Language of document : ECLI:EU:C:2000:264

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

ANTONIO SAGGIO

presentate il 18 maggio 2000 (1)

Causa C-290/98

Commissione delle Comunità europee

contro

Repubblica d'Austria

«Inadempimento di uno Stato membro - Direttiva 91/308/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1991, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite - Accordo sullo Spazio economico europeo - Atto di adesione della Norvegia, dell'Austria, della Finlandia e della Svezia - Termine di trasposizione di una direttiva - Divieto di riciclaggio - Modifica di un addebito nel corso della procedura scritta - Obbligo per gli enti creditizi e finanziari di identificare i clienti - Eccezione di illegittimità»

1.
    Con ricorso depositato il 28 luglio 1998 la Commissione contesta alla Repubblica d'Austria di non avere correttamente adempiuto taluni obblighi derivanti dalla direttiva 91/308/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1991, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite (2) (nel prosieguo: la «direttiva»). Gli obblighi in questione attengono alla necessità di provvedere affinché il riciclaggio sia vietato e di garantire che gli enti creditizi e finanziari prevedano l'identificazione dei loro clienti.

La normativa comunitaria pertinente

Scopo e contenuto della direttiva sul riciclaggio

2.
    Rilevo anzitutto che la direttiva in questione è stata adottata sulla base degli artt. 57, n. 2, prima e seconda frase, e 100 A del Trattato CEE (divenuti, dopo le modifiche introdotte dal Trattato sull'Unione europea, artt. 57, n. 2, prima e seconda frase, e 100 A del Trattato CE e, successivamente, in seguito alle modifiche introdotte dal Trattato di Amsterdam, artt. 47 CE, n. 2, prima e seconda frase, e 95 CE). Le disposizioni in questione prevedevano in sostanza che il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, su proposta della Commissione ed in cooperazione col Parlamento europeo, adottasse, rispettivamente, «le direttive intese al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative all'accesso alle attività non salariate e all'esercizio di queste» ultime, nonché «le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno».

3.
    Lo scopo della direttiva è duplice: da un lato, essa si propone di disciplinare le condizioni di accesso all'attività creditizia e finanziaria, sul presupposto che «nel caso in cui gli enti creditizi e finanziari vengano utilizzati per riciclare i proventi di attività illecite (...) possono risultare gravemente compromesse la solidità e la stabilità dell'ente coinvolto e la credibilità dell'intero sistema finanziario, che perderebbe di conseguenza la fiducia del pubblico» (3); dall'altro, essa mira a garantire il buon funzionamento del mercato unico, sulla premessa che «l'assenza di iniziative comunitarie contro il riciclaggio potrebbe indurre gli Stati membri, allo scopo di proteggere il proprio sistema finanziario, ad adottare provvedimenti che potrebbero essere in contrasto con il completamento del mercato unico» (4). Ciò spiega le due distinte basi giuridiche utilizzate per la sua adozione. Più in generale, la direttiva intende evitare che, «per facilitare le proprie attività criminose, coloroche procedono al riciclaggio [possano], se non si adottano alcune misure di coordinamento a livello comunitario, tentare di trarre vantaggio dalla libertà dei movimenti di capitali e dalla libera prestazione dei servizi finanziari che lo spazio finanziario integrato comporta» (5).

4.
    In tale prospettiva, sottolineo che la direttiva dà del riciclaggio - percepito come forma di «attività criminosa che rappresenta una particolare minaccia per le società degli Stati membri» (6) - una definizione ripresa direttamente «dalla convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope adottata a Vienna il 19 dicembre 1988 (...) ed estesa a sua volta a tutte le attività criminose dalla convenzione del Consiglio d'Europa su riciclaggio, identificazione, sequestro e confisca dei proventi di reato, aperta alla firma l'8 novembre 1990 a Strasburgo» (7). La definizione, contenuta nell'art. 1, terzo trattino, della direttiva, include quattro tipi di «azioni commesse intenzionalmente»: a) «la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza del fatto che essi provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni»; b) «l'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza del fatto che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività»; c) «l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività»; d) «la partecipazione ad uno degli atti di cui ai punti precedenti, l'associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno di commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione». Nell'ambito di tali attività criminose, la conoscenza, l'intenzione o la finalità possono essere accertate in base a circostanze di fatto obiettive. Inoltre, secondo la direttiva, il riciclaggio «comprende anche i casi in cui le attività che hanno dato origine ai beni da riciclare sono compiute nel territorio di un altro Stato membro o di un paese terzo».

5.
    Fatte queste premesse di carattere generale, mi soffermerò brevemente sulle disposizioni della direttiva che maggiormente rilevano ai fini della presente causa.

6.
    L'art. 2 della direttiva prevede il divieto di ogni forma di riciclaggio, divieto che, se basato «su misure adeguate e sanzioni, costituisce una condizione necessaria nella lotta contro tale fenomeno» (8). La formulazione del divieto all'uopo utilizzataè la seguente: «Gli Stati membri provvedono a che il riciclaggio, quale definito nella presente direttiva, sia vietato».

7.
    L'art. 3 della direttiva stabilisce invece l'obbligo per gli enti creditizi e finanziari di procedere all'identificazione dei loro clienti, «onde evitare che coloro che procedono al riciclaggio approfittino dell'anonimato per svolgere le proprie attività criminose» (9). In particolare, l'art. 3 prevede regole differenziate per i clienti stabili e per i clienti occasionali degli enti creditizi e finanziari. Per quanto riguarda i primi, il n. 1 del detto articolo stabilisce l'obbligo per gli Stati membri di garantire che i predetti enti ne prevedano l'identificazione «mediante documento probante quando allacciano rapporti di affari, ed in particolare quando aprono un conto o libretti di deposito od offrono servizi di custodia dei beni». Per quanto concerne i secondi, il n. 2 dello stesso articolo impone l'obbligo dell'identificazione «per tutte le operazioni (...) il cui importo sia pari o superiore a 15 000 ecu, a prescindere dal fatto che siano effettuate con un'unica operazione o con più operazioni tra le quali sembri esistere una connessione», precisando al riguardo che, nel caso in cui l'importo dell'operazione non sia noto nel momento in cui quest'ultima viene avviata, l'ente creditizio o finanziario «procederà all'identificazione non appena l'importo sia conosciuto e si constati che il limite è raggiunto».

8.
    Due disposizioni tese a rafforzare l'effetto utile della direttiva sono previste ai nn. 5 e 6 dell'art. 3. La prima di queste prevede che, qualora sia dubbio se i clienti agiscano per proprio conto o qualora sia certo che essi non agiscono per proprio conto, «gli enti creditizi e finanziari adottano congrue misure per ottenere informazioni sull'effettiva identità delle persone per conto delle quali questi clienti agiscono». La seconda di tali disposizioni richiede agli enti creditizi e finanziari di procedere all'identificazione del cliente anche quando il limite precitato di 15 000 ecu per operazione non venga raggiunto, «qualora vi sia sospetto di riciclaggio».

9.
    Nell'ottica di quest'ultima disposizione giova anche ricordare che gli artt. 5 e 6 della direttiva prevedono, in termini generali, l'obbligo per gli Stati membri di provvedere affinché «gli enti creditizi e finanziari esaminino con particolare attenzione ogni operazione che essi considerino particolarmente atta, per la sua natura, ad avere una connessione con il riciclaggio» (10) e «collaborino pienamente con le autorità responsabili per la lotta contro il riciclaggio».

10.
    Dal canto suo, l'art. 14 della direttiva prevede che gli Stati membri adottino «le misure atte a garantire la piena applicazione di tutte le disposizioni della (...)direttiva» e stabiliscano «le sanzioni da applicare in caso di violazione delle disposizioni adottate in esecuzione della medesima».

11.
    Il termine per l'adeguamento dei sistemi giuridici nazionali alla direttiva era fissato, in virtù dell'art. 16, n. 1, di quest'ultima, al 1. gennaio 1993.

Altre disposizioni rilevanti

12.
    Com'è noto, l'art. 5, primo comma, del Trattato CE (divenuto art. 10 CE, primo comma) prevede che gli Stati membri adottino «tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi (...) determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità», mentre l'art. 189, terzo comma, del Trattato CE (divenuto art. 249 CE, terzo comma) stabilisce che la direttiva «vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi».

13.
    Con decisioni 94/1/CECA, CE del Consiglio e della Commissione, del 13 dicembre 1993, relativa alla conclusione dell'accordo sullo Spazio economico europeo tra le Comunità europee, i loro Stati membri e la Repubblica d'Austria, la Repubblica di Finlandia, la Repubblica d'Islanda, il Principato del Liechtenstein, il Regno di Norvegia, il Regno di Svezia e la Confederazione elvetica (11), e 94/2/CECA, CE del Consiglio e della Commissione, della stessa data, relativa alla conclusione del protocollo che adegua l'accordo sullo Spazio economico europeo tra le Comunità europee, i loro Stati membri e la Repubblica d'Austria, la Repubblica di Finlandia, la Repubblica d'Islanda, il Principato del Liechtenstein, il Regno di Norvegia e il Regno di Svezia (12), è stato approvato l'accordo sullo Spazio economico europeo (nel prosieguo: l'«accordo SEE») ed il protocollo che lo adegua. L'accordo SEE è entrato in vigore il 1. gennaio 1994 (13).

14.
    L'art. 7 dell'accordo SEE prevede che «gli atti cui è fatto riferimento o contenuti negli allegati del presente accordo (...) sono vincolanti per le Parti contraenti e sono (...) recepiti nei rispettivi ordinamenti giuridici», mentre il successivo art. 36, n. 2, ricorda che gli allegati IX, X e XI dell'accordo SEE contengono disposizioni specifiche in materia di libera prestazione dei servizi. Ora, l'allegato IX dell'accordo SEE, concernente i servizi finanziari, menziona al punto II, iii), n. 23, la direttiva sul riciclaggio.

15.
    L'art. 108 dell'accordo SEE prevede che gli Stati AELS (EFTA), suoi firmatari, istituiscano un organo di vigilanza indipendente, denominato «Autorità di vigilanza AELS (EFTA)», nonché procedure analoghe a quelle vigenti nella Comunità europea per assicurare l'adempimento degli obblighi derivanti dall'accordo. Al riguardo, l'accordo fra gli Stati AELS (EFTA) del 2 maggio 1992, relativo all'istituzione di un'autorità di vigilanza e di una Corte di giustizia (14), stabilisce, tra l'altro, una procedura d'infrazione simile, per sommi capi, a quella prevista dall'art. 169 del Trattato CE (divenuto art. 226 CE). Ai fini della presente causa giova rilevare che l'art. 31 di tale accordo prevede che l'Autorità di vigilanza possa, con apposita lettera d'intimazione, invitare uno Stato AELS (EFTA) a presentare le sue osservazioni sull'eventuale violazione di obblighi derivanti dall'accordo SEE.

16.
    Il Trattato relativo all'adesione del Regno di Norvegia, della Repubblica d'Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia all'Unione europea (15) è entrato in vigore il 1. gennaio 1995, secondo quanto previsto al suo art. 2, n. 2. L'Atto di adesione della Norvegia, dell'Austria, della Finlandia e della Svezia (16) (nel prosieguo: l'«Atto di adesione»), allegato al predetto Trattato del quale costituisce parte integrante, prevede all'art. 2 che dal momento dell'adesione «gli atti adottati dalle istituzioni prima dell'adesione vincolano i nuovi Stati membri e si applicano in tali Stati alle condizioni previste (...) dal presente atto». Secondo l'art. 166 dell'Atto di adesione, «Dal momento dell'adesione i nuovi Stati membri sono considerati come destinatari delle direttive (...) ai sensi dell'articolo 189 del Trattato CE (...), purché tali direttive (...) siano state notificate a tutti gli Stati membri attuali» fermo restando che «i nuovi Stati membri sono considerati come aventi ricevuto notifica di tali direttive (...) dopo l'adesione». Infine, ai sensi dell'art. 168 dello stesso Atto, «I nuovi Stati membri mettono in vigore le misure necessarie per conformarsi, dal momento dell'adesione, alle disposizioni delle direttive (...), ai sensi dell'articolo 189 del Trattato CE (...), fatti salvi gli eventuali termini previsti nell'elenco riportato nell'allegato XIX o in altre disposizioni del presente atto». La direttiva sul riciclaggio non è menzionata nel predetto allegato, né forma oggetto di specifiche disposizioni dell'Atto di adesione.

17.
    Ricordo infine alcune disposizioni transitorie relative alle procedure d'infrazione avviate dall'Autorità di vigilanza AELS (EFTA) prima dell'adesione dei nuovi Stati membri all'Unione europea. Secondo l'art. 172, nn. 6 e 7, dell'Atto di adesione, a partire dalla data di adesione «i nuovi Stati membri provvedono affinché tutti [i] casi di cui l'Autorità di vigilanza EFTA è stata investita nel quadro della procedura di vigilanza ai sensi del Trattato SEE prima dell'adesione siano trasmessi senza indugi alla Commissione, che li tratta come casi ricadenti sotto lecorrispondenti disposizioni comunitarie, sempre assicurando che si continui ad osservare il diritto di difesa», sul presupposto che «le decisioni prese dall'Autorità di vigilanza EFTA rimangono valide dopo l'adesione, purché la Commissione non prenda una decisione debitamente motivata in contrario, conformemente ai principi fondamentali della legislazione comunitaria».

La normativa nazionale pertinente

Considerazione introduttiva

18.
    Mi limiterò in questa sede a fornire gli opportuni ragguagli sulla normativa nazionale rilevante ai fini della presente causa. Tale normativa comprende essenzialmente alcune disposizioni del codice penale austriaco (17) (nel prosieguo: lo «StGB»), della legge bancaria austriaca (18) (nel prosieguo: la «BWG») e della legge austriaca sui depositi (19) (nel prosieguo: la «DG»), nonché talune comunicazioni ufficiali della Banca nazionale austriaca (20).

Diritto penale

19.
    Per quanto concerne il diritto penale, l'art. 165 dello StGB prevede espressamente il reato di «riciclaggio» («Geldwäscherei»), descritto, in buona sostanza, come il comportamento di chi nasconde beni provenienti da attività criminose compiute da altri, o ne altera l'origine fornendo false informazioni sulla loro provenienza, natura, titolarità, disponibilità, cessione o localizzazione (21). Fino al 1998 tale disposizione subordinava la punibilità del reato di riciclaggio alla condizione che i beni nascosti, o la cui origine è alterata, fossero «di un valore superiore a 100 000 ATS». Dopo il 1. ottobre 1998 tale condizione è stata soppressa nell'ambito di una riformulazione dell'ipotesi di reato mirante a rendere più penetrante la repressione del fenomeno del riciclaggio. Restano le aggravantipreviste per i casi in cui i beni riciclati siano «di un valore superiore a 500 000 ATS» o l'autore del reato sia membro di un'organizzazione criminale (22), nonché l'esimente introdotta (23) per i casi di ravvedimento attivo degli autori del reato.

