Language of document : ECLI:EU:T:2021:528

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

1o settembre 2021 (*)

«Diritto delle istituzioni – Membro del CESE – Indagine dell’OLAf su asserite molestie psicologiche – Decisione di destituire un membro dalle sue funzioni di direzione e di gestione del personale – Ricorso di annullamento – Atto impugnabile – Ricevibilità – Misura adottata nell’interesse del servizio – Base giuridica – Diritti della difesa – Diniego di accesso agli allegati della relazione dell’OLAF – Divulgazione del contenuto sostanziale delle testimonianze sotto forma di sintesi – Responsabilità»

Nella causa T‑377/20,

KN, rappresentato da M. Casado García‑Hirschfeld e M. Aboudi, avvocati,

ricorrente,

contro

Comitato economico e sociale europeo (CESE), rappresentato da M. Pascua Mateo, K. Gambino, X. Chamodraka, A. Carvajal García‑Valdecasas e L. Camarena Januzec, in qualità di agenti, assistiti da A. Duron, avvocato,

convenuto,

avente ad oggetto, da un lato, una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione del CESE del 9 giugno 2020 e, dall’altro, una domanda fondata sull’articolo 268 TFUE e diretta ad ottenere il risarcimento dei danni che il ricorrente asserisce di aver subìto,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto da J. Svenningsen (relatore), presidente, C. Mac Eochaidh e T. Pynnä, giudici,

cancelliere: M. Marescaux, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 21 aprile 2021,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il ricorrente, KN, è membro del Comitato economico e sociale europeo (CESE) dal 1º maggio 2004. Tra l’aprile 2013 e il 27 ottobre 2020 è stato presidente del gruppo dei datori di lavoro costituito all’interno CESE (in prosieguo: il «gruppo I»).

2        Il 6 dicembre 2018, dopo essere stato informato riguardo ad allegazioni relative al comportamento del ricorrente nei confronti di altri membri del CESE e di membri del personale del CESE, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha avviato un’indagine nei suoi confronti. Il ricorrente è stato informato dell’avvio di tale indagine con lettera del 18 ottobre 2019.

3        Il 25 novembre 2019 il ricorrente è stato sentito dall’OLAF nel corso di un’audizione. Con messaggi di posta elettronica del 26 e del 29 novembre 2019, ha completato la sua audizione con dichiarazioni scritte.

4        Con lettera del 4 dicembre 2019, l’OLAF, conformemente all’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento (UE, Euratom) n. 883/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 settembre 2013, relativo alle indagini svolte dall’OLAF e che abroga il regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (Euratom) n. 1074/1999 del Consiglio (GU 2013, L 248, pag. 1), ha invitato il ricorrente a presentare, per iscritto ed entro dieci giorni lavorativi, le sue osservazioni sui fatti che lo riguardavano, come esposti in una sintesi allegata a tale lettera. Tali fatti vertevano su comportamenti del ricorrente nei confronti di A, di B nonché di C e più in generale nei confronti dei membri del personale del segretariato del gruppo I.

5        Il 17 dicembre 2019 il ricorrente ha presentato le proprie osservazioni sulla sintesi dei fatti che lo riguardavano.

6        Con lettera del 16 gennaio 2020, l’OLAF ha informato il ricorrente della chiusura dell’indagine e della trasmissione della relazione finale (in prosieguo: la «relazione dell’OLAF») alla procura federale belga nonché al presidente del CESE. Quest’ultimo era invitato, in particolare, a trattare le trascrizioni delle audizioni dei testimoni e degli informatori «nella massima riservatezza», dato che esse contenevano informazioni «particolarmente sensibili, che potevano esporre maggiormente le persone interessate». Inoltre, il presidente del CESE era esplicitamente invitato a consultare l’OLAF in caso di domanda di accesso alle suddette trascrizioni.

7        Conformemente all’articolo 11 del regolamento n. 883/2013, la relazione dell’OLAF era accompagnata da raccomandazioni sul seguito che occorreva dare all’indagine. Pertanto, da un lato, l’OLAF raccomandava alla procura federale belga di avviare un’azione giudiziaria nei confronti del ricorrente per fatti asseritamente costitutivi di molestie psicologiche nei confronti di A e di B, in quanto tali fatti potevano costituire un reato ai sensi dell’articolo 442 bis del codice penale belga. D’altro lato, per quanto riguarda gli stessi fatti nonché un comportamento asseritamente abusivo nei confronti di C e di D nonché di altri membri del personale che avevano esercitato o continuavano a esercitare funzioni in seno al segretariato del gruppo I, l’OLAF raccomandava al CESE di prevedere l’avvio del procedimento di cui all’articolo 8 del codice di condotta dei membri del CESE entrato in vigore il 20 febbraio 2019 (in prosieguo: il «codice di condotta del 2019») e alla quarta parte del regolamento interno del CESE e di adottare «tutte le misure necessarie per prevenire qualsiasi nuovo caso di molestie da parte [del ricorrente] sul luogo di lavoro».

8        Con messaggio di posta elettronica del 21 gennaio 2020, il ricorrente ha chiesto al presidente del CESE di avviare il procedimento di cui all’articolo 8 del codice di condotta del 2019, riguardante le eventuali violazioni di detto codice, convocando una riunione del comitato consultivo sulla condotta dei membri istituito dall’articolo 7 del medesimo codice (in prosieguo: il «comitato consultivo»), prima del voto previsto per il giorno successivo, in seno al gruppo I, al fine di designare il candidato di tale gruppo all’elezione di presidente del CESE.

9        Nel corso di una riunione tenutasi il 21 gennaio 2020, alla quale ha assistito il ricorrente, il presidente del CESE ha informato i membri dell’ufficio di presidenza del CESE della ricezione, il 16 gennaio 2020, della relazione dell’OLAF e delle raccomandazioni che accompagnavano tale relazione.

10      Con nota del 22 gennaio 2020, il presidente del CESE ha trasmesso la relazione dell’OLAF al comitato consultivo e ha chiesto che, conformemente all’articolo 7, paragrafo 4, del codice di condotta del 2019, quest’ultimo formulasse un parere sulle asserite violazioni di detto codice entro 30 giorni di calendario. Il presidente del CESE ha tuttavia precisato che, al fine di garantire la protezione dei testimoni e degli informatori, le trascrizioni delle loro audizioni da parte dell’OLAF non erano trasmesse al comitato consultivo.

11      Lo stesso giorno i membri del gruppo I hanno deciso di proporre la candidatura del ricorrente all’elezione di presidente del CESE che doveva svolgersi nel corso del mese di ottobre 2020.

12      Con nota del 10 febbraio 2020, il presidente del comitato consultivo ha invitato il ricorrente a un’audizione prevista per il successivo 6 marzo.

13      Con lettera del 17 febbraio 2020 al presidente del comitato consultivo, il ricorrente ha chiesto, in particolare, di ricevere una «copia di tutti i documenti direttamente collegati alle allegazioni [formulate nei suoi confronti], nel rispetto, naturalmente, del principio di riservatezza».

14      In risposta a un quesito formulato dal CESE, l’OLAF, con messaggio di posta elettronica del 20 febbraio 2020, ha dichiarato che, in linea generale, talune informazioni non dovevano essere comunicate alla persona interessata, in particolare i dati personali di terzi, segnatamente quelli dei testimoni e degli informatori, nonché la valutazione giuridica dei fatti effettuata dall’OLAF. Il CESE era altresì invitato a trasmettere all’OLAF la versione non riservata della relazione che tale organo intendeva trasmettere al ricorrente prima di inviarla a quest’ultimo. A titolo informativo, l’OLAF aveva altresì allegato al suo messaggio di posta elettronica gli orientamenti sull’utilizzo delle sue relazioni finali da parte dei servizi della Commissione europea nell’ambito dei procedimenti di recupero e delle altre misure nel settore delle spese dirette e dell’aiuto esterno.

15      Il 4 marzo 2020 è stata trasmessa al ricorrente una versione della relazione dell’OLAF che ometteva taluni dati al fine, in particolare, di preservare l’anonimato dei testimoni e degli informatori, e priva di allegato (in prosieguo: la «versione non riservata della relazione dell’OLAF»).

16      Con messaggio di posta elettronica del 4 marzo 2020 al presidente del comitato consultivo, il ricorrente ha chiesto, in particolare, che la sua audizione, prevista per il successivo 6 marzo, fosse rinviata ad una data successiva, affinché potesse disporre di più tempo per prendere conoscenza della versione non riservata della relazione dell’OLAF.

17      Il 6 marzo 2020 il comitato consultivo, composto da due membri provenienti da ciascuno dei tre gruppi del CESE, ha proceduto all’audizione del ricorrente, dopo aver sentito separatamente gli investigatori dell’OLAF nonché un ex membro del CESE, D, nella sua qualità di informatore.

18      Durante l’audizione, il ricorrente lamentava, in particolare, l’accesso limitato alla relazione dell’OLAF che gli era stato concesso.

19      Nel corso della sua audizione D si è opposta alla presenza di uno dei membri del gruppo I in seno al comitato consultivo, E, per il motivo che quest’ultimo si sarebbe trovato in situazione di conflitto di interessi. Tale conflitto di interessi avrebbe tratto origine dal fatto che, su richiesta del ricorrente, egli avrebbe condotto un’indagine all’interno del segretariato del gruppo I e, al termine di quest’ultima, avrebbe elaborato una relazione contenente allegazioni relative al comportamento di A, relazione che sarebbe stata poi utilizzata dal ricorrente per ottenere un voto di fiducia in occasione di una riunione dell’ufficio di presidenza del gruppo I, il 25 ottobre 2018.

20      La seconda audizione del ricorrente da parte del comitato consultivo, prevista per il successivo 17 marzo, non ha potuto aver luogo a causa delle restrizioni introdotte per rispondere alla crisi sanitaria connessa al COVID‑19. Successivamente, né il comitato consultivo né il ricorrente hanno chiesto che fosse organizzata tale seconda audizione.

21      Con lettera del 2 aprile 2020, il comitato consultivo ha informato il presidente del CESE che E non avrebbe preso parte alle deliberazioni del comitato consultivo relative al caso del ricorrente dal momento che si trovava in situazione di conflitto di interessi. Tale lettera precisava altresì che, date siffatte circostanze, il secondo membro del gruppo I in seno al comitato consultivo, F, si era rifiutato di associarsi alla decisione di escludere E dalle deliberazioni e che, pertanto, neanch’essa avrebbe preso parte alle deliberazioni del comitato consultivo relative al caso del ricorrente.

22      Con lettera del 7 aprile 2020 inviata al presidente del CESE, il ricorrente ha dichiarato che soffriva di problemi di salute e che, per tale motivo, si trovava nell’impossibilità di esercitare le sue funzioni di presidente del gruppo I a tempo indeterminato. Il vicepresidente del gruppo I è stato designato per assicurare temporaneamente tali funzioni durante il periodo di congedo per malattia del ricorrente.

23      Con lettera del 28 aprile 2020 inviata al presidente del CESE, il comitato consultivo, conformemente all’articolo 8, paragrafo 2, del codice di condotta del 2019, ha trasmesso le sue raccomandazioni riguardanti le asserite violazioni del codice di condotta da parte del ricorrente. Il comitato consultivo ha invitato in particolare il presidente del CESE ad adottare le seguenti misure:

«1.) Alla luce delle audizioni dell’OLAF e [del ricorrente] organizzate dal comitato consultivo il 6 marzo 2020, e dopo un esame approfondito del verbale dell’audizione [del ricorrente] effettuata dall’OLAF, nonché della relazione dell’OLAF, il comitato consultivo aderisce alle constatazioni di fatto operate dall’OLAF nonché alle conclusioni giuridiche che ne derivano. Pertanto, il comitato consultivo constata che, con il suo comportamento nei confronti dei membri del personale e di ex membri del CESE, [il ricorrente] ha violato l’articolo 1, paragrafo 4, del regolamento interno del CESE, l’articolo 4, paragrafo 1, del codice di condotta dei membri del CESE del 17 gennaio 2013, l’articolo 4, paragrafo 1, del codice di [condotta del 2019], nonché l’articolo 31, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Il comitato consultivo constata inoltre che i diritti procedurali della persona accusata sono stati pienamente rispettati nell’ambito delle indagini dell’OLAF;

2.) A causa della violazione reiterata e grave di disposizioni fondamentali dell’ordinamento giuridico europeo, [al ricorrente] viene revocato il diritto di direzione e, di conseguenza, la sua autorità nei confronti dei membri del personale del segretariato del gruppo I;

3.) A seguito della revoca del suo diritto di dirigere i membri del personale e poiché il posto di presidente è strettamente connesso a tale diritto, [il ricorrente] è sospeso dalle sue funzioni di presidente del gruppo I; la sospensione non pregiudica il fatto che, per motivi di salute e fino al suo ristabilimento, [il ricorrente] abbia ceduto la presidenza del gruppo I [al] vicepresidente del gruppo I;

4.) Il presidente del CESE (...) è pregato di richiedere [al ricorrente] di ritirare la sua candidatura alla presidenza del CESE, che è stata confermata dai membri del gruppo I nel corso della procedura elettorale del 23 gennaio 2020, al fine di evitare di arrecare pregiudizio al CESE e ai suoi membri;

5.) Nell’eventualità che la procura belga avvii un’indagine, il CESE avvia un procedimento giudiziario, al fine di costituirsi parte civile nell’ambito di un’azione penale contro [il ricorrente] (...)».

