Language of document : ECLI:EU:C:2022:683

SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

15 settembre 2022 (*)

[Testo rettificato con ordinanza del 28 ottobre 2022]

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2004/38/CE – Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a) – Nozione di “altro familiare convivente con il cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale” – Criteri di valutazione»

Nella causa C‑22/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Supreme Court (Corte suprema, Irlanda), con decisione del 13 gennaio 2021, pervenuta in cancelleria il 14 gennaio 2021, nel procedimento

SRS,

AA

contro

Minister for Justice and Equality,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da K. Jürimäe, presidente di sezione, N. Jääskinen, M. Safjan, N. Piçarra (relatore) e M. Gavalec, giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per SRS e AA, da K. Berkeley, solicitor, M. Flynn, JC, e C. O’Dwyer, SC;

–        [Come rettificato con ordinanza del 28 ottobre 2022] per il Minister for Justice and Equality, da M. Browne, A. Joyce e J. Quaney, in qualità di agenti, assistiti da D. Brett, D. Conlan Smyth, SC, e da T. O’Connor, BL;

–        per il governo ceco, da M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;

–        per il governo danese, da J. Nymann-Lindegren e M. Søndahl Wolff, in qualità di agenti;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e J.M. Hoogveld, in qualità di agenti;

–        per il Regno di Norvegia, da J.T. Kaasin e H. Ruus, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da E. Montaguti e J. Tomkin, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 marzo 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che vede contrapposti SRS e AA al Minister for Justice and Equality (Ministro della Giustizia e delle Pari opportunità, Irlanda) in merito alla legittimità di una decisione di diniego del permesso di soggiorno.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

3        Il considerando 6 della direttiva 2004/38 enuncia quanto segue:

«Per preservare l’unità della famiglia in senso più ampio senza discriminazione in base alla nazionalità, la situazione delle persone che non rientrano nella definizione di familiari ai sensi della presente direttiva, e che pertanto non godono di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante, dovrebbe essere esaminata dallo Stato membro ospitante sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l’ingresso e il soggiorno possano essere concessi a tali persone, tenendo conto della loro relazione con il cittadino dell’Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell’Unione».

4        L’articolo 2, punto 2, di tale direttiva, intitolato «Definizioni», così dispone:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

2)      “familiare”:

a)      il coniuge;

b)      il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante;

c)      i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);

d)      gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b)».

5        L’articolo 3 di detta direttiva, intitolato «Aventi diritto», prevede quanto segue:

«1.      La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo.

2.      Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell’interessato, lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l’ingresso e il soggiorno delle seguenti persone:

a)      ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all’articolo 2, punto 2, se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell’Unione lo assista personalmente;

b)      il partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata.

Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l’eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno».

 Diritto irlandese

6        La direttiva 2004/38 è stata trasposta nell’ordinamento giuridico irlandese dallo European Communities (Free Movement of Persons) (n. 2) Regulations 2006 [regolamento relativo alle Comunità europee (libera circolazione delle persone) (n. 2) del 2006] (in prosieguo: il «regolamento del 2006»).

7        L’articolo 2, paragrafo 1, di tale regolamento, che recepisce nel suddetto ordinamento giuridico l’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2004/38, è così formulato:

«(...)

Per “familiare autorizzato”, in relazione a un cittadino dell’Unione, si intende qualsiasi familiare, a prescindere dalla sua nazionalità, che non sia un familiare riconosciuto del cittadino dell’Unione e che, nel suo paese d’origine, nel paese della sua residenza abituale o in quello della sua precedente residenza

a)      sia a carico del cittadino dell’Unione;

b)      sia un familiare convivente del cittadino dell’Unione;

c)      necessiti imperativamente, per gravi motivi di salute, che il cittadino dell’Unione lo assista personalmente; o

d)      è il partner con cui il cittadino dell’Unione ha una relazione stabile debitamente attestata».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

8        SRS ed AA, nati in Pakistan, rispettivamente, nel 1978 e nel 1986, sono cugini di primo grado. SRS si è trasferito nel Regno Unito con la sua famiglia nel 1997 ed ha acquistato la cittadinanza britannica nel 2013. AA si è recato nel Regno Unito nel 2010, al fine di proseguirvi i suoi studi universitari, iniziati in Pakistan. Egli disponeva, a tale titolo, di un visto per studenti della durata di quattro anni, che non gli consentiva di lavorare, e si è trasferito nell’alloggio in cui risiedeva SRS.

9        SRS e AA hanno quindi vissuto insieme, in particolare, con i genitori di SRS, fino alla partenza di quest’ultimo per l’Irlanda, nel gennaio 2015. AA, il cui visto per studenti è scaduto il 28 dicembre 2014, ha raggiunto SRS in Irlanda, il 5 marzo 2015, senza disporre di un visto. Entrambi vivono nello stesso alloggio a partire da quest’ultima data.

