Language of document : ECLI:EU:T:2013:446

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

16 settembre 2013 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercati belga, tedesco, francese, italiano, olandese e austriaco delle ceramiche sanitarie e rubinetteria – Decisione che constata un’infrazione dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE – Coordinamento di aumenti di prezzo e scambio di informazioni commerciali riservate – Nozione di infrazione – Infrazione unica – Mercato rilevante – Orientamenti per il calcolo delle ammende del 2006 – Gravità – Moltiplicatori»

Nella causa T‑396/10,

Zucchetti Rubinetteria SpA, con sede in Gozzano (Italia), rappresentata da M. Condinanzi, P. Ziotti e N. Vasile, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da F. Castillo de la Torre, A. Antoniadis e L. Malferrari, in qualità di agenti, assistiti inizialmente da F. Ruggeri Laderchi e A. De Matteis, avvocati, successivamente da F. Ruggeri Laderchi, avvocato,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda diretta, in via principale, all’annullamento della decisione C (2010) 4185 def. della Commissione, del 23 giugno 2010, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/39092 – Ceramiche sanitarie e rubinetteria), per la parte concernente la ricorrente e, in subordine, all’estinzione o alla riduzione dell’ammenda inflitta alla medesima,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto da I. Pelikánová, presidente, K. Jürimäe (relatore) e M. van der Woude, giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 12 giugno 2012,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Con la decisione C (2010) 4185 def., del 23 giugno 2010, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/39092 – Ceramiche sanitarie e rubinetteria; in prosieguo: la «decisione controversa»), la Commissione europea ha constatato l’esistenza di un’infrazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria. Quest’infrazione, alla quale avrebbero partecipato 17 imprese, sarebbe stata realizzata nel corso di diversi periodi compresi tra il 16 ottobre 1992 e il 9 novembre 2004 e avrebbe assunto la forma di un insieme di accordi anticoncorrenziali o di pratiche concordate in Belgio, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi e Austria (punti 2 e 3 e articolo 1 della decisione controversa).

2        In particolare, nella decisione controversa la Commissione ha esposto che l’infrazione accertata consisteva, in primo luogo, nel coordinamento, da parte dei suddetti produttori di ceramiche sanitarie e rubinetteria, degli aumenti di prezzo annuali e di altri elementi di determinazione dei medesimi, nell’ambito di regolari riunioni in seno alle associazioni nazionali di settore, in secondo luogo, nella fissazione o nel coordinamento dei prezzi in occasione di eventi specifici, quali l’aumento del costo delle materie prime, l’istituzione dell’euro nonché l’introduzione di pedaggi autostradali e, in terzo luogo, nella divulgazione e nello scambio di informazioni commerciali riservate. Inoltre, la Commissione ha constatato che la fissazione dei prezzi nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria seguiva un ciclo annuale. In quest’ambito, i produttori stabilivano i loro listini prezzi, che solitamente rimanevano validi per un anno e costituivano la base per i rapporti commerciali con i grossisti (punti da 152 a 163 della decisione controversa).

3        I prodotti oggetto della decisione controversa sono ceramiche sanitarie e rubinetteria facenti parte di uno dei tre seguenti sottogruppi di prodotti: articoli di rubinetteria, box doccia e accessori, articoli sanitari in ceramica (in prosieguo: i «tre sottogruppi di prodotti») (punti 5 e 6 della decisione controversa).

4        La Zucchetti Rubinetteria SpA, ricorrente, è un’impresa italiana che, fra i tre sottogruppi di prodotti, produce e vende esclusivamente articoli di rubinetteria.

5        Nella decisione controversa la Commissione ha ritenuto che le pratiche descritte nel precedente punto 2 facessero parte di un piano generale finalizzato a limitare la concorrenza tra i destinatari di detta decisione e presentassero le caratteristiche di una violazione unica e continuata, la cui portata interessava i tre sottogruppi di prodotti menzionati nel precedente punto 3 e si estendeva ai territori di Belgio, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi e Austria (punti 778 e 793 della decisione controversa; in prosieguo: l’«infrazione accertata»). A questo riguardo, essa ha evidenziato segnatamente che dette pratiche avevano seguito un modello ricorrente, che risultava uniforme in tutti i sei Stati membri interessati dalle indagini della Commissione (punti 778 e 793 della decisione controversa). Essa ha parimenti rilevato l’esistenza di associazioni nazionali di settore riguardanti l’insieme dei tre sottogruppi di prodotti, che ha denominato «associazioni generiche», di associazioni nazionali di categoria comprendenti membri la cui attività riguardava almeno due di questi tre sottogruppi di prodotti, che ha denominato «associazioni interprodotto», nonché associazioni specializzate comprendenti membri la cui attività riguardava uno di questi tre sottogruppi di prodotti (punti 796 e 798 della decisione controversa). Infine, essa ha constatato la presenza in vari Stati membri di un gruppo centrale di imprese coinvolte nel cartello nell’ambito tanto di associazioni generiche quanto di associazioni interprodotto (punti 796 e 797 della decisione controversa).

6        Per quanto concerne le indicazioni ricavabili dalle pratiche anticoncorrenziali che si sarebbero svolte, in particolare, in Italia, queste ultime sarebbero state attuate nell’ambito di due gruppi informali. In primo luogo, alcune imprese, tra cui la ricorrente, si sarebbero riunite in seno a Euroitalia due o tre volte l’anno tra il luglio 1992 e l’ottobre 2004. Nell’ambito di questo gruppo, che si era formato quando i produttori tedeschi erano penetrati nel mercato italiano, gli scambi di informazioni avrebbero avuto ad oggetto non solo gli articoli di rubinetteria, ma anche le ceramiche sanitarie. In secondo luogo, alcune riunioni si sarebbero svolte in seno al gruppo Michelangelo (dal nome dell’albergo dove si tenevano le riunioni), alle quali la ricorrente avrebbe parimenti partecipato, tra la fine del 1995 o l’inizio del 1996 e il 25 luglio 2003. Durante tali riunioni, le discussioni avrebbero avuto ad oggetto un’ampia gamma di prodotti sanitari, in particolare la rubinetteria e gli articoli in ceramica (punti da 97 a 100 della decisione controversa).

7        Per quanto concerne la partecipazione della ricorrente alle riunioni di Euroitalia e di Michelangelo, la Commissione rileva, da una parte, che, sebbene la ricorrente critichi la qualificazione giuridica di intesa, essa tuttavia ammette di aver partecipato a discussioni inappropriate con i suoi concorrenti. Dall’altra, a prescindere dal fatto che essa abbia o meno applicato gli aumenti di prezzo in questione, la ricorrente avrebbe partecipato attivamente all’organizzazione delle riunioni e alle discussioni svoltesi in tali occasioni, come sarebbe dimostrato dalle prove scritte in possesso della Commissione (v. punti da 470 a 474 della decisione controversa).

8        Quanto alla determinazione dell’eventuale partecipazione delle imprese in questione all’infrazione accertata, la Commissione rileva che non vi sono prove sufficienti che consentano di concludere che la ricorrente nonché altre imprese italiane che avevano partecipato alle riunioni di Euroitalia e di Michelangelo erano al corrente di un piano generale (punti da 851 a 879 della decisione controversa).

9        Inoltre, per il calcolo delle ammende da essa imposte alle imprese destinatarie della decisione controversa, la Commissione si è basata sugli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti del 2006») (punti da 1174 a 1399 della decisione controversa).

10      Nell’articolo 1, paragrafo 5, punto 18, della decisione controversa la Commissione constata che la ricorrente ha partecipato a una violazione dal 16 ottobre 1992 al 9 novembre 2004 nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria nel territorio dell’Italia.

11      Nell’articolo 2, paragrafo 17, della decisione controversa, la Commissione impone alla ricorrente un’ammenda pari a EUR 3 996 000.

 Procedimento e conclusioni delle parti

12      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale l’8 settembre 2010, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

13      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento.

14      Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti posti oralmente dal Tribunale durante l’udienza del 12 giugno 2012.

15      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        in via principale, annullare la decisione controversa per la parte che la concerne;

–        in subordine, estinguere o ridurre sensibilmente l’ammontare dell’ammenda ad essa inflitta;

–        condannare la Commissione alle spese.

16      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

17      In via preliminare occorre ricordare che il sindacato giurisdizionale esercitato dal giudice dell’Unione europea, per quanto concerne le decisioni che infliggono sanzioni adottate dalla Commissione per punire le violazioni del diritto della concorrenza, si basa sul controllo di legittimità, previsto dall’articolo 263 TFUE, che è integrato, quando detto giudice è investito di una domanda in tal senso, da una competenza estesa anche al merito, riconosciuta a quest’ultimo in forza dell’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’articolo 261 TFUE (v., in tal senso, sentenza della Corte dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, Racc. pag. I-13085, punti 53, 63 e 64). Detta competenza autorizza il giudice, oltre al mero controllo sulla legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, eventualmente, a sopprimere, ridurre o aumentare l’importo dell’ammenda o la penalità inflitta (v. sentenza della Corte dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione, C‑272/09 P, Racc. pag. I-12789, punto 103 e giurisprudenza ivi citata; v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 5 ottobre 2011, Romana Tabacchi/Commissione, T‑11/06, Racc. pag. II‑6681, punto 265).

18      Alla luce della giurisprudenza ricordata al punto precedente, occorre esaminare, in un primo tempo, la domanda formulata in via principale dalla ricorrente, diretta a ottenere l’annullamento della decisione controversa per la parte che la concerne, e, in un secondo tempo, quella formulata in subordine, diretta sostanzialmente a che il Tribunale eserciti la sua competenza estesa anche al merito per riformare, sopprimendola o riducendola, l’ammenda che la Commissione le ha inflitto.

 Sulla domanda, formulata in via principale, diretta all’annullamento parziale della decisione controversa

19      A sostegno del proprio ricorso, la ricorrente deduce tre motivi. Il primo motivo denuncia errori commessi dalla Commissione nella determinazione del mercato rilevante. Il secondo motivo denuncia il fatto che la Commissione avrebbe giudicato a torto che le pratiche in questione costituivano una violazione dell’articolo 101 TFUE. Il terzo motivo denuncia errori e violazioni commessi dalla Commissione nel calcolo dell’importo dell’ammenda.

 Sul primo motivo, che denuncia errori commessi dalla Commissione nella determinazione del mercato rilevante

20      La ricorrente sostiene che la Commissione ha violato l’articolo 101 TFUE, ha commesso errori manifesti di valutazione ed è venuta meno ai suoi obblighi di istruttoria e di motivazione per quanto concerne la definizione del mercato rilevante individuato nella decisione controversa, in particolare nel punto 791 della medesima. Come ha confermato in udienza, in risposta ai quesiti del Tribunale, a questo proposito essa solleva due censure principali.

