrativo in materia doganale per lo sgravio dei dazi all'importazione consta di due fasi distinte. La prima si svolge sul piano nazionale. Il soggetto passivo deve presentare la sua domanda di sgravio all'amministrazione nazionale. Se questa ritiene che lo sgravio non possa venir concesso, può, secondo la normativa, adottare una decisione in questo senso senza interpellare la Commissione. Tale decisione può essere sottoposta al vaglio del giudice nazionale. Se invece l'amministrazione nazionale nutre dubbi in ordine allo sgravio o ritiene che lo sgravio vada accordato, deve consultare la Commissione per la decisione. La seconda fase del procedimento sisvolge quindi sul piano comunitario, allorché le autorità nazionali trasmettono il fascicolo dell'interessato alla Commissione. Questa, previa consultazione di un gruppo di esperti composto dai rappresentanti di tutti gli Stati membri, adotta poi una decisione sulla giustificazione della richiesta di sgravio.

58.
    Il regolamento n. 2454/93 prevede solo contatti tra, da un lato, l'interessato e l'amministrazione nazionale e, dall'altro, quest'ultima e la Commissione (sentenza France-Aviation/Commissione, citata, punto 30). Lo Stato membro interessato è quindi, secondo la disciplina vigente, l'unico interlocutore della Commissione. Le disposizioni procedurali del regolamento n. 2454/93 non prevedono, in particolare,

un diritto per il soggetto passivo di essere ascoltato nell'ambito del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione.

59.
    Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante, il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento instaurato nei confronti di una persona e che può sfociare in un atto lesivo rappresenta un principio fondamentale del diritto comunitario, che va garantito anche se non vi sia alcuna disciplina circa la procedura (sentenze della Corte 24 ottobre 1996, causa C-32/95 P, Commissione/Lisrestal e a., Racc. pag. I-5373, punto 21; 12 febbraio 1992, cause riunite C-48/90 e C-66/90, Paesi Bassi e a./Commissione, Racc. pag. I-565, punto 44, e Fiskano/Commissione, citata, punto 39).

60.
    Dato il potere discrezionale di cui dispone la Commissione nell'adottare una decisione in applicazione della clausola generale d'equità contemplata dall'art. 13 del regolamento n. 1430/79, l'osservanza del diritto al contraddittorio va a maggior ragione garantita nei procedimenti di sgravio e di rimborso dei dazi all'importazione (sentenza France-Aviation/Commissione, citata, punto 34, e, nello stesso senso, sentenza Technische Universität München, citata, punto 14).

61.
    Il principio del rispetto dei diritti della difesa prescrive che chiunque venga colpito da una decisione lesiva nei suoi confronti dev'essere messo in grado di presentare validamente le sue difese quanto meno sugli addebiti sui quali la Commissione ha fondato la sua decisione (v., in questo senso, sentenze Commissione/Lisrestal e a., citata, punto 21, e Fiskano/Commissione, citata, punto 40).

62.
    Nel settore della concorrenza, emerge da una giurisprudenza costante che il diritto di accesso al fascicolo è a sua volta strettamente connesso al principio dell'osservanza dei diritti della difesa. Infatti, l'accesso al fascicolo rientra nelle garanzie procedurali intese a tutelare il diritto al contraddittorio (sentenze del Tribunale 18 dicembre 1992, cause riunite T-10/92, T-11/92, T-12/92 e T-15/92, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II-2667, punto 38, e 29 giugno 1995, causa T-36/91, ICI/Commissione, Racc. pag. II-1847, punto 69).

63.
    Questa giurisprudenza può venire applicata nella fattispecie. Il principio dell'osservanza dei diritti della difesa prescrive quindi non solo che l'interessato venga messo in condizioni di far conoscere utilmente il suo punto di vista sulla pertinenza dei fatti, ma anche che possa prendere posizione quanto meno sui documenti sui quali si è fondata l'istituzione comunitaria (sentenze Technische Universität München, citata, punto 25, e France-Aviation/Commissione, citata, punto 32).

64.
    Dato che la ricorrente fa carico alla Commissione di gravi inadempienze per quanto riguarda il controllo del contingente Hilton, il Tribunale ritiene inoltre che, onde rendere efficace l'esercizio del diritto al contraddittorio, la Commissione deve, a richiesta, consentire l'accesso a tutti i documenti amministrativi non riservati relativi alla decisione impugnata. Infatti non si potrebbe escludere che i documenti

ritenuti non pertinenti dalla Commissione possano presentare un interesse per la ricorrente. Se la Commissione fosse in condizioni di escludere unilateralmente dal procedimento amministrativo i documenti che le tornerebbero eventualmente pregiudizievoli, ciò potrebbe costituire una grave violazione dei diritti della difesa del richiedente di uno sgravio dei diritti all'importazione (v., nello stesso senso, sentenza ICI/Commissione, citata, punto 93).

65.
    Nella fattispecie si deve constatare che il ministero federale delle Finanze, nel suo parere relativo alla richiesta di sgravio, emesso al momento della trasmissione del fascicolo alla Commissione, aveva concluso che non vi era stata né negligenza né frode da parte della ricorrente.

66.
    Orbene, nella decisione impugnata si fa carico per la prima volta alla ricorrente di non aver fatto prova della diligenza necessaria, non avendo adottato le necessarie precauzioni nei confronti delle controparti e dei suoi intermediari in Argentina. La ricorrente non avrebbe infatti controllato direttamente la circolazione dei certificati d'autenticità di cui fruiva (ventiduesimo 'considerando‘ della decisione), mentre avrebbe disposto dei mezzi per cautelarsi (sedicesimo 'considerando‘).

67.
    A questo proposito, si deve ricordare che nella citata sentenza France-Aviation/Commissione (punto 36), il Tribunale ha ritenuto che, allorché la Commissione intende discostarsi dall'orientamento assunto dalle autorità nazionali competenti quanto all'accertamento di un'eventuale negligenza manifesta addebitabile all'interessato, deve consentire a quest'ultimo di esprimersi su questo punto. Infatti una decisione siffatta implica una valutazione giuridica complessa che può compiersi soltanto in base a tutti i dati di fatto pertinenti.