10      Il 24 giugno 2015, AA ha presentato una domanda di permesso di soggiorno presso il Ministro della Giustizia e delle Pari opportunità, facendo valere, da un lato, la sua dipendenza finanziaria nei confronti di SRS e, dall’altro, il suo status di familiare facente parte del nucleo familiare di SRS. Tale domanda è stata respinta con decisione del 21 dicembre 2015, con la motivazione, in particolare, che solo il periodo successivo alla naturalizzazione di SRS, nel febbraio 2013, poteva essere preso in considerazione, cosicché si doveva ritenere che SRS ed AA avessero risieduto insieme per un periodo inferiore a due anni.

11      Nel gennaio 2016, AA, dopo aver inserito nel fascicolo altri documenti diretti a provare che era a carico di SRS tra il luglio 2010 e il gennaio 2015, ha chiesto il riesame di tale decisione. Il 15 agosto 2016, il Ministro della Giustizia e delle Pari opportunità ha confermato detta decisione con la motivazione che, sebbene SRS e AA avessero risieduto allo stesso indirizzo, non era stato tuttavia dimostrato che SRS «fosse effettivamente il capo di tale nucleo familiare nel Regno Unito».

12      SRS ed AA hanno quindi proposto dinanzi alla High Court (Alta Corte, Irlanda) un ricorso di annullamento avverso la decisione del 15 agosto 2016. Essi hanno fatto valere che il criterio del «capofamiglia» non era chiaro e che essi non disponevano di alcuna indicazione quanto al modo di conformarvisi. Con sentenza del 25 luglio 2018, detto giudice ha respinto il ricorso considerando che, per poter essere qualificato come «altro familiare convivente con un cittadino dell’Unione», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, doveva essere dimostrato che tale cittadino era il «capofamiglia» nel suo Stato di origine.

13      SRS e AA hanno impugnato tale sentenza dinanzi alla Court of Appeal (Corte d’appello, Irlanda) sostenendo, in particolare, che la High Court (Alta Corte) aveva interpretato restrittivamente la nozione di «altro familiare convivente con un cittadino dell’Unione» e che essa non aveva tenuto conto delle altre versioni linguistiche della direttiva 2004/38. Con decisione del 19 dicembre 2019, la Court of Appeal (Corte d’appello) ha respinto tale impugnazione. Essa ha dichiarato che persone che vivono sotto lo stesso tetto non fanno necessariamente parte dello stesso nucleo familiare e che, per poter essere considerate appartenenti al nucleo familiare di un cittadino dell’Unione, tali persone devono far parte integrante della cellula familiare di tale cittadino e restarlo in un futuro prevedibile, risiedendo sotto lo stesso tetto nello Stato membro ospitante non solo per motivi di convenienza, ma anche a causa di un attaccamento affettivo.

14      SRS e AA sono stati autorizzati a proporre impugnazione dinanzi alla Supreme Court (Corte suprema, Irlanda), giudice del rinvio. Il 20 luglio 2020, tale giudice ha circoscritto l’impugnazione all’interpretazione della nozione di «altro familiare convivente con un cittadino dell’Unione», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38.

15      Pur rilevando talune differenze a seconda delle versioni linguistiche della direttiva 2004/38, detto giudice osserva che l’espressione «capofamiglia», benché desueta, può essere utile per comprendere tale nozione. Esso propone altresì una serie di criteri al fine di giungere ad un’interpretazione uniforme della suddetta nozione, tra i quali figurano la durata e la finalità del nucleo familiare. Esso aggiunge che, tenuto conto dell’obiettivo perseguito da tale direttiva, ossia facilitare la circolazione dei cittadini dell’Unione, occorrerebbe ancora determinare se il cittadino dell’Unione sarebbe dissuaso dal trasferirsi in un altro Stato membro se l’altro familiare interessato, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), di detta direttiva, non fosse in grado di accompagnarlo.

16      È in tale contesto che la Supreme Court (Corte suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la nozione di “familiare convivente di un cittadino dell’Unione” ai sensi dell’articolo 3 [, paragrafo 2, primo comma, lettera a),] della direttiva [2004/38] possa essere definita in modo da essere applicata universalmente in tutta l’Unione [europea] e, in caso di risposta affermativa, quale sia tale definizione.

2)      Se tale nozione non può essere definita, quali siano i criteri in base ai quali i giudici devono esaminare le prove per consentire agli organi giurisdizionali nazionali di decidere, sulla base di un elenco consolidato di elementi, chi è o chi non è un familiare convivente di un cittadino dell’Unione ai fini della libertà di circolazione».

 Sulle questioni pregiudiziali

17      Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte di interpretare la nozione di «ogni altro familiare convivente con un cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale», di cui all’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, in modo da precisare i criteri che devono essere presi in considerazione a tal fine.