21      Prima di tutto, quanto ai tre sottogruppi di prodotti, la ricorrente sostiene anzitutto che la Commissione ha omesso di definire con precisione i mercati rilevanti, sebbene tale analisi costituisse un presupposto indispensabile per qualificare i fatti in esame come infrazione unica. Inoltre, la Commissione avrebbe ritenuto ingiustamente che i tre sottogruppi di prodotti facessero parte di uno stesso e unico mercato nonostante che, da un lato, essi non siano sostituibili sia dal punto di vista dell’offerta, sia da quello della domanda e, dall’altro, che si tratti di prodotti differenti sotto il profilo tecnologico, commerciale ed estetico. A questo riguardo essa evidenzia che, anche qualora potesse ritenersi esistente una complementarietà e un legame economico tra la rubinetteria e le ceramiche sanitarie, ciò rimarrebbe insufficiente per dimostrare l’esistenza di un unico mercato rilevante.

22      In seguito, la Commissione avrebbe omesso di determinare, nella decisione controversa, l’estensione del mercato geografico rilevante in osservanza di quanto stabilito nel punto 8 della comunicazione della Commissione sulla definizione del mercato di cui trattasi ai fini del diritto comunitario della concorrenza (GU 1997, C 372, pag. 5). A questo riguardo, la ricorrente osserva che la Commissione si è limitata a precisare che l’infrazione accertata riguardava i sei Stati membri menzionati nel precedente punto 1.

23      La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

24      In primo luogo, per quanto concerne la censura della ricorrente secondo la quale la Commissione non poteva concludere nel senso dell’esistenza di una violazione unica, dato che proprio i tre sottogruppi di prodotti non facevano parte di un solo e medesimo mercato di prodotti, innanzitutto occorre constatare che, nella decisione controversa, da un lato, la Commissione non ha assolutamente ritenuto che detti tre sottogruppi, dalla stessa chiaramente distinti nei punti da 5 a 12 della decisione controversa, facessero parte di un solo e medesimo mercato di prodotti. Infatti, nel punto 791 della decisione controversa, la Commissione ha rilevato che «il semplice fatto che i prodotti cui fa riferimento la violazione appartengano a mercati diversi non mette in dubbio la qualificazione di un determinato comportamento come violazione unica».

25      Dall’altro, il fatto che la Commissione abbia ritenuto esistente una violazione unica nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria, tenuto conto dell’interdipendenza delle pratiche anticoncorreziali relative ad ognuno dei tre sottogruppi di prodotti e dell’esistenza di un piano globale, come si evince in particolare dal punto 796 della decisione controversa, non implica che la Commissione ne abbia dedotto che i tre sottogruppi di prodotti facessero parte di un solo e medesimo mercato. Infatti, a questo proposito è importante ricordare che la violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE può risultare non solo da accordi o pratiche concordate isolate, da sanzionare in quanto violazioni distinte, ma anche da una serie di accordi o pratiche concordate tra loro collegati in modo da doverli ritenere elementi costitutivi di un’unica infrazione (v., in tal senso, sentenza della Corte del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Racc. pag. I‑123, punto 258 e giurisprudenza ivi citata). Al fine di dimostrare l’esistenza di un’infrazione unica, spetta alla Commissione dimostrare che gli accordi o le pratiche concordate, pur vertendo su prodotti, servizi o territori distinti, si inseriscono in un piano globale posto in esecuzione consapevolmente dalle imprese interessate allo scopo di realizzare un obiettivo anticoncorrenziale unico (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit., punti 258 e 260, e sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2008, Lafarge/Commissione, T‑54/03, non pubblicata nella Raccolta, punto 482).

26      Di conseguenza la Commissione non ha commesso nessun errore constatando che i tre sottogruppi di prodotti avevano costituito oggetto di un’unica violazione, benché appartenessero a mercati di prodotti distinti.

27      Occorre poi rilevare che la Commissione non aveva nessun obbligo di tracciare una delimitazione precisa, nella decisione controversa, dei mercati di prodotti ai quali appartenevano i tre sottogruppi di prodotti.

28      Da un lato, come la Commissione ha chiarito, sostanzialmente, nel punto 891 della decisione controversa, senza opposizioni da parte della ricorrente, dalla giurisprudenza si evince che, in sede di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, è per stabilire se un accordo possa incidere sul commercio tra Stati membri ed abbia per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza all’interno dell’Unione che la Commissione deve definire il mercato in questione. Di conseguenza, l’obbligo di tracciare una delimitazione del mercato di cui trattasi in una decisione adottata ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE si impone alla Commissione unicamente quando, senza siffatta delimitazione, non sia possibile stabilire se l’accordo, la decisione di associazione di imprese o la pratica concordata di cui è causa possa incidere sugli scambi tra Stati membri e abbia per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza all’interno del mercato comune (v. sentenza del Tribunale del 25 ottobre 2005, Groupe Danone/Commissione, T‑38/02, Racc. pag. II‑4407, punto 99 e giurisprudenza ivi citata).

29      Nel caso di specie, basti constatare che la ricorrente non ha dedotto né argomenti né prove diretti a dimostrare che, contrariamente a quanto considerato dalla Commissione nella decisione controversa, le pratiche concordate svoltesi nell’ambito di Euroitalia e di Michelangelo, concernenti gli articoli di rubinetteria posti in commercio in Italia, non erano state in grado di incidere sul commercio tra gli Stati membri e non avevano avuto come scopo quello di restringere o falsare la concorrenza in seno al mercato interno.

30      Dall’altro, occorre rilevare, analogamente a quanto fatto dalla Commissione nel punto 892 della decisione controversa, che la constatazione secondo la quale i tre sottogruppi di prodotti appartengono a mercati di prodotti diversi non rimette comunque in discussione gli elementi di fatto che hanno condotto detta istituzione a ritenere sostanzialmente, nel punto 796 della citata decisione, che tali pratiche dovessero essere considerate parti di una violazione unica, tenuto conto dei nessi di interdipendenza esistenti tra loro e dell’esistenza del piano globale posto in esecuzione.

31      Alla luce di ciò, devono essere respinti in quanto ininfluenti gli argomenti della ricorrente diretti a sostenere che i tre sottogruppi di prodotti non appartengono a un solo e medesimo mercato di prodotti, dal momento che essi non sono sostituibili dal punto di vista dell’offerta o della domanda e che sono diversi da un punto di vista tecnologico, commerciale ed estetico.

32      Gli altri due argomenti della ricorrente non possono modificare quanto constatato nel precedente punto 31.

33      In merito al primo argomento della ricorrente, secondo il quale essa avrebbe partecipato solo alla parte italiana dell’accertata violazione, basti rilevare a questo proposito che una siffatta constatazione non implica che la Commissione non potesse validamente concludere nel senso dell’esistenza di una violazione unica alla quale avevano partecipato altre imprese, destinatarie della decisione controversa.

34      Quanto al secondo argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione avrebbe ingiustamente fatto riferimento, nel punto 791 della decisione controversa, alla sentenza del Tribunale del 15 giugno 2005 (Tokai Carbon e a./Commissione, T‑71/03, T‑74/03, T‑87/03 e T‑91/03, non pubblicata nella Raccolta, punto 90), occorre anzitutto rilevare che, al punto 791 della decisione controversa, la Commissione ha scritto quanto segue:

«Infine, la Commissione può basare la sua descrizione del mercato rilevante nei casi di cartello sul comportamento delle imprese che vi hanno partecipato. Al punto 90 della sentenza relativa alla causa Tokai Carbon [e a./Commissione, cit.], il Tribunale (…) ha dichiarato che: “Non è la Commissione a scegliere arbitrariamente il mercato rilevante bensì i membri del cartello cui [l’impresa ricorrente in detta causa] ha partecipato che hanno deliberatamente incentrato il loro comportamento anticoncorrenziale sui prodotti [individuati nell’ambito di tale caso]”. Il semplice fatto che i prodotti cui fa riferimento la violazione appartengano a mercati diversi non mette in dubbio la qualificazione di un determinato comportamento come violazione unica».

35      È poi importante rilevare che, nel punto 889 della decisione controversa, la Commissione, facendo rinvio alla sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, citata nel precedente punto 34 (v. nota in calce n. 1248 della decisione controversa), ha ritenuto quanto segue:

«(...) sono essenzialmente i partecipanti al cartello a delineare la portata e i parametri fondamentali del cartello stesso incentrando deliberatamente il loro comportamento anticoncorrenziale sui prodotti e nei territori di cui trattasi».

36      Pertanto dai punti 791 e 889 della decisione controversa si evince che, in sede di esame della questione volta ad accertare se le pratiche illecite in esame costituissero diverse violazioni oppure una violazione unica (v. punto 5.2.3 della decisione controversa), la Commissione ha giustamente ritenuto che occorresse verificare non se le pratiche di cui trattasi concernessero prodotti appartenenti a un solo e unico mercato, bensì se le imprese stesse concepissero tali pratiche come parti di un piano di insieme posto in esecuzione consapevolmente dalle medesime allo scopo di realizzare un obiettivo anticoncorrenziale unico.

37      L’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione avrebbe erroneamente fatto rinvio alla sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, citata nel precedente punto 34, al fine di suffragare la constatazione dell’esistenza di una violazione unica dev’essere pertanto respinto in quanto infondato.

38      In secondo luogo, per quanto riguarda la censura della ricorrente secondo cui la Commissione non avrebbe delimitato il mercato geografico rilevante, occorre ricordare che, come si evince dalla giurisprudenza illustrata nel precedente punto 28, in sede di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE la Commissione è tenuta a definire il mercato rilevante solo al fine di determinare se le pratiche in questione incidano sul commercio tra Stati membri e abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza in seno al mercato interno.

39      Nel caso di specie, è importante constatare anzitutto che, nel punto 122 della decisione controversa, la Commissione ha dichiarato che le pratiche illecite in questione riguardavano le vendite dei tre sottogruppi di prodotti in sei Stati membri, ossia Belgio, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi e Austria.

40      Al punto 123 della decisione controversa, la Commissione ha successivamente rilevato che «dalle cifre sui volumi di vendita dei produttori di ceramiche sanitarie e rubinetteria emerge[va] un notevole volume di scambi tra gli Stati membri dell’Unione (…) e del SEE».

41      Per di più, nel punto 124 della decisione controversa, la Commissione ha rilevato segnatamente che «le caratteristiche transfrontaliere di questi accordi [per il coordinamento degli aumenti di prezzo] [erano] evidenti anche sotto forma di legami tra le associazioni nazionali implicate, segnatamente in considerazione della presenza di un nucleo centrale di società in tutti questi Stati membri».