Normativa bancaria

20.
    Per quanto riguarda la legislazione bancaria austriaca, occorre sottolineare che essa contiene disposizioni destinate a combattere il fenomeno del riciclaggio. In particolare, l'art. 40 della BWG prevede l'obbligo per gli enti creditizi e finanziari di procedere all'identificazione dei clienti quando: a) viene stabilita una relazione d'affari durevole; b) vengono effettuate operazioni che, pur non iscrivendosi nell'ambito di una relazione d'affari durevole, abbiano un importo di almeno 200 000 ATS, a prescindere dal fatto che si tratti di un'unica operazione o di più operazioni connesse, fermo restando che, se l'importo dell'operazione non è noto, l'identificazione del cliente avverrà quando l'importo sarà conosciuto o si constaterà che il predetto limite è raggiunto; c) esistono fondati motivi di sospettare che il cliente partecipi ad attività di riciclaggio. Gli enti creditizi e finanziari, inoltre, devono chiedere ai loro clienti se intendano svolgere la relazione d'affari per proprio conto o per conto di terzi e, in quest'ultimo caso, quale sia l'identità del loro mandante.

21.
    Fino al 31 luglio 1996 le predette disposizioni sull'identificazione dei clienti prevedevano deroghe alla loro applicazione rispetto, tra l'altro, all'apertura di «conti di risparmio» («Sparbücher») e di «conti titoli» («Wertpapierkonten»), nonché alle transazioni che li riguardano, fatto salvo quanto stabilito dalla Banca nazionale austriaca per i residenti e gli «stranieri» («Ausländer») (24). A partire dal 1. agosto 1996 l'obbligo di identificazione è stato esteso - con effetto a quella data - all'apertura di conti titoli (25), mentre per quanto concerne le transazioni effettuate a partire da tali conti o in favore di essi l'obbligo è stato previsto limitatamente all'accettazione ed all'acquisizione di valori mobiliari (26). Invece, la deroga perl'apertura di conti di risparmio è stata mantenuta, così come per le transazioni ad essi afferenti.

22.
    I conti di risparmio sono regolati dagli artt. 31 e 32 della BWG. Si tratta, in buona sostanza, di depositi pecuniari - aperti presso istituti di credito a ciò autorizzati - che non vengono utilizzati per effettuare operazioni di pagamento ma solo a fini d'investimento, e dai quali pertanto si possono prelevare somme solamente a certe condizioni e su presentazione di documenti speciali (libretti di risparmio), nominativi o al portatore. Nel caso di libretti al portatore, l'accesso al deposito può essere subordinato alla presentazione di una «parola d'ordine» particolare da parte del cliente. Ai fini della presente causa giova notare che le uniche operazioni consentite in relazione ai conti di risparmio sono i versamenti ed i prelievi, che vengono trascritti sul libretto; a partire da tali conti non è invece possibile, in linea di principio, emettere assegni o effettuare bonifici, anche se sono possibili bonifici effettuati da terzi in favore di un conto di risparmio. I conti in questione sono produttivi di interessi al tasso concordato, interessi che vengono di norma calcolati e versati alla fine dell'anno solare, termine che coincide normalmente con la scadenza del deposito (27).

Lo svolgimento della procedura d'infrazione

La procedura dinanzi all'Autorità di vigilanza AELS (EFTA)

23.
    Il 1. gennaio 1994 entrava in vigore l'accordo SEE. In tale contesto, con lettera del 17 giugno 1994 l'Autorità di vigilanza AELS (EFTA) chiedeva al governo austriaco dettagliate informazioni sulla normativa nazionale di recepimento della direttiva sul riciclaggio. Le autorità austriache fornivano tali informazioni con lettera del 25 luglio 1994.

24.
    Presa conoscenza delle predette informazioni, l'Autorità di vigilanza AELS (EFTA) inviava il 9 dicembre 1994 al governo austriaco una lettera di diffida ai sensi del predetto art. 31 dell'accordo tra gli Stati AELS (EFTA) del 2 maggio 1992, relativo all'istituzione di un'autorità di vigilanza e di una Corte di giustizia, invitando tale governo a conformarsi tempestivamente a tutte le disposizioni della direttiva rimaste fino ad allora inattuate. Le autorità austriache rispondevano a tale lettera il 9 gennaio 1995, riferendosi largamente a quanto già esposto nella loro lettera del 25 luglio 1994.

25.
    L'adesione dell'Austria all'Unione europea ha avuto luogo il 1. gennaio 1995. In conformità a quanto previsto dall'art. 172, n. 6, dell'Atto di adesione,l'Autorità di vigilanza AELS (EFTA) ha trasmesso alla Commissione, per competenza, l'intera corrispondenza scambiata col governo austriaco.

La procedura dinanzi alla Commissione

26.
    La Commissione decideva il 20 dicembre 1995 di riassumere la procedura d'infrazione, invitando il governo austriaco a presentare le proprie osservazioni su un certo numero di addebiti relativi all'adempimento degli obblighi previsti dalla direttiva. A tale proposito, il 14 febbraio 1996 veniva inviata una lettera di diffida ai sensi dell'art. 169, primo comma, del Trattato CE (divenuto art. 226 CE, primo comma). Il governo austriaco presentava le proprie osservazioni con una lettera del proprio rappresentante permanente del 12 aprile 1997, ma tali osservazioni non erano ritenute soddisfacenti dalla Commissione.

27.
    Persuasa della sussistenza dell'infrazione al diritto comunitario, la Commissione decideva di inviare al governo austriaco un parere motivato ai sensi e per gli effetti del predetto art. 169, primo comma, del Trattato CE. Tale parere veniva notificato con lettera del 21 febbraio 1997. Al parere motivato le autorità austriache rispondevano prima il 4 aprile 1997 con una lettera del Ministro federale delle Finanze, e poi il 17 aprile 1997 con una lettera del loro rappresentante permanente. Entrambe queste risposte venivano giudicate insoddisfacenti dalla Commissione.

28.
    Ritenendo dunque che l'inadempimento agli obblighi della direttiva continuasse a sussistere, la Commissione decideva di presentare, ai sensi dell'art. 169, secondo comma, del Trattato CE (divenuto art. 226 CE, secondo comma), il presente ricorso, depositato nella cancelleria della Corte il 28 luglio 1998.

Conclusioni delle parti

29.
    Nelle conclusioni del ricorso introduttivo della presente causa la Commissione chiede in sostanza alla Corte di statuire nel modo seguente:

-    constatare che la Repubblica d'Austria non ha rispettato gli obblighi derivanti dal Trattato CE e dagli artt. 2 e 3, nn. 1, 5 e 6, della direttiva, nella misura in cui:

    -    ha limitato il divieto di riciclaggio stabilito all'art. 165 dello StGB ai soli beni di valore superiore a 100 000 ATS;

    -    ha previsto l'identificazione del cliente in occasione dell'apertura di un conto titoli solo a partire dal 1. agosto 1996, e non dal 1. gennaio 1994 (data di entrata in vigore dell'accordo SEE);

    -    ha previsto l'identificazione del cliente in occasione di transazioni effettuate a partire da conti titoli esistenti o in favore di essi solo limitatamente all'accettazione ed all'acquisizione di valori mobiliari destinati a tali conti, secondo quanto previsto dall'art. 40, n. 5, della BWG;

    -    non ha previsto l'identificazione del cliente in occasione dell'apertura di un conto di risparmio a partire dal 1. gennaio 1994;

    -    non ha previsto l'identificazione del cliente in occasione di operazioni effettuate in relazione ad un conto di risparmio aperto anteriormente o successivamente al 1. gennaio 1994;

-    condannare la Repubblica d'Austria al pagamento delle spese.

30.
    Nella replica (28) la Commissione ha modificato il primo degli addebiti mossi al governo austriaco, chiedendo alla Corte di «constatare che la Repubblica d'Austria è venuta meno agli obblighi derivanti dal Trattato e dall'art. 2 della direttiva (...), poiché ha esteso il divieto di riciclaggio, previsto dall'art. 165 dello StGB, ai beni di valore inferiore a 100 000 ATS solo a partire dal 1. ottobre 1998». La Commissione chiede pure alla Corte di voler «dichiarare irricevibile l'eccezione figurante al punto IV del controricorso» (29), ossia l'eccezione di illegittimità sollevata dal governo austriaco in relazione all'art. 3 della direttiva.

31.
    Il governo austriaco, da parte sua, chiede in sostanza alla Corte di volere:

-    respingere in toto il ricorso;

-    condannare la Commissione al pagamento delle spese.

Sulla data di decorrenza dell'obbligo per il governo austriaco di conformarsi alle disposizioni della direttiva

La posizione delle parti

32.
    Nel suo ricorso la Commissione propone di assumere il 1. gennaio 1994, data di entrata in vigore dell'accordo SEE, come data di decorrenza dell'obbligo per il governo austriaco di conformarsi alle disposizioni della direttiva (30) e, pertanto, di considerare che i comportamenti illegittimi imputati a tale governo abbiano avuto inizio in quel momento. Peraltro, la Commissione non spiega, nemmeno nella replica (31), le ragioni della sua tesi se non con un vago riferimento a quanto previsto dai precitati artt. 7 e 36 dell'accordo SEE circa il carattere vincolante degli atti comunitari richiamati nell'allegato IX dell'accordo stesso - fra i quali figura la direttiva sul riciclaggio - e l'obbligo per le Parti contraenti di recepirli nei rispettivi ordinamenti giuridici.

33.
    Se nel corso della procedura scritta il governo austriaco non ha espressamente contestato la tesi sostenuta dalla Commissione circa la data di decorrenza dell'obbligo di conformarsi alle disposizioni della direttiva (32), all'udienza del 15 marzo 2000 esso ha invece sostenuto che tale obbligo potrebbe essere fatto decorrere solo dalla data di adesione dell'Austria all'Unione europea, ossia dal 1. gennaio 1995, e che l'accertamento di presunti addebiti riferiti al periodo intercorrente fra il 1. gennaio 1994 - data di entrata in vigore dell'accordo SEE - ed il 31 dicembre 1994 esulerebbe dalla competenza della Corte.

L'opinione dell'avvocato generale

34.
    Ancorché tardive, le osservazioni critiche mosse in udienza dal governo austriaco alla tesi sostenuta dalla Commissione mi sembrano convincenti, anche in relazione alla giurisprudenza della Corte che è venuta formandosi circa le relazioni intercorrenti fra l'ordine giuridico comunitario ed il diverso ordine giuridico risultante dall'accordo SEE.

35.
    Rilevo al riguardo che, secondo il precitato art. 166 dell'Atto di adesione, i nuovi Stati membri - fra cui la Repubblica d'Austria - sono considerati come destinatari delle direttive comunitarie preesistenti a partire dal momento della loro adesione, e come aventi ricevuto notifica di tali direttive dopo l'adesione. Inoltre, ai sensi del già citato art. 168 dello stesso Atto, i nuovi Stati membri devono adottare le misure necessarie per conformarsi alle disposizioni delle direttive preesistenti solo dal momento della loro adesione, a meno che non vengano previsti termini diversi per il recepimento di tali direttive. Secondo tali disposizioni, l'obbligo per il governo austriaco di adeguarsi a quanto previsto nella direttiva sul riciclaggio nonpuò che decorrere dal 1. gennaio 1995, data di adesione dell'Austria all'Unione europea, nessun altro termine speciale essendo previsto dagli allegati dell'Atto di adesione. Nell'unico precedente specifico in materia (33), del resto, la Corte sembra implicitamente ammettere l'idea che la Repubblica d'Austria sia tenuta al rispetto della normativa comunitaria solamente a partire dalla sua adesione all'Unione europea, avvenuta il 1. gennaio 1995 (34).

36.
    Certo, secondo quanto previsto dall'art. 7 dell'accordo SEE, le Parti contraenti - fra le quali l'Austria - erano tenute a recepire le direttive menzionate negli allegati dell'accordo - fra le quali quella sul riciclaggio - fin dal momento dell'entrata in vigore dell'accordo stesso. Ma tale obbligo va inquadrato nell'ambito del peculiare ordine giuridico instauratosi fra la Comunità e gli Stati AELS (EFTA) in seguito all'accordo SEE, ordine in base al quale solo la Corte AELS (EFTA) era ed è competente a pronunciarsi sulle controversie relative agli Stati AELS (EFTA). Ora, dopo l'adesione la Repubblica d'Austria fa parte integrante della Comunità ed è soggetta a partire dal 1. gennaio 1995 al diritto comunitario, alla stregua del quale vanno valutati i suoi comportamenti. In tale ottica, ammettere che all'Austria possano essere imputati addebiti che, in parte, riguardano periodi, anche limitati, nei quali tale Stato, pur essendo contraente dell'accordo SEE, non aveva ancora aderito all'Unione europea significa attribuire alla Corte la competenza a pronunciarsi su controversie che, ratione materiae, non le appartengono. Tale affermazione trova riscontro in quanto di recente ha stabilito la Corte stessa in due sentenze pregiudiziali riguardanti, rispettivamente, la Svezia (35) e l'Austria (36) econcernenti la responsabilità dello Stato membro per i danni causati dalla non corretta trasposizione di alcune direttive. Nella prima di tali sentenze la Corte ha stabilito, tra l'altro, che essa non è competente a pronunciarsi sull'interpretazione dell'accordo SEE per quanto riguarda la sua applicazione negli Stati AELS (EFTA), né in base al Trattato CE né in base allo stesso accordo SEE, e che «la circostanza che lo Stato dell'AELS considerato sia successivamente divenuto Stato membro dell'Unione europea (...) non può avere l'effetto di attribuire alla Corte una competenza relativa all'interpretazione dell'accordo SEE per quanto riguarda l'applicazione di quest'ultimo a situazioni che esulano dall'ordinamento giuridico comunitario» (37), fermo restando che «le competenze della Corte comprendono l'interpretazione del diritto comunitario, di cui l'accordo SEE forma parte integrante, per quanto attiene alla sua applicazione nei nuovi Stati membri a decorrere dalla data della loro adesione» (38). Nella seconda delle predette sentenze la Corte ha precisato che essa «non ha competenza, né ai sensi dell'art. [234 CE] né in forza dell'Accordo SEE, a pronunciarsi sull'interpretazione dell'Accordo SEE sotto il profilo della sua esecuzione da parte della Repubblica d'Austria durante il periodo precedente all'adesione di tale Stato all'Unione europea» (39), essendo «competente unicamente a pronunciarsi sul se uno Stato membro che ha aderito all'Unione europea il 1. gennaio 1995» (40) abbia correttamente recepito le disposizioni di una direttiva dopo tale data. Da tali pronunce si ricava l'idea che, dall'angolo visuale del diritto comunitario, possano essere sindacati dalla Commissione e giudicati dalla Corte solo quei comportamenti degli Stati membri che riguardino periodi successivi all'adesione di questi ultimi all'Unione europea. Se è vero che la Corte ha ammesso, in alcune sentenze (41) anteriori a quelle richiamate, che l'ambito di applicazione di alcune disposizioni del Trattato CE può estendersi «agli effetti delle situazioni sorte prima dell'adesione di [uno] Stato membro alle Comunità» (42), ciò è stato sempre affermato sul presupposto che dette disposizioni fossero vincolanti per tale Stato solo alla data della sua adesioneall'Unione europea (43). Inoltre, deroghe del genere si giustificano solo in base all'importanza del principio affermato - nei casi di specie si trattava del divieto di discriminazione in base alla nazionalità - e della gravità dell'infrazione a tale principio, criteri che impongono alla Corte di valutare con particolare attenzione le posizioni soggettive degli operatori colpiti dalle misure nazionali confliggenti col diritto comunitario (44).