24      Con lettera del 12 maggio 2020, il presidente del CESE ha invitato il ricorrente, conformemente all’articolo 8, paragrafo 3, del codice di condotta del 2019, a trasmettergli eventuali osservazioni scritte sulle raccomandazioni formulate dal comitato consultivo.

25      Il 13 maggio 2020 il Parlamento europeo ha adottato la decisione (UE) 2020/1984, sul discarico per l’esecuzione del bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio 2018, sezione VI – Comitato economico e sociale europeo (GU 2020, L 417, pag. 469), con la quale tale istituzione ha rinviato l’adozione di una decisione sul discarico al Segretario generale del CESE per l’esecuzione del bilancio del CESE per l’esercizio 2018. Il giorno successivo il Parlamento ha adottato la risoluzione (UE) 2020/1985, recante le osservazioni che costituiscono parte integrante della decisione sul discarico per l’esecuzione del bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio 2018, sezione VI – Comitato economico e sociale europeo (GU 2020, L 417, pag. 470), ai sensi della quale il CESE era invitato a informarlo, entro la fine del mese di settembre 2020, delle misure adottate per dare seguito alle raccomandazioni contenute nella relazione dell’OLAF.

26      Il 27 maggio 2020 il presidente del CESE, conformemente all’articolo 8, paragrafo 3, del codice di condotta del 2019, ha consultato la presidenza ampliata del CESE.

27      Con lettera del 2 giugno 2020, al presidente del CESE il ricorrente ha comunicato le sue osservazioni sulle raccomandazioni del comitato consultivo. Il ricorrente addebitava in particolare al comitato consultivo di aver violato i suoi diritti della difesa, in quanto, non avendo potuto disporre degli allegati della relazione dell’OLAF, egli non aveva potuto far valere le sue osservazioni su questi ultimi.

28      Con nota del 3 giugno 2020, il presidente del CESE ha trasmesso le raccomandazioni del comitato consultivo e le osservazioni scritte del ricorrente su queste ultime, nonché la versione non riservata della relazione dell’OLAF e la decisione del Parlamento riguardante il rinvio del discarico di bilancio ai membri dell’ufficio di presidenza del CESE affinché essi adottassero una decisione riguardante il ricorrente. A tale nota era allegato anche un progetto di decisione.

29      Nel corso della sua riunione a porte chiuse del 9 giugno 2020 l’ufficio di presidenza del CESE ha adottato la decisione oggetto del presente ricorso (in prosieguo: la «decisione impugnata»), con 21 voti a favore, 4 voti contrari e un’astensione, e un voto che è stato, peraltro, annullato. L’articolo unico di tale decisione così recita:

«L’Ufficio di presidenza

1. prende nota delle conclusioni dell’OLAF e del comitato consultivo in merito alla responsabilità [del ricorrente] (...) per quanto riguarda gli atti configuranti molestie e il comportamento scorretto di cui è accusato,

2. osserva che le sanzioni previste nel [codice di condotta del 2019] non sono applicabili nel caso di specie, tenuto conto del principio della legalità delle pene (nulla poena sine lege),

3. chiede [al ricorrente]:

–        di dimettersi dalle sue funzioni di presidente del gruppo I,

–        di ritirare la propria candidatura alla presidenza del CESE.

4. destituisce [il ricorrente] da qualsiasi attività di direzione e di gestione del personale,

5. incarica il segretario generale di adottare le misure necessarie per assicurarsi che il CESE si costituisca parte civile nel caso in cui il procuratore del Re avvii un procedimento nei confronti [del ricorrente],

6. incarica il segretario generale di trasmettere tale decisione all’OLAF e al Parlamento europeo; la decisione può essere anche comunicata eventualmente ad altre istituzioni e/o alle autorità degli Stati membri.

Tale decisione costituisce parte integrante del verbale della riunione dell’ufficio di presidenza del 9 giugno 2020 e la sua diffusione è limitata».

30      La decisione impugnata è stata notificata al ricorrente il successivo 17 giugno.

31      Con decisione del 15 luglio 2020, l’assemblea plenaria del CESE, su richiesta dell’auditorat du travail de Bruxelles (Ispettorato del lavoro di Bruxelles, Belgio) e dopo aver raccolto le osservazioni del ricorrente, ha revocato l’immunità di cui beneficiava quest’ultimo. Successivamente, con decisione del 28 luglio 2020, l’assemblea plenaria del CESE ha deciso che tale organo si sarebbe costituito parte civile nel procedimento avviato nei confronti del ricorrente dinanzi al tribunal correctionnel de Bruxelles (Tribunale penale di Bruxelles).

32      L’assenza del ricorrente per malattia è cessata il 28 agosto 2020.

33      Con lettera del 1º settembre 2020, il direttore della direzione «Risorse umane e finanze» del CESE ha informato il ricorrente del fatto che, in esecuzione della decisione impugnata, lo destituiva dalle sue funzioni di direzione e di gestione del personale del segretariato del gruppo I. Il ricorrente era inoltre invitato a designare un altro membro del gruppo I per garantire la gestione quotidiana del segretariato di tale gruppo.

34      L’8 settembre 2020 il gruppo I ha presentato la candidatura di un altro dei suoi membri alla presidenza del CESE e il ricorrente ha ritirato la sua candidatura a tale elezione.

35      Il 27 ottobre 2020, alla scadenza del mandato del ricorrente, il gruppo I ha eletto un nuovo presidente. Lo stesso giorno, la candidata proposta dal gruppo I è stata eletta presidente del CESE.

36      Con decisione (UE) 2020/1636 del Consiglio, del 30 ottobre 2020, relativa alla nomina di un membro del Comitato economico e sociale europeo per il periodo dal 21 settembre 2020 al 20 settembre 2025 (GU 2020, L 369, pag. 1), il ricorrente, su proposta della Repubblica di Polonia, è stato nominato membro del CESE per il periodo dal 21 settembre 2020 al 20 settembre 2025.

 Procedimento e conclusioni delle parti

37      Con atto introduttivo pervenuto alla cancelleria del Tribunale il 18 giugno 2020, il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

38      Con atto separato, depositato in pari data presso la cancelleria del Tribunale, il ricorrente ha presentato una domanda di provvedimenti provvisori avente ad oggetto la sospensione dell’esecuzione della decisione impugnata. Tale domanda è stata respinta con ordinanza del 22 luglio 2020, KN/CESE (T‑377/20 R, non pubblicata, EU:T:2020:353), per difetto di urgenza e le spese sono state riservate.

39      Con un altro atto separato, depositato presso la cancelleria del Tribunale in pari data, il ricorrente ha chiesto al Tribunale di pronunciarsi secondo il procedimento accelerato di cui all’articolo 152 del regolamento di procedura del Tribunale. Con decisione del 24 luglio 2020, notificata al ricorrente il 27 luglio successivo, il Tribunale (Ottava Sezione) ha respinto tale domanda.

40      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 29 giugno 2020, il ricorrente ha chiesto di beneficiare dell’anonimato ai sensi dell’articolo 66 del regolamento di procedura, beneficio che gli è stato accordato.

41      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 31 agosto 2020, il ricorrente ha presentato una nuova domanda di provvedimenti provvisori, fondata sulla presunta esistenza di fatti nuovi ai sensi dell’articolo 160 del regolamento di procedura, avente ad oggetto la sospensione dell’esecuzione della decisione impugnata. Tale domanda è stata respinta con ordinanza del 19 ottobre 2020, KN/CESE (T‑377/20 R II, non pubblicata, EU:T:2020:505), per difetto di urgenza e le spese sono state riservate.

42      Al termine di un secondo scambio di memorie, la fase scritta del procedimento si è conclusa il 25 novembre 2020.

43      Con lettera del 18 dicembre 2020 il ricorrente, ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 2, del regolamento di procedura, ha chiesto lo svolgimento di un’udienza.

44      Con lettera della cancelleria del 9 febbraio 2021, il CESE è stato invitato dal Tribunale, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, a produrre, eventualmente sotto forma di versione non riservata, gli allegati della relazione dell’OLAF, ivi comprese le trascrizioni delle audizioni dei testimoni e degli informatori, fatte salve le disposizioni dell’articolo 92, paragrafo 3, e dell’articolo 103 del regolamento di procedura.

45      Con lettera del 23 febbraio 2021, il CESE ha spiegato che gli allegati della relazione dell’OLAF erano riservati e non potevano quindi essere trasmessi al ricorrente. Date siffatte circostanze, il CESE ha ritenuto che i documenti richiesti dovessero essere prodotti solo mediante un’ordinanza istruttoria ai sensi dell’articolo 91, lettera b), del regolamento di procedura, e il loro trattamento dovesse essere disciplinato dall’articolo 103 del regolamento di procedura.

46      Con lettera della cancelleria del 5 marzo 2021, il Tribunale, a titolo di misura di organizzazione del procedimento, ha posto quesiti in vista di risposte scritte alle parti, le quali hanno ottemperato a tale richiesta entro il termine impartito.

47      Con ordinanza del 9 marzo 2021, il Tribunale ha ordinato al CESE, ai sensi dell’articolo 92, paragrafo 3, del regolamento di procedura, di produrre gli allegati della relazione dell’OLAF, ivi comprese le trascrizioni delle audizioni dei testimoni e degli informatori, comunicatigli dall’OLAF con nota del 16 gennaio 2020. Veniva inoltre precisato che, in tale fase del procedimento, tali documenti non sarebbero stati comunicati al ricorrente, a meno che il CESE non fosse in grado di produrre, oltre alla versione integrale di detti documenti, una versione non riservata degli stessi.

48      Il 17 marzo 2021 il CESE ha prodotto la versione riservata degli allegati della relazione dell’OLAF.

49      Il 30 marzo 2021, il Tribunale ha deciso che i documenti prodotti dal convenuto conformemente all’ordinanza istruttoria del 9 marzo 2021 erano rilevanti ai fini della decisione della controversia e presentavano carattere riservato. Il Tribunale ha inoltre deciso di adottare una misura di organizzazione del procedimento riguardante le modalità secondo le quali i detti documenti avrebbero potuto essere portati a conoscenza del ricorrente.

50      Con lettera della cancelleria del 30 marzo 2021, gli avvocati del ricorrente sono stati invitati dal Tribunale a sottoscrivere un impegno di riservatezza prima di ricevere una copia della versione riservata degli allegati della relazione dell’OLAF. Il 7 aprile 2021 gli avvocati del ricorrente hanno rinviato al Tribunale gli impegni di riservatezza sottoscritti.

51      Con lettera della cancelleria del 7 aprile 2021, gli avvocati del ricorrente sono stati invitati dal Tribunale a individuare, nella versione riservata degli allegati della relazione dell’OLAF, gli eventuali elementi il cui contenuto sostanziale non sarebbe rinvenibile nella versione non riservata della relazione dell’OLAF alla quale il ricorrente aveva avuto accesso e, se del caso, ad esporre le osservazioni complementari, in grado di influire sull’esito del procedimento amministrativo, che il ricorrente avrebbe potuto presentare nella fase corrispondente a tale procedimento se avesse avuto conoscenza di tali elementi. Gli avvocati del ricorrente hanno ottemperato a tale richiesta entro il termine impartito.

52      Le parti sono state sentite all’udienza di discussione del 21 aprile 2021. Nel corso dell’udienza il CESE ha chiesto di poter rispondere per iscritto alle osservazioni presentate dagli avvocati del ricorrente sulla versione riservata degli allegati della relazione dell’OLAF. A seguito della ricezione, il 5 maggio 2021, delle osservazioni scritte del CESE, il Tribunale ha chiuso la fase orale del procedimento.

