Language of document : ECLI:EU:T:2017:4

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

13 gennaio 2017 (*)

«Accesso ai documenti – Regolamento (CE) n. 1049/2001 – Documenti detenuti dall’ECHA contenenti informazioni presentate nell’ambito della procedura relativa alla domanda di autorizzazione di uso della sostanza bis(2-etilesil)ftalato (DEHP) – Decisione di divulgare talune informazioni considerate riservate dalla ricorrente – Eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali – Nozione di vita privata – Diritto di proprietà – Obbligo di motivazione»

Nella causa T‑189/14,

Deza, a.s., con sede in Valašské Meziříčí (Repubblica ceca), rappresentata da P. Dejl, avvocato,

ricorrente,

contro

Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), rappresentata inizialmente da A. Iber, T. Zbihlej e M. Heikkilä, in qualità di agenti, successivamente da M. Heikkilä, C. Buchanan e W. Broere, in qualità di agenti, assistiti da M. Mašková, avvocato,

convenuta,

sostenuta da

Commissione europea, rappresentata da F. Clotuche-Duvieusart, P. Ondrůšek e K. Talabér-Ritz, in qualità di agenti,

e da

ClientEarth, con sede in Londra (Regno Unito),

European Environmental Bureau (EEB), con sede in Bruxelles (Belgio),

Vereniging Health Care Without Harm Europe, con sede in Rijswijk (Paesi Bassi),

rappresentati daB. Kloostra, avvocato,

intervenienti,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento delle decisioni dell’ECHA del 24 gennaio 2014 concernenti la divulgazione di talune informazioni presentate dalla ricorrente nell’ambito della procedura relativa alla domanda di autorizzazione dell’uso della sostanza bis(2-etilesil)ftalato (DEHP),

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto da M. Prek (relatore), presidente, I. Labucka e V. Kreuschitz, giudici,

cancelliere: S. Bukšek Tomac, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29 giugno 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La sostanza bis(2-etilesil)ftalato (DEHP) (in prosieguo: il «DEHP») è utilizzata per ammorbidire le plastiche a base di cloruro di polivinile (PVC). Il DEHP è stato inserito nell’allegato XIV al regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un’Agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488/94 della Commissione, nonché la direttiva 76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE (GU 2006, L 396, pag. 1, rettifica in GU 2007, L 136, pag. 3). L’inclusione di tale sostanza nel summenzionato allegato ha comportato che, a partire dal 21 febbraio 2015, il suo uso è adesso subordinato ad un’autorizzazione rilasciata dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA).

2        Al fine di poter continuare a produrre il DEHP senza interruzione dopo il 21 febbraio 2015, la ricorrente, la Deza a.s., ha presentato una domanda di autorizzazione all’ECHA in conformità all’articolo 62 del regolamento n. 1907/2006. A tal riguardo, essa ha allegato alla sua domanda di autorizzazione una versione riservata e una versione non riservata dei documenti richiesti, fra cui una relazione sulla sicurezza chimica, un’analisi delle alternative e un’analisi socioeconomica. La Arkema France, la Grupa Azoty Zakłady Azotowe Kędzierzyn S.A. e la Vinyloop Ferrara SpA (in prosieguo: le «ex ricorrenti») hanno parimenti presentato una domanda di autorizzazione per continuare a produrre il DEHP.

3        Dal 13 novembre 2013 all’8 gennaio 2014, l’ECHA, in applicazione dell’articolo 64, paragrafo 2, del regolamento n. 1907/2006, ha organizzato una consultazione pubblica sulle domande relative al DEHP. In tale contesto, essa ha messo a disposizione del pubblico diversi documenti relativi a detta sostanza.

4        Il 5 dicembre 2013, fondandosi sul regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43), la ClientEarth e la European Environmental Bureau (EEB) hanno chiesto all’ECHA accesso alla relazione sulla sicurezza chimica e all’analisi delle alternative incluse nella domanda di autorizzazione relativa all’uso del DEHP, in quanto esse ritenevano che i documenti divulgati nel corso della procedura di consultazione pubblica fossero incompleti.

5        Con lettera del 18 dicembre 2013, l’ECHA ha informato la ricorrente in merito alla richiesta di accesso, formulata dalla ClientEarth e dalla EEB, alla relazione sulla sicurezza chimica e all’analisi delle alternative incluse nella domanda di autorizzazione. L’ECHA le ha parimenti comunicato che le inviava, per via elettronica, una versione oscurata dei summenzionati documenti, e che l’invitava ad identificare in maniera chiara le informazioni di cui non desiderava la divulgazione e ad indicare i motivi per cui tali informazioni rientravano in una delle eccezioni previste all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001.

6        Il 24 gennaio 2014, l’ECHA ha inviato alla ricorrente una lettera con il numero di riferimento AFA-C‑0000004274-77-09/F e alle ex ricorrenti lettere recanti rispettivamente i numeri di riferimento AFA-C‑0000004280-84-09/F, AFA-C‑0000004275-75-09/F e AFA-C‑0000004151-87-08/F, con le quali essa comunicava loro la propria decisione di divulgare una parte dei documenti richiesti ai sensi del regolamento n. 1049/2001 (in prosieguo: le «decisioni impugnate»).

7        Con lettera del 7 febbraio 2014, l’ECHA ha informato la ClientEarth e la EEB della sua decisione di accordare loro un accesso parziale alle informazioni richieste, ma che la divulgazione era sospesa, in quanto era stato avviato un procedimento dinanzi al Tribunale per impedire tale divulgazione. A tale lettera era allegata una delle lettere del 24 gennaio 2014, ossia quella indirizzata alla Arkema France, la quale era analoga a quella inviata alla ricorrente.

 Procedimento e conclusioni delle parti

8        Il 24 marzo 2014, la ricorrente e le ex ricorrenti hanno presentato un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE avverso le decisioni impugnate. Con atto separato dello stesso giorno, esse hanno proposto una domanda di provvedimenti provvisori in forza dell’articolo 278 TFUE, al fine di ottenere la sospensione dell’esecuzione delle decisioni impugnate.

9        Con lettera dell’8 aprile 2014, le ex ricorrenti hanno informato il Tribunale di rinunciare al ricorso; il presidente del Tribunale ne ha preso atto con ordinanza di cancellazione parziale dell’11 aprile 2014.

10      Con ordinanza del 25 luglio 2014, Deza/ECHA (T‑189/14 R, non pubblicata, EU:T:2014:686), è stata disposta la sospensione dell’esecuzione della decisione recante il numero di riferimento AFA-C‑0000004274-77-09/F, ed è stato ingiunto all’ECHA di astenersi dal divulgare le relazioni sulla sicurezza chimica e le analisi delle alternative del DEHP presentate dalle ex ricorrenti ed oggetto delle decisioni recanti i numeri di riferimento AFA-C‑0000004280-84-09/F, AFA-C‑0000004275-75-09/F e AFA-C‑0000004151-87-08/F.

11      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 1o agosto 2014, la ClientEarth, la EEB e la Vereniging Health Care Without Harm Europe (in prosieguo: la «HCWH Europe») hanno chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni dell’ECHA. Inoltre, esse hanno chiesto di poter utilizzare l’inglese, in via principale, nell’ambito delle fasi scritta e orale del procedimento, e, in subordine, nel corso della fase orale del procedimento.

12      Le summenzionate domande sono state notificate alla ricorrente, nonché all’ECHA, in conformità all’articolo 116, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991.

13      Con ordinanza del presidente della Quarta Sezione del Tribunale del 25 settembre 2014, la Commissione europea è stata ammessa ad intervenire a sostegno delle conclusioni dell’ECHA.

14      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 3 ottobre 2014, l’ECHA ha chiesto il trattamento riservato dell’allegato D1 della controreplica nei confronti della ClientEarth, della EEB e della HCWH Europe.

15      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 10 ottobre 2014, la ricorrente ha presentato una domanda di trattamento riservato nei confronti della ClientEarth, della EEB e della HCWH Europe, concernente taluni dati ed informazioni contenuti nell’atto introduttivo del ricorso.

16      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 31 ottobre 2014, la ricorrente ha rettificato la sua domanda di trattamento riservato di taluni elementi contenuti nell’atto introduttivo del ricorso e nei suoi allegati, nonché nelle decisioni dell’ECHA e nei loro allegati, e ha parimenti chiesto la riservatezza dell’allegato D1 della controreplica, nei confronti della ClientEarth, della EEB e della HCWH Europe.

17      Con ordinanza del presidente della Quarta Sezione del Tribunale del 16 gennaio 2015, la ClientEarth, la EEB e la HCWH Europe sono state ammesse ad intervenire a sostegno delle conclusioni dell’ECHA. La domanda di deroga al regime linguistico presentata dalle intervenienti è stata respinta nella parte in cui riguardava la fase scritta del procedimento, mentre la decisione sulla domanda di deroga al regime linguistico in relazione alla fase orale del procedimento è stata riservata.

18      Il 20 febbraio 2015, la ClientEarth, la EEB e la HCWH Europe hanno espresso talune obiezioni sulla domanda di trattamento riservato dell’allegato D1 della controreplica.

19      Il 14 aprile 2015, il Tribunale ha adottato una misura di organizzazione del procedimento con la quale ha posto alla ricorrente taluni quesiti relativi alla rettifica della sua domanda di trattamento riservato.

20      Il 29 aprile 2015, la ricorrente ha risposto ai quesiti posti dal Tribunale.

21      Con ordinanza del presidente della Quarta Sezione del Tribunale del 12 giugno 2015, la domanda di trattamento riservato nei confronti della ClientEarth, della EEB e della HCWH Europe è stata accolta per quanto riguarda, da un lato, i dati della relazione sulla sicurezza chimica contenuti sia nell’allegato 3 della versione riservata delle decisioni impugnate (alle pagine da 941 a 1503 del ricorso) sia nelle pagine da 353 a 915 dell’allegato A.4.5 della versione riservata del ricorso e, dall’altro, i dati dell’analisi delle alternative contenuti sia nell’allegato 4 della versione riservata delle decisioni impugnate (alle pagine da 1504 a 1819 del ricorso) sia alle pagine da 37 a 352 dell’allegato A.4.4 della versione riservata del ricorso. La domanda di trattamento riservato è stata respinta quanto al resto.

22      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare le decisioni impugnate;

–        condannare l’ECHA alle spese.

23      L’ECHA, sostenuta dalla Commissione e dalla ClientEarth, dalla EEB e dalla HCWH Europe, chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso irricevibile nella parte in cui ha ad oggetto le decisioni contenute nelle lettere che non sono state indirizzate direttamente alla ricorrente;

–        per il resto, respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

24      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce quattro motivi, relativi, il primo, alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, in combinato disposto con l’articolo 118 del regolamento n. 1907/2006; il secondo, alla violazione dell’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPs), del 15 aprile 1994 (GU 1994, L 336, pag. 214; in prosieguo: l’«accordo TRIPs»), il quale costituisce l’allegato 1 C all’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (GU 1994, L 336, pag. 3), e segnatamente del suo articolo 39, paragrafo 2; il terzo, alla violazione dell’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), dell’articolo 1 del protocollo addizionale alla CEDU e dell’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e, il quarto, alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001.

25      L’ECHA contesta gli argomenti sollevati dalla ricorrente a sostegno della sua domanda intesa all’annullamento delle decisioni impugnate, ed eccepisce l’irricevibilità del ricorso nella parte in cui ha ad oggetto le decisioni contenute nelle lettere recanti i numeri di riferimento AFA-C‑0000004280-84-09/F, AFA-C‑0000004275-75-09/F e AFA-C‑0000004151-87-08/F.

26      Nelle circostanze del caso di specie, il Tribunale ritiene che una buona amministrazione della giustizia giustifichi il rigetto nel merito del presente ricorso, come si evince dalle considerazioni che seguono, senza statuire in via preliminare sull’eccezione di irricevibilità sollevata dall’ECHA relativamente alla parte in cui il ricorso ha ad oggetto le decisioni menzionate al punto 25 supra (v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2002, Consiglio/Boehringer, C‑23/00 P, EU:C:2002:118, punti da 50 a 52; del 23 ottobre 2007, Polonia/Consiglio, C‑273/04, EU:C:2007:622, punto 33, e del 10 ottobre 2014, Marchiani/Parlamento, T‑479/13, non pubblicata, EU:T:2014:866, punto 23).

27      In via preliminare, occorre ricordare che il regolamento n. 1907/2006 impone al richiedente che desidera utilizzare talune sostanze chimiche di effettuare un’analisi dell’esistenza di sostanze alternative, di esaminare i rischi che esse comportano, e di verificare la fattibilità tecnica ed economica della loro utilizzazione. In tal senso, nell’ambito della sua domanda di autorizzazione di uso del DEHP, la ricorrente ha presentato all’ECHA, in particolare, i due seguenti documenti, in una versione riservata e in una versione non riservata: una relazione sulla sicurezza chimica e un’analisi delle soluzioni alternative. Tali documenti, nella loro versione non riservata, sono stati oggetto di una pubblicazione sul sito Internet dell’ECHA. A seguito di una domanda di accesso ai documenti formulata dalla ClientEarth e dalla EEB, l’ECHA ha chiesto alla ricorrente di riconsiderare la sua posizione e di procedere ad un riesame delle informazioni che dovevano essere considerate riservate. La ricorrente ha trasmesso una versione modificata dei documenti riservati. L’ECHA ha tuttavia ritenuto che alcune delle informazioni di cui la ricorrente non desiderava la divulgazione non fossero riservate e dovessero pertanto essere trasmesse ai richiedenti l’accesso ai documenti. Per questo motivo, l’ECHA ha preparato un’altra versione dei documenti, diversi estratti dei quali sono stati oscurati per restare riservati, mentre altri sono stati conservati per essere divulgati. La ricorrente ha considerato che diverse informazioni (in prosieguo: le «informazioni controverse») fra quelle che l’ECHA contava di divulgare, dovevano restare riservate. Nel suo ricorso di annullamento, essa ha elencato tassativamente le informazioni controverse figuranti nell’ultima versione dei documenti preparata dall’ECHA. Pertanto, è la questione dell’accesso a tali informazioni controverse elencate in via tassativa a costituire l’oggetto della presente controversia.