18      In via preliminare, occorre rilevare che, sebbene l’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2004/38 faccia riferimento alla normativa nazionale, tale riferimento, come rilevato dalla Commissione europea nelle sue osservazioni scritte, riguarda non già la definizione delle persone menzionate in tale disposizione, bensì le condizioni alle quali lo Stato membro ospitante deve agevolare l’ingresso e il soggiorno di tali persone.

19      Poiché la suddetta disposizione non contiene alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri per definire la nozione di «ogni altro familiare convivente con un cittadino dell’Unione», dalla necessità di garantire tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio di uguaglianza discende che la stessa disposizione deve normalmente trovare, in tutta l’Unione, un’interpretazione autonoma e uniforme, che tenga conto non solo della lettera di detta disposizione, ma anche del contesto in cui essa si inserisce e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui fa parte [v., in tal senso, sentenze del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 32, del 26 marzo 2019, SM (Minore posto sotto il regime della kafala algerina), C‑129/18, EU:C:2019:248, punto 50, nonché del 24 febbraio 2022, A e a. (Contratti di assicurazione detti «unit-linked»), C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punto 68].

20      Per quanto riguarda l’interpretazione letterale dell’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, occorre anzitutto ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche di una disposizione del diritto dell’Unione non può essere l’unico elemento a sostegno dell’interpretazione di questa disposizione, né si può attribuire ad essa un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. L’esigenza di un’interpretazione e di un’applicazione uniformi di ciascuna disposizione del diritto dell’Unione esclude che essa sia considerata isolatamente in una delle sue versioni linguistiche, ma impone che essa sia interpretata in funzione dell’impianto sistematico e della finalità della normativa di cui fa parte (v., in tal senso, sentenze del 27 ottobre 1977, Bouchereau, 30/77, EU:C:1977:172, punto 14, e del 25 febbraio 2021, Bartosch Airport Supply Services, C‑772/19, EU:C:2021:141, punto 26).

21      Nel caso di specie, sebbene i termini utilizzati in talune versioni linguistiche dell’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, al pari della versione in lingua spagnola («viva con»), italiana («convive») o neerlandese («inwonen»), possano essere interpretati nel senso che fanno riferimento ad una mera convivenza sotto lo stesso tetto, i termini impiegati in altre versioni linguistiche di tale disposizione indicano la vita domestica e l’insieme delle attività e degli affari legati ad una comunione di vita familiare nell’ambito dello stesso ambiente domestico, il che lascia pensare a qualcosa di più della semplice condivisione di un alloggio o di una semplice coabitazione temporanea per ragioni di mera convenienza. Ciò si verifica, in particolare, nel caso delle versioni in lingua ceca («domácnost»), tedesca («häusliche Gemeinschaft»), estone («leibkond»), inglese («household»), o francese («ménage»), ungherese («háztartás»), portoghese («comunhão de habitação»), slovacca («domácnosť») e finlandese («samassa taloudessa») della suddetta disposizione.

22      Inoltre, occorre rilevare che nulla, nella formulazione dell’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, consente di ritenere che, al fine di interpretare tale disposizione, si debba ricorrere alla nozione di «capofamiglia». Infatti, come precisato dall’avvocato generale al paragrafo 34 delle sue conclusioni, ciò equivarrebbe ad imporre, in pratica, un criterio supplementare non previsto dal testo della stessa disposizione.

23      L’interpretazione letterale dell’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, secondo la quale l’«altro familiare», per poter rientrare in tale disposizione, deve avere un legame con il cittadino dell’Unione i cui trattasi che implica qualcosa di più di una mera coabitazione per ragioni di mera convenienza, è corroborata dal contesto in cui si inserisce la suddetta disposizione. Infatti, le altre due ipotesi previste dalla stessa disposizione, lette alla luce del considerando 6 di tale direttiva, fanno riferimento ad una situazione di dipendenza dell’«altro familiare» nei confronti del cittadino dell’Unione. La prima, ossia quella in cui tale altro familiare è a carico del cittadino dell’Unione, riguarda una situazione di dipendenza economica. La seconda, quella in cui il cittadino dell’Unione deve, per gravi motivi di salute, obbligatoriamente e personalmente occuparsi dell’«altro familiare» interessato, fa esplicitamente riferimento ad una situazione di dipendenza fisica. In tale contesto, l’ipotesi di cui trattasi nel procedimento principale, vale a dire quella in cui l’altro familiare fa parte del nucleo familiare del cittadino dell’Unione, deve essere intesa nel senso che essa riguarda anche una situazione di dipendenza fondata, questa volta, sull’esistenza di un legame personale stretto e stabile tra queste due persone.