53      Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso ricevibile;

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare il CESE a versargli un importo pari a EUR 200 000 a titolo di risarcimento del danno morale subìto nonché un importo pari a EUR 50 000 a titolo di risarcimento del danno materiale subìto;

–        condannare il CESE all’integralità delle spese.

54      Il CESE chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto irricevibile;

–        in subordine, respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare il ricorrente alle spese, comprese quelle relative al procedimento sommario e alla domanda di procedimento accelerato.

 In diritto

 Sulla ricevibilità della domanda di annullamento

55      Senza sollevare formalmente un’eccezione di irricevibilità con atto separato, il CESE fa tuttavia valere che il ricorso di annullamento dovrebbe essere respinto in quanto irricevibile.

56      In primo luogo, il CESE sostiene che gli inviti rivolti al ricorrente a dimettersi dalle sue funzioni di presidente del gruppo I e a ritirare la propria candidatura alla sua presidenza sarebbero privi di effetti giuridici vincolanti in quanto la scelta di rassegnare le dimissioni o di ritirare la propria candidatura spetterebbe unicamente al ricorrente.

57      In secondo luogo, il CESE considera che la decisione di destituire il ricorrente dalle sue funzioni di direzione e di gestione del personale del segretariato del gruppo I sarebbe solo un provvedimento di riorganizzazione interna al CESE, adottato dall’amministrazione in forza del suo potere di organizzare liberamente i suoi servizi. Orbene, dalla sentenza del 25 febbraio 1988, Les Verts/Parlamento (190/84, EU:C:1988:94), risulterebbe che atti che producono effetti giuridici solo nella sfera interna dell’amministrazione non creerebbero diritti o obblighi nei confronti di terzi e non costituirebbero atti impugnabili ai sensi dell’articolo 263 TFUE.

58      In terzo luogo, per quanto riguarda gli altri elementi della decisione impugnata, vertenti, da un lato, sulla costituzione del CESE quale parte civile nell’ambito del procedimento dinanzi al tribunal correctionnel de Bruxelles (Tribunale penale di Bruxelles) e, dall’altro, sulla comunicazione della decisione impugnata a diverse istituzioni o organi dell’Unione europea o degli Stati membri, il CESE ritiene che si tratti di «atti di mera esecuzione delle raccomandazioni dell’OLAF» che non potrebbero essere neanch’esse oggetto di un ricorso di annullamento.

59      Il ricorrente contesta tali argomenti.

60      Nel caso di specie, l’ufficio di presidenza del CESE, con la decisione impugnata, ha adottato tre misure nei confronti del ricorrente e occorre quindi esaminare se tali misure possano essere oggetto di sindacato giurisdizionale ai sensi dell’articolo 263 TFUE.

 Sugli inviti a dimettersi dalla presidenza del gruppo I e a ritirare la sua candidatura alla presidenza del CESE

61      Al paragrafo 3 dell’articolo unico della decisione impugnata, l’ufficio di presidenza del CESE ha invitato il ricorrente a dimettersi dalle sue funzioni di presidente del gruppo I e a ritirare la propria candidatura alla presidenza del CESE.

62      Secondo la giurisprudenza, costituisce un atto che può essere oggetto di un ricorso di annullamento, qualsiasi provvedimento adottato dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, indipendentemente dalla sua natura o forma, che miri a produrre effetti giuridici vincolanti idonei ad incidere sugli interessi del ricorrente, modificando in misura rilevante la sua situazione giuridica (v. sentenza del 25 giugno 2020, CSUE/KF, C‑14/19 P, EU:C:2020:492, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

63      Orbene, nel caso di specie, come fa valere giustamente il CESE, gli inviti a rassegnare le dimissioni dalla presidenza del gruppo I e a ritirare la propria candidatura alla sua presidenza sono, per loro natura, privi di qualsiasi effetto giuridico vincolante ai sensi di tale giurisprudenza.

64      Infatti, poiché l’ufficio di presidenza del CESE non dispone del potere di esigere le dimissioni di uno dei suoi membri dalla presidenza di un gruppo o il ritiro di una candidatura all’elezione del suo presidente, il ricorrente poteva liberamente decidere di non dar seguito a detti inviti.

65      Nella fattispecie, malgrado tali inviti, il ricorrente è rimasto, del resto, presidente del gruppo I fino alla scadenza del suo mandato, il 27 ottobre 2020.

66      È vero che l’8 settembre 2020, quando il gruppo I ha proposto la candidatura di un altro dei suoi membri alla presidenza del CESE e quasi tre mesi dopo l’adozione della decisione impugnata, il ricorrente ha accettato di ritirare la propria candidatura.

67      Tuttavia, il presente ricorso, proposto il 18 giugno 2020, non è diretto contro la decisione del ricorrente, dell’8 settembre successivo, di ritirare la propria candidatura alla presidenza del CESE, ma contro l’invito dell’ufficio di presidenza a procedere al suo ritiro, che non ha il carattere di un atto lesivo (v., per analogia, sentenza del 12 maggio 2015, Dalli/Commissione, T‑562/12, EU:T:2015:270, punto 155).

68      Ne consegue che, nella parte in cui invita il ricorrente a dimettersi dalle sue funzioni di presidente del gruppo I e a ritirare la propria candidatura alla presidenza del CESE, la decisione impugnata è priva di effetti giuridici vincolanti. Pertanto, la domanda di annullamento deve essere respinta in quanto irricevibile nella parte in cui è diretta contro tali inviti.

 Sulla decisione di destituire il ricorrente dalle sue funzioni di direzione e di gestione del personale

69      Al paragrafo 4 dell’articolo unico della decisione impugnata, l’ufficio di presidenza del CESE ha destituito il ricorrente dalle sue funzioni di direzione e di gestione del personale.

70      Conformemente all’articolo 80, paragrafo 1, del regolamento interno, «[i] gruppi dispongono di un segretariato che dipende direttamente dal presidente del gruppo interessato». In forza dell’articolo 80, paragrafi 2 e 3, del medesimo regolamento, i poteri dell’autorità che ha il potere di nomina e dell’autorità abilitata a concludere i contratti di assunzione (in prosieguo: l’«AACC»), nei confronti dei membri del personale del segretariato del gruppo, sono esercitati «su proposta del presidente del gruppo».

71      Nel caso di specie, dalla lettera del 1º settembre 2020 del direttore della direzione «Risorse umane e finanze» del CESE, menzionata al precedente punto 33, risulta che la decisione di destituire il ricorrente dalle sue funzioni di direzione e di gestione del personale ha comportato che quest’ultimo non poteva più essere coinvolto nell’assunzione, nella valutazione, nella riqualificazione, nella formazione, nelle missioni o nella gestione dell’orario dei membri del personale del segretariato del gruppo I.

72      Tali compiti e attribuzioni si riferiscono quindi a competenze connesse all’esercizio di un potere gerarchico che il ricorrente detiene nella sua qualità di presidente del gruppo I, come risulta, inoltre, dalle raccomandazioni del comitato consultivo menzionate al precedente punto 23.

73      Su tale punto, in udienza, il CESE ha inoltre confermato il carattere definitivo di siffatta misura, precisando che il ricorrente non avrebbe potuto più esercitare tali funzioni di direzione e di gestione del personale, anche se fosse stato rieletto come presidente del gruppo I dopo la scadenza del suo mandato. La circostanza, parimenti invocata dal CESE in udienza, secondo la quale tale organo potrebbe essere indotto a rivedere in futuro la decisione impugnata se le circostanze che ne hanno giustificato l’adozione dovessero cambiare, per tener conto, ad esempio, dell’esito del procedimento penale avviato a carico del ricorrente, non può essere presa in considerazione per valutare la ricevibilità del ricorso, in quanto tale valutazione deve essere effettuata facendo riferimento alla situazione esistente al momento in cui il ricorso è stato depositato (v., in tal senso, sentenza del 24 ottobre 2013, Deutsche Post/Commissione, C‑77/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:695, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

74      Pertanto, tenuto conto della natura di tali compiti e della loro portata, si deve ritenere che la decisione di destituire il ricorrente dalle sue funzioni di direzione e di gestione del personale produca effetti giuridici vincolanti idonei a incidere sugli interessi di quest’ultimo modificando in misura rilevante la sua situazione giuridica (v., per analogia, sentenza del 22 ottobre 2002, Pflugradt/BCE, T‑178/00 e T‑341/00, EU:T:2002:253, punto 81).

75      Infine, l’argomento del CESE secondo cui l’articolo 263, primo comma, TFUE limita la competenza del giudice dell’Unione agli atti destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi non inficia tale conclusione.

76      Infatti, secondo costante giurisprudenza, tali termini mirano ad escludere gli atti che non costituiscono atti lesivi, in quanto riguardano esclusivamente l’organizzazione interna dell’amministrazione e producono effetti solo in tale sfera interna, senza creare alcun diritto o obbligo nei confronti dei terzi (v. sentenza del 25 giugno 2020, CSUE/KF, C‑14/19 P, EU:C:2020:492, punto 73 e giurisprudenza ivi citata).

77      Orbene, se è vero che la decisione di destituire il ricorrente dalle sue funzioni di direzione e di gestione del personale riguarda l’organizzazione interna del CESE, resta il fatto che tale decisione è un atto di cui il ricorrente è destinatario, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE e che gli arreca pregiudizio in quanto essa lo priva del potere gerarchico che egli esercita, in forza dell’articolo 80 del regolamento interno del CESE, nei confronti dei membri del personale del segretariato del gruppo I (v., in tal senso, sentenza del 25 giugno 2020, CSUE/KF, C‑14/19 P, EU:C:2020:492, punto 74), contrariamente a quanto sostiene il CESE.

78      Inoltre, poiché, almeno in tale contesto, il ricorrente costituisce una persona giuridicamente distinta dal CESE, non si può ritenere che la presente controversia non opponga il CESE a un terzo, ai sensi dell’articolo 263, primo comma, TFUE (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 25 giugno 2020, CSUE/KF, C‑14/19 P, EU:C:2020:492, punto 75, e conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa CSUE/KF, C‑14/19 P, EU:C:2020:220, paragrafo 111).

79      Tenuto conto di quanto precede, si deve concludere che la domanda di annullamento è ricevibile nella parte in cui è diretta contro la decisione di destituire il ricorrente dalle sue funzioni di direzione e di gestione del personale.

 Sulle istruzioni impartite al segretario generale del CESE

80      Ai paragrafi 5 e 6 dell’articolo unico della decisione impugnata, l’ufficio di presidenza del CESE ha incaricato il segretario generale del CESE di «fare il necessario», da un lato, affinché il CESE si costituisse parte civile nel caso in cui fosse stato avviato un procedimento giudiziario nei confronti del ricorrente e, dall’altro, affinché una copia di tale decisione fosse trasmessa, in particolare, all’OLAF e al Parlamento.

81      In risposta all’eccezione di irricevibilità del CESE, il ricorrente non ha tuttavia dedotto alcun argomento specifico nelle sue memorie o nel corso dell’udienza che consenta di spiegare in che misura tale elemento della decisione impugnata modificherebbe la sua situazione giuridica, in maniera rilevante, ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 62.

82      Orbene, per quanto riguarda l’intenzione del CESE di costituirsi parte civile dinanzi a un giudice nazionale, occorre ricordare che il fatto di poter far valere i propri diritti per via giudiziaria e il sindacato giurisdizionale che ciò implica sono espressione di un principio generale del diritto che si trova alla base delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è stato altresì sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (sentenze del 15 maggio 1986, Johnston, 222/84, EU:C:1986:206, punti 17 e 18, e del 17 luglio 1998, ITT Promedia/Commissione, T‑111/96, EU:T:1998:183, punto 60), e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

83      Costituendosi parte civile dinanzi a un giudice nazionale nell’ambito di un procedimento avviato nei confronti del ricorrente, il CESE non intende modificare esso stesso la situazione giuridica del ricorrente, poiché si limita a prendere parte ad un procedimento avente come eventuale risultato di modificare tale situazione giuridica con decisione giurisdizionale. Infatti, sarebbe eventualmente la decisione del giudice nazionale adito a modificare la situazione giuridica del ricorrente. Pertanto, l’intenzione del CESE di costituirsi parte civile nel procedimento avviato nei confronti del ricorrente non può essere considerata una decisione impugnabile ai sensi dell’articolo 263 TFUE (v., per analogia, sentenza del 15 gennaio 2003, Philip Morris International/Commissione, T‑377/00, T‑379/00, T‑380/00, T‑260/01 e T‑272/01, EU:T:2003:6, punto 79).

