Language of document : ECLI:EU:T:2010:484

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

25 novembre 2010 (*)

«Marchio comunitario – Opposizione – Domanda di marchio comunitario denominativo GOTHA – Marchio comunitario figurativo anteriore gotcha – Impedimento relativo alla registrazione – Rischio di confusione – Somiglianza dei segni – Art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94 [divenuto art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 207/2009]»

Nella causa T‑169/09,

Vidieffe Srl, con sede in Bologna, rappresentata dagli avv.ti M. Lamandini, D. De Pasquale e M. Pappalardo,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. P. Bullock, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI:

Perry Ellis International Group Holdings, Ltd, con sede in Nassau (Bahamas),

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della prima commissione di ricorso dell’UAMI 12 febbraio 2009 (procedimento R 657/2008-1), relativa ad un procedimento di opposizione tra la Perry Ellis International Group Holdings, Ltd, e la Vidieffe Srl,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione),

composto dal sig. J. Azizi, presidente, dalla sig.ra E. Cremona e dal sig. S. Frimodt Nielsen (relatore), giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 aprile 2009,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 10 settembre 2009,

vista la decisione del 26 ottobre 2009, che nega l’autorizzazione al deposito di una memoria di replica,

in seguito all’udienza del 15 giugno 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 16 febbraio 2004 la ricorrente, Vidieffe Srl, ha presentato una domanda di registrazione di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio del quale è stata chiesta la registrazione è il segno denominativo GOTHA.

3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nelle classi 18 e 25 dell’Accordo di Nizza del 15 giugno 1997, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono per ciascuna di tali classi alla seguente descrizione:

–        classe 18: «cuoio e sue imitazioni, articoli in queste materie non compresi in altre classi; pelli di animali; bauli e valigie; ombrelli, ombrelloni, [bastoni] e bastoni da passeggio; fruste e articoli di selleria»;

–        classe 25: «articoli di abbigliamento, calzature, cappelleria».

4        La domanda di marchio comunitario è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari del 27 giugno 2005, n. 26.

5        Il 27 settembre 2005 l’opponente, Perry Ellis International Group Holdings, Ltd, ha proposto, ai sensi dell’art. 42 del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 41 del regolamento n. 207/2009), opposizione alla registrazione del marchio richiesto per i prodotti menzionati al precedente punto 3, ad eccezione delle «pelli di animali» e delle «fruste e articoli di selleria» della classe 18 ai sensi dell’Accordo di Nizza.

6        L’opposizione era basata sul marchio comunitario figurativo anteriore n. 2896199 riprodotto qui di seguito:

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7        Il marchio anteriore è stato registrato il 29 ottobre 2003 segnatamente per prodotti delle classi 18 e 25 ai sensi dell’Accordo di Nizza e corrispondenti, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

–        classe 18: «borsette, zaini, sacche da viaggio, sacche da spiaggia, cartelle, bauli, valigie, portamonete, portafogli, ombrelli, ombrelloni, bastoni»;

–        classe 25: «articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria».

8        L’impedimento dedotto a sostegno dell’opposizione era quello di cui all’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 207/2009].

9        Il 22 febbraio 2008 la divisione di opposizione ha respinto l’opposizione con l’argomento che, pur essendo i prodotti simili o identici, le manifeste differenze a livello visivo, fonetico e concettuale tra i due marchi erano sufficienti a produrre un’impressione d’insieme differente.

10      Il 22 aprile 2008 l’opponente ha proposto un ricorso dinanzi all’UAMI avverso la decisione della divisione di opposizione, ai sensi degli artt. 57‑62 del regolamento n. 40/94 (divenuti artt. 58‑64 del regolamento n. 207/2009).

11      Con decisione 12 febbraio 2009 (in prosieguo: la «decisione impugnata») la prima commissione di ricorso dell’UAMI ha accolto parzialmente il ricorso ritenendo soddisfatte le condizioni previste dall’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 per una parte dei prodotti contemplati dalla domanda di marchio. Infatti, dopo aver constatato che il pubblico di riferimento era formato dai consumatori medi dell’Unione europea, essa ha rilevato l’identità ovvero la somiglianza dei prodotti, da un canto, per i prodotti oggetto della domanda di marchio rientranti nella classe 25 e, dall’altro, per quelli rientranti nella classe 18, ad eccezione del «cuoio e [delle] sue imitazioni». La commissione di ricorso ha inoltre affermato che sussisteva una lieve somiglianza tra i segni in conflitto sul piano visivo, mentre i segni erano molto simili sul piano fonetico. Sul piano concettuale, poi, essa ha affermato che la maggior parte dei consumatori di riferimento non percepiva il significato dei marchi in causa e li considerava, perciò, come segni di fantasia. Quanto alla valutazione globale del rischio di confusione, a giudizio della commissione di ricorso le differenze visive tra i segni in conflitto erano neutralizzate dalla loro forte somiglianza fonetica e dall’identità o quantomeno dalla somiglianza dei prodotti. A motivo della forte somiglianza fonetica dei segni e del fatto che una parte del pubblico di riferimento vive in paesi in cui il contenuto concettuale del marchio richiesto non verrebbe percepito, essa ha concluso per l’esistenza di un rischio di confusione tra prodotti considerati identici o simili e ha respinto la domanda di marchio comunitario per «articoli in queste materie non compresi in altre classi; bauli e valigie; ombrelli, ombrelloni e bastoni da passeggio» della classe 18 e «articoli di abbigliamento, calzature, cappelleria» della classe 25. Per contro, tenuto conto dell’interdipendenza tra la somiglianza dei prodotti e la somiglianza dei marchi, la commissione di ricorso ha considerato poco probabile un rischio di confusione per il consumatore di riferimento nell’Unione in relazione ai prodotti non simili, segnatamente il «cuoio e sue imitazioni» della classe 18.

