Language of document : ECLI:EU:T:2003:327

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

3 dicembre 2003 (1)

«Marchio comunitario - Regolamento (CE) n. 40/94 - Impedimenti assoluti alla registrazione - Marchio descrittivo - Carattere distintivo acquisito in seguito all'uso - Segno denominativo TDI - Diritto di essere sentiti - Portata dell'obbligo di motivazione - Conseguenze di una violazione dell'obbligo di motivazione»

Nella causa T-16/02,

Audi AG, con sede in Ingolstadt (Germania), rappresentata dall'avv. L. von Zumbusch,

ricorrente,

contro

Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dai sigg. A. von Mühlendahl e G. Schneider, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto il ricorso proposto contro la decisione della prima commissione di ricorso dell'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) 8 novembre 2001 (procedimento R 652/2000-1), come rettificata dalla decisione 19 novembre 2001, relativa alla registrazione del segno denominativo TDI come marchio comunitario,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),

composto dai sigg. N.J. Forwood, presidente, J. Pirrung e A.W.H. Meij, giudici,

cancelliere: sig.ra D. Christensen, amministratore

visto il ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 30 gennaio 2002,

visto il controricorso dell'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) depositato nella cancelleria del Tribunale il 21 maggio 2002,

in seguito alla trattazione orale del 13 maggio 2003,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1.
    Il 7 marzo 1996 la ricorrente ha presentato all'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (in prosieguo: l'«UAMI») una domanda di marchio denominativo comunitario, in forza del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato.

2.
    Il marchio per il quale è stata chiesta la registrazione consiste nel segno denominativo TDI.

3.
    I prodotti e servizi per i quali si chiede la registrazione del marchio rientrano nelle classi 12 e 37 dell'Accordo di Nizza 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come rivisto e modificato, e corrispondono, rispettivamente per ognuna delle dette classi, alla seguente descrizione:

-    classe 12: «Autoveicoli e loro componenti legate alla costruzione»;

-    classe 37: «Riparazione e manutenzione di autoveicoli».

4.
    Con comunicazione 24 novembre 1997, l'esaminatrice ha dichiarato alla ricorrente che, ai sensi dell'art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, il marchio richiesto non poteva essere registrato.

5.
    Con lettera del 12 dicembre 1997, la ricorrente ha presentato osservazioni a tale proposito e ha fatto valere, in via subordinata, che il marchio richiesto aveva acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto. Inoltre, essa ha formulato una domanda di trattazione orale.

6.
    In seguito ad una conversazione telefonica in data 16 dicembre 1998 tra l'esaminatrice ed il rappresentante della ricorrente, quest'ultimo ha in particolare prodotto, con lettera 22 gennaio 1999, un sondaggio d'opinione realizzato in Germania nell'agosto del 1996 su un campione rappresentativo, così come statistiche sulle sue esportazioni negli anni 1994 - 1997, verso diversi paesi, tra i quali Stati membri diversi dalla Germania, alcuni cataloghi di vendita ed articoli di stampa relativi a collaudi di autovetture.

7.
    Con decisione 28 aprile 2000, l'esaminatrice ha respinto la domanda ai sensi dell'art. 38 del regolamento n. 40/94, in quanto il segno denominativo TDI era privo di ogni carattere distintivo, in relazione ai prodotti e ai servizi interessati, ai sensi dell'art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. Inoltre essa ha ritenuto che gli elementi prodotti dalla ricorrente non fossero sufficienti a dimostrare che il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto.

8.
    Il 6 giugno 2000, la ricorrente ha presentato presso l'UAMI un ricorso contro la decisione dell'esaminatrice, ai sensi dell'art. 59 del regolamento n. 40/94. Nella memoria in cui esponeva i motivi del suo ricorso, in data 13 luglio 2000, la ricorrente ha sostenuto, innanzi tutto, che la decisione dell'esaminatrice era stata adottata in violazione del diritto di essere sentiti. A tale proposito essa ha addotto, in particolare, di non aver avuto occasione di presentare osservazioni sulla valutazione dell'esaminatrice, secondo la quale gli elementi prodotti nel corso del procedimento non erano sufficienti a dimostrare che il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto. In secondo luogo, la ricorrente ha affermato che la decisione dell'esaminatrice era viziata da un errore di valutazione, in quanto il marchio richiesto non era privo di carattere distintivo intrinseco. In terzo luogo e in via subordinata, essa ha sostenuto che il marchio richiesto aveva acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto. A tale proposito essa ha ritenuto, in particolare, che l'esaminatrice abbia interpretato erratamente i documenti prodotti nel corso del procedimento innanzi ad essa e che essa non abbia sufficientemente motivato la sua decisione. Essa ha inoltre addotto argomenti diretti a dimostrare le ragioni per cui gli elementi contenuti in tali documenti permettevano di concludere che il marchio richiesto aveva acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso.

9.
    Con decisione 8 novembre 2001 (in prosieguo: la “decisione impugnata”), notificata alla ricorrente il 21 novembre 2001, la prima commissione di ricorso ha respinto il ricorso, in quanto il marchio richiesto rientrava nell'ambito di applicazione dell'art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94.

10.
    Sostanzialmente la commissione di ricorso ha ritenuto che, nonostante la decisione dell'esaminatrice sia fondata sull'art. 7, n. 1. lett. b), del regolamento n. 40/94, emergesse chiaramente dai motivi addotti dall'esaminatrice che essa intendeva basarsi anche sull'art. 7, n. 1, lett. c), dello stesso regolamento (punto 20 della decisione impugnata). A tale proposito, la commissione di ricorso ha dichiarato, in sostanza, che le lettere “T”, “D” e “I” significavano, rispettivamente, “turbo”, “diesel” o “direct” e “injection”. Pertanto, la commissione di ricorso ha ritenuto che, nonostante i due possibili significati del segno TDI, il consumatore medio lo intendesse immediatamente e senza bisogno di una più approfondita riflessione , come “turbo direct injection” (turbo a iniezione diretta) o “turbo diesel injection” (turbo diesel a iniezione) e che, quindi, il marchio richiesto fosse privo di carattere distintivo. Secondo la commissione di ricorso, l'uso di sigle descrittive è frequente nel settore automobilistico. In tale contesto, la commissione di ricorso ha ritenuto che le imprese di tale settore avessero un interesse legittimo a potersene servire senza alcuna restrizione (punti 23 - 26 della decisione impugnata).

11.
    Per quanto riguarda la questione, se il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto, la commissione di ricorso si è espressa, essenzialmente, nei seguenti termini:

“Gli elementi di prova prodotti dalla ricorrente non erano sufficienti a dimostrare che, alla data del deposito, il marchio avesse acquistato un carattere distintivo su tutto il territorio dell'Unione europea in seguito all'uso che ne era stato fatto. [Inoltre,] relativamente al carattere unitario del marchio comunitario, l'esistenza di un carattere distintivo in Germania non sarebbe sufficiente, tanto più che il pubblico tedesco non è il solo al quale la combinazione delle lettere ‘TDI' sia familiare. Non sarebbe nemmeno possibile dedurre da un eventuale carattere distintivo derivante dall'uso del marchio in Germania che il marchio richiesto ne sia provvisto all'interno di tutto il mercato europeo. [... Nell']esame dell'acquisto di un carattere distintivo risultante dall'uso che è stato fatto del marchio si devono prendere in considerazione tutti gli elementi che permettano di dedurre che il marchio ha acquisito la capacità di servire come indicatore dell'origine [dei prodotti o dei servizi]. Ciò comporta che si prenderanno in considerazione elementi quali la quota di mercato detenuta dal marchio, la frequenza, l'estensione geografica e la durata dell'uso di tale marchio, la consistenza degli investimenti realizzati dall'impresa per promuoverlo, la quota degli ambienti interessati che identifica i prodotti o i servizi come provenienti da una determinata impresa grazie al marchio, così come le dichiarazioni delle camere di commercio e dell'industria o di altre associazioni professionali. E' parimenti possibile ricorrere a sondaggi d'opinione. Nel determinare se i presupposti per la diffusione del marchio presso gli interessati siano soddisfatti, non ci si può basare soltanto su dati generali e astratti, quali determinate percentuali; piuttosto, si deve fare riferimento al caso specifico, e quindi a tutte le prove prodotte. (...) Di conseguenza, né l'esaminatore, né le commissioni di ricorso o un'altra divisione dell'UAMI hanno la possibilità di far sapere anticipatamente al richiedente quali prove saranno sufficienti per dimostrare, in una concreta fattispecie, che il marchio è riuscito a diffondersi presso gli ambienti commerciali interessati” (punti 31-33 della decisione impugnata).