84      Del resto, occorre constatare che, anche supponendo che il fatto di adire un giudice nazionale da parte di un’istituzione dell’Unione possa essere oggetto di un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE, il presente ricorso non è diretto contro la decisione dell’assemblea plenaria del CESE del 28 luglio 2020 di costituirsi parte civile nel procedimento avviato contro il ricorrente, ma contro la decisione impugnata, la quale potrebbe costituire, tutt’al più, un atto preparatorio della decisione dell’assemblea.

85      Infine, quanto alla decisione di incaricare il segretario generale del CESE di comunicare la decisione impugnata a talune istituzioni o a taluni organi degli Stati membri, è sufficiente constatare, al pari del CESE, che tale misura è priva di effetti giuridici vincolanti nei confronti del ricorrente. Infatti, i destinatari di tale comunicazione restano liberi, nell’ambito dei loro rispettivi poteri, di valutare il contenuto e la portata delle informazioni contenute in tale decisione e, pertanto, il seguito che, eventualmente, occorrerebbe darvi.

86      Pertanto, la domanda di annullamento deve essere respinta in quanto irricevibile nella parte in cui è diretta contro le istruzioni impartite dall’ufficio di presidenza del CESE al segretario generale del CESE.

87      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il ricorso di annullamento deve essere dichiarato ricevibile unicamente nella parte in cui è diretto contro la decisione di destituire il ricorrente dalle sue funzioni di direzione e di gestione del personale (in prosieguo: il «provvedimento controverso») e irricevibile quanto al resto.

 Nel merito

88      A sostegno del suo ricorso, il ricorrente deduce quattro motivi, vertenti:

–        il primo, sulla violazione dei diritti della difesa, del diritto a una buona amministrazione, del diritto di essere ascoltato e del principio di proporzionalità;

–        il secondo, sulla violazione del principio della presunzione di innocenza e del principio di imparzialità;

–        il terzo, sulla violazione dei principi di irretroattività, di certezza del diritto e di legalità delle pene;

–        il quarto, sulla violazione del «principio di riservatezza dei procedimenti disciplinari e dell’indagine giudiziaria», dell’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2013 nonché dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2018/1725 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2018, sulla tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione e sulla libera circolazione di tali dati, e che abroga il regolamento (CE) n. 45/2001 e la decisione n. 1247/2002/CE (GU 2018, L 295, pag. 39).

89      Dal momento che il terzo motivo dedotto dal ricorrente implica in particolare che il Tribunale esamini la questione se il provvedimento controverso si fondi su una base giuridica che autorizzi l’ufficio di presidenza del CESE ad adottarlo e che si tratti di una questione di ordine pubblico (v. sentenza del 13 maggio 2014, McBride e a./Commissione, da T‑458/10 a T‑467/10 e T‑471/10, non pubblicata, EU:T:2014:249, punti da 25 a 28 e giurisprudenza ivi citata), occorre esaminarlo prima di tutti.

 Sul terzo motivo, vertente sulla violazione dei principi di irretroattività, di certezza del diritto e di legalità delle pene

90      A sostegno di tale motivo, il ricorrente afferma, in sostanza, che il provvedimento controverso è privo di base giuridica e che l’ufficio di presidenza del CESE non era competente a infliggergli tale sanzione.

91      A tal riguardo, il ricorrente fa valere che le sanzioni previste all’articolo 8 del codice di condotta del 2019 non potrebbero essere inflitte per reprimere fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore di detto codice. Quanto al codice di condotta dei membri del CESE del 17 gennaio 2013 (in prosieguo: il «codice di condotta del 2013»), esso non prevedrebbe la possibilità di infliggere una qualsivoglia sanzione ad un membro del CESE che abbia violato le sue disposizioni.

92      Il CESE contesta tali argomenti.

93      In via preliminare, occorre ricordare che, sebbene i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento impongano l’applicazione delle norme sostanziali in vigore all’epoca dei fatti di cui trattasi, nonostante tali norme non siano più in vigore al momento dell’adozione di un atto da parte di un organo dell’Unione, la procedura di adozione di un atto di un’istituzione dell’Unione deve essere eseguita nel rispetto delle norme in vigore al momento di tale adozione (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2016, Commissione/McBride e a., C‑361/14 P, EU:C:2016:434, punto 40).

94      Pertanto, il ricorrente non può imputare al CESE di aver violato detti principi adottando il provvedimento controverso secondo la procedura istituita dal codice di condotta del 2019, a fortiori in quanto dal precedente punto 8 risulta che il ricorrente stesso ha chiesto al presidente del CESE di avviare tale procedura.

95      A tal proposito, l’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, del codice di condotta del 2019 prevede che il presidente del CESE, dopo aver invitato il membro interessato a presentare osservazioni scritte sulle raccomandazioni del comitato consultivo, consulti la presidenza ampliata e chieda successivamente all’ufficio di presidenza di adottare una decisione sui provvedimenti che possono essere adottati conformemente allo Statuto dei membri e al regolamento interno del CESE.

96      Nel caso di specie, al termine di tale procedura, l’ufficio di presidenza del CESE ha innanzitutto concluso, al paragrafo 2 dell’articolo unico della decisione impugnata, che nessuna sanzione poteva essere inflitta al ricorrente salvo violare il principio di legalità delle pene. Inoltre, al paragrafo 4 dell’articolo unico della decisione impugnata, l’ufficio di presidenza del CESE ha adottato il provvedimento controverso.

97      Poiché le parti dissentono sulla natura del provvedimento controverso e l’analisi del terzo motivo dipende dalla questione se tale provvedimento costituisca o meno una sanzione, occorre procedere alla qualificazione della decisione impugnata, fermo restando che la qualificazione attribuita a tale provvedimento dalle parti in causa non può vincolare il Tribunale (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 19 ottobre 2017, Bernaldo de Quirós/Commissione, T‑649/16, non pubblicata, EU:T:2017:736, punto 19).

98      Anzitutto, occorre respingere la tesi del CESE secondo la quale il provvedimento controverso non costituirebbe una sanzione per il motivo che esso non arrecherebbe pregiudizio al ricorrente, per le ragioni menzionate ai precedenti punti da 69 a 79.

99      Tuttavia, il solo fatto che il provvedimento controverso arrechi pregiudizio al ricorrente, il che giustifica la ricevibilità del ricorso di annullamento su tale punto, non può comunque significare che occorra qualificare detto provvedimento come sanzione disciplinare ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, secondo comma, del codice di condotta del 2019 (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 19 ottobre 2017, Bernaldo de Quirós/Commissione, T‑649/16, non pubblicata, EU:T:2017:736, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

100    A tal proposito, nella decisione impugnata, l’ufficio di presidenza del CESE ha giustificato l’adozione del provvedimento controverso alla luce delle raccomandazioni dell’OLAF, il quale raccomandava di adottare le misure necessarie per prevenire qualsiasi nuovo atto di molestie da parte del ricorrente sul luogo di lavoro. Il CESE ha inoltre precisato che il provvedimento controverso aveva lo scopo di consentire a tale organo di conformarsi al suo obbligo di tutelare il proprio personale contro i rischi di molestie.

101    Inoltre, dal punto di vista dei suoi effetti, si deve altresì constatare che il provvedimento controverso non è equivalente ad alcuna delle sanzioni previste all’articolo 8, paragrafo 3, secondo comma, del codice di condotta del 2019, vale a dire l’ammonimento scritto, la trascrizione di tale ammonimento nel verbale dell’ufficio di presidenza e, se del caso, nel verbale della seduta plenaria o, ancora, la sospensione temporanea da qualsiasi funzione di relatore, di presidente e di membro di un gruppo di studio nonché la sospensione temporanea da qualsiasi partecipazione alle missioni e alle riunioni straordinarie.

102    Pertanto, alla luce del suo contenuto e dei suoi effetti, non si può ritenere che il provvedimento controverso abbia natura punitiva e costituisca una sanzione. Infatti, la sua finalità non è quella di sanzionare, di penalizzare o di biasimare il ricorrente per un’eventuale violazione degli obblighi derivanti dal codice di condotta, ma essa persegue un obiettivo di prevenzione, ossia garantire una migliore tutela dei funzionari e degli agenti del CESE, nell’interesse di un buon funzionamento del segretariato del gruppo I.

103    A tal riguardo, occorre altresì osservare che il ricorrente non ha fornito elementi che consentano di dimostrare che il provvedimento controverso non sarebbe realmente diretto a conseguire l’obiettivo proposto dal CESE o che esso non risponderebbe a un’esigenza reale del servizio.

104    Pertanto, in un contesto caratterizzato da tensioni pregiudizievoli per il buon funzionamento del servizio, l’ufficio di presidenza del CESE poteva, nelle circostanze del caso di specie, ritenere che fosse nell’interesse del servizio destituire il ricorrente da taluni compiti amministrativi rientranti nell’esercizio di un potere gerarchico (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 7 marzo 1990, Hecq/Commissione, C‑116/88 e C‑149/88, EU:C:1990:98, punto 22, del 28 ottobre 2004, Meister/UAMI, T‑76/03, EU:T:2004:319, punti da 79 a 81, e del 19 ottobre 2017, Bernaldo de Quirós/Commissione, T‑649/16, non pubblicata, EU:T:2017:736, punto 40), senza che ciò costituisse, al contempo, alla luce del contenuto e degli effetti di siffatta misura, una decisione di natura disciplinare.

105    A tal proposito, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 8, del regolamento interno del CESE, l’ufficio di presidenza è in particolare responsabile del buon utilizzo delle risorse umane e di bilancio nell’esecuzione dei compiti che gli sono assegnati dal Trattato. Dato che il provvedimento controverso riguarda il buon utilizzo delle risorse umane del CESE, nel caso di specie quelle del segretariato del gruppo I, l’ufficio di presidenza del CESE era effettivamente l’organo competente ad adottare siffatta misura, al termine della procedura prevista dall’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, del codice di condotta del 2019.

106    Alla luce di quanto precede, occorre respingere l’argomento del ricorrente secondo cui l’ufficio di presidenza del CESE gli avrebbe inflitto una sanzione in violazione dei principi di irretroattività, di certezza del diritto e di legalità delle pene e, di conseguenza, il terzo motivo deve essere respinto in quanto infondato.

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione dei diritti della difesa, del diritto a una buona amministrazione, del diritto di essere ascoltati e del principio di proporzionalità

107    A sostegno di tale motivo, il ricorrente afferma in sostanza che il CESE avrebbe violato i suoi diritti della difesa.

108    A tal riguardo, anzitutto, il ricorrente sostiene che non avrebbe avuto a disposizione un termine ragionevole per prendere conoscenza della relazione dell’OLAF e preparare la sua difesa. Orbene, a suo avviso, non si può escludere che la decisione impugnata avrebbe avuto un contenuto diverso se egli avesse avuto a disposizione un siffatto termine.

109    Il ricorrente ritiene poi che i suoi diritti della difesa siano stati violati, in quanto egli non ha potuto presentare utilmente le sue osservazioni prima dell’adozione della decisione impugnata, non essendogli stato accordato un accesso integrale al suo fascicolo, in particolare alla valutazione giuridica dei fatti esposta nella relazione dell’OLAF e alle trascrizioni delle audizioni dei testimoni e degli informatori allegate a tale relazione. Nelle loro osservazioni sulla versione riservata degli allegati della relazione dell’OLAF prodotta dal CESE in risposta al provvedimento istruttorio, gli avvocati del ricorrente hanno fatto valere, in sostanza, che il contenuto di talune testimonianze raccolte dall’OLAF nel corso dell’indagine non sarebbe rinvenibile nella versione non riservata della relazione dell’OLAF alla quale il ricorrente aveva avuto accesso, cosicché il diritto di quest’ultimo di essere utilmente ascoltato era stato violato.

110    Infine, il CESE avrebbe violato il principio di proporzionalità non dotandosi degli strumenti necessari per attuare adeguatamente la sua politica di «tolleranza zero» relativa al divieto e alla prevenzione delle molestie sul luogo di lavoro, alla quale si fa riferimento nella decisione impugnata. Al contrario, il CESE si sarebbe in tal modo adoperato per evitare qualsiasi procedimento in contraddittorio prima di imporre la cessazione anticipata dalle funzioni del ricorrente.