42      Inoltre, nei punti da 814 a 823 della decisione controversa, la Commissione ha esaminato i collegamenti transfrontalieri tra gli accordi collusivi in questione. In tale cornice, essa ha ritenuto segnatamente, nel punto 814 di detta decisione, che tali collegamenti transnazionali fossero provati dalle discussioni e dagli scambi di informazioni avvenuti in seno alle associazioni nazionali.

43      Infine, nei punti da 824 a 833 della decisione controversa, la Commissione ha rilevato che esistevano importanti flussi commerciali tra questi sei Stati membri.

44      Pertanto, dagli accertamenti effettuati nei precedenti punti da 39 a 43 si ricava che, benché la Commissione abbia ritenuto che le pratiche illecite in questione fossero state poste in esecuzione in particolare in sei Stati membri, essa ha tuttavia parimenti illustrato i motivi per cui riteneva che il commercio e la concorrenza nell’Unione fossero stati pregiudicati da dette pratiche. Di conseguenza, la Commissione non era obbligata a definire in modo più dettagliato il mercato rilevante di prodotti in cui ricomprendere gli articoli di rubinetteria.

45      Quindi la seconda censura della ricorrente dev’essere respinta in quanto infondata.

46      Alla luce del complesso delle considerazioni fin qui svolte, occorre constatare che la Commissione, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non ha violato l’articolo 101 TFUE, non ha commesso errori manifesti di valutazione e non è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in sede di istruzione e motivazione riguardo alla definizione del mercato nel quale sono state poste in esecuzione le pratiche illecite in questione.

47      Di conseguenza, il primo motivo dev’essere integralmente respinto.

 Sul secondo motivo, che denuncia l’esistenza di violazioni collegate alla qualificazione come intesa delle discussioni in questione svoltesi in seno a Euroitalia e a Michelangelo

48      La ricorrente sostiene che, benché la Commissione potesse giustamente rimproverarle di avere «partecipato (…) a discussioni inappropriate riguardanti i prezzi», tali discussioni non erano però sfociate in nessun accordo concernente la determinazione o il coordinamento di aumenti di prezzo. In tale contesto, essa sostiene che la Commissione aveva violato l’articolo 101 TFUE qualificando i fatti come violazione, aveva commesso errori di valutazione dei fatti, era venuta meno all’obbligo di motivazione ad essa incombente quale risulta dall’articolo 296 TFUE e aveva commesso uno sviamento di potere.

49      In via preliminare, occorre osservare che dalle memorie scritte della ricorrente non si ricava con chiarezza quali argomenti essa deduca a sostegno di ciascuna delle violazioni elencate nel punto precedente. Viceversa, si ricava senza alcuna ambiguità che essa sostanzialmente formula tre censure principali a sostegno del suo secondo motivo. Occorre esaminare il secondo motivo alla luce di dette censure.

50      In primo luogo, la ricorrente osserva che, sebbene la Commissione, nella decisione controversa, abbia concluso giustamente che essa non aveva partecipato a un’infrazione unica, complessa e continuata, la Commissione, viceversa, ha erroneamente constatato che essa aveva partecipato a un’infrazione ben più grave di quella consistente nella mera partecipazione ad uno scambio di informazioni riservate sul mercato della rubinetteria. A tale proposito, la ricorrente sostiene che, a differenza delle pratiche anticoncorrenziali che, da un lato, riguardavano i due sottogruppi di prodotti diversi dalla rubinetteria e, dall’altro, si erano svolte negli Stati membri diversi dall’Italia, le discussioni sui prezzi cui essa ha partecipato non hanno portato al loro coordinamento o alla loro determinazione. Quindi, non esisterebbero indizi convergenti e sufficienti che dimostrino un parallelismo nel comportamento dei partecipanti a dette riunioni, dato che ogni impresa avrebbe agito in modo indipendente, circostanza peraltro ammessa dalle imprese che hanno ottenuto una riduzione dell’ammenda in forza della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole»).

51      La Commissione respinge tale argomento.

52      Innanzitutto, è importante rilevare, analogamente a quanto fatto dalla Commissione, che, sebbene la ricorrente neghi di avere «coordinato» o «determinato» gli aumenti di prezzo con i suoi concorrenti, essa riconosce tuttavia espressamente, nelle sue memorie, di avere partecipato a «discussioni inappropriate riguardanti i prezzi».

53      Occorre poi ricordare che, secondo la giurisprudenza, perché sussista un accordo ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, è sufficiente che le imprese interessate abbiano espresso la comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo (sentenze del Tribunale del 17 dicembre 1991, Hercules Chemicals/Commissione, T‑7/89, Racc. pag. II‑1711, punto 256, e del 20 marzo 2002, HFB e a./Commissione, T‑9/99, Racc. pag. II‑1487, punto 199).

54      Un accordo ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE può ritenersi concluso quando sussiste una comune volontà sul principio stesso della restrizione della concorrenza, anche se gli elementi specifici della restrizione progettata costituiscono ancora oggetto di negoziati (v., in tal senso, sentenza HFB e a./Commissione, punto 53 supra, punti da 151 a 157 e 206).

55      La nozione di pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento tra imprese che, senza spingersi fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce scientemente una cooperazione pratica tra di loro ai rischi della concorrenza (sentenze della Corte dell’8 luglio 1999, Commissione/Anic Partecipazioni, C‑49/92 P, Racc. pag. I‑4125, punto 115, e Hüls/Commissione, C‑199/92 P, Racc. pag. I‑4287, punto 158).

56      Al riguardo, l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE osta a che fra gli operatori economici abbiano luogo contatti diretti o indiretti di qualsiasi genere che possano influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente reale o potenziale, o rivelare a tale concorrente la condotta che essi hanno deciso o intendono seguire sul mercato quando tali contatti abbiano lo scopo o l’effetto di restringere la concorrenza (v., in tal senso, sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, punto 55 supra, punti 116 e 117).

57      Uno scambio di informazioni è contrario alle norme dell’Unione in materia di concorrenza qualora riduca o annulli il grado di incertezza in ordine al funzionamento del mercato di cui trattasi, con conseguente restrizione della concorrenza tra le imprese (v., in tal senso, sentenza della Corte del 2 ottobre 2003, Thyssen Stahl/Commissione, C‑194/99 P, Racc. pag. I‑10821, punto 81 e giurisprudenza ivi citata).

58      Infatti, la divulgazione di informazioni riservate elimina l’incertezza relativa al futuro comportamento di un concorrente e, in tal modo, influenza, direttamente o indirettamente, la strategia del destinatario delle informazioni (v., in questo senso, sentenza della Corte del 23 novembre 2006, Asnef-Equifax e Administración del Estado, C‑238/05, Racc. pag. I‑11125, punto 51 e giurisprudenza ivi citata). Ogni operatore economico deve determinare pertanto autonomamente la politica che intende seguire in seno al mercato interno e le condizioni che intende applicare alla propria clientela (v. sentenza Thyssen Stahl/Commissione, punto 57 supra, punto 82 e giurisprudenza ivi citata).

59      Detto obbligo di autonomia, pur non escludendo di certo il diritto degli operatori economici di adattarsi intelligentemente al comportamento che i loro concorrenti tengono o presumibilmente terranno, vieta però rigorosamente che fra gli operatori stessi abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi lo scopo o l’effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato di cui trattasi, tenuto conto della natura della merce o delle prestazioni fornite, dell’importanza e del numero delle imprese, nonché del volume di detto mercato (v. sentenza Thyssen Stahl/Commissione, punto 57 supra, punto 83 e giurisprudenza ivi citata).

60      Pertanto, dalla giurisprudenza illustrata nei precedenti punti da 53 a 59 si evince che la Commissione ha giustamente ritenuto che le imprese in questione, tra cui la ricorrente, avessero coordinato i loro aumenti futuri di prezzo e che una siffatta prassi di coordinamento costituisse una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in quanto in grado di eliminare l’incertezza che la ricorrente poteva nutrire riguardo al comportamento futuro dei suoi concorrenti e a influenzare così, direttamente o indirettamente, la loro politica commerciale.

61      Successivamente, e ad ogni modo, occorre rilevare che la Commissione, nel punto 472 della decisione controversa, ha sostenuto che «[era irrilevante che la ricorrente avesse o meno] pienamente applicato tutti gli aumenti dei prezzi discussi durante le riunioni, [poiché] essa [aveva] indubbiamente svolto un ruolo attivo nell’organizzare le riunioni, oltre ad aver partecipato attivamente a tutte le discussioni rilevanti sui prezzi nel contesto di tali riunioni, in maniera sistematica e ininterrotta per un periodo di tempo prolungato (superiore a [dieci] anni)». La Commissione ha anche scritto, nel punto 467 di detta decisione, che «i partecipanti [avevano intrapreso] azioni concrete per monitorare l’andamento degli aumenti dei prezzi, come dimostra[va]no i continui rendiconti sui prezzi» durante dette riunioni e che «i partecipanti avevano instaurato saldi legami caratterizzati da un grado di collaborazione e di interdipendenza tale da disincentivare qualunque scostamento».

62      A questo proposito, è giocoforza constatare, da un lato, che la ricorrente non ha dedotto né argomenti né prove diretti a rimettere in discussione le due valutazioni della Commissione illustrate nel punto 467 della decisione controversa e ricordate nel punto precedente. Orbene, in base a dette valutazioni, la Commissione poteva legittimamente ritenere che le discussioni riguardanti gli aumenti di prezzo in questione fossero vietate dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE in quanto erano tali da poter influenzare il comportamento di ciascun concorrente sul mercato.

63      Dall’altro, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, l’espressione «coordinamento dei prezzi» è adeguata a contrassegnare l’infrazione alla quale ha partecipato la ricorrente. Infatti, anche qualora fosse risultato che le discussioni riguardanti gli aumenti futuri di prezzo non avevano portato i membri dell’intesa ad accordarsi sui prezzi che essi fatturavano, resta pur vero che esse consentivano un coordinamento di detti aumenti, in considerazione del carattere sistematico degli scambi illeciti in questione.

64      Pertanto, la Commissione non ha commesso nessun errore in sede di qualificazione dell’infrazione cui la ricorrente aveva partecipato.

65      Alla luce delle precedenti constatazioni, gli altri argomenti della ricorrente diretti a sostenere che la Commissione ha ritenuto a torto che le pratiche illecite collegate agli articoli di rubinetteria sul mercato italiano fossero gravi tanto quanto quelle commesse in relazione agli altri due sottogruppi di prodotti negli altri Stati membri o che le discussioni in questione riguardassero solo gli articoli di rubinetteria, ad esclusione degli altri due sottogruppi di prodotti, vanno respinti in quanto ininfluenti. Infatti, questi argomenti non rimettono in discussione la qualificazione di violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE formulata dalla Commissione, poiché la ricorrente ha partecipato a un coordinamento degli aumenti futuri di prezzo.