Procedimento e conclusioni delle parti

12.
    La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

-    annullare la decisione impugnata;

-    condannare l'UAMI alle spese.

13.
    L'UAMI chiede che il Tribunale voglia:

-    respingere il ricorso;

-    condannare la ricorrente alle spese.

In diritto

14.
    A sostegno del suo ricorso, la ricorrente solleva cinque motivi. Il primo, secondo e terzo motivo sono relativi, rispettivamente, alla violazione dell'art. 7, n. 1, lett. c) e b), del regolamento n. 40/94, e dell'art. 7, n. 3, dello stesso regolamento. Il quarto motivo è relativo ad una violazione del diritto di essere sentiti, consacrato dall'art. 73 del regolamento n. 40/94. Il quinto motivo è relativo ad una violazione dell'obbligo di motivazione.

Sul primo motivo, relativo ad una violazione dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94

Argomenti delle parti

15.
    La ricorrente contesta che le lettere “T”, “D” e “I” abbiano, in quanto iniziali, significati determinati. Inoltre, essa ricorda che la decisione impugnata riconosce che le lettere possono corrispondere, in quanto iniziali, a parole molto diverse tra loro e che lo stesso segno TDI in quanto tale può avere due diversi significati. Orbene, secondo la ricorrente, tale constatazione è incompatibile con la tesi secondo la quale tale segno sarebbe compreso dal pubblico di riferimento immediatamente e senza bisogno di una più approfondita riflessione.

16.
    Inoltre, la ricorrente ricusa la tesi dell'UAMI secondo la quale il pubblico di riferimento, ossia il consumatore medio, intenderebbe immediatamente e senza bisogno di una più approfondita riflessione il segno TDI come corrispondente a “turbo direct injection” o “turbo diesel injection”. A tale proposito, essa fa valere che le nozioni insite in tali termini sono tecnicamente molto specifiche. Inoltre essa afferma che “turbo diesel injection” è tautologico, in quanto ogni motore diesel è un motore a iniezione. A ciò si aggiunga che il segno TDI potrebbe costituire la sigla per “turbo direct injection”. Tuttavia, la ricorrente espone che non è in tal senso che il segno è usato ed inteso, poiché si tratta di un motore diesel che, nell'uso, è designato con questo termine e non con quello di motore a iniezione.

17.
    Secondo la ricorrente, le associazioni eventuali che il pubblico di riferimento è portato a fare con le diverse lettere da cui è composto il marchio richiesto sono vaghe ai sensi della sentenza del Tribunale 5 aprile 2001, causa T-87/00, Bank für Arbeit und Wirtschaft/UAMI (EASYBANK) (Racc. pag. II-1259, punto 31). A tale proposito, essa sostiene che risulta dai punti 39 e 40 della sentenza della Corte 20 settembre 2001, causa C-383/99 P, Procter & Gamble/UAMI (Racc. pag. I-6251), che l'impedimento assoluto alla registrazione di cui all'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 si dovrebbe applicare solo se il segno TDI, considerato nel suo insieme, fosse direttamente descrittivo. Orbene, secondo la ricorrente non è questo il caso. Inoltre la ricorrente fa valere che il Tribunale, nella sua sentenza 31 gennaio 2001, causa T-193/99, Wrigley/UAMI (DOUBLEMINT) (Racc. pag. II-417), ha ritenuto che è sufficiente che una delle componenti di un segno costituito da due parole abbia un doppio significato per escludere, in via generale, l'esistenza di un carattere descrittivo del segno considerato nel suo insieme. Secondo la ricorrente da tale sentenza emerge anche che, allorché un segno è costituito da più componenti, ognuna delle quali ha più significati, le diverse combinazioni comportano una molteplicità di significati del segno considerato nel suo insieme, il che esclude che questo possa essere inteso dal pubblico come un'indicazione direttamente descrittiva.

18.
    In tale contesto, la ricorrente sottolinea che, poiché il segno TDI non descrive i prodotti e i servizi interessati, non esiste neppure una necessità imperativa che tale segno rimanga disponibile per la concorrenza.

19.
    Infine, la ricorrente invoca il fatto che il segno denominativo TDI è stato registrato come marchio nazionale in Germania, nei paesi del Benelux, in Francia e in Italia, oltre che come marchio internazionale. Orbene, secondo la ricorrente, tali registrazioni costituiscono un indizio importante dell'assenza di carattere descrittivo del marchio richiesto, in quanto gli organismi nazionali competenti in materia di marchi hanno, ognuno per quanto lo concerne, una conoscenza delle abitudini terminologiche nei diversi territori e spazi linguistici della Comunità migliore di quella dell'UAMI. A questo proposito, la ricorrente richiama sia la sentenza del Tribunale 31 gennaio 2001, causa T-331/99, Mitsubishi HiTec Paper Bielefeld/UAMI (Giroform) (Racc. pag. II-433), sia il punto 8.1.4 delle direttive d'esame dell'UAMI.

20.
    Richiamando il punto 28 della sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T-356/00, DaimlerChrysler/UAMI (CARCARD) (Racc. pag. II-1963), l'UAMI ricorda che ai fini dell'applicazione dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 occorre verificare, sulla base di un dato significato del segno denominativo in questione, se esista, dal punto di vista del pubblico di riferimento, un collegamento sufficientemente diretto e concreto tra il segno e le categorie di prodotti e servizi per i quali è chiesta la registrazione. Inoltre esso cita il punto 30 della stessa sentenza, secondo cui per rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, è sufficiente che un segno denominativo, almeno in uno dei suoi potenziali significati, designi una caratteristica dei prodotti o servizi in questione.

21.
    L'UAMI ritiene che combinazioni di lettere quali le sigle che, di per sé, non costituiscono parole intellegibili, possano comunque essere descrittive, a condizione che il pubblico di riferimento associ la combinazione di lettere alla nozione da essa rappresentata. A tale proposito, esso cita la combinazione di lettere “SA” che per il pubblico rappresenta la nozione di “società anonima”.

22.
    Secondo l'UAMI, la commissione di ricorso ha giudicato a ragione che la maggioranza del pubblico di riferimento comprende la sigla TDI nel senso di “turbo diesel injection” e che, pertanto, questa riveste un carattere descrittivo. Il fatto che, secondo la ricorrente, tale sigla sia priva di senso sul piano tecnico e che il consumatore abbia quindi una falsa idea del contenuto descrittivo della sigla di cui trattasi, non cambia in alcun modo tale constatazione, dato che il carattere descrittivo di un segno deve essere valutato dal punto di vista del pubblico di riferimento - nella fattispecie, gli acquirenti attuali e potenziali di autovetture - e non da quello del fabbricante. Allo stesso modo, l'UAMI afferma che il fatto che il segno TDI individui un tipo di motore e non l'insieme dell'autoveicolo non incide sulla regolarità della decisione impugnata, in quanto un marchio ha comunque un carattere descrittivo allorché descriva una componente essenziale del prodotto.

23.
    Relativamente alle registrazioni nazionali anteriori invocate dalla ricorrente, l'UAMI, richiamando il punto 41 della sentenza del Tribunale 7 febbraio 2002, causa T-88/00, Mag Instrument/UAMI (Forma di lampade tascabili) (Racc. pag. II-467), ricorda che queste non vincolano l'UAMI e possono servire solo come indizi. Esso segnala inoltre che la registrazione del marchio TDI è stata oggetto di critiche in Germania ed è stata contestata dalla dottrina.