28      Tuttavia, nell’ambito del secondo motivo, la ricorrente adotta, in sostanza, una posizione di principio, secondo la quale le presunzioni generali di diniego di accesso applicabili a talune categorie di documenti riguarderebbero parimenti le informazioni controverse, presentate nell’ambito della procedura di autorizzazione prevista dal regolamento n. 1907/2006 e secondo la quale, pertanto, la divulgazione di tali documenti arrecherebbe pregiudizio, in linea di principio, agli interessi commerciali. Il Tribunale ritiene che tale censura costituisca un motivo indipendente che occorre esaminare per primo.

1.     Sul motivo distinto, relativo all’esistenza di una presunzione generale di riservatezza delle informazioni presentate nell’ambito della procedura di autorizzazione prevista dal regolamento n. 1907/2006

29      Nell’ambito di tale motivo, la ricorrente afferma, in sostanza, che tutte le informazioni controverse nel loro complesso sono interessate dal segreto commerciale.

30      L’ECHA sostiene che tale approccio della ricorrente non corrisponde a quello da essa adottato nella procedura di consultazione dei terzi, in quanto, nel corso di quest’ultima, essa non ha dedotto alcun argomento secondo il quale occorreva trattare le informazioni in questione nel loro insieme, e al contrario, a sostegno della sua domanda di non divulgazione delle informazioni controverse, ha dedotto taluni motivi specifici non collegati fra loro. Quanto al merito, l’ECHA contesta l’asserita esistenza di una presunzione generale di riservatezza delle informazioni controverse.

31      Occorre sottolineare, in via preliminare, che, anche ammesso che tale approccio sostenuto dalla ricorrente non corrisponda, come asserito dall’ECHA, all’atteggiamento che essa avrebbe adottato in occasione del procedimento amministrativo, ciò non implica, tuttavia, che tale motivo non possa essere dedotto dalla ricorrente.

32      Infatti, la ricorrente adotta, sostanzialmente, una posizione di principio, secondo la quale le presunzioni generali di diniego di accesso applicabili a talune categorie di documenti riguarderebbero parimenti le informazioni controverse presentate nell’ambito della procedura di autorizzazione prevista dal regolamento n. 1907/2006 e secondo la quale, pertanto, la divulgazione di tali documenti arrecherebbe pregiudizio, in linea di principio, agli interessi commerciali. Trattandosi di una questione di interpretazione del regolamento n. 1049/2001 e del regolamento n. 1907/2006, essa può pertanto essere legittimamente sollevata dinanzi al Tribunale anche se non è stata invocata, né, a fortiori, esaminata, nella fase del procedimento amministrativo. Essa deve pertanto essere esaminata.

33      L’esame di tale questione impone di rammentare che, in applicazione dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001, le disposizioni relative all’accesso del pubblico ai documenti dell’ECHA si applicano a tutti i documenti detenuti da tale agenzia, cioè a tutti i documenti da essa redatti o ricevuti e in suo possesso, in tutti i settori di attività dell’Unione europea. Pur se detto regolamento è diretto a conferire al pubblico un diritto di accesso ai documenti delle istituzioni il più ampio possibile, tale diritto è assoggettato a taluni limiti fondati su ragioni di interesse pubblico o privato (v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2014, Commissione/EnBW, C‑365/12 P, EU:C:2014:112, punto 85).

34      Occorre parimenti rilevare che la Corte ha riconosciuto la facoltà, per le istituzioni e le agenzie interessate, di basarsi su presunzioni di carattere generale che si applicano a determinate categorie di documenti, in quanto considerazioni di ordine generale analoghe possono applicarsi a domande di divulgazione riguardanti documenti della stessa natura (v., in tal senso, sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio, C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374, punto 50).

35      In tal senso, la Corte e il Tribunale hanno riconosciuto l’esistenza di presunzioni generali di diniego di accesso a taluni documenti in diverse fattispecie quali, segnatamente, il fascicolo amministrativo in un procedimento di controllo degli aiuti di Stato, i documenti scambiati nell’ambito di un procedimento di controllo delle operazioni di concentrazione, i documenti scambiati nell’ambito di un procedimento di applicazione dell’articolo 101 TFUE e i documenti redatti nell’ambito delle analisi di impatto condotte dalla Commissione, relative ad un processo decisionale in corso in materia ambientale.

36      Da un lato, risulta dalla giurisprudenza che, affinché una presunzione generale sia validamente opposta alla persona richiedente l’accesso a taluni documenti in base al regolamento n. 1049/2001, è necessario che i documenti richiesti facciano parte della stessa categoria di documenti o siano della stessa natura (v., in tal senso, sentenze del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio, C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374, punto 50, e del 17 ottobre 2013, Consiglio/Access Info Europe, C‑280/11 P, EU:C:2013:671, punto 72).

37      Dall’altro lato, risulta da tale giurisprudenza che l’applicazione delle presunzioni generali è essenzialmente dettata dall’esigenza imperativa di assicurare il corretto funzionamento dei procedimenti in questione e di garantire che non ne vengano compromessi gli obiettivi. Pertanto, il riconoscimento di una presunzione generale può essere basato sull’incompatibilità dell’accesso ai documenti di taluni procedimenti con il corretto svolgimento degli stessi e sul rischio di un pregiudizio ai medesimi, posto che le presunzioni generali consentono di preservare l’integrità dello svolgimento del procedimento limitando l’ingerenza dei terzi (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nelle cause riunite LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:528, paragrafi 66, 68, 74 e 76). L’applicazione di norme specifiche previste da un atto giuridico relativo ad un procedimento svolto dinanzi a un’istituzione dell’Unione per le cui esigenze sono stati prodotti i documenti richiesti è uno dei criteri atti a giustificare il riconoscimento di una presunzione generale (v., in tal senso, sentenza dell’11 giugno 2015, McCullough/Cedefop, T‑496/13, non pubblicata, EU:T:2015:374, punto 91, e conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Consiglio/Access Info Europe, C‑280/11 P, EU:C:2013:325, paragrafo 75).

38      In tal senso, il giudice dell’Unione ritiene che le eccezioni al diritto di accesso ai documenti che figurano all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001, non possano essere interpretate senza tener conto delle regole specifiche che disciplinano l’accesso ai documenti in parola, previste dai regolamenti di cui trattasi. È in tal senso che la Corte ha rilevato che, nell’ambito di un procedimento di applicazione dell’articolo 101 TFUE, talune disposizioni del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 e 102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), nonché del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101 e 102 TFUE] (GU 2004, L 123, pag. 18), disciplinavano in maniera restrittiva l’uso dei documenti compresi nel fascicolo relativo a detto procedimento, in quanto prevedevano che le parti di un procedimento di applicazione dell’articolo 101 TFUE non disponevano di un diritto di accesso illimitato ai documenti compresi nel fascicolo della Commissione, e che i terzi, ad eccezione dei denuncianti, non disponevano, nell’ambito di un procedimento siffatto, del diritto di accesso ai documenti del fascicolo della Commissione. La Corte ha ritenuto che autorizzare un accesso generalizzato, sulla base del regolamento n. 1049/2001, ai documenti compresi in un fascicolo relativo all’applicazione dell’articolo 101 TFUE, avrebbe posto in pericolo l’equilibrio che il legislatore dell’Unione aveva voluto garantire nei regolamenti n. 1/2003 e n. 773/2004 tra l’obbligo per le imprese interessate di comunicare alla Commissione informazioni commerciali eventualmente sensibili al fine di consentire a quest’ultima di scoprire l’esistenza di un cartello e valutarne la compatibilità col predetto articolo, da un lato, e la garanzia di una tutela rafforzata collegata, in forza del segreto d’ufficio e del segreto commerciale, alle informazioni trasmesse a tale titolo alla Commissione, dall’altro. La Corte ne ha concluso che la Commissione, ai fini dell’applicazione delle eccezioni di cui all’articolo 4, paragrafo 2, primo e terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001, aveva il diritto di presumere, senza procedere ad un esame concreto e specifico di ciascuno dei documenti compresi in un fascicolo relativo ad un procedimento di applicazione dell’articolo 101 TFUE, che la divulgazione di tali documenti pregiudicava, in linea di principio, la tutela degli interessi commerciali delle imprese coinvolte in un procedimento del genere (v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2014, Commissione/EnBW, C‑365/12 P, EU:C:2014:112, punti 86, 87, 90 e 93).

39      Tuttavia, a differenza delle situazioni in relazione alle quali la Corte e il Tribunale hanno ammesso che le presunzioni generali di diniego di accesso ai documenti erano applicabili, il regolamento n. 1907/2006 disciplina espressamente il rapporto fra tale regolamento e il regolamento n. 1049/2001. Infatti, l’articolo 118 del regolamento n. 1907/2006 prevede che ai documenti detenuti dall’ECHA si applica il regolamento n. 1049/2001. Esso non disciplina in maniera restrittiva l’uso dei documenti contenuti nel fascicolo relativo ad una procedura di autorizzazione per l’uso di una sostanza chimica. Detto regolamento non prevede effettivamente la limitazione dell’accesso al fascicolo alle «parti interessate» o ai «denuncianti». Tutt’al più, esso individua in maniera esatta, al suo articolo 118, paragrafo 2, talune informazioni la cui divulgazione arreca pregiudizio agli interessi commerciali della persona di cui trattasi. Invece, l’articolo 119, paragrafo 1, di detto regolamento, elenca altre informazioni che sono messe a disposizione del pubblico tramite Internet.

40      Una presunzione generale non risulta dunque dalle disposizioni del regolamento n. 1907/2006. Non può pertanto ammettersi che, nell’ambito della procedura di autorizzazione prevista dal regolamento n. 1907/2006, i documenti comunicati all’ECHA vengano considerati manifestamente coperti, in via integrale, dall’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali dei richiedenti l’autorizzazione.

41      Se è vero che tale eccezione è eventualmente applicabile a taluni dei documenti comunicati all’ECHA, tuttavia, ciò non avviene necessariamente nel caso di tutti i documenti o del testo completo di tali documenti. Quantomeno, spetta all’ECHA verificare tale circostanza tramite un esame concreto ed effettivo di ciascun documento, come richiesto dall’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

42      In tale contesto, è giocoforza constatare che l’ECHA ha proceduto ad un esame concreto ed effettivo di ciascun documento, in conformità alle rispettive disposizioni del regolamento n. 1049/2001 e del regolamento n. 1907/2006.

43      Risulta dalle considerazioni che precedono che il motivo relativo all’esistenza di una presunzione generale di riservatezza delle informazioni presentate nell’ambito della procedura di autorizzazione prevista dal regolamento n. 1907/2006 deve essere respinto.

2.     Sul primo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001

44      Nell’ambito del primo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, in combinato disposto con l’articolo 118 del regolamento n. 1907/2006, la ricorrente solleva, in sostanza, quattro censure. Con la prima censura, la ricorrente sostiene che le informazioni controverse sono riservate, in quanto rientrano nel suo know-how e nel suo segreto commerciale. Nell’ambito della seconda censura, la ricorrente fa valere l’articolo 39, paragrafo 2, dell’accordo TRIPs, il quale vincola l’Unione, per sostenere che la comunicazione ad un terzo delle informazioni controverse comporterebbe un pregiudizio per la tutela dei suoi interessi commerciali e quella dei suoi diritti di proprietà intellettuale, ossia la tutela del suo segreto commerciale. La terza censura poggia sul fatto che l’«interesse pubblico prevalente» che giustifica la divulgazione delle informazioni controverse non può essere considerato né di fondamentale rilevanza né perseguito da detta divulgazione. Inoltre, l’ECHA non avrebbe indicato in maniera chiara e concreta quale sarebbe l’interesse pubblico che giustificherebbe la divulgazione delle informazioni controverse. La quarta censura è relativa alla violazione dell’articolo 296 TFUE: la ricorrente addebita all’ECHA di non avere motivato l’accertamento se le informazioni controverse costituissero o meno segreti commerciali ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 2, de l’accordo TRIPs e, a fortiori, di non avere menzionato l’eventuale interesse pubblico prevalente che giustificasse la sua decisione di divulgazione di tali informazioni riservate.

 Sulla prima censura, relativa alla riservatezza delle informazioni controverse a causa del loro carattere commerciale e del fatto che esse rientrano nel know-how della ricorrente

45      Nell’ambito della prima censura, la ricorrente sostiene che le informazioni controverse sarebbero riservate, in quanto costituirebbero un interesse commerciale ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001.

46      A sostegno di tale censura, in primo luogo, essa fa valere che tali informazioni rientrerebbero nel suo know-how e nel suo segreto commerciale, in quanto esse non sono facilmente accessibili, sono redditizie sul piano commerciale e hanno coinvolto mezzi finanziari e sforzi considerevoli per raccoglierle e organizzarle in modo da consentire di ottenere un’autorizzazione per l’immissione sul mercato e il successivo uso del DEHP.

47      In secondo luogo, essa contesta il fatto che i dati concernenti i valori soglia paragonati ai valori di esposizione e di concentrazione, i quali, qualora non vengano raggiunti, non esplicano effetti avversi per la salute umana (DNEL) o per l’ambiente (PNEC) (in prosieguo: i «valori DNEL e PNEC») ai quali essa si riferisce, possano essere considerati pubblici ai sensi dell’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006.

48      L’ECHA confuta tutti questi argomenti.

49      In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 3, TFUE, qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione, secondo i principi e alle condizioni da definire in conformità del procedimento legislativo ordinario. Il regolamento n. 1049/2001 è volto, come risulta dal considerando 4 e dall’articolo 1 dello stesso, a conferire al pubblico un diritto di accesso il più ampio possibile ai documenti delle istituzioni (sentenze del 28 giugno 2012, Commissione/Éditions Odile Jacob, C‑404/10 P, EU:C:2012:393, punto 111; del 28 giugno 2012, Commissione/Agrofert Holding, C‑477/10 P, EU:C:2012:394, punto 53, e del 14 novembre 2013, LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punto 40).

50      Inoltre, la procedura di domanda di autorizzazione è disciplinata dal regolamento n. 1907/2006, il quale istituisce una procedura dell’Unione per l’autorizzazione dell’uso di sostanze chimiche. L’articolo 118 del regolamento n. 1907/2006 prevede che il regolamento n. 1049/2001 si applica ai documenti detenuti dall’ECHA. Ne consegue che il principio dell’accesso più ampio possibile del pubblico ai documenti deve, in linea di principio, essere rispettato nel caso dei documenti in possesso dell’ECHA.

