Language of document : ECLI:EU:C:2014:1997

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 12 giugno 2014 (1)

Causa C‑311/13

O. Tümer

contro

Raad van bestuur van het Uitvoeringsinstituut werknemersverzekeringen

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Centrale Raad van Beroep (Paesi Bassi)]

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 80/987/CEE – Direttiva 2002/74/CE – Tutela dei dipendenti in caso di insolvenza del datore di lavoro – Lavoratore subordinato cittadino di uno Stato terzo non titolare di un permesso di soggiorno valido – Diritto alla garanzia dei crediti salariali»





1.        A un lavoratore subordinato cittadino di uno Stato terzo può essere negato il diritto di ottenere, in caso di insolvenza del proprio datore di lavoro, la garanzia del proprio credito per diritti salariali non pagati, in ragione del fatto che soggiorna irregolarmente nel territorio dello Stato membro interessato?

2.        Questa è, sostanzialmente, la questione sottoposta dal Centrale Raad van Beroep (Paesi Bassi) in seguito al rigetto da parte del Raad van bestuur van het Uitvoeringsinstituut werknemersverzekeringen (Consiglio di amministrazione dell’Istituto di gestione delle assicurazioni per i lavoratori subordinati) (2) della domanda di prestazione di insolvenza presentata dal sig. Tümer.

3.        Nelle presenti conclusioni suggerirò alla Corte di rispondere in senso negativo a tale questione, che verte sull’interpretazione della direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro (3), come modificata dalla direttiva 2002/74/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002 (4).

4.        In tal senso sosterrò innanzitutto che dal fondamento normativo della direttiva 2002/74 non risulta che i cittadini di Stati terzi siano esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva 80/987.

5.        Spiegherò successivamente che una disposizione nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che subordina il diritto per un cittadino di uno Stato terzo, avente la qualità di lavoratore subordinato secondo il diritto civile nazionale, di percepire una prestazione di insolvenza ad una condizione di regolarità del soggiorno, lede la struttura generale della direttiva 80/987 nonché il suo effetto utile e viola il principio della parità di trattamento e di non discriminazione, considerato alla luce degli obiettivi di tale direttiva.

I –    Il contesto normativo

A –    Il diritto dell’Unione

6.        In forza del suo articolo 1, paragrafo 1, la direttiva 80/987 si applica ai diritti dei lavoratori subordinati derivanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro ed esistenti nei confronti di datori di lavoro che si trovano in stato di insolvenza ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva.

7.        L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 80/987 autorizza gli Stati membri, in via eccezionale, ad escludere dal suo campo di applicazione i diritti di alcune categorie di lavoratori subordinati, in funzione dell’esistenza di altre forme di garanzia, qualora sia stabilito che esse assicurano agli interessati un livello di tutela equivalente.

8.        L’articolo 2, paragrafi 2 e 3, della direttiva 80/987 stabilisce che tale direttiva non pregiudica il diritto nazionale per quanto riguarda la definizione dei termini «lavoratore subordinato», «datore di lavoro», «retribuzione», «diritto maturato» e «diritto in corso di maturazione», senza che gli Stati membri possano tuttavia escludere dal suo campo di applicazione i lavoratori a tempo parziale, quelli con contratto a tempo determinato o quelli aventi un rapporto di lavoro interinale, né subordinare il diritto alla garanzia dei lavoratori a una durata minima del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro.

9.        Ai sensi dell’articolo 3, primo comma, della direttiva 80/987, gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché gli organismi di garanzia assicurino, fatto salvo l’articolo 4 della stessa direttiva, il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati risultanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro, comprese le indennità dovute ai lavoratori a seguito dello scioglimento del rapporto di lavoro, se previste dal diritto nazionale. I diritti di cui l’organismo di garanzia si fa carico sono, ai sensi dell’articolo 3, secondo comma, della suddetta direttiva, le retribuzioni non pagate corrispondenti a un periodo che si colloca prima e/o eventualmente dopo una data determinata dagli Stati membri.

10.      In via di eccezione, l’articolo 4 della direttiva 80/987 riconosce agli Stati membri la facoltà di limitare l’obbligo di pagamento degli organismi di garanzia di cui all’articolo 3 della stessa fissando la durata del periodo che dà luogo al pagamento, in conformità dell’articolo 4, paragrafo 2, della suddetta direttiva, o fissando un massimale a tale pagamento, in conformità dell’articolo 4, paragrafo 3, della stessa direttiva.

11.      La direttiva 80/987 è stata abrogata e codificata dalla direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (5), che è entrata in vigore il 17 novembre 2008.

B –    La normativa olandese

12.      La legge sulla disoccupazione (Werkloosheidswet) (6) stabilisce, al suo articolo 61, il principio secondo il quale un lavoratore subordinato ha diritto ad una prestazione di insolvenza se è creditore della retribuzione, della gratifica per le ferie o dell’indennità per le ferie nei confronti di un datore di lavoro dichiarato in stato di fallimento, oppure se può essere finanziariamente danneggiato in quanto il suddetto datore di lavoro non ha versato importi da esso dovuti a terzi in ragione del rapporto di lavoro con il lavoratore subordinato.

13.      La WW definisce, al suo articolo 3, paragrafo 1, il lavoratore subordinato come «la persona fisica di età inferiore a 65 anni assunta con un contratto di diritto privato o di diritto pubblico».

14.      Tuttavia l’articolo 3, paragrafo 3, della WW precisa che, in deroga al paragrafo 1 di tale articolo, non è considerato come lavoratore subordinato un cittadino di uno Stato terzo che non risiede legalmente nei Paesi Bassi.

15.      In applicazione dell’articolo 8, lettere da a) a e) e 1), della legge relativa agli stranieri (Vreemdelingenwet), del 23 novembre 2000 (7), uno straniero risiede legalmente nei Paesi Bassi se è titolare di un permesso di soggiorno temporaneo o a tempo indeterminato o se, in quanto cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, risiede in forza di un regime previsto in virtù del Trattato che istituisce la Comunità europea oppure dell’accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992 (8), oppure ancora se il diritto di soggiorno gli deriva dalla decisione di associazione n. 1/80 del Consiglio di associazione, del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo dell’associazione (9), istituito dall’accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia (10).