Giudizio del Tribunale

24.
    Innanzi tutto occorre rilevare che la commissione di ricorso ha affermato a ragione che, benché la decisione dell'esaminatrice faccia espressamente riferimento solo all'art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, emerge chiaramente dalle motivazioni di questa decisione che essa si fondava anche sull'art. 7, n. 1, lett. c), dello stesso regolamento (punto 20 della decisione impugnata). Pertanto, fondando la propria decisione su quest'ultima disposizione, la commissione di ricorso non ha d'ufficio ritenuto sussistente un nuovo impedimento assoluto alla registrazione, relativamente al quale essa sarebbe stata tenuta a dare alla ricorrente l'opportunità di pronunciarsi in via preliminare.

25.
    Ai sensi dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, sono esclusi dalla registrazione “i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire per designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio”. Inoltre, l'art. 7, n. 2, del regolamento n. 40/94 enuncia che il “paragrafo 1 si applica anche se le cause d'impedimento esistono soltanto per una parte della Comunità”.

26.
    L'art. 7, n.1, lett. c), del regolamento n. 40/94 osta a che segni o indicazioni menzionati dallo stesso siano riservati ad una sola impresa in forza della loro registrazione come marchi. Tale disposizione persegue quindi uno scopo d'interesse generale, in quanto esige che segni o indicazioni del genere possano essere liberamente utilizzati da chiunque (v., per analogia, sentenze della Corte 4 maggio 1999, cause riunite C- 108/97 e C-109/97, Windsurfing Chiemsee, Racc. pag. I-2779, punto 25; 8 aprile 2003, cause riunite da C-53/01 a C-55/01, Linde e a., Racc. pag. I-3161, punto 73, e 6 maggio 2003, causa C-104/01, Libertel, Racc. pag. I-3793, punto 52).

27.
    In tale prospettiva, i segni e le indicazioni di cui all'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 sono quelli che, nell'uso normale dal punto di vista del pubblico di riferimento, possono servire a designare, direttamente o tramite la menzione di una delle sue caratteristiche essenziali, il prodotto o il servizio per il quale è richiesta la registrazione (sentenza Procter & Gamble/UAMI, cit., punto 39). Pertanto si può procedere alla valutazione del carattere descrittivo di un segno solo in rapporto, da un lato, ai prodotti o servizi interessati e, dall'altro, alla comprensione che ne ha il pubblico di riferimento.

28.
    Nella fattispecie, la commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 26 della decisione impugnata, che i prodotti e i servizi interessati sono destinati al consumatore medio, circostanza non contestata dalla ricorrente. Orbene, occorre tener presente che si presuppone che il consumatore medio sia normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto (v., in tal senso, sentenza della Corte 22 giugno 1999, causa C-342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I-3819, punto 26, e sentenza del Tribunale 7 giugno 2001, causa T-359/99, DKV/UAMI (EuroHealth), Racc. pag. II-1645, punto 27).

29.
    Relativamente all'argomento addotto dalla ricorrente secondo il quale terzi, e specificamente i suoi concorrenti, non avrebbero bisogno di utilizzare il segno denominativo in questione per designare i prodotti e i servizi di cui alla domanda, occorre rilevare che l'applicazione dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 non dipende dall'esistenza di un'esigenza imperativa di disponibilità concreta, attuale e seria (v., per analogia, sentenza Windsurfing Chiemsee, cit., punto 35). Inoltre l'interesse generale sotteso all'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 implica che tutti i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che possano servire a designare le caratteristiche di un prodotto o di un servizio ai sensi della detta disposizione siano liberamente disponibili per tutti e non possano costituire oggetto di registrazione (v., per analogia, sentenza Linde e a, cit., punto 74). Ai fini dell'applicazione dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 occorre quindi unicamente verificare, sulla base di un dato significato del segno denominativo in questione, se esista, dal punto di vista del pubblico di riferimento, un collegamento sufficientemente diretto e concreto tra il segno e le caratteristiche delle categorie di prodotti o servizi per le quali è richiesta la registrazione.

30.
    In via preliminare, occorre rilevare che il segno denominativo TDI è composto da tre lettere. Orbene, come emerge dai documenti esibiti al Tribunale dall'UAMI, combinazioni di lettere sono solitamente usate, nel settore automobilistico, per indicare le caratteristiche degli autoveicoli o, specificamente, quelle dei motori. Tale segno non è quindi inusuale nella sua struttura.

31.
    Per quanto riguarda il significato del segno denominativo TDI, emerge dal punto 26 della decisione impugnata così come dalle spiegazioni che l'UAMI ha fornito nel suo controricorso che, per l'UAMI, tale segno denominativo costituisce l'abbreviazione di “turbo diesel injection” o anche di “turbo direct injection”. A tale proposito, la ricorrente sostiene, a torto, che il segno denominativo in questione non ha un significato chiaro e determinato. Infatti, prendendo in considerazione i prodotti e i servizi per i quali è richiesta la registrazione e la comprensione che di tale segno ha il pubblico di riferimento, i significati presi in considerazione dalla commissione di ricorso si rivelano esatti.

32.
    Tale analisi non è messa in discussione dall'affermazione della ricorrente secondo cui nessuna tra le lettere “T”, “D” e “I” avrebbe un significato determinato, poiché ciascuna di esse può evocare, in quanto iniziale, parole molto diverse. Occorre infatti verificare il significato di un segno denominativo in quanto tale, ossia considerandolo nel suo insieme. Ciò vale anche quando un segno denominativo, come avviene per il marchio richiesto, è costituito da una combinazione di più lettere distinte. Pertanto è priva di rilevanza, ai fini dell'analisi del significato di un tale segno denominativo, la questione se, considerate una per una, le diverse lettere che lo compongono abbiano parimenti un significato chiaro e determinato. Ciò vale anche per la questione, se altre combinazioni delle stesse lettere, con o senza l'aggiunta di altre lettere, abbiano o meno un tale significato.

33.
    Inoltre, è parimenti irrilevante la tesi della ricorrente secondo cui “turbo diesel injection” costituisce una tautologia, quand'anche considerandola corretta dal punto di vista tecnico. Infatti, ai fini della valutazione del carattere descrittivo di un segno denominativo, occorre tenere conto unicamente del punto di vista del pubblico di riferimento, il quale non può avere, nella fattispecie, le conoscenze tecniche che gli permetterebbero di notare il carattere tautologico di tale nozione. Inoltre, il fatto che un segno denominativo sia tautologico non implica che esso sia privo di un significato chiaro e determinato. Peraltro, la stessa ricorrente ammette che il segno TDI potrebbe corrispondere a “turbo direct injection”, pur facendo valere che non è in tal senso che il segno è usato ed inteso, poiché si tratta di un motore diesel che, nell'uso, è designato con questo termine e non con quello di motore a iniezione. Tuttavia tale argomento non fa che confermare la tesi dell'UAMI secondo cui, dal punto di vista del pubblico di riferimento, il segno TDI può corrispondere a “turbo diesel injection”.

34.
    Relativamente alla natura del collegamento esistente tra il segno denominativo TDI e i prodotti e servizi di cui alla domanda di marchio, la decisione impugnata non contiene precisazioni. Ciò nonostante, occorre considerare che, per quanto riguarda la prima categoria di prodotti indicati nella domanda di marchio, ossia gli autoveicoli, tale segno denominativo ne designa la qualità. Infatti il fatto d'essere dotato di un motore “turbo diesel injection” o “turbo direct injection” costituisce una caratteristica essenziale dell'autoveicolo. Per quanto riguarda la seconda categoria di prodotti (componenti legate alla costruzione di autoveicoli), il segno denominativo TDI ne designa il tipo.

35.
    Relativamente ai servizi di riparazione e manutenzione di cui alla domanda di marchio, il segno denominativo TDI ne designa la destinazione. A quest'ultimo proposito, non si può certamente escludere che tali categorie di servizi includano anche servizi che non presentano alcun collegamento con gli autoveicoli dotati di un motore TDI e che pertanto il segno denominativo TDI non sia descrittivo di tutti i servizi rientranti in queste categorie. Tuttavia occorre rilevare che la ricorrente ha chiesto la registrazione del segno denominativo in questione per ciascuna di esse nel loro insieme. Occorre quindi confermare la valutazione della commissione di ricorso nella parte in cui riguarda tali categorie di servizi nel loro insieme (v., in tal senso, sentenza EuroHealth, cit., punto 33).