111    Il CESE contesta tali argomenti.

112    In via preliminare, occorre ricordare che, in forza del principio del rispetto dei diritti della difesa, i destinatari delle decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di far conoscere utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione (v. sentenza del 5 ottobre 2016, ECDC/CJ, T‑395/15 P, non pubblicata, EU:T:2016:598, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

113    A tal proposito, dalla giurisprudenza risulta in particolare che il ricorrente aveva il diritto, per poter presentare utilmente le proprie osservazioni all’ufficio di presidenza del CESE prima che quest’ultimo adottasse una decisione, di farsi comunicare, quanto meno, una sintesi delle dichiarazioni delle diverse persone consultate nel corso del procedimento di indagine, in quanto tali dichiarazioni erano state utilizzate dall’OLAF, nella sua relazione, per formulare raccomandazioni al presidente del CESE e alla luce delle quali l’ufficio di presidenza ha fondato il provvedimento controverso, e la comunicazione di tale sintesi doveva essere effettuata, se del caso, nel rispetto del principio di riservatezza (v., in tal senso, sentenze del 4 aprile 2019, OZ/BEI, C‑558/17 P, EU:C:2019:289, punto 57, del 25 giugno 2020, HF/Parlamento, C‑570/18 P, EU:C:2020:490, punto 60, e del 25 giugno 2020, CSUE/KF, C‑14/19 P, EU:C:2020:492, punto 121).

114    In tale contesto, al fine di garantire la riservatezza delle testimonianze e gli obiettivi da essa tutelati, assicurandosi al contempo che la parte ricorrente sia ascoltata utilmente prima che venga adottata una decisione che le arreca pregiudizio, la Corte ha dichiarato che si poteva ricorrere a determinate tecniche quali l’anonimizzazione, la divulgazione della sostanza delle testimonianze sotto forma di sintesi o ancora la schermatura di talune parti del contenuto delle testimonianze (v., in tal senso, sentenze del 4 aprile 2019, OZ/BEI, C‑558/17 P, EU:C:2019:289, punto 59, e del 25 giugno 2020, HF/Parlamento, C‑570/18 P, EU:C:2020:490, punto 66).

115    Infine, per far conoscere utilmente il suo punto di vista in merito agli elementi sui quali l’ufficio di presidenza del CESE intendeva fondare la sua decisione, il ricorrente doveva beneficiare di un termine sufficiente (v. sentenza del 18 dicembre 2008, Sopropé, C‑349/07, EU:C:2008:746, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

116    Nel caso di specie, è pacifico che il ricorrente ha avuto accesso soltanto ad una versione non riservata della relazione dell’OLAF, priva di allegato, circostanza che il CESE ha giustificato con la necessità di tutelare l’identità degli informatori e la riservatezza delle testimonianze raccolte.

117    Anzitutto, occorre respingere l’argomento del CESE secondo il quale il primo motivo dovrebbe essere respinto con la motivazione che anche l’ufficio di presidenza del CESE avrebbe avuto accesso unicamente a tale versione non riservata della relazione dell’OLAF, vale a dire senza aver potuto prendere conoscenza, prima dell’adozione della decisione impugnata, in particolare delle trascrizioni delle audizioni dei testimoni e degli informatori.

118    Tale argomento è infondato in punto di fatto. Invero, conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, secondo comma, lettera a), del regolamento interno, il presidente del CESE è membro dell’ufficio di presidenza e quest’ultimo, con nota del 16 gennaio 2020, ha effettivamente ricevuto la versione riservata della relazione dell’OLAF, compresi gli allegati che la accompagnano, circostanza che il CESE ha ammesso in udienza.

119    Tuttavia, il fatto che un membro dell’ufficio di presidenza del CESE abbia avuto accesso alla versione riservata della relazione dell’OLAF non costituisce una violazione dei diritti della difesa del ricorrente. Infatti, il rispetto di tale principio, il quale comprende il diritto di essere ascoltato, implica che, nel rispetto di eventuali esigenze di riservatezza, la persona accusata di molestie abbia, prima dell’adozione della decisione che gli arreca pregiudizio, la possibilità di manifestare, utilmente ed efficacemente, il proprio punto di vista (v., in tal senso, sentenza del 25 giugno 2020, CSUE/KF, C‑14/19 P, EU:C:2020:492, punti 116 e 117).

120    A tal riguardo, il CESE fa valere che il ricorrente ha avuto un accesso sufficiente alla relazione dell’OLAF, poiché, a differenza dei fatti che hanno dato luogo alle sentenze del 4 aprile 2019, OZ/BEI (C‑558/17 P, EU:C:2019:289), del 25 giugno 2020, HF/Parlamento (C‑570/18 P, EU:C:2020:490), e del 25 giugno 2020, CSUE/KF (C‑14/19 P, EU:C:2020:492), la versione non riservata della relazione dell’OLAF conterrebbe una sintesi che divulgava il contenuto sostanziale delle testimonianze raccolte da tale ufficio nel corso dell’indagine, cosicché i diritti della difesa del ricorrente sarebbero stati adeguatamente tutelati.

121    Alla luce di tali argomenti, occorre esaminare se la versione non riservata della relazione dell’OLAF contenga una sintesi delle testimonianze raccolte nel corso dell’indagine, prima di stabilire, se del caso, se tale sintesi rifletta il contenuto sostanziale delle testimonianze raccolte dall’OLAF e, infine, analizzare se il ricorrente abbia avuto a disposizione un termine sufficiente per preparare la sua difesa e per presentare le sue osservazioni.

–       Sulla presenza nella versione non riservata della relazione dell’OLAF di una sintesi delle dichiarazioni dei testimoni e degli informatori ascoltati

122    A tal riguardo, occorre constatare anzitutto che la versione non riservata della relazione dell’OLAF conta 30 pagine. Al punto 2.2, intitolato «Elementi di prova raccolti», della sua relazione, l’OLAF ha affermato di aver «raggruppato le deposizioni dei testimoni che erano simili, cercando nel contempo di riprodurre per quanto possibile le parole esatte utilizzate dai membri del personale del segretariato», al fine di tutelare la riservatezza delle testimonianze raccolte. Inoltre, per quanto riguarda i membri del personale che non hanno espresso il desiderio che la loro identità fosse occultata o quelli per i quali l’OLAF ha ritenuto che non fossero direttamente soggetti all’autorità gerarchica del ricorrente, la loro identità figura nella relazione e quest’ultima non è stata occultata nella versione non riservata della relazione dell’OLAF trasmessa al ricorrente.

123    La versione non riservata della relazione dell’OLAF contiene quindi una sintesi dettagliata di ciascuno dei comportamenti addebitati al ricorrente, illustrati con riferimenti ad eventi precisi, per quanto riguarda, in particolare, A, B e C, i quali sono menzionati nominativamente nella versione non riservata della relazione dell’OLAF, nonché i membri del personale del segretariato del gruppo I. L’OLAF ha altresì descritto gli effetti che tali comportamenti, secondo i testimoni ascoltati, avevano avuto sulla salute di tali persone.

124    Inoltre, per ciascuno dei comportamenti imputati al ricorrente, la relazione contiene rinvii, talvolta diretti, alle dichiarazioni delle persone ascoltate, sotto forma di citazioni tra virgolette, talvolta indiretti, sotto forma di riformulazioni rese anonime di tali dichiarazioni. L’OLAF si è altresì premurato di specificare se le allegazioni formulate a carico del ricorrente fossero corroborate da testimoni e, se del caso, di precisare il numero di testimoni e la loro qualità. Quando un’allegazione non era corroborata da alcuna testimonianza, l’OLAF lo ha parimenti precisato.

125    Da quanto precede risulta che la versione non riservata della relazione dell’OLAF contiene una sintesi delle dichiarazioni dei testimoni e degli informatori ascoltati. Date siffatte circostanze, l’esistenza di una sintesi di tal genere, ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 114, comporta che non si può automaticamente concludere che la mancata comunicazione degli allegati della relazione dell’OLAF costituisca un’irregolarità che ha inevitabilmente inciso sulla legittimità del provvedimento controverso. Occorre infatti esaminare, in via preliminare, se tale sintesi rifletta il contenuto sostanziale delle testimonianze raccolte dall’OLAF.

–       Sulla questione se tale sintesi rifletta il contenuto sostanziale delle dichiarazioni dei testimoni e degli informatori ascoltati

126    Nelle sue osservazioni sulla versione riservata degli allegati della relazione dell’OLAF, il ricorrente ha menzionato vari elementi che, a suo avviso, non figurerebbero nella versione non riservata della relazione dell’OLAF che gli è stata comunicata per consentirgli di esercitare i suoi diritti della difesa prima dell’adozione della decisione impugnata. Il ricorrente conclude che il CESE ha violato i suoi diritti della difesa comunicandogli soltanto la versione non riservata della relazione dell’OLAF, priva di allegato, prima dell’adozione della decisione impugnata.

127    In primo luogo, il ricorrente sostiene che solo dopo essere venuto a conoscenza del contenuto delle testimonianze raccolte egli avrebbe potuto essere in grado di comprendere la portata esatta di taluni quesiti che gli erano stati posti durante la sua audizione da parte dell’OLAF. Orbene, se il ricorrente avesse potuto prendere conoscenza di tali testimonianze, che richiamano eventi talvolta risalenti, avrebbe potuto difendersi più efficacemente. Il ricorrente fa riferimento, a titolo esemplificativo, a un quesito, riguardante un evento che si sarebbe svolto nel suo ufficio in presenza di due testimoni, al quale egli non ha potuto rispondere, in quanto l’identità di tali testimoni non gli è stata rivelata.

128    Occorre tuttavia constatare che tale argomento non riguarda la questione se il CESE abbia violato i diritti della difesa del ricorrente e, in particolare, se la sintesi contenuta nella versione non riservata della relazione dell’OLAF, redatta dal CESE in collaborazione con l’OLAF, rifletta il contenuto sostanziale delle testimonianze raccolte nel corso dell’indagine.

129    In ogni caso, è sufficiente ricordare che, nel corso dell’indagine, il quadro normativo applicabile all’OLAF esclude, in linea di principio, un diritto di accesso al fascicolo dell’OLAF da parte della persona interessata. Solo se l’autorità destinataria della relazione finale ha intenzione di adottare un atto che arreca pregiudizio all’interessato, tale autorità dovrebbe, conformemente alle norme procedurali ad essa applicabili, dare accesso alla relazione finale dell’OLAF per consentire a tale persona di esercitare i suoi diritti della difesa (sentenza del 28 novembre 2018, Le Pen/Parlamento, T‑161/17, non pubblicata, EU:T:2018:848, punto 67).

130    Pertanto, quando è stato sentito dall’OLAF, il ricorrente non doveva farsi comunicare le dichiarazioni dei testimoni e degli informatori per rispondere ai quesiti degli investigatori.

131    Il Tribunale constata inoltre che i quesiti posti al ricorrente nel corso della sua audizione erano sufficientemente precisi e che quest’ultimo è stato in grado di rispondervi senza difficoltà. Il fatto che, in risposta a taluni quesiti, il ricorrente abbia dichiarato di non avere un ricordo o di non essere in grado di rispondere senza disporre di ulteriori informazioni non inficia tale constatazione.

132    Infatti, per quanto riguarda uno dei sottoquesiti del quesito n. 12, al quale il ricorrente ha risposto di non essere in grado di individuare l’evento di cui si trattava, senza conoscere l’identità delle persone presenti, occorre osservare che egli ha tuttavia aggiunto che, a suo avviso, siffatto evento non si era mai verificato.

133    Date siffatte circostanze, l’argomento relativo al carattere asseritamente impreciso dei quesiti posti al ricorrente dagli investigatori dell’OLAF, alla luce del contenuto dettagliato delle testimonianze raccolte, deve essere respinto.

134    In secondo luogo, il ricorrente osserva che diversi testimoni hanno menzionato l’esistenza di una relazione redatta da E, membro del gruppo I, riguardante le difficoltà e le preoccupazioni incontrate dal personale del segretariato del gruppo I nei confronti di A, circostanza che non sarebbe menzionata nella versione non riservata della relazione dell’OLAF. Orbene, tale relazione avrebbe potuto porre sotto una luce diversa la versione dei fatti presentata da A.

135    Dal fascicolo, in particolare dal verbale dell’audizione del ricorrente, risulta tuttavia che tale relazione era nota a quest’ultimo e quindi che nulla gli impediva, se del caso, di farne menzione nel corso del procedimento di elaborazione della decisione impugnata per contestualizzare o mitigare i comportamenti che gli erano addebitati nei confronti di A. L’esistenza di detta relazione è stata del resto esplicitamente menzionata dinanzi al comitato consultivo, circostanza che ha portato alla ricusazione del membro del gruppo I, appartenente a detto comitato, il quale aveva redatto tale relazione.

136    Pertanto, l’argomento vertente sul mancato riferimento a tale relazione nella versione non riservata della relazione dell’OLAF non è tale da dimostrare una violazione dei diritti della difesa del ricorrente.