51      Il principio del più ampio accesso possibile del pubblico ai documenti è tuttavia soggetto a taluni limiti fondati su ragioni di interesse pubblico o privato. Infatti, il regolamento n. 1049/2001, segnatamente al suo considerando 11 e al suo articolo 4, prevede un sistema di eccezioni che impone alle istituzioni e agli organismi di non divulgare taluni documenti qualora tale divulgazione arrechi pregiudizio ai uno di tali interessi (v., in tal senso, sentenze del 28 giugno 2012, Commissione/Éditions Odile Jacob, C‑404/10 P, EU:C:2012:393, punto 111; del 28 giugno 2012, Commissione/Agrofert Holding, C‑477/10 P, EU:C:2012:394, punto 53, e del 14 novembre 2013, LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punto 40).

52      Dal momento che le eccezioni previste all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001 derogano al principio del più ampio accesso possibile del pubblico ai documenti, esse devono essere interpretate ed applicate in senso restrittivo (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Svezia/MyTravel e Commissione, C‑506/08 P, EU:C:2011:496, punto 75). A tal riguardo, occorre dimostrare che l’accesso in questione è idoneo ad arrecare concretamente ed effettivamente un pregiudizio all’interesse tutelato dall’eccezione, e che il rischio di arrecare un pregiudizio a tale interesse è ragionevolmente prevedibile e non meramente ipotetico (sentenze del 13 aprile 2005, Verein für Konsumenteninformation/Commissione, T‑2/03, EU:T:2005:125, punto 69, e del 22 maggio 2012, Sviluppo Globale/Commissione, T‑6/10, non pubblicata, EU:T:2012:245, punto 64).

53      Occorre parimenti osservare che il regime delle eccezioni previsto all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001, e segnatamente, al paragrafo 2 dello stesso, è fondato su una ponderazione degli interessi contrapposti in una data situazione, ovvero, da un lato, gli interessi che sarebbero favoriti dalla divulgazione dei documenti in questione e, dall’altro, quelli che sarebbero minacciati da tale divulgazione. La decisione su una domanda di accesso ai documenti dipende dallo stabilire quale debba essere l’interesse prevalente nel caso di specie (sentenze del 14 novembre 2013, LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P et C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punto 42, e del 23 settembre 2015, ClientEarth e International Chemical Secretariat/ECHA, T‑245/11, EU:T:2015:675, punto 168).

54      Occorre rilevare che, per giustificare il rifiuto di accesso a un documento, non basta, in linea di principio, che tale documento rientri in un’attività o in un interesse fra quelli menzionati all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001; l’istituzione interessata deve anche spiegare come l’accesso a tale documento potrebbe arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio all’interesse tutelato da un’eccezione prevista in tale articolo (sentenze del 28 giugno 2012, Commissione/Éditions Odile Jacob, C‑404/10 P, EU:C:2012:393, punto 116; del 28 giugno 2012, Commissione/Agrofert Holding, C‑477/10 P, EU:C:2012:394, punto 57, e del 27 febbraio 2014, Commissione/EnBW, C‑365/12 P, EU:C:2014:112, punto 64).

55      Quanto alla nozione di interessi commerciali, risulta dalla giurisprudenza che non può ritenersi che tutte le informazioni relative ad una società e alle sue relazioni commerciali ricadano sotto la tutela che deve essere garantita agli interessi commerciali conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, salvo vanificare l’applicazione del principio generale che consiste nel conferire al pubblico il più ampio accesso possibile ai documenti detenuti dalle istituzioni (sentenze del 15 dicembre 2011, CDC Hydrogene Peroxide/Commissione, T‑437/08, EU:T:2011:752, punto 44, e del 9 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, T‑516/11, non pubblicata, EU:T:2014:759, punto 81).

56      In tal senso, al fine di applicare l’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, è necessario dimostrare che i documenti controversi contengono elementi idonei, per il fatto di essere divulgati, ad arrecare pregiudizio agli interessi commerciali di una persona giuridica. Ciò vale qualora, segnatamente, i documenti richiesti contengano informazioni commerciali sensibili relative, in particolare, alle strategie commerciali delle imprese di cui trattasi o ai loro rapporti commerciali, oppure qualora essi contengano dati propri dell’impresa che mostrano la sua competenza (sentenza del 9 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, T‑516/11, non pubblicata, EU:T:2014:759, punti da 82 a 84).

57      È alla luce di tali elementi che devono essere analizzati gli argomenti della ricorrente.

 Sulla questione della violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001

58      Occorre verificare se, come sostenuto dalla ricorrente, l’ECHA, adottando le decisioni impugnate, le quali consentivano la divulgazione delle informazioni controverse, abbia violato l’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

59      In primo luogo, per quanto attiene alla relazione sulla sicurezza chimica, occorre anzitutto rilevare che le informazioni controverse in essa contenute sono le seguenti:

–        la menzione del nome di studi scientifici e di una relazione dell’Unione – ossia la relazione di valutazione dei rischi dell’anno 2008 – nonché il contenuto di tali studi e di tale relazione (punti 5.5.2.2, 5.5.3, 5.6.2, 5.6.3, 5.7.3, 5.8.2, 5.8.3, 5.9.1.2, 5.9.2.2, 5.9.3, 5.10.1.1, 5.10.3 e 9.0.1 della relazione sulla sicurezza chimica);

–        la sola menzione del nome e della data di taluni studi scientifici (punti 5.1.1.2, 5.10.1.2 e tabelle nn. 43, 45, da 52 a 54, 59, 70 e 73 della relazione sulla sicurezza chimica);

–        la menzione del nome di uno studio concernente i valori «no observed adverse effect level», ossia la concentrazione massima in corrispondenza della quale non si osservano effetti avversi (in prosieguo: i «valori di esposizione NOAEL») (punto 5.11.2 della relazione sulla sicurezza chimica);

–        taluni dati sugli scenari d’esposizione del DEHP e sulla caratterizzazione dei rischi (punti 9.1.1, 9.2.1, 9.3.1, 10.1.1, 10.1.2, 10.2.1, 10.2.2, 10.3.1, 10.4.2 e tabelle nn. 141, da 143 a 154 e da 177 a 179 della relazione sulla sicurezza chimica).

60      In primo luogo, per quanto riguarda le informazioni controverse relative agli studi scientifici e al loro contenuto, occorre anzitutto sottolineare che esse riguardano dati che sono stati oggetto di pubblicazione e che sono pertanto accessibili al pubblico. Lo stesso vale per le informazioni controverse figuranti nella relazione di valutazione dei rischi dell’anno 2008. Si tratta infatti di un documento dell’Unione che è stato parimenti pubblicato. Tali informazioni controverse rappresentano pertanto una raccolta di estratti degli studi e delle relazioni summenzionati, e ne descrivono in tal senso il contenuto. Non risulta che la divulgazione della mera raccolta di tali dati descrittivi, i quali sono accessibili al pubblico, possa bastare ad arrecare pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali della ricorrente. Inoltre, la ricorrente non ha dimostrato in che modo, nella specie, detta raccolta di dati scientifici costituirebbe un dato commerciale sensibile, né che, a causa della sua divulgazione, verrebbe arrecato pregiudizio ai suoi interessi commerciali. È solo qualora le valutazioni effettuate dalla ricorrente in occasione di tale lavoro di compilazione avessero presentato un plusvalore – ossia qualora esse fossero consistite, ad esempio, in conclusioni scientifiche nuove o in considerazioni concernenti una strategia innovativa idonea a procurare all’impresa un vantaggio commerciale sui suoi concorrenti [v., in tal senso, ordinanze del 13 febbraio 2014, Luxembourg Pamol (Cyprus) e Luxembourg Industries/Commissione, T‑578/13 R, non pubblicata, EU:T:2014:103, punto 60, e del 25 luglio 2014, Deza/ECHA, T‑189/14 R, non pubblicata, EU:T:2014:686, punto 54] – che esse sarebbero allora rientrate negli interessi commerciali di cui l’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001 assicura la protezione.

61      Occorre inoltre rilevare che l’ECHA ha indicato, nella decisione contenuta nella lettera recante il numero di riferimento AFA-C‑0000004274-77-09/F, che siffatte informazioni potevano essere divulgate «senza la valutazione dettagliata sottesa». In concreto, essa ha occultato esattamente le valutazioni effettuate dalla ricorrente alla luce di tali studi (v., segnatamente, le informazioni oscurate dall’ECHA ai punti 5.7.3, 5.8.3, 5.9.1.2, 5.9.2.2, 5.9.3, 5.10.1.1 e 5.10.1.2). Così facendo, essa ha operato una distinzione fra le informazioni che riportavano il contenuto di studi pubblicati e presentavano dunque un carattere essenzialmente descrittivo – le quali potevano essere oggetto di una divulgazione – e quelle che erano il frutto di una valutazione critica di tali studi da parte della ricorrente e che non erano dunque accessibili in quanto tali al pubblico – le quali rientravano a priori nell’interesse commerciale ed erano occultate dall’ECHA. Nella specie, le informazioni «oggettive» non possono a priori essere considerate dati propri dell’impresa che mostrerebbero la sua competenza, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 56 supra.

62      Inoltre, la ricorrente si è limitata a presentare spiegazioni vaghe e generiche al fine di dimostrare che le informazioni controverse consistenti in estratti di studi accessibili al pubblico potrebbero produrre le asserite conseguenze in termini di pregiudizio del suo know-how e dei suoi segreti commerciali. Spiegazioni precise e concrete si sarebbero rivelate tanto più necessarie in quanto, come è stato ricordato al punto 52 supra, le eccezioni previste all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001 devono essere interpretate e applicate restrittivamente, dal momento che esse derogano al principio del più ampio accesso possibile del pubblico ai documenti.

63      In tale contesto, non può neanche essere accolto l’argomento della ricorrente secondo il quale tali dati consentirebbero ai concorrenti di venire a conoscenza del modo in cui essa intende orientare la sua futura strategia commerciale per quanto attiene al successivo uso di tale sostanza e decidere in merito alla futura fabbricazione di prodotti costituiti dal DEHP o dalle sue alternative. Infatti, la compilazione dei dati oggettivi non può bastare, in quanto tale, a rivelare il contenuto della strategia commerciale o le scelte future della ricorrente quanto alla fabbricazione del DEHP.

64      Inoltre, deve essere parimenti respinto l’argomento della ricorrente secondo il quale una parte delle informazioni controverse poggia su dati riservati condivisi dalla stessa e da terzi, segnatamente dai suoi fornitori e acquirenti. Infatti, da un lato, la ricorrente non individua alcun dato, fra i documenti controversi, che sarebbe il risultato di una siffatta condivisione. Dall’altro, essa non ha presentato alcun documento inteso ad attestare l’esistenza di accordi conclusi con terzi, tramite i quali essa si sarebbe impegnata per il futuro a non divulgare taluni documenti.

65      Infine, quanto all’argomento secondo il quale la compilazione di studi accessibili al pubblico avrebbe richiesto alla ricorrente un lavoro intellettuale di ricerca e di lettura dotato di un valore commerciale e rientrante, per questo motivo, nell’interesse commerciale, esso non può essere accolto. Infatti, la natura riservata o meno delle informazioni non è determinata dal lavoro dovuto al fatto di compilare i dati contenuti in studi accessibili al pubblico. Piuttosto, alla ricorrente spetterebbe dimostrare che il documento che rappresentava il risultato della compilazione di informazioni accessibili al pubblico conteneva valutazioni che presentavano un plusvalore ai sensi del punto 60 supra, e che tali informazioni rientravano dunque nell’interesse commerciale di cui all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001.

66      Ciò non significa, tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto, in sostanza, dalla ricorrente, che la divulgazione autorizzi un concorrente a limitarsi a rimandare, nella sua domanda di autorizzazione di uso di un prodotto chimico, al fascicolo della ricorrente contenente la compilazione degli studi e a beneficiare, in tal modo, di un vantaggio concorrenziale. Infatti, l’articolo 63, paragrafo 1, del regolamento n. 1907/2006 sottolinea che, «[s]e è stata inoltrata una domanda per un uso di una sostanza, un richiedente successivo può far riferimento alle parti pertinenti della domanda precedente (…) a condizione che il richiedente successivo sia autorizzato dal richiedente precedente a rinviare a tali parti della domanda». Tale disposizione tutela quindi il titolare di un documento nei confronti dell’utilizzazione di detto documento nel caso in cui le informazioni ivi figuranti vengano divulgate a seguito di una domanda di accesso al medesimo. Essa impedisce che le informazioni controverse vengano utilizzate in modo da competere in maniera sleale con il titolare del documento e procurare in tal modo ai suoi concorrenti un vantaggio concorrenziale illegittimo.

67      Anche se si deve ammettere che il lavoro di sistematizzazione delle informazioni pubbliche effettuato dalla ricorrente potrebbe avere un certo valore commerciale, resterebbe da dimostrare che la sistematizzazione di dette informazioni è stata accompagnata da valutazioni che sfociano in conclusioni scientifiche nuove o in considerazioni relative ad una strategia innovativa idonea a procurare all’impresa un vantaggio commerciale sui suoi concorrenti e che, per questo motivo, rivestirebbero manifestamente natura riservata (v. punto 60 supra). La ricorrente non è stata in grado di fornire siffatta prova. In tale contesto, da un lato, occorre ricordare che la relazione sulla sicurezza chimica deve essere conforme al formato previsto al punto 7 dell’allegato I al regolamento n. 1907/2006; ciò tende a standardizzare il modo di sistematizzazione delle informazioni. Dall’altro lato, occorre tenere conto del fatto che la modalità di ricerca delle informazioni accessibili al pubblico è agevolata dagli strumenti informatici, quali i motori di ricerca. Questi due rilievi relativizzano in una certa misura il valore commerciale della compilazione di informazioni accessibili al pubblico.

68      In secondo luogo, per quanto riguarda i punti 5.1.1.2, 5.10.1.2 e le tabelle nn. 43, 45, da 52 a 54, 59, 70 e 73, occorre rammentare che essi menzionano il nome e la data di diversi studi che la ricorrente considera riservati e che l’ECHA desidera divulgare. La ricorrente non spiega, tuttavia, in che senso la loro divulgazione arrecherebbe pregiudizio ai suoi interessi commerciali e procurerebbe vantaggi ai suoi concorrenti. Infatti, essa non specifica in che senso la divulgazione di tali studi sarebbe problematica, mentre la stessa non ha nulla da obiettare al fatto che la quasi totalità degli altri studi citati in queste stesse tabelle venga divulgata.