II – I fatti all’origine della controversia principale e la questione pregiudiziale

16.      Il sig. Tümer è un cittadino turco che risiede nei Paesi Bassi dal 1988.

17.      Nel periodo dal 18 agosto 1988 al 31 marzo 1995, egli ha fruito di un permesso di soggiorno temporaneo, rilasciato a condizione che risiedesse con la propria moglie. Egli ha divorziato nel 1996.

18.      Il 14 ottobre 2005 il sig. Tümer ha presentato domanda per un permesso di soggiorno a tempo indeterminato e tale domanda è stata respinta dal segretario di Stato alla Giustizia. L’opposizione presentata contro tale decisione è stata dichiarata infondata con decisione del 16 aprile 2007 avverso la quale il sig. Tümer ha presentato un ricorso che è stato respinto il 28 agosto 2008 dalla Vreemdelingenkamer (Sezione per gli stranieri) del Rechtbank ’s‑Gravenhage. Quest’ultima decisione non è stata impugnata. Dal 25 aprile 2007, il sig. Tümer non è più titolare di un titolo di soggiorno.

19.      Dal 1997 il sig. Tümer ha lavorato a titolo precario nei Paesi Bassi. Il 3 gennaio 2005 è stato assunto dalla Halfmoon Cosmetics BV, che nel 2007 ha versato a suo nome dei contributi ai sensi della WW. A partire dal mese di agosto 2007, la Halfmoon Cosmetics BV ha corrisposto solo una parte della retribuzione ed è stata dichiarata fallita il 22 gennaio 2008. Il 26 gennaio 2008, l’appellante nel procedimento principale è stato licenziato.

20.      Il sig. Tümer ha chiesto una prestazione, sulla base della WW, per l’insolvenza della Halfmoon Cosmetics BV e tale domanda è stata respinta con decisione dell’8 febbraio 2008, contro la quale il sig. Tümer ha presentato un ricorso che è stato respinto con decisione emessa il 10 giugno 2008 dall’UWV, con la motivazione che l’appellante nel procedimento principale, che non risiedeva legalmente nei Paesi Bassi, non era un lavoratore subordinato ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, della WW. Il 18 dicembre 2009 il Rechtbank ’s‑Hertogenbosch ha respinto, per lo stesso motivo, il ricorso che il sig. Tümer aveva proposto contro la decisione del 10 giugno 2008.

21.      Investito dell’appello avverso tale decisione, il Centrale Raad van Beroep, il quale ritiene che, se l’esclusione dei cittadini degli Stati terzi che non dispongono di un permesso di soggiorno dovesse essere considerata come una limitazione dell’obbligo di pagamento degli organismi di garanzia, tale esclusione non sarebbe compatibile con il diritto dell’Unione, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se, anche in considerazione dell’articolo 137, paragrafo 2, [CE] (attualmente articolo 153, paragrafo 2, TFUE), che ne costituisce il fondamento normativo, la direttiva [2008/94] e, in particolare, i suoi articoli 2, 3 e 4, debbano essere interpretata nel senso che ostano ad una normativa nazionale come quella di cui agli articoli 3, paragrafo 3, e 61 della [WW], in forza della quale non viene considerato come un lavoratore subordinato lo straniero cittadino di un paese terzo che non risiede legalmente nei Paesi Bassi ai sensi dell’articolo 8, lettere da a) a e) e l), della [legge relativa agli stranieri], ivi compreso in una situazione come quella [di un cittadino di uno Stato terzo], il quale ha chiesto una prestazione di insolvenza, deve essere qualificato come lavoratore subordinato in diritto civile e soddisfa gli ulteriori requisiti per la concessione della suddetta prestazione».

III – La mia analisi

A –    Considerazioni preliminari

1.                Gli elementi di fatto e di diritto forniti dal giudice del rinvio

22.      Nelle proprie osservazioni sia scritte che orali, la Commissione europea ha ritenuto che, da una parte, il sig. Tümer soddisfacesse le condizioni per potersi avvalere del disposto dell’articolo 6, paragrafo 1, o dell’articolo 7 della decisione n. 1/80 e, dall’altra, che dal principio di non discriminazione previsto all’articolo 10 di tale decisione nonché dalla giurisprudenza della Corte, secondo la quale il permesso di soggiorno e il permesso di lavoro costituirebbero due realtà distinte, risultava che, se uno Stato membro concede un permesso di lavoro ad un cittadino turco, non gli può negare il diritto alla prestazione di insolvenza in ragione del fatto che il medesimo cittadino non disporrebbe più di un titolo di soggiorno.

23.      Di conseguenza, la Commissione ha invitato la Corte a non limitarsi soltanto a rispondere alla questione sottopostale dal giudice del rinvio, ma anche ad esaminare se, ai sensi della normativa dell’Unione, il sig. Tümer risieda effettivamente in modo illegale nei Paesi Bassi.

24.      Ritengo che la Corte debba declinare tale invito.

25.      Secondo una giurisprudenza consolidata, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, creata dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia sottopostagli riformulando, se necessario, le questioni che le sono sottoposte (11) al fine di interpretare tutte le norme del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali per statuire. A tal proposito la Corte può essere indotta a trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio gli elementi di detto diritto che richiedono un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia (12).

26.      Tuttavia, la facoltà di riformulare le questioni pregiudiziali ampliando, se necessario, gli elementi di diritto dell’Unione che esigono un’interpretazione, non può condurre la Corte a proporre un’interpretazione del diritto dell’Unione in rapporto ad una situazione diversa da quella oggetto della controversia principale, a sostiuire alle constatazioni fattuali dei giudici nazionali le sue proprie constatazioni o a rimettere in questione l’autorità della cosa giudicata derivante dalle decisioni nazionali.