 Conclusioni delle parti

12      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata in quanto parzialmente accoglie il ricorso dell’opponente e annulla la decisione della divisione di opposizione nella parte in cui respinge l’opposizione relativa ad «articoli [in cuoio e sue imitazioni] (non compresi in altre classi); bauli e valigie; ombrelli, ombrelloni e bastoni da passeggio» della classe 18 e a tutti i prodotti della classe 25;

–        confermare in toto la decisione della divisione di opposizione 22 febbraio 2008;

–        condannare l’UAMI a prendere le misure necessarie a conformarsi alla decisione del Tribunale;

–        condannare l’UAMI e l’opponente alla totalità delle spese.

13      L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

14      La ricorrente deduce un motivo unico, relativo alla violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 e ad uno sviamento di potere, in quanto la commissione di ricorso avrebbe a torto ritenuto che i segni potessero essere confusi.

 Argomenti delle parti

15      Sul piano visivo, la ricorrente rileva che il marchio richiesto è denominativo, mentre quello anteriore è composto da elementi denominativi e figurativi. Non sarebbe possibile presumere che l’elemento denominativo del marchio anteriore prevalga su quello figurativo. In considerazione delle notevoli dimensioni della rosa stilizzata e dell’originalità dei caratteri impiegati per la scrittura del termine «gotcha», la cui funzione sarebbe di raffigurare i rovi e lo stelo del fiore piuttosto che di garantire l’immediata leggibilità del termine, sarebbe proprio l’elemento figurativo ad assumere un ruolo preminente rispetto alla componente denominativa. Sarebbe necessario anche tener conto dell’importanza attribuita all’elemento figurativo di un segno in un settore – quello dell’abbigliamento e relativi accessori – nel quale la scelta del consumatore avverrebbe su base visiva.

16      L’UAMI riconosce che dipende dalle circostanze del caso se sia dominante l’elemento grafico o quello denominativo. L’elemento figurativo del marchio anteriore giocherebbe un ruolo altrettanto importante che l’elemento denominativo. Secondo l’UAMI, tale componente denominativa non potrebbe, perciò, essere ridotta ad elemento trascurabile a causa dell’immagine della rosa. L’originalità dei caratteri gotici impiegati per la scrittura della parola «gotcha» non impedirebbe al consumatore esposto al segno di percepire agevolmente la presenza di tale parola, che sarebbe quindi riconoscibile nonostante la caratterizzazione grafica. In linea di principio, i consumatori sarebbero abituati a designare e a riconoscere i prodotti caratterizzati da un marchio complesso in funzione dell’elemento denominativo, che permetterebbe agevolmente di identificarli. Benché l’elemento figurativo del marchio anteriore sia più che idoneo ad attirare l’attenzione del consumatore medio dei prodotti in questione, l’immagine della rosa stilizzata non prevarrebbe sull’elemento denominativo in modo da catturare l’attenzione del consumatore medio esposto al marchio anteriore. Accettando l’argomento contrario si finirebbe per svuotare del suo ruolo l’elemento denominativo «gotcha». Peraltro, nonostante l’importante ruolo svolto nel marchio anteriore dalla figura della rosa stilizzata, i segni in conflitto presenterebbero una certa somiglianza visiva, posto che le lettere «g», «o», «t», «h», «a» del marchio anteriore sono contenute, nello stesso ordine, nel marchio contestato. Tale somiglianza, pur ridotta o tenue, dovrebbe essere tenuta in conto.

17      Sul piano fonetico, la ricorrente rileva che, nei paesi anglofoni, la pronuncia del termine «gotha», contrassegnata dal suono fricativo «th», e quella di «gotcha», contrassegnata dal suono dolce del gruppo di consonanti «tch», non sono confondibili. Altrettanto varrebbe nei paesi non anglofoni dove la diffusa conoscenza della lingua inglese e delle sue espressioni più comuni farebbe sì che i suddetti termini vengano pronunciati all’inglese. L’origine anglosassone del termine «gotcha» sarebbe inequivocabile. Peraltro, anche se si volesse escludere la diffusione della pronuncia inglese del termine «gotcha» nei paesi non anglofoni, il gruppo di lettere «tch» verrebbe pronunciato nella maggior parte dei paesi europei con il suono duro «tk» e non con il suono fricativo «th» o con il suono dentale «t». L’assenza della lettera «c» tra le consonanti «t» e «h» costituirebbe, pertanto, una differenza rilevante, idonea ad escludere ogni rischio di confusione tra i segni sul piano fonetico, e ciò anche in considerazione della brevità dei termini, costituiti da due sillabe e da cinque o sei lettere.