69      In terzo luogo, per quanto riguarda le informazioni controverse contenute al punto 5.11.2 della relazione sulla sicurezza chimica, l’ECHA ha sottolineato, nelle decisioni impugnate, che i valori di esposizione NOAEL contenuti negli approcci, nei metodi e nelle riflessioni non potevano arrecare pregiudizio all’interesse commerciale di quest’ultima. Essa ha indicato che questo tipo di informazioni era essenziale affinché il pubblico avesse un’indicazione dei rischi connessi all’uso del DEHP, e che esisteva pertanto un interesse elevato del pubblico alla divulgazione di tali informazioni. È giocoforza constatare che la ricorrente non ha rimesso in discussione tale considerazione né, a fortiori, ha precisato in che senso il riferimento alle summenzionate informazioni, contenute nella relazione sulla sicurezza chimica, arrecherebbe pregiudizio al suo interesse commerciale.

70      In quarto luogo, per quanto attiene ai dati sugli scenari di esposizione del DEHP e sulla caratterizzazione dei rischi presi in considerazione al punto 59, ultimo trattino, supra, occorre rilevare che la ricorrente non ha fatto valere alcun argomento inteso a dimostrare il loro carattere riservato.

71      Inoltre, si evince dal fascicolo che l’ECHA ha cancellato la maggior parte delle informazioni relative agli scenari di esposizione, e che solo i dati introduttivi su detti scenari vengono menzionati. Spettava alla ricorrente indicare in che senso siffatti dati rivestivano un carattere riservato.

72      Quanto alle informazioni sulla caratterizzazione dei rischi, il fascicolo rivela che tali informazioni riguardano dati concernenti il valore DNEL e dati relativi al rapporto di caratterizzazione dei rischi (RCR). Orbene, come sottolineato dall’ECHA nelle decisioni impugnate, i dati concernenti il valore DNEL devono essere pubblicati in applicazione dell’articolo 119, paragrafo 1, del regolamento n. 1907/2006 e i dati relativi al RCR – i quali costituiscono una combinazione dei valori DNEL e PNEC e dell’esposizione – non possono arrecare pregiudizio all’interesse commerciale della ricorrente e sono essenziali affinché il pubblico sia in grado di venire a conoscenza del rischio connesso all’uso del DEHP.

73      In secondo luogo, per quanto attiene all’analisi delle alternative, occorre anzitutto constatare quanto segue:

–        le informazioni controverse figuranti nelle tabelle nn. 4.6, 4.7, 4.12, 4.13, 4.18, 4.19, 4.23, 4.24, 4.27, 4.28, 4.33, 4.34, 4.37, 4.38, 4.41, 4.42, 4.46, 4.47, 4.51, 4.52, 4.56 e 4.57 sono dati numerici nell’ambito di comparazioni dei valori DNEL e PNEC, effettuate fra il DEHP e altre sostanze chimiche;

–        le tabelle nn. 25 e 26 del documento intitolato «Valutazione dei pericoli e dei rischi presentati dalle alternative al DEHP» (Hazard and Risk Evaluation for DEHP Alternatives) contengono una valutazione comparativa, rispettivamente, dei pericoli per la salute umana e dei pericoli per l’ambiente. Le informazioni controverse contenute nelle tabelle riguardano il nome delle sostanze alternative, i valori DNEL e PNEC di ciascuna di esse, nonché brevi osservazioni su talune di queste sostanze;

–        le informazioni controverse della tabella n. 27 del summenzionato documento hanno ad oggetto tre dati numerici rappresentanti il livello di migrazione, nella saliva, del DEHP e di un’altra sostanza, e l’informazione controversa contenuta nella tabella n. 28 è un dato numerico che rappresenta il livello di migrazione, nel sudore, del DEHP;

–        le informazioni controverse contenute nel punto 5.5 del summenzionato documento, relative alle conclusioni generali, sono considerazioni sul valore PNEC relative ad un’altra sostanza.

74      Occorre poi precisare che, nelle sue osservazioni formulate in occasione della procedura di consultazione dei terzi, la ricorrente ha fatto valere, per quanto riguarda le tabelle menzionate al punto 73, primo trattino, supra, che esse contenevano informazioni analoghe a quelle contenute nella relazione sulla sicurezza chimica, ossia, segnatamente, taluni valori DNEL e PNEC, e che tali informazioni rientravano nella proprietà intellettuale del richiedente l’autorizzazione. La ricorrente ha sottolineato che la divulgazione di siffatte informazioni le avrebbe arrecato un pregiudizio commerciale, in quanto esse potevano essere oggetto di una compensazione finanziaria. Essa ha rilevato che l’accesso all’analisi delle alternative doveva costituire l’oggetto di una compensazione finanziaria e doveva dunque essere negoziato al fine di garantire una ripartizione delle spese.

75      Occorre rammentare che, nelle decisioni impugnate, l’ECHA ha reputato che i valori DNEL e PNEC, i risultati degli studi e le conclusioni della classificazione contenuti nell’analisi delle alternative non dovessero essere considerati riservati, in quanto non si poteva ritenere che tali risultati e tali conclusioni, in quanto tali, senza la valutazione dettagliata sottesa, arrecassero seriamente pregiudizio all’interesse commerciale della ricorrente o delle ex ricorrenti o di una parte terza. L’ECHA sottolinea parimenti che tale tipo di informazione deve essere pubblicato dall’ECHA, in conformità all’articolo 119, paragrafo 1, lettere c), e) e f), del regolamento n. 1907/2006.

76      È giocoforza constatare che la ricorrente non ha dimostrato in che senso la divulgazione dei dati contenuti nell’analisi delle alternative, presi in considerazione proprio dalla sua richiesta di non divulgazione, arrecherebbe pregiudizio al suo interesse commerciale. Si tratta, infatti, di dati numerici oggettivi, stabiliti nell’ambito delle comparazioni dei valori DNEL e PNEC effettuate fra il DEHP e altre sostanze chimiche, i quali provengono essenzialmente da studi pubblicati. Orbene, non si può ritenere che tali dati numerici contenuti in studi pubblicati rientrino nell’interesse commerciale della ricorrente. Come è stato sottolineato al punto 61 supra, l’ECHA ha occultato le osservazioni «soggettive» della ricorrente su tali dati, circostanza rilevata peraltro dalle decisioni impugnate tramite la precisazione che non si può ritenere che i risultati e le conclusioni in quanto tali, «senza la valutazione dettagliata sottesa», arrechino seriamente pregiudizio all’interesse commerciale della ricorrente o delle ex ricorrenti.

77      In tale contesto, al pari di quanto è stato sottolineato al punto 63 supra, la compilazione di dati oggettivi non può rivelare, in quanto tale, il contenuto della strategia commerciale né le scelte future della ricorrente in relazione alla fabbricazione del DEHP, e non può neanche essere considerata relativa a dati propri dell’impresa che ne mostrerebbero la competenza, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 56 supra.

78      Le stesse considerazioni possono essere formulate per le informazioni controverse contenute nelle tabelle nn. da 25 a 28 del documento intitolato «Valutazione dei pericoli e dei rischi presentati dalle alternative al DEHP». La ricorrente non ha peraltro fornito alcuna spiegazione intesa a giustificare la ragione per cui, sugli undici dati numerici figuranti nelle tabelle nn. 27 e 28, quattro non avrebbero dovuto essere divulgati.

79      Occorre precisare, per quanto riguarda la tabella n. 25, che l’ECHA ha incluso la colonna intitolata «Osservazioni» nelle informazioni da divulgare. È giocoforza constatare che tali osservazioni sono descrittive. Quanto alle informazioni incluse nella colonna intitolata «Osservazioni», contenuta nella tabella n. 26, la ricorrente non ha fatto valere alcun elemento che consenta di ritenere che si sia in presenza di valutazioni che presentano un plusvalore nel senso di cui al punto 60 supra.

80      Quanto alle informazioni controverse figuranti alla sezione 5.5 dell’analisi delle alternative, la ricorrente non ha neanche presentato la minima giustificazione che consentirebbe di ritenere che la loro divulgazione arrecherebbe pregiudizio al suo interesse commerciale. Il carattere riservato di tali informazioni è tanto più difficilmente concepibile in quanto si tratta di individuare altre sostanze che avrebbero effetti sull’ambiente equivalenti al DEHP o più preoccupanti di quest’ultimo. Non risulta che informazioni del genere siano sufficienti a rivelare il contenuto della strategia commerciale della ricorrente e dell’orientamento delle sue ricerche e sviluppi nel settore delle sostanze chimiche, oppure che esse rientrino nel suo know-how o mostrino la sua competenza, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 56 supra.

81      In terzo luogo, la ricorrente fa valere di avere presentato diverse informazioni che non devono essere obbligatoriamente fornite al momento della domanda di autorizzazione. Più specificamente, essa sottolinea che, alla luce del fatto che il regolamento n. 1907/2006 aveva qualificato il DEHP non come una sostanza che incideva sull’ambiente, bensì come una sostanza avente possibili effetti tossici sull’uomo, essa non era tenuta a produrre i dati relativi ai valori PNEC. Pur ammettendo che i valori PNEC non dovevano essere prodotti nella specie, l’ECHA sottolinea che ciò non incideva affatto sull’obbligo ad essa incombente di divulgare i dati in suo possesso.

82      Anzitutto, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001 e dell’articolo 118, paragrafo 1, del regolamento n. 1907/2006, l’ambito di applicazione del regolamento n. 1049/2001 si estende a tutti i documenti detenuti dalle istituzioni e dalle agenzie, vale a dire ai documenti formati o ricevuti dalle medesime e che si trovino in loro possesso concernenti tutti i settori d’attività dell’Unione.

83      Di conseguenza, un’informazione presentata ad un’istituzione o ad un’agenzia dell’Unione nell’ambito di un procedimento amministrativo, quale una procedura di autorizzazione per l’uso di una sostanza chimica o per l’immissione sul mercato di un medicinale può, in linea di principio, essere divulgata anche qualora tale informazione non dovesse essere obbligatoriamente prodotta nell’ambito della procedura di cui trattasi ed essa sia stata trasmessa volontariamente dal suo detentore. Le uniche eccezioni a tale divulgazione sono quelle previste all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001. Orbene, nessuna di esse riguarda le informazioni contenute nei documenti presentati volontariamente all’ECHA dalla ricorrente.

84      Ne consegue che l’ECHA ha giustamente trattato in maniera identica le informazioni controverse non obbligatorie presentate volontariamente dalla ricorrente e quelle imposte dal regolamento n. 1907/2006 in relazione alla domanda di autorizzazione e che, pertanto, essa ha ritenuto di essere tenuta a divulgarle.

85      Inoltre, poiché l’ambito di applicazione del regolamento n. 1049/2001 è definito in modo chiaro, la persona fisica o giuridica che sottopone un’informazione non può far valere il principio di tutela del legittimo affidamento per aver creduto che un documento prodotto volontariamente non possa essere divulgato in applicazione del regolamento n. 1049/2001. L’argomentazione della ricorrente deve pertanto essere respinta anche su tale punto.

86      Inoltre, la ricorrente ha affermato, in udienza, di avere prodotto tali informazioni al fine di presentare un fascicolo completo delle alternative che non incidevano né sull’uomo né sull’ambiente. Per questo motivo, anche se tali informazioni non erano obbligatorie, esse sono state presentate al fine di suffragare il fascicolo della domanda di autorizzazione ed aumentare così le possibilità di ottenere un’autorizzazione presso la Commissione e l’ECHA.

87      Infine, la ricorrente non precisa in che senso i valori PNEC oggettivi menzionati nell’analisi delle alternative arrecherebbero pregiudizio al suo interesse commerciale. Inoltre, poiché il DEHP non è considerato una sostanza pericolosa per l’ambiente, la ricorrente non avrebbe a priori alcun interesse commerciale a nascondere tali informazioni, le quali attesterebbero tale assenza di incidenza del DEHP sull’ambiente e sarebbero pertanto vantaggiose per la medesima.

88      Ne consegue che l’ECHA non ha violato l’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1907/2006.

 Sulla questione dell’obbligo di divulgazione delle informazioni in applicazione dell’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006 o del carattere già pubblico di queste ultime

89      Occorre esaminare gli argomenti dedotti dall’ECHA secondo i quali le eccezioni previste all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001 non potrebbero essere applicate alle informazioni considerate pubbliche ai sensi dell’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006, da un lato, né a quelle già accessibili al pubblico, dall’altro.

–       Sulla ricevibilità della contestazione relativa ad un’applicazione erronea dell’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006

90      Occorre ricordare che, in risposta al primo motivo, l’ECHA fa valere che talune informazioni relative ai valori DNEL e PNEC erano pubbliche ai sensi dell’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006. Nell’ambito della replica, la ricorrente sostiene che l’ECHA ha commesso un errore di valutazione applicando tale disposizione ai dati corrispondenti ai valori DNEL e PNEC oggetto della procedura di autorizzazione. L’ECHA sostiene che tale censura è nuova e tardiva e, pertanto, irricevibile. Essa fa valere che le decisioni impugnate avrebbero chiaramente indicato che, per quanto riguarda i valori DNEL e PNEC e i risultati degli studi, informazioni del genere dovevano essere divulgate, in conformità all’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006, e che, pertanto, le presunzioni legali previste da tale disposizione erano loro applicabili.

91      In proposito giova ricordare che, ai sensi dell’articolo 48, paragrafo 2, primo comma, del regolamento di procedura del 2 maggio 1991, è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto o di fatto emersi durante il procedimento. Un motivo che costituisce un’estensione di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, e che sia strettamente connesso con questo, va considerato ricevibile (sentenze del 10 aprile 2003, Travelex Global and Financial Services e Interpayment Services/Commissione, T‑195/00, EU:T:2003:111, punti 33 e 34, e del 24 maggio 2007, Duales System Deutschland/Commissione, T‑151/01, EU:T:2007:154, punto 71). Inoltre, il divieto posto dall’articolo 48, paragrafo 2, del regolamento di procedura del 2 maggio 1991, riguarda solo i motivi nuovi e non osta a che le ricorrenti facciano valere argomenti nuovi a sostegno di motivi già contenuti nell’atto introduttivo (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2001, Wirtschaftsvereinigung Stahl e a./Commissione, T‑16/98, EU:T:2001:117, punto 49).

92      Nella specie, si evince dal paragrafo 6 delle lettere contenenti le decisioni impugnate che, secondo l’ECHA, non si poteva ritenere che le informazioni (valori, studio, risultati e conclusioni della classificazione) concernenti i valori DNEL e PNEC arrecassero pregiudizio all’interesse commerciale della ricorrente e che, pertanto, l’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001 non era applicabile a questo tipo di informazioni. Le decisioni impugnate precisano che tale conclusione era parimenti corroborata dal fatto che siffatte informazioni dovevano essere pubblicate in forza dell’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006.