27.      Orbene, risulta chiaramente dalla relazione sui fatti contenuta nella decisione di rinvio che, con la decisione del 28 agosto 2008, avverso la quale il sig. Tümer non ha proposto ricorso, si è stabilito che quest’ultimo non poteva far derivare alcun diritto dagli articoli 6 o 7 della decisione n. 1/80, poiché non erano soddisfatte le condizioni per ritenere che egli rientrasse nel regolare mercato del lavoro oppure che la sua ex moglie avesse svolto un lavoro durante il periodo precedente il 31 marzo 1995. Sebbene siano stati espressi dubbi al riguardo dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte e sebbene sussistano effettivamente zone grigie sull’esatta situazione del sig. Tümer (13), anche se esse sono state dettagliatamente chiarite dalle spiegazioni del governo dei Paesi Bassi all’udienza, occorre considerare tale elemento di fatto come pacifico ai fini della presente analisi.

28.      Inoltre, non risulta dalla lettura della decisione di rinvio che il Centrale Raad van Beroep avrebbe constatato che il sig. Tümer era titolare di un permesso di lavoro.

29.      Interpretare la decisione n. 1/80 seguendo il suggerimento della Commissione equivarrebbe non a fornire al giudice del rinvio una risposta che gli permetta di dirimere la controversia di cui è investito, bensì a modificare il contesto giuridico e fattuale per indurlo a statuire su una controversia avente un oggetto diverso e già deciso da un altro giudice nazionale.

30.      Di conseguenza, occorre esaminare esclusivamente la questione sottoposta dal Centrale Raad van Beroep, senza estendere il dibattito all’interpretazione della decisione n. 1/80.

2.      Il diritto dell’Unione applicabile ratione temporis

31.      Occorre rilevare che le disposizioni menzionate dal giudice del rinvio nella sua questione, vale a dire gli articoli da 2 a 4 della direttiva 2008/94, non erano ancora in vigore all’epoca dei fatti all’origine della controversia principale.

32.      In conformità con una giurisprudenza costante, fondata sulla necessità di fornire una risposta utile al giudice del rinvio (14), occorre riformulare la questione al fine di interpretare le disposizioni di diritto dell’Unione che erano applicabili alla data dei fatti del procedimento principale, cioè, nella fattispecie, le disposizioni della direttiva 80/987 e, più precisamente, gli articoli da 2 a 4 di tale direttiva, il cui testo è, d’altronde, sostanzialmente identico a quello delle disposizioni considerate dal giudice del rinvio.

B –    La nostra valutazione

33.      Per concludere nel senso della compatibilità della normativa nazionale con la direttiva 80/987, il governo dei Paesi Bassi invoca successivamente due argomenti principali, derivanti, il primo, dal fondamento giuridico di tale direttiva (15) e, il secondo, dal margine di manovra lasciato dalla stessa agli Stati membri per definire la nozione di lavoratore subordinato.

34.      In primo luogo, la direttiva 80/987 non potrebbe riguardare i cittadini di Stati terzi, poiché la direttiva in parola si fonda sull’articolo 137 CE, disposizione che non offrirebbe alcun fondamento normativo per il riconoscimento di diritti ai cittadini in questione, anche se regolarmente soggiornanti.

35.      In secondo luogo, il rinvio al diritto nazionale per definire la nozione di lavoratore subordinato e per precisarne il contenuto consentirebbe, in ogni caso, agli Stati membri di escludere da tale nozione i cittadini di Stati terzi il cui soggiorno è irregolare.

36.      Tale duplice argomentazione conduce a interrogarsi, innanzitutto, sull’applicabilità della direttiva 80/987 ai cittadini di Stati terzi, prima di esaminare, poi, la sua applicabilità a coloro di tali cittadini i quali si trovano in situazione irregolare.

1.                L’applicabilità della direttiva 80/987 ai cittadini di Stati terzi

37.      Il fondamento normativo della direttiva 2002/74 esclude che la direttiva 80/987 si possa applicare ai cittadini di Stati terzi?

38.      Prima di esaminare più a fondo tale questione, si deve rilevare di primo acchito che, attraverso la sua argomentazione basata sul fondamento normativo della direttiva 80/987, il governo dei Paesi Bassi trasferisce significativamente il dibattito sul terreno della condizione di cittadinanza, mentre la questione riguarda esclusivamente, e giustamente, la possibilità di subordinare il diritto alla prestazione di insolvenza ad una condizione di regolarità del soggiorno.

39.      Occorre constatare in proposito che la posizione del governo dei Paesi Bassi non è compatibile con la normativa olandese, come descritta nella decisione di rinvio, poiché da una lettura a contrario dell’articolo 3, paragrafo 3, della WW risulta che il riconoscimento della qualità di «lavoratore subordinato» e, quindi, il diritto a una prestazione di insolvenza non sono subordinati ad alcuna condizione di cittadinanza. Orbene, il governo dei Paesi Bassi non ha sostenuto che, riconoscendo il diritto alla prestazione di insolvenza ai cittadini di Stati terzi soggiornanti legalmente nel territorio nazionale, avrebbe esteso l’ambito di applicazione ratione personae della direttiva 80/987 esercitando la facoltà, prevista dall’articolo 9, primo comma, di tale direttiva, di mantenere o di introdurre disposizioni maggiormente favorevoli ai lavoratori subordinati.

40.      In ogni caso, l’esame del fondamento normativo della direttiva 2002/74 non mi sembra condurre a limitare il campo di applicazione personale della direttiva 80/987 ai soli cittadini dell’Unione.

41.      È necessario ricordare che l’articolo 137, paragrafo 2, primo comma, CE, nella sua versione precedente al Trattato di Nizza ed in base alla quale la direttiva 2002/74 è stata adottata (16), autorizzava l’adozione, mediante direttive, di prescrizioni minime aventi lo scopo, in conformità con l’articolo 137, paragrafo 1, CE, di contribuire a realizzare gli obiettivi di politica sociale di cui all’articolo 136 CE, tra i quali rientrano il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nonché una tutela sociale adeguata di questi ultimi.