18      L’UAMI non ritiene che la presenza della lettera «c» nella parola «gotcha» e la sua assenza nel termine «gotha» costituiscano una differenza sufficiente ad escludere qualsiasi rischio di confusione. Per quanto la presenza della lettera «c» possa essere percepibile a livello fonetico, le due parole sono formate da cinque lettere uguali ed hanno lo stesso inizio e la stessa fine. Non basterebbe la presenza della lettera «c» in uno dei termini a neutralizzare tali significative somiglianze. Inoltre, in molte delle lingue ufficiali dell’Unione l’accento tonico cadrebbe sulla stessa sillaba iniziale, «go», e le parole verrebbero pronunciate con lo stesso ritmo ed intonazione. Se è vero che la pronuncia inglese permette di differenziare sufficientemente i due termini, sarebbe altrettanto certo che in diverse lingue ufficiali dell’Unione i termini «gotha» e «gotcha» presentano un grado di somiglianza fonetica che si può qualificare come medio, in alcune lingue, o come tenue, in altre.

19      Sul piano concettuale, la ricorrente afferma che persino nei paesi europei di ceppo latino, tra cui Italia e Francia, il termine «gotha» è presente nei dizionari e il suo significato è noto nell’accezione corrente di «élite». I consumatori europei sarebbero perciò in grado di percepire la parola «gotha» come termine di senso compiuto e potrebbero, quindi, individuarne le differenze concettuali rispetto al lemma «gotcha», sia che quest’ultimo venga percepito come un termine di fantasia sia che gli venga attribuito il significato suo proprio in lingua inglese («capito!»). Tale circostanza escluderebbe ogni rischio di confusione tra i segni in esame.

20      L’UAMI afferma che, se pure una parte dei consumatori europei è in grado di riconoscere il significato della parola «gotha» quale sinonimo di «élite», non si tratta di un termine di uso comune ed è probabile che una parte del pubblico di riferimento non vi associ alcun significato. La stessa commissione di ricorso, nella decisione impugnata, non avrebbe fatto riferimento al significato del termine «gotha» come «élite», ma si sarebbe limitata a riferirsi all’omonima città tedesca. Una sostanziale parte del pubblico europeo non sarebbe in grado di operare una differenza concettuale tra i marchi in conflitto.

21      Infine, la ricorrente sostiene che la commissione di ricorso non ha proceduto alla valutazione globale del rischio di confusione basandosi sull’impressione d’insieme prodotta dalla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei marchi in questione. Di norma, il consumatore medio percepirebbe un marchio come un tutt’uno e non effettuerebbe un esame dei suoi singoli elementi.

22      L’UAMI fa valere che un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa. Quanto all’abbigliamento, il grado di somiglianza fonetica tra due marchi avrebbe un’importanza inferiore, trattandosi di prodotti il cui modo di commercializzazione incoraggerebbe il pubblico destinatario, al momento dell’acquisto, a percepire di regola in modo visivo il marchio che li designa. Peraltro, solo se i segni in conflitto fossero complessivamente diversi sul piano visivo sarebbe giustificato concludere per l’inesistenza di un rischio di confusione. Nella fattispecie, invece, i segni in conflitto presenterebbero sia una somiglianza visiva, benché ridotta, sia una somiglianza fonetica, media o tenue a seconda delle lingue. Tenendo conto del principio dell’interdipendenza e del fatto che il pubblico di riferimento memorizzerebbe un’immagine solo imperfetta di due segni cui viene normalmente esposto in momenti diversi, non si potrebbe escludere che una parte dei consumatori non ricordi la lettera «c» nel marchio anteriore, situata com’è nel mezzo della parola «gotcha», e che, imbattendosi in momenti diversi nei segni in conflitto, creda eventualmente che si tratti di linee di prodotti di identica origine commerciale.

 Giudizio del Tribunale

23      Ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se, a causa della sua identità o somiglianza col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

24      Secondo una costante giurisprudenza, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico creda che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente legate [sentenza del Tribunale 21 aprile 2005, causa T‑164/03, Ampafrance/UAMI – Johnson & Johnson (monBeBé), Racc. pag. II‑1401, punto 46].

25      L’esistenza del rischio di confusione dev’essere valutata globalmente, secondo la percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti o dei servizi in questione, e tenendo conto di tutti i fattori pertinenti nel caso di specie [sentenza della Corte 29 settembre 1998, causa C‑39/97, Canon, Racc. pag. I‑5507, punto 17, e ordinanza della Corte 28 aprile 2004, causa C‑3/03 P, Matratzen Concord/UAMI, Racc. pag. I‑3657, punto 28; sentenza del Tribunale 23 ottobre 2002, causa T‑104/01, Oberhauser/UAMI – Petit Liberto (Fifties), Racc. pag. II‑4359, punti 25 e 26]. Tale valutazione globale implica una certa interdipendenza tra i fattori presi in considerazione, in particolare tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. Un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può, infatti, essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa (sentenza Canon, cit., punto 17).