93      Si evince dunque in modo chiaro dalle decisioni impugnate che le considerazioni secondo le quali l’articolo 119, paragrafo 1, del regolamento n. 1907/2006 prevedeva la pubblicazione delle informazioni concernenti i valori DNEL e PNEC venivano ad avvalorare la considerazione principale secondo la quale tali informazioni non potevano compromettere seriamente l’interesse commerciale della ricorrente. Risulta dunque che, sostenendo che informazioni del genere rientravano nell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, la ricorrente ha contestato in maniera implicita ma certa le considerazioni secondo le quali siffatte informazioni dovevano essere pubblicate in forza dell’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006.

94      Nell’ambito della replica, la ricorrente si è limitata a fornire una risposta all’argomento dell’ECHA che richiamava l’obbligo di pubblicare le informazioni concernenti i valori DNEL e PNEC in forza dell’articolo 119, paragrafo 1, del regolamento n. 1907/2006, il quale corroborava la considerazione principale relativa all’assenza di interesse commerciale.

95      Ne consegue che la censura relativa ad un’applicazione erronea dell’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006 deve essere dichiarata ricevibile.

–       Sull’esistenza dell’obbligo di pubblicare talune informazioni in applicazione dell’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006 e sulla questione del carattere già pubblico di altre informazioni

96      In primo luogo, occorre verificare se, come sostenuto dalla ricorrente, l’articolo 118 e l’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006 riguardino unicamente i dati corrispondenti ai valori DNEL e PNEC oggetto della procedura di registrazione di cui al titolo II del summenzionato regolamento, e non dati relativi all’applicazione concreta dei valori DNEL e PNEC nell’ambito della procedura di autorizzazione prevista al titolo VII del regolamento n. 1907/2006.

97      Come è stato rammentato al punto 50 supra, l’articolo 118 del regolamento n. 1907/2006 prevede che ai documenti detenuti dall’ECHA si applica il regolamento n. 1049/2001. Ne consegue che il principio del più ampio accesso possibile del pubblico ai documenti si applica, in linea di principio, ai documenti che costituiscono il fascicolo della domanda di autorizzazione di una sostanza chimica. È dunque indifferente che l’informazione venga presentata nel corso della procedura dal richiedente l’autorizzazione o che essa sia già stata presentata nell’ambito di un’altra procedura – come quella di registrazione – prevista dallo stesso regolamento n. 1907/2006. Pertanto, nessun elemento di prova consente di ritenere che il principio dell’accesso ai documenti previsto dal combinato disposto dell’articolo 118 del regolamento n. 1907/2006 e dell’articolo 2 del regolamento n. 1049/2001 non si applichi nei due casi.

98      L’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006, prevede quanto segue:

«Le seguenti informazioni detenute dall’[ECHA] sulle sostanze, in quanto tali o in quanto componenti di miscele o articoli, sono messe gratuitamente a disposizione del pubblico tramite Internet a norma dell’articolo 77, paragrafo 2, lettera e): (…) f) il livello derivato senza effetto (DNEL) o la prevedibile concentrazione priva di effetti (PNEC), stabiliti a norma dell’allegato I».

99      In tal senso, l’articolo 119, paragrafo 1, prevede una deroga specifica al regime di accesso ai documenti previsto dall’articolo 118, paragrafo 1, del regolamento n. 1907/2006 in combinato disposto con l’articolo 2 del regolamento n. 1049/2001. In termini imperativi, l’articolo 119, paragrafo 1, del regolamento n. 1907/2006, indica che diversi tipi di informazione sono accessibili al pubblico. Tale disposizione mira a che vengano trasmesse le informazioni minime indispensabili per controllare adeguatamente una sostanza, cioè i dati fondamentali sui pericoli della sostanza, i consigli d’uso, gli elementi della scheda di dati di sicurezza che non sono considerati riservati e i dati necessari per identificare la sostanza [v. documento COM(2003) 644 definitivo della Commissione del 23 ottobre 2003]. Fra le informazioni che sono messe a disposizione del pubblico vengono citati, all’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006, i valori DNEL e PNEC.

100    Occorre precisare che il valore DNEL corrisponde al valore di esposizione alle sostanze – calcolato normalmente sulla base dei descrittori di dose disponibili a partire da studi sull’animale – al di sotto del quale non ci si aspetta alcun effetto nocivo per l’uomo. Quanto al valore PNEC, esso corrisponde alla concentrazione delle sostanze al di sotto della quale è prevedibile che non vi siano effetti preoccupanti per l’ambiente in questione. Pertanto, ogni richiedente l’autorizzazione in grado di dimostrare che l’esposizione agli effetti di sostanze estremamente problematiche sulla salute umana o sull’ambiente è inferiore ai valori DNEL e PNEC richiesti, dimostra al tempo stesso che dall’uso di tali sostanze non ci si aspetta alcun effetto nocivo per l’uomo, che non è prevedibile che vi siano effetti nocivi per l’ambiente in questione e che il rischio presentato dalla sostanza per la salute umana o per l’ambiente è adeguatamente controllato, in conformità all’articolo 60, paragrafo 2, del regolamento n. 1907/2006.

101    Anzitutto, l’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006, non prevede esplicitamente che l’obbligo di pubblicazione dell’informazione tramite Internet si limita ai soli valori DNEL e PNEC presentati nell’ambito delle procedure di registrazione, e che esso non riguarderebbe dunque i valori ai quali si riferisce il richiedente nell’ambito di una procedura di autorizzazione.

102    Inoltre, l’articolo 64 del regolamento n. 1907/2006, il quale verte sulla procedura di adozione delle decisioni di autorizzazione, prevede esplicitamente, ai suoi paragrafi 2 e 6, che la pubblicazione delle informazioni sul sito Internet dell’ECHA viene effettuata nel rispetto delle disposizioni degli articoli 118 e 119 del medesimo regolamento.

103    Inoltre, l’allegato I al quale si riferisce l’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006, indica che la valutazione della sicurezza chimica di un fabbricante riguarda la fabbricazione di una sostanza e tutti gli usi identificati. Esso prevede parimenti che la valutazione prende in considerazione tutte le fasi del ciclo di vita della sostanza risultanti dalla fabbricazione e dagli usi identificati (v. punto 0.3 di detto allegato). Per stabilire il valore DNEL, viene precisato che, a seconda dello scenario o degli scenari d’esposizione, un solo valore DNEL può essere sufficiente oppure che è necessario determinare più valori DNEL per ogni categoria di persone interessata (ad esempio lavoratori, consumatori e categorie vulnerabili) e per diverse vie d’esposizione. L’allegato I al regolamento n. 1907/2006 prevede in tal senso che, se più vie d’esposizione sono probabili, un valore DNEL è determinato per ciascuna di esse e per l’esposizione complessiva da tutte le vie (v. punto 1.4.1 di detto allegato). L’allegato I al regolamento n. 1907/2006 indica parimenti che per ogni settore ambientale è determinato il valore PNEC (v. punto 3.3.1 di detto allegato).

104    L’allegato I al regolamento n. 1907/2006 contiene parimenti una parte dedicata alla caratterizzazione dei rischi, consistente segnatamente in un confronto tra l’esposizione delle categorie di persone interessate e i valori DNEL appropriati, e in un confronto delle concentrazioni ambientali previste in ogni settore ambientale e i valori PNEC (v. punti 6.2 e 6.3 di detto allegato). Il punto 6.4 di detto allegato indica che, per ogni scenario d’esposizione, i rischi per le persone e l’ambiente possono essere considerati adeguatamente controllati, nell’intero ciclo di vita della sostanza risultante dalla fabbricazione o dagli usi identificati, se, segnatamente, i livelli d’esposizione stimati in occasione della caratterizzazione dei rischi non superano i valori DNEL o PNEC appropriati.

105    Risulta sia dall’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006 sia dal suo allegato I che, alla luce dell’importanza dei dati corrispondenti ai valori DNEL e PNEC al fine di tutelare la salute pubblica e l’ambiente, la valutazione della sicurezza chimica di una sostanza e i dati che ne risultano devono riguardare tutti gli usi identificati e prendere in considerazione tutte le fasi del ciclo di vita di detta sostanza, e che tali dati devono essere pubblicati. Pertanto, la distinzione, effettuata dalla ricorrente, fra i dati corrispondenti ai valori DNEL e PNEC relativi alla «sostanza registrata» e l’applicazione concreta dei dati corrispondenti ai valori DNEL e PNEC nell’ambito della procedura di autorizzazione prevista al titolo VII del regolamento n. 1907/2006 risulta artificiosa. L’obbligo di pubblicazione previsto dalla summenzionata disposizione si applica senz’altro ai valori DNEL e PNEC contenuti nella relazione sulla sicurezza chimica allegata alla domanda di autorizzazione. Occorre sottolineare, a tal riguardo, che la ricorrente non ha rimesso in discussione le considerazioni dell’ECHA, della ClientEarth, della EEB e della HCWH Europe secondo le quali i valori DNEL e PNEC restavano, in linea di principio, immutati in relazione ad una determinata sostanza, e che il momento in cui ne era fatta menzione (procedura di registrazione o procedura di autorizzazione) e l’identità del richiedente che aveva effettuato il rilievo di valori nell’ambito di tali procedure rivestivano scarsa importanza. Infatti, essa si è limitata ad indicare, senza ulteriori spiegazioni, che i valori DNEL e PNEC menzionati nella relazione sulla sicurezza chimica erano altri, e che erano stati creati attraverso un altro metodo e ad altro scopo.

106    Infine, l’ECHA precisa che, nell’ambito di una domanda di autorizzazione, essa potrebbe trovarsi in presenza di valori DNEL e PNEC diversi da quelli di riferimento pubblicati dalla medesima. Essa indica che, dopo essere stati esaminati dal comitato per la valutazione dei rischi ed essere stati approvati dalla medesima, tali valori potrebbero essere riconosciuti quali nuovi valori di riferimento ed essere applicabili, da quel momento in poi, a tutte le successive domande di autorizzazione. Risulta pertanto che tali valori devono essere necessariamente resi pubblici.

107    In tale contesto, non può essere accolto l’argomento della ricorrente secondo il quale l’ECHA avrebbe già adempiuto al proprio obbligo di informazione tramite la pubblicazione, sul suo portale di informazione, dei dati corrispondenti ai valori DNEL e PNEC appropriati, concernenti la «sostanza registrata», o, ancora, un documento del 12 aprile 2013 intitolato «Autorizzazione, determinazione dei DNEL di riferimento del DEHP». Come sottolineato giustamente dall’ECHA, essa non era affatto tenuta a procedere alla pubblicazione dei valori DNEL o PNEC di riferimento per le sostanze soglia. Tuttavia, poiché tali valori DNEL e PNEC devono essere utilizzati nello stesso modo da tutti i richiedenti l’autorizzazione, l’ECHA, per ragioni di trasparenza e di parità di trattamento, ha ritenuto necessario pubblicarli, al fine di consentire a detti richiedenti di capire i criteri di valutazione. Un’iniziativa del genere non può esserle addebitata e non può essere considerata obbligatoria. In ogni caso, una siffatta pubblicazione dei valori di riferimento non esonererebbe l’ECHA dal pubblicare, in conformità all’articolo 64, paragrafo 2, del regolamento n. 1907/2006 e nel rispetto degli articoli 118 e 119 del medesimo regolamento, le informazioni generali, trasmesse dalla ricorrente, sugli usi per i quali è pervenuta la domanda di autorizzazione del DEHP.

108    Relativamente alla portata dell’obbligo di pubblicazione delle informazioni di cui all’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006, occorre accogliere la considerazione dell’ECHA secondo la quale tale obbligo si estende alle informazioni minime sul metodo di derivazione o di predizione dei valori DNEL e PNEC e sulla loro correlazione con altri valori. Infatti, tali informazioni minime sono indispensabili per capire cosa rappresentino i valori DNEL e PNEC e per determinare a cosa essi si riferiscano. È dunque giocoforza ammettere, come sottolineato dall’ECHA, che, se venissero pubblicati i soli valori, senza una spiegazione quanto al loro significato, la summenzionata disposizione perderebbe il suo effetto utile.

109    In secondo luogo, per quanto riguarda l’affermazione secondo la quale talune informazioni erano già accessibili al pubblico, è evidente e, del resto, non contestato dalle parti, che la parte delle informazioni già accessibili al pubblico poteva essere divulgata. La questione da esaminare è, in realtà, se la compilazione dei dati scientifici noti – e, pertanto, già accessibili al pubblico – e di dati scientifici segreti debba essere divulgata. La ricorrente sostiene che una siffatta combinazione produce un insieme di informazioni complesso che, in quanto tale, non è facilmente accessibile e deve pertanto ricevere un trattamento riservato.

110    Occorre rilevare che la ricorrente non ha individuato, nell’elenco delle informazioni controverse, quelle che costituirebbero dati scientifici segreti raggruppati con informazioni già accessibili al pubblico. Inoltre, si evince dall’analisi svolta ai punti 58 e seguenti, supra, che esse non rientrano nel segreto commerciale.

111    Ne consegue che l’ECHA non è incorsa in errore considerando, nelle decisioni impugnate, che una parte delle informazioni controverse era già accessibile al pubblico, nella misura in cui era già stata pubblicata, e che un’altra parte doveva essere accessibile al pubblico in applicazione dell’articolo 119 del regolamento n. 1907/2006.

112    Risulta da tutte le suesposte considerazioni che la prima censura deve essere respinta.

 Sulla seconda censura, relativa alla violazione della tutela dei diritti di proprietà intellettuale, la quale giustifica l’applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001

113    La ricorrente sostiene che l’ECHA arreca pregiudizio in maniera ingiustificata al suo diritto ad un trattamento riservato delle informazioni che costituiscono la sua proprietà intellettuale, la quale fa parte del suo segreto commerciale. Essa richiama, a tal riguardo, la definizione del segreto commerciale figurante all’articolo 39, paragrafo 2, dell’accordo TRIPs.