68.
    Questa giurisprudenza può applicarsi alla fattispecie, ancorché alla ricorrente si faccia carico soltanto di scarsa diligenza. Infatti la Commissione si è fondata in particolare su questo addebito per respingere le richieste di sgravio ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79, disposizione che prescrive tuttavia che non vi sia «negligenza» manifesta da parte dell'interessato.

69.
    Emerge dal fascicolo che la Commissione non ha dato modo alle parti, nel corso del procedimento che si è svolto dinanzi ad essa, di presentare il loro punto di vista esponendo utilmente i loro argomenti sugli addebiti relativi alla mancanza di diligenza.

70.
    Se è vero che il patrocinante delle ricorrenti ha avuto colloqui con i responsabili della Commissione, gli addebiti esposti nel sedicesimo e nel ventiduesimo 'considerando‘ della decisione impugnata non hanno formato oggetto di discussioni. Rispondendo ad un quesito rivolto su questo punto dal Tribunale, le ricorrenti hanno dichiarato, senza essere contraddette dalla Commissione, che le questioni relative alla mancanza di diligenza o alla negligenza manifesta delle

ricorrenti o degli importatori in linea generale non sono state trattate nel corso dei colloqui.

71.
    Ne consegue che la decisione impugnata è stata adottata in esito a un procedimento amministrativo viziato da inosservanza delle forme sostanziali.

72.
    Il primo motivo, relativo alla violazione dei diritti della difesa, è pertanto fondato.

Sul terzo motivo, relativo ad una violazione dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79

Argomenti delle ricorrenti e dell'interveniente

73.
    Le ricorrenti sostengono che la Commissione ha violato l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 ritenendo che nella fattispecie non sussistesse alcuna «situazione particolare» ai sensi della detta disposizione. Adottando la decisione impugnata, l'istituzione avrebbe in particolare ignorato la portata delle gravi mancanze commesse nella sorveglianza delle importazioni nell'ambito del contingente Hilton e le conseguenze giuridiche che ne derivavano.

74.
    Poiché l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 costituisce una clausola generale di equità, il ricupero dei dazi all'importazione dovrebbe limitarsi ai casi nei quali il versamento di tali dazi è giustificato e conciliabile con i principi giuridici fondamentali (sentenza della Corte 1° aprile 1993, causa C-250/91, Hewlett Packard France, Racc. pag. I-1819, punto 46). La Commissione non disporrebbe di alcuna discrezionalità nell'applicazione di detto art. 13 (v., con riferimento all'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79, sentenza della Corte 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto-Frost, Racc. pag. 4199, punto 23).

75.
    La Commissione avrebbe avuto l'obbligo di controllare le importazioni effettuate nell'ambito del contingente Hilton. Quest'obbligo emergerebbe in particolare dalle norme d'esecuzione. Infatti, l'art. 6, n. 1, di ciascuno di questi regolamenti avrebbe prescritto agli Stati membri di comunicare regolarmente alla Commissione le importazioni effettuate nell'ambito del contingente Hilton. Solo la Commissione sarebbe stata in grado di determinare i quantitativi di carne bovina Hilton effettivamente importati e di vigilare affinché tali quantitativi non eccedessero i limiti del contingente.

76.
    Le ricorrenti denunciano inadempienze tanto da parte della Commissione quanto delle autorità argentine.

— Inadempienze addebitate alla Commissione

77.
    Le ricorrenti criticano la Commissione per non aver proceduto ad un ammortamento continuo nel corso dell'anno dei quantitativi che si potevano importare nell'ambito del contingente Hilton e per non aver raffrontato le regolari

comunicazioni provenienti dagli Stati membri circa le importazioni di carne bovina Hilton con quelle delle autorità argentine relative alle esportazioni.

78.
    Inoltre, essa non avrebbe trasmesso alle autorità nazionali né i nomi e i facsimile di firma delle persone autorizzate a rilasciare certificati di autenticità, né i dati relativi alle esportazioni dall'Argentina. Queste omissioni avrebbero impedito alle autorità nazionali di controllare efficacemente la validità dei certificati di autenticità al momento delle importazioni controverse.

79.
    Inoltre, già nel 1989 la Commissione sarebbe stata in grado di riscontrare notevoli eccedenze rispetto al contingente. Se essa avesse allora debitamente indagato su queste irregolarità, si sarebbe potuta evitare l'importazione di quantitativi in eccesso connessi alle falsificazioni dei certificati di autenticità nel 1991 e nel 1992.

80.
    D'altro canto, la stessa Commissione avrebbe ammesso negligenze nel controllo del contingente. A sostegno di questa affermazione, le ricorrenti si richiamano in particolare alla relazione 1993 e ad una nota del direttore generale della DG VI in data 8 aprile 1994, indirizzata al direttore generale della DG XXI, nella quale si riconoscevano le carenze del vecchio sistema di controllo.

81.
    Le inadempienze della Commissione avrebbero creato condizioni tali da consentire alle falsificazioni di svilupparsi nella misura oggi rilevata. Esse costituirebbero una «situazione particolare» ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79.

— Inadempienze addebitate alle autorità argentine

82.
    Le ricorrenti osservano che le autorità argentine hanno pure commesso inadempienze nel sorvegliare e nel controllare le operazioni del contingente Hilton. Da un lato, esse avrebbero adottato, per il rilascio dei certificati di autenticità, moduli non garantiti contro le falsificazioni e, dall'altro, avrebbero consegnato moduli in bianco agli esportatori argentini. Inoltre, il trasferimento di competenze dalla Junta Nacional de Carnes alla Secretaría de Agricultura, Ganadería y Pesca avrebbe comportato confusione per più mesi sulle attribuzioni e sulle sfere di responsabilità dei rispettivi enti, il che avrebbe favorito le irregolarità.

83.
    La Commissione sarebbe responsabile della condotta negligente delle autorità argentine, in quanto, conoscendo la situazione, non avrebbe delegato l'amministrazione del contingente Hilton.

84.
    Contrariamente a quanto essa sostiene, il richiamo all'art. 904, lett. c), del regolamento n. 2454/93 non sarebbe pertinente nella fattispecie. Infatti, le ricorrenti non si fonderebbero solo sul fatto di aver prodotto in buona fede i certificati falsificati. Esse avrebbero invece addotto vari altri fattori, quali in particolare un comportamento negligente della Commissione.