36.
    In tale contesto, contrariamente a quanto preteso dalla ricorrente, il fatto che il segno denominativo TDI possa avere due significati diversi è inconferente. Infatti per il pubblico di riferimento, in rapporto a ognuno dei suoi potenziali significati, tale segno denominativo designa una caratteristica dei prodotti e servizi interessati che può essere presa in considerazione al momento della scelta operata da tale pubblico. Orbene, tale conclusione non verrebbe inficiata nell'ipotesi che una certa parte del pubblico di riferimento abbia in mente solo uno dei due significati possibili del segno denominativo TDI. A tale proposito, occorre ricordare che, per rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, è sufficiente che un segno denominativo, almeno in uno dei suoi potenziali significati, designi, dal punto di vista del pubblico di riferimento, una caratteristica dei prodotti o servizi interessati (sentenza CARCARD, cit., punto 30; v. anche le conclusioni dell'avvocato generale Jacobs presentate nella causa C-191/01 P, UAMI/Wrigley, decisa con sentenza 23 ottobre 2003, Racc. pag. I-12447, paragrafi 42 - 47).

37.
    Pertanto esiste, dal punto di vista del pubblico di riferimento, un collegamento sufficientemente diretto e concreto tra il segno denominativo TDI e le caratteristiche dei prodotti e servizi indicati nella domanda di marchio. Tale analisi è confermata dal fatto che, in certe pubblicazioni di natura promozionale, la ricorrente stessa utilizza tale segno denominativo per descrivere i diversi modelli di autoveicoli da lei immessi in commercio. Così, una pubblicità, riprodotta all'allegato K 8 del ricorso e che si riferisce al modello A 2, è formulata come segue: “Un'auto interamente in alluminio, da oggi anche in versione TDI” [testo originale in italiano]. Allo stesso modo, in un altro annuncio pubblicitario riprodotto all'allegato K 8 del ricorso, il motore del modello A 6 è presentato come il “primo motore V 6 TDi”.

38.
    La commissione di ricorso ha indicato implicitamente, al punto 31 della decisione impugnata, che il segno denominativo TDI è descrittivo dei prodotti e servizi interessati in tutta la Comunità. Tale analisi è esatta. Infatti, poiché gli autoveicoli vengono posti in vendita, in linea di principio, sotto le stesse denominazioni in tutto il mercato interno, si deve ritenere che non sussistano differenze tra le diverse parti della Comunità relativamente alla comprensione, da parte del pubblico di riferimento, del significato di un segno denominativo di questo tipo - e in particolare del segno TDI - e del collegamento esistente tra questo e i prodotti e servizi di cui alla domanda di marchio.

39.
    Ne deriva che la commissione di ricorso non ha commesso alcun errore di diritto nel ritenere che il segno denominativo TDI potesse servire a designare, ai sensi dell'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, dal punto di vista del pubblico di riferimento, le caratteristiche essenziali dei prodotti e servizi di cui alla domanda di marchio.

40.
    Relativamente alle registrazioni del segno denominativo TDI come marchio nazionale in diversi Stati membri, invocate dalla ricorrente, occorre ricordare che il regime comunitario dei marchi rappresenta un sistema autonomo, costituito da un insieme compiuto di norme e che persegue obiettivi ad esso specifici, essendo la sua applicazione indipendente da ogni sistema nazionale (sentenze del Tribunale 5 dicembre 2000, causa T-32/00, Messe München/UAMI (electronica), Racc. pag. II-3829, punto 47, e 5 dicembre 2002, causa T-91/01, BioID/UAMI (BioID), Racc. pag. II-5159, punto 45). Pertanto la registrabilità di un segno come marchio comunitario deve essere valutata solo sulla base della pertinente normativa comunitaria. L'UAMI ed eventualmente il giudice comunitario non sono vincolati da una decisione intervenuta a livello di uno Stato membro o di un paese terzo che ammetta la registrabilità dello stesso segno come marchio nazionale. Ciò vale anche nel caso che una tale decisione sia stata presa in applicazione di una legislazione nazionale armonizzata in forza della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1). Gli argomenti della ricorrente relativi all'esistenza delle registrazioni summenzionate sono dunque ininfluenti. Inoltre, la ricorrente non ha presentato alcun argomento sostanziale che potesse essere tratto da tali decisioni nazionali ed addotto a sostegno del motivo dedotto.

41.
    Da quanto precede risulta che deve essere respinto il motivo relativo alla violazione dell'art. 7, n. 1, lett. c, del regolamento n. 40/94.

Sul terzo motivo, relativo ad una violazione dell'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94

Argomenti delle parti

42.
    La ricorrente ricusa la tesi, esposta nella decisione dell'esaminatrice, secondo cui il fatto che un'impresa utilizzi da sola, o molto più frequentemente delle altre, una determinata indicazione descrittiva, con la conseguenza che gran parte del pubblico di riferimento la associ ad essa, non basta a permetterle di registrare tale indicazione come marchio.

43.
    Riguardo al sondaggio d'opinione da essa prodotto nel corso del procedimento innanzi all'esaminatrice, la ricorrente afferma che ne risulta che, contrariamente all'interpretazione datane dall'esaminatrice, all'atto del deposito della domanda di marchio, ossia nel 1996, il 30 % delle persone intervistate associava il segno TDI alla sua impresa e, in via generale, il 65 % di queste persone conosceva tale segno. La ricorrente aggiunge che si tratta di cifre elevate, raggiunte solo da un numero molto ristretto di marchi. Inoltre, secondo la ricorrente, il suo grado di diffusione negli altri Stati membri, e in particolare in Francia e in Italia, era ed è paragonabile a quello relativo alla Germania, così come per il livello delle vendite e delle spese pubblicitarie.

44.
    In tale contesto, la ricorrente fa valere di aver fatto un uso considerevole del marchio richiesto sin dal 1990. Essa dichiara infatti di aver venduto, fino alla fine del 1996, 426 353 autoveicoli sotto questo marchio in tutta la Comunità, il che corrisponde ad un fatturato di circa 10,6 miliardi di euro (EUR). Le cifre per il periodo conclusosi alla fine del 2001 ammontano, secondo la ricorrente, a 1 611 337 autoveicoli, corrispondenti ad un fatturato di circa 45 miliardi di euro. La ricorrente sostiene inoltre che le spese pubblicitarie da essa sostenute annualmente per la messa in vendita dei suoi autoveicoli sotto il marchio richiesto ammontano, in Germania, a varie decine di milioni di marchi tedeschi e, negli altri Stati membri, come la Francia, il Regno Unito, l'Italia e la Spagna, a diversi milioni di marchi tedeschi. Essa afferma infine di detenere, in tutta la Comunità, una quota di mercato pari al 5% delle autovetture dotate di un motore diesel, il che equivale, secondo essa, ad una posizione di supremazia su tale segmento di mercato.

45.
    Inoltre la ricorrente fa valere che, per valutare la quota di pubblico di riferimento in grado di percepire un marchio come indicativo dell'origine commerciale dei prodotti o servizi interessati (in prosieguo: il “grado di diffusione del marchio”), occorre anche tenere conto dell'uso che ne è fatto da altre imprese, o in forza di una licenza o, per quanto riguarda le imprese appartenenti allo stesso gruppo dell'operatore che richiede il marchio, in forza di una semplice autorizzazione. Nella fattispecie, secondo essa, occorre considerare l'uso del marchio richiesto da parte delle imprese del gruppo Volkswagen, ossia Volkswagen, Seat e Skoda. A tale proposito, la ricorrente afferma che, in tutta la Comunità, queste imprese hanno venduto, sotto il marchio richiesto, 475 266 autoveicoli fino alla fine del 1996, e 2 185 174 autoveicoli fino alla fine del 2000. Inoltre, secondo la ricorrente, le spese pubblicitarie sostenute in Germania dalle imprese del gruppo Volkswagen per la commercializzazione dei suoi autoveicoli sotto il marchio richiesto ammontavano approssimativamente a 4,4 milioni di marchi tedeschi (DEM) nel 1995, a DEM 18,9 milioni nel 1996, a DEM 2,9 milioni nel 1997, a DEM 2,7 milioni nel 1998, a DEM 29,2 milioni nel 1999 e a DEM 28,4 milioni nel 2000. A ciò si aggiunga che la ricorrente afferma che tali imprese hanno speso annualmente, quantomeno sin dal 1995, svariati milioni di marchi tedeschi a scopi pubblicitari in ognuno dei grandi Stati membri.