114    L’ECHA confuta tale censura.

115    In via preliminare, occorre ricordare che l’articolo 39, paragrafo 2, dell’accordo TRIPs, prevede quanto segue:

«Le persone fisiche e giuridiche hanno la facoltà di vietare che, salvo proprio consenso, le informazioni sottoposte al loro legittimo controllo siano rivelate a terzi oppure acquisite o utilizzate da parte di terzi in un modo contrario a leali pratiche commerciali nella misura in cui tali informazioni:

a)      siano segrete nel senso che non sono, nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi, generalmente note o facilmente accessibili a persone che normalmente si occupano del tipo di informazioni in questione;

b)      abbiano valore commerciale in quanto segrete (…)».

116    Occorre anzitutto sottolineare che le disposizioni dell’accordo TRIPs, che fa parte degli accordi dell’OMC, firmati dalla Comunità europea e successivamente approvati dalla decisione 94/800/CE del Consiglio del 22 dicembre 1994 relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU 1994, L 336, pag. 1), costituiscono parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione. Qualora in un settore disciplinato dall’accordo TRIPs esista una disciplina dell’Unione, trova applicazione il diritto dell’Unione, ciò che implica l’obbligo, nella misura del possibile, di operare un’interpretazione conforme a tale accordo, senza che tuttavia possa essere riconosciuta alla disposizione in questione dell’accordo suddetto un’efficacia diretta (v. sentenza dell’11 settembre 2007, Merck Genéricos – Produtos Farmacêuticos, C‑431/05, EU:C:2007:496, punto 35 e la giurisprudenza ivi citata). Ne consegue che l’articolo 39, paragrafo 2, dell’accordo TRIPs non può essere fatto valere in quanto tale per invalidare le decisioni impugnate.

117    Nella misura in cui l’argomento della ricorrente debba essere inteso nel senso che esiste un principio, il quale si ispira alla definizione contenuta nell’articolo 39, paragrafo 2, dell’accordo TRIPs, secondo il quale il mero fatto che una persona che ha presentato un documento sia titolare di un diritto di proprietà intellettuale su tale documento sarebbe sufficiente ad applicare l’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1907/2006, esso deve essere respinto.

118    Infatti, un approccio simile non è conforme al contenuto dell’articolo 39, paragrafo 2, dell’accordo TRIPs, al quale si ispira la ricorrente. Tale disposizione prevede, infatti, che, per non essere divulgate, le informazioni di cui trattasi devono essere «segrete». Il fatto che queste informazioni abbiano un valore commerciale non ne fa dei segreti.

119    Analogamente, l’approccio sostenuto dalla ricorrente equivarrebbe a ritenere che la tutela accordata ai diritti di proprietà intellettuale prevarrebbe sistematicamente sulla presunzione a favore della divulgazione delle informazioni sancita dal regolamento n. 1049/2001 e dall’articolo 118, paragrafo 1, del regolamento n. 1907/2006. Come sottolineato dall’ECHA, l’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1907/2006 non può essere interpretato nel senso che il fatto che un diritto d’autore protegga un documento implica che quest’ultimo sia un segreto commerciale e che il suo titolare possa dunque far valere l’eccezione prevista da tale disposizione.

120    A tal riguardo, occorre ricordare che l’articolo 16 del regolamento n. 1049/2001 prevede che «[detto] regolamento non pregiudica le disposizioni esistenti in materia di diritto d’autore, che possono limitare il diritto di terzi di riprodurre o sfruttare i documenti divulgati». Analogamente, come è stato ricordato al punto 66 supra, l’articolo 63, paragrafo 1, del regolamento n. 1907/2006, prevede che il richiedente successivo dell’uso di una sostanza deve essere autorizzato dal richiedente precedente per poter far riferimento alle parti pertinenti della domanda precedente. Tali disposizioni tutelano in tal modo il titolare di un documento a fronte della violazione del diritto di autore e del valore commerciale di detto documento nel caso in cui le informazioni ivi contenute siano divulgate a seguito di una domanda di accesso al medesimo. Infatti, tali disposizioni impediscono che le informazioni controverse siano utilizzate a fini commerciali dai concorrenti e procurino loro, in tal modo, un vantaggio concorrenziale.

121    Ne consegue che la seconda censura dev’essere respinta.

 Sulla terza censura, relativa all’assenza di un’indicazione chiara quanto all’interesse pubblico che giustifica la divulgazione delle informazioni controverse

122    Nell’ambito della terza censura, la ricorrente sostiene che l’«interesse pubblico prevalente» che giustifica la divulgazione delle informazioni controverse non può essere considerato né di fondamentale rilevanza né perseguito da detta divulgazione. Essa ritiene che l’interesse connesso alla protezione dei suoi diritti fondamentali (o dei suoi interessi commerciali) prevalga sull’interesse pubblico che giustifica la divulgazione delle informazioni controverse, e aggiunge che l’ECHA non ha spiegato in cosa consisterebbe l’interesse pubblico alla divulgazione delle informazioni controverse.

123    Occorre ricordare che l’articolo 4, paragrafo 2, ultima parte di periodo, del regolamento n. 1049/2001, dispone che le istituzioni dell’Unione non rifiutano l’accesso a un documento qualora la sua divulgazione sia giustificata da un interesse pubblico prevalente, ancorché essa possa arrecare pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica o alla tutela degli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile delle istituzioni dell’Unione (sentenza del 7 ottobre 2014, Schenker/Commissione, T‑534/11, EU:T:2014:854, punto 74). In tale contesto, occorre ponderare, da un lato, l’interesse specifico che deve essere tutelato impedendo la divulgazione del documento in questione e, dall’altro, in particolare, l’interesse generale all’accessibilità a tale documento, alla luce dei vantaggi che derivano, come precisa il considerando 2 del regolamento n. 1049/2001, da una maggiore trasparenza, consistenti in una migliore partecipazione dei cittadini al processo decisionale e in una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità dell’amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico (sentenza del 21 ottobre 2010, Agapiou Joséphidès/Commissione e EACEA, T‑439/08, non pubblicata, EU:T:2010:442, punto 136).

124    Se l’interesse pubblico prevalente che può giustificare la divulgazione di un documento non deve necessariamente essere distinto dai principi soggiacenti al regolamento n. 1049/2001 (sentenza del 14 novembre 2013, LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punto 92), si evince tuttavia dalla giurisprudenza che considerazioni generiche da sole non possono essere idonee a dimostrare che il principio di trasparenza presenta una rilevanza particolare, che potrebbe prevalere sulle ragioni che giustificano il diniego di divulgazione dei documenti in questione, e che incombe al richiedente invocare concretamente le circostanze su cui si fonda l’interesse pubblico prevalente alla divulgazione dei documenti in questione (v., in tal senso, sentenze del 14 novembre 2013, LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punti 93 e 94, e del 23 settembre 2015, ClientEarth e International Chemical Secretariat/ECHA, T‑245/11, EU:T:2015:675, punto 193).

125    Nella specie, come sottolineato dall’ECHA, quest’ultima non ha concluso che le informazioni in questione dovevano essere protette da un regime derogatorio come quello previsto all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001. Per questo motivo, essa non aveva l’obbligo di stabilire o valutare l’interesse pubblico alla divulgazione delle informazioni, né di ponderarlo con l’interesse della ricorrente a mantenere riservate dette informazioni.

126    Ne consegue che gli argomenti della ricorrente sono inoperanti.

127    Inoltre, per quanto attiene ai valori DNEL e PNEC contenuti nella relazione sulla sicurezza chimica e nell’analisi delle alternative, occorre ricordare che, anche ammesso che tali valori rientrino nell’interesse commerciale della ricorrente, l’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006 prevede che essi siano accessibili d’ufficio al pubblico. Questo obbligo di accesso a tali informazioni è giustificato, al considerando 117 del medesimo regolamento, dalla necessità di dare ai cittadini dell’Unione informazioni riguardanti le sostanze a cui possono essere esposti, per poter decidere con cognizione di causa dell’uso che intendono fare di tali sostanze.

128    Come sottolineato sostanzialmente e correttamente dall’ECHA, si evince dall’articolo 119, paragrafo 1, del regolamento n. 1907/2006 e dal suo considerando 117 che il legislatore dell’Unione ha ritenuto che la divulgazione delle informazioni ivi menzionate fosse una questione di grande interesse. Detto legislatore ha effettuato esso stesso una ponderazione degli interessi per concludere che l’interesse alla divulgazione delle informazioni relative ai valori DNEL e PNEC pesava di più rispetto all’interesse della ricorrente alla non divulgazione delle medesime, in quanto tali informazioni riguardavano interessi fra i più importanti esistenti, ossia quelli relativi alla salute umana e all’ambiente. Tali considerazioni sono idonee a dimostrare che il principio di trasparenza presenta una rilevanza particolare, che potrebbe prevalere sulle eventuali ragioni che giustificano il diniego di divulgazione di dette informazioni controverse.

129    Lo stesso vale nel caso dei valori di esposizione NOAEL, vale a dire quelli intesi ad indicare la concentrazione massima in corrispondenza della quale non si osservano effetti avversi, contenuti negli approcci, nei metodi e nelle riflessioni. Infatti, anche ammesso che la loro divulgazione possa arrecare pregiudizio agli interessi commerciali della ricorrente – circostanza che quest’ultima non è tuttavia riuscita a dimostrare –, tali informazioni sono in ogni caso essenziali affinché il pubblico abbia un’indicazione dei rischi connessi all’uso del DEHP. Pertanto, l’ECHA non è incorsa in errore nel ritenere che esistesse un considerevole interesse per il pubblico alla divulgazione di tali informazioni.

130    Quanto all’affermazione della ricorrente secondo la quale l’ECHA non avrebbe indicato in modo chiaro e concreto quale interesse pubblico giustificherebbe la divulgazione delle informazioni controverse, essa deve essere respinta. Come si evince dai punti 69, 92, 128 e 129 supra, l’esistenza di un interesse pubblico prevalente alla divulgazione di talune informazioni controverse è stata motivata dal riferimento all’articolo 119 del regolamento n. 1907/2006 – la cui giustificazione è ravvisabile al considerando 117 del medesimo regolamento – per quanto riguarda i riferimenti ai valori DNEL e PNEC, da un lato, e dalla motivazione delle decisioni impugnate stesse per quanto attiene ai valori di esposizione NOAEL, dall’altro.

131    Di conseguenza, la terza censura, relativa all’assenza di indicazioni chiare quanto all’interesse pubblico che giustifica la divulgazione delle informazioni controverse, deve essere respinta.

 Sulla quarta censura, relativa alla violazione dell’obbligo di motivazione

132    La ricorrente sostiene che l’ECHA, non indicando i motivi intesi a stabilire se le informazioni controverse costituivano o meno segreti commerciali ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 2, dell’accordo TRIPs e, a fortiori, non menzionando l’eventuale interesse pubblico prevalente alla base della sua decisione di divulgazione di tali informazioni riservate, ha violato l’articolo 296 TFUE.

133    Secondo una giurisprudenza costante, la motivazione richiesta dall’articolo 296 TFUE deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e al giudice competente di esercitare il suo controllo. La necessità di motivazione deve essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo interessate direttamente e individualmente possono avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto la questione se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di detto articolo 296 TFUE va valutata alla luce non solo del tenore di quest’ultimo, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi (v. sentenza del 7 luglio 2011, Valero Jordana/Commissione, T‑161/04, non pubblicata, EU:T:2011:337, punto 48 e la giurisprudenza ivi citata).

134    Nella specie, l’ECHA indica innanzitutto, nelle decisioni impugnate, che diverse informazioni contenute nella relazione sulla sicurezza chimica devono essere divulgate in quanto esse sono già accessibili al pubblico: si tratta di informazioni già disponibili su Internet (ad esempio, al capitolo 9.0.1, tabella ricapitolativa degli usi oggetto di descrittori, già oggetto di pubblicazione sul sito dell’ECHA quale informazione generale sugli usi necessaria per la consultazione del pubblico sulle alternative), di informazioni provenienti da pubblicazioni sottoposte a valutazione «inter pares» (ad esempio, capitolo 5.10.1.2), di riassunti di studi e di valutazioni ecotossicologiche sperimentali pubblicate in riviste approvate «inter pares» o, ancora, di capitoli che sono stati adattati o copiati direttamente dalla valutazione dei rischi presentata nel 2008 dall’Unione, accessibile al pubblico (ad esempio, capitoli 5.6.3, 5.7.3, 5.10.3 e pagg. da 141 a 142 e da 168 a 175).

135    È giocoforza constatare che i motivi per cui le summenzionate informazioni non possono rientrare nell’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, emergono in maniera chiara dalle decisioni impugnate, ossia che tali informazioni sono già accessibili al pubblico.

136    L’ECHA sottolinea poi, per quanto riguarda l’analisi delle alternative e la relazione sulla sicurezza chimica, che i valori DNEL e PNEC, i risultati degli studi e le conclusioni della classificazione, non sono considerati riservati, dal momento che non si può ritenere che tali risultati e tali conclusioni in quanto tali, senza la valutazione dettagliata sottesa, arrechino seriamente pregiudizio all’interesse commerciale della ricorrente o di un terzo. Da un lato, risulta da tale motivazione che l’ECHA ha operato una distinzione fra, da un lato, i dati «oggettivi» e le conclusioni semplici che possono esserne facilmente tratte – considerati non riservati – e, dall’altro, le valutazioni dettagliate effettuate dalla ricorrente sulla base di tali dati – considerate riservate. Dall’altro, le decisioni impugnate indicano parimenti che questo tipo di informazioni doveva essere pubblicato dall’ECHA in conformità all’articolo 119, paragrafo 1, lettere c), e) e f), del regolamento n. 1907/2006.

137    Pertanto, per quanto riguarda le informazioni relative ai valori DNEL e PNEC, occorre constatare che l’ECHA ha motivato in maniera sufficiente le ragioni per cui essa riteneva che la loro divulgazione non potesse arrecare pregiudizio all’interesse commerciale della ricorrente, nonché le ragioni per cui essa si reputava tenuta a divulgare le informazioni, ossia l’esistenza di un obbligo previsto all’articolo 119, paragrafo 1, lettere c), e) e f), del regolamento n. 1907/2006.

138    Inoltre, le decisioni impugnate indicano che i valori di esposizione NOAEL contenuti negli approcci, nei metodi e nelle riflessioni, non potevano arrecare pregiudizio all’interesse commerciale della ricorrente e che, di conseguenza, neanche la divulgazione dei rapporti di caratterizzazione dei rischi (RCR) – i quali rappresentano una combinazione dei dati corrispondenti ai valori DNEL e PNEC e dei valori di esposizione – arrecava pregiudizio a detto interesse commerciale. L’ECHA sottolinea che a questo tipo di informazione non è applicabile l’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001. Essa rileva che questo tipo di informazione è essenziale affinché il pubblico abbia un’indicazione dei rischi connessi all’uso del DEHP, e che esiste dunque un interesse considerevole del pubblico alla loro divulgazione.