37.
    Contro la predetta linea di ragionamento non possono, a mio avviso, trarsi argomenti utili dalla lettura delle disposizioni transitorie di cui all'art. 172, nn. 6 e 7, dell'Atto di adesione, relative alle procedure avviate dall'Autorità di vigilanza AELS (EFTA). Tali disposizioni, infatti, prevedono, rispettivamente, che i casi di cui l'Autorità è stata investita nel quadro della procedura di vigilanza siano trasmessi alla Commissione dopo l'adesione di uno Stato membro che fosse, prima, Parte contraente dell'accordo SEE, e che le decisioni prese dalla stessa Autorità rimangano valide anche dopo l'adesione. Esse, però, nulla dicono della data di decorrenza dell'obbligo per il governo di un nuovo Stato membro di conformarsi al diritto comunitario, né del momento a partire dal quale le infrazioni a tale diritto possono essere sindacate dalla Commissione. Al riguardo, non può che farsi riferimento a quanto stabilito dai predetti artt. 166 e 168 dell'Atto di adesione, da cui si desume che il momento in questione coincide con quello dell'adesione del nuovo Stato membro all'Unione europea (45).

38.
    Sulla base delle osservazioni che precedono, ritengo pertanto che la Corte debba dichiarare (46) la propria incompetenza a pronunciarsi su quella parte degli addebiti rivolti dalla Commissione al governo austriaco che riguardano il periodocompreso fra il 1. gennaio 1994, data di entrata in vigore dell'accordo SEE, ed il 1. gennaio 1995, data di adesione dell'Austria all'Unione europea.

Sulla pretesa violazione dell'obbligo di provvedere a che il riciclaggio sia vietato

L'addebito originario della Commissione e la sua modifica dopo la proposizione del ricorso

39.
    Nelle conclusioni del ricorso introduttivo della presente causa la Commissione chiede, in primo luogo, alla Corte di constatare che il governo austriaco non avrebbe rispettato l'obbligo derivante dall'art. 2 della direttiva, che impone agli Stati membri di provvedere a che il riciclaggio sia vietato, in quanto tale governo circoscriverebbe il campo di applicazione del reato di riciclaggio - previsto e disciplinato dall'art. 165 dello StGB - ai soli beni di valore superiore a 100 000 ATS. In altre parole, la Commissione rimprovera all'Austria di avere previsto una soglia quantitativa per la punibilità delle operazioni di riciclaggio, in contrasto con la previsione della direttiva che impone agli Stati membri di vietare sempre e senza limitazioni il riciclaggio.

40.
    Con lettera del Ministro federale della Giustizia del 28 agosto 1998 alla Commissione e, successivamente, nel controricorso (47) depositato il 9 ottobre 1998, il governo austriaco comunicava che l'art. 165 dello StGB era stato opportunamente modificato da una legge federale adottata dal Nationalrat nel luglio 1998 e pubblicata nell'agosto 1998 (48). Tale novella sopprimeva la soglia quantitativa di 100 000 ATS con effetto dal 1. ottobre 1998.

41.
    Dopo aver preso conoscenza dell'avvenuta modifica della disposizione nazionale incriminata, la Commissione procedeva anch'essa nella replica (49) ad una modifica della formulazione originaria dell'addebito mosso al governo austriaco, chiedendo alla Corte di «constatare che la Repubblica d'Austria è venuta meno agli obblighi derivanti dal Trattato e dall'art. 2 della direttiva (...) poiché ha esteso il divieto di riciclaggio, previsto dall'art. 165 dello StGB, ai beni di valore inferiore a 100 000 ATS solo a partire dal 1. ottobre 1998». Le conclusioni poste alla fine della replica, peraltro, non menzionavano la predetta modifica, per un evidente difetto di coordinamento.

42.
    Nella controreplica il governo austriaco ha preso atto della modifica dell'addebito operata dalla Commissione, senza pronunciarsi sulla sua ricevibilità.

L'opinione dell'avvocato generale sulla ricevibilità della modifica dell'addebito originario dopo la proposizione del ricorso

43.
    Come ho indicato in precedenza, il governo austriaco non ha eccepito nella controreplica l'irricevibilità della modifica dell'addebito originario formulata dalla Commissione. Peraltro, secondo l'art. 92, n. 2, del regolamento di procedura, l'irricevibilità per motivi di ordine pubblico può in qualsiasi momento venire rilevata d'ufficio dalla Corte. Ora, nel caso di specie la modifica operata dalla Commissione incide sull'identificazione dell'oggetto della controversia e mette in discussione le garanzie procedurali previste dal Trattato, ragioni per le quali la valutazione della ricevibilità di tale modifica può essere inquadrata nella predetta norma regolamentare (50).

44.
    Osservo in via preliminare che, secondo una giurisprudenza costante, «la lettera di diffida inviata dalla Commissione allo Stato membro e poi il parere motivato della Commissione delimitano la materia del contendere, che quindi non può più essere ampliata» (51), dal momento che la possibilità per lo Stato interessato di difendersi costituisce una garanzia essenziale per la regolarità del procedimento di accertamento dell'inadempimento imputato a quest'ultimo (52). Ora, nella presente causa non è contestato che l'addebito originariamente formulato nelle conclusioni del ricorso sia lo stesso addebito imputato dalla Commissione all'Austria nella lettera di diffida del 14 febbraio 1996 e nel parere motivato del 21 febbraio 1997. Da questo punto di vista, la Commissione ha rispettato pienamente le regole del procedimento d'infrazione. Il problema che si pone riguarda esclusivamente la fase successiva alla presentazione del ricorso: si tratta di verificare se la modifica dell'addebito in questione, operata dalla Commissione, possa considerarsi ricevibile.

45.
    Nutro seri dubbi al riguardo. La giurisprudenza ha ammesso che, nell'ambito di un procedimento volto all'accertamento dell'inadempimento di uno Stato membro ad obblighi derivanti a suo carico dal diritto comunitario, l'oggetto della controversia possa essere modificato dopo la presentazione del ricorso per effetto di comportamenti imputabili allo Stato convenuto, ma solo nel senso di restringeregli addebiti, ossia di limitare la materia del contendere (53). Non sono invece ammesse - in quanto violerebbero il diritto di difesa dello Stato membro interessato - modifiche alle conclusioni del ricorso che introducano una variazione sostanziale od un ampliamento dell'oggetto della controversia, nel senso di prevedere nuovi addebiti o di aggravare quelli esistenti (54). Ora, nel caso di specie la Commissione, dopo aver preso conoscenza dell'intervenuta modifica della normativa nazionale incriminata nel senso da essa preconizzato, avrebbe potuto mantenere inalterate le conclusioni, chiedendo la constatazione dell'inadempimento con riferimento al momento dell'emissione del parere motivato, oppure rinunziare parzialmente agli atti sul punto interessato. Invece, la Commissione ha scelto una terza via, gravida di conseguenze negative di cui, evidentemente, non si è resa conto: ha cioè modificato l'addebito, chiedendo alla Corte di accertare che l'Austria è venuta meno agli obblighi derivanti dalla direttiva nella misura in cui ha eliminato la soglia quantitativa di cui all'art. 165 dello StGB solamente a partire dal 1. ottobre 1998, lasciando scoperto il periodo antecedente. Così facendo, la Commissione ha modificato il contenuto sostanziale del proprio addebito, trasformandolo da censura relativa all'insufficiente estensione quantitativa del divieto di riciclaggio a censura relativa alla mancanza di effetti retroattivi della novella introdotta nel 1998. In tali condizioni, ritengo che la modifica introdotta nellareplica - indipendentemente da ogni considerazione circa la sua fondatezza (55) - concretizzi un nuovo addebito, ovviamente non preceduto dalla necessaria procedura precontenziosa che avrebbe dovuto essere avviata secondo le regole previste dal Trattato CE.

46.
    Per queste ragioni propongo alla Corte di dichiarare irricevibile il nuovo addebito formulato dalla Commissione nella replica in sostituzione di quello originario.

Sull'obbligo di garantire che gli enti creditizi e finanziari prevedano l'identificazione dei loro clienti

La posizione della Commissione

47.
    Come si è visto in precedenza, l'art. 3 della direttiva prevede che gli Stati membri impongano agli enti creditizi e finanziari di procedere all'identificazione dei loro clienti stabili e - per le operazioni di valore pari o superiore a 15 000 ecu - occasionali, al fine di evitare che dell'anonimato approfittino coloro che procedono al riciclaggio. La Commissione interpreta questa disposizione come l'espressione di un principio generale - introdotto dalla direttiva nel quadro di una progressiva sensibilizzazione, a livello internazionale, contro i rischi ed i pericoli del riciclaggio - di sfavore verso ogni forma di anonimato bancario o finanziario, basandosi sul presupposto che l'anonimato favorisce oggettivamente l'insorgere di fenomeni criminosi volti a riciclare i proventi di attività illecite. In tale ottica, la Commissione fa espresso riferimento (56) alle iniziative assunte nelle principali istanze internazionali (Nazioni Unite, Consiglio d'Europa etc.), ed in particolare alle raccomandazioni della «Task Force finanziaria contro il riciclaggio» («Financial Action Task Force on Money Laundering»), istituita nel luglio 1989 dal vertice di Parigi dei sette paesi più industrializzati (57). Assumono pertanto un rilievo importante, in quest'ordine di idee, le disposizioni previste ai nn. 5 e 6 dell'art. 3 della direttiva, secondo cui gli enti creditizi e finanziari devono, qualora sia dubbio se il cliente agisca per proprio conto o sia certo che non agisce per proprio conto, informarsi sull'identità del mandante e, qualora vi sia sospetto di riciclaggio, procedere sempre all'identificazione del cliente.

48.
    Seguendo questa linea di ragionamento, la Commissione ritiene che il predetto art. 3 della direttiva si applichi a tutti i casi in cui un cliente allacci stabili rapporti d'affari con un ente creditizio e finanziario, o un cliente occasionale effettui operazioni con un ente del genere. In particolare, si dovrebbe prescindere del tutto dalla tipologia dei rapporti d'affari e delle operazioni occasionali, nel senso che la loro funzione, le loro peculiarità o le loro caratteristiche sarebbero del tutto ininfluenti ai fini dell'obbligo di identificazione stabilito dalla direttiva. A tal fine, il n. 1 dell'art. 3 della direttiva fa espresso riferimento all'apertura di conti o libretti di deposito ed ai servizi di custodia dei beni, ma tale elenco non sarebbe esaustivo, dal momento che in realtà la direttiva si applicherebbe a tutte le transazioni che comportano movimenti di capitali (58), al fine di garantirne l'effetto utile nella lotta contro il riciclaggio.

L'eccezione di illegittimità sollevata dal governo austriaco

49.
    Il governo austriaco contesta l'interpretazione dell'art. 3 della direttiva data dalla Commissione in ordine al problema dei conti e delle operazioni anonimi. Secondo il governo austriaco, la disposizione in questione dovrebbe essere interpretata esclusivamente alla luce delle norme sulla base delle quali la direttiva è stata adottata dal Consiglio, ossia gli artt. 57, n. 2, prima e seconda frase, e 100 A del Trattato CEE, concernenti, rispettivamente, le attività non salariate nel quadro del diritto di stabilimento e l'armonizzazione delle normative nazionali riguardanti il mercato interno. Pertanto, l'obbligo di identificazione del cliente previsto e regolato dall'art. 3 della direttiva riguarderebbe soltanto «le transazioni che minacciano la libertà di circolazione dei capitali in seno al mercato interno, offrendo la possibilità di riciclare capitali» (59). Ogni altra interpretazione comporterebbe la conseguenza di porre la direttiva al di fuori dei limiti di competenza sulla base dei quali è stata adottata dal Consiglio e, di conseguenza, di rendere illegittime le disposizioni dell'art. 3 sull'obbligo generalizzato di identificazione dei clienti degli enti creditizi e finanziari (60).

50.
    Sulla base delle predette osservazioni, il governo austriaco solleva nel controricorso un'eccezione di illegittimità, fondata sull'art. 184 del Trattato CE (divenuto art. 241 CE), in ordine all'art. 3 della direttiva nell'interpretazione datane dalla Commissione. Da parte austriaca si ritiene che un'eccezione del genere siaricevibile nel quadro della presente causa, volta a constatare l'eventuale sussistenza di un inadempimento al diritto comunitario, precisamente in ragione del fatto che il governo austriaco non avrebbe avuto la possibilità di contestare, mediante un ricorso di annullamento, il fondamento legale della disposizione in questione (61). Peraltro, il governo austriaco lascia pure intendere che la Corte potrebbe sindacare d'ufficio la legalità della disposizione rilevante (62).

L'opinione dell'avvocato generale sull'eccezione di illegittimità

51.
    Dico subito che, a mio avviso, uno Stato membro non può sollevare, nell'ambito del procedimento di accertamento di una sua presunta infrazione al diritto comunitario, un'eccezione di illegittimità in ordine alla direttiva - o alla specifica disposizione di una direttiva - del cui inadempimento viene rimproverato.