137    In terzo luogo, il ricorrente sostiene che uno dei testimoni è stato sanzionato per aver mosso in passato false accuse nei suoi confronti, circostanza ricordata da un altro testimone. Orbene, tale elemento non figurerebbe nella versione non riservata della relazione dell’OLAF.

138    Tuttavia, come giustamente rilevato dal CESE, tale elemento figura esplicitamente nella versione non riservata della relazione dell’OLAF, al punto 1.4, intitolato «Analogie con un caso concernente un’ex capo del segretariato». Pertanto, nulla impediva al ricorrente di far valere le sue osservazioni al riguardo prima dell’adozione della decisione impugnata.

139    In quarto luogo, il ricorrente spiega che taluni testimoni hanno dichiarato di aver incontrato difficoltà con A. In particolare, diversi testimoni hanno menzionato un rapporto conflittuale con quest’ultima, circostanza che avrebbe pregiudicato il buon funzionamento dell’unità. Inoltre, due testimoni hanno fatto valere che il comportamento di A era aggressivo nei loro confronti e un testimone ha aggiunto che il ricorrente non avrebbe dovuto essere considerato l’unico responsabile di tale situazione. Orbene, secondo il ricorrente, né i nomi dei testimoni né alcun riferimento alle loro dichiarazioni figurerebbero nella versione non riservata della relazione dell’OLAF alla quale egli ha avuto accesso, mentre tali elementi consentirebbero di contestualizzare e di attenuare le conclusioni dell’OLAF.

140    Dal fascicolo risulta tuttavia che le difficoltà incontrate da taluni membri del personale del segretariato del gruppo I con A non solo erano note al ricorrente, ma anche che esse figurano esplicitamente nella sintesi contenuta nella versione non riservata della relazione dell’OLAF.

141    Infatti, nel corso della sua audizione da parte dell’OLAF e nelle sue osservazioni scritte sulla nota relativa ai fatti che lo riguardavano, il ricorrente aveva già fatto valere che taluni membri del personale si erano lamentati di A e che, a suo avviso, ciò aveva pregiudicato il buon funzionamento del segretariato.

142    Inoltre, nella versione non riservata della relazione dell’OLAF si afferma in particolare quanto segue:

«Durante le loro audizioni da parte dell’OLAF almeno sei membri del personale del segretariato hanno espresso il loro punto di vista secondo il quale A aveva incontrato difficoltà a dimostrare le competenze e le capacità richieste per la sua posizione. Almeno tre membri del personale del segretariato hanno segnalato di aver incontrato difficoltà nell’identificazione del giusto interlocutore (la capo del segretariato o il vicecapo) per mancanza di chiarezza della situazione. Alcuni membri del personale hanno altresì affermato che, in seguito, A aveva anche un atteggiamento aggressivo nei loro confronti. Uno dei membri del personale ha dichiarato che questi ultimi si attendevano piuttosto un capo unità che avrebbe gestito la pressione suscitata dal [ricorrente] e che li avrebbe difesi. In tal senso, il personale era deluso da A».

143    Si deve quindi ritenere che il contenuto sostanziale delle testimonianze raccolte figuri nella versione non riservata della relazione dell’OLAF. Non si può quindi validamente addebitare al CESE di aver violato i diritti della difesa del ricorrente su tale punto.

144    In quinto luogo, il ricorrente fa valere che dalla versione non riservata della relazione dell’OLAF risulta che l’indagine riguardava anche altre due persone. Orbene, se l’ufficio di presidenza del CESE ne fosse stato a conoscenza, avrebbe potuto valutare i rispettivi ruoli nei fatti contestati, in particolare nei confronti di B. Del pari, il ricorrente avrebbe potuto farvi riferimento per contestualizzare le accuse mosse nei suoi confronti.

145    Dalla lettera del 3 giugno 2020, con la quale l’ufficio di presidenza del CESE è stato invitato ad adottare una decisione sul caso del ricorrente, risulta tuttavia che il presidente del CESE ha trasmesso all’ufficio di presidenza anche la nota del direttore generale dell’OLAF del 16 gennaio 2020, nella quale figura l’identità delle altre due persone interessate dall’indagine dell’OLAF.

146    Inoltre, occorre constatare che la versione non riservata della relazione dell’OLAF menziona più volte il contenuto sostanziale delle dichiarazioni di vari testimoni concernenti il ruolo svolto dalle altre due persone oggetto dell’indagine dell’OLAF. Il ricorrente era quindi in grado di far valere le sue eventuali osservazioni su tali elementi nel corso del procedimento di elaborazione della decisione impugnata.

147    In sesto luogo, il ricorrente sostiene che un testimone avrebbe dichiarato di non essere mai stato testimone di un comportamento inappropriato da parte sua. Orbene, tale elemento non figurerebbe nella versione non riservata della relazione dell’OLAF.

148    Tuttavia, è giocoforza constatare che la dichiarazione del testimone in questione è più sfumata.

149    È vero che, alla domanda se fosse stata testimone di situazioni nel corso delle quali il ricorrente si sarebbe comportato in maniera inappropriata nei confronti dei membri del personale del segretariato del gruppo I o se il ricorrente avesse l’abitudine di criticare i membri del personale, tale testimone ha risposto di non esserne informata.

150    Tuttavia, tale testimone ha altresì dichiarato che, a suo avviso, uno degli aspetti della «personalità del ricorrente era quello di essere autoritario e di avere un ego importante» e che «non aveva molto avvertito il lato sgradevole [del ricorrente] in quanto tra [loro] si trovava G». Analogamente, tale testimone ha aggiunto che «aveva sentito dire che [il ricorrente] gridava contro membri del suo personale nel suo ufficio, ma che non aveva mai vissuto [essa stessa] tale esperienza». Infine, alla domanda se essa qualificasse il comportamento del ricorrente nei confronti dei membri del personale come molestie, tale testimone ha dichiarato di non aver «mai sperimentato un siffatto comportamento da parte [del ricorrente]» ma che poteva «immaginare che talune persone [avessero] potuto provocare esse stesse questo tipo di comportamento» e che, «[c]onoscendo il carattere [del ricorrente], che [era] come il latte, p[otesse] “bollire” molto facilmente».

151    Inoltre, tale testimone ha menzionato la situazione di tre colleghi che avrebbero incontrato difficoltà nei rapporti con il ricorrente. Infine, tale testimone ha concluso che «[il ricorrente] [aveva] una personalità difficile», che egli «non aveva forse voluto comportarsi in modo inappropriato, ma [che] le sue reazioni [avevano] potuto essere facilmente percepite come molestie», che «[c]iò dipende[va] anche dalla sensibilità dell’altra persona», che «[t]utti i colleghi del segretariato si [erano] lamentati di lui» e che «se non vi fosse stato alcun legame e alcuna solidarietà tra loro, essi sarebbero potuti crollare».

152    Ne consegue che l’affermazione secondo cui tale testimone ha dichiarato di non essere mai stata testimone di un comportamento inappropriato da parte del ricorrente è incompleta e non riflette il contenuto sostanziale di tale testimonianza.

153    In settimo luogo, il ricorrente sostiene che varie testimonianze confermerebbero che il segretario generale del CESE non ha adottato alcun provvedimento per rimediare in tempo utile alle difficoltà incontrate da taluni membri del personale del segretariato del gruppo I. In particolare, il ricorrente fa riferimento alla decisione del segretario generale del CESE di nominare in ruolo A al termine del periodo di prova, nonostante la proposta del ricorrente di non nominarla, il che avrebbe contribuito ad aggravare le tensioni esistenti in seno al segretariato del gruppo I. Orbene, la versione non riservata della relazione dell’OLAF farebbe apparire il ricorrente come l’unico responsabile di tale situazione, senza tener conto della responsabilità dell’AACC.

154    Al pari del CESE, il Tribunale rileva che tale affermazione è in contrasto con la dichiarazione resa dal ricorrente nel corso della sua audizione da parte dell’OLAF, secondo la quale egli «non intendeva licenziare A» e, «in collaborazione con H, era stato deciso di emettere un parere positivo sul periodo di prova».

155    In ogni caso, dalle sue osservazioni sulla nota relativa ai fatti del 4 dicembre 2019 risulta in particolare che il ricorrente ha già fatto valere che la decisione del segretario generale del CESE di nominare in ruolo A aveva, a suo avviso, contribuito ad aggravare le tensioni esistenti all’interno dell’unità. Inoltre, il fatto che il segretario generale del CESE eserciti le funzioni di AACC presso i membri del personale del segretariato del gruppo I non è un elemento nuovo di cui il ricorrente sarebbe potuto venire a conoscenza solo alla lettura della versione riservata degli allegati della relazione dell’OLAF.

156    Pertanto, non si può addebitare al CESE di aver violato i diritti della difesa del ricorrente su tale punto.

157    In ottavo luogo, il ricorrente ritiene che l’occultamento dei dati relativi al contesto normativo in cui si inserisce la relazione dell’OLAF gli avrebbe impedito di far valere le sue osservazioni sul fondamento giuridico adottato per qualificare il suo comportamento come molestie psicologiche. Tale argomento si ricollega all’argomento sviluppato nel ricorso e nella replica, relativo all’occultamento della valutazione giuridica dei fatti operata dall’OLAF che, a suo avviso, non sarebbe giustificato e gli avrebbe impedito di esercitare i suoi diritti della difesa.

158    Per quanto riguarda il contesto normativo, occorre constatare, al pari del CESE, che tale contesto è esposto in particolare nella nota sui fatti che è stata comunicata al ricorrente il 4 dicembre 2019.

159    Quanto all’occultamento, nella versione non riservata della relazione dell’OLAF, della valutazione giuridica dei fatti operata dall’OLAF, è giocoforza constatare che essa non incide sulla legittimità della decisione impugnata.

160    Occorre infatti osservare che lo scopo del procedimento svolto dal CESE nei confronti del ricorrente era quello di stabilire se gli atti e i comportamenti addebitati a quest’ultimo, come individuati dall’OLAF in base alla sua indagine, giustificassero l’adozione di una misura ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, del codice di condotta del 2019. Conformemente all’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento n. 883/2013, siffatto esame rientra nella competenza esclusiva del CESE e non dipende quindi dalla valutazione giuridica dei fatti operata dall’OLAF. Pertanto, il CESE doveva formarsi una propria valutazione giuridica dei fatti accertati nel corso dell’indagine al fine di valutare l’opportunità di adottare un provvedimento nei confronti del ricorrente.

161    Pertanto, la mancata comunicazione della valutazione giuridica dei fatti operata dall’OLAF non è tale da dimostrare una violazione dei diritti della difesa del ricorrente.

162    Infine, in nono luogo, senza sollevare un’eccezione di illegittimità dell’articolo 103 del regolamento di procedura, il ricorrente sostiene tuttavia che, poiché la versione riservata degli allegati della relazione dell’OLAF non ha potuto essergli comunicata, conformemente agli impegni di riservatezza sottoscritti dai suoi avvocati, le osservazioni di questi ultimi sarebbero minime e, in ogni caso, non potrebbero sostituirsi alle osservazioni che egli avrebbe potuto fare se avesse avuto esso stesso accesso a detti allegati.

163    A tal riguardo, occorre rilevare che, al fine di garantire il rispetto del contraddittorio, l’articolo 103, paragrafo 3, del regolamento di procedura prevede espressamente la facoltà, di cui il Tribunale si è avvalso nel caso di specie, di portare a conoscenza di una parte principale talune informazioni o documenti rilevanti per l’esito della controversia e aventi carattere riservato, subordinando la loro divulgazione alla sottoscrizione di specifici impegni. Dal punto 191 delle norme pratiche di esecuzione del regolamento di procedura risulta peraltro che siffatto impegno può consistere nel fatto che i rappresentanti di una parte si impegnano a non comunicare tali informazioni o documenti al loro mandante o a terzi.

164    Pertanto, con una misura di organizzazione del procedimento del 7 aprile 2021, il Tribunale ha invitato anzitutto gli avvocati del ricorrente a individuare con precisione, nella versione riservata degli allegati della relazione dell’OLAF, gli eventuali elementi il cui contenuto sostanziale, a loro avviso, non sarebbe rinvenibile nella sintesi, contenuta nella versione non riservata della relazione dell’OLAF, dei fatti e degli elementi di prova raccolti.