42.      Vero è che tra i settori in cui l’articolo 137, paragrafo 2, primo comma, CE consentiva al Consiglio dell’Unione europea di fissare, mediante direttive, prescrizioni minime al fine di realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 136 CE, l’articolo 137, paragrafo 1, CE non enumerava le «condizioni di impiego dei cittadini dei paesi terzi che risiedono regolarmente nel territorio della Comunità», le quali risultano dall’articolo 137, paragrafo 3, CE, che costituiva un fondamento normativo distinto imponendo il ricorso ad una procedura differente. Mentre l’articolo 137, paragrafo 2, secondo comma, CE prescriveva l’applicazione della procedura di cui all’articolo 251 CE, detta di «codecisione», la quale implicava il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio e la piena partecipazione del Parlamento europeo al processo legislativo, l’articolo 137, paragrafo 3, CE prescriveva il voto all’unanimità in seno al Consiglio dopo la semplice consultazione del Parlamento (17).

43.      Tuttavia, a mio avviso, l’UWV ed il governo dei Paesi Bassi hanno erroneamente dedotto da tale fondamento normativo che la direttiva 80/987 non poteva riguardare i cittadini di Stati terzi.

44.      Infatti, tale argomento si fonda sulla premessa secondo la quale una disposizione di diritto derivato può conferire diritti ai cittadini di Stati terzi solo qualora abbia come fondamento normativo una disposizione di diritto primario, quale l’articolo 63, punto 4, CE, che consenta espressamente al legislatore dell’Unione di adottare misure destinate a disciplinare la loro situazione.

45.      Tale premessa, che affronta la questione fondamentale della determinazione dell’ambito di applicazione ratione personae del diritto dell’Unione (18), non mi pare corretta.

46.      Il diritto primario comprende effettivamente norme la cui portata è espressamente limitata con riferimento ai soggetti destinatari.

47.      Talune disposizioni stabiliscono le basi normative che permettono l’adozione di misure riguardanti specificamente i cittadini di Stati terzi. Tale è il caso delle disposizioni del titolo IV della terza parte del Trattato CE, intitolato «Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone», tra le quali figura l’articolo 63 CE, al quale fa riferimento il governo dei Paesi Bassi.

48.      Altre disposizioni hanno, al contrario, un ambito di applicazione circoscritto ai soli cittadini dell’Unione. Così le disposizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori subordinano il riconoscimento del diritto alla libera circolazione al possesso della cittadinanza di uno degli Stati membri dell’Unione (19).

49.      Tuttavia, esistono anche disposizioni che, non prevedendo alcuna particolare limitazione del loro ambito di applicazione personale, possono applicarsi indipendentemente dalla cittadinanza dei soggetti interessati e, pertanto, possono essere invocate dai cittadini di Stati terzi oppure essere opposte a questi ultimi qualora sussista un elemento di collegamento della loro situazione con il diritto dell’Unione. L’estensione dell’ambito di applicazione personale delle misure adottate sulla base di un fondamento normativo privo di limitazione esplicita deve, allora, essere valutata tenendo in considerazione gli obiettivi perseguiti dalla normativa (20).

50.      Ad eccezione dell’articolo 137, paragrafo 3, quarto trattino, CE, le disposizioni contenute nel capo 1 del titolo XI della terza parte del Trattato CE, che conferivano alla Comunità una competenza normativa nel settore sociale, devono essere ricomprese nella categoria di quelle che autorizzano l’adozione di misure idonee ad essere applicate prescindendo da considerazioni di cittadinanza.

51.      Al riguardo è necessario rilevare che, tra i settori in cui la Comunità disponeva delle competenze per sostenere e integrare l’azione degli Stati membri al fine di realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 136 CE, l’articolo 137, paragrafo 1, CE prevedeva la tutela della salute e della sicurezza nonché l’informazione e la consultazione dei «lavoratori», l’integrazione delle «persone» escluse dal mercato del lavoro, la «parità tra uomini e donne», senza menzionare qualsiasi condizione di cittadinanza.

52.      Escludere i lavoratori cittadini di Stati terzi dalle tutele applicabili ai dipendenti cittadini di uno Stato membro dell’Unione mal si concilia con le finalità della politica sociale dell’Unione, quali enunciate all’articolo 136, primo comma, CE, in particolare perché tale esclusione potrebbe favorire l’assunzione di manodopera straniera per ridurre i costi salariali. Nella sentenza Germania e a./Commissione (281/85, da 283/85 a 285/85 e 287/85, EU:C:1987:351), la Corte ha evidenziato lo stretto collegamento esistente tra la politica sociale dell’Unione e quella che può essere adottata nei confronti della manodopera proveniente da Stati terzi. È in funzione di tale realtà che è necessario cogliere l’ambito di applicazione delle misure adottate dall’Unione nel settore sociale (21).

53.      Giungo quindi alla conclusione che il fondamento normativo della direttiva 2002/74 non esclude affatto che la direttiva 80/987 si possa applicare ai cittadini di Stati terzi.

54.      Si deve inoltre rilevare che la direttiva 80/987 rende l’esistenza dei diritti non pagati risultanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro esistenti tra lavoratori subordinati ed un datore di lavoro in situazione di insolvenza il fattore che fa scattare gli obblighi che essa prevede a carico degli organismi di garanzia. Nessuna condizione di cittadinanza è richiesta per i lavoratori subordinati affinché possano beneficiare della garanzia. Subordinare il godimento di essa ad un requisito di cittadinanza equivarrebbe, quindi, ad aggiungere al testo di tale direttiva una condizione che essa non prevede, in violazione del suo obiettivo. Al riguardo è necessario ricordare che la suddetta direttiva persegue una finalità sociale consistente nel garantire a tutti i lavoratori subordinati una tutela minima a livello dell’Unione in caso di insolvenza del datore di lavoro mediante il pagamento dei diritti non pagati risultanti da contratti o da rapporti di lavoro e vertenti sulla retribuzione relativa a un periodo determinato (22).

55.      Resta da determinare se gli Stati membri dispongano tuttavia di un margine di manovra che consenta loro di escludere i lavoratori subordinati cittadini di Stati terzi che si trovano in situazione irregolare.