52.
    La Corte ha avuto modo di sottolineare, con riferimento alle decisioni, che «consentire allo Stato membro destinatario di una decisione adottata in forza dell'art. 93, n. 2, 1. comma, di rimettere in causa la validità di questa, in occasione del ricorso contemplato dal 2. comma della stessa disposizione, nonostante la scadenza del termine di cui all'art. 173, 3. comma, del Trattato, sarebbe inconciliabile con i principi che disciplinano i mezzi di ricorso istituiti dal Trattato e recherebbe pregiudizio alla stabilità di questo sistema nonché al principio della certezza del diritto cui questo è informato» (63), e che «il sistema delle impugnazioni predisposto dal trattato distingue i ricorsi di cui agli artt. 169 e 170, che mirano a far accertare che uno Stato membro non ha adempiuto agli obblighi che gli incombono, e i ricorsi di cui agli artt. 173 e 175, che mirano a far controllare la legittimità degli atti o delle omissioni delle istituzioni comunitarie. Questi mezzi d'impugnazione perseguono scopi distinti e sono soggetti a modalità diverse. Uno Stato membro, quindi, in mancanza di una disposizione del trattato che lo autorizzi espressamente, non può eccepire l'illegittimità di una decisione di cui sia destinatario come argomento difensivo nei confronti del ricorso per inadempimento basato sulla mancata esecuzione di tale decisione» (64), fermo restando che un'eccezione del genere «potrebbe essere accolta solo se l'atto di cui è causa fosse inficiato da vizi particolarmente gravi ed evidenti, al punto da potersi considerareun atto inesistente» (65). In relazione ai regolamenti, specificamente menzionati nell'art. 184 del Trattato CE, la Corte ha messo in rilievo che quest'ultima disposizione «è espressione di un principio generale che garantisce a qualsiasi parte il diritto di contestare, al fine di ottenere l'annullamento di una decisione che la concerne direttamente e individualmente, la validità di precedenti atti delle istituzioni comunitarie, che costituiscono il fondamento giuridico della decisione impugnata, qualora non avesse il diritto di proporre, in forza dell'art. 173 del Trattato, un ricorso diretto contro tali atti, di cui essa subisce così le conseguenze senza averne potuto chiedere l'annullamento» (66). Mi sembra superfluo soffermarmi sulle affermazioni sopra riportate, che risultano di per sé eloquenti nell'escludere che uno Stato membro possa utilizzare il meccanismo processuale dell'eccezione di illegittimità nell'ambito di una procedura d'infrazione (67). Aggiungo che l'esclusione in questione è stata chiaramente ribadita dalla Corte (68) anche in riferimento ad una direttiva il cui inadempimento venga contestato dalla Commissione ad uno Stato membro. Nella specie, la Germania aveva sollevato un'eccezione di illegittimità in relazione all'art. 26 della sesta direttiva sull'IVA, lamentando la nullità di tale disposizione. La Corte, facendo espresso riferimento al punto 14 della sentenza Commissione/Grecia, in precedenza riportato, aggiunge che uno Stato membro «non può neppure far valere l'illegittimità di una direttiva il cui inadempimento gli sia addebitato dalla Commissione» (69), rilevando peraltro - come già aveva fatto al punto 16 della sentenza Commissione/Grecia - che una diversa soluzione «potrebbe valere solo se l'atto di cui è causa fosse inficiato da vizi particolarmente gravi ed evidenti, al punto da potersi considerare un atto inesistente» (70), mezzo che peraltro non era stato dedotto dal governo tedesco nel caso di specie.

53.
    In conformità alle linee giurisprudenziali sopra ricordate, sono persuaso che nella presente causa il governo austriaco non possa far valere l'illegittimità dell'art. 3 della direttiva, il cui inadempimento gli viene addebitato dalla Commissione (71). Certo, il governo austriaco sottolinea nella controreplica che «solo nel quadro dell'interpretazione proposta dalla Commissione la direttiva eccede, in quanto tale, le competenze della Comunità» (72). Ma tale affermazione non esclude il fatto incontestabile che l'eccezione sollevata da tale governo mette in discussione il fondamento giuridico della disposizione del cui inadempimento è accusato, ciò che risulta escluso per le ragioni in precedenza esaminate. Del resto, da parte austriaca non vengono dedotti argomenti miranti a dimostrare che la direttiva, in particolare il suo art. 3, è inficiata da vizi talmente gravi ed evidenti da renderla un atto inesistente, circostanza che, sola, giustificherebbe il ricorso all'eccezione di illegittimità. La parte convenuta, infatti, ritiene che l'art. 3 della direttiva, come interpretato dalla Commissione, ecceda le competenze comunitarie, sia cioè viziato da incompetenza ai sensi dell'art. 173, secondo comma, del Trattato CE (divenuto art. 230 CE, secondo comma), ma non mostra di considerare tale disposizione alla stregua di un «atto inesistente».

54.
    Il governo austriaco, tuttavia, fa presente di non aver avuto la possibilità di contestare, mediante un ricorso di annullamento, la validità dell'art. 3 della direttiva, dal momento che il termine di trasposizione di quest'ultima era già scaduto al momento dell'adesione dell'Austria all'Unione europea. In altre parole, tale governo lamenta che la direttiva facesse parte dell'acquis communautaire e che l'Atto di adesione non offrisse ai nuovi Stati membri la possibilità di chiedere l'annullamento di atti comunitari già in vigore al 1. gennaio 1995, o il cui termine di recepimento fosse comunque scaduto. Questo argomento tende, in sostanza, a contestare la fondatezza di obblighi che l'Austria ha liberamente assunto aderendo all'Unione europea; esso non può, pertanto, essere accolto. Ricordo al riguardo che, secondo la giurisprudenza, gli «atti di adesione non costituiscono (...) atti delle istituzioni e pertanto la validità delle disposizioni che essi contengono non può essere contestata davanti alla Corte» (73). E' del resto nel vero la Commissione quando afferma nella replica (74) che l'Austria «non ha mai sostenuto nel corso dei negoziati per l'adesione che la direttiva eccedeva il quadro delle competenze della Comunità per regolamentare il settore, e non ha fatto la minima dichiarazione che andasse in questo senso». Se da parte austriaca si riteneva che la direttiva dovesse interpretarsi in un certo modo, sarebbe stato più prudente chiedere di inserire nell'Atto di adesione un riferimento specifico al criterio interpretativo auspicato oalmeno corredare tale Atto di una dichiarazione in tal senso. Ma è incontestato che tali elementari cautele non sono state prese al momento dell'adesione, dovendosi così presumere che il governo austriaco abbia dato il suo incondizionato assenso al fondamento legale e al contenuto sostanziale della direttiva. Del resto, il governo austriaco non ha mai attivato la procedura prevista dall'art. 13, n. 1, della direttiva per investire il «comitato di contatto» dei problemi sollevati dall'interpretazione estensiva data dalla Commissione in ordine agli obblighi derivanti dall'art. 3 della direttiva stessa.

55.
    In tale prospettiva, non ritengo opportuno sollevare nella presente causa la delicata questione della possibilità per la Corte di sindacare d'ufficio la disposizione rilevante della direttiva. Mi sembra, infatti, che il fine realmente perseguito dal governo convenuto nella presente causa sia quello di contestare l'interpretazione estensiva che la Commissione dà dell'obbligo di identificazione dei clienti degli enti creditizi e finanziari e che i dubbi espressi da questo governo circa la legittimità della direttiva abbiano un carattere essenzialmente strumentale rispetto al predetto obiettivo. Non è quindi, a mio avviso, necessario ai fini della controversia in esame soffermarsi ulteriormente sul fondamento giuridico della direttiva. Occorre invece verificare concretamente se l'interpretazione che la Commissione ha ritenuto di dare dell'obbligo in questione sia giustificata in relazione agli specifici addebiti mossi al governo austriaco (75). E' quello che mi riprometto di fare nel prosieguo.

L'opinione dell'avvocato generale sull'interpretazione dell'art. 3 della direttiva

56.
    Sono persuaso della piena conformità della direttiva sul riciclaggio al contenuto essenziale delle norme - gli artt. 57 e 100 A - del Trattato CEE sulla base delle quali essa è stata adottata dal Consiglio. Ciò per le considerazioni che seguono.

57.
    La direttiva non eccede le competenze comunitarie in materia di libertà di stabilimento e mercato interno, bensì ne valorizza congiuntamente le potenzialità al fine di garantire che lo spazio finanziario integrato creatosi in seno alla Comunità non divenga il campo di azione della criminalità organizzata, ma l'ambito privilegiato dell'attività economica di quegli operatori che, usando del loro diritto di stabilimento in modo funzionale agli interessi della Comunità, beneficiano dei vantaggi di un mercato interno basato su regole certe e trasparenti. In tal modo, l'accesso alle attività creditizie e finanziarie nonché il loro esercizio vengono favoriti dalle disposizioni miranti a combattere il riciclaggio, ed il funzionamento del mercato interno risulta rafforzato dal progressivo esaurimento dei flussi di capitali sporchi, con risultati positivi destinati a ripercuotersi sull'intero sistema finanziariocomunitario. Certo, la lotta al riciclaggio non costituisce propriamente la finalità della direttiva, considerate le basi giuridiche su cui questa poggia, ma sicuramente rappresenta lo strumento indispensabile per l'efficace perseguimento degli scopi che la direttiva stessa legittimamente persegue. Ne segue che le disposizioni della direttiva devono, per corrispondere ai fini cui sono dirette, formare oggetto di un'applicazione generalizzata, che non ammetta eccezioni, lacune o, peggio, trattamenti privilegiati per determinati Stati membri. In altre parole, ritengo che il regime di identificazione dei clienti previsto dall'art. 3 della direttiva, per essere veramente efficace, debba considerarsi un sistema chiuso e di conseguenza applicarsi indistintamente a tutti i rapporti d'affari e a tutte le operazioni cui le disposizioni di tale articolo si riferiscono, indipendentemente dalla loro natura, dalle loro caratteristiche giuridiche o finanziarie e, soprattutto, dalle loro vere o presunte finalità (76).

58.
    In tale contesto, la formulazione del n. 1 dell'art. 3 della direttiva non mi sembra dia adito a dubbi interpretativi. Tale disposizione, infatti, si riferisce ai rapporti d'affari, di natura creditizia o finanziaria, che si instaurano stabilmente fra una banca ed un cliente. La nozione di stabilità del legame così costituitosi scaturisce dalle parole all'uopo utilizzate nella disposizione in questione, che prevede l'identificazione dei clienti quando questi «allacciano rapporti di affari» con le banche, nonché dal riferimento, operato a titolo puramente esemplificativo, alle ipotesi del «conto o libretti di deposito» e dei «servizi di custodia dei beni». In altre parole, la direttiva esige sempre l'identificazione quando un soggetto diventa cliente stabile di un ente creditizio o finanziario.

59.
    Viceversa, ritengo che il n. 1 dell'art. 3 della direttiva non prenda in considerazione le singole operazioni effettuate nell'ambito dell'attività creditizia o finanziaria di una banca, sia che queste operazioni vengano effettuate da un cliente stabile di quella banca, già identificato per questo motivo, sia che esse vengano compiute in quella banca da un cliente occasionale, caso nel quale trova applicazione la disposizione di cui al n. 2 dello stesso articolo, col limite quantitativo in esso previsto. Tale interpretazione mi sembra ispirata a criteri logici (77), nonché alle parole stesse del predetto n. 2, che si riferiscono alle «operazioni con clienti diversi da quelli di cui al paragrafo 1». Sarebbe del tuttosuperfluo, infatti, che una banca proceda alla formalità di identificazione di un proprio cliente stabile ogni qual volta questi effettua un'operazione economica. D'altro canto, per assicurare il perseguimento delle finalità della direttiva occorre, ed è ragionevole, che la banca identifichi il cliente occasionale che effettua un'operazione senza instaurare con essa un rapporto stabile. Al riguardo, soccorre specificamente la disposizione del n. 2 dell'art. 3, che fissa un limite - 15 000 ecu - al di sopra del quale scatta l'obbligo per l'ente creditizio e finanziario di procedere alla formalità dell'identificazione.

60.
    In tale ottica, il n. 5 dell'art. 3 funge da garanzia di buon funzionamento dell'obbligo di identificazione nel caso di clienti - stabili o occasionali - che agiscano come prestanome: la conoscenza dell'«effettiva identità delle persone per conto delle quali questi clienti agiscono» diventa infatti indispensabile per non privare di effetto utile le disposizioni di cui ai predetti nn. 1 e 2 dello stesso articolo. Dal canto suo, la norma di cui al successivo n. 6 - che prevede l'obbligo di identificazione in ogni caso, qualora vi sia «sospetto di riciclaggio» - aggiunge coerenza all'intero sistema dell'identificazione del cliente, eliminando ogni lacuna nell'ambito delle operazioni sottoposte al controllo dell'identità dell'operatore.

Sulla pretesa violazione dell'obbligo di identificazione con riguardo alla regolamentazione austriaca dei conti di risparmio

Gli addebiti della Commissione

61.
    La Commissione imputa innanzitutto all'Austria il mancato rispetto dell'obbligo di identificazione dei clienti, secondo l'art. 3, nn. 1, 5 e 6, della direttiva, con riguardo alla regolamentazione austriaca dei conti di risparmio («Sparbücher»). In particolare, nelle conclusioni del ricorso la Commissione rivolge al governo austriaco due addebiti specifici: a) l'addebito di non aver previsto l'identificazione del cliente in occasione dell'apertura di un conto di risparmio a partire dal 1. gennaio 1994, e b) l'addebito di non aver previsto l'identificazione del cliente in occasione di transazioni effettuate in relazione ad un conto di risparmio aperto anteriormente o successivamente al 1. gennaio 1994.

62.
    Secondo la Commissione, il n. 1 dell'art. 3 della direttiva imporrebbe agli enti creditizi e finanziari l'obbligo di identificare i loro clienti «quando allacciano rapporti di affari», ossia quando instaurano con l'ente legami durevoli, senza che possa essere operata alcuna distinzione in ordine alla natura del rapporto d'affari. I conti di risparmio, dunque, sarebbero inclusi senza riserve nel campo di applicazione della disposizione in questione. La legislazione bancaria austriaca, in particolare l'art. 40 della BWG, continuerebbe invece ad esonerare i conti di risparmio dall'obbligo di identificazione, per ragioni pretestuose. Dal canto suo, il n. 2 dell'art. 3 prevederebbe un obbligo generalizzato di identificazione anche per tutte le operazioni creditizie e finanziarie «il cui importo sia pari o superiore a15 000 ecu», concluse con clienti occasionali. Le transazioni riguardanti i conti di risparmio, indipendentemente dalla data della loro apertura, ricadrebbero nel campo di applicazione di tale disposizione a partire dalla sua entrata in vigore per l'Austria. L'art. 40 della BWG, invece, non imporrebbe l'obbligo di identificazione per le transazioni che riguardano i conti di risparmio. Le uniche eccezioni - peraltro limitate - al regime dell'anonimato concernerebbero solo gli «stranieri», ossia i soggetti non residenti nel territorio austriaco (78), mentre per i residenti, una volta provata la residenza, l'identificazione non sarebbe prevista se non nel caso dell'apertura di conti in divise estere. Si tratterebbe, peraltro, di deroghe basate su atti (le comunicazioni ufficiali della Banca nazionale austriaca) la cui natura giuridica sarebbe dubbia (79).