46.
    In via cautelare, la ricorrente chiede al Tribunale di ordinare, come mezzo istruttorio relativo al fatto che il marchio TDI ha acquisito un carattere distintivo per l'uso che ne è stato fatto nella Comunità europea, l'audizione come teste del sig. Klaus le Vrang, così come l'organizzazione di un sondaggio d'opinione.

47.
    L'UAMI ricorda che un marchio deve aver acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso solo nel territorio sul quale esiste un impedimento alla registrazione. Relativamente al grado di diffusione del marchio, l'UAMI ritiene che la giurisprudenza abbia indicato, a tutt'oggi, soltanto criteri vaghi. A tale proposito, esso ricorda che, al punto 52 della citata sentenza Windsurfing Chiemsee, la Corte ha giudicato che le condizioni per la registrazione del marchio, indicate dall'art. 3, n. 3, della prima direttiva 89/104, erano soddisfatte allorché gli interessati, o quantomeno una quota significativa di questi, associavano al marchio in questione una determinata impresa, fermo restando che detta quota non può essere identificata unicamente sulla base di dati generali ed astratti, come ad esempio percentuali determinate. In tale contesto, l'UAMI ritiene che, nonostante ciò non emerga chiaramente dalla citata sentenza Windsurfing Chiemsee, nel caso di un marchio costituito da una sola cifra o da una sola lettera, il grado di diffusione richiesto debba essere più elevato che nel caso di indicazioni che descrivono solo talune particolarità dei prodotti o dei servizi.

48.
    Nella fattispecie l'UAMI sostiene che la ricorrente ha dimostrato, tramite il sondaggio d'opinione da essa prodotto, che il 22 % al massimo delle persone intervistate ha associato il segno TDI ad una determinata impresa o a più imprese appartenenti allo stesso gruppo. L'UAMI condivide l'analisi dell'esaminatrice e della commissione di ricorso secondo la quale tale percentuale è troppo bassa perché sia possibile trarne conclusioni sulla diffusione del marchio. Inoltre, secondo l'UAMI, l'esaminatrice a ragione l'ha estrapolata per determinare la situazione della ricorrente negli altri Stati membri e ne ha tratto la conclusione che tali percentuali sarebbero ivi probabilmente ancora più basse. Esso aggiunge che tale valutazione non è inficiata né dalle spese pubblicitarie né dai fatturati invocati dalla ricorrente.

49.
    Ciò vale anche, secondo l'UAMI, per i nuovi documenti allegati al ricorso, diretti a provare il grado di diffusione del marchio richiesto, anche ammettendo che ne sia autorizzata la loro produzione dinanzi al Tribunale. A tale proposito, l'UAMI afferma che i dati sul fatturato esposti in tali documenti provano effettivamente un'intensa attività della ricorrente nei settori della pubblicità e delle vendite, senza peraltro dimostrare che il grado di diffusione del marchio richiesto fosse più elevato al momento del deposito della domanda di marchio che alla data in cui è stato effettuato il sondaggio d'opinione.

Giudizio del Tribunale

50.
    In forza dell'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94, gli impedimenti assoluti alla registrazione, indicati dall'art. 7, n. 1, lett. b) - d), dello stesso regolamento, non ostano tuttavia alla registrazione di un marchio se questo ha acquisito, per i prodotti o servizi per i quali si chiede la registrazione, un carattere distintivo in seguito all'uso che ne è stato fatto. Infatti nell'ipotesi di cui all'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94, il fatto che il segno, che costituisce il marchio di cui trattasi, sia effettivamente percepito dal pubblico di riferimento come un'indicazione dell'origine commerciale di un prodotto o di un servizio è il risultato di uno sforzo economico di chi richiede la registrazione del marchio. Orbene, tale circostanza giustifica che vengano meno le considerazioni d'interesse generale sottostanti al n. 1, lett. b) - d), dello stesso articolo, le quali impongono che i marchi oggetto di tali disposizioni possano essere liberamente utilizzati da tutti al fine di evitare di creare un vantaggio concorrenziale illegittimo a favore di un solo operatore economico (sentenza del Tribunale 2 luglio 2002, causa T-323/00, SAT.1/UAMI (SAT.2), Racc. pag. II-2839, punto 36).

51.
    Innanzi tutto emerge dalla giurisprudenza relativa all'interpretazione dell'art. 3, n. 3, della prima direttiva 89/104, il cui contenuto normativo sostanzialmente coincide con quello dell'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94, che presupposto per l'acquisizione di un carattere distintivo in seguito all'uso del marchio è che almeno una quota significativa del pubblico di riferimento identifichi grazie al marchio i prodotti o servizi interessati come provenienti da un'impresa determinata. Tuttavia le circostanze in cui la condizione collegata all'acquisizione di un carattere distintivo in seguito all'uso può essere considerata soddisfatta non possono essere accertate unicamente sulla base di dati generali ed astratti, come ad esempio percentuali determinate (v., in tal senso, sentenze della Corte Windsurfing Chiemsee, cit., punto 52, e 18 giugno 2002, causa C-299/99, Philips, Racc. pag. I-5475, punti 61 e 62).

52.
    In secondo luogo, per fare accettare la registrazione di un marchio ai sensi dell'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94, il carattere distintivo acquisito in seguito all'uso di tale marchio deve essere dimostrato nella parte sostanziale della Comunità in cui esso ne era privo alla luce dell'art. 7, n. 1, lett. b) - d), dello stesso regolamento (sentenza del Tribunale 30 marzo 2000, causa T-91/99, Ford Motor/UAMI (OPTIONS), Racc. pag. II-1925, punto 27).

53.
    In terzo luogo, ai fini della valutazione dell'acquisizione di un carattere distintivo in seguito all'uso in un determinato caso di specie, occorre tenere conto di fattori quali, in particolare, la quota di mercato detenuta dal marchio, la frequenza, l'estensione geografica e la durata dell'uso di tale marchio e l'entità degli investimenti effettuati dall'impresa per promuoverlo. La prova del carattere distintivo acquisito può, in particolare, risultare da dichiarazioni delle camere di commercio e dell'industria o di altre associazioni professionali, così come da sondaggi d'opinione (v., in tal senso, sentenze Windsurfing Chiemsee, cit., punti 51 e 53, e Philips, cit., punto 60).

54.
    In quarto luogo, l'acquisizione di un carattere distintivo in seguito all'uso deve essere avvenuta anteriormente al deposito della domanda (sentenza del Tribunale 12 dicembre 2002, causa T-247/01, eCopy/UAMI (ECOPY), Racc. pag. II-5301, punto 36).

55.
    Alla luce di queste considerazioni occorre verificare se, nella fattispecie, la commissione di ricorso abbia commesso un errore di diritto valutando che il marchio richiesto non potesse essere registrato in forza dell'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94.

56.
    Come affermato al precedente punto 38, l'impedimento assoluto alla registrazione di cui all'art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 sussiste, relativamente al marchio richiesto, in tutta la Comunità. Quindi è in tutta la Comunità che tale marchio deve avere acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso, per essere registrabile in forza dell'art. 7, n. 3, dello stesso regolamento.

57.
    Nel corso del procedimento amministrativo innanzi all'UAMI, la ricorrente ha dichiarato, implicitamente, nella sua lettera del 22 gennaio 1999 indirizzata all'esaminatrice, che il marchio richiesto aveva acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto in tutta la Comunità. Essa ha ripetuto tale affermazione nella memoria con cui esponeva i motivi del suo ricorso innanzi all'UAMI, in data 13 luglio 2000.

58.
    Relativamente, innanzi tutto, ai mercati degli Stati membri diversi dalla Germania, nel corso del procedimento amministrativo innanzi all'UAMI, la ricorrente ha solamente prodotto statistiche sulle proprie esportazioni negli anni 1994 - 1997 verso diversi paesi, tra i quali Stati membri diversi dalla Germania, così come cataloghi di vendita ed articoli di stampa relativi a collaudi di autovetture. Inoltre il sondaggio d'opinione prodotto dalla ricorrente si riferisce al solo mercato tedesco.