85.
    Le falsificazioni in questione non rientrerebbero nel normale rischio commerciale. A torto la Commissione richiamerebbe, nel presente contesto, la sentenza della Corte 11 dicembre 1980, causa 827/79, Acampora (Racc. pag. 3731). Infatti, nella causa che ha dato origine a tale sentenza, si sarebbe trattato di un'unica sola importazione, sicché non si poteva ragionevolmente criticare la Commissione per non aver riscontrato le irregolarità in questione. Nella presente causa, invece, le inadempienze della Commissione avrebbero consentito di continuare a falsificare i documenti per anni. Per questo motivo, le falsificazioni constatate supererebbero il normale rischio commerciale.

86.
    Le ricorrenti sostengono che la Commissione tende, con il suo controricorso, a dedurre ulteriori motivi e/o a sostituire la motivazione della decisione impugnata con una nuova motivazione. Da un lato, essa prospetterebbe una nuova motivazione giuridica, vertente sulle condizioni da soddisfare per ottenere uno sgravio dei dazi ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79. Dall'altro, essa muoverebbe nuovi addebiti alle ricorrenti circa l'esistenza di una palese negligenza ai sensi di questa disposizione. Poiché non compaiono nella decisione impugnata, questi argomenti dovrebbero venir disattesi in quanto irricevibili.

87.
    Nel merito, le ricorrenti sostengono che la Commissione assimila erroneamente la nozione di «negligenza manifesta», ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79, alla nozione di buona fede di cui all'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79. Indubbiamente le due disposizioni perseguirebbero la stessa finalità. Tuttavia le dette disposizioni non sarebbero identiche, se non altro perché la sfera d'applicazione della prima disposizione sarebbe molto più ampia di quella della seconda (v., in proposito, sentenza della Corte 15 dicembre 1983, causa 283/82, Racc. pag. 4219).

88.
    In ogni caso, le ricorrenti contestano che vi sia stata palese negligenza da parte loro. Esse non avrebbero nutrito alcun dubbio quanto alla validità dei certificati d'autenticità. Non disponendo di alcun indizio che le inducesse a supporre che fossero state commesse irregolarità, non avrebbero avuto nemmeno motivo per nutrire simili dubbi. Inoltre non si trattava di un caso isolato, bensì di falsificazioni in serie. A questo proposito, le imprese coinvolte nelle falsificazioni non avrebbero fornito carne di ottima qualità solo con certificati d'autenticità falsificati. Per lo più, esse avrebbero anche fornito ingenti quantitativi con certificati validi.

89.
    Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, le ricorrenti non avrebbero, in pratica, avuto alcuna possibilità di prendere precauzioni o di garantirsi nei confronti delle loro controparti contrattuali. Sarebbe del pari stato impossibile per le ricorrenti, stabilite in Europa, accertare da quale autorità erano stati rilasciati i certificati d'autenticità.

90.
    Pur essendo in possesso di tutta la documentazione in materia, la Commissione non avrebbe prodotto elementi idonei a corroborare l'addebito secondo cui le ricorrenti non avrebbero dispiegato la necessaria diligenza.

91.
    Le ricorrenti concludono che la richiesta di versamento ex post dei tributi nei loro confronti non era giustificata, giacché sussistevano tutte le condizioni per l'applicazione dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79. La decisione impugnata dovrebbe perciò venir annullata.

92.
    Il Regno Unito sostiene che la Commissione ha commesso un errore di diritto ritenendo che l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 non fosse applicabile, o in subordine che essa ha esercitato in modo manifestamente erroneo la discrezionalità che le conferisce tale disposizione.

93.
    La decisione impugnata sarebbe irrimediabilmente viziata, dal momento che la Commissione non avrebbe tenuto sufficientemente conto del fatto che essa stessa aveva contribuito a far sorgere i problemi della ricorrente. La motivazione e le conclusioni contenute nella decisione impugnata sarebbero manifestamente erronee, in quanto la Commissione sarebbe responsabile dell'accertamento della frode nei confronti degli operatori economici e sarebbe venuta meno agli obblighi di controllo impostile dai regolamenti d'applicazione.

94.
    Tenuto conto della responsabilità attribuita alla Commissione per la sorveglianza e il controllo del contingente e delle inadempienze che le sono imputabili nell'esercizio di tale incarico, nulla avrebbe giustificato, sul piano giuridico, un diniego dello sgravio. Questo diniego avrebbe avuto la conseguenza di penalizzare operatori del tutto innocenti, il che sarebbe radicalmente contrario all'obiettivo generale d'equità perseguito dall'art. 13 del regolamento n. 1430/79.

Argomenti della convenuta

95.
    La Commissione sostiene di aver ritenuto a giusto titolo che la situazione nella fattispecie non costituisse una situazione particolare, atta a giustificare uno sgravio dei dazi all'importazione.

96.
    Richiamandosi alle sentenze della Corte Hewlett Packard France (citata, punto 46) e 14 maggio 1996, cause riunite C-153/94 e C-204/94, Faroe Seafood e a. (Racc. pag. I-2465, punto 83), essa fa valere che le condizioni prescritte dall'art. 13 del regolamento n. 1430/79 vanno valutate alla luce dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79.

97.
    Ne risulterebbe che uno sgravio dei dazi all'importazione si giustifica solo se sussistono tutte le tre condizioni enunciate da questa disposizione, vale a dire che i dazi non siano stati riscossi in conseguenza di un errore delle autorità competenti, che l'interessato abbia agito in buona fede, ossia non abbia ragionevolmente potuto scoprire l'errore commesso dalle autorità competenti, e che lo stesso abbia rispettato tutte le disposizioni della normativa in vigore per quel che riguarda la sua dichiarazione in dogana [v. anche art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale]. In questo contesto, contrariamente al parere della ricorrente, le due disposizioni

summenzionate sarebbero globalmente raffrontabili, in quanto perseguirebbero la stessa finalità (sentenza Hewlett Packard France, citata, punto 46), o sarebbero addirittura intercambiabili (sentenza del Tribunale 5 giugno 1996, causa T-75/95, Günzler Aluminium, Racc. pag. II-497, punto 55).