63.
    La Commissione sostiene inoltre che il regime dell'anonimato esistente in Austria per i conti di risparmio e le transazioni ad essi afferenti priverebbe di effetto utile le disposizioni di cui ai nn. 5 e 6 dell'art. 3 della direttiva, secondo cui gli enti creditizi e finanziari devono, qualora sia dubbio se il cliente agisca per proprio conto o sia certo che non agisce per proprio conto, informarsi sull'identità del mandante e, qualora vi sia sospetto di riciclaggio, procedere sempre all'identificazione del cliente anche se l'operazione non supera la soglia prevista dal n. 2. Nel primo caso la contraddizione della normativa nazionale con la direttiva sarebbe flagrante, poiché la regola dell'anonimato impedirebbe alla banca di attivare il meccanismo di ricerca dell'effettiva identità del mandante (80). Nel secondo caso sarebbe difficile poter concretizzare sospetti di riciclaggio in relazione a transazioni relative a conti di risparmio anonimi, dal momento che «la verifica dell'identità del cliente che realizza una transazione concernente un conto di risparmio anonimo non ha alcuna utilità pratica e non permette in alcun modo di trarre delle conclusioni sulla situazione economica reale» (81).

Gli argomenti difensivi del governo austriaco

64.
    Il governo austriaco ammette che l'art. 40 della BWG prevede una deroga all'obbligo di identificazione dei clienti per i conti di risparmio e per le operazioni ad essi relative, ma sostiene che tale deroga sarebbe compensata dalle disposizioni della comunicazione ufficiale della Banca nazionale austriaca DL 2/91, cheprevedono la verifica della residenza del cliente (82), verifica che equivarrebbe ad una sorta di identificazione personale. In ogni caso, l'identificazione avverrebbe sempre in occasione dell'apertura di conti di risparmio in favore di non residenti, dell'apertura di conti in divise estere da parte di residenti, nonché del deposito su conti di risparmio, con finalità di gestione o di conservazione, di fondi patrimoniali ricevuti da non residenti.

65.
    Da parte austriaca si afferma inoltre che i conti di risparmio previsti dalla BWG non potrebbero essere inquadrati nell'ambito dell'art. 3, n. 1, della direttiva, poiché - essendo in essi preminente la finalità d'investimento - avrebbero la natura di titoli di risparmio al portatore e dovrebbero pertanto essere assoggettati al regime giuridico dei valori mobiliari (83). Il mantenimento dell'anonimato, dunque, non sarebbe in contraddizione con la direttiva sul riciclaggio: il cliente che apre un conto di risparmio non allaccerebbe un rapporto d'affari con la banca, ma in realtà acquisterebbe un prodotto finanziario, e pertanto si dovrebbe procedere alla sua identificazione solo se l'operazione è d'importo pari o superiore al valore di 15 000 ecu, come previsto al n. 2 dell'art. 3 della direttiva.

66.
    Ulteriori argomenti difensivi vengono addotti dal governo convenuto per dimostrare la compatibilità con la direttiva del regime dei conti di risparmio.

67.
    In primo luogo, secondo il governo austriaco i conti di risparmio non sarebbero utilizzabili a scopo di riciclaggio. Le uniche operazioni possibili di forma anonima, dopo l'apertura del conto, infatti, sono i versamenti ed i prelievi in contanti, effettuati mediante presentazione del libretto di risparmio, ove vengono annotate. Peraltro, anche per tali operazioni la legislazione bancaria austriaca prevederebbe l'identificazione dell'autore, se vi è sospetto di riciclaggio (84). L'emissione di assegni e gli ordini di bonifico, invece, non sono possibili per questo tipo di conti, mentre le operazioni non effettuate in contanti sono soggette alle regole ordinarie di identificazione del cliente. Si possono effettuare versamenti da parte di terzi su un conto di risparmio, ma non da un altro conto di risparmio: ciò significa che l'autore del versamento è soggetto all'obbligo di identificazione ai sensi della direttiva, sia che effettui l'operazione a partire da un conto per il quale è già stato identificato, sia che la effettui occasionalmente, nel qual caso sarà identificato se l'operazione supera la soglia prevista dalla direttiva (15 000 ecu) e recepita nellalegge austriaca (200 000 ATS) (85). In altre parole, sarebbe impossibile, da parte di terzi, «effettuare versamenti anonimi in favore di un conto di risparmio» (86). L'insieme di queste peculiarietà renderebbe lo strumento del conto di risparmio inadatto alle esigenze di chi ricicla capitali, esigenze che implicano la necessità di trasferire a distanza, in modo rapido e sicuro, somme consistenti di denaro sporco.

68.
    In secondo luogo, i conti di risparmio anonimi - circa il 95% del totale (87) - sarebbero largamente diffusi fra tutti gli strati sociali della popolazione austriaca e corrisponderebbero tradizionalmente «al bisogno psicologico di sicurezza e discrezione» sentito in particolare dalle persone anziane, che associano l'idea della nominatività di tali conti al periodo nazionalsocialista, quando l'anonimato dei conti di risparmio venne soppresso (88).

69.
    In terzo e ultimo luogo, scopo della direttiva sarebbe, secondo le autorità austriache, unicamente quello di colpire le transazioni finanziarie realmente suscettibili di favorire il riciclaggio. Ora, dal momento che i conti di risparmio non potrebbero essere usati a questo fine, assoggettarli in modo indiscriminato all'obbligo di identificazione andrebbe al di là di quanto è necessario per applicare la direttiva e violerebbe dunque il criterio di proporzionalità previsto all'art. 3 B, terzo comma, del Trattato CE (divenuto art. 5 CE, terzo comma), secondo cui «L'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del (...) trattato» (89).

70.
    Nel corso dell'udienza del 15 marzo 2000 gli agenti del governo austriaco hanno annunziato che quest'ultimo, in seguito ad una decisione del Consiglio dei Ministri, presenterà al più presto al Nationalrat un disegno di legge per l'abolizione dell'anonimato dei conti di risparmio. Si prevede che, a partire dal 1. novembre 2000, non sarà più possibile aprire conti di risparmio anonimi o effettuare in modo anonimo versamenti sui conti esistenti, e che entro il 2002 verrà trovata una soluzione definitiva per i conti anonimi aperti prima del 1. novembre 2000.

L'opinione dell'avvocato generale

71.
    Per determinare se l'Austria sia effettivamente venuta meno agli obblighi della direttiva, mantenendo il regime di anonimato per i conti di risparmio, occorre a mio avviso verificare quale sia l'estensione degli addebiti formulati dalla Commissione, se questi siano fondati e se, e in quale misura, le giustificazioni fatte valere dal governo convenuto possano essere accolte.

-    Sull'estensione degli addebiti relativi ai conti di risparmio

72.
    La questione dell'effettiva estensione degli addebiti è particolarmente importante, dal momento che le contestazioni della Commissione risultano imprecise ed ambigue quanto alla data di decorrenza degli addebiti, al loro contenuto ed alle disposizioni che sarebbero state violate.

73.
    La data di decorrenza dei fatti addebitati indicata dalla Commissione è quella del 1. gennaio 1994, quando è entrato in vigore l'accordo SEE. Ho già espresso l'opinione che l'obbligo di conformarsi alla direttiva sul riciclaggio decorre per l'Austria dal 1. gennaio 1995, data della sua adesione all'Unione europea. Pertanto, non possono imputarsi al governo austriaco addebiti riferiti, anche se parzialmente, a periodi anteriori a quella data.

74.
    In ordine al contenuto degli addebiti la situazione risulta più complessa e merita un'analisi differenziata per ciascuno dei due addebiti mossi dalla Commissione all'Austria.

75.
    In primo luogo, la Commissione accusa l'Austria di non aver previsto l'identificazione del cliente (di qualsiasi cliente) in occasione dell'apertura di un conto di risparmio, ma riconosce essa stessa (90) che di fatto gli enti creditizi e finanziari accertano sempre l'identità del cliente se il conto è aperto da un soggetto non residente o in suo favore, o da un soggetto residente che lo utilizzi per divise estere (91). Risulta inoltre dagli atti che l'identificazione è prevista pure nel caso in cui si depositino su un conto di risparmio, con finalità di gestione o di conservazione, fondi ricevuti da non residenti (92): ciò non è contestato dalla Commissione. Pertanto, il primo addebito della Commissione riguarda, in realtà, solamente l'apertura di conti di risparmio anonimi da parte ed a beneficio di soggetti residenti e che non siano in divise estere.

76.
    In secondo luogo, le operazioni che possono farsi in forma anonima in relazione ai conti di risparmio sono, secondo la legislazione austriaca, soltanto i versamenti ed i prelievi in contanti, operazioni che vengono di solito effettuate su semplice presentazione dei libretti di risparmio (al portatore), ove vengono annotate. Al contrario, l'art. 32, n. 3, della BWG stabilisce che i bonifici e l'emissione di assegni non sono possibili a partire da un conto di risparmio, né la Commissione contesta tale regola. Il governo austriaco ha inoltre dimostrato (93), senza essere contraddetto dalla Commissione, che le operazioni su conti di risparmio che non siano effettuate in contanti sono soggette alle regole ordinarie di identificazione del cliente. Possono inoltre effettuarsi versamenti da parte di terzi su un conto di risparmio, ma - come il governo austriaco ha dimostrato senza essere smentito dalla Commissione (94) - non da un altro conto di risparmio, per cui i terzi non potrebbero in alcun caso versare fondi anonimi su un conto di risparmio. Pertanto, il secondo addebito della Commissione non può che riguardare le sole operazioni anonime di versamento e di prelievo effettuate in contanti in relazione a conti di risparmio.

77.
    Quanto, infine, alle disposizioni della direttiva sul riciclaggio, delle quali la Commissione imputa all'Austria il mancato rispetto, ritengo che debba farsi esclusivo riferimento ai nn. 1 e 5 dell'art. 3. E' vero che la Commissione addebita al governo austriaco di essere venuto meno anche agli obblighi di cui al n. 6 dell'art. 3 della direttiva, secondo cui gli enti creditizi e finanziari sono sempre tenuti a identificare il cliente qualora vi sia sospetto di riciclaggio, ma è anche vero che essa non fornisce alcun elemento di prova a sostegno di tale assunto. In effetti, il governo convenuto ha dimostrato (95), senza essere smentito dalla Commissione, che l'art. 40, n. 1.3, della BWG, che ha recepito in diritto austriaco il predetto obbligo stabilito dalla direttiva, prevede sempre l'identificazione del cliente in caso di sospetto di riciclaggio, e quindi trova applicazione anche ai conti di risparmio ed alle operazioni ad essi afferenti. Pertanto, l'inadempimento del governo austriaco all'obbligo in questione non è stato dimostrato, e non se ne dovrà tener conto nel prosieguo.

78.
    Per finire, i due addebiti formulati dalla Commissione in ordine al regime di anonimato previsto in Austria per i conti di risparmio devono essere riformulati. In buona sostanza, il governo austriaco viene accusato di non avere rispettato gli obblighi previsti dall'art. 3, nn. 1 e 5, della direttiva, nella misura in cui tale governo non avrebbe previsto, con effetto dal 1. gennaio 1995, l'identificazione del cliente residente in occasione: a) dell'apertura di un conto di risparmio in ATS; b) di operazioni di versamento e di prelievo in contanti effettuate in relazione ad unconto di risparmio. Occorre ora verificare quale fondamento posseggano, una volta riformulati, questi addebiti.

-    Sulla fondatezza degli addebiti relativi ai conti di risparmio

79.
    Il primo dei due addebiti della Commissione, riformulato alla stregua di quanto precede, è a mio avviso fondato, nel senso che l'Austria, mantenendo dopo d'adesione il regime di anonimato che caratterizza l'apertura dei conti di risparmio, è venuta meno agli obblighi derivanti dall'art. 3, nn. 1 e 5, della direttiva sul riciclaggio. Ciò per le considerazioni che seguono.

80.
    Contrariamente a quanto sostenuto da parte del governo convenuto, infatti, i conti di risparmio austriaci ricadono sicuramente nel campo di applicazione dell'art. 3, n. 1, della direttiva. Essi, infatti, rientrano nella nozione generale di «rapporti d'affari» stabiliti fra cliente e banche, presa in considerazione dalla predetta disposizione, e vengono definiti dall'art. 31 della BWG nei termini di depositi pecuniari destinati essenzialmente all'investimento, ossia negli stessi termini usati dalla direttiva per indicare i conti o i libretti di deposito, che costituiscono esempi - non esaustivi - della nozione di rapporti d'affari (96). Occorre inoltre notare che l'art. 40, n. 1.1, della BWG pone i conti di risparmio sullo stesso piano degli altri rapporti d'affari stabiliti fra banca e cliente, per poi prevedere, nei confronti di tali conti, una deroga espressa all'obbligo per la banca di procedere all'identificazione del cliente. Tale disposizione contraddice apertamente quanto sostenuto da parte austriaca circa l'asserita natura di valori mobiliari dei conti di risparmio. Sebbene infatti i libretti al portatore si prestino alla circolazione dei fondi depositati sui conti di risparmio, ai fini dell'applicazione della direttiva prevale l'aspetto della relazione d'affari che viene ad instaurarsi, attraverso l'apertura, prima, e la gestione, poi, di questi conti, fra il cliente, anche se anonimo, e l'ente creditizio e finanziario che custodisce e rimunera i fondi in deposito. Tale relazione d'affari è durevole e presenta tutte le caratteristiche dei conti o libretti di deposito cui - a titolo esemplificativo - fa cenno il n. 1 dell'art. 3 della direttiva. Quindi l'obbligo di identificazione del cliente non può che trovare applicazione anche nel caso dei conti di risparmio, poiché in caso contrario l'intero sistema istituito dalla direttiva per fronteggiare il fenomeno del riciclaggio potrebbe venire seriamente compromesso.

81.
    Inoltre, ritengo provato che l'apertura di conti di risparmio non sia attualmente soggetta in Austria all'obbligo di identificazione dei clienti. L'argomento difensivo austriaco, basato sul criterio della verifica della residenza stabilito dalla comunicazione ufficiale della Banca nazionale austriaca DL 2/91, nonmi sembra convincente. Infatti la verifica dello statuto del cliente in relazione al regime dei cambi («devisenrechtlicher Status») serve alla banca unicamente per determinare se il cliente sia o meno «straniero» («Ausländer»), cioè non residente in Austria, al fine di applicargli, in questo caso, il regime di identificazione obbligatoria all'uopo previsto. Ma se il cliente dimostra, in qualsiasi modo, di essere residente, l'ente creditizio o finanziario non ha l'obbligo di verificarne l'identità, in virtù della deroga prevista all'art. 40, n. 1.1, della BWG. Ciò non viene smentito da parte austriaca. Del resto, la residenza e l'identità di un cliente non sono la stessa cosa, e la verifica della prima non comporta necessariamente il controllo della seconda, indipendentemente dal metodo utilizzato in concreto dalla banca. In ogni caso, il criterio della verifica della residenza è stato stabilito da un atto - una comunicazione ufficiale della Banca nazionale austriaca - la cui natura giuridica non è stata precisata dalle autorità austriache (97), ma che sembra, ictu oculi, inadeguata per recepire i contenuti di una direttiva (98).