26      Alla luce di tali considerazioni si deve esaminare se a ragione la commissione di ricorso abbia ritenuto che sussistesse un rischio di confusione tra il marchio anteriore e quello richiesto.

 Sul pubblico di riferimento e il confronto tra i prodotti

27      Preliminarmente, occorre rilevare che la definizione del pubblico di riferimento e il risultato del confronto tra i prodotti effettuato dalla commissione di ricorso non vengono contestati.

28      Quanto al pubblico di riferimento, i prodotti in questione delle classi 18 e 25 contrassegnati dai marchi in conflitto corrispondono effettivamente ad articoli di consumo corrente e il pubblico destinatario in relazione al quale si deve effettuare l’analisi del rischio di confusione è costituito dai consumatori medi dell’Unione, ritenuti normalmente informati e ragionevolmente attenti e avveduti per quanto concerne tali prodotti.

29      Quanto al confronto tra i prodotti, occorre considerare, in primo luogo, che i prodotti della classe 25 contrassegnati dai due marchi in conflitto sono esattamente identici, al pari dei prodotti «bauli e valigie; ombrelli, ombrelloni e [bastoni]» della classe 18; in secondo luogo, gli «articoli in [cuoio e sue imitazioni] (non compresi in altre classi)» della classe 18, contemplati nella domanda di marchio comunitario, sono identici, o almeno simili, alle «borsette» comprese in questa stessa classe e designate dal marchio anteriore; in terzo luogo, i prodotti contemplati dal marchio richiesto «bastoni da passeggio» sono simili ai «bastoni» contemplati dal marchio anteriore, avendo la stessa natura e la stessa finalità; in quarto luogo, infine, il «cuoio e [le] sue imitazioni» contemplati dal marchio richiesto non sono simili ai prodotti coperti dal marchio anteriore.

 Sul confronto tra i segni

30      Quanto al confronto tra i segni, punto sul quale si controverte nel presente procedimento, occorre ricordare che la valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei marchi in esame, sull’impressione complessiva prodotta dagli stessi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. La percezione dei marchi da parte del consumatore medio dei prodotti o dei servizi in questione svolge un ruolo determinante nella valutazione globale di detto rischio. A tale proposito, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi (sentenze della Corte 11 novembre 1997, causa C‑251/95, SABEL, Racc. pag. I‑6191, punto 23; 22 giugno 1999, causa C‑342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I‑3819, punto 25, e 12 giugno 2007, causa C‑334/05 P, UAMI/Shaker, Racc. pag. I‑4529, punto 35).

31      Secondo una giurisprudenza costante, due marchi sono simili quando, dal punto di vista del pubblico di riferimento, esiste tra loro un’uguaglianza almeno parziale in uno o più aspetti pertinenti [sentenze del Tribunale 23 ottobre 2002, causa T‑6/01, Matratzen Concord/UAMI – Hukla Germany (MATRATZEN), Racc. pag. II‑4335, punto 30, e 26 gennaio 2006, causa T‑317/03, Volkswagen/UAMI – National Motor (Variant), non pubblicata nella Raccolta, punto 46].

–       Sul confronto tra i segni sul piano visivo

32      Per quanto concerne il confronto tra i segni sul piano visivo, la commissione di ricorso esordisce affermando, al punto 23 della decisione impugnata, che occorre tener conto del fatto che, «quando un marchio è composto di elementi denominativi e figurativi, l’elemento denominativo esercita generalmente un impatto più marcato sul consumatore dell’elemento figurativo» (in prosieguo: il «principio d’analisi»), dato che «il consumatore medio farà più facilmente riferimento ai prodotti in questione citando il nome che descrivendo l’elemento figurativo del marchio [sentenza del Tribunale 14 luglio 2005, causa T‑312/03, Wassen International/UAMI – Stroschein Gesundkost (SELENIUM‑ACE), Racc. pag. II‑2897, punto 37]». Sulla base del principio d’analisi, la commissione di ricorso giunge alla seguente conclusione al punto 24 della decisione impugnata:

«A livello visivo, il marchio comunitario richiesto GOTHA è un marchio meramente denominativo, laddove il marchio anteriore è un marchio figurativo costituito da una rosa nera al di sotto della quale compare la parola “gotcha”. Tuttavia, dato che viene generalmente ammesso che l’elemento denominativo del segno esercita un impatto più marcato sul consumatore che non l’elemento figurativo, il consumatore concentrerà più facilmente la sua attenzione sugli elementi denominativi dei marchi in conflitto. Nella fattispecie, il marchio comunitario richiesto conta cinque lettere “g-o-t-h-a”, tutte incluse nell’elemento denominativo del marchio anteriore “g-o-t-c-h-a”, che ne conta sei. La sola differenza risiede nella lettera “c”, che viene ad aggiungersi nel mezzo del segno anteriore. È generalmente ammesso che l’inizio e la fine di un marchio più facilmente attirano l’attenzione del consumatore rispetto alla parte centrale del segno. Il consumatore tenderà, quindi, a trascurare la lettera supplementare “c”, poiché la sua attenzione sarà principalmente attratta dall’inizio “got” e dalla fine “ha” dei marchi, che sono identici per tutti e due i segni. Occorre quindi concludere che i segni presentano una lieve somiglianza sul piano visivo».