98.
    Un'interpretazione restrittiva di queste condizioni sarebbe necessaria per garantire un'applicazione uniforme del diritto comunitario (sentenza della Corte 27 giugno 1991, causa C-348/89, Mecanarte, Racc. pag. I-3277, punto 33).

99.
    Quanto all'asserito errore commesso dalle autorità competenti, la Commissione obietta che l'argomento svolto in proposito va disatteso poiché è stato sollevato solo nella memoria di replica.

100.
    Inoltre, le autorità competenti non avrebbero commesso errori ai sensi dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79. Il legittimo affidamento del soggetto passivo del tributo sarebbe tutelabile solo se le autorità competenti stesse avessero creato la base sulla quale il legittimo affidamento si fondava. L'errore dovrebbe essere imputabile a un comportamento attivo delle autorità competenti (sentenze Hewlett Packard France, citata, punto 16, Faroe Seafood e a., citata, punto 91, e Mecanarte, citata, punto 23). Tale non sarebbe il caso allorché le autorità competenti sono indotte in errore da dichiarazioni inesatte dell'esportatore, la cui validità non spetta a loro verificare o valutare.

101.
    Questa soluzione discenderebbe del pari da una lettura dell'art. 4, n. 2, lett. c), del regolamento n. 3799/86 e dell'art. 904, lett. c), del regolamento n. 2454/93. Emergerebbe da queste disposizioni che la presentazione in buona fede di documenti falsificati non vale di per sé come circostanza particolare che giustifichi uno sgravio. Il fatto che le autorità doganali tedesche abbiano in un primo tempo accettato i certificati d'autenticità come validi non avrebbe potuto creare un legittimo affidamento in capo alla ricorrente (sentenza Faroe Seafood e a., citata, punto 93).

102.
    La Commissione sottolinea che emerge dalla giurisprudenza, da un lato, che la Comunità non deve sopportare le conseguenze pregiudizievoli dell'operato scorretto dei fornitori dei propri cittadini e, d'altra parte, che nel valutare i vantaggi che può procurare il commercio di merci che possono fruire di preferenze tariffarie, un operatore economico accorto e a conoscenza della normativa in vigore deve poter valutare i rischi inerenti al mercato su cui opera ed accettarli come facenti parte della categoria degli inconvenienti normali dell'attività (sentenza Acampora, citata, punto 8). Adducendo un comportamento scorretto degli uffici della Commissione, le ricorrenti tenterebbero quindi erroneamente di sfuggire alle conseguenze di questa giurisprudenza.

103.
    Gli addebiti formulati dalle ricorrenti non sarebbero tali da far venir meno o da limitare il rischio commerciale che ad esse incombe (v. del pari sentenza Van Gend & Loos e Expeditiebedrijf Wim Bosman/Commissione, citata, punti 16 e 17). Il

sistema di controllo avrebbe soltanto avuto lo scopo di garantire che unicamente alla carne importata nell'ambito dei contingenti spettasse l'esenzione dal prelievo. Se il mercato della carne bovina nella Comunità non era messo a repentaglio, un superamento del contingente non avrebbe indotto necessariamente la Commissione ad adottare immediatamente misure in materia.

104.
    Il sistema di controllo non sarebbe stato destinato, in particolare, ad informare o addirittura a tutelare gli interessati contro eventuali frodi, bensì a verificare la corretta applicazione dei contingenti. La Commissione non aveva dunque alcun obbligo nei confronti degli interessati.

105.
    Il comportamento degli uffici della Commissione per quanto riguarda la vigilanza sull'uso del contingente Hilton, criticato dalla ricorrente, non potrebbe considerarsi come una situazione particolare ai sensi della normativa applicabile. La Commissione respinge espressamente le affermazioni secondo le quali essa stessa avrebbe reso possibile la falsificazione dei certificati d'autenticità. Non sussisterebbe nemmeno un nesso causale tra il suo comportamento e l'origine dei prelievi all'importazione.

106.
    La Commissione replica agli addebiti secondo i quali i suoi uffici non avrebbero fatto il necessario per contrastare le irregolarità, osservando che non è suo compito assumersi la responsabilità finanziaria delle falsificazioni, che probabilmente erano evitabili se le autorità competenti avessero adottato misure più rigorose con maggiore sollecitudine. In quasi tutti i settori vi è una disciplina che investe le autorità competenti di taluni compiti di sorveglianza. Il rischio di inconvenienti, che forse non sarebbero insorti se la sorveglianza fosse stata efficace, incombe però sempre sul singolo operatore.

107.
    Inoltre, dato il sistema vigente nel periodo in questione, la Commissione sarebbe stata informata solo allo scadere dell'anno civile del numero di certificati di autenticità rilasciati dalle autorità argentine. Conseguentemente, eventuali superamenti del contingente sarebbero stati rilevati solo a fine anno o all'inizio dell'anno successivo, allorché non era più possibile porvi rimedio.

108.
    Inoltre il raffronto non sarebbe stato facile. Da un lato, le esportazioni effettuate non avrebbero necessariamente coinciso nel tempo con la notifica operata dalle autorità argentine. D'altro lato, l'indicazione, nel certificato, dello Stato membro di destinazione della merce non sarebbe stata tassativa, sicché l'importazione sarebbe spesso stata effettuata in uno Stato membro diverso da quello indicato nel certificato.

109.
    Superamenti di contingenti si sarebbero verificati, in effetti, nel 1989 vi sarebbero stati in realtà superamenti dei contingenti. Tuttavia si sarebbero potuti spiegare mediante confusioni con certificati d'autenticità riguardanti altre importazioni di carne. Nel 1993, dopo che gli uffici della Commissione avevano ricevuto

segnalazioni riguardo a falsificazioni di certificati d'autenticità, la loro reazione sarebbe stata immediata. Sarebbe quindi escluso che si possa parlare di gravi negligenze da parte loro. D'altro canto, i superamenti noti risalenti al 1991 e al 1992 sarebbero stati insignificanti.

110.
    Poiché le autorità competenti non avrebbero commesso errori, la prima delle tre condizioni essenziali elencate dall'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 (v. supra, punto 113) non sarebbe soddisfatta.