82.
    Pertanto, la violazione dell'art. 3, n. 1, della direttiva mi sembra assodata in relazione al mantenimento, dopo il 1. gennaio 1995, della possibilità che un cliente residente apra in Austria un conto di risparmio anonimo in ATS.

83.
    Non ritengo al contrario fondato, con riferimento alla predetta disposizione della direttiva, il secondo addebito della Commissione, relativo al regime delle operazioni riguardanti i conti di risparmio.

84.
    E' vero che il regime di anonimato previsto per i conti di risparmio si riflette anche sulle operazioni in contanti - versamenti e prelievi - ad essi afferenti, come del resto lo stesso governo austriaco ammette. Per tali operazioni non viene, infatti, previsto l'obbligo di identificare, al di là della soglia minima prevista, il cliente, anche se diverso dal titolare del conto, che le effettui mediante la presentazione di un libretto di risparmio al portatore (99). Ma è la disposizione di cui al n. 2 - e non già quella di cui al n. 1 - dell'art. 3 della direttiva che sembra non essere stata adeguatamente recepita con riguardo a questo genere di operazioni. Peraltro, l'accertamento della violazione dell'art. 3, n. 2, della direttiva non viene richiesto dalla Commissione, dal momento che né il parere motivato né le conclusioni del ricorso fanno riferimento a tale disposizione. Invece, per i motivi spiegati in precedenza, il n. 1 dell'art. 3 non può che riferirsi alla sola apertura di conti di risparmio - intesa come modo per allacciare rapporti d'affari - e non alle singole«operazioni», che sono prese in considerazione dal n. 2 dello stesso articolo. Pertanto, il secondo addebito della Commissione deve essere respinto, in quanto non poggia su una base giuridica adeguata.

85.
    Ritengo invece verosimile che il regime di anonimato previsto per i conti di risparmio privi di effetto utile - come sostiene la Commissione - la disposizione di cui all'art. 3, n. 5, della direttiva, secondo cui, qualora sia dubbio se i clienti agiscono per proprio conto o qualora sia certo che essi non agiscono per proprio conto, «gli enti creditizi e finanziari adottano congrue misure per ottenere informazioni sull'oggettiva identità delle persone per conto delle quali questi clienti agiscono». In effetti, se il cliente beneficia dell'anonimato, le banche non possono disporre di alcun elemento per sapere se egli agisce o meno per proprio conto. Direi anzi al riguardo che l'anonimato del cliente si oppone di per sé all'operatività pratica della norma appena ricordata. In tale ottica, appare significativo che l'art. 40, n. 2, della BWG, nel recepire la richiamata disposizione della direttiva, preveda espressamente una deroga per l'apertura dei conti di risparmio.

86.
    Pertanto, anche la violazione dell'art. 3, n. 5, della direttiva da parte del governo austriaco viene dimostrata dalla Commissione.

-    Sulle giustificazioni fatte valere dal governo austriaco

87.
    Il governo convenuto utilizza, come si è visto, tre distinte linee di ragionamento per giustificare il fatto di avere disatteso le disposizioni di cui all'art. 3, nn. 1 e 5, della direttiva mantenendo il regime di anonimato per i conti di risparmio e per le operazioni ad essi connesse. Esso sostiene, in primo luogo, che i conti di risparmio non sarebbero utilizzabili per finalità di riciclaggio; in secondo luogo, che essi corrisponderebbero alle esigenze di sicurezza e discrezione di larga parte della popolazione residente; e, in terzo luogo, che applicare ad essi le disposizioni sull'obbligo di identificazione non sarebbe proporzionato rispetto agli scopi della direttiva.

88.
    Nessuno degli argomenti difensivi proposti dal governo convenuto è riconducibile alle possibili restrizioni al diritto di stabilimento previste dagli artt. 55, primo comma, del Trattato CE (divenuto art. 45 CE, primo comma), sull'esercizio dei pubblici poteri, e 56, n. 1, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 46 CE, n. 1), sui motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. Inoltre, trattandosi di una direttiva di armonizzazione basata anche sul precitato art. 100 A del Trattato CEE, il ricorso ad eventuali cause di giustificazione che si riferiscano all'art. 36 del Trattato CE (divenuto art. 30 CE) - cause che, comunque, nulla hanno a che fare, nella specie, con le giustificazioniaddotte dal governo convenuto - troverebbe ostacolo in una giurisprudenza orientata nel senso di non riconoscerne la pertinenza e la validità (100).

89.
    Ma gli argomenti del governo austriaco non sono convincenti anche per un altro motivo. Questo governo, infatti, fa valere la presunta inidoneità dei conti di risparmio anonimi a fungere da strumenti di riciclaggio di capitali sporchi ed il profondo radicamento dell'anonimato di tali conti nella tradizione del popolo austriaco (101) per giustificare il mantenimento di un regime giuridico ad hoc, che disattende il programma di eliminazione dell'anonimato promosso dal legislatore comunitario. Così stando le cose, la linea difensiva dell'Austria si risolve nel disconoscere qualsiasi effetto utile della direttiva sul riciclaggio, in quanto apre spiragli di cui potrebbe beneficiare la criminalità organizzata, e, in ultima analisi, nel sostituire il suo apprezzamento quanto ai rischi dei conti di risparmio anonimi a quello espresso in modo inequivocabile dal Consiglio nella direttiva. Ciò equivale a rimettere in discussione la legittimità delle pertinenti disposizioni della direttiva stessa, cosa che - come ho avuto modo di affermare in precedenza - è allo stato attuale preclusa al governo convenuto. Ricordo ad abundatiam che, secondo la giurisprudenza, uno Stato membro non può eccepire che il mancato rispetto di una direttiva «non ha avuto nessuna conseguenza nefasta sul funzionamento del mercato interno o della detta direttiva» (102).

90.
    Quanto infine alla presunta violazione del principio di proporzionalità, che scaturirebbe dall'applicazione della direttiva ai conti di risparmio, rilevo che se è pacifico che uno Stato membro può dedurre una giustificazione per il mancato rispetto di un obbligo comunitario solo nella misura in cui tale scusante sia necessaria e proporzionata rispetto al fine perseguito, non altrettanto può dirsi della Commissione quando imputa ad uno Stato membro l'inadempimento di un obbligo del genere. In tale ipotesi, infatti, la Commissione deve solo dimostrare la sussistenza dell'infrazione, senza che si renda necessario provarne il carattere proporzionato rispetto al Trattato CE. In caso contrario, attraverso l'utilizzazione del principio di proporzionalità sarebbe consentito, in buona sostanza, ad uno Stato membro di rimettere a suo piacimento in causa il fondamento giuridico di un atto comunitario nell'ambito di una procedura d'infrazione, cosa da escludersi per i motivi già esposti.

Sulla pretesa violazione dell'obbligo di identificazione con riguardo alla regolamentazione austriaca dei conti titoli

Gli addebiti della Commissione

91.
    La Commissione, in seconda battuta, imputa all'Austria di non aver correttamente recepito l'art. 3, nn. 1, 5 e 6, della direttiva in relazione al regime vigente per i conti titoli, nella misura in cui il governo austriaco: a) avrebbe previsto l'identificazione del cliente in occasione dell'apertura di un conto titoli solo a partire dal 1. agosto 1996, e non dal 1. gennaio 1994; b) avrebbe previsto l'identificazione del cliente in occasione di transazioni effettuate a partire da conti titoli esistenti o in favore di essi solo limitatamente all'accettazione ed all'acquisizione di valori mobiliari destinati a tali conti, secondo quanto previsto dall'art. 40, n. 5, della BWG.

92.
    L'istituzione ricorrente formula tali addebiti nelle conclusioni del ricorso, che riprendono letteralmente quanto esposto nel parere motivato del 21 febbraio 1997. Invece, nella lettera di diffida del 14 febbraio 1996 si operava un generico riferimento all'esigenza secondo la quale, da un lato, «i conti anonimi aperti dopo il 1. gennaio 1994 devono formare oggetto di una identificazione sistematica e retroattiva» (103) e, dall'altro, «l'obbligo d'identificazione deve riguardare ogni transazione concernente un conto anonimo» (104). Si deve sottolineare che a partire dal 1. agosto 1996 - ossia dopo l'invio da parte della Commissione della lettera di diffida e prima dell'emissione del parere motivato - la normativa austriaca sui conti titoli è stata modificata nel senso di prevedere, con effetto da quella data, l'identificazione del cliente in occasione della loro apertura e dell'effettuazione delle operazioni di accettazione e di acquisizione di valori mobiliari.

93.
    Nel ricorso la Commissione spiega che, a suo avviso, le misure adottate dal governo nel corso del 1996 non sono sufficienti a garantire il rispetto delle disposizioni di cui ai nn. 1, 5 e 6 dell'art. 3 della direttiva in relazione a conti titoli. Infatti, il recepimento di tali norme sarebbe tardivo e privo di valore retroattivo per quanto concerne l'abolizione dell'anonimato dei conti titoli e delle operazioni ad essi afferenti. Inoltre, la limitazione dell'obbligo di identificazione del cliente ad alcune operazioni soltanto fra quelle effettuabili rispetto a conti titoli anonimi esistenti alla data del 1. agosto 1996 renderebbe possibile l'utilizzazione di tali conti per finalità di riciclaggio, in chiaro contrasto con quanto la direttiva si propone di evitare.

Gli argomenti difensivi del governo austriaco

94.
    Il governo austriaco riconosce di aver previsto solo con effetto dal 1. agosto 1996 l'obbligo di identificazione del cliente in occasione dell'apertura di conti titoli. A titolo di giustificazione esso adduce, essenzialmente, due motivi: la necessità di tutelare il legittimo affidamento degli operatori economici che hanno aperto conti anonimi prima di quella data e l'esigenza di evitare che ingenti flussi di capitali depositati su questo tipo di conti vengano trasferiti in paesi terzi.

95.
    In ordine alla prima causa di giustificazione, il governo convenuto sottolinea che non sarebbe stato opportuno estendere retroattivamente il nuovo regime di identificazione dei clienti ai conti titoli aperti prima del 1. agosto 1996, poiché ciò avrebbe recato nocumento al rapporto fiduciario instauratosi fra tali clienti e gli enti creditizi e finanziari presso i quali essi avevano depositato i loro valori mobiliari. Questo rapporto fiduciario sarebbe meritevole di tutela in quanto si ripercuoterebbe sullo stato patrimoniale delle persone, sulle relazioni contrattuali esistenti fra queste e le banche e, in definitiva, sul regime della proprietà dei valori mobiliari (105). La soluzione della soppressione progressiva dell'anonimato, in tale contesto, avrebbe avuto il merito di evitare modifiche troppo brusche del regime dei conti titoli e di consentire ai clienti di scegliere a loro agio forme alternative d'investimento.

96.
    Quanto alla seconda causa di giustificazione, il governo austriaco sottolinea i gravi pericoli, per l'economia dell'Austria e, più in generale, dell'Unione europea, della «fuga disordinata» («ungeordneter Aussteigen») (106) dai mercati creditizi e finanziari austriaci di un imponente volume di capitali che la repentina abolizione dell'anonimato potrebbe spingere verso altri paradisi fiscali. Vi sarebbe in particolare la possibilità che un esodo del genere provochi un aumento eccessivo dei tassi di interesse, con gravi ripercussioni sulla stabilità del bilancio austriaco e - in prospettiva - dell'intero sistema finanziario europeo.

97.
    Da parte del governo convenuto si precisa inoltre che, fra le operazioni effettuabili sui conti titoli anonimi esistenti al 1. agosto 1996, solo l'accettazione e l'acquisizione di valori mobiliari sono state assoggettate all'obbligo di identificazione, poiché solo tali operazioni potrebbero presentare un interesse per il riciclaggio di capitali. Per il resto, i conti titoli anonimi non si presterebbero ad attività criminali, dato che, dopo la predetta data, nessun nuovo valore potrebbe più esservi depositato in forma anonima (107), mentre la gestione dei fondi esistentisarebbe limitata dalla durata dei titoli o delle obbligazioni acquisite sul mercato dei capitali, durata che di solito non viene mai prorogata dagli enti di emissione (108).

L'opinione dell'avvocato generale

98.
    Anche in relazione a questa nuova serie di addebiti può utilizzarsi la metodologia analitica applicata ai precedenti. Occorre al riguardo verificare quale sia l'estensione delle accuse mosse dalla Commissione all'Austria, se queste siano fondate e se, ed in quale misura, le giustificazioni fatte valere dal governo convenuto possano essere accolte.

-    Sull'estensione degli addebiti relativi ai conti titoli

99.
    Per i motivi già spiegati, ritengo che i fatti addebitati dalla Commissione al governo austriaco non decorrano che dal 1. gennaio 1995, e non possano riguardare che il mancato rispetto dei nn. 1 e 5 dell'art. 3 della direttiva. Sul piano dei contenuti la situazione è chiara: la Commissione rimprovera in sostanza all'Austria di non aver fatto decorrere la soppressione dell'anonimato dei conti titoli dal 1. gennaio 1995, e di non avere previsto l'identificazione del cliente in relazione ad operazioni su conti titoli esistenti che siano diverse dall'accettazione e dall'acquisizione di nuovi valori mobiliari.

-    Sulla ricevibilità e sulla fondatezza degli addebiti relativi ai conti titoli

100.
    Ritengo che i due addebiti della Commissione ora in esame siano ricevibili. E' vero che sono stati formulati esplicitamente per la prima volta nel parere motivato e che quindi, almeno formalmente, non sembrano trovare corrispondenza con le contestazioni che figurano nella lettera di diffida del 14 febbraio 1996, ove si chiedeva la soppressione pura e semplice dell'anonimato dei titoli e delle operazioni ad essi afferenti,ma è pure vero che nella predetta lettera la Commissione faceva presente che i conti titoli dovevano «formare oggetto di una identificazione sistematica e retroattiva», lasciando così chiaramente intendere che il recepimento della direttiva su questo punto avrebbe dovuto essere effettuato dalle autorità austriache a partire dalla data - il 1. gennaio 1995 - di decorrenza dell'obbligo per tali autorità di conformarsi alle prescrizioni della direttiva stessa. Ora, il governo austriaco ha sì recepito sul punto la direttiva, ma lo ha fatto tardivamente e, per di più, con effetto solo dal 1. gennaio 1996. Così stando le cose, nel riformulare gli addebiti nel parere motivato la Commissione, a ben vedere, si è limitata ad adeguarne i termini alla nuova situazione. Nel caso di specie può dunque parlarsi di una riduzione degli addebiti, nel senso che si chiede diconstatare l'inadempimento per il periodo compreso fra il 1. gennaio 1995 ed il 1. agosto 1996, e non - come nel caso dell'obbligo di vietare il riciclaggio - di una trasformazione del loro contenuto sostanziale.