33      Al riguardo occorre rilevare che la ricorrente ha ragione di criticare l’applicazione che viene fatta al punto 24 della decisione impugnata del principio d’analisi menzionato al punto 23. Infatti, tale principio è definito come segue al punto 37 della sentenza SELENIUM‑ACE (cit. supra al punto 32), che la commissione di ricorso cita al punto 23 della decisione impugnata:

«(…) per quanto riguarda l’elemento figurativo, la commissione di ricorso ha osservato nella decisione impugnata che, quando un marchio è composto di elementi denominativi e figurativi, i primi dovrebbero, in linea di principio, essere considerati maggiormente distintivi rispetto ai secondi, poiché il consumatore medio farà più facilmente riferimento ai prodotti in questione citando il nome che non descrivendo l’elemento figurativo del marchio. Essa sostiene correttamente che tale considerazione generale potrebbe applicarsi ragionevolmente alla fattispecie (...)».

34      Ora, diversamente che nella causa conclusa con la sentenza SELENIUM-ACE, cit. supra al punto 32, la commissione di ricorso non spiega perché potrebbe essere «generalmente ammesso» nel caso di specie che l’elemento denominativo del segno eserciti un impatto più marcato sul consumatore che non l’elemento figurativo. Al contrario, oltre a non offrire spiegazioni, essa menziona a due riprese il particolare ruolo svolto dall’elemento figurativo. Al punto 23, anzitutto, la commissione di ricorso afferma che non si può prescindere dal logo nel confrontare i segni, e questo mette in risalto tale logo, mentre al punto 24 rileva che, «[a] livello visivo, il marchio comunitario richiesto GOTHA è un marchio meramente denominativo, laddove il marchio anteriore è un marchio figurativo costituito da una rosa nera al di sotto della quale compare la parola “gotcha”», intendendo così che esiste una differenza tra i segni. Non è quindi indicato in alcun modo, nel caso di specie, come e perché l’elemento denominativo eserciterebbe un impatto più marcato sul consumatore dell’elemento figurativo, sebbene detto elemento figurativo presenti una certa importanza sul piano visivo. Infatti, la rosa è perfettamente visibile e s’inserisce nell’elemento denominativo, con la «t» di «gotcha» che serve da stelo e le altre lettere che formano un arbusto dal quale spunta la rosa.

35      Peraltro, come fa valere la ricorrente, il settore dell’abbigliamento e dei relativi accessori presenta certe caratteristiche che necessitano che sia offerta una giustificazione per l’applicazione del principio d’analisi. Infatti, l’importanza degli elementi di somiglianza o di differenza tra i segni può dipendere, in particolare, dalle loro caratteristiche o dalle condizioni di commercializzazione dei prodotti o dei servizi contrassegnati dai marchi in conflitto. Ove i prodotti contrassegnati dai marchi in questione siano di norma venduti in negozi self-service, in cui è lo stesso consumatore a scegliere il prodotto, facendo quindi affidamento principalmente sull’immagine del marchio apposto su tale prodotto, una somiglianza visiva tra i segni avrà, in linea generale, maggiore rilevanza. Se, invece, il prodotto considerato viene per lo più offerto in vendita oralmente, verrà normalmente attribuito più valore ad una somiglianza fonetica tra i segni. Orbene, generalmente, nei negozi di abbigliamento, i clienti possono o scegliere essi stessi i capi che desiderano acquistare o farsi assistere dai commessi. Benché la comunicazione orale relativa al prodotto e al marchio non sia esclusa, la scelta del capo di abbigliamento avviene, generalmente, su base visiva [sentenza del Tribunale 6 ottobre 2004, cause riunite da T‑117/03 a T‑119/03 e T‑171/03, New Look/UAMI – Naulover (NLSPORT, NLJEANS, NLACTIVE e NLCOLLECTION), Racc. pag. II‑3471, punti 49 e 50]. Nel settore dell’abbigliamento e relativi accessori l’elemento figurativo di un marchio può svolgere un ruolo almeno tanto importante quanto l’elemento denominativo. Il consumatore medio può facilmente concludere un acquisto senza dover menzionare il marchio, limitandosi semplicemente a cercarne l’elemento figurativo.

36      Tuttavia, la mancanza di spiegazioni che consentano di capire sotto quale profilo nel caso di specie l’elemento denominativo del segno «gotcha» dovrebbe esercitare un maggiore impatto sul consumatore rispetto all’elemento figurativo non può peraltro portare a concludere che nel caso di specie tale elemento denominativo sia trascurabile, al punto che non se ne debba tener conto nel confrontare i segni sul piano visivo e che il raffronto riguardi, allora, solo l’elemento figurativo del marchio anteriore. Neppure la ricorrente si dichiara di questo avviso, limitandosi a criticare l’«impatto più marcato» accordato ad un elemento rispetto all’altro.