165    Orbene, da quanto precede risulta che gli avvocati del ricorrente non hanno individuato alcun elemento nella versione riservata degli allegati della relazione dell’OLAF, il cui contenuto sostanziale non fosse già rinvenibile nella versione non riservata della relazione dell’OLAF. Tale modo di procedere poteva essere realizzato senza comunicare al ricorrente la versione riservata degli allegati della relazione dell’OLAF. In caso di mancata individuazione di tali elementi, non è quindi necessario, in ogni caso, esaminare le osservazioni complementari, idonee a influire sull’esito del procedimento amministrativo, che il ricorrente stesso avrebbe potuto presentare nella fase corrispondente a tale procedimento, se fosse stato a conoscenza di tali documenti.

166    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, occorre quindi concludere che, nonostante la mancata comunicazione degli allegati della relazione dell’OLAF, il CESE ha divulgato al ricorrente il contenuto sostanziale delle testimonianze raccolte, sotto forma di sintesi, ai sensi del punto 66 della sentenza del 25 giugno 2020, HF/Parlamento (C‑570/18 P, EU:C:2020:490).

–       Sulla questione se il ricorrente abbia beneficiato di un termine sufficiente per presentare le sue osservazioni sulla versione non riservata della relazione dell’OLAF

167    A tal riguardo, se è vero che il ricorrente ha ricevuto la versione non riservata della relazione dell’OLAF solo il 4 marzo 2020, alle ore 12:40, ossia appena due giorni prima della sua audizione da parte del comitato consultivo, che ha avuto luogo il 6 marzo successivo, alle ore 15:00, occorre tuttavia osservare, in primo luogo, che, a tale data, il ricorrente aveva già una conoscenza relativamente precisa dei fatti che gli erano addebitati.

168    Infatti, dopo aver risposto ai quesiti dell’OLAF in un’audizione nel corso della quale era stata rivelata l’identità di talune persone che si ritenevano vittime del suo comportamento, il ricorrente ha ricevuto, il 4 dicembre 2019, una nota sui fatti che riportava, in modo sintetico, i comportamenti che gli venivano addebitati, in occasione di eventi precisi, nei confronti di A, di B nonché di C e, più in generale, nei confronti dei membri del personale del segretariato del gruppo I. Il ricorrente ha anche potuto far valere i suoi commenti su tale nota entro dieci giorni lavorativi.

169    La circostanza, menzionata dal ricorrente in udienza, secondo cui tale nota non conteneva alcuna affermazione relativa al suo comportamento nei confronti di D, ex membro del CESE, è irrilevante nel caso di specie. Infatti, con lettera del 18 ottobre 2019, il ricorrente è stato informato del fatto che l’indagine avviata nei suoi confronti verteva su affermazioni riguardanti il suo comportamento, in particolare, nei confronti dei membri del CESE, e, in occasione della sua audizione da parte dell’OLAF, è stato invitato ad esprimersi sulle allegazioni relative al suo comportamento nei confronti di D. Inoltre, da quanto precede risulta che il provvedimento controverso mira a tutelare i membri del personale del segretariato del gruppo I e a garantire il buon funzionamento di tale servizio. Pertanto, la circostanza, quand’anche fosse stata dimostrata, che il ricorrente non avrebbe potuto far valere i suoi commenti, prima dell’adozione della relazione dell’OLAF, sul comportamento addebitatogli nei confronti di un ex membro del CESE, che non fa quindi parte del personale del segretariato del gruppo I, non è tale da dimostrare che il provvedimento controverso sia stato adottato in violazione dei suoi diritti della difesa. Infine, in ogni caso, occorre considerare, per le ragioni esposte in prosieguo, che il ricorrente, prima dell’adozione della decisione impugnata, ha beneficiato di un termine sufficiente per far valere i suoi eventuali commenti su tutti i comportamenti che gli venivano addebitati nella relazione dell’OLAF.

170    Infatti, occorre rilevare, in secondo luogo, che il comitato consultivo ha trasmesso le sue raccomandazioni al presidente del CESE solo il 28 aprile 2020 e che la decisione impugnata è stata adottata solo il 9 giugno successivo, ossia più di tre mesi dopo la trasmissione della versione non riservata della relazione dell’OLAF al ricorrente.

171    A tal riguardo, sebbene dal fascicolo non risulti che il comitato consultivo abbia espressamente invitato il ricorrente a presentare osservazioni per iscritto per completare le sue dichiarazioni durante la prima audizione del 6 marzo 2020, a seguito dell’annullamento della seconda audizione prevista per il successivo 17 marzo, resta tuttavia il fatto che nulla impediva al ricorrente di trasmettere a detto comitato, per iscritto, qualsiasi elemento che avesse ritenuto pertinente ai fini della sua difesa.

172    In terzo luogo, il 12 maggio 2020, il ricorrente è stato invitato, dal presidente del CESE, a formulare eventuali osservazioni sulle raccomandazioni emanate dal comitato consultivo. Egli ha presentato i suoi commenti scritti su tali raccomandazioni il 2 giugno successivo.

173    Nelle sue osservazioni scritte del 2 giugno 2020 su dette raccomandazioni e benché fosse decorso un termine di quasi tre mesi dalla comunicazione della versione non riservata della relazione dell’OLAF, il 4 marzo 2020, il ricorrente non ha fatto valere alcun argomento relativo al contenuto di tale relazione e, in particolare, sui fatti asseriti che gli erano contestati.

174    Ne consegue che, tra il 4 marzo 2020, data in cui il ricorrente ha ricevuto la versione non riservata della relazione dell’OLAF, e il 9 giugno 2020, data in cui la decisione impugnata è stata adottata, il ricorrente è stato sentito in due occasioni in merito al contenuto di tale relazione e, in tale periodo, ha avuto a disposizione un termine sufficiente per prendere utilmente conoscenza di detta relazione, far valere le sue osservazioni su quest’ultima e preparare la sua difesa.

175    Infine, la censura vertente su una presunta violazione del principio di proporzionalità non è suffragata da alcun argomento, dato che il ricorrente si è limitato a contestare, in modo generale ed astratto, il carattere «appropriato e necessario del contenuto della decisione impugnata», senza sviluppare argomenti che consentano al Tribunale di valutare la fondatezza di tale affermazione. La censura in parola deve essere pertanto respinta.

176    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve concludere che il provvedimento controverso non è stato adottato in violazione dei diritti della difesa del ricorrente.

177    Il primo motivo, pertanto, deve essere respinto in quanto infondato.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dei principi della presunzione di innocenza e di imparzialità

178    Il ricorrente contesta al CESE di aver constatato, nella decisione impugnata, che egli avrebbe violato le disposizioni della Carta, il regolamento interno del CESE e il codice di condotta del 2019.

179    Secondo il ricorrente, il principio della presunzione di innocenza, sancito in particolare all’articolo 48 della Carta, imporrebbe che i membri dell’ufficio di presidenza del CESE non partano dall’idea preconcetta che egli abbia commesso gli atti addebitatigli dall’OLAF. Orbene, non procedendo alla propria indagine una volta conclusa l’indagine dell’OLAF, il CESE non avrebbe esaminato le circostanze delle violazioni asserite, né tratto le proprie conclusioni riguardanti il suo comportamento.

180    Il comitato consultivo avrebbe anch’esso violato tale principio. Infatti, tale organo consultivo avrebbe ecceduto la sua competenza consultiva dichiarando, nelle sue raccomandazioni al presidente del CESE, che il ricorrente avrebbe commesso atti di molestie, senza sentire quest’ultimo.

181    Inoltre, il principio di imparzialità sarebbe stato violato, in quanto i due membri che rappresentano il gruppo I in seno al comitato consultivo non avrebbero partecipato alle deliberazioni relative al ricorrente. Non avendo sostituito tali membri, il comitato consultivo non sarebbe stato imparziale, il che avrebbe influito sul contenuto delle raccomandazioni formulate nonché su quello della decisione impugnata, in quanto l’ufficio di presidenza del CESE si sarebbe limitato a confermare tali raccomandazioni.

182    Infine, il presidente del CESE sarebbe oggettivamente venuto meno al suo dovere di imparzialità impartendo ai servizi del CESE l’istruzione di non svolgere alcuna indagine sugli stessi fatti, il che equivarrebbe ad affermare la colpevolezza del ricorrente.

183    Il CESE contesta tali argomenti.

–       Sulla prima censura, vertente sulla violazione del principio della presunzione di innocenza

184    In via preliminare, occorre ricordare che il principio della presunzione di innocenza, sancito all’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e all’articolo 48, paragrafo 1, della Carta, costituisce un diritto fondamentale che conferisce ai singoli diritti di cui il giudice dell’Unione garantisce il rispetto (sentenza del 4 ottobre 2006, Tillack/Commissione, T‑193/04, EU:T:2006:292, punto 121). Secondo tali disposizioni, il rispetto della presunzione di innocenza esige che chiunque sia accusato di un reato sia presunto innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata [sentenza del 3 luglio 2019, PT/BEI, T‑573/16, EU:T:2019:481, punto 360 (non pubblicata)].

185    Orbene, da quanto precede risulta che il provvedimento controverso non mira a imputare al ricorrente una violazione delle norme del codice di condotta e non costituisce una sanzione. Inoltre, l’adozione di tale provvedimento non pregiudica l’eventuale colpevolezza del ricorrente alla luce delle disposizioni di diritto nazionale. Pertanto, la prima censura del secondo motivo deve essere respinta in quanto inoperante (v., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2021, RQ/Commissione, T‑29/17 RENV, non pubblicata, EU:T:2021:188, punto 114 e giurisprudenza ivi citata).

186    In ogni caso, occorre ricordare che il provvedimento controverso è stato adottato in base a due procedimenti distinti, vale a dire un’indagine dell’OLAF diretta ad accertare fatti, seguita da una valutazione, da parte del CESE, delle eventuali misure da adottare alla luce dei fatti accertati nel corso dell’indagine. Da quanto precede risulta che, nell’ambito di tale procedimento interno al CESE, il ricorrente è venuto a conoscenza dei risultati dell’indagine prima che l’ufficio di presidenza adottasse la decisione impugnata e i suoi diritti della difesa sono stati rispettati.

187    Contrariamente a quanto fatto valere dal ricorrente, il suo diritto alla presunzione di innocenza non implicava affatto che il CESE fosse tenuto a procedere ad una nuova indagine dopo aver ricevuto la relazione finale. Al contrario, anche se, conformemente all’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento n. 883/2013, il CESE era tenuto a riservare alla relazione finale il seguito richiesto dalle risultanze ottenute, tale organo rimaneva tuttavia libero di determinare il contenuto delle misure da adottare in risposta alle raccomandazioni dell’OLAF (v., in tal senso, ordinanza del 25 ottobre 2018, UI/Commissione, T‑370/18, non pubblicata, EU:T:2018:770, punto 13; v., altresì, in tal senso e per analogia, sentenza del 6 aprile 2006, Camós Grau/Commissione, T‑309/03, EU:T:2006:110, punto 51).

188    Inoltre, il ricorrente non ha fornito alcun elemento tale da dimostrare che il CESE avesse deciso, sin dall’inizio del procedimento, di adottare la decisione impugnata, indipendentemente dalle spiegazioni da esso fornite (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2002, Zavvos/Commissione, T‑21/01, EU:T:2002:177, punto 341). Del resto, dopo aver sentito il ricorrente, l’ufficio di presidenza del CESE si è discostato dal parere del comitato consultivo, il quale raccomandava di adottare sanzioni più gravi di quelle elencate all’articolo 8, paragrafo 3, secondo comma, del codice di condotta del 2019, non infliggendogli alcuna sanzione.

189    La censura vertente sulla violazione del principio della presunzione di innocenza deve essere quindi, in ogni caso, respinta in quanto infondata.

–       Sulla seconda censura, vertente sulla violazione del principio di imparzialità

190    Nonostante l’inapplicabilità del principio della presunzione di innocenza nel caso di specie, il CESE era tuttavia tenuto al rispetto dei diritti fondamentali dell’Unione nel corso del procedimento amministrativo, diritti tra i quali ricade quello a una buona amministrazione, sancito all’articolo 41 della Carta (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 154).

191    Così, a termini dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta, ogni persona ha diritto in particolare a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale dalle istituzioni dell’Unione. Tale esigenza di imparzialità riguarda, da un lato, il profilo soggettivo, nel senso che nessuno dei membri dell’istituzione interessata che è incaricata della questione manifesti opinioni preconcette o pregiudizi personali e, dall’altro, il profilo oggettivo, nel senso che l’istituzione è tenuta ad offrire garanzie sufficienti per escludere al riguardo qualsiasi legittimo dubbio (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 155 e giurisprudenza ivi citata).

192    Nel caso di specie, per quanto riguarda l’asserito difetto di imparzialità oggettiva, il ricorrente si limita a sostenere che il presidente del CESE avrebbe dovuto chiedere l’avvio di una nuova indagine prima di affermare la sua colpevolezza.