111.
    La seconda condizione, vale a dire la buona fede del soggetto passivo del tributo, non sussisterebbe nemmeno. La Commissione sottolinea che, se nella decisione impugnata non si fa carico alle ricorrenti di «negligenza manifesta», si critica comunque una carenza di diligenza (v. sedicesimo e ventiduesimo 'considerando‘). Infatti, nel ventiduesimo 'considerando‘ si afferma che le ricorrenti non avrebbero preso di loro iniziativa tutte le precauzioni necessarie nei confronti delle loro controparti ed intermediari in Argentina e in particolare avrebbero trascurato di controllare direttamente i canali attraverso i quali venivano loro trasmessi i certificati di autenticità.

112.
    Tenuto conto della loro conoscenza del sistema del contingente, nonché della loro esperienza professionale, le ricorrenti sarebbero state perfettamente in grado di adottare misure per impedire lo sfruttamento di falsi certificati di autenticità. Nulla sarebbe stato fatto, ancorché fosse noto che vi era il rischio di contraffazioni, data l'entità degli interessi economici in gioco. Le operazioni sarebbero state portate a termine per lo più con la collaborazione di intermediari argentini nell'ambito delle loro operazioni. Sotto questo aspetto, l'intervento di un'ulteriore controparte commerciale tra il mattatoio e l'importatore avrebbe quindi dovuto stimolare quest'ultimo ad una maggiore cautela.

113.
    La falsificazione dei certificati d'autenticità avrebbe potuto essere scoperta se le ricorrenti li avessero esaminati con cura. Le ricorrenti erano in possesso dei certificati originali. Se avessero dubitato della loro validità, avrebbero dovuto accertarsi che erano regolari (sentenze Hewlett Packard France, citata, punto 24, e Faroe Seafood e a., citata, punto 100).

114.
    La Commissione chiede la reiezione di questo motivo, in quanto nella fattispecie non sussisterebbero le condizioni per uno sgravio dei dazi, come previsto dall'art. 13 del regolamento n. 1430/79, giacché le autorità competenti non avevano commesso alcune errore ai sensi dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 e le ricorrenti non hanno agito in buona fede.

Giudizio del Tribunale

115.
    Secondo una costante giurisprudenza, l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 costituisce una clausola generale d'equità destinata a far fronte a situazioni diverse da quelle che si verificavano più frequentemente nella pratica e che, al momento

dell'adozione del regolamento n. 1430/79, potevano costituire oggetto di una disciplina particolare (sentenze della Corte 12 marzo 1987, cause riunite 244/85 e 245/85, Cerealmangimi e Italgrani/Commissione, Racc. pag. 1303, punto 10, e 18 genbnaio 1996, causa C-446/93, SEIM, Racc. pag. I-73, punto 41). In particolare esso va applicato allorché le circostanze che caratterizzano il rapporto tra l'operatore economico e l'amministrazione sono tali che non sarebbe equo accollare al detto operatore un pregiudizio che normalmente non avrebbe subito (sentenza della Corte 26 marzo 1987, causa 58/86, Coopérative agricole d'approvisionnement des Avirons, Racc. pag. 1525, punto 22).

116.
    La Commissione deve quindi valutare tutti gli elementi di fatto onde determinare se questi costituiscano una situazione particolare ai sensi di questa disposizione (v., in questo senso, sentenza della Corte 15 maggio 1986, causa 160/84, Oryzomyli Kavallas e a./Commissione, Racc. pag. 1633, punto 16). Pur godendo, a questo proposito, di un potere di valutazione (sentenza France-Aviation/Commissione, citata, punto 34), essa deve esercitare questo potere contemperando realmente, da un lato, l'interesse della Comunità a garantire il rispetto delle disposizioni doganali e, dall'altro, l'interesse dell'importatore in buona fede a non subire danni che vadano oltre l'ordinario rischio commerciale. Di conseguenza, nell'esame della giustificazione della richiesta di sgravio, essa non può limitarsi a tener conto della condotta degli importatori, ma deve del pari valutare l'incidenza del proprio comportamento, eventualmente criticabile, sulla situazione creatasi.

117.
    Se ricorrono le due condizioni enunciate dall'art. 13 del regolamento n. 1430/79, cioè l'esistenza di una situazione particolare e l'insussistenza di simulazioni e di negligenza manifesta da parte dell'interessato, all'interessato spetta, se non si vuole privare questa disposizione di ogni effetto utile, il rimborso o lo sgravio dei dazi all'importazione (v., per quanto riguarda l'applicazione dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79, sentenze della Corte Mecanarte, citata, punto 12; 4 maggio 1993, causa C-292/91, Weis, Racc. pag. I-2219, punto 15, e Faroe Seafood e a., citata, punto 84).

118.
    Va perciò disattesa la tesi della Commissione secondo la quale uno sgravio dei dazi all'importazione si giustificherebbe solo se sussistono le tre condizioni essenziali elencate dall'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79, vale a dire che i dazi non siano stati riscossi per effetto di un errore delle autorità competenti, che il soggetto passivo del tributo abbia agito in buona fede, ossia non abbia ragionevolmente potuto scoprire l'errore commesso dalle autorità competenti, e che lo stesso abbia osservato tutte le disposizioni contemplate dalla disciplina vigente per quel che riguarda la sua dichiarazione doganale.

119.
    La Corte ha certo dichiarato che l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 e l'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 perseguono la stessa finalità, quella di limitare il pagamento a posteriori dei dazi all'importazione o all'esportazione ai casi in cui siffatto pagamento è giustificato e compatibile con un principio fondamentale,

come il principio del legittimo affidamento (sentenza Hewlett Packard France, citata, punto 46), tuttavia essa non ha affermato che le due disposizioni coincidano.

120.
    La Corte si è limitata a considerare che l'evidenza dell'errore delle autorità competenti ai sensi dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79, fa riscontro alla negligenza manifesta o alla frode ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79, sicché le condizioni di quest'ultima disposizione vanno valutate alla luce di quelle dell'art. 5, n. 2, già ricordato.

121.
    Pur nell'ipotesi che le autorità competenti non abbiano commesso errori ai sensi dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79, ciò non esclude quindi a priori che l'interessato possa, in subordine, invocare l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 allegando l'esistenza di una situazione particolare atta a giustificare lo sgravio dai dazi all'importazione.