101.
    Ciò premesso, considero fondato - con riferimento ai nn. 1 e 5 dell'art. 3 della direttiva - il primo dei due addebiti, relativo alla data di decorrenza dell'obbligo di identificazione dei clienti in occasione dell'apertura dei conti titoli. Al riguardo, è sufficiente constatare che, alla data fissata nel parere motivato, l'Austria non aveva abolito il regime di anonimato di cui beneficiavano i conti titoli a partire dal 1. gennaio 1995, ma solo da una data successiva, creando in tal modo a proprio vantaggio una situazione derogatoria non prevista dalla direttiva per il periodo compreso fra il 1. gennaio 1995 ed il 1. agosto 1996. La Corte, del resto, ha già da tempo sottolineato che, «Se è vero che, nei confronti degli Stati membri destinatari, le disposizioni di una direttiva non sono meno vincolanti di altre norme di diritto comunitario, ciò è ancora più vero delle disposizioni che fissano il termine per l'entrata in vigore dei provvedimenti contemplati: dopo la scadenza di questo termine, infatti, la disparità dei regimi applicabili negli Stati membri potrebbe provocare delle discriminazioni» (109).

102.
    Per le stesse ragioni che ho esposto in occasione dell'esame dei precedenti addebiti non ritengo invece sussistente, con riferimento al n. 1 dell'art. 3 della direttiva, il secondo addebito della Commissione, relativo al regime delle operazioni riguardanti i conti titoli.

-    Sulle giustificazioni fatte valere dal governo austriaco

103.
    Per giustificare la ritardata decorrenza dell'obbligo di identificazione in relazione ai conti titoli, il governo convenuto adduce, sostanzialmente, due argomenti: la tutela del legittimo affidamento ed il pericolo di fuga dei capitali verso paesi terzi.

104.
    Nessuna di tali cause di giustificazione ricade nell'ambito di quelle ammesse dal Trattato CE come possibili restrizioni al diritto di stabilimento o - dall'angolo visuale del mercato interno - alla libera circolazione delle merci. In realtà, i motivi dedotti da parte austriaca per difendere la scelta di far decorrere la soppressione dell'anonimato dei conti titoli solo dal 1. agosto 1996 fanno riferimento a difficoltà interne - il rispetto delle esigenze dei risparmiatori - che renderebbero inopportuna l'estensione retroattiva della nuova disciplina dei conti titoli. Ma tali difficoltà non coincidono con la nozione - elaborata dalla giurisprudenza dellaCorte - di «assoluta impossibilità» (110) di conformarsi ad un obbligo comunitario, unico presupposto che potrebbe giustificare l'inadempimento di uno Stato membro. Esse, pertanto, non possono essere considerate alla stregua di scusanti.

105.
    In particolare, trovo incoerente l'argomento difensivo austriaco riguardante la tutela del legittimo affidamento. In primo luogo, secondo la giurisprudenza (111), a tale principio possono richiamarsi operatori economici i cui interessi vengono lesi da atti comunitari, ma almeno di regola non gli Stati membri cui venga imputato l'inadempimento di obblighi discendenti da tali atti, con la sola eccezione del caso - affatto specifico - della ripetizione degli aiuti indebitamente versati (112), caso che peraltro non ricorre nella specie. In secondo luogo, la sentenza Tögel (113), cui da parte austriaca si fa riferimento nella controreplica, non smentisce affatto l'indirizzo giurisprudenziale appena richiamato, in quanto essa sottolinea che, in caso di mancata trasposizione di una direttiva alla scadenza del termine previsto, il giudice nazionale deve, nei limiti del possibile, assicurare che l'interpretazione della legge nazionale sia conforme alla direttiva stessa (114), secondo quanto affermato da una giurisprudenza costante (115). Aggiungo che nella presente causa dubito fortemente che l'esigenza del risparmiatore di mantenere anonimo un conto titoli possa configurarsi come un interesse meritevole di tutela, specialmente alla luce delle possibili implicazioni criminose che l'anonimato dei conti bancari rischia oggettivamente di favorire. Quello stesso risparmiatore, del resto, sapeva che alla data del 1. gennaio 1995 l'Austria era tenuta a prevedere l'identificazione del cliente per tutti i rapporti d'affari posti in essere a partire da quella data.

106.
    Ritengo a fortiori non conferente la posizione assunta dal governo convenuto circa il possibile esodo di capitali verso ipotetici paradisi fiscali cui potrebbe dar luogo l'eliminazione retroattiva dei conti titoli anonimi. Come osserva al riguardola Commissione (116) senza essere contraddetta, non si comprende infatti quale possa essere il motivo economico che potrebbe spingere i risparmiatori onesti, in caso di soppressione del solo regime di anonimato dei conti titoli, a stornare i loro capitali dall'Austria verso altre mete, se le condizioni di rimunerazione dei capitali investiti in valori mobiliari restano invariate. Se, invece, da parte austriaca si allude al fatto che eventuali capitali sporchi «parcheggiati» su conti anonimi potrebbero volatilizzarsi rapidamente in caso di modifiche retroattive del regime di anonimato, a maggior ragione le difficoltà segnalate da quel governo non potrebbero in alcun modo essere prese in considerazione.

Sulle spese

107.
    Ai termini dell'art. 69, n. 3, primo comma, del regolamento di procedura, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi della domanda. Dal momento che propongo di accogliere solo parzialmente il ricorso della Commissione, ritengo che ciascuna parte debba sopportare le proprie spese.

Conclusioni

108.
    Sulla base delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire nel modo seguente:

«1)    La Corte non è competente a pronunciarsi su pretesi inadempimenti della Repubblica d'Austria al diritto comunitario che riguardino il periodo antecedente la data di adesione di quest'ultima all'Unione europea.

2)    L'eccezione di illegittimità sollevata dal governo austriaco è irricevibile.

3)    La Repubblica d'Austria è venuta meno agli obblighi derivanti dall'art. 3, nn. 1 e 5, della direttiva 91/308/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1991, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite, nella misura in cui:

    -    non ha previsto, con effetto dal 1. gennaio 1995, l'identificazione dei clienti residenti in occasione dell'apertura di conti di risparmio in ATS;

    -    ha previsto solo con effetto dal 1. agosto 1996 l'identificazione dei clienti in occasione dell'apertura di conti titoli.

4)    Per il resto, il ricorso è respinto.

5)    Ciascuna parte sopporterà le proprie spese».


1: Lingua originale: l'italiano.


2: -     GU L 166, pag. 77.


3: -     Si veda il primo 'considerando‘.


4: -     Si veda la prima parte del secondo 'considerando‘.


5: -     Si veda la seconda parte del secondo 'considerando‘.


6: -     Si veda la seconda parte del terzo 'considerando‘.


7: -     Si vedano il quarto ed il nono 'considerando‘.


8: -     Si veda il decimo 'considerando‘.


9: -     Si veda l'undicesimo 'considerando‘.


10: -     Il tredicesimo 'considerando‘ specifica che gli enti in questione «devono esaminare con particolare attenzione le operazioni con paesi terzi che non applichino norme per la prevenzione del riciclaggio comparabili a quelle stabilite dalla Comunità o ad altre norme equivalenti emanate in sedi internazionali e recepite dalla Comunità».


11: -     GU 1994, L 1, pag. 1.


12: -     Ibidem, pag. 571.


13: -     Si veda l'informazione sulla data di entrata in vigore dell'accordo sullo Spazio economico europeo e del protocollo che adegua l'accordo sullo Spazio economico europeo (GU 1994, L 1, pag. 606).


14: -     GU 1994, L 344, pag. 1.


15: -     GU 1994, L 241, pag. 21.


16: -     GU 1994, C 241, pag. 21.


17: -     Strafgesetzbuch (BGBl. n. 60/1974 e successive modificazioni). Rilevano ai fini della presente causa le modifiche del 1993 (BGBl. n. 527/1993), del 1996 (BGBl. n. 762/1996) e del 1998 (BGBl. n. 153/1998).


18: -     Bankwesengesetz (BGBl. n. 63/1979 e successive modificazioni). Rilevano ai fini della presente causa le modifiche del 1993 (BGBl. n. 532/1993), del 1996 (BGBl. n. 446/1996) e del 1998 (BGBl. n. 11/1998).


19: -     Depotgesetz (BGBl. n. 424/1969 e successive modificazioni).


20: -     Kundmachungen der Österreichischen Nationalbank DL 1/91, DL 2/91 e DL 1/99, trasmessi dal governo austriaco il 3 febbraio 2000 su richiesta della Corte.


21: -     Il diritto penale austriaco, peraltro, sanziona anche il reato di ricettazione, previsto dall'art. 164 dello StGB, la cui fattispecie si differenzia da quella del reato di riciclaggio nel senso che, nella prima, prevale l'elemento dell'assistenza prestata dal reo all'autore di un reato contro il patrimonio al fine di nascondere o utilizzare i proventi del crimine.


22: -     Nel senso previsto dall'art. 278-bis dello StGB.


23: -     Dall'art. 165-bis dello StGB.


24: -     Si vedano al riguardo i punti 8.2.2 e 8.2.3 della comunicazione ufficiale («Kundmachung») della Banca nazionale austriaca DL 2/91, come modificata dalla comunicazione ufficiale DL 1/99. Ai sensi dei punti 2.2.1 e 2.2.2 della comunicazione ufficiale DL 1/91, per «stranieri» («Ausländer») si intendono essenzialmente i soggetti non residenti nel territorio austriaco.


25: -     Ad essi trova applicazione l'art. 11 della DG, che stabilisce una serie di obblighi specifici in capo all'ente creditizio presso il quale vengono aperti.


26: -     Si veda l'art. 40, n. 5, della BWG.


27: -     Art. 32, n. 5, della BWG. Peraltro, i conti di risparmio possono essere vincolati ad una certa durata.


28: -     Replica, punto 1.4. La modifica peraltro, per un evidente difetto di coordinamento, non è stata ripresa nelle conclusioni contenute alla fine della replica (punto 4.1.1).


29: -     Replica, punto 4.2.


30: -     Si veda il punto 17 del ricorso, ove si fa riferimento a quanto esposto nella lettera di diffida del 14 febbraio 1996 e nel parere motivato del 21 febbraio 1997.


31: -     Al punto 31 della replica la tesi è ribadita senza ulteriori commenti.


32: -     Si veda il capitolo B.4 del controricorso, ove si affronta il problema della trasposizione retroattiva della direttiva, ma non si mette in discussione la data di trasposizione.


33: -     Sentenza 28 ottobre 1999, causa C-328/96, Commissione/Austria (non ancora pubblicata nella Raccolta). Si tratta di una sentenza relativa al rispetto della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici, con riferimento alla procedura di aggiudicazione dei lavori relativi al nuovo centro amministrativo e culturale di Sankt Pölten.


34: -     Nella sentenza precitata, al punto 63, la Corte afferma quanto segue: «La Commissione ricorda, in primo luogo, come sin dalla sua adesione all'Unione europea, avvenuta il 1. gennaio 1995, la Repubblica d'Austria fosse tenuta al rispetto della normativa comunitaria, della quale fanno parte le direttive relative all'aggiudicazione degli appalti pubblici» (il corsivo è mio). Più oltre, nel motivare il suo giudizio sul caso di specie (punti 74-79), la Corte non fa più menzione della data di decorrenza dell'obbligo di rispettare le direttive pertinenti, ma solo - a mio avviso - perché ciò appare irrilevante ai fini della decisione della causa, la quale riguarda precisamente «appalti conclusi prima del 6 febbraio 1996, ma alla data del 7 marzo 1996 non ancora eseguiti o, per quanto possibile, ancora annullabili» (punto 79), ossia attività i cui effetti si situano interamente dopo l'adesione dell'Austria all'Unione europea. Dal canto suo, l'avvocato generale Alber proponeva, nelle sue conclusioni (punto 59), di non affrontare la questione della data di decorrenza dell'obbligo per il governo austriaco di conformarsi al diritto comunitario, dal momento che questo, in ogni caso, è divenuto imperativo per l'Austria a partire dal momento dell'adesione di quest'ultima all'Unione europea.


35: -     Sentenza 15 giugno 1999, causa C-321/97, Andersson (non ancora pubblicata nella Raccolta).


36: -     Sentenza 15 giugno 1999, causa C-140/97, Rechberger (non ancora pubblicata nella Raccolta).


37: -     Sentenza Andersson, punto 30.


38: -     Ibidem, punto 31 (il corsivo è mio).


39: -     Sentenza Rechberger, punto 38.


40: -     Ibidem, punto 40. Si veda pure il punto 44, ove si parla espressamente dell'«obbligo, incombente alla Repubblica d'Austria ai sensi del diritto comunitario, di attuare la direttiva successivamente alla sua adesione all'Unione europea in data 1. gennaio 1995».


41: -     Sentenze 26 settembre 1996, causa C-43/95, Data Delecta e Forsberg (Racc. pag. I-4661), e 2 ottobre 1997, causa C-122/96, Saldanha e MTS (Racc. pag. I-5325). Le due sentenze concernevano la compatibilità con l'art. 6 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 12 CE) di normative svedesi e austriache relative alla cautio iudicatum solvi.


42: -     Sentenza Saldanha e MTS, punto 14.


43: -     Nelle due cause citate, le conclusioni dell'avvocato generale La Pergola sottolineavano che questioni relative a fatti antecedenti l'adesione di un altro Stato membro fuoriescono dal campo di applicazione temporale del Trattato CE. Si vedano soprattutto i punti 11 e 12 delle conclusioni nella causa Saldanha e MTS (Racc. 1997, pag. I-5327).


44: -     La Corte ha infatti sottolineato che «l'azione della causa principale è connessa all'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario» (sentenza Saldanha e MTS, punto 17).