24      Una siffatta interpretazione è, inoltre, corroborata dall’obiettivo perseguito dall’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, letto alla luce del suo considerando 6, il quale precisa che tale direttiva ha lo scopo di «preservare l’unità della famiglia in senso più ampio», agevolando l’ingresso e il soggiorno delle persone che, pur non rientrando in una delle categorie di «familiare» di un cittadino dell’Unione definite all’articolo 2, punto 2, della suddetta direttiva, tuttavia presentano vincoli familiari stretti e stabili con tale cittadino in ragione di specifiche circostanze di fatto [v., in tal senso, sentenze del 5 settembre 2012, Rahman e a., C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 32, nonché del 26 marzo 2019, SM (Minore posto sotto il regime della kafala algerina), C‑129/18, EU:C:2019:248, punto 60].

25      A differenza dei familiari del cittadino dell’Unione definiti all’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38, gli «altri familiari» di tale cittadino, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), di tale direttiva, non beneficiano di un diritto di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante di detto cittadino, bensì della possibilità di ottenere tale diritto, come enunciato dal considerando 6 di detta direttiva, «tenendo conto della loro relazione con il cittadino dell’Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell’Unione». A tal fine, gli «altri familiari» beneficiano, in forza dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, della stessa direttiva, di garanzie di ordine procedurale, ossia dell’ottenimento di una decisione, che statuisca sulla loro domanda di ingresso e di soggiorno, la quale deve essere basata su un esame approfondito della loro situazione personale e tenere conto di tutte le circostanze specifiche ad essa proprie e che, in caso di rifiuto, dev’essere motivata [v., in tal senso, sentenze del 5 settembre 2012, Rahman e a., C‑83/11, EU:C:2012:519, punti da 19 a 22, nonché del 26 marzo 2019, SM (Minore posto sotto il regime della kafala algerina), C‑129/18, EU:C:2019:248, punto 62].

26      In tali circostanze, l’«altro familiare», per poter essere considerato convivente, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, di un cittadino dell’Unione che gode di un diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, deve fornire la prova di un legame personale stretto e stabile con tale cittadino, che attesti una situazione di effettiva dipendenza tra tali due persone nonché la condivisione di una comunione di vita domestica che non sia stata determinata dallo scopo di ottenere l’ingresso e il soggiorno in tale Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a., C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 38).

27      Al fine di valutare l’esistenza di un legame siffatto, il grado di parentela tra il cittadino dell’Unione e l’altro familiare interessato costituisce certamente un elemento da prendere in considerazione. Tuttavia, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 40 e 41 delle sue conclusioni, occorre anche tener conto, in funzione delle circostanze proprie di ciascun caso, della prossimità familiare di cui trattasi, della reciprocità e dell’intensità del legame esistente tra tali due persone. Il legame deve essere tale che, se all’altro familiare interessato fosse impedito di convivere con il cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante, almeno una di queste due persone ne risulterebbe danneggiata.

28      Tuttavia, non si può esigere che detto legame sia tale che il cittadino dell’Unione rinuncerebbe ad esercitare la propria libertà di circolazione, se tale altro familiare non potesse accompagnarlo o raggiungerlo nello Stato membro ospitante. Infatti, un requisito del genere equivarrebbe ad assimilare l’«altro familiare» interessato, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, ai familiari espressamente previsti all’articolo 2, punto 2, di tale direttiva.

29      Anche la durata della comunione di vita domestica tra il cittadino dell’Unione e l’altro familiare interessato costituisce un elemento importante da prendere in considerazione per valutare l’esistenza di un legame personale stabile. Tale durata deve poter essere determinata indipendentemente dalla data in cui è stato acquisito lo status di cittadino dell’Unione. Risulta, infatti, dall’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, interpretato alla luce del considerando 6 di quest’ultima, che, per valutare la stabilità del legame personale che unisce tali due individui, occorre tener conto non solo del periodo successivo all’acquisizione di tale status, ma anche del periodo precedente a quest’ultima.

30      Di conseguenza, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38 dev’essere interpretato nel senso che la nozione di «ogni altro familiare convivente con un cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale», menzionata in tale disposizione, designa le persone che intrattengono con tale cittadino un rapporto di dipendenza, basato su legami personali stretti e stabili, creati all’interno di uno stesso nucleo familiare, nell’ambito di una comunione di vita domestica che va al di là di una mera coabitazione temporanea, determinata da motivi di pura convenienza.

 Sulle spese

31      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

L’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE,

dev’essere interpretato nel senso che:

la nozione di «ogni altro familiare convivente con un cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale», menzionata in tale disposizione, designa le persone che intrattengono con tale cittadino un rapporto di dipendenza, basato su legami personali stretti e stabili, creati all’interno di uno stesso nucleo familiare, nell’ambito di una comunione di vita domestica che va al di là di una mera coabitazione temporanea, determinata da motivi di pura convenienza.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.