122.
    La tesi della Commissione non tiene conto delle finalità delle due disposizioni. Mentre l'art. 5, n. 2, del regolamento n. 1697/79 ha lo scopo di tutelare il legittimo affidamento del soggetto passivo del tributo circa la regolarità di tutti gli elementi che intervengono nella decisione di recuperare o meno i dazi doganali (sentenza Faroe Seafood e a., citata, punto 87), l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 costituisce, come si è sopra ricordato, una clausola generale equitativa. L'art. 13 perderebbe la sua indole di disposizione generale equitativa se le condizioni di cui all'art. 5, n. 2, dovessero essere soddisfatte in ogni caso.

123.
    Onde stabilire se la Commissione abbia commesso un errore manifesto di valutazione ritenendo che nella fattispecie non sussistevano le condizioni di cui all'art. 13 del regolamento n. 1430/79, si deve anzitutto esaminare la seconda condizione, relativa all'insussistenza di frode e di negligenza manifesta da parte della ricorrente, e quindi la prima condizione, relativa all'esistenza di una situazione particolare.

— Sull'inesistenza di simulazioni e di negligenza manifesta

124.
    Nella decisione impugnata e nei documenti della Commissione non si addebitano alle ricorrenti né simulazioni, né negligenza manifesta ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79. Rispondendo ad una domanda del Tribunale, la Commissione ha espressamente confermato, all'udienza, che essa non sostiene che le ricorrenti abbiano dato prova di negligenza manifesta.

125.
    Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, nella fattispecie non si può addebitare alle ricorrenti nemmeno una carenza di diligenza.

126.
    In primo luogo, emerge dal fascicolo che le ricorrenti, fino al momento in cui la Commissione ha iniziato le indagini (v. supra, punto 17) nel 1993, non erano al corrente delle falsificazioni o delle irregolarità dei certificati di autenticità.

127.
    Quanto al modo di falsificazione, si deve rilevare, come già nella sentenza del Tribunale 19 febbraio 1998, causa T-42/96, Eycker & Malt/Commissione (Racc. pag. I-401, punti 143 e 144) che, in genere, venivano redatte due versioni del certificato d'autenticità — con lo stesso numero — per una determinata operazione d'esportazione e che, conformemente all'art. 4 di ciascuno dei regolamenti d'applicazione, entrambe erano munite di timbro apposto apparentemente dallo stesso ente d'emissione competente, cioè la Junta Nacional de Carnes, oppure la Secretaría de Agricultura, Ganadería y Pesca.

128.
    Inoltre, da un raffronto delle firme apposte sulle varie versioni di un certificato emerge che le dette firme, a prima vista, sono identiche o, quanto meno, molto simili.

129.
    Infine, entrambe le versioni contenevano le stesse informazioni sulla data e sul luogo di emissione, sull'esportatore argentino, sul destinatario nella Comunità e sulla nave che avrebbe effettuato il trasporto. L'unica differenza tra le due versioni, per quanto riguarda le informazioni contenute, concerneva il peso indicato, come ha confermato la Commissione rispondendo ad un quesito del Tribunale. La versione intitolata «duplicado», destinata alle autorità argentine, indicava un peso molto inferiore rispetto a quello indicato nel certificato originale inviato all'importatore. Mentre la versione «duplicado» menzionava pesi varianti dai 600 ai 2 000 kg, il peso indicato nell'originale, che corrispondeva ai quantitativi effettivamente esportati nella Comunità, era all'incirca di 10 000 kg. A questo proposito il Tribunale rileva che, durante il periodo in questione, la carne bovina Hilton era normalmente trasportata in contenitori con una capacità di circa 10 000 kg.

130.
    Secondo la relazione di sintesi redatta dalla Commissione, la falsificazione dei documenti era «favorita dal fatto che le serie di moduli non erano prenumerate, il numero di moduli non era preso in computo e gli esportatori li compilavano direttamente». A ciò si aggiunge, secondo la relazione del 1993, che durante un periodo di vari mesi successivo al subentrare della Secretaría de Agricultura, Ganadería y Pesca alla Junta Nacional de Carnes come ente competente per rilasciare i certificati di autenticità (v. supra, punto 17), le competenze e le modalità non erano chiaramente determinate, sicché taluni operatori ne avrebbero tratto vantaggio eludendo le disposizioni vigenti.

131.
    Diversi elementi del fascicolo inducono pertanto a ritenere che l'autorità argentina competente abbia rilasciato un certificato nel quale era indicata una partita esigua, quindi registrato tale certificato e trasmesso a taluni mattatoi argentini un certificato con lo stesso numero, gli stessi timbri e la stessa firma senza precisare il quantitativo in peso. I mattatoi potevano quindi riempire la casella relativa al peso con cifre notevolmente superiori, corrispondenti al tonnellaggio effettivamente esportato. Nella relazione di sintesi si è d'altra parte rilevato che alcuni funzionari

della dogana e degli uffici veterinari argentini hanno dovuto «chiudere gli occhi» durante le operazioni di carico.

132.
    Nelle circostanze del caso di specie, si deve ammettere che le ricorrenti non potevano ragionevolmente scoprire le falsificazioni in questione, in quanto siffatto controllo esulava dalle loro possibilità. Come giustamente hanno osservato le ricorrenti, i certificati d'autenticità falsificati non apparivano documenti sospetti. Inoltre nessun elemento del fascicolo consente di concludere che le ricorrenti avessero motivo di dubitare della validità dei certificati d'autenticità.

133.
    Infine, occorre fare constatazioni in ordine ai prezzi pagati dalle ricorrenti per la carne in questione.

134.
    In primo luogo, è pacifico che, non essendo stati riscossi prelievi all'importazione nell'ambito del contingente Hilton, i prezzi pagati per la carne bovina Hilton erano superiori ai prezzi della carne bovina venduta senza certificato di autenticità. A questo proposito, la ricorrente fa osservare, senza venir contraddetta dalla Commissione, che la differenza di prezzo tra i due tipi di carne corrispondeva approssimativamente ai prelievi che dovevano essere versati al momento dell'importazione della carne bovina diversa dalla Hilton.