59.
    Al punto 31 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha giudicato implicitamente e senza motivare tale valutazione in maniera circostanziata che tali elementi erano insufficienti a dimostrare che, alla data del deposito, il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto negli Stati membri diversi dalla Germania.

60.
    Tuttavia, la ricorrente non ha addotto alcun elemento che permetta di concludere che tale valutazione non sia esatta. Infatti i soli dati sul fatturato prodotti dalla ricorrente che, peraltro, non indicano assolutamente la quota di mercato interessato dal marchio richiesto, non permettono di concludere che negli Stati membri diversi dalla Germania il pubblico di riferimento, o almeno una parte significativa dello stesso, percepisca il marchio richiesto come indicativo dell'origine commerciale dei prodotti e servizi interessati. Lo stesso vale per i cataloghi di vendita e gli articoli di stampa.

61.
    Ciò nonostante, nel suo ricorso, la ricorrente invoca nuovi fatti a sostegno della sua tesi secondo cui il marchio richiesto ha certamente acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso in tutta la Comunità. In particolare, essa si avvale del numero di autoveicoli venduti sotto il marchio richiesto tra il 1990 e il 2001, del fatturato corrispondente, così come delle spese pubblicitarie sostenute annualmente per promuovere la vendita dei suoi autoveicoli sotto tale marchio. Essa afferma infine di detenere, in tutta la Comunità, una quota di mercato pari al 5 % delle autovetture dotate di motore diesel, il che equivale, secondo essa, ad una posizione di supremazia su tale segmento di mercato. Inoltre essa chiede al Tribunale, a titolo cautelare, di ordinare come mezzo istruttorio l'audizione come teste di uno dei suoi dipendenti, il sig. Klaus le Vrang, così come l'organizzazione di un sondaggio d'opinione.

62.
    A tale proposito, si deve constatare che il richiamo a tali fatti è ininfluente.

63.
    Infatti, occorre innanzi tutto rilevare come, in forza di una costante giurisprudenza, la legittimità di un atto comunitario dev'essere valutata in base agli elementi di fatto e di diritto esistenti al momento in cui l'atto è stato adottato (sentenze del Tribunale 6 ottobre 1999, causa T-123/97, Salomon/Commissione, Racc. pag. II-2925, punto 48, e 14 maggio 2002, causa T-126/99, Graphischer Maschinenbau/Commissione, Racc. pag. II-2427, punto 33). Inoltre, in forza dell'art. 63, n. 2, del regolamento n. 40/94, l'annullamento, così come la riforma di una decisione della commissione di ricorso, è possibile solo se questa è viziata nel merito o nella forma. Il ricorso innanzi al giudice comunitario è quindi unicamente diretto a controllare la legittimità della decisione della commissione di ricorso e non a riaprire la causa. In linea di principio la legittimità di una decisione della commissione di ricorso non può quindi essere messa in discussione deducendo innanzi al Tribunale fatti che, anche se anteriori alla data d'adozione di tale decisione, non sono stati tuttavia dedotti nel corso del procedimento amministrativo innanzi all'UAMI. Diversa sarebbe la soluzione soltanto se si fosse dimostrato che la commissione di ricorso doveva, d'ufficio, prendere in considerazione tali fatti al momento del procedimento amministrativo, prima di adottare ogni decisione nel caso di specie.

64.
    A tale proposito, occorre ricordare che la commissione di ricorso è obbligata a tenere conto di un fatto che può essere rilevante nella valutazione relativa all'acquisizione di un carattere distintivo in seguito all'uso solo se colui che richiede il marchio l'ha dedotto nel corso del procedimento amministrativo innanzi all'UAMI (sentenza ECOPY, cit., punto 47).

65.
    Nella fattispecie, i fatti indicati al precedente punto 61 non sono stati dedotti nel corso del procedimento amministrativo innanzi all'UAMI. Dunque, tali fatti, quand'anche accertati, non potrebbero mettere in discussione la legittimità della decisione impugnata. Pertanto occorre rilevare, come già indicato al punto 62, che il richiamo ad essi è ininfluente.

66.
    Inoltre, per le ragioni esposte al precedente punto 60, tali fatti non permettono neppure di dimostrare che il marchio richiesto abbia acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne è stato fatto negli Stati membri diversi dalla Germania. Per quanto riguarda, in particolare, l'affermazione della ricorrente secondo cui essa detiene, in tutta la Comunità, una quota di mercato pari al 5 % delle autovetture dotate di motore diesel, occorre rilevare che nemmeno tale circostanza, quand'anche accertata, permette di concludere che negli Stati membri diversi dalla Germania il pubblico di riferimento, o almeno una parte significativa di quest'ultimo, percepisca il marchio richiesto come indicativo dell'origine commerciale dei prodotti e servizi interessati. Inoltre, per quanto riguarda i fatti posteriori al momento del deposito della domanda, ossia al 7 marzo 1996, questi sono inconferenti relativamente alla valutazione dell'acquisizione di un carattere distintivo risultante dall'uso, a causa della norma esposta al precedente punto 54.

67.
    Per le ragioni esposte ai precedenti punti 62 - 65, non si deve neppure procedere all'assunzione di mezzi istruttori richiesti dalla ricorrente. Infatti l'UAMI è obbligato a tener conto di un elemento di prova diretto a dimostrare che il marchio richiesto ha acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso solo se il richiedente lo ha prodotto durante il procedimento amministrativo dinanzi all'UAMI (sentenza ECOPY, cit., punto 48).

68.
    Pertanto la ricorrente non ha provato che il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto negli Stati membri diversi dalla Germania. Orbene, tale constatazione basta per respingere il motivo relativo alla violazione dell'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94, senza che sia necessario verificare se la ricorrente abbia provato che il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto in Germania.

Sul quarto motivo, relativo alla violazione del diritto di essere sentiti

Argomenti delle parti

69.
    La ricorrente fa valere che l'UAMI ha violato nei suoi confronti il diritto di essere sentiti consacrato dall'art. 73 del regolamento n. 40/94. Secondo lei, l'esaminatrice l'aveva invitata, in occasione di un colloquio telefonico, a produrre alcuni documenti lasciando intendere che il marchio richiesto sarebbe stato registrato in forza dell'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94 una volta prodotti tali documenti. Orbene, secondo la ricorrente, l'UAMI avrebbe dovuto comunicarle che riteneva insufficienti i documenti prodotti, affinché essa potesse produrre ulteriori elementi di prova. Inoltre, l'UAMI avrebbe dovuto indicarle che esigeva, come risulta dal punto 31 della decisione impugnata, la prova che il marchio richiesto aveva acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto nell'insieme della Comunità.

70.
    L'UAMI ribatte che la pretesa violazione del diritto di essere sentiti, invocato dalla ricorrente, riguarda la procedura innanzi all'esaminatrice e non quella innanzi alla commissione di ricorso. In tale contesto, esso sostiene che ad ogni modo la commissione di ricorso non ha violato il diritto al contraddittorio, in quanto essa ha proceduto ad un esame completo dei fatti, dei mezzi e degli argomenti presentati dalla ricorrente.

Giudizio del Tribunale

71.
    Ai sensi dell'art. 73 del regolamento n. 40/94, le decisioni dell'UAMI devono essere fondate esclusivamente su motivi in ordine ai quali le parti hanno potuto presentare le proprie deduzioni. Tale disposizione concerne tanto i motivi di fatto che quelli di diritto, così come gli elementi di prova.

72.
    In via preliminare, occorre sottolineare che l'argomento dell'UAMI, secondo cui la pretesa violazione del diritto di essere sentiti, invocato dalla ricorrente, riguarda la procedura innanzi all'esaminatrice e non quella innanzi alla commissione di ricorso, è inconferente. Infatti, nella memoria in cui espone i motivi del suo ricorso, la ricorrente ha sostenuto di non aver avuto occasione di presentare osservazioni sulla valutazione dell'esaminatrice, secondo la quale gli elementi prodotti nel corso del procedimento innanzi ad essa non erano sufficienti a dimostrare che il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto. Pertanto, con il presente motivo, la ricorrente rimprovera in realtà alla commissione di ricorso di non aver annullato la decisione dell'esaminatrice nonostante il preteso vizio di procedura di questa decisione.