66      Ne consegue che il primo addebito della ricorrente dev’essere respinto.

67      In secondo luogo, la ricorrente afferma sostanzialmente che, durante le riunioni di Euroitalia svoltesi a partire dal 16 ottobre 1992 e, successivamente, durante le riunioni di Michelangelo, i suoi concorrenti si sono limitati a comunicare, nell’ambito di discussioni concernenti l’evoluzione del mercato, alcune informazioni relative alle politiche in materia di prezzi da essi precedentemente definite. Secondo la ricorrente, le politiche sui prezzi adottate differivano spesso da un’impresa all’altra ed erano spesso assai vaghe. Gli aumenti di prezzo discussi avrebbero avuto ad oggetto gli aumenti degli anni precedenti e la portata di detti aumenti sarebbe stata discussa solo in maniera generica, senza essere esattamente quantificata. In questa cornice, la ricorrente avrebbe sempre agito sul mercato autonomamente e in piena indipendenza, tanto rispetto al calendario degli aumenti di prezzo, quanto alla determinazione del loro importo. In udienza la ricorrente ha anche sostenuto, in risposta ai quesiti posti dal Tribunale, che essa riteneva che le pratiche in questione non avessero né eliminato né ridotto l’incertezza in merito al comportamento dei suoi concorrenti, dal momento che essi non avevano dato effettivo seguito agli scambi di informazioni in questione.

68      La Commissione respinge tale argomento.

69      In via preliminare occorre rilevare che, nella decisione controversa, la Commissione illustra anzitutto, nei punti da 398 a 408, i principali meccanismi di funzionamento dell’intesa in Italia, in seno a Euroitalia e a Michelangelo, relativamente agli articoli di rubinetteria. Successivamente, nei punti 409 e 410 di detta decisione, essa ricorda che, tra il 1990 e il 1992, in seno all’associazione Federceramica sono iniziate discussioni illecite, ma che non ne ha tenuto conto per punire, in particolare, la ricorrente. Infine, nei punti da 411 a 462 della decisione controversa, essa descrive le varie riunioni di Euroitalia o di Michelangelo, durante le quali a suo avviso le imprese in questione, tra cui la ricorrente, hanno tenuto discussioni illecite, dal 16 ottobre 1992 al 9 novembre 2004. Orbene, dal momento che la ricorrente critica le valutazioni della Commissione solo riguardo a talune riunioni di Euroitalia nel corso delle quali si sarebbero svolte discussioni illecite, è solo riguardo a dette riunioni che occorre verificare se la Commissione abbia commesso errori di valutazione ritenendo che la ricorrente avesse partecipato a discussioni anticoncorrenziali.

70      Innanzitutto, per quanto riguarda la riunione di Euroitalia del 16 ottobre 1992, la ricorrente sostiene che la Commissione ha interpretato erroneamente i fatti, e argomenta che dal verbale di tale riunione si ricava che le imprese partecipanti alla medesima si sarebbero accordate per portare, in occasione di una prossima riunione, non i loro «risultati», bensì unicamente i loro «bilanci» contabili. Orbene, detti bilanci conterrebbero informazioni che sarebbero di pubblico dominio. Questo verbale, pertanto, non dimostrerebbe che essa abbia partecipato a discussioni anticoncorrenziali.

71      A questo proposito occorre rilevare che, per concludere, nel punto 411 della decisione controversa, nel senso dell’illiceità delle discussioni svoltesi nel corso di questa riunione del 16 ottobre 1992, la Commissione si è basata, come si deduce dalla nota in calce n. 506 di detta decisione, su un verbale nel quale si può leggere, segnatamente, quanto segue:

«Problema prezzi aumento dal 5 al 7% a gennaio? (…) Prossima riunione portare i bilanci. Comunicare aumenti di prezzo a dicembre o gennaio».

72      Orbene, se il verbale ricordato al punto precedente viene letto alla luce della dichiarazione resa dalla Grohe Beteilingungs GmbH (in prosieguo: la «Grohe») nel contesto della sua domanda di riduzione dell’ammenda, il cui valore probatorio non è criticato dalla ricorrente, se ne ricava senza ambiguità che i partecipanti a tale riunione, tra cui la ricorrente e la Grohe, hanno previsto in tale occasione di aumentare i loro prezzi a partire dai successivi mesi di dicembre o gennaio. Infatti, in base alla domanda di riduzione dell’ammenda della Grohe, durante le riunioni di Euroitalia, che si svolgevano nel settembre o nell’ottobre di ogni anno, i partecipanti discutevano delle rispettive previsioni di aumenti di prezzo individuali per l’anno successivo (v. punto 402 della decisione controversa).

73      Peraltro, l’argomento della ricorrente secondo il quale il verbale di questa riunione del 16 ottobre 1992 non consentirebbe di determinare espressamente quali fossero le imprese che avevano deciso di aumentare i loro prezzi e quali fossero gli importi esatti di detti aumenti di prezzo non incide sulla constatazione che detto verbale, letto alla luce della dichiarazione della Grohe, dimostra in modo giuridicamente valido che i partecipanti a tale riunione, tra cui la ricorrente, si erano quanto meno messi d’accordo sul principio stesso di una futura limitazione della concorrenza, anche se gli elementi specifici della progettata limitazione costituivano ancora oggetto di negoziati. Un comportamento siffatto costituisce violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, conformemente alla giurisprudenza citata nei precedenti punti 54 e 55.

74      Di conseguenza, la Commissione non ha commesso nessun errore di valutazione giudicando che la ricorrente aveva partecipato a discussioni anticoncorrenziali durante la riunione di Euroitalia del 16 ottobre 1992.

75      Poi, per quanto concerne la riunione di Euroitalia del 15 marzo 1993, la ricorrente afferma che le discussioni svoltesi in tale occasione dimostrano l’autonomia nella strategia commerciale delle imprese partecipanti, dal momento che gli aumenti di prezzo erano stati previsti prima dello svolgimento di tale riunione e che esisteva uno scarto notevole riguardo a detti aumenti e agli sconti programmati.

76      A questo proposito occorre rilevare, da un lato, che la ricorrente non critica la constatazione della Commissione, contenuta nel punto 412 della decisione controversa, secondo la quale gli appunti manoscritti del direttore generale della Hansgrohe AG evidenziavano che le imprese avevano discusso sulle percentuali dei loro rispettivi aumenti di prezzo per il 1993. Dall’altro, benché sia vero che detti aumenti, come quelli programmati dalla Hansa Metallwerke AG (in prosieguo: la «Hansa») (v. punto 412 della decisione controversa), erano stati applicati una settimana prima della riunione del 15 marzo 1993, un siffatto scambio di informazioni, tuttavia, non poteva che influenzare il comportamento delle imprese in questione riguardo all’effettiva applicazione dei loro futuri aumenti di prezzo. Infatti, questo scambio di informazioni contribuiva a instaurare un clima di fiducia e disciplina di gruppo in seno a Euroitalia in merito alla volontà dei partecipanti di aumentare i prezzi.

77      In considerazione di ciò, la Commissione non ha commesso nessun errore di valutazione dei fatti a tale riguardo.

78      In seguito, per quanto concerne le riunioni di Euroitalia del 21 ottobre 1994, 16 ottobre 1995 e 14 maggio 1996, la ricorrente afferma sostanzialmente che ciascuna di queste riunioni conferma che le imprese interessate non hanno coordinato le loro politiche in materia di prezzi, che sono pertanto rimaste «autonome e differenziate». Tuttavia, come si evince dai verbali di queste riunioni, di cui si parla nei punti, rispettivamente, 416, 418 e 420 della decisione controversa e di cui la ricorrente non critica il contenuto, appare evidente che le discussioni in questione riguardavano anche aumenti di prezzo da applicare in futuro.

79      Infatti, anzitutto, per quanto concerne la riunione del 21 ottobre 1994, basti constatare che la ricorrente non nega che, come rilevato dalla Commissione nel punto 416 della decisione controversa e come si evince dal resoconto di questa riunione redatto dalla stessa ricorrente, la RAF Rubinetteria SpA aveva dichiarato in tale occasione la sua intenzione di aumentare i propri prezzi del 7% a partire dal 1° gennaio successivo.

80      Per quanto poi riguarda la riunione del 16 ottobre 1995, come rilevato dalla Commissione nel punto 418 della decisione controversa, dal resoconto della riunione menzionata nel punto precedente si evince, segnatamente, che la Rubinetteria Cisal SpA ha dichiarato in tale sede di voler aumentare i suoi prezzi dal 5 al 6%.

81      Infine, per quanto riguarda la riunione del 14 maggio 1996, da un lato, va constatato che, sebbene le parti non abbiano fornito il resoconto di tale riunione, ciò nonostante la ricorrente non nega che, come rilevato dalla Commissione nel punto 420 della decisione controversa, la Hansa ha dichiarato in tale contesto che essa avrebbe aumentato i propri prezzi nel settembre successivo. Dall’altro, e ad ogni modo, dalla riunione che si era svolta due mesi prima, ossia il 12 marzo 1996, e della quale si parla nel punto 419 della decisione controversa, si ricava che la American Standard Inc., peraltro, aveva previsto di aumentare i propri prezzi del 5% a partire dal 1° maggio 1996. Ciò conferma dunque che le discussioni dei membri di Euroitalia, durante il primo semestre del 1996, riguardavano anche futuri aumenti di prezzo.

82      Pertanto, è giocoforza constatare che la Commissione non ha commesso nessun errore di valutazione ritenendo che durante le riunioni di Euroitalia del 21 ottobre 1994, 16 ottobre 1995 e 14 maggio 1996 si fossero svolte discussioni illecite su futuri aumenti dei prezzi.

83      Infine, per quanto riguarda le riunioni di Euroitalia del 31 gennaio e 22 settembre 1997, del 26 gennaio e 16 ottobre 1998, del 7 maggio 1999 nonché del 31 gennaio e 28 ottobre 2002, la ricorrente osserva che, nel corso di queste ultime, essa e altri partecipanti hanno «comunicato la loro intenzione di non procedere ad aumenti di listino, pur in presenza delle dichiarazioni di altri partecipanti alle riunioni di aver già proceduto (…) ad aumenti anche significativi dei loro prezzi».

84      A questo proposito occorre rilevare anzitutto che, come giustamente osservato dalla Commissione nelle sue memorie, da un lato, la circostanza che la ricorrente abbia informato altri partecipanti alle riunioni ricordate nel punto precedente del fatto che essa non avrebbe effettuato futuri aumenti di prezzo è ininfluente per quanto concerne la constatazione che, nel corso di tali riunioni, si sono svolte discussioni illecite sui futuri aumenti di prezzo, ai quali essa ha partecipato (v. punti 412, 422, 425, 427, 431, 434, 448 e 451 della decisione controversa). Dall’altro, e ad ogni modo, il fatto che la ricorrente abbia deciso di non aumentare i propri prezzi non può essere assimilato a una dissociazione volontaria da parte sua dalle attività illecite dell’intesa in questione, dal momento che, partecipando a dette riunioni, essa ha potuto beneficiare delle informazioni che i suoi concorrenti si erano scambiate.