135.
    In secondo luogo, la Commissione non ha nemmeno contestato l'affermazione della ricorrente secondo la quale i prezzi versati per la carne bovina importata con certificati d'autenticità, che sono poi risultati falsificati, erano approssimativamente equivalenti a quelli versati per la carne bovina Hilton munita di validi certificati.

136.
    Queste ultime constatazioni sono atte a dimostrare la buona fede delle ricorrenti al momento delle importazioni controverse.

137.
    Dato che il modo in cui le ricorrenti avevano stipulato i loro contratti d'acquisto ed effettuato le controverse importazioni rientrava in una prassi commerciale normale, spettava alla Commissione dimostrare una negligenza manifesta da parte dell'importatore.

138.
    Orbene, la Commissione non ha nemmeno tentato di fornire una dimostrazione del genere. Infatti, rispondendo ad un quesito in merito rivoltole dal Tribunale in udienza, si è limitata a ripetere quanto già era contenuto nella decisione impugnata, secondo cui le ricorrenti non avevano fatto prova della necessaria diligenza, omettendo di cautelarsi in modo adeguato nei confronti delle controparti e degli intermediari in Argentina e non controllando direttamente la circolazione dei certificati d'autenticità di cui si avvalevano.

139.
    In considerazione di quanto precede, si deve concludere che l'esame della condotta delle ricorrenti non ha messo in luce né una mancanza di diligenza né simulazioni o negligenza manifesta, ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79.

— Sull'esistenza di una situazione particolare

140.
    In base alla disciplina in materia e conformemente ad una costante giurisprudenza, se per fruire di un trattamento tariffario preferenziale a favore della merce dichiarata per la libera pratica si producono, anche in buona fede, documenti che poi risultano falsificati, ciò non può costituire di per sé una situazione particolare che giustifichi uno sgravio dai dazi all'importazione [artt. 4, punto 2, lett. c), del regolamento n. 3799/86, e 904, lett. c), del regolamento n. 2454/93; sentenze Van Gend & Loos e Expeditiebedrijf Wim Bosman/Commissione, citata, punto 16, Acampora, citata, punto 8, e 17 luglio 1997, causa C-97/95, Pascoal & Filhos, Racc. pag. I-4209, punti 57-60].

141.
    Tuttavia, nella fattispecie, le ricorrenti non sostengono soltanto che al momento delle importazioni contestate hanno presentato in buona fede documenti falsificati. In via principale, fondano le loro richieste di sgravio sui gravi inadempimenti di cui si sarebbe resa colpevole la Commissione nella sorveglianza dell'applicazione del contingente Hilton, circostanza che avrebbe facilitato le falsificazioni.

142.
    Ne consegue che le disposizioni summenzionate non rappresentano, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, un ostacolo a fruire dello sgravio dei dazi all'importazione.

143.
    In forza dell'art. 155 del Trattato e del principio di buona amministrazione, la Commissione aveva l'obbligo di garantire una corretta applicazione del contingente Hilton e di vigilare affinché non fosse superato (v., nello stesso senso, sentenza della Corte 15 gennaio 1987, causa 175/84, Krohn/Commissione, Racc. pag. 97, punto 15).

144.
    Quest'obbligo di controllo risultava del pari dai regolamenti d'applicazione. Infatti l'art. 6, n. 1, di ciascuno dei detti regolamenti recitava: «gli Stati membri comunicano alla Commissione, al più tardi quindici giorni dopo la fine di ogni decade, i quantitativi messi in libera pratica dei prodotti di cui all'articolo 1, ripartiti per paese d'origine e per sottovoce tariffaria». Una prescrizione del genere sarebbe stata priva di senso, se non fosse stata accompagnata dall'obbligo, incombente alla Commissione, di controllare la corretta applicazione del contingente.

145.
    Inoltre, emerge dalla relazione del 1993 che le autorità argentine hanno trasmesso alla Commissione in modo più o meno regolare gli elenchi dei certificati d'autenticità rilasciati durante un periodo di dieci giorni precedente il loro invio, indicando in particolare l'esportatore argentino, il destinatario nella Comunità e il peso lordo e netto. Le autorità argentine le hanno parimenti trasmesso i nomi e i facsimile delle firme dei funzionari argentini autorizzati a firmare i certificati d'autenticità.

146.
    E' giocoforza constatare, quindi, che essa era l'unica a disporre dei dati necessari per effettuare un controllo efficace dell'impiego del contingente Hilton. In una situazione del genere, l'obbligo di vigilare sulla corretta applicazione del contingente era ancora più stringente.

147.
    Orbene, emerge dal fascicolo che si possono rilevare gravi inadempienze imputabili alla Commissione quanto al controllo dell'applicazione del contingente Hilton durante il periodo in questione.

148.
    In primo luogo, la Commissione, per gli anni 1991 e 1992, non ha correttamente e regolarmente verificato le informazioni comunicate dalle autorità argentine circa il volume delle esportazioni soggette a contingente, nonché i certificati d'autenticità rilasciati rispetto alle corrispondenti informazioni ricevute dagli Stati membri. Se la Commissione avesse effettuato le dette verifiche, probabilmente la frode sarebbe stata scoperta con molto maggior anticipo.

149.
    In realtà, il controllo delle importazioni operato dalla Commissione è stato solo approssimativo ed incompleto.

150.
    Ad esempio, la Commissione ha riassunto le comunicazioni che le erano state trasmesse negli elenchi redatti soltanto all'inizio dell'anno successivo, sicché differenze nei quantitativi ed eventuali superamenti potevano venir constatati solo in quel momento. Per questo motivo, essa non poteva, nel corso di un determinato anno, informare gli Stati membri dell'eventuale esaurimento del contingente relativo a tale anno.

151.
    Del resto, gli elenchi erano semplicemente manoscritti. Orbene, se la Commissione avesse trattato i dati forniti con i sistemi informatici, avrebbe potuto procedere ad un controllo molto più efficace. Inoltre avrebbe potuto, senza difficoltà particolari, superare i problemi scaturenti dal fatto che le indicazioni, nei certificati d'autenticità, dello Stato membro destinatario dell'esportazione non erano vincolanti, sicché un'esportazione poteva essere destinata, in definitiva, ad uno Stato membro diverso da quello indicato nel certificato.