37      In ogni caso, quindi, l’elemento denominativo del segno «gotcha» deve essere preso in considerazione. Al riguardo, non viene contestato che un confronto tra i segni in conflitto evidenzia senz’altro una «lieve somiglianza sul piano visivo», in quanto il marchio comunitario richiesto consta di cinque lettere, «g» «o» «t» «h» «a», che sono tutte incluse nell’elemento denominativo del marchio anteriore «g» «o» «t» «c» «h» «a», con l’unica differenza della lettera «c», che il consumatore tendenzialmente trascurerà per le ragioni menzionate al punto 24 della decisione impugnata.

38      Ne consegue che la commissione di ricorso, pur se non spiega nella decisione impugnata perché potrebbe considerare nel caso di specie che l’elemento denominativo del segno eserciti un impatto più marcato sul consumatore che non l’elemento figurativo, offre nondimeno ragioni sufficienti nel senso di una «lieve somiglianza sul piano visivo» tra i segni in conflitto.

–       Sul confronto tra i segni sul piano fonetico

39      Per quanto concerne il confronto tra i segni sul piano fonetico, la commissione di ricorso, al punto 25 della decisione impugnata, ha affermato quanto segue per concludere che sussiste una forte somiglianza a livello fonetico:

«Sul piano fonetico, i due marchi saranno pronunciati in due sillabe «go»/«ta» e «go»/«tcha». Essi hanno in comune la prima sillaba «go» e lo stesso ultimo suono forte che produce la vocale “a”, che attirerà particolarmente l’attenzione del consumatore. Nella parte centrale dei segni, anche il suono prodotto dalla lettera “t” sarà sentito nei due marchi. Nella maggior parte dei paesi europei, le consonanti “t”, “c” e “h” della parola “gotcha” verranno pronunciate come |tch|, mentre le consonanti “t” e “h” di “gotha” saranno generalmente pronunciate come |t| o |th|. Di conseguenza, la lettera “c” al centro del marchio anteriore, pur sortendo l’effetto di modificare leggermente la pronuncia del termine in cui è inserita, produce solo un lieve suono sibilante sordo, insufficiente a differenziare foneticamente i marchi in conflitto. Peraltro i segni in conflitto hanno la stessa lunghezza, lo stesso ritmo e la stessa intonazione».

40      Tale analisi è criticabile sotto vari aspetti.

41      In limine, va rilevato che l’UAMI non contesta che per buona parte del pubblico di riferimento, vale a dire il pubblico anglofono e il pubblico non anglofono che possiede una certa conoscenza della lingua inglese, la pronuncia dei termini in conflitto sia chiaramente differente. In sede di confronto tra i segni sul piano concettuale la commissione di ricorso ammette, quindi, che la parola «gotcha» venga compresa dagli anglofoni. Analogamente, per simmetria, è possibile ritenere che la pronuncia del termine «gotha» possa essere sufficientemente distinta da quella del termine «gotcha» da parte del pubblico germanofono. La questione della valutazione della somiglianza sul piano fonetico riguarda quindi principalmente il pubblico non anglofono né germanofono, che non abbia sufficiente conoscenza dell’inglese o del tedesco.

42      Per quanto riguarda tale parte del pubblico di riferimento non si può affermare, come fa la commissione di ricorso nella decisione impugnata, che l’inserzione della lettera «c» nel marchio anteriore abbia l’effetto di modificare solo leggermente il suono. Infatti, tale lettera ha l’effetto di trasformare il suono «th» in un suono sibilante palatale. Di conseguenza, i termini «gotha» e «gotcha» si pronunciano differentemente. La commissione di ricorso non tiene quindi nel dovuto conto il ruolo della lettera «c» nella pronuncia del termine «gotcha» allorché confronta tale pronuncia con quella del termine «gotha».

43      Il ruolo svolto dalla lettera «t» nella pronuncia di ciascuno di tali termini è del pari atto a distinguerli. Nel termine «gotha», la «t» fa parte della sillaba «tha». Ci sono due sillabe aperte, terminanti ciascuna con una vocale: «go» e «tha». Nel termine «gotcha», invece, la «t» fa parte al contempo della sillaba «got» e della sillaba «tcha», permettendo di passare dall’una all’altra. Per la parte non anglofona né germanofona del pubblico di riferimento la «t» viene a chiudere la prima sillaba del termine «gotcha», che verrà allora pronunciata «got». Inoltre, anche se questo può sembrare meno evidente per un pubblico non anglofono né germanofono, la lettera «a» può essere intuitivamente pronunciata in modo più sordo in «gotha» che non in «gotcha».

44      Tali elementi consentono di pensare che sia l’intonazione sia il ritmo dei termini «gotha» e «gotcha» sono differenti e che la loro lunghezza non è uguale.

45      Peraltro, occorre rilevare che, pur riconoscendo che la pronuncia inglese consente di distinguere sufficientemente i termini «gotha» e «gotcha», l’UAMI stesso ha affermato nel controricorso e nuovamente in udienza che tali termini presentano un grado di somiglianza fonetica qualificabile come medio, in certe lingue, o come debole, in altre (v. precedente punto 18). Ora, non è questa la conclusione cui è pervenuta la commissione di ricorso.