85      Inoltre, per quanto riguarda specificamente la riunione del 31 gennaio 1997, in merito alla quale la ricorrente afferma che gli aumenti di prezzo previsti erano estremamente differenziati e di cui la Commissione parla nel punto 422 della decisione controversa, occorre rilevare che le differenze tra detti aumenti sono ininfluenti per quanto concerne la constatazione che le discussioni in questione erano tali da influenzare il comportamento sul mercato delle imprese partecipanti a dette riunioni.

86      Infine, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente relativo alla riunione del 26 gennaio 1998, secondo il quale la Commissione non avrebbe dimostrato, nel punto 427 della decisione controversa, che i partecipanti controllavano l’esecuzione degli aumenti di prezzo preliminarmente stabiliti, da un lato, occorre constatare che, anche ipotizzando che questo argomento sia fondato, ciò non modificherebbe la constatazione che le discussioni svoltesi in occasione di questa riunione erano illecite, in quanto riguardavano gli aumenti di prezzo da effettuare nel 1998, circostanza non negata dalla ricorrente. Dall’altro, e ad ogni modo, come si evince dal tenore delle riunioni di Euroitalia, segnatamente quelle del 20 aprile 1993 (v. punto 413 della decisione controversa), 22 marzo 1994 (v. punto 415 di detta decisione) e 14 maggio 1996 (v. punto 420 della decisione controversa), che non è oggetto di contestazione da parte della ricorrente, i partecipanti a queste riunioni si informavano sui loro precedenti aumenti di prezzo, di modo che ciascun concorrente era direttamente in grado di controllare l’esecuzione degli aumenti di prezzo precedentemente annunciati.

87      Alla luce delle constatazioni effettuate nei precedenti punti da 71 a 86, occorre respingere come infondata la seconda censura sollevata dalla ricorrente secondo la quale, in sostanza, le discussioni svoltesi in seno a Euroitalia e a Michelangelo, cui essa ha partecipato, non erano di natura anticoncorrenziale.

88      In terzo luogo, la ricorrente ritiene che la Commissione non abbia valutato, contrariamente a quanto le avrebbe imposto la giurisprudenza, in che misura lo scambio di informazioni tra concorrenti, nel caso di specie, avesse ridotto o eliminato il grado di incertezza sul funzionamento del mercato in questione. Nel caso di specie, le caratteristiche del mercato rilevante dimostrerebbero che le pratiche in questione non erano in grado di falsare la concorrenza su detto mercato. Anzitutto, solo in presenza di un mercato contrassegnato da un numero ridotto di operatori uno scambio di informazioni potrebbe sostanzialmente falsare la concorrenza su detto mercato. Orbene, le quote di mercato cumulate dalle imprese partecipanti alle riunioni di Michelangelo ed Euroitalia sarebbero inferiori al 40%. Inoltre, non ci sarebbero state barriere all’ingresso su tale mercato e la competitività e la forza contrattuale al livello della domanda sarebbero state elevate. Infine, l’offerta, in particolare nel settore degli articoli di rubinetteria, sarebbe stata particolarmente frammentata.

89      Occorre ricordare che, conformemente alla giurisprudenza menzionata nel precedente punto 57, uno scambio di informazioni è contrario alle norme in materia di concorrenza quando riduce o elimina il grado di incertezza sul funzionamento del mercato in questione con la conseguenza di una restrizione della concorrenza tra imprese.

90      A questo riguardo la Corte ha anche dichiarato che la compatibilità di un sistema di scambio di informazioni con le norme dell’Unione in materia di concorrenza non può essere valutata in astratto. Essa dipende dalle condizioni economiche esistenti sui mercati interessati e dalle caratteristiche specifiche del sistema in questione quali, segnatamente, la sua finalità, le condizioni di accesso e di partecipazione allo scambio, nonché la natura delle informazioni scambiate ‒ che possono essere, ad esempio, pubbliche o riservate, aggregate o dettagliate, relative al passato o al presente ‒, la loro periodicità e la loro importanza ai fini della determinazione dei prezzi, dei volumi o delle condizioni della prestazione (sentenza Asnef-Equifax e Administración del Estado, punto 58 supra, punto 54).

91      Nel caso di specie occorre rilevare che l’illegalità, alla luce delle norme in materia di concorrenza, delle discussioni in questione si ricava senza alcuna ambiguità dalla decisione controversa. Infatti, la reciproca comunicazione dei futuri aumenti individuali di prezzo da parte delle imprese membri di Euroitalia e di Michelangelo, riguardo alle quali la ricorrente ha precisato in udienza che esse rappresentavano il 38% del mercato degli articoli di rubinetteria in Italia, poteva avere per oggetto e per effetto solo la diminuzione dell’incertezza dei concorrenti sul futuro funzionamento del mercato. Peraltro, la ricorrente non fornisce nessuna spiegazione in merito allo scopo alternativo che poteva eventualmente avere questo scambio di informazioni riservate.

92      Dal momento che i concorrenti che hanno partecipato alle discussioni illecite detenevano una quota significativa del mercato degli articoli di rubinetteria in Italia, in quanto possedevano insieme tra il 38 e il 40% delle quote di detto mercato, lo scambio di informazioni riguardante l’esecuzione degli aumenti futuri di prezzo riduceva necessariamente il grado di incertezza che avrebbe dovuto esistere tra loro e li incoraggiava ad aumentare i loro prezzi, minimizzando nel contempo il loro rischio di perdere quote di mercato.

93      In considerazione di tutto ciò, e tenuto conto della struttura del mercato italiano degli articoli di rubinetteria, il coordinamento degli aumenti di prezzo nel caso di specie era anticoncorrenziale.

94      Gli altri argomenti dedotti dalla ricorrente non possono inficiare la conclusione enunciata nel punto precedente.

95      Anzitutto, l’argomento della ricorrente secondo il quale dalla giurisprudenza si ricava che, quando l’offerta è atomizzata, la diffusione e lo scambio di informazioni tra concorrenti possono essere neutrali, se non addirittura positivi, riguardo alla natura competitiva del mercato (v., segnatamente, sentenza Asnef‑Equifax e Administración del Estado, punto 58 supra, punto 58) è ininfluente rispetto agli accertamenti, illustrati nei precedenti punti 90 e 91, secondo i quali lo scambio di informazioni sui futuri aumenti di prezzo tra concorrenti in possesso di quote del mercato degli articoli di rubinetteria oscillanti tra il 38 e il 40% aveva ad oggetto, e necessariamente come effetto, un’incidenza negativa sulla concorrenza. Quest’argomento dev’essere dunque respinto in quanto ininfluente.

96      La ricorrente sostiene poi che la mancanza di barriere all’ingresso sul mercato italiano degli articoli di rubinetteria, nonché la competitività e la forza contrattuale elevate al livello della domanda dei grossisti sono state in grado di limitare gli effetti dello scambio di informazioni sugli aumenti di prezzo progettati dai concorrenti su detto mercato. A tale proposito è giocoforza rilevare che, anche qualora dette peculiarità del mercato italiano degli articoli di rubinetteria si rivelassero reali, ciò nondimeno la ricorrente non produce nessuna prova che dimostri che, nel caso di specie, dette peculiarità avrebbero portato ad annullare gli effetti delle pratiche anticoncorrenziali in questione. L’argomento dev’essere quindi respinto in quanto infondato.

97      Alla luce di ciò, occorre respingere la terza censura della ricorrente e, pertanto, le tre censure che essa deduce nell’ambito del secondo motivo.

98      Alla luce del complesso delle considerazioni sin qui illustrate e tenuto conto delle diverse violazioni lamentate dalla ricorrente ed elencate nel precedente punto 48, occorre constatare che quest’ultima non ha dimostrato, in primo luogo, che la Commissione avesse commesso errori nella valutazione dei fatti ritenendo, da un lato, che le discussioni svoltesi in occasione di riunioni delle quali essa parla fossero anticoncorrenziali (v. precedenti punti da 67 a 87) e, dall’altro, che fossero state in grado di provocare distorsioni della concorrenza (v. precedenti punti da 88 a 97) e, in secondo luogo, che essa avesse violato l’articolo 101 TFUE qualificando tali fatti come anticoncorrenziali (v. precedenti punti da 50 a 66). Inoltre, da questi accertamenti si ricava, da un lato, che la ricorrente non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso uno sviamento di potere concludendo nel senso della partecipazione della ricorrente a un’infrazione dell’articolo 101 TFUE. Dall’altro, la Commissione non ha violato l’obbligo di motivazione ad essa incombente dal momento che, come si ricava segnatamente dai punti della decisione controversa menzionati nei punti 61, 69, 71, 76, 79 e da 84 a 86 della presente motivazione, la Commissione ha illustrato in modo giuridicamente valido i motivi per cui essa ha ritenuto che la ricorrente avesse partecipato a discussioni anticoncorrenziali in violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

99      Pertanto, il secondo motivo dev’essere integralmente respinto.

 Sul terzo motivo, che denuncia errori e violazioni commessi dalla Commissione nel calcolo dell’importo dell’ammenda

100    La ricorrente sostiene che la Commissione ha commesso diversi errori di diritto e violazioni nella fase del calcolo dell’importo dell’ammenda che le è stata inflitta. A questo proposito essa deduce due censure principali.

101    Con la sua prima censura la ricorrente sostiene che la Commissione ha commesso diverse violazioni relative all’applicazione dei moltiplicatori del 15% cui ha fatto ricorso nei punti 1220 e 1225 della decisione controversa. Anzitutto, la Commissione avrebbe violato l’obbligo di motivazione ad essa incombente per quanto riguarda la determinazione di detti moltiplicatori. Essa avrebbe poi commesso un errore di valutazione nella determinazione di detti moltiplicatori e violato il principio di individualità delle pene e di responsabilità personale, nonché il principio di proporzionalità, applicandole questi moltiplicatori quando invece il suo ruolo nell’infrazione accertata sarebbe stato meno grave di quello di altre imprese. In tale cornice, la ricorrente osserva anche che la decisione controversa è contraddittoria poiché la Commissione ha ritenuto, senza fare distinzioni tra le imprese, che l’infrazione riguardasse sei Stati membri. Ebbene, l’infrazione addebitata alla ricorrente avrebbe riguardato solo l’Italia. Infine, la Commissione avrebbe violato il principio della parità di trattamento, in quanto avrebbe dovuto fare una differenza tra le imprese che hanno partecipato all’infrazione unica e quelle che hanno partecipato soltanto a una parte di tale infrazione, come la ricorrente. Pertanto, la Commissione non avrebbe dovuto applicare gli stessi moltiplicatori per punire il complesso delle imprese multate nella decisione controversa.