152.
    In secondo luogo, la Commissione ha omesso di trasmettere agli Stati membri i facsimile delle firme dei funzionari argentini autorizzati a firmare i certificati d'autenticità o di pubblicarli nella Gazzetta ufficiale. Di conseguenza, le autorità nazionali sono state private di un mezzo potenzialmente efficace per scoprire tempestivamente le falsificazioni.

153.
    In terzo luogo, essa ha omesso di reagire, dopo aver constatato che in precedenza vi erano stati superamenti del contingente Hilton.

154.
    A questo proposito, emerge dalla relazione di sintesi che l'indagine condotta in Argentina nel 1993 ha consentito di accertare che oltre 460 certificati d'autenticità presentati nel 1991 e nel 1992 erano stati falsificati. Di conseguenza, durante questi

due anni 4 500 tonnellate di carne bovina sono entrate nella Comunità con certificati falsi, e i prelievi non riscossi su queste partite ammontano a circa 18 milioni di ECU.

155.
    Orbene, non è contestato che già nel 1989 la Commissione aveva dovuto far fronte a superamenti di entità analoga. Risulta dal punto 178 della citata sentenza Eycker & Malt/Commissione che la Commissione ha ammesso che durante questo solo anno il contingente Hilton era stato superato di più di 3 000 tonnellate.

156.
    L'inerzia, dopo questa constatazione, costituisce una grave mancanza da parte dell'istituzione. Le irregolarità constatate avrebbero dovuto attirare la sua attenzione sulla necessità di procedere a controlli più accurati. Fin da questo momento essa avrebbe dovuto quindi avviare ricerche al fine di accertare le cause esatte dei superamenti.

157.
    Se la Commissione avesse tempestivamente adottato misure di controllo più efficaci per far fronte ai problemi connessi al superamento del contingente constatati nel 1989, le falsificazioni commesse durante gli anni 1991 e 1992 non avrebbero probabilmente potuto raggiungere l'entità rilevata in seguito, vale a dire circa il 10% del volume del contingente Hilton. Le perdite subite dagli operatori economici sarebbero state certamente limitate.

158.
    Il non aver messo in vigore tempestivamente un sistema di controllo efficace, come pure le altre inadempienze riscontrate nel controllo del contingente Hilton, hanno creato le condizioni per il persistere delle falsificazioni, che sono giunte alle dimensioni constatate nella presente controversia.

159.
    Al riguardo, va inoltre ricordato, come già rilevato al precedente punto 133, che il prezzo di mercato della carne bovina Hilton venduta con certificato d'autenticità valido era normalmente molto superiore a quello della carne venduta senza certificato, e che la differenza di prezzo si spiegava con il fatto che per la carne bovina importata fuori dal contingente Hilton si dovevano versare prelievi pari a 10 DM per kg (v. supra, punto 10).

160.
    Nemmeno la Commissione contesta che i prezzi versati dalla ricorrente per la carne bovina importata con certificati d'autenticità falsificati erano approssimativamente dello stesso livello di quelli richiesti per la carne bovina Hilton accompagnata da validi certificati (v. supra, punto 135).

161.
    Per questo motivo, le ricorrenti sostengono, senza essere contraddette in merito dalla Commissione, che, sul piano economico, per quel che riguarda le importazioni contestate, hanno già versato un prezzo che comprende grossomodo il prelievo all'importazione controverso, dato che il prezzo d'acquisto della carne bovina Hilton era superiore.

162.
    E' bensì vero che l'affidamento di un soggetto passivo sulla validità di un certificato d'autenticità che risulta falso a un successivo controllo non è normalmente tutelato dal diritto comunitario, giacché tale circostanza rientra nel rischio commerciale (sentenza Van Gend & Loos e Expeditiebedrijf Wim Bosman/Commissione, citata, punto 17, Acampora, citata, punto 8, Mecanarte, citata, punto 24, e Pascoal & Filhos, citata, punti 59 e 60).

163.
    Tuttavia, nella fattispecie, le falsificazioni hanno consentito ulteriori superamenti del contingente Hilton per il solo fatto che la Commissione era venuta meno al suo dovere di sorveglianza e di controllo sull'applicazione del contingente durante gli anni 1991 e 1992. Così stando le cose, tali falsificazioni, operate del resto in modo molto professionale, andavano oltre il rischio commerciale normale incombente alle ricorrenti, conformemente alla giurisprudenza ricordata nel punto precedente.

164.
    Poiché l'art. 13 del regolamento n. 1430/79 doveva essere applicato allorché le circostanze che caratterizzano il rapporto tra l'operatore economico e l'amministrazione erano tali che non era equo porre a carico di tale operatore un pregiudizio che normalmente non avrebbe subito (sentenza Coopérative agricole d'approvisionnement des Avirons, citata, punto 22), si deve concludere che, tenuto conto di quanto precede, le circostanze della fattispecie rappresentano una situazione particolare ai sensi di questa disposizione e giustificano uno sgravio dei dazi all'importazione.

165.
    La Commissione ha quindi commesso un errore manifesto di valutazione ritenendo che le carenze nel controllo dell'applicazione del contingente non potessero comunque costituire una situazione particolare.

166.
    Da quanto precede risulta che, come il primo motivo, anche il terzo motivo relativo alla violazione dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79 è fondato.

167.
    Di conseguenza, senza che sia necessario pronunciarsi sul secondo, sul quarto e sul quinto motivo, rispettivamente dedotti da una violazione delle forme sostanziali e da una violazione del principio di proporzionalità da una violazione dell'obbligo di motivazione, si deve annullare la decisione impugnata.

Sulle spese

168.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte che è rimasta soccombente è condannata alle spese se ne è fatta domanda. La Commissione è rimasta soccombente e va quindi condannata alle spese, conformemente alle richieste presentate in questo senso dalla ricorrente.

169.
    Il Regno Unito, parte interveniente, sopporterà le proprie spese, ai sensi dell'art. 87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)    La decisione della Commissione 26 gennaio 1996, indirizzata alla Repubblica federale di Germania e relativa a una domanda di sgravio dei dazi all'importazione, è annullata.

2)    La Commissione è condannata alle spese.

3)    Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporterà le proprie spese.

Vesterdorf
Moura Ramos
Mengozzi

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 17 settembre 1998.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

B. Vesterdorf


1: Lingua processuale: il tedesco.

Racc.