193    Tuttavia, siffatto argomento non può che essere respinto, in quanto il CESE non era affatto tenuto a procedere ad una nuova indagine prima di adottare la decisione impugnata.

194    Infatti, il diritto a una buona amministrazione non imponeva al CESE di procedere a tale indagine, che avrebbe avuto lo stesso oggetto di quella precedentemente svolta dall’OLAF. Il CESE doveva unicamente esaminare in modo diligente i risultati dell’indagine di tale ufficio, esposti nella relazione di quest’ultimo, e consentire al ricorrente di difendersi dinanzi al contenuto di detta relazione e alle eventuali conseguenze per il medesimo, ciò che è effettivamente avvenuto.

195    Inoltre, le dichiarazioni del presidente del CESE, alle quali si riferisce il ricorrente, non rivelano alcun difetto di imparzialità, soggettiva o oggettiva, in quanto quest’ultimo si è limitato a dichiarare che, conformemente all’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento n. 883/2013, il CESE era tenuto a dar seguito alle raccomandazioni dell’OLAF e ad informare tale ufficio del seguito che vi sarebbe stato riservato.

196    Per quanto riguarda l’asserita mancanza di imparzialità soggettiva, il ricorrente si limita a sostenere che il comitato consultivo non sarebbe stato imparziale formulando raccomandazioni in assenza dei due membri del gruppo I, vale a dire E e F. Il ricorrente non spiega tuttavia in quale misura ciò rivelerebbe opinioni preconcette o pregiudizi personali ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 191.

197    È sufficiente in ogni caso constatare che la ricusazione di E rispondeva proprio all’intento di evitare di pregiudicare l’imparzialità del comitato consultivo, in quanto tale ricusazione è stata decisa a causa dell’esistenza, per quanto lo riguardava, di un conflitto di interessi. Inoltre, per quanto riguarda F, la sua assenza non è imputabile al comitato consultivo, dato che la stessa, di propria iniziativa, ha deciso di non prendere parte alle deliberazioni del comitato consultivo relative al caso del ricorrente. Ad ogni modo, il ricorrente non spiega la ragione per cui l’assenza di questi due membri potrebbe suscitare un legittimo dubbio quanto all’imparzialità del comitato consultivo, tanto più che le disposizioni del codice di condotta del 2019 non prevedono che la facoltà per il comitato consultivo di formulare raccomandazioni sia subordinata all’esistenza di un qualsivoglia quorum di presenza.

198    La seconda censura dedotta dal ricorrente, vertente sulla violazione del principio di imparzialità, deve essere quindi respinta in quanto infondata e, di conseguenza, il secondo motivo deve essere respinto in toto.

 Sul quarto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2013, della riservatezza dei procedimenti disciplinari e dell’indagine giudiziaria nonché dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento 2018/1725

199    Il ricorrente sostiene che alcuni membri del personale dell’OLAF avrebbero violato l’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2013 dichiarando, dinanzi alla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento, che egli era colpevole di molestie, il che avrebbe indotto i membri di tale commissione a ritenere che la sua colpevolezza fosse dimostrata ancor prima che il comitato consultivo e l’ufficio di presidenza del CESE avessero preso posizione al riguardo.

200    Inoltre, anche il Parlamento avrebbe violato il «principio di riservatezza» diffondendo informazioni che lasciavano intendere la colpevolezza del ricorrente riguardo ai fatti asseriti. Ne deriverebbe una violazione della segretezza del procedimento disciplinare e dell’indagine giudiziaria, che sarebbe tanto più grave in quanto l’OLAF avrebbe riconosciuto, al contempo, che il comportamento del ricorrente non avrebbe avuto alcun impatto finanziario sul bilancio dell’Unione.

201    Infine, anche il presidente del CESE avrebbe violato il «principio di riservatezza» divulgando il contenuto della relazione finale durante la riunione dell’ufficio di presidenza del CESE del 21 gennaio 2020. Inoltre, secondo il ricorrente, il CESE avrebbe dovuto invitare il Parlamento a omettere i suoi dati personali nelle diverse comunicazioni relative al suo bilancio o ai fatti che gli erano addebitati.

202    Il CESE contesta tali argomenti.

203    Occorre ricordare che il giudice dell’Unione può respingere un motivo – o una censura – in quanto inoperante qualora constati che esso non è idoneo, nell’ipotesi in cui sia fondato, a comportare l’annullamento perseguito (v. sentenza del 19 novembre 2009, Michail/Commissione, T‑50/08 P, EU:T:2009:457, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).

204    Al tal riguardo, è sufficiente constatare, al pari del CESE, che gli argomenti riguardanti gli illeciti del Parlamento e le dichiarazioni dell’OLAF dinanzi alla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento, che non sono parti del presente procedimento, non incidono sulla legittimità della decisione impugnata, dato che non sono imputabili al CESE, che è l’autore della decisione impugnata.

205    Pertanto, gli argomenti relativi alla presunta violazione, da parte dell’OLAF e del Parlamento, dell’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2013 e dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento 2018/1725 devono essere respinti in quanto inoperanti.

206    Quanto all’argomento vertente sul fatto che il presidente del CESE avrebbe rivelato ai membri dell’ufficio di presidenza, durante la riunione del 21 gennaio 2020, il contenuto della relazione dell’OLAF, invocato per la prima volta nella replica, esso deve essere respinto in quanto infondato, indipendentemente dalla sua ricevibilità alla luce dell’articolo 84, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

207    Infatti, mentre era presente a tale riunione, il ricorrente non ha fornito alcun elemento che consentisse di confutare le spiegazioni del CESE secondo cui il presidente si sarebbe limitato a informare i membri dell’ufficio di presidenza dell’esistenza della relazione dell’OLAF e delle raccomandazioni che la accompagnavano, al solo scopo di preparare la consultazione del comitato consultivo.

208    Dal fascicolo risulta peraltro che gli altri membri dell’ufficio di presidenza sono infine venuti a conoscenza del contenuto della versione non riservata della relazione dell’OLAF solo il 3 giugno 2020, quando il comitato consultivo ha trasmesso le sue raccomandazioni al presidente del CESE, dopo che il ricorrente aveva potuto far valere le sue osservazioni sul contenuto di tale relazione e su tali raccomandazioni.

209    Alla luce di quanto precede, il quarto motivo deve essere respinto in quanto in parte inoperante e in parte infondato.

 Sulla domanda di risarcimento

210    Il ricorrente chiede, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, che il CESE sia condannato a versargli un importo pari a EUR 250 000 a titolo di risarcimento dei danni materiali e morali che egli asserisce di aver subìto.

211    Il danno morale del ricorrente sarebbe costituito dal fenomeno di esclusione dal suo ambiente professionale di cui avrebbe sofferto. A tal riguardo, l’intervento del direttore dell’OLAF dinanzi alla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento, il 3 febbraio 2020, avrebbe pregiudicato irrimediabilmente il suo onore e la sua reputazione, in quanto quest’ultimo avrebbe informato i membri di tale commissione del contenuto della relazione finale senza sentire il ricorrente e senza che fosse dimostrato che le accuse mosse nei suoi confronti avrebbero avuto un impatto finanziario per l’Unione.

212    Successivamente, avviando un procedimento disciplinare nei suoi confronti senza un quadro normativo definito e facendo riferimento, nella decisione impugnata, alla decisione del Parlamento del 13 maggio 2020 sul discarico per l’esecuzione del bilancio generale dell’Unione per l’esercizio 2018 e alla risoluzione del Parlamento del 14 maggio 2020, anche il CESE avrebbe arrecato pregiudizio alla reputazione e all’onore del ricorrente.

213    Pertanto, il fatto di non aver potuto esprimersi sui fatti che lo riguardavano avrebbe creato nel ricorrente una sensazione di frustrazione, di angoscia e di ingiustizia, che avrebbe avuto gravi ripercussioni sul suo stato di salute e sulla sua vita privata e risulterebbe direttamente dal comportamento dell’OLAF.

214    Per tali ragioni, il ricorrente chiede il risarcimento del danno morale, che valuta ex aequo et bono, in via provvisoria, in un importo pari a EUR 200 000, il che sarebbe proporzionato agli illeciti commessi dal CESE, dal Parlamento e dall’OLAF. Nella replica il ricorrente ha tuttavia dichiarato che si rimetteva al prudente apprezzamento del Tribunale quanto alla valutazione dell’importo che sarebbe dovuto a titolo di risarcimento del danno morale.

215    Il danno materiale del ricorrente sarebbe costituito dalle spese che egli ha sostenuto ai fini della sua difesa dal gennaio 2020 e che stima in EUR 50 000. Inoltre, se il ricorso dovesse essere respinto, sarebbe inaccettabile che il ricorrente fosse condannato a sopportare gli onorari versati dal CESE per le prestazioni rese da un avvocato esterno.

216    Il CESE contesta tali argomenti.

217    A tal proposito, da una costante giurisprudenza risulta che l’insorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione richiede la compresenza di vari presupposti, ossia l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica intesa a conferire diritti ai singoli, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo incombente all’autore dell’atto e il danno subìto dai soggetti lesi (v. sentenza del 10 settembre 2019, HTTS/Consiglio, C‑123/18 P, EU:C:2019:694, punto 32 e giurisprudenza ivi citata; v. altresì, in tal senso, sentenza del 19 aprile 2012, Artegodan/Commissione, C‑221/10 P, EU:C:2012:216, punto 80).

218    Inoltre, qualora una di queste tre condizioni non sia soddisfatta, il ricorso deve essere interamente respinto senza che sia necessario esaminare le altre condizioni di detta responsabilità (v. sentenza del 29 aprile 2020, Tilly‑Sabco/Consiglio e Commissione, T‑707/18, non pubblicata, EU:T:2020:160, punto 114 e giurisprudenza ivi citata).

219    Nel caso di specie, occorre rilevare che, secondo il ricorrente, i presunti danni subìti da quest’ultimo trarrebbero in particolare origine dal comportamento illecito che l’OLAF avrebbe adottato dinanzi alla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento.

220    Orbene, nel ricorso, il ricorrente ha designato il CESE come unica parte convenuta.

221    Pertanto, nell’ambito del presente ricorso, il ricorrente è legittimato a chiedere la condanna del CESE a risarcire i danni asseritamente subìti solo a causa di un comportamento illecito di tale organo. Per ottenere il risarcimento di un danno causato da un’altra istituzione, spetta al ricorrente rivolgere la sua domanda di risarcimento danni contro l’istituzione alla quale è addebitato il fatto generatore di responsabilità (v., in tal senso, ordinanza del 2 febbraio 2015, Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/Unione europea, T‑577/14, non pubblicata, EU:T:2015:80, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

222    Per quanto riguarda gli illeciti del CESE, occorre ricordare la giurisprudenza secondo la quale la domanda diretta a ottenere il risarcimento di un danno materiale o morale deve essere respinta qualora presenti uno stretto legame con la domanda di annullamento che sia stata, a sua volta, respinta in quanto irricevibile o infondata (v. sentenza del 19 dicembre 2019, ZQ/Commissione, T‑647/18, non pubblicata, EU:T:2019:884, punto 202 e giurisprudenza ivi citata).

223    Orbene, da quanto precede risulta che nessuna illegittimità inficia la decisione impugnata e che il procedimento di elaborazione di quest’ultima è stato condotto nel rispetto dei diritti della difesa del ricorrente. In ogni caso, il ricorrente non spiega in che modo il solo fatto di aver fatto riferimento, nella decisione impugnata, alla decisione del Parlamento del 13 maggio 2020 sul discarico per l’esecuzione del bilancio generale dell’Unione per l’esercizio 2018 e alla risoluzione del Parlamento del 14 maggio 2020 costituirebbe una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica intesa a conferire diritti ai singoli da parte del CESE.

224    Pertanto, poiché la prima condizione per l’insorgere della responsabilità dell’Unione non è soddisfatta nel caso di specie, la domanda di risarcimento deve essere respinta senza che sia necessario esaminare le altre condizioni che fanno sorgere detta responsabilità.

225    Date siffatte circostanze, il ricorso deve essere integralmente respinto.

 Sulle spese

226    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il ricorrente è rimasto soccombente, occorre condannarlo alle spese, ivi comprese quelle relative ai procedimenti sommari, conformemente alla domanda del CESE.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      KN è condannato alle spese, ivi comprese quelle relative ai procedimenti sommari.

Svenningsen

Mac Eochaidh

Pynnä

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 1° settembre 2021.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.