73.
    L'esaminatrice ha fondato la sua decisione sul fatto che solamente il 22 % degli intervistati associava il marchio richiesto ad una determinata impresa. Orbene, tale fatto risulta dal sondaggio d'opinione prodotto dalla stessa ricorrente. Nell'ambito della sua valutazione finale di tale fatto alla luce dell'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94, l'esaminatrice ha ritenuto che la condizione collegata all'acquisizione di un carattere distintivo in seguito all'uso non fosse soddisfatta nella fattispecie.

74.
    Alla luce di tali circostanze, l'esaminatrice non era obbligata a sentire la ricorrente in merito alla valutazione degli elementi di fatto sui quali ha fondato la propria decisione.

75.
    A tale proposito, occorre tener presente che la valutazione dei fatti spetta all'atto decisionale stesso. Orbene, il diritto di essere sentiti si estende a tutti gli elementi di fatto o di diritto che costituiscono il fondamento della decisione, ma non alla posizione finale che l'amministrazione intende adottare (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 21 gennaio 1999, cause riunite T-129/95, T-2/96 e T-97/96, Neue Maxhütte Stahlwerke e Lech-Stahlwerke/Commissione, Racc. pag. II-17, punto 231).

76.
    Poiché l'esaminatrice non è dunque tenuta a sentire la ricorrente in merito alla valutazione degli elementi di fatto sui quali essa ha fondato la propria decisione, quest'ultima non è stata adottata in violazione del diritto al contraddittorio.

77.
    Ciò nonostante, nel suo ricorso, la Audi AG afferma che l'esaminatrice le ha comunicato, nel corso di un colloquio telefonico, che il marchio richiesto sarebbe stato registrato, in forza dell'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94, se essa fosse stata in grado di produrre alcuni documenti relativi all'acquisizione di un carattere distintivo in seguito all'uso. Tuttavia, in base al punto 19 della decisione impugnata, l'esaminatrice si è limitata a indicare alla ricorrente “i documenti che possono, a priori, costituire una prova [per dimostrare che il marchio richiesto si è diffuso presso il pubblico di riferimento]” (“welche Unterlagen [zur Glaubhaftmachung der Verkehrsdurchsetzung] grundsätzlich in Frage kommen können”). Orbene, la ricorrente non ha contestato tali risultanze. In udienza essa ha ammesso, in risposta ad un quesito posto dal Tribunale, che l'esaminatrice non aveva dichiarato che i documenti in questione sarebbero stati a priori considerati sufficienti a permettere la registrazione del marchio richiesto, conformemente all'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94.

78.
    A tale proposito occorre rilevare, in primo luogo, che ai funzionari dell'UAMI è permesso, quantomeno nei procedimenti implicanti una sola parte, ricorrere a comunicazioni telefoniche al fine di facilitare un efficace svolgimento del procedimento.

79.
    In secondo luogo, nella fattispecie, alla luce del contenuto della comunicazione orale, quale ammesso a questo punto dalle parti, l'esaminatrice non ha dato adito nei confronti del responsabile della ricorrente a speranze fondate, di modo che il principio della tutela del legittimo affidamento non esigeva che essa avvertisse la ricorrente della qualificazione giuridica che essa avrebbe dato ai fatti emergenti dai detti documenti.

80.
    Ad ogni modo, anche supponendo che la decisione dell'esaminatrice sia stata adottata in violazione del diritto di essere sentiti, la commissione di ricorso non sarebbe stata comunque obbligata ad annullare la decisione dell'esaminatrice a causa di questo unico motivo, in assenza di alcuna illegittimità di merito.

81.
    Infatti, in forza della continuità funzionale esistente tra l'esaminatore e la commissione di ricorso (sentenze del Tribunale 8 luglio 1999, causa T-163/98, Procter & Gamble/UAMI (BABY-DRY), Racc. pag. II-2383, punti 38 - 44, e 12 dicembre 2002, causa T-63/01, Procter & Gamble/UAMI (Forma di un sapone), Racc. pag. II-5255, punto 21), la competenza delle commissioni di ricorso dell'UAMI implica un riesame delle decisioni prese dagli organi di detto ufficio che hanno statuito in primo grado. Nell'ambito di tale riesame, l'esito del ricorso dipende dalla questione se una nuova decisione avente lo stesso dispositivo della decisione oggetto del ricorso possa o meno essere legittimamente adottata al momento in cui si statuisce sul ricorso. Così, pur in assenza di ogni illegalità della decisione oggetto del ricorso, le commissioni di ricorso possono, con la sola riserva di cui all'art. 74, n. 2, del regolamento n. 40/94, accogliere il ricorso sulla base di nuovi fatti dedotti dal ricorrente o anche sulla base di nuove prove da lui prodotte.

82.
    Pertanto, se una nuova decisione avente lo stesso dispositivo della decisione oggetto del ricorso può essere adottata al momento in cui si statuisce sul ricorso, questo, in linea di principio, dev'essere respinto, anche se la decisione oggetto del ricorso presenta un vizio di procedura. Ciò vale anche nell'ipotesi in cui un tale vizio abbia reso incompleto il fondamento giuridico o di fatto della prima decisione, in seguito alla circostanza che l'interessato non ha potuto invocare una norma giuridica o introdurre un elemento di fatto o di prova durante il procedimento. Infatti, un tale vizio può essere sanato in pendenza del procedimento di ricorso, poiché la commissione di ricorso è tenuta a fondare la propria decisione sullo stesso fondamento giuridico e di fatto sul quale l'organo che ha statuito in primo grado avrebbe dovuto fondare la sua, salvo presentazione, durante il procedimento di ricorso, di nuovi elementi di fatto o di prova. Così, con la sola riserva di cui all'art. 74, n. 2, del regolamento n. 40/94, non esiste separazione tra la procedura innanzi al detto organo e quella innanzi alla commissione di ricorso. A tale proposito, l'UAMI dichiara a ragione che nel presente caso la commissione di ricorso ha proceduto ad un esame completo dei fatti, mezzi ed argomenti presentati dalla ricorrente.

83.
    Nella fattispecie, alla luce degli sviluppi esposti ai precedenti punti 24 - 68, emerge che una decisione avente lo stesso dispositivo di quella dell'esaminatrice, ossia di rigetto della domanda di marchio, poteva essere adottata nel momento in cui si è statuito sul ricorso. Pertanto, anche supponendo che la decisione dell'esaminatrice sia stata adottata in violazione del diritto di essere sentiti, la commissione di ricorso non sarebbe stata comunque obbligata ad annullarla.

84.
    Da quanto precede risulta che il motivo relativo alla violazione del diritto di essere sentiti dev'essere respinto.

Sul quinto motivo, relativo alla violazione dell'obbligo di motivazione

Argomenti delle parti

85.
    La ricorrente afferma che la decisione impugnata non è stata sufficientemente motivata, a dispetto degli obblighi posti dalla regola 50, n. 2, lett. h), del regolamento (CE) della Commissione 13 dicembre 1995, n. 2868, recante modalità di esecuzione del regolamento n. 40/94. A tale proposito essa fa valere innanzi tutto che, al punto 31 della decisione impugnata, la commissione di ricorso si è limitata a constatare, per quanto riguarda l'applicazione dell'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94, che gli elementi di prova prodotti dalla ricorrente non erano sufficienti, senza spiegare le ragioni sottostanti a tale conclusione. In secondo luogo, la ricorrente espone che il ragionamento, ai punti 25 e 26 della decisione impugnata, relativo all'assenza di carattere distintivo intrinseco al marchio richiesto, prende esplicitamente in considerazione solo la zona linguistica germanofona. Orbene, secondo la ricorrente, la decisione impugnata non contiene una motivazione sufficiente relativamente alle ragioni per cui la prova dell'acquisizione di un carattere distintivo in seguito all'uso fosse richiesta per l'insieme del mercato comunitario.