102    Occorre constatare che le violazioni lamentate dalla ricorrente, illustrate nel precedente punto 101, mirano tutte a criticare, però sotto profili diversi, i moltiplicatori del 15% del fatturato collegato alle vendite di articoli di rubinetteria in Italia da parte della ricorrente che la Commissione ha applicato ai fini del calcolo dell’importo di base dell’ammenda conformemente, da una parte, ai punti da 21 a 23 degli orientamenti del 2006 e, dall’altra, al punto 25 dei medesimi orientamenti. Alla luce di ciò occorre, in primo luogo, ricordare le regole da applicare al calcolo dell’importo di base dell’ammenda previsto dagli orientamenti del 2006, in secondo luogo, esaminare la motivazione illustrata dalla Commissione a sostegno della sua scelta di imporre un moltiplicatore del 15% e, in terzo luogo, valutare se, così facendo, essa abbia commesso le violazioni e gli errori lamentati dalla ricorrente.

103    In primo luogo, per quanto concerne le regole applicabili al calcolo dell’importo dell’ammenda, occorre ricordare che, in forza dei punti da 9 a 11 degli orientamenti del 2006, il metodo utilizzato dalla Commissione per stabilire le ammende si suddivide in due fasi. Nella prima fase, la Commissione determina un importo di base per ciascuna impresa o associazione di imprese. Nella seconda, può rivedere quest’importo di base al rialzo o al ribasso, e ciò alla luce delle circostanze aggravanti o attenuanti che caratterizzano la partecipazione di ciascuna delle imprese interessate.

104    Riguardo, in particolare, alla prima fase del metodo per la fissazione delle ammende, in base ai punti da 21 a 23 degli orientamenti del 2006, la percentuale del valore delle vendite preso in considerazione (in prosieguo: il «moltiplicatore “gravità dell’infrazione”») è stabilita a un livello incluso in una forcella che va dallo 0 al 30%, tenendo conto di un certo numero di fattori, quali la natura dell’infrazione, la quota di mercato complessiva di tutte le parti coinvolte, l’ampiezza geografica dell’infrazione e l’esecuzione o meno della medesima, fermo restando che gli accordi in materia di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione rientrano, per loro stessa natura, tra le restrizioni più gravi della concorrenza. In forza del punto 25 degli orientamenti del 2006, si precisa che, a scopo dissuasivo, la Commissione inserirà nell’importo di base una percentuale, che consente di calcolare un importo supplementare (in prosieguo: il «moltiplicatore “importo supplementare”»), compresa in una forcella che va dal 15 al 25% del valore delle vendite, tenendo conto dei fattori menzionati.

105    In secondo luogo, per quanto concerne la determinazione del moltiplicatore del valore delle vendite di ciascuna impresa interessata adottato dalla Commissione nella decisione controversa, occorre rilevare che, nei punti da 1211 a 1214, si legge quanto segue:

«1211      Il coordinamento orizzontale dei prezzi costituisce, per sua stessa natura, una delle più gravi restrizioni della concorrenza. Le imprese destinatarie [della presente decisione] hanno partecipato a una violazione unica, complessa e continuata dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE, con l’obiettivo comune di falsare il gioco della concorrenza sul mercato della rubinetteria e delle ceramiche sanitarie (cfr. la sezione 5). Gli accordi di cartello hanno interessato almeno sei Stati membri, hanno riguardato tutti i gruppi di prodotti oggetto dell’indagine, e hanno operato interamente a beneficio dei produttori partecipanti e ai danni dei loro clienti nonché, in ultima istanza, dei consumatori.

1212      La quota di mercato cumulativa delle imprese per le quali è stato possibile accertare la violazione varia da Stato membro a Stato membro, ma è stimata attorno al 54,3% circa per tutti i gruppi di prodotti e in tutti gli Stati membri interessati dall’indagine della Commissione. Questo dato non tiene conto delle quote di mercato di altri partecipanti minori che non sono destinatari della presente decisione.

1213      Gli accordi di cartello hanno interessato almeno sei Stati membri, vale a dire Germania, Austria, Italia, Belgio, Francia e Paesi Bassi.

1214      È stato accertato che le pratiche illecite in cui si esplica una violazione sono state generalmente attuate (…), seppur non vi siano prove sufficienti per ritenere che fossero attuate in maniera rigorosa».

106    Per quanto riguarda il moltiplicatore «gravità dell’infrazione», nel punto 1220 della decisione controversa la Commissione, in base alle considerazioni esposte nel punto precedente, rileva quanto segue:

«1220      In conclusione, e in considerazione dei fattori richiamati nella presente sezione, e in particolare la natura dell’infrazione, la proporzione del valore delle vendite di ciascuna impresa coinvolta che sarà utilizzata per determinare l’importo di base delle ammende dovrebbe corrispondere al 15%».

107    Relativamente al moltiplicatore «importo supplementare», nel punto 1225 della decisione controversa la Commissione ha scritto quanto segue:

«1225      Date le circostanze specifiche del caso, tenendo conto dei criteri illustrati [nei punti da 1210 a 1220 della presente decisione], la percentuale da applicare per tale [moltiplicatore] importo supplementare è fissata al 15%».

108    Pertanto, dalla motivazione illustrata nei punti da 1211 a 1214, 1220 e 1225 della decisione controversa si ricava che la Commissione ha giustificato l’applicazione dei moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15% basandosi sulla valutazione secondo la quale le imprese punite nella decisione controversa avevano partecipato a un’infrazione unica nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria riguardante tre sottogruppi di prodotti in sei Stati membri, e che il «coordinamento orizzontale dei prezzi» realizzato nel caso di specie rientra tra le restrizioni più gravi della concorrenza a causa della sua stessa natura.

109    Tuttavia, come giustamente sostenuto dalla ricorrente, la Commissione, da un lato, ha ritenuto, nel punto 879 della decisione controversa, e, dall’altro, confermato nelle sue memorie che occorreva ritenere che la ricorrente, al pari degli altri produttori italiani indipendenti puniti in detta decisione, avesse partecipato solo alla parte italiana dell’infrazione unica concernente le ceramiche sanitarie e la rubinetteria, ma non i box doccia, essendovi «prove insufficienti per concludere con sicurezza che le imprese indipendenti italiane fossero al corrente della portata generale del cartello». Ciò ha quindi indotto la Commissione a dichiarare, nell’articolo 1, paragrafo 5, punto 18, della decisione controversa, in particolare, che la ricorrente aveva commesso un’infrazione nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria nel territorio italiano.

110    È alla luce delle analisi esposte nei precedenti punti da 105 a 109 che, in terzo luogo, occorre esaminare i cinque errori e violazioni denunciati dalla ricorrente e illustrati nel precedente punto 101.

111    Innanzitutto, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione avrebbe violato l’obbligo di motivazione ad essa incombente, occorre ricordare la giurisprudenza secondo la quale, in materia di fissazione dell’importo di base dell’ammenda, la Commissione soddisfa detto obbligo di motivazione quando elenca, nella sua decisione, gli elementi valutativi che le hanno consentito di misurare la gravità dell’infrazione commessa, senza essere tenuta a far figurare nella medesima un’esposizione più dettagliata o i dati in cifre riguardanti la modalità di calcolo dell’ammenda (v. sentenza del Tribunale del 29 aprile 2004, Tokai Carbon e a./Commissione, T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Racc. pag. II‑1181, punto 252 e giurisprudenza ivi citata).

112    Nel caso di specie occorre constatare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, nei punti da 1211 a 1214, 1220 e 1225 della decisione controversa, illustrati nei precedenti punti da 105 a 107, la Commissione ha spiegato le ragioni che l’hanno indotta ad adottare, nei punti 1220 e 1225 della decisione controversa, moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15%.

113    Alla luce di ciò, l’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione avrebbe violato l’obbligo di motivazione ad essa incombente dev’essere respinto in quanto infondato.

114    Poi, per quanto concerne l’errore di valutazione dei fatti denunciato dalla ricorrente, occorre constatare che la Commissione ha avuto torto nel ritenere che i moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15% fossero giustificati dal fatto che le imprese destinatarie della decisione controversa avevano partecipato a un’infrazione unica, concernente tre sottogruppi di prodotti ed estesa in sei Stati membri. Infatti, come ritenuto dalla stessa Commissione nel punto 879 della decisione controversa, la ricorrente era implicata in un’infrazione relativa a un coordinamento di aumenti di prezzo, in Italia, e non negli altri cinque Stati membri menzionati nel precedente punto 1, a causa del fatto che le discussioni illecite che si erano svolte riguardavano le ceramiche sanitarie e la rubinetteria, ma non i box doccia. A questo proposito, è importante sottolineare che la ricorrente non critica, in questa cornice, la valutazione della Commissione secondo la quale essa ha partecipato a un’infrazione riguardante non solo gli articoli di rubinetteria, ma anche le ceramiche sanitarie.

115    Pertanto, dalla constatazione esposta dalla Commissione nel punto 879 della decisione controversa si deduce che essa non poteva validamente giustificare l’applicazione alla ricorrente di moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15% per il fatto di aver partecipato a un’infrazione unica concernente tre sottogruppi di prodotti e sei territori nazionali. Occorre quindi dare atto che la Commissione ha commesso, a tale riguardo, un errore di valutazione dei fatti.

116    Anzitutto, gli argomenti della Commissione diretti ad avvalorare il fatto che l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente rifletterebbe la sua partecipazione alla sola parte italiana dell’infrazione accertata, che il valore delle vendite preso in considerazione per ciascuna impresa rifletterebbe la loro implicazione individuale, effettiva e concreta nell’infrazione, e che i moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15% sarebbero modesti, tenuto conto della gravità dell’infrazione da essa commessa, sono ininfluenti. Infatti, nessuno di questi argomenti inficia la constatazione che la Commissione non poteva validamente basarsi sulla motivazione illustrata nel precedente punto 115 per adottare moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15%.

117    Occorre poi constatare che gli argomenti dedotti dalla Commissione secondo i quali essa avrebbe rispettato le diverse fasi del calcolo dell’ammenda previste negli orientamenti del 2006, avrebbe utilizzato i fatturati ad essa forniti dalle imprese destinatarie della decisione controversa, disporrebbe di un margine di discrezionalità nella determinazione dell’importo delle ammende e la gravità dell’infrazione, cui ha partecipato la ricorrente, si rifletterebbe nell’importo del valore delle vendite preso in considerazione sono parimenti ininfluenti. Infatti, questi argomenti non inficiano assolutamente la constatazione che la Commissione non poteva basarsi sulla motivazione illustrata nel precedente punto 115.