2.      L’applicabilità della direttiva 80/987 ai cittadini di Stati terzi in situazione irregolare.

56.      Secondo il governo dei Paesi Bassi, l’assenza di definizione della nozione di lavoratore subordinato nella direttiva 80/987 consentirebbe al diritto nazionale di precisarne il contenuto e di escludere, se necessario, i cittadini degli Stati terzi in situazione irregolare.

57.      Tale argomento non può essere accolto.

58.      Vero è che il rinvio al diritto nazionale operato dall’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 80/987 lascia un margine di discrezionalità agli Stati membri per determinare l’ambito di applicazione ratione personae di tale direttiva. In assenza dell’instaurazione di un livello di tutela uniforme per l’intera Unione in funzione di criteri comuni, è effettivamente al diritto nazionale che compete definire le categorie di lavoratori subordinati a cui la suddetta direttiva è destinata ad applicarsi (23).

59.      Tuttavia, è importante sottolineare che tale margine di discrezionalità non può avere l’effetto di rimettere in discussione né la struttura generale né l’effetto utile della direttiva 80/987 e che esso deve essere esercitato nel rispetto del diritto dell’Unione e, in particolare, dei suoi principi fondamentali, tra i quali figura il principio di parità di trattamento e di non discriminazione (24).

60.      Orbene, una disposizione nazionale come quella controversa nel procedimento principale, che subordina il diritto per un lavoratore subordinato di percepire una prestazione di insolvenza ad una condizione di regolarità del soggiorno, ha come effetto al tempo stesso di pregiudicare la struttura generale della direttiva 80/987 ed il suo effetto utile, nonché di violare il principio della parità di trattamento e di non discriminazione.

61.      In primo luogo, una siffatta disposizione pregiudica la struttura generale della direttiva 80/987 ed il suo effetto utile.

62.      Come risulta dalla giurisprudenza consolidata della Corte, l’obbligo degli Stati membri di garantire a «tutti» (25) i lavoratori subordinati un livello minimo di tutela costituisce il principio e tale principio prevede deroghe che devono essere interpretate e applicate restrittivamente, alla luce del loro carattere derogatorio e dell’obiettivo della direttiva 80/987 (26).

63.      Tali deroghe, che sono tassativamente elencate agli articoli 1, paragrafo 2, 2, paragrafo 2, 4 e 10 della direttiva 80/97, consentono agli Stati membri di escludere, in via eccezionale, dal campo di applicazione di quest’ultima alcune categorie di lavoratori subordinati in funzione dell’esistenza di altre forme di garanzia che assicurano loro una tutela equivalente (27) e di limitare, in alcune circostanze, la tutela che la citata direttiva mira a garantire ai lavoratori subordinati. Alcune di esse non prevedono la possibilità, per gli Stati membri, di limitare o, a fortiori, di sopprimere la garanzia a causa dell’irregolarità della situazione del lavoratore subordinato in base alle norme relative all’ingresso ed al soggiorno.

64.      Occorre anche rilevare che, in conformità dell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 80/987, gli Stati membri, anche quando definiscono, in applicazione dell’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, l’espressione «lavoratore subordinato», non possono escludere né i lavoratori a tempo parziale ai sensi della direttiva 97/81/CE (28), né i lavoratori aventi un contratto a tempo determinato ai sensi della direttiva 1999/70/CE (29), e nemmeno i lavoratori aventi un rapporto di lavoro interinale ai sensi della direttiva 91/383/CEE (30).

65.      In realtà, il rinvio al diritto nazionale per definire la nozione di lavoratore subordinato non deriva dalla volontà di lasciare agli Stati membri la possibilità di limitare come vogliono l’ambito di applicazione della direttiva 80/987 (31), ma si spiega essenzialmente con la difficoltà di elaborare una definizione univoca di una nozione che deve tenere conto della diversità delle forme di lavoro dipendente e dei rapporti di lavoro, la quale ha contribuito a rendere meno definita la distinzione tradizionale tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, nonché della varietà degli obiettivi perseguiti dalle diverse normative (32).

66.      Nonostante il margine di manovra lasciato agli Stati membri, dalla direttiva 80/987 risulta chiaramente che tutte le persone che rientrano nella classificazione di «lavoratore subordinato» ai sensi del diritto nazionale possono beneficiare della garanzia, salvo che un’altra forma di garanzia assicuri loro una tutela equivalente.

67.      Orbene, dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio le quali non sono state contraddette su questo punto dal governo dei Paesi Bassi, risulta che i cittadini di Stati terzi sono considerati lavoratori subordinati nel diritto civile olandese e che tale qualifica è negata loro soltanto ai fini della loro esclusione dal beneficio della garanzia contro l’insolvenza.

68.      L’esclusione dall’ambito di applicazione della direttiva 80/987 delle persone che rientrano nella classificazione di «lavoratore subordinato» nel diritto comune nazionale mi sembra contraria all’effetto utile di detta direttiva e tale da comprometterne l’efficacia. A mio avviso, la suddetta direttiva, se è vero che lascia agli Stati membri la possibilità di definire la nozione di lavoratore subordinato, impone loro tuttavia di fare coincidere la definizione in vigore nel loro diritto del lavoro nazionale con quella utilizzata per determinare l’ambito di applicazione delle misure nazionali di recepimento della direttiva stessa affinché qualunque lavoratore subordinato, ai sensi del diritto del lavoro nazionale, possa fruire della garanzia dei crediti salariali. In altri termini, la definizione di lavoratore subordinato non può variare a seconda che si tratti di rapporti del lavoratore con il datore di lavoro o dei suoi rapporti con i fondi di garanzia.

69.      In secondo luogo, il fatto di subordinare il diritto alla garanzia dei crediti salariali alla regolarità del soggiorno del lavoratore subordinato cittadino di uno Stato terzo non mi pare conforme al principio di parità di trattamento e di non discriminazione.

70.      Tale principio costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, sancito, in particolare, dagli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, le cui disposizioni si applicano sia alle istituzioni, agli organi e agli organismi dell’Unione, sia agli Stati membri quando essi attuano il diritto dell’Unione, così come emerge, segnatamente, dall’articolo 51, paragrafo 1, della stessa (33).