139    Ne consegue che l’ECHA ha menzionato in modo chiaro i motivi per cui le informazioni in questione dovevano, a suo avviso, essere rese pubbliche, quelli per cui sono stati respinti gli argomenti della ricorrente intesi ad applicare le eccezioni previste all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001 e quelli per cui essa riteneva che talune informazioni non potessero essere divulgate.

140    Infine, le decisioni impugnate indicano che i nomi degli autori di rapporti di studi non pubblicati non sono stati divulgati, in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1049/2001, ma che in relazione alla data e al titolo degli studi non era applicabile nessuna eccezione.

141    Inoltre, si deve considerare che le decisioni impugnate contengono i motivi per cui solo la data e il titolo degli studi non ancora accessibili al pubblico potevano essere divulgati.

142    Pertanto, la censura relativa alla violazione dell’obbligo di motivazione deve essere respinta, in quanto l’ECHA ha motivato in maniera sufficiente le decisioni impugnate.

143    Dalle suesposte considerazioni risulta che il primo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, deve essere respinto.

3.     Sul secondo e sul terzo motivo, relativi, da un lato, per quanto riguarda il secondo, alla violazione degli impegni dell’Unione risultanti dall’accordo TRIPs e all’ingerenza nel diritto alla tutela delle informazioni riservate (segreti commerciali) e, dall’altro, per quanto riguarda il terzo, alla violazione degli impegni dell’Unione risultanti dall’articolo 8 della CEDU e dall’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali nonché all’ingerenza nel diritto di proprietà e nella tutela della proprietà

144    Il Tribunale ritiene che occorra esaminare congiuntamente il secondo e il terzo motivo, relativi, da un lato, per quanto riguarda il secondo, alla violazione degli impegni dell’Unione risultanti dall’accordo TRIPs e alla conseguente ingerenza nel diritto alla tutela delle informazioni riservate (segreti commerciali) e, dall’altro, per quanto riguarda il terzo, alla violazione degli impegni dell’Unione risultanti dall’articolo 8 della CEDU e dall’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali nonché all’ingerenza nel diritto di proprietà e nella tutela della proprietà.

145    In via preliminare, come è stato ricordato al punto 116 supra, le disposizioni dell’accordo TRIPs costituiscono parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione, ma ad esse non può essere attribuito alcun effetto diretto. Ne consegue che l’articolo 39, paragrafo 2, dell’accordo TRIPs non può essere fatto valere, in quanto tale, per invalidare le decisioni impugnate.

146    In primo luogo, deve essere esaminato l’argomento dell’ECHA secondo il quale, per poter sostenere che le decisioni impugnate violano la CEDU, la Carta dei diritti fondamentali e l’accordo TRIPs, la ricorrente avrebbe dovuto far valere l’incompatibilità delle disposizioni speciali del regolamento n. 1907/2006 – ossia dell’articolo 119, paragrafo 1, lettere c), e) e f), di detto regolamento, il quale prevede presunzioni legali di non riservatezza – con il diritto primario dell’Unione o con le disposizioni di rango giuridico superiore di dette convenzioni.

147    Per quanto riguarda l’affermazione relativa ad una violazione della CEDU e della Carta dei diritti fondamentali, è giocoforza considerare che la ricorrente fa valere un diritto fondamentale alla tutela delle informazioni, sancito all’articolo 339 TFUE. Occorre parimenti ricordare che, secondo la giurisprudenza, la tutela dei segreti commerciali è riconosciuta quale principio generale (v., in tal senso, sentenze del 24 giugno 1986, AKZO Chemie e AKZO Chemie UK/Commissione, 53/85, EU:C:1986:256, punto 28; del 19 maggio 1994, SEP/Commissione, C‑36/92 P, EU:C:1994:205, punto 37, e del 14 febbraio 2008, Varec, C‑450/06, EU:C:2008:91, punto 49). Si pone dunque la questione se l’articolo 119 del regolamento n. 1907/2006 non sia stato interpretato in modo tale che, applicandolo, l’ECHA avrebbe arrecato pregiudizio al diritto fondamentale alla tutela delle informazioni. In tal senso, come sottolineato in sostanza dalla ricorrente, la sua linea argomentativa è diretta non avverso tale diposizione particolare del regolamento n. 1907/2006, bensì avverso il modo in cui l’ECHA ha interpretato tale disposizione e, pertanto, il modo in cui essa l’ha applicata. Alla ricorrente non può dunque essere addebitato di non aver fatto valere, in forza dell’articolo 277 TFUE, l’inapplicabilità del regolamento a causa del suo asserito contrasto con il diritto primario dell’Unione.

148    Quanto all’argomento relativo ad una violazione dell’accordo TRIPs, per i motivi richiamati al punto 145 supra, è irrilevante l’argomento dell’ECHA secondo il quale la ricorrente avrebbe dovuto sollevare un’eccezione di illegittimità delle disposizioni rilevanti dei regolamenti di cui trattasi rispetto all’accordo TRIPs.

149    In secondo luogo, occorre analizzare il secondo motivo, relativo alla violazione degli impegni dell’Unione risultanti dall’accordo TRIPs e alla conseguente ingerenza nel diritto alla tutela dei segreti commerciali. La ricorrente fa valere che le informazioni controverse costituiscono segreti commerciali (informazioni riservate) ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 2, dell’accordo TRIPs nel senso che, nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi, essi non sono generalmente noti o facilmente accessibili a persone all’interno delle cerchie che normalmente si occupano del tipo di informazioni in questione.

150    Come è stato ricordato al punto 116 supra, risulta dalla giurisprudenza che, qualora in un settore disciplinato dall’accordo TRIPs esista una disciplina dell’Unione, trova applicazione il diritto dell’Unione, ciò che implica l’obbligo, nella misura del possibile, di operare un’interpretazione conforme a tale accordo.

151    I regolamenti n. 1049/2001 e n. 1907/2006 devono dunque essere interpretati in modo da assicurare la conformità dei medesimi al contenuto dell’articolo 39, paragrafi 2 e 3, dell’accordo TRIPs. Quest’ultima disposizione non può tuttavia implicare che la tutela accordata ai diritti di proprietà intellettuale prevalga in maniera assoluta sulla presunzione a favore della divulgazione delle informazioni presentate nell’ambito di un domanda di autorizzazione per l’uso di una sostanza chimica. In tal senso, l’approccio sostenuto dalla ricorrente equivarrebbe a disapplicare l’articolo 119 del regolamento n. 1907/2006. Orbene, un siffatto approccio non può essere accolto, in quanto esso porta in realtà a mettere in discussione la legittimità di tale disposizione alla luce dell’articolo 39, paragrafi 2 e 3, dell’accordo TRIPs (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, T‑201/04, EU:T:2007:289, punto 800).

152    Nella specie, non risulta che l’ECHA abbia proceduto ad un’applicazione dei regolamenti n. 1049/2001 e n. 1907/2006, la quale non sia coerente con l’articolo 39, paragrafi 2 e 3, dell’accordo TRIPs.

153    Infatti, come si evince dai punti da 60 a 67 supra, gli studi pubblicati – e, pertanto, già accessibili al pubblico – potevano essere divulgati. Ciò è tanto più vero in quanto l’ECHA ha occultato le conclusioni – tratte dalla ricorrente alla luce di tali studi – le quali non sono accessibili al pubblico e in relazione alle quali essa ha dunque ritenuto, in sostanza, che esse presentassero un plusvalore nel senso di cui al punto 60 supra. Tali conclusioni sono dunque diverse dal contenuto oggettivo degli studi, nonché dalle semplici conclusioni che potrebbe trarre da tali studi un qualsiasi esperto del settore di cui trattasi.

154    La distinzione in tal guisa effettuata dall’ECHA fra il contenuto oggettivo degli studi e le conclusioni semplici che possono esserne tratte, da un lato, e le valutazioni uniche e personali aventi un valore aggiunto, dall’altro, è il frutto di un’applicazione dei regolamenti n. 1049/2001 e n. 1907/2006, la quale è coerente con l’articolo 39, paragrafi 2 e 3, dell’accordo TRIPs.

155    Per quanto attiene agli studi di cui al punto 68 supra, occorre ricordare che la ricorrente non ha presentato elementi che consentano di capire in che senso la loro divulgazione sarebbe illegittima. È dunque giocoforza considerare che essa non ha neanche dimostrato in che senso l’ECHA non avrebbe applicato il diritto dell’Unione in maniera coerente con l’articolo 39, paragrafi 2 e 3, dell’accordo TRIPs.

156    Infine, quanto ai valori DNEL e PNEC e ai valori di esposizione NOAEL, è stato sottolineato, segnatamente ai punti 129 e 151 supra, che l’applicazione coerente dei regolamenti n. 1049/2001 e n. 1907/2006 e dell’articolo 39, paragrafi 2 e 3, dell’accordo TRIPs non poteva comportare né la disapplicazione dell’articolo 119 del regolamento n. 1907/2006, né la mancata considerazione dell’interesse della salute pubblica. Si deve aggiungere che l’articolo 39 dell’accordo TRIPs prevede esso stesso, al suo paragrafo 3, la possibilità di una divulgazione qualora essa sia necessaria per proteggere il pubblico.

157    Ne consegue che il secondo motivo risulta infondato.

158    Per quanto riguarda il terzo motivo, occorre sottolineare, come è già stato ricordato al punto 147 supra, che la ricorrente non invoca l’incompatibilità delle disposizioni particolari del regolamento n. 1907/2006 – ossia l’articolo 119, paragrafo 1, lettere c), e) e f), di detto regolamento, il quale prevede presunzioni legali di non riservatezza – con il diritto primario dell’Unione o con le disposizioni di rango giuridico superiore delle convenzioni, bensì che essa fa valere che il modo in cui l’ECHA ha interpretato tali disposizioni e, pertanto, il modo in cui essa le ha applicate, non erano conformi all’articolo 8 della CEDU, all’articolo 1 del protocollo addizionale alla CEDU e all’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali.

159    Occorre rilevare che l’articolo 8 della CEDU, pur enunciando, al suo paragrafo 1, il principio di non ingerenza delle autorità pubbliche nell’esercizio del diritto alla vita privata, ammette, al suo paragrafo 2, che un’ingerenza del genere è possibile soltanto se «sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

160    Si deve constatare che, nelle sue memorie, la ricorrente travisa la portata dell’articolo 8 della CEDU sottolineando che tale disposizione tutela il suo diritto di proprietà. Essa non presenta alcun argomento specifico diretto a dimostrare l’asserita violazione del principio di non ingerenza delle autorità pubbliche nell’esercizio del diritto alla vita privata, quale sancito da tale disposizione. Ciò non toglie che, nonostante tale travisamento e la conseguente mancanza di argomenti, la sua censura resta comprensibile. A tal riguardo, come riconosciuto dalla Corte nella sentenza del 14 febbraio 2008, Varec (C‑450/06, EU:C:2008:91, punti 47 e 48), rimandando alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, può essere necessario vietare la divulgazione di informazioni qualificate come riservate, al fine di salvaguardare il diritto fondamentale di un’impresa al rispetto della vita privata, sancito all’articolo 8 della CEDU e all’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali, fermo restando che la nozione di «vita privata» non deve essere interpretata nel senso che esclude l’attività commerciale di una persona giuridica.

161    Relativamente all’articolo 17, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, esso prevede che ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale. Secondo la giurisprudenza, la tutela attribuita da tale disposizione verte su diritti aventi valore patrimoniale da cui deriva, con riguardo all’ordinamento giuridico, una posizione giuridica acquisita che consente l’esercizio di tali diritti da parte e a favore del suo titolare (v., in tal senso, sentenza del 22 gennaio 2013, Sky Österreich, C‑283/11, EU:C:2013:28, punto 34).

162    Si evince parimenti dalla giurisprudenza che il diritto alla tutela della sfera privata, come sancito dall’articolo 8 della CEDU, fa parte integrante dei principi generali del diritto di cui il giudice dell’Unione deve garantire l’osservanza. Tale principio, tuttavia, non si configura come una prerogativa assoluta, ma deve essere preso in considerazione in relazione alla sua funzione nella società. Esso può comportare restrizioni, a condizione che esse rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dall’Unione e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile tale da ledere la sua sostanza stessa (sentenze del 5 ottobre 1994, X/Commissione, C‑404/92 P, EU:C:1994:361, punti 17 e 18, e del 24 settembre 2008, M/Mediatore, T‑412/05, non pubblicata, EU:T:2008:397, punto 126). Lo stesso vale, secondo la giurisprudenza, nel caso del diritto di proprietà, quale sancito dall’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali (sentenza del 12 luglio 2005, Alliance for Natural Health e a., C‑154/04 e C‑155/04, EU:C:2005:449, punto 126).

163    Ne consegue che l’articolo 8 della CEDU e l’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali non possono essere interpretati nel senso che essi sanciscono un’eccezione automatica al principio della divulgazione in relazione ai documenti redatti nell’ambito dell’attività commerciale di un’entità privata. Infatti, nel caso di una domanda di accesso formulata da un terzo a questo tipo di documenti, si impone un esame concreto ed effettivo di ciascuno di essi, salvo che nei casi in cui la Corte e il Tribunale hanno ammesso l’esistenza di una presunzione generale di diniego di accesso ai documenti in questione. Come è stato concluso ai punti da 33 a 42 supra, non esiste una presunzione generale di diniego di accesso ai documenti presentati nell’ambito della procedura di autorizzazione prevista dal regolamento n. 1907/2006.

164    Nella specie, l’ECHA ha dunque proceduto ad un esame concreto dei diversi dati interessati dalla domanda di accesso ai documenti. È giocoforza rilevare che tale esame è stato effettuato nel rispetto del diritto di proprietà e del diritto alla vita privata.

165    Anzitutto, come si evince, in sostanza, dai punti 60 e seguenti supra, occorre osservare che diverse informazioni controverse costituiscono una compilazione di studi accessibili al pubblico, ma che il fatto che la relazione che concretizza tale lavoro intellettuale abbia un valore patrimoniale non implica tuttavia che tutte le informazioni che essa contiene rientrino nell’interesse commerciale e che la loro divulgazione arrecherebbe d’ufficio pregiudizio a quest’ultimo. L’ingerenza nella tutela degli interessi commerciali di una persona, di cui all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, non viene necessariamente determinata alla luce del valore patrimoniale dell’informazione che costituisce l’oggetto della divulgazione.