46      Interrogato sul punto, l’UAMI non ha saputo indicare neppure in quale paese dell’Unione potrebbe esistere una forte somiglianza tra i segni in conflitto sul piano fonetico.

47      Da quanto precede risulta che la commissione di ricorso non dimostra la forte somiglianza che esisterebbe sul piano fonetico tra i segni in conflitto sulla quale essa fa leva nella decisione impugnata.

–       Sul confronto tra i segni sul piano concettuale

48      Per quanto concerne il confronto tra i segni sul piano concettuale, la commissione di ricorso, al punto 26 della decisione impugnata, ha indicato quanto segue per concludere che un tale confronto per gran parte del pubblico di riferimento è inconferente:

«Da un punto di vista concettuale, il marchio anteriore gotcha è una parola del gergo inglese derivata da “got you” (“ti tengo!”), che viene compresa dagli anglofoni, in particolare dal pubblico di riferimento più giovane. Il marchio comunitario richiesto GOTHA è il nome di una città del Land della Turingia. Tuttavia, la maggior parte dei consumatori di riferimento dell’Unione non percepirà tali significati, bensì considererà i due segni marchi di fantasia. Ciò vale particolarmente in Francia, ad esempio, dove il confronto concettuale è irrilevante ai fini della valutazione della somiglianza dei segni».

49      Al riguardo occorre rilevare che la commissione di ricorso indica espressamente nella decisione impugnata che il significato del termine «gotcha» può essere percepito da una parte del pubblico di riferimento, vale a dire dagli anglofoni. Sembra altresì possibile che il pubblico tedesco percepisca il significato del termine «gotha», che fa pensare all’omonima città tedesca, come del pari indicato nella decisione impugnata. Ciò premesso, si deve esaminare se almeno il pubblico non anglofono né tedesco sia in grado di percepire il significato dei termini controversi.

50      Con riferimento a tale parte significativa dei consumatori di riferimento la ricorrente afferma, in sostanza, che il termine «gotha» è percepibile nel linguaggio corrente quale sinonimo di «élite», ciò che l’UAMI contesta adducendo che la commissione di ricorso non ha evocato tale significato nella decisione impugnata (v. precedenti punti 19 e 20).

51      Si deve tuttavia rilevare che tale significato del termine «gotha» può rientrare nella categoria dei fatti notori ai sensi della giurisprudenza, come afferma la ricorrente, la quale, nel corso del procedimento amministrativo, ha fatto osservare come detto termine sia attestato con tale significato in vari dizionari (v. anche il punto 5 della decisione impugnata, che fa riferimento alle osservazioni dell’opponente al riguardo). Invero, i fatti notori sono quelli conoscibili da qualsiasi persona o, almeno, che possono essere conosciuti tramite mezzi generalmente accessibili [sentenze del Tribunale 22 giugno 2004, causa T‑185/02, Ruiz-Picasso e a./UAMI – DaimlerChrysler (PICARO), Racc. pag. II‑1739, punto 29, e 20 aprile 2005, causa T‑318/03, Atomic Austria/UAMI – Fabricas Agrupadas de Muñecas de Onil (ATOMIC BLITZ), Racc. pag. II‑1319, punto 35].

52      L’ipotesi – prospettata in udienza – che il significato attribuito al termine «gotha» dalla ricorrente sia effettivamente passato nel linguaggio corrente, come proverebbe, per esempio, l’utilizzo che ne fanno i mass media (il «gotha della finanze», «appartenere al gotha», …), non può quindi essere esclusa. La commissione di ricorso avrebbe dovuto espressamente prendere posizione su tale punto nella decisione impugnata.

53      Di conseguenza, la commissione di ricorso, che ammette che il pubblico anglofono è in grado di percepire il significato del termine «gotcha», avrebbe dovuto prendere posizione sull’affermazione secondo cui una parte significativa del pubblico di riferimento non anglofono, che sia tedesca o meno, era a sua volta in grado di percepire il significato del termine «gotha».

–       Sulla valutazione globale dei segni in conflitto

54      Da quanto precede risulta che, seppure presentano una lieve somiglianza sul piano visivo, i segni in conflitto non hanno una forte somiglianza sul piano fonetico. Allo stesso modo, il contenuto concettuale del marchio richiesto può eventualmente essere percepito da una parte significativa del pubblico di riferimento, contrariamente a quanto affermato al punto 26 della decisione impugnata senza che la commissione di ricorso abbia preso posizione su tale punto.

 Sul rischio di confusione

55      Come già ricordato al precedente punto 25, la valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori che entrano in considerazione, in particolare tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. In tal senso, un debole grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa.

56      Nel caso di specie, la commissione di ricorso afferma, al punto 29 della decisione impugnata, quanto segue:

«Tenuto conto del principio d’interdipendenza, la commissione di ricorso considera che le differenze visive tra i segni in conflitto sono compensate dalla loro forte somiglianza fonetica e dall’identità o quantomeno dalla somiglianza dei prodotti. In ragione della forte somiglianza fonetica dei segni e del fatto che una parte del pubblico di riferimento, costituito da consumatori medi, vive in paesi in cui il contenuto concettuale del marchio richiesto non verrà percepito, come in Francia, sussiste un rischio di confusione tra i prodotti considerati identici e simili. La domanda di marchio comunitario viene pertanto respinta per quanto concerne gli “articoli in [cuoio e sue imitazioni] (non compresi in altre classi); bauli e valigie; ombrelli, ombrelloni, [bastoni] e bastoni da passeggio” della classe 18 e gli “articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria” della classe 25 (...)».