71.      Orbene, quando, nell’ambito del rinvio al diritto nazionale operato dall’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 80/987, uno Stato membro definisce le categorie di lavoratori subordinati alle quali tale direttiva è destinata ad applicarsi, esso dà attuazione al diritto dell’Unione e, quindi, deve rispettare il principio di parità di trattamento e non discriminazione.

72.      Tale principio esige, secondo la giurisprudenza consolidata, che situazioni simili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (34).

73.      La Corte ha precisato che gli elementi che caratterizzano situazioni diverse nonché la comparabilità di queste ultime devono, in particolare, essere determinati e valutati alla luce dell’oggetto e dello scopo dell’atto di diritto dell’Unione che stabilisce la distinzione di cui trattasi. Devono, inoltre, essere presi in considerazione i principi e gli obiettivi del settore cui tale atto si riferisce (35).

74.      Secondo la Corte, l’approccio deve essere lo stesso, mutatis mutandis, nell’ambito di un’analisi della conformità delle misure nazionali che attuano il diritto dell’Unione riguardo al principio di parità di trattamento (36).

75.      Orbene, come da me precedentemente sottolineato, dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio risulta che, secondo il diritto civile olandese, i cittadini di Stati terzi soggiornanti irregolarmente rientrano nella classificazione di lavoratori subordinati e possono richiedere il pagamento di una retribuzione in base al loro contratto di lavoro. Tuttavia, in caso di insolvenza del datore di lavoro, l’articolo 3, paragrafo 3, della WW riserva loro un trattamento diverso in quanto esclude il diritto alla garanzia dei loro diritti non pagati.

76.      Una tale disparità di trattamento non è obiettivamente giustificata.

77.      Onde giustificarla, l’UWV e il governo dei Paesi Bassi invocano due serie di considerazioni.

78.      In primo luogo, se si ammettesse che la direttiva 80/987 riguarda i cittadini di Stati terzi soggiornanti irregolarmente, ciò priverebbe di senso le direttive che riconoscono, a determinate condizioni, una parità di trattamento a favore dei cittadini degli Stati terzi a condizione, tuttavia, della regolarità del loro soggiorno (37).

79.      Tale obiezione non mi convince.

80.      Ritenere contrario al principio di parità di trattamento e di non discriminazione il fatto che, alla luce degli obiettivi della direttiva 80/987, dei lavoratori subordinati in situazione di irregolarità non possano beneficiare della garanzia dei loro diritti salariali in caso di insolvenza del loro datore di lavoro non significa che tali cittadini sarebbero sempre collocati in situazioni comparabili a quelle dei cittadini dell’Unione o dei cittadini di Stati terzi in situazione di regolarità e che nessuna differenza di trattamento potrebbe mai essere applicata loro. La soluzione da me preconizzata, limitata al settore della garanzia dei diritti salariali in caso di insolvenza del datore di lavoro e vincolata alla qualità di lavoratore subordinato dello straniero, fosse anche in situazione irregolare, non rimette in discussione, in maniera generale, la condizione di regolarità del soggiorno.

81.      In secondo luogo, il riconoscimento del diritto alla garanzia di insolvenza in favore dei cittadini di Stati terzi in soggiorno irregolare sarebbe contrario alla politica condotta per lottare contro l’immigrazione illegale. Al riguardo l’UWV e il governo dei Paesi Bassi fanno osservare che la legislazione olandese obbedisce a una logica di «abbinamento», che consiste nello stabilire un rapporto tra il diritto alle prestazioni di previdenza sociale e la regolarità del soggiorno nei Paesi Bassi. Pertanto, sebbene un datore di lavoro che non adempie ai propri obblighi di controllo ed assume un lavoratore illegale non possa sottrarsi al pagamento per il lavoro eseguito, da ciò non deriverebbe tuttavia alcun diritto ad una tutela sociale qualora tale datore di lavoro sia dichiarato fallito.

82.      Nemmeno tale obiezione resiste all’analisi.

83.      In primo luogo, se la direttiva 80/987 autorizza gli Stati membri a prendere le misure necessarie al fine di evitare abusi, tale facoltà è strettamente inquadrata e non può fondare una deroga generale al principio della garanzia dei crediti salariali. Infatti la Corte ha precisato, da una parte, che gli abusi di cui all’articolo 10, lettera a), di tale direttiva sono le pratiche abusive che recano pregiudizio agli organismi di garanzia creando artificiosamente un credito salariale e che fanno sorgere quindi illegittimamente un obbligo di pagamento a carico di tali organismi e, dall’altra, che le misure che gli Stati membri sono autorizzati ad adottare conformemente a tale disposizione sono quelle necessarie al fine di evitare pratiche del genere (38).

84.      In secondo luogo, l’obiezione sollevata dell’UWV e dal governo dei Paesi Bassi non mi sembra conforme agli obiettivi del diritto dell’Unione europea in materia di lotta contro l’immigrazione clandestina. È infatti giocoforza constatare che la direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti dei datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (39), autorizza esplicitamente gli Stati membri a non applicare il divieto di assunzione dei cittadini degli Stati terzi il cui soggiorno è irregolare per quei cittadini il cui allontanamento è stato differito e che sono autorizzati a lavorare conformemente alla legislazione nazionale (40).

85.      La suddetta direttiva prevede inoltre, in caso di violazione del divieto di assunzione, che gli Stati membri provvedano affinché il datore di lavoro sia tenuto a versare le retribuzioni non corrisposte, in particolare ogni retribuzione arretrata, compresi i costi derivanti dal trasferimento delle retribuzioni arretrate al paese d’origine del lavoratore, nonché i contributi previdenziali (41).

86.      Gli Stati membri si trovano dunque dinanzi alla seguente alternativa.

87.      O essi ammettono che cittadini di Stati terzi, sebbene in soggiorno irregolare, possano legalmente lavorare. In tale ipotesi, niente giustifica il loro rifiuto di riconoscere a tali stranieri le garanzie derivanti dal riconoscimento della qualifica di dipendenti e, in particolare, quelle previste dalla direttiva 80/987 in caso di insolvenza del datore di lavoro.