166    Inoltre, per quanto attiene alle informazioni relative ai valori DNEL e PNEC, occorre considerare che la loro divulgazione non arrecherebbe pregiudizio al diritto alla vita privata e al diritto di proprietà. Infatti, l’ingerenza dell’ECHA nell’esercizio di tali diritti è consentita, dal momento che essa è prevista dall’articolo 119 del regolamento n. 1907/2006 ed è necessaria alla tutela della salute e dell’ambiente.

167    Infine, per quanto riguarda i valori di esposizione NOAEL, la loro divulgazione è anch’essa essenziale affinché il pubblico abbia un’indicazione dei rischi connessi all’uso del DEHP. Esiste pertanto un interesse rilevante del pubblico alla divulgazione di tali informazioni. Anche ammesso che la divulgazione di tali informazioni controverse costituisca una restrizione al diritto alla vita privata e a quello di proprietà – circostanza che la ricorrente non ha tuttavia dimostrato nella specie –, tale divulgazione risponde in ogni caso ad obiettivi di interesse generale perseguiti dall’Unione, e non costituisce affatto, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile tale da ledere la loro sostanza stessa.

168    Tenuto conto di tutto quanto precede, il secondo e il terzo motivo debbono essere respinti.

4.     Sul quarto motivo, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001

169    La ricorrente deduce un quarto motivo, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001, il quale tutela il processo decisionale delle istituzioni dell’Unione nei confronti di violazioni e influenze esterne, ingiustificate e illegittime. Anzitutto, essa sostiene che l’assenza di divulgazione delle informazioni relative ai procedimenti non ancora sfociati in una decisione dell’istituzione di cui trattasi costituisce un principio e si iscrive nella logica del regolamento n. 1049/2001. Divulgando i documenti, l’ECHA pregiudicherebbe dunque gravemente detto processo. Essa sottolinea poi che il comitato per la valutazione dei rischi e il comitato per l’analisi socioeconomica, quando danno il loro parere, possono essere influenzati dall’eventuale divulgazione delle informazioni controverse, in quanto essi permettono anche ai richiedenti l’accesso alle informazioni di partecipare alle loro discussioni. Viceversa, il richiedente l’autorizzazione non avrebbe accesso alle riunioni di detti comitati e non beneficerebbe del diritto ad essere sentito in tutte le fasi del procedimento. Infine, la ricorrente sottolinea che nessun interesse pubblico prevalente giustifica la divulgazione delle informazioni in questione.

170    L’ECHA contesta tali argomenti.

171    Si deve ricordare che il considerando 11 del regolamento n. 1049/2001 sottolinea che occorre consentire alle istituzioni di proteggere le loro consultazioni e discussioni interne quando sia necessario per tutelare la propria capacità di espletare le loro funzioni. In tal senso, l’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del medesimo regolamento, dispone che «[l]’accesso ad un documento elaborato per uso interno da un’istituzione o da essa ricevuto, relativo ad una questione su cui la stessa non abbia ancora adottato una decisione, viene rifiutato nel caso in cui la divulgazione del documento pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione».

172    Risulta dalla giurisprudenza che l’applicazione di tale eccezione presuppone che sia dimostrato che l’accesso al documento in considerazione, redatto dall’istituzione ad uso interno, fosse tale da arrecare concreto ed effettivo pregiudizio alla tutela del processo decisionale dell’istituzione e che tale rischio di pregiudizio fosse ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico (sentenza del 18 dicembre 2008, Muñiz/Commissione, T‑144/05, non pubblicata, EU:T:2008:596, punto 74).

173    Inoltre, per rientrare nell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, il pregiudizio al processo decisionale deve essere grave. Ciò in particolare ricorre quando la divulgazione del documento considerato ha un impatto sostanziale sul processo decisionale. La valutazione della gravità dipende dall’insieme delle circostanze del caso di specie, in particolare dagli effetti negativi di tale divulgazione sul processo decisionale invocati dall’istituzione (sentenze del 18 dicembre 2008, Muñiz/Commissione, T‑144/05, non pubblicata, EU:T:2008:596, punto 75, e del 7 giugno 2011, Toland/Parlamento, T‑471/08, EU:T:2011:252, punto 71).

174    È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare il quarto motivo.

175    Anzitutto, deve essere respinto l’approccio della ricorrente inteso ad assurgere a principio l’eccezione alla divulgazione prevista all’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001. Infatti, il principio di accesso ai documenti sancito all’articolo 2 del medesimo regolamento resta quello applicabile alle informazioni relative ai procedimenti non ancora sfociati in una decisione dell’istituzione di cui trattasi. Le eccezioni a tale principio vengono definite all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001, come interpretato dalla giurisprudenza. Un’eccezione al principio dell’accesso ai documenti in forza del summenzionato articolo 4, paragrafo 3, può dunque sussistere soltanto alle condizioni stabilite dalla giurisprudenza richiamata ai punti 172 e 173 supra.

176    Occorre poi esaminare la questione se l’accesso alle informazioni controverse avrebbe potuto causare un pregiudizio grave al processo decisionale dell’ECHA. La ricorrente sostiene, in sostanza, che i richiedenti un’autorizzazione non hanno la garanzia di essere sentiti in tutte le fasi del processo decisionale e non hanno la possibilità di presentare osservazioni relative alle irregolarità o agli errori. Inoltre, il comitato per la valutazione dei rischi e il comitato per l’analisi socioeconomica consentirebbero ai richiedenti l’accesso alle informazioni di partecipare alle loro discussioni. Per contro, i richiedenti l’autorizzazione non avrebbero il diritto di partecipare a dette discussioni.

177    Da un lato, occorre ricordare che l’articolo 64, paragrafo 5, del regolamento n. 1907/2006, dispone che l’ECHA trasmette i progetti di parere del comitato per la valutazione dei rischi e del comitato per l’analisi socioeconomica al richiedente l’autorizzazione, e che il richiedente può comunicare per iscritto che intende presentare osservazioni entro due mesi dalla ricezione del progetto di parere. Tale disposizione garantisce in tal modo al richiedente l’autorizzazione, il diritto di presentare un’argomentazione scritta ai comitati prima che essi adottino un parere definitivo sulla domanda di autorizzazione.

178    Dall’altro, la ricorrente non dimostra in che senso i richiedenti l’accesso alle informazioni ai quali verrebbe accordata la qualità di osservatori potrebbero pregiudicare gravemente il processo decisionale dell’ECHA.

179    Infatti, gli articoli 6 delle norme procedurali del comitato per la valutazione dei rischi e del comitato per l’analisi socioeconomica (recanti il riferimento MB/09/2009 final; in prosieguo: le «norme procedurali dei comitati»), redatte in termini identici, prevedono che gli osservatori (stakeholder representatives) «possono» essere ammessi a partecipare alle riunioni dei comitati; l’ECHA dispone pertanto di un potere discrezionale al riguardo. Inoltre, la partecipazione degli stessi alle riunioni dell’ECHA è inquadrata in termini rigorosi. Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 6, di tali norme procedurali, gli osservatori devono conformarsi al «codice di condotta degli osservatori delle organizzazioni interessate alle riunioni dell’ECHA» (recante il riferimento ED/62/2008; in prosieguo: il «codice di condotta»), adottato da una decisione del direttore esecutivo dell’ECHA il 9 ottobre 2008.

180    Tale codice di condotta prevede che le organizzazioni interessate devono evitare di nominare, quali osservatori, persone che abbiano un interesse diretto nel caso esaminato dai comitati e che, qualora un interesse del genere sopraggiunga, esse devono farne la dichiarazione all’inizio della riunione (punto 6). Esso sottolinea parimenti che gli osservatori non possono interferire nelle riunioni in maniera intimidatoria o da impedire i lavori dell’organo (punto 7) e che la loro partecipazione alle riunioni avviene a discrezione del presidente (punto 8). Il codice di condotta menziona inoltre il fatto che gli osservatori devono di regola informare in anticipo – al più tardi all’inizio della riunione – il presidente dei punti sui quali essi desiderano intervenire e che i loro interventi devono essere brevi ed avvenire nel lasso di tempo loro riservato (punto 9). Il codice di condotta precisa, infine, che gli osservatori possono presentare documenti, ma che il fatto che essi vengano distribuiti non significa che l’ECHA convalidi o approvi il loro contenuto (punto 15).

181    Si evince da quanto precede che la ricorrente travisa il ruolo degli osservatori durante le riunioni dei comitati, e che il loro ruolo è inquadrato in termini rigorosi per impedire loro di pregiudicare gravemente il processo decisionale.

182    Anche se l’ECHA non ha negato il fatto che un richiedente l’autorizzazione non ha la possibilità, in linea di principio, di partecipare, allo stesso titolo degli osservatori, alle riunioni dei comitati, e non ha dunque il diritto di esprimersi in tale sede, è tuttavia giocoforza constatare, come è stato sottolineato al punto 177 supra, che l’articolo 64, paragrafo 5, terzo comma, del regolamento n. 1907/2006 l’autorizza a depositare un’argomentazione scritta dettagliata e gli concede un termine di due mesi dalla ricezione del progetto di parere per farlo. In tale occasione, questi avrà la possibilità di rispondere ad eventuali osservazioni degli osservatori.

183    Occorre parimenti osservare che, in risposta ad un quesito scritto del Tribunale alle parti, relativo al ruolo degli osservatori quale previsto dal codice di condotta, l’ECHA ha richiamato un documento di orientamento del 14 dicembre 2012 nel quale è descritto l’approccio seguito dalla medesima nell’ambito di una procedura di domanda di autorizzazione (in prosieguo: il «documento di orientamento»). L’ECHA rileva che la presenza degli osservatori e l’assenza dei richiedenti l’autorizzazione può dar luogo ad un’audizione iniqua, dal momento che i primi sono gli unici autorizzati a formulare osservazioni sul caso di cui trattasi. È per questo motivo che essa ha precisato, nel documento di orientamento, che, in questo tipo di procedura, gli osservatori non hanno diritto di parola in occasione delle riunioni dei comitati. È giocoforza rilevare che tale orientamento è conforme al codice di condotta, il quale conferisce un potere discrezionale all’ECHA indicando che gli osservatori «possono» essere ammessi a partecipare alle riunioni dei comitati e investe il presidente di un potere discrezionale quanto allo svolgimento delle riunioni. Analogamente, l’ECHA ha previsto che, per garantire la coerenza con il codice di condotta e con le norme procedurali dei comitati, gli osservatori non abbiano accesso alle informazioni commerciali a carattere riservato e non possano essere presenti alle parti di riunioni in cui tali informazioni sono oggetto di discussioni.

184    Infine, la ricorrente non ha presentato alcun elemento concreto che consenta di constatare che, nella specie, l’accesso alle informazioni controverse relative alla domanda di autorizzazione per l’uso del DEHP avrebbe un impatto sostanziale sul processo decisionale dell’ECHA e della Commissione, pregiudicando così gravemente quest’ultimo.

185    Alla luce del meccanismo previsto dal regolamento n. 1907/2006 e concretizzato dalle norme procedurali dei comitati, dal codice di condotta e dal documento di orientamento, da un lato, e dell’assenza di qualsiasi elemento concreto che consenta di sospettare che, nella specie, l’accesso alle informazioni controverse avrebbe pregiudicato il processo decisionale dell’ECHA, dall’altro, è giocoforza ritenere che la divulgazione delle informazioni controverse non può avere effetti negativi sul processo decisionale al punto da pregiudicare gravemente quest’ultimo.

186    Risulta da tutte le suesposte considerazioni che il quarto motivo, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001, deve essere respinto.

187    Discende dall’insieme delle considerazioni che precedono che il ricorso deve essere respinto, senza che sia necessario pronunciarsi sull’eccezione di irricevibilità sollevata in via difensiva dall’ECHA.

 Sulle spese

188    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Nella specie, la ricorrente, rimasta soccombente, deve essere condannata a sopportare le spese dell’ECHA, in conformità alle conclusioni di quest’ultima, comprese quelle relative al procedimento sommario.

189    La Commissione sopporterà le proprie spese, a norma dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

190    La ClientEarth, la EEB e la HCWH Europe sopporteranno le proprie spese ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 3, del regolamento di procedura.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Deza, a.s., sopporterà, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), ivi comprese quelle relative al procedimento sommario.

3)      La Commissione europea sopporterà le proprie spese.

4)      La ClientEarth, la European Environmental Bureau (EEB) e la Vereniging Health Care Without Harm Europe sopporteranno le proprie spese.

Prek

Labucka

Kreuschitz

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 gennaio 2017.

Firme


Indice


Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

1.  Sul motivo distinto, relativo all’esistenza di una presunzione generale di riservatezza delle informazioni presentate nell’ambito della procedura di autorizzazione prevista dal regolamento n. 1907/2006

2.  Sul primo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001

Sulla prima censura, relativa alla riservatezza delle informazioni controverse a causa del loro carattere commerciale e del fatto che esse rientrano nel know-how della ricorrente

Sulla questione della violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001

Sulla questione dell’obbligo di divulgazione delle informazioni in applicazione dell’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006 o del carattere già pubblico di queste ultime

–  Sulla ricevibilità della contestazione relativa ad un’applicazione erronea dell’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006

–  Sull’esistenza dell’obbligo di pubblicare talune informazioni in applicazione dell’articolo 119, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1907/2006 e sulla questione del carattere già pubblico di altre informazioni

Sulla seconda censura, relativa alla violazione della tutela dei diritti di proprietà intellettuale, la quale giustifica l’applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001

Sulla terza censura, relativa all’assenza di un’indicazione chiara quanto all’interesse pubblico che giustifica la divulgazione delle informazioni controverse

Sulla quarta censura, relativa alla violazione dell’obbligo di motivazione

3.  Sul secondo e sul terzo motivo, relativi, da un lato, per quanto riguarda il secondo, alla violazione degli impegni dell’Unione risultanti dall’accordo TRIPs e all’ingerenza nel diritto alla tutela delle informazioni riservate (segreti commerciali) e, dall’altro, per quanto riguarda il terzo, alla violazione degli impegni dell’Unione risultanti dall’articolo 8 della CEDU e dall’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali nonché all’ingerenza nel diritto di proprietà e nella tutela della proprietà

4.  Sul quarto motivo, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001

Sulle spese



* Lingua processuale: il ceco.