118    Occorre infine respingere l’argomento dedotto dalla Commissione in risposta ai quesiti posti dal Tribunale in udienza, secondo il quale la diversa portata geografica derivante dalla partecipazione di alcune imprese, da un lato, all’infrazione unica nella sua globalità e, dall’altro, sul solo territorio italiano non giustificherebbe l’applicazione di moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» distinti. Infatti, un’infrazione che interessa sei territori nazionali dell’Unione e che riguarda tre sottogruppi di prodotti non può essere validamente considerata di gravità identica a quella di un’infrazione commessa sul territorio di un unico Stato membro e riguardante due sottogruppi di prodotti. Tenuto conto della portata dei suoi effetti sulla concorrenza all’interno dell’Unione, la prima infrazione dev’essere considerata più grave della seconda.

119    Alla luce delle considerazioni esposte nei precedenti punti da 114 a 118, occorre constatare che la Commissione ha commesso due errori di valutazione basando l’applicazione dei moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15% sul fatto che la ricorrente avesse partecipato a un’infrazione unica riguardante sei territori nazionali dell’Unione e tre sottogruppi di prodotti. Di conseguenza, su questo punto l’argomento della ricorrente dev’essere accolto.

120    In seguito, per quanto concerne la presunta violazione del principio di proporzionalità, occorre ricordare che, nell’ambito dei procedimenti avviati dalla Commissione per sanzionare le violazioni delle norme in materia di concorrenza, l’applicazione di tale principio comporta che le ammende non devono essere esorbitanti riguardo agli obiettivi perseguiti, vale a dire riguardo al rispetto di tali norme, e che l’importo dell’ammenda inflitta a un’impresa per un’infrazione in materia di concorrenza dev’essere proporzionato all’infrazione, valutata nel suo complesso, tenendo conto, in particolare, della gravità di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2004, JFE Engineering e a./Commissione, T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, Racc. pag. II‑2501, punto 532). In particolare, il principio di proporzionalità implica che la Commissione deve fissare l’ammenda in modo proporzionato rispetto agli elementi presi in considerazione ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione e che essa deve applicare al riguardo tali elementi in maniera coerente e obiettivamente giustificata (sentenze del Tribunale del 27 settembre 2006, Jungbunzlauer/Commissione, T‑43/02, Racc. pag. II‑3435, punti da 226 a 228, e del 28 aprile 2010, Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione, T‑446/05, Racc. pag. II‑1255, punto 171).

121    Nel caso di specie è giocoforza constatare che la ricorrente ha partecipato a un’infrazione consistente nell’attuazione di un coordinamento di futuri aumenti di prezzo, che questo coordinamento ha avuto ad oggetto non solo gli articoli di rubinetteria, come constatato in relazione al secondo motivo, ma anche le ceramiche sanitarie, circostanza che la ricorrente non ha negato nell’atto di ricorso, e che quest’infrazione ha interessato l’intero territorio italiano. Alla luce di ciò, la Commissione poteva giustamente ritenere, conformemente ai punti da 21 a 23 e 25 degli orientamenti del 2006, che moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15% erano conformi al principio di proporzionalità.

122    Pertanto, l’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione avrebbe violato il principio di proporzionalità dev’essere respinto in quanto infondato.

123    Infine, quanto al fatto che la ricorrente afferma che la Commissione ha violato il principio di individualità delle pene e di responsabilità personale, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, in applicazione di tale principio, la Commissione è tenuta a prendere in considerazione, in sede di valutazione della gravità individuale della partecipazione di ciascun contravventore a un’intesa, il fatto che alcuni contravventori non siano eventualmente considerati responsabili per tutte le parti di tale intesa (v. sentenza del Tribunale del 19 maggio 2010, Chalkor/Commissione, T‑21/05, Racc. pag. II‑1895, punto 100 e giurisprudenza ivi citata).

124    Nel caso di specie, come constatato nel precedente punto 115, vero è che la Commissione ha avuto torto nel giustificare l’applicazione alla ricorrente dei moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15% ritenendo che quest’ultima avesse partecipato a un’infrazione unica estesa a sei territori nazionali e a tre sottogruppi di prodotti, malgrado il fatto che essa avesse espressamente riconosciuto, nel punto 879 della decisione controversa, che la responsabilità della ricorrente poteva ritenersi accertata solo relativamente alla sua partecipazione a un’intesa sul mercato italiano riguardante due sottogruppi di prodotti. Tuttavia, è parimenti giocoforza constatare che, come rilevato nel precedente punto 121, l’applicazione alla ricorrente dei moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15% si giustificava pienamente alla luce della gravità dell’infrazione dalla medesima commessa.

125    In considerazione di quanto esposto, la Commissione non ha violato il principio di individualità delle pene e di responsabilità personale imponendo moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15% alla ricorrente.

126    L’argomento della ricorrente dev’essere dunque respinto in quanto infondato.

127    Da ultimo, per quanto concerne la violazione del principio della parità di trattamento denunciata dalla ricorrente, occorre ricordare che, in base a una giurisprudenza consolidata, il principio della parità di trattamento è violato quando situazioni analoghe sono trattate in modo diverso o quando situazioni diverse sono trattate in modo identico, a meno che un siffatto trattamento non sia oggettivamente giustificato (sentenze della Corte del 13 dicembre 1984, Sermide, 106/83, Racc. pag. 4209, punto 28, e del Tribunale del 30 settembre 2009, Hoechst/Commissione, T‑161/05, Racc. pag. II‑3555, punto 79).

128    Nel caso di specie, è giocoforza constatare che al complesso dei destinatari della decisione controversa sono stati applicati moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15%, mentre, a differenza delle imprese che hanno partecipato all’infrazione unica concernente tre sottogruppi di prodotti in sei Stati membri, la ricorrente, al pari di altre quattro imprese italiane sanzionate all’articolo 1, paragrafo 5, della decisione controversa, poteva essere considerata responsabile dell’infrazione accertata solo per la sua parte italiana. Di conseguenza, la gravità dell’infrazione cui ha partecipato la ricorrente era meno rilevante, in termini sia geografici sia di prodotti interessati, di quella dell’infrazione commessa dagli altri destinatari della decisione controversa, che hanno preso parte all’infrazione unica estesa a sei territori nazionali e a tre sottogruppi di prodotti. Tuttavia, anche ipotizzando che la Commissione, nello stabilire detti moltiplicatori, avrebbe dovuto trattare le imprese partecipanti all’infrazione unica estesa ai sei territori nazionali dell’Unione e ai tre sottogruppi di prodotti in modo diverso rispetto a quelle che hanno partecipato all’infrazione unica su un solo territorio nazionale e per due sottogruppi di prodotti, ciò nondimeno un siffatto trattamento diverso non avrebbe comportato benefici per la ricorrente. Infatti, come illustrato nel precedente punto 121, i moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15% applicati alla ricorrente costituiscono aliquote proporzionate alla gravità dell’infrazione dalla stessa commessa. Di conseguenza, il mancato trattamento differenziato all’interno del complesso delle imprese destinatarie della decisione controversa non è stato realizzato a danno della ricorrente.

129    Alla luce di ciò, occorre respingere in quanto infondato l’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione avrebbe commesso una violazione del principio della parità di trattamento a suo danno.

130    In considerazione di tutte le argomentazioni sin qui illustrate, occorre accogliere l’argomento della ricorrente diretto a denunciare due errori di valutazione commessi dalla Commissione (v. il precedente punto 119) e, per il resto, respingere la prima censura.

131    Con la sua seconda censura, la ricorrente critica il rifiuto della Commissione di concederle, conformemente al punto 29 degli orientamenti del 2006, una riduzione di ammenda a motivo della sua partecipazione ridotta all’infrazione. A sostegno di tale domanda, la ricorrente deduce due argomenti principali. In primo luogo, essa avrebbe sempre perseguito un’autonoma strategia commerciale, come risulterebbe da varie riunioni svoltesi tra il 15 marzo 1993 e il 28 ottobre 2002, durante le quali avrebbe comunicato la sua intenzione di non procedere ad aumenti di prezzo. Essa avrebbe quindi preso le distanze in modo chiaro e netto dagli accordi sui quali gli altri membri dell’intesa avevano manifestato la loro approvazione. In secondo luogo, la ricorrente ritiene che la Commissione abbia ingiustamente respinto, nella decisione controversa, l’argomento secondo il quale essa avrebbe dovuto beneficiare di una riduzione di ammenda in quanto il suo ruolo nell’infrazione sarebbe stato meno grave di quello degli altri membri dell’intesa. Infatti, il valore delle vendite di prodotti, che costituisce indubbiamente un elemento di valutazione dell’influenza esercitabile da parte dell’impresa commisuratamente alla sua importanza economica, non rifletterebbe tuttavia il livello di gravità della sua partecipazione all’infrazione. D’altra parte, sarebbero le imprese multinazionali che avrebbero dato origine alle pratiche anticoncorrenziali in oggetto in seno a Euroitalia e a Michelangelo e che avrebbero partecipato a pratiche illecite in vari Stati membri.

132    Nel punto 29 degli orientamenti del 2006 si afferma quanto segue:

«L’importo di base dell’ammenda può essere ridotto qualora la Commissione constati l’esistenza di circostanze attenuanti, quali:

–        quando l’impresa interessata fornisce la prova di aver posto fine alle attività illecite immediatamente dopo i primi interventi della Commissione. Questo non si applica agli accordi o alle pratiche di natura segreta (in particolare i cartelli);

–        quando l’impresa fornisce la prova che l’infrazione è stata commessa per negligenza;

–        quando l’impresa fornisce la prova che la propria partecipazione all’infrazione è sostanzialmente marginale dimostrando altresì che, nel periodo in cui ha aderito agli accordi illeciti, non ha di fatto dato loro applicazione adottando un comportamento concorrenziale sul mercato; il fatto che un’impresa abbia partecipato a un’infrazione per una durata inferiore rispetto alle altre imprese non costituisce di per sé una circostanza attenuante, in quanto di tale circostanza si è già tenuto conto nella determinazione dell’importo di base;

–        quando l’impresa collabora efficacemente con la Commissione al di fuori del campo di applicazione della comunicazione sul trattamento favorevole e oltre quanto richiesto dagli obblighi di collaborazione imposti dalla legge;

–        quando il comportamento anticoncorrenziale è stato autorizzato o incoraggiato dalle autorità pubbliche o dalla legge».

133    Riguardo alla circostanza attenuante prevista al punto 29, terzo trattino, degli orientamenti del 2006, la sola rilevante alla luce degli argomenti dedotti dalla ricorrente, occorre ricordare, al pari di quanto fatto dalla Commissione nel punto 1252 della decisione controversa, che, secondo la giurisprudenza, affinché un’impresa possa beneficiare di una riduzione dell’ammenda per mancata esecuzione dell’intesa, le circostanze devono evidenziare che, nei periodi in cui l’impresa ha aderito agli accordi illeciti, essa si è effettivamente sottratta alla loro esecuzione, adottando un comportamento concorrenziale sul mercato, o, quanto meno, ha violato in modo chiaro e sostanziale gli obblighi relativi all’esecuzione dell’intesa al punto da intralciarne il suo funzionamento (sentenza del Tribunale del 15 marzo 2006, Daiichi Pharmaceutical/Commissione, T‑26/02, Racc. pag. II‑713, punto 113).