88.      Oppure essi applicano il divieto di assunzione dei cittadini degli Stati terzi in soggiorno irregolare. In tale ipotesi, il datore di lavoro è comunque tenuto a versare le retribuzioni non pagate. Orbene, i crediti salariali presentano, per la loro stessa natura, una grande importanza per gli interessati e si caratterizzano inoltre per il fatto di costituire il corrispettivo di un lavoro eseguito, il quale ha comportato un vantaggio per il datore di lavoro.

89.      I cittadini di Stati terzi in soggiorno irregolare che hanno lavorato e versato i contributi mi sembrano trovarsi in una situazione paragonabile a quella degli altri dipendenti, di modo che ritengo, nonostante i termini restrittivi del considerando 14 della direttiva 2009/52 (42), che niente giustifichi una differenza di trattamento con riferimento alla garanzia dovuta in caso di insolvenza del datore di lavoro.

90.      L’unica eccezione che potrebbe giustificare una soluzione diversa e privare il cittadino di uno Stato terzo del proprio diritto alla garanzia è quella in cui egli abbia agito a fini di frode, in particolare fornendo al datore di lavoro un falso titolo di soggiorno.

91.      Non è il caso del sig. Tümer. Benché soggiornasse irregolarmente in territorio olandese, il sig. Tümer vi ha lavorato ed è stato dichiarato dal suo datore di lavoro, che ha pagato per suo conto contributi a titolo della WW nel 2007. Avendo sollecitato a più riprese il rilascio di un titolo di soggiorno, il sig. Tümer era, per di più, perfettamente conosciuto presso le autorità nazionali, anche se, per riprendere l’espressione utilizzata dal governo dei Paesi Bassi all’udienza (43), egli è talvolta «uscito dal campo visuale» di tali autorità.

92.      Dati tali elementi, il sig. Tümer aveva diritto ad una prestazione di insolvenza. Rifiutargli tale prestazione equivarrebbe, in definitiva, a sanzionarlo privandolo di un credito che presenta un carattere alimentare che non è diverso dalla contropartita del lavoro da lui effettuato, in ragione di illeciti commessi sia dal datore di lavoro sia dall’amministrazione, la quale ha tollerato per molti anni una situazione non conforme alla normativa.

93.      Sono di conseguenza propenso a concludere che la direttiva 80/987 nonché il principio di parità di trattamento e di non discriminazione ostano alla normativa in questione.

IV – Conclusione

94.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue alla questione pregiudiziale posta dal Centrale Raad van Beroep:

La direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro, come modificata dalla direttiva 2002/74/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, nonché il principio generale di parità di trattamento e di non discriminazione, letto alla luce degli obiettivi della suddetta direttiva, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nel procedimento principale, che subordini il diritto per un cittadino di uno Stato terzo di percepire una prestazione di insolvenza ad una condizione di regolarità di soggiorno, pur riconoscendogli la qualità di lavoratore subordinato in diritto civile.


1 –      Lingua originale: il francese.


2      In prosieguo: l’«UWV».


3 –      GU L 283, pag. 23.


4 –      GU L 270, pag. 10; in prosieguo: la «direttiva 80/987».


5 –      GU L 283, pag. 36.


6 –      In prosieguo: la «WW».


7 –      Stb. 2000, n. 495.


8–      GU 1994, L 1, pag. 3.


9 –      In prosieguo: la «decisione n. 1/80».


10      Tale accordo è stato firmato il 12 settembre 1963 ad Ankara dalla Repubblica di Turchia, da una parte, nonché dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall’altra, e concluso, approvato e confermato a nome di quest’ultima con la decisione 64/732/CEE del Consiglio, del 23 settembre 1963 (GU 1964, 217, pag. 3685).


11 –      V. sentenza Betriu Montull (C 5/12, EU:C:2013:571, punto 40).


12 –      Ibidem (punto 41).


13 –      In particolare, tra il 31 marzo 1995, data in cui il sig. Tümer ha cessato di beneficiare di un permesso di soggiorno temporaneo, e il 25 aprile 2007, data a partire dalla quale egli non è più titolare di un titolo di soggiorno.


14 –      V. sentenze Derudder (C‑290/01, EU:C:2004:120, punti 37 e 38) e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (C‑157/10, EU:C:2011:813, punti da 17 a 21).


15      Il governo dei Paesi Bassi fa riferimento all’articolo 137 CE, che costituisce, in realtà, il fondamento normativo della direttiva 2002/74.


16 –      Così come aveva ricordato la Commissione nella sua proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 80/987/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro [COM(2000) 832 def.], il ricorso all’articolo 100 del Trattato CE quale fondamento giuridico della direttiva 80/987, nella sua versione iniziale, si spiegava con l’assenza, in quel momento, di un fondamento giuridico specifico per adottare misure nel settore sociale (punto 6).


17 –      Nel corso della discussione della proposta della Commissione da parte del gruppo «Questioni sociali» del Consiglio, il 19 marzo 2001 la delegazione britannica aveva d’altronde manifestato dubbi in merito al fondamento normativo del testo, richiedendo un parere del servizio giuridico del Consiglio.


18      Per una visione d’insieme, v. Dubos, O., «Quel statut personnel pour les ressortissants des États tiers?», Revue des affaires européennes, 2003-2004/1, pag. 83; Guild, E., e Peers, S., «Out of the Ghetto? The Personal Scope of EU Law», EU Immigration and Asylum Law: Text and Commentary, 1a edizione, Martinus Nijhoff Publishers, Leiden, pag. 81; Martin, D., «La protection des ressortissants de pays tiers par l’ordre juridique communautaire», L’union européenne et les droits fondamentaux, Bruylant, Bruxelles, 1999, pag. 173, e Mavridis, P., «Union européenne: un prix Nobel de protection sociale des ressortissants des pays tiers?», Revue de droit du travail, n. 12, 2012, pag. 719 e n. 1, 2013, pag. 57.