45: -     Questa soluzione risulta insoddisfacente nella misura in cui non consente alla Commissione di sindacare ed alla Corte di valutare i comportamenti di un nuovo Stato membro contrari al diritto comunitario - di cui l'accordo SEE fa parte integrante - che si siano svolti durante la vigenza del predetto accordo ma prima dell'adesione di tale Stato all'Unione europea. Si tratta di un arco temporale limitato nel quale uno Stato membro si vede garantire, per così dire, una sorta di immunità per il passato. Certo, in astratto i comportamenti illegali che si situano all'interno del predetto arco temporale potrebbero essere sindacati dall'Autorità di vigilanza AELS (EFTA) e dalla Corte AELS (EFTA), ma a partire dall'adesione dei nuovi Stati membri tale possibilità è praticamente preclusa dalle disposizioni estremamente riduttive dell'art. 5 dell'Accordo sulle disposizioni transitorie per il periodo successivo all'adesione di certi Stati AELS (EFTA) all'Unione europea.


46: -     Sulla base del principio desumibile dall'art. 92, n. 1, del regolamento di procedura.


47: -     Controricorso, punto II.1.


48: -     BGBl. n. 153/1998.


49: -     Replica, punto 1.4.


50: -     Giurisprudenza costante. Si veda, ex multis, la sentenza 15 giugno 1993, causa C-225/91, Matra/Commissione (Racc. pag. I-3203, punto 13).


51: -     Sentenza 9 novembre 1999, causa C-365/97, Commissione/Italia (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 23).


52: -     Si veda, ex multis, la sentenza 17 settembre 1996, causa C-289/94, Commissione/Italia (Racc. pag. I-4405, punto 15).


53: -     Si vedano, a puro titolo di esempio, le sentenze 12 ottobre 1995, causa C-257/94, Commissione/Italia (Racc. pag. I-3041, punto 4), e 14 dicembre 1995, causa C-17/95, Commissione/Francia (Racc. pag. I-4895, punto 4). In quest'ultima causa l'avvocato generale La Pergola parla di «rinunzia parziale agli atti» per definire i casi di restrizione degli addebiti intervenuti dopo la presentazione del ricorso (si veda la nota 4 delle conclusioni nella causa C-17/95, Racc. pag. I-4896).


54: -     Si veda la sentenza 22 giugno 1993, causa C-243/89, Commissione/Danimarca (Racc. pag. I-3353, punti 15 e 19), nonché le conclusioni dell'avvocato generale Tesauro (Racc. pag. I-3373, punto 7). La Corte ha ritenuto irricevibile l'ampliamento degli addebiti, formulato dalla Commissione in occasione della replica, con riferimento alle informazioni fornite dal governo danese nell'ambito del controricorso. Nella sentenza 25 aprile 1996, causa C-274/93, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I-2019, punti 11-13), la Corte ha - con un formalismo che mi sembra eccessivo - dichiarato irricevibile un ricorso diretto a far constatare l'inadempimento, da parte del governo lussemburghese, dell'obbligo di recepire le disposizioni di una direttiva, perché la Commissione, dopo aver fatto valere nelle conclusioni del ricorso «la mancata trasposizione da parte della legge lussemburghese di talune disposizioni», ha successivamente chiesto «di accertare che il Granducato di Lussemburgo non ha adottato tutti i provvedimenti necessari per conformarsi alla direttiva», impedendo così allo Stato membro convenuto - peraltro non costituitosi - di «pronunciarsi sulle censure (...) relative all'insufficiente trasposizione di talune singole disposizioni della direttiva».


55: -    In effetti, la Commissione chiede in buona sostanza all'Austria - forse senza rendersene conto - di attribuire efficacia retroattiva all'estensione della responsabilità penale per riciclaggio ai beni di valore inferiore a 100 000 ATS. Ma tale richiesta confligge col principio «che ordina di non applicare la legge penale in modo estensivo a discapito dell'imputato, che è il corollario del principio della previsione legale dei reati e delle pene, e più in generale del principio di certezza del diritto» (si veda la sentenza 12 dicembre 1996, cause riunite C-74/95 e C-129/95, X, Racc. pag. I-6609, punto 25).


56: -     Si vedano in particolare il punto 44 del ricorso ed il punto 8 della replica.


57: -     A tale struttura si richiama pure la direttiva, nel suo settimo 'considerando‘.


58: -     Può farsi riferimento alla direttiva 88/361/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1988, per l'attuazione dell'articolo 67 del Trattato (GU L 178, pag. 5), i cui allegati contengono una descrizione dettagliata dei diversi movimenti di capitali e delle transazioni e operazioni che li riguardano.


59: -     Controricorso, punto IV.1, ove si riporta un parere del professor Georg Ress.


60: -     Da parte austriaca si solleva il problema dell'eventuale illegittimità del solo art. 3 della direttiva. Si veda al riguardo la controreplica, paragrafo 3.


61: -     Controricorso, punto IV.3, e controreplica, capitolo 3, ove si lamenta che, nella specie, «si tratta (...) di una direttiva il cui termine di trasposizione era scaduto molto tempo prima dell'adesione dell'Austria all'Unione europea».


62: -     Controricorso, punto IV.3, in fine: «L'articolo 184 del Trattato CE non precisa se la Corte possa occuparsi d'ufficio del vizio che interessa un atto giuridico nel quadro di una procedura d'infrazione».


63: -     Sentenze 12 ottobre 1978, causa 156/77, Commissione/Belgio (Racc. pag. 1881, punto 24), e 15 novembre 1983, causa 322/82, Commissione/Italia (Racc. pag. 3689, punto 10).


64: -     Sentenza 30 giugno 1988, causa 226/87, Commissione/Grecia (Racc. pag. 3611, punto 14).


65: -     Ibidem, punto 16. Si veda pure la sentenza 26 febbraio 1987, causa 15/85, Consorzio cooperative d'Abruzzo/Commissione (Racc. pag. 1032).


66: -     Sentenza 6 marzo 1979, causa 92/78, Simmenthal/Commissione (Racc. pag. 777, punto 39). L'affermazione riportata segna il punto di arrivo di una riflessione iniziata con le sentenze 12 giugno 1958, causa 2/57, Compagnie des Hauts Fourneaux de Chasse/Alta Autorità (Racc. pag. 121), e 13 giugno 1958, causa 9/56, Meroni/Alta Autorità (Racc. pag. 9), e proseguita con la sentenza 13 luglio 1966, causa 32/65, Italia/Consiglio e Commissione (Racc. pag. 295). Tale indirizzo non sempre è stato seguito in modo rigoroso dalla Corte. Così, nella sentenza 18 settembre 1986, causa 116/82, Commissione/Germania (Racc. pag. 2519, punto 8), si è consentito alla Germania di contestare la legittimità del regolamento il cui mancato rispetto le veniva contestato.


67: -     Ancorché tale esclusione sia criticabile sotto il profilo del rispetto del principio di legalità dell'azione comunitaria; si vedano al riguardo le conclusioni dell'avvocato generale Darmon nella causa C-258/89, Commissione/Spagna (Racc. 1991, pag. I-3986, punti 13-31), e la dottrina ivi richiamata.


68: -     Nella sentenza 27 ottobre 1992, causa C-74/91, Commissione/Germania (Racc. pag. I-5437).


69: -     Ibidem, punto 10.


70: -     Ibidem, punto 11.


71: -     Ho espresso convinzioni simili nel punto 27 delle mie recenti conclusioni presentate il 20 gennaio 2000 nella causa C-206/98, Commissione/Belgio.


72: -     Controreplica, capitolo 3.


73: -     Sentenza 7 novembre 1991, causa C-313/89, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-5231, punto 10).


74: -     Replica, punto 50.


75: -     Si tratta dello stesso approccio metodologico seguito dalla Corte nella sentenza Commissione/Spagna, citata alla nota 66, ove si è verificata l'interpretazione - e non la legittimità - del regolamento del cui mancato rispetto la Commissione accusava la Spagna.


76: -     Nello stesso senso si veda la sentenza 17 luglio 1997, causa C-28/95, Leur-Bloem (Racc. pag. I-4161), ove al punto 36 si precisa che una direttiva adottata in base all'art. 100 del Trattato CEE (divenuto art. 94 CE) «si applica indistintamente a tutte le operazioni [in essa previste], a prescindere dai loro motivi, siano essi finanziari, economici o puramente fiscali».


77: -     Anche il Consiglio e la Commissione, in varie dichiarazioni iscritte a verbale nell'ambito della procedura di cooperazione, hanno fornito la stessa interpretazione dell'art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva, sottolineando che i clienti cui allude il n. 1 concludono con la banca una relazione destinata a durare, mentre quelli cui si riferisce il n. 2 hanno con la banca contatti occasionali, limitati nel tempo in ragione del carattere puntuale dell'operazione effettuata e sprovvisti quindi di effetti durevoli.


78: -     L'identificazione è prevista per l'apertura dei conti di risparmio da parte di «stranieri» e per il deposito su tali conti di fondi ricevuti da «stranieri». Si vedano i punti 8.2.2 e 8.2.3 della comunicazione ufficiale della Banca nazionale austriaca DL 2/91.


79: -     Replica, punto 14.


80: -     Ricorso, punto 39.


81: -     Ricorso, punto 40. La Commissione aggiunge, al successivo punto 41, che l'effettuazione di transazioni «su un conto anonimo dovrebbe, di per se stesso, risvegliare i giustificati sospetti dell'ente creditizio o finanziario circa un eventuale riciclaggio».


82: -     Più precisamente, il punto 8.2.2 della comunicazione ufficiale DL 2/91 parla di «statuto in relazione al regime dei cambi» («devisenrechtliche Status»), riferendosi al fatto se il cliente sia o meno «straniero» («Ausländer»), cioè non residente. Si veda il punto III.A.1.3 del controricorso.


83: -     Controricorso, punto III.A.1.4, e controreplica, punto 2.1.4. Il governo austriaco si richiama ad un parere del professor Markus Achatz.


84: -     Controricorso, punto III.A.1.1.b).


85: -     Controreplica, punto 2.1.1.


86: -     Controreplica, punto 2.1.3.


87: -     Secondo i dati forniti dalla Commissione (ricorso, punto 72), in Austria vi sarebbero stati nel 1996 circa 26 milioni di conti di risparmio anonimi su una popolazione di circa 7,5 milioni di abitanti.


88: -     Controricorso, punto III.A.1.1.e), e controreplica, punto 2.1.3. Su questi moventi di tipo psicologico si sono soffermati gli agenti del governo austriaco nell'udienza del 15 marzo 2000, affermando pure che l'anonimato dei conti di risparmio servirebbe a tutelare esigenze lato sensu familiari, nel senso che consentirebbe ad un coniuge di nascondere all'altro la consistenza dei propri risparmi.


89: -     Questo argomento difensivo, peraltro, è strettamente connesso all'eccezione d'illegittimità sollevata dal governo austriaco ed esaminata in precedenza.


90: -     Ricorso, punto 69.


91: -     Non risulta chiaro se e in quale misura sia possibile, secondo il diritto austriaco, aprire conti di risparmio in divise estere. Il punto, peraltro, non è rilevante ai fini della presente causa.


92: -     Comunicazione ufficiale della Banca nazionale austriaca DL 2/91, punto 8.2.3.


93: -     Controricorso, punto III.A.1.1.a).


94: -     Controreplica, punti 2.1.1 e 2.1.3.


95: -     Controricorso, punto III.A.1.1.b).


96: -     Si vedano anche i lavori preparatori della direttiva, in particolare la proposta della Commissione del 28 aprile 1990 (GU C 106, pag. 6), come modificata il 19 dicembre 1990 (GU C 319, pag. 9).


97: -     Che pure avrebbero avuto interesse a farlo.


98: -     Specialmente se si considera la giurisprudenza costante secondo cui il recepimento di una direttiva deve di regola aver luogo mediante atti interni vincolanti e non modificabili, che abbiano un valore giuridico identico alle altre disposizioni interne da modificare o completare. Si veda, ex multis, la recente sentenza 4 dicembre 1997, causa C-207/96, Commissione/Italia (Racc. pag. I-6869, punto 26).


99: -     L'art. 32, n. 2, della BWG sembra consentire che i versamenti su conti di risparmio siano effettuati anche senza la presentazione del libretto.


100: -     Ciò vale soprattutto per le giustificazioni riguardanti la tutela della salute. Si vedano soprattutto le sentenze 5 ottobre 1977, causa 5/77, Tedeschi (Racc. pag. 1555, punto 35); 10 dicembre 1985, causa 247/84, Motte (Racc. pag. 3887, punto 16), e, da ultimo, 25 marzo 1999, causa C-112/97, Commissione/Italia (Racc. pag. I-1821,     punto 54).


101: -     Al riguardo, ricordo che comunque uno Stato membro, per giurisprudenza costante, non può avvalersi di difficoltà interne per giustificare il mancato rispetto degli obblighi di una direttiva. Si veda, ex multis, la sentenza 27 aprile 1988, causa 225/86, Commissione/Italia (Racc. pag. 2271, punto 10).


102: -     Sentenza 18 dicembre 1997, causa C-263/96, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-7453, punto 30).


103: -     Lettera della Commissione del 14 febbraio 1996, riportata nell'allegato 1 del ricorso, conclusioni («Schlussfolgerungen»), pag. 5 (il corsivo è mio).


104: -     Ibidem.


105: -     Controricorso, punto III.B.5.


106: -     Ibidem, pag. 27.


107: -     Controricorso, punto III.B.3. Controreplica, punto 2.4.1.


108: -     Controreplica, punto 2.4.1, pag. 15.


109: -     Sentenza 26 febbraio 1976, causa 52/75, Commissione/Italia (Racc. pag. 277, punto 10). Si veda pure la sentenza 21 giugno 1973, causa 79/72, Commissione/Italia (Racc. pag. 667, punto 7).


110: -     Sentenza 15 gennaio 1986, causa 52/84, Commissione/Belgio (Racc. pag. 89, punto 16). Si veda pure la sentenza 2 febbraio 1988, causa 213/85, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. 281, punto 22).


111: -     Si vedano, ex multis, le sentenze 28 aprile 1988, causa 120/86, Mulder (Racc. pag. 2321, punto 27), 5 ottobre 1994, cause riunite C-133/93, C-300/93 e C-362/93, Crispoltoni (Racc. pag. I-4863, punto 57), e 26 novembre 1996, causa C-68/95, T. Port (Racc. pag. I-6065, punto 40).


112: -     Si vedano, ex multis, le sentenze 21 settembre 1983, cause riunite 205/82-215/82, Deutsche Milchkontor (Racc. pag. 2633, punto 33), e 20 marzo 1997, causa C-24/95, Alcan Deutschland (Racc. pag. I-1591, punto 38).


113: -     Sentenza 24 settembre 1998, causa C-76/97 (Racc. pag. I-5357). Il settore interessato è quello delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione di appalti pubblici di lavori e forniture.


114: -     Ibidem, punto 28.


115: -     Si veda, in particolare, la sentenza 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing (Racc. pag. I-4135, punto 8).


116: -     Replica, punto 42.