86.
    L'UAMI afferma che la commissione di ricorso ha confermato la valutazione dell'esaminatrice relativamente all'applicazione dell'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94. Pertanto, secondo l'UAMI, la commissione di ricorso ha fatto propria la motivazione contenuta nella decisione dell'esaminatrice su tale punto. Orbene, l'UAMI sottolinea che da questa decisione risulta che l'esaminatrice ha ritenuto che il sondaggio prodotto dalla ricorrente rilevava un grado di notorietà troppo basso per permettere di concludere che il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso, anche solo per il mercato tedesco.

Giudizio del Tribunale

87.
    In forza dell'art. 73 del regolamento n. 40/94, le decisioni dell'UAMI devono essere motivate. Inoltre, la regola 50, n. 2, lett. h), del regolamento n. 2868/95 dispone che la decisione della commissione di ricorso deve contenere la motivazione. A tale proposito occorre tenere in considerazione che l'obbligo di motivazione così consacrato ha la stessa portata di quello derivante dall'art. 253 CE.

88.
    Per giurisprudenza costante la motivazione richiesta dall'art. 253 CE deve palesare chiaramente ed inequivocabilmente il ragionamento dell'autore dell'atto. Tale obbligo ha il duplice scopo di consentire, da un lato, agli interessati di conoscere le giustificazioni alla base del provvedimento adottato al fine di difendere i loro diritti, dall'altro, al giudice comunitario di esercitare il suo sindacato di legittimità sulla decisione (v., in particolare, sentenza della Corte 14 febbraio 1990, causa C-350/88, Delacre e a./Commissione, Racc. pag. I-395, punto 15, e sentenza del Tribunale 6 aprile 2000, causa T-188/98, Kuijer/Consiglio, Racc. pag. II-1959, punto 36).

89.
    Inoltre, emerge dalla giurisprudenza che il contesto che fa da sfondo all'adozione della decisione, che è, in particolare, contrassegnato dai contatti intervenuti tra l'autore di questa e l'interessato, può, in circostanze particolari, richiedere una motivazione più articolata (sentenza Kuijer/Consiglio, cit., punti 44 e 45).

90.
    Nella fattispecie, il marchio richiesto avrebbe potuto essere registrato in forza dell'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94 solo se esso avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso in tutta la Comunità (v. al precedente punto 56). Pertanto la commissione di ricorso era tenuta ad esporre, almeno per quanto riguarda una parte sostanziale della Comunità, le ragioni per le quali gli elementi di prova prodotti dalla ricorrente non permettevano di concludere che il marchio richiesto avesse ivi acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso.

91.
    Tale obbligo non risulta soddisfatto né dalla motivazione della decisione impugnata, che spiega genericamente che gli elementi di prova prodotti dalla ricorrente non permettevano di concludere che alla data del deposito il marchio avesse acquisito un carattere distintivo su tutto il territorio dell'Unione europea in seguito all'uso che ne era stato fatto (punto 31, prima frase, della decisione impugnata), né da quelli che la commissione di ricorso adduce per affermare che, relativamente al carattere unitario del marchio comunitario, l'esistenza eventuale di un carattere distintivo in Germania non poteva considerarsi sufficiente (punto 31, seconda frase, della decisione impugnata). Lo stesso vale per quella parte della motivazione della decisione impugnata che ribadisce i criteri di valutazione del carattere distintivo acquisito in seguito all'uso, quali sviluppati dalla giurisprudenza della Corte (punto 32 della decisione impugnata).

92.
    Contrariamente alla motivazione contenuta nella decisione dell'esaminatrice, quella addotta dalla commissione di ricorso ha implicitamente lasciato aperta la questione se il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto in Germania (punto 31, seconda e terza frase, della decisione impugnata). Relativamente alla questione dell'eventuale acquisizione di un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto negli altri Stati membri, essa si è limitata a esporre che non era possibile dedurre dall'eventuale acquisizione di un tale carattere distintivo in Germania che il marchio richiesto ne avesse acquisito uno anche nell'insieme del mercato europeo (punto 31, terza frase, della decisione impugnata).

93.
    Ciò nonostante, nella memoria in cui espone i motivi del suo ricorso innanzi all'UAMI, la ricorrente ha criticato, in particolare, il fatto che l'esaminatrice avesse interpretato erratamente gli elementi di prova prodotti nel corso del procedimento innanzi a lei. Inoltre, essa ha affermato che la tesi dell'esaminatrice, secondo cui il grado di diffusione del marchio richiesto negli Stati membri diversi dalla Germania era probabilmente inferiore al grado di diffusione che risultava dal sondaggio d'opinione effettuato in Germania, non costituiva una motivazione sufficiente. Infine, essa ha presentato argomenti diretti a dimostrare che gli elementi di prova prodotti nel corso del procedimento innanzi all'esaminatrice permettevano di concludere che il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto negli Stati membri diversi dalla Germania.

94.
    Date queste circostanze e alla luce del principio menzionato al precedente punto 89, la commissione di ricorso avrebbe dovuto confutare, almeno sommariamente, gli argomenti avanzati dalla ricorrente relativamente ai motivi dedotti nella decisione dell'esaminatrice e, in particolare, esporre le ragioni per le quali gli elementi di prova prodotti nel corso del procedimento innanzi all'esaminatrice non permettevano di concludere che il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso che ne era stato fatto negli Stati membri diversi dalla Germania.

95.
    Avendo omesso di fornire tali spiegazioni, la commissione di ricorso è venuta meno agli obblighi di motivazione che le incombevano in forza dell'art. 73 del regolamento n. 40/94 e della regola 50, n. 2, lett. h), del regolamento n. 2868/95.

96.
    Tuttavia, tale constatazione non basta a comportare l'annullamento della decisione impugnata.

97.
    Infatti, un ricorrente non ha alcun interesse legittimo all'annullamento per vizio di forma di una decisione, nel caso in cui l'annullamento della decisione possa solo dare luogo alla pronuncia di una nuova decisione, identica, nel merito, alla decisione annullata (v., in tal senso, sentenza della Corte 6 luglio1983, causa 117/81, Geist/Commissione, Racc. pag. 2191, punto 7; sentenze del Tribunale 18 dicembre 1992, causa T-43/90, Díaz García/Parlamento, Racc. pag. II-2619, punto 54, e 20 settembre 2000, causa T-261/97, Orthmann/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-181 e II-829, punti 33 e 35). Orbene, nella fattispecie, risulta dal precedente punto 68 che non è provato che il marchio richiesto avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all'uso, conformemente all'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94.

98.
    Pertanto, occorre rilevare che la ricorrente non ha alcun interesse legittimo all'annullamento della decisione impugnata, la cui sola illegalità consiste in un vizio di motivazione e il cui annullamento potrebbe quindi solo dare luogo alla pronuncia di una nuova decisione identica nel merito.

99.
    Pertanto il presente motivo va respinto come ininfluente.

100.
    Alla luce di tali circostanze, non occorre esaminare il motivo relativo alla violazione dell'art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. Infatti, per giurisprudenza costante, basta che ricorra uno solo degli impedimenti assoluti perché il segno non possa essere registrato come marchio comunitario (sentenze del Tribunale 31 gennaio 2001, causa T-24/00, Sunrider/UAMI (VITALITE), Racc. pag. II-449, punto 28, e BioID, cit., punto 50).

101.
    Di conseguenza il ricorso va respinto.

Sulle spese

102.
    A termini dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Tuttavia, ai sensi dell'art. 87, n. 3, primo comma, del regolamento di procedura, il Tribunale, per motivi eccezionali, può ripartire le spese.

103.
    Nella fattispecie si constata che, da un lato, la ricorrente è soccombente e che, dall'altro, la decisione impugnata è inficiata da un vizio di motivazione. Pertanto, occorre disporre che la ricorrente sopporterà tre quarti delle proprie spese così come tre quarti di quelle dell'UAMI e che l'UAMI sopporterà un quarto delle proprie spese così come un quarto di quelle della ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)    Il ricorso è respinto.

2)    La ricorrente sopporterà i tre quarti delle proprie spese così come tre quarti di quelle sostenute dall'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli).

3)    L'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) sopporterà un quarto delle proprie spese così come un quarto di quelle sostenute dalla ricorrente.

Forwood
Pirrung
Meij

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 3 dicembre 2003.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

J. Pirrung


1: Lingua processuale: il tedesco.