134    Nel caso di specie, da un lato, occorre rilevare che l’argomento della ricorrente secondo il quale essa avrebbe sempre seguito una strategia commerciale autonoma risulta di fatto infondato. Come accertato in occasione del precedente esame del secondo motivo (v., in particolare, i precedenti punti da 52 a 87), le imprese membri di Euroitalia si scambiavano informazioni relativamente ai loro precedenti aumenti di prezzo e controllavano che i loro concorrenti avessero attuato gli aumenti futuri di prezzo da essi previamente discussi.

135    Dall’altro, comunque, la ricorrente non deduce né argomenti né prove che dimostrino che essa si è effettivamente sottratta all’attuazione degli aumenti di prezzo discussi in occasione delle riunioni di Euroitalia e di Michelangelo. Al contrario, come giustamente rilevato dalla Commissione nelle sue tabelle contenute negli allegati 6 e 7 alla decisione controversa, la ricorrente ha partecipato alla quasi totalità delle riunioni in seno a Euroitalia e a un gran numero di quelle di Michelangelo, riunioni durante le quali si sono svolte discussioni illecite.

136    Ciò considerato, occorre constatare che la Commissione non ha commesso nessun errore non concedendo alla ricorrente nessuna riduzione dell’ammenda a tale titolo.

137    Alla luce di tutte le considerazioni fin qui svolte occorre, da un lato, accogliere in parte il terzo motivo e, dall’altro, respingere per il resto il medesimo motivo, nonché i motivi primo e secondo.

138    Per quanto concerne le conseguenze da trarre in merito alla domanda diretta all’annullamento parziale della decisione controversa, in primo luogo, occorre respingerla nella parte concernente l’articolo 1, paragrafo 5, punto 18, della decisione controversa.

139    In secondo luogo, da un lato, poiché la Commissione ha giustamente concluso che la ricorrente ha commesso una violazione delle disposizioni di cui all’articolo 101 TFUE, è a buon diritto che, in base alle disposizioni di cui all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, richiamato nel punto 1182 della decisione controversa, essa ha deciso, all’articolo 2, paragrafo 17, della decisione controversa, di infliggere un’ammenda alla ricorrente. Pertanto, occorre respingere la domanda diretta all’annullamento parziale della decisione controversa nella parte concernente l’articolo 2, paragrafo 17, di detta decisione.

140    Dall’altro, posto che l’articolo 2, paragrafo 17, della decisione controversa stabilisce l’importo dell’ammenda da infliggere alla ricorrente, poiché quest’ultima, come secondo capo della domanda, chiede al Tribunale, in subordine, di ridurre l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta, quest’ultimo trarrà le conseguenze dagli errori, accertati nel precedente punto 119, in merito alla determinazione di detto importo, in sede di esame di detto capo della domanda.

141    Dalle analisi contenute nei precedenti punti da 138 a 140 discende che occorre respingere integralmente la domanda diretta all’annullamento parziale della decisione controversa.

 Sulla domanda, formulata in subordine, diretta all’estinzione o alla riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente

142    In considerazione del secondo capo della domanda, con il quale la ricorrente chiede, in subordine, al Tribunale di estinguere o ridurre l’importo dell’ammenda che le è stata imposta (v. il precedente punto 15), è compito di quest’ultimo, nell’esercizio della sua competenza estesa anche al merito, esaminare, da un lato, le conseguenze degli errori commessi dalla Commissione, esposti nel precedente punto 125, relativamente al calcolo dell’importo dell’ammenda imposta alla ricorrente e, dall’altro, l’argomento che la ricorrente deduce a sostegno della sua domanda di estinzione o riduzione dell’ammenda.

143    A questo proposito è importante ricordare che, secondo la giurisprudenza, da un lato, nell’esercizio della sua competenza estesa anche al merito, il Tribunale deve effettuare la propria valutazione tenendo conto di tutte le circostanze del caso di specie e rispettando i principi generali del diritto dell’Unione, quali il principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza Romana Tabacchi/Commissione, punto 17 supra, punti 179 e 280), e il principio della parità di trattamento (sentenza della Corte del 24 settembre 2009, Erste Group Bank e a./Commissione, C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P, Racc. pag. I‑8681, punto 187).

144    Dall’altro, l’esercizio della competenza estesa anche al merito non equivale a un controllo d’ufficio. Di conseguenza, ad eccezione dei motivi di ordine pubblico che il giudice dell’Unione è tenuto a sollevare d’ufficio, quali l’assenza o l’insufficienza di motivazione della decisione controversa, spetta al ricorrente sollevare i motivi diretti avverso quest’ultima e produrre elementi di prova a sostegno di detti motivi (v., in tal senso, sentenza Chalkor/Commissione, punto 17 supra, punto 64).

145    Benché gli orientamenti non condizionino il giudizio sulla valutazione dell’ammenda da parte del giudice dell’Unione quando quest’ultimo statuisce in forza della sua competenza estesa anche al merito (sentenza del Tribunale del 27 luglio 2005, Brasserie nationale e a./Commissione, da T‑49/02 a T‑51/02, Racc. pag. II‑3033, punto 169), il Tribunale ritiene opportuno, nel caso di specie, ispirarsi ai medesimi per ricalcolare l’importo dell’ammenda, segnatamente a causa del fatto che essi consentono di prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti del caso di specie e di imporre ammende proporzionate a tutte le imprese che hanno partecipato all’infrazione accertata.

146    In primo luogo, occorre ricordare che il Tribunale ha accertato, da un lato, nel precedente punto 115, che la Commissione aveva avuto torto a basarsi sulla motivazione sostanzialmente ricavata dal fatto che tutte le imprese destinatarie della decisione controversa avevano partecipato a un’infrazione unica per determinare i moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15%. Dall’altro, esso ha parimenti constatato che, come chiarito nel precedente punto 121, detti moltiplicatori sono conformi al principio di proporzionalità su una scala dallo 0 al 30%, per quanto concerne il moltiplicatore «gravità dell’infrazione», e su una scala dal 15 al 25%, per quanto concerne il moltiplicatore «importo supplementare».

147    Indubbiamente, è anche vero che i moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15% sono quelli che sono stati adottati dalla Commissione, come constatato nel precedente punto 128, per calcolare le ammende imposte alle imprese che hanno partecipato all’infrazione unica concernente tre sottogruppi di prodotti in sei Stati membri. Ebbene, quest’ultima costituisce un’infrazione più grave, a causa della sua estensione geografica e del numero di sottogruppi di prodotti interessati, rispetto a quella cui ha partecipato la ricorrente.

148    Il fatto che alle imprese che hanno partecipato all’infrazione unica concernente sei Stati membri e tre sottogruppi di prodotti si sarebbe dovuto infliggere un’ammenda calcolata in base a moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» superiori a quelli del 15% adottati per punire la ricorrente non può però validamente giustificare che il Tribunale le imponga, in sede di esercizio della sua competenza estesa anche al merito, un’ammenda il cui importo non sia sufficientemente dissuasivo in considerazione della gravità dell’infrazione cui essa ha partecipato.

149    Alla luce di ciò, il Tribunale ritiene che, in considerazione degli orientamenti del 2006 e delle valutazioni esposte nel precedente punto 148, i moltiplicatori «gravità dell’infrazione» e «importo supplementare» del 15% siano adeguati.

150    In secondo luogo, per quanto concerne la domanda della ricorrente diretta a che il Tribunale le conceda una riduzione dell’ammenda, per il fatto che essa avrebbe svolto un ruolo solo minore nell’ambito delle riunioni cui ha partecipato rispetto a quello svolto dalle altre imprese multinazionali, il Tribunale ricorda che, come accertato nel precedente punto 62, la ricorrente non ha prodotto né argomenti né prove tali da rimettere in discussione gli accertamenti effettuati dalla Commissione, nei punti 467 e 492 della decisione controversa, che dimostrano che la ricorrente ha partecipato attivamente all’esecuzione delle pratiche illecite in questione, di modo che il suo ruolo non può essere considerato minore. Alla luce di ciò, il Tribunale ritiene che l’argomento della ricorrente non giustifichi che l’ammenda pari a EUR 3 996 000, inflittale dalla Commissione, sia ridotta per questo motivo.

151    Alla luce di ciò, da un lato, il Tribunale, in forza della sua competenza estesa anche al merito, ritiene che nessun elemento fra quelli di cui si è avvalsa la ricorrente a qualsivoglia titolo nella presente causa, né nessun motivo di ordine pubblico giustifichino che esso faccia uso di tale competenza al fine di ridurre l’importo dell’ammenda imposta dalla Commissione. Dall’altro, tenuto conto del complesso degli elementi illustrati dinanzi ad esso, il Tribunale ritiene che un’ammenda pari a EUR 3 996 000 costituisca, in considerazione della durata e della gravità dell’infrazione cui la ricorrente ha partecipato, una sanzione adeguata che consente di punire, in modo proporzionato e dissuasivo, il suo comportamento anticoncorrenziale.

152    Dal complesso delle considerazioni fin qui svolte, per quanto concerne la domanda, presentata in subordine, diretta all’estinzione o alla riduzione dell’importo dell’ammenda imposta alla ricorrente, all’articolo 2, paragrafo 17, della decisione controversa, si ricava che, essendo tale importo identico a quello stabilito dal Tribunale, nel precedente punto 151, in forza della sua competenza estesa anche al merito, occorre respingere detta domanda.

153    Alla luce delle conclusioni tratte nei precedenti punti 141 e 152, il ricorso dev’essere integralmente respinto.

 Sulle spese

154    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannate alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Zucchetti Rubinetteria SpA sopporterà le proprie spese nonché quelle della Commissione europea.

Pelikánová

Jürimäe

Van der Woude

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 16 settembre 2013.

Firme

Indice


Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sulla domanda, formulata in via principale, diretta all’annullamento parziale della decisione controversa

Sul primo motivo, che denuncia errori commessi dalla Commissione nella determinazione del mercato rilevante

Sul secondo motivo, che denuncia l’esistenza di violazioni collegate alla qualificazione come intesa delle discussioni in questione svoltesi in seno a Euroitalia e a Michelangelo

Sul terzo motivo, che denuncia errori e violazioni commessi dalla Commissione nel calcolo dell’importo dell’ammenda

Sulla domanda, formulata in subordine, diretta all’estinzione o alla riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente

Sulle spese


* Lingua processuale: l’italiano.