57      Tale conclusione va respinta perché, sebbene dal confronto tra i prodotti risulti che alcuni di loro sono identici o simili, il confronto tra i segni permette di constatare, da un lato, che essi, nonostante una lieve somiglianza sul piano visivo, non presentano una forte somiglianza sul piano fonetico e, dall’altro, che il contenuto concettuale del marchio richiesto può essere eventualmente percepito da una parte significativa del pubblico di riferimento, contrariamente a quanto indicato nella decisione impugnata senza che la commissione di ricorso abbia preso posizione su tale punto.

58      Nell’ambito di una valutazione globale del rischio di confusione, le differenze visive tra i segni in conflitto, legate in particolare alla presenza dell’elemento figurativo nel marchio anteriore e alla differenza di una lettera tra i due segni, al pari delle marcate differenze che esistono tra tali segni sul piano fonetico e del fatto che il contenuto concettuale del marchio richiesto quale sinonimo di «élite» può eventualmente essere noto al pubblico di riferimento tramite mezzi generalmente accessibili, sono sufficienti per escludere il rischio di confusione tra i marchi in esame che potrebbe scaturire dall’identità o dalla somiglianza di taluni dei prodotti considerati.

59      Di conseguenza, il motivo unico della ricorrente, attinente alla violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, dev’essere accolto senza che sia necessario esaminare la censura di sviamento di potere.

60      Da tutto quanto precede discende che il ricorso dev’essere accolto e che la decisione impugnata dev’essere annullata nella parte in cui annulla la decisione della divisione d’opposizione che respinge l’opposizione, da una parte, per «articoli in [cuoio e sue imitazioni] non compresi in altre classi; pelli di animali; bauli e valigie; ombrelli, ombrelloni, [bastoni] e bastoni da passeggio» rientranti nella classe 18 e, dall’altra, per tutti i prodotti rientranti nella classe 25.

61      Con il secondo capo delle sue conclusioni (v. supra, punto 12) la ricorrente chiede al Tribunale di voler confermare nella sua interezza la decisione della divisione d’opposizione 22 febbraio 2008. Invitata a precisare se tale conclusione fosse una richiesta di riformare la decisione impugnata ai sensi dell’art. 63, n. 3, del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 65, n. 3, del regolamento n. 207/2009], la ricorrente ha risposto, in udienza, espressamente in senso negativo. Nel caso di specie, la ricorrente chiede al Tribunale di confermare la decisione della divisione d’opposizione dell’UAMI che le ha dato ragione. Tuttavia, dalla summenzionata disposizione risulta che, senza una richiesta di riforma della decisione impugnata, adottata da una delle commissioni di ricorso dell’UAMI, il Tribunale non è competente ad annullare tale decisione.

62      Pertanto, il secondo capo delle conclusioni dev’essere dichiarato irricevibile, poiché dedotto dinanzi ad un giudice non competente a pronunciarsi al riguardo.

63      Quanto al terzo capo delle conclusioni della ricorrente, che chiede al Tribunale di condannare l’UAMI a prendere i necessari provvedimenti per conformarsi alla sua sentenza, va ricordato che dall’art. 63, n. 6, del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 65, n. 6, del regolamento n. 207/2009] risulta che l’UAMI è tenuto a prendere i provvedimenti diretti all’esecuzione di tale sentenza. Non spetta al Tribunale rivolgere ingiunzioni all’UAMI, ma incombe a quest’ultimo trarre le conseguenze dal dispositivo e dalla motivazione delle sentenze del giudice dell’Unione [v. sentenza del Tribunale 11 luglio 2007, causa T‑443/05, El Corte Inglés/UAMI – Bolaños Sabri (PiraÑAM diseño original Juan Bolaños), Racc. pag. II‑2579, punto 20, e giurisprudenza ivi citata].

64      Conseguentemente, anche il terzo capo delle conclusioni dev’essere dichiarato irricevibile.

 Sulle spese

65      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

66      Poiché l’UAMI è risultato soccombente e la ricorrente ne ha chiesto la condanna alle spese, occorre condannarlo a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalla ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione della prima commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) 12 febbraio 2009 (procedimento R 657/2008‑1) è annullata nella parte in cui annulla la decisione della divisione d’opposizione che respinge l’opposizione, da un lato, per «articoli in [cuoio e sue imitazioni] non compresi in altre classi; bauli e valigie; ombrelli, ombrelloni, [bastoni] e bastoni da passeggio» compresi nella classe 18 e, dall’altro, per tutti i prodotti compresi nella classe 25.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      L’UAMI sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Vidieffe Srl.

Azizi

Cremona

Frimodt Nielsen

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 25 novembre 2010.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.