19      V., in tal senso, l’articolo 45, paragrafo 2, TFUE.V. anche, in materia di accesso al lavoro, l’articolo 1 del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (GU L 141, pag. 1), che riconosce il libero accesso al lavoro solo a favore dei cittadini degli Stati membri.


20 –      Una parte della dottrina milita a favore del riconoscimento di una presunzione generale di inclusione dei cittadini di Stati terzi nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, salvo disposizione espressa in senso contrario. V., in tal senso, Guild, E., e Peers, S., «Out of the Ghetto? The Personal Scope of EU Law», EU Immigration and Asylum Law: Text and Commentary, op. cit. Tali autori sostengono che, «[i]f Member States were free to exempt third‑country nationals from EC social legislation, a significant section of the workforce would have limited prospects of ‘improved living and working conditions’ and there would be little progress towards ‘combating of exclusion’ – rather the reverse» (pag. 95). V. anche Martin, D., «La protection des ressortissants de pays tiers par l’ordre juridique communautaire», L’union européenne et les droits fondamentaux, op. cit., il quale ritiene che «tanto il Trattato quanto il diritto derivato si applicano ai cittadini di paesi terzi, salvo che sia espressamente previsto il contrario» (pag. 173).


21      L’articolo 136, primo comma, CE, che definisce gli obiettivi in vista dei quali il Consiglio può, nelle materie di cui all’articolo 137, paragrafo 1, CE, adottare prescrizioni minime mediante direttive, rinvia alla Carta sociale europea, firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e riveduta a Strasburgo il 3 maggio 1996, nonché alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata nel corso della seduta del Consiglio europeo di Strasburgo il 9 dicembre 1989. Tuttavia, non mi pare possibile ritenere che tale rinvio, che appare abbastanza vago e mira a sottolineare l’impegno degli Stati membri nella tutela dei diritti sociali fondamentali, abbia la funzione di determinare l’ambito di applicazione della politica sociale dell’Unione con riferimento all’ambito di applicazione ratione personae di tali due Carte. V., in tal senso, Guild, E., e Peers, S., «Out of the Ghetto? The Personal Scope of EU Law», EU Immigration and Asylum Law: Text and Commentary, op. cit. (pagg. 94 e 95).


22 –      V. sentenze Andersson (C‑30/10, EU:C:2011:66, punto 25 e giurisprudenza citata) e van Ardennen (C‑435/10, EU:C:2011:751, punto 27 e giurisprudenza citata).


23 –      V., per analogia, riguardo alla definizione del termine «retribuzione», sentenza Visciano (C‑69/08, EU:C:2009:468, punto 28 e giurisprudenza citata).


24 –      V., per l’assoggettamento alle esigenze del principio di parità di trattamento e di non discriminazione della facoltà riconosciuta al diritto nazionale, da parte della direttiva 80/987, di precisare le prestazioni a carico dell’organismo di garanzia, sentenza Robledillo Núñez (C‑498/06, EU:C:2008:109, punto 30 e giurisprudenza citata).


25 –      V. sentenze Andersson (EU:C:2011:66, punto 25 e giurisprudenza citata) e van Ardennen (EU:C:2011:751, punto 27 e giurisprudenza citata).


26 –      V., in tal senso, sentenza van Ardennen (EU:C:2011:751, punto 34).


27 –      Le esclusioni connesse alla natura specifica del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro dei lavoratori subordinati, previste dalla direttiva 80/987, nella sua versione iniziale, sono state abrogate dalla direttiva 2002/74.


28 –      Direttiva del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1998, L 14, pag. 9).


29 –      Direttiva del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43).


30 –      Direttiva del Consiglio, del 25 giugno 1991, che completa le misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute durante il lavoro dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro interinale (GU L 206, pag. 19).


31 –      D’altronde la Commissione, nella sua proposta di direttiva menzionata alla nota 16 a piè pagina, ha affermato che un restringimento dell’ambito di applicazione della tutela prevista dalla direttiva 80/987, risultante da una definizione troppo riduttiva della nozione di lavoratore subordinato da parte di uno Stato membro, «sembra indesiderabile e, nel caso di talune categorie di lavoratori, difficilmente conciliabile con gli obiettivi della politica sociale comunitaria volta a trovare un equilibrio tra flessibilità del mercato del lavoro e sicurezza dei lavoratori» (punto 4.1.2).


32 –      V., in tal senso, Barnard, C., EU Employment Law, 4a edizione, Oxford University Press, 2012, pag. 144. V., inoltre, sulla definizione di lavoratore subordinato nel diritto dell’Unione, Coursier, P., «La notion de travailleur salarié en droit social communautaire», Droit social n. 3, 2003, pag. 305.


33 –      V., in particolare, sentenza IBV & Cie (C‑195/12, EU:C:2013:598, punto 48).


34 –      Ibidem (punto 50 e giurisprudenza citata).


35 –      Ibidem (punto 52 e giurisprudenza citata).


36 –      Ibidem (punto 53).


37 –      V. direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU L 180, pag. 22); direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16), e direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44).


38 –      V. sentenza Walcher (C 201/01, EU:C:2003:450, punti 39 e 40).


39 –      GU L 168, pag. 24. La direttiva 2009/52, pur non essendo applicabile ratione temporis tenuto conto della data dei fatti del procedimento principale, permette tuttavia di cogliere gli obiettivi e la logica della politica dell’Unione in materia di lotta contro l’occupazione illegale.


40 –      Articolo 3, paragrafo 3, di tale direttiva.


41 –      Articolo 6, paragrafo 1, di tale stessa direttiva.


42 –      Secondo l’ultima frase di tale considerando, nei casi in cui il datore di lavoro non provveda al pagamento degli arretrati, gli Stati membri non dovrebbero essere tenuti a farsi carico di tale obbligo al posto del datore di lavoro.


43–      Tale governo ha chiarito, in particolare, che il datore di lavoro del sig. Tümer non aveva chiesto il rilascio di un permesso di lavoro per quest’ultimo durante il periodo di esame della sua domanda di titolo di soggiorno, mentre un siffatto permesso gli avrebbe conferito il diritto di lavorare legalmente durante tale periodo.