Language of document : ECLI:EU:C:2021:779

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ATHANASIOS RANTOS

presentate il 30 settembre 2021 (1)

Causa C257/20

«Viva Telecom Bulgaria» EOOD

contro

Direktor na Direktsia «Obzhalvane i danachno-osiguritelna praktika» – Sofia

con l’intervento di

Varhovna administrativna prokuratura na Republika Bulgaria

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa, Bulgaria)]

«Rinvio pregiudiziale – Fiscalità diretta – Regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi – Articolo 63 TFUE – Libera circolazione dei capitali – Articolo 49 TFUE – Libertà di stabilimento – Direttiva 2003/49/CE – Esclusione di pagamenti a titolo di interessi o canoni – Pagamenti relativi a prestiti senza interessi – Direttiva 2011/96/UE – Direttiva 2008/7/CE – Principio di libera concorrenza – Assoggettamento a ritenuta alla fonte degli interessi non pagati – Frode, evasione e abuso in materia fiscale»






I.      Introduzione

1.        La presente causa verte sulla questione se il diritto dell’Unione osti a una normativa tributaria di uno Stato membro che preveda, in applicazione del «principio di libera concorrenza» e ai fini della lotta all’evasione fiscale, l’assoggettamento ad imposta sotto forma di ritenuta alla fonte degli interessi fittizi che una società figlia residente, beneficiaria di un prestito senza interessi concessole dalla società madre non residente, avrebbe dovuto corrispondere, in base alle condizioni di mercato, a quest’ultima società. La causa in esame solleva pertanto una problematica nota alla Corte, vale a dire quella della compatibilità delle normative nazionali «anti-abuso» adottate in materia di imposte dirette con le disposizioni relative alla libera circolazione.

2.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia tributaria bulgara riguardante un prestito senza interessi convertibile in conferimento di capitale concesso a una società con sede in Bulgaria, la «Viva Telecom Bulgaria» (in prosieguo: la «ricorrente»), dal suo azionista unico, la InterV Investment Sàrl (in prosieguo: la «InterV Investment»), società con sede in Lussemburgo.

3.        La presente causa condurrà la Corte a pronunciarsi sulla conformità di una normativa tributaria nazionale diretta a contrastare la frode con il diritto primario e il diritto derivato dell’Unione nel settore particolarmente sensibile della tassazione delle operazioni infragruppo all’interno dell’Unione europea.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Adesione della Repubblica di Bulgaria allUnione europea

4.        L’articolo 20 del Protocollo relativo alle condizioni e modalità d’ammissione della Repubblica di Bulgaria e della Romania all’Unione europea(2) e l’articolo 23 dell’Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica di Bulgaria e della Romania e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (3), recanti misure transitorie, stabiliscono che le misure elencate negli allegati VI di tale protocollo e di tale atto si applicano alla Repubblica di Bulgaria alle condizioni stabilite in detti allegati.

5.        I suddetti allegati, rubricati, rispettivamente, «Elenco di cui all’articolo 20 del protocollo: misure transitorie, Bulgaria» ed «Elenco di cui all’articolo 23 dell’atto di adesione: misure transitorie, Bulgaria», menzionano, ai punti 3 delle loro sezioni 6, rubricate «Fiscalità», la direttiva 2003/49/CE (4), come modificata dalla direttiva 2004/76/CE (5), precisando quanto segue:

«La Bulgaria è autorizzata a non applicare le disposizioni dell’articolo 1 della [direttiva 2003/49] fino al 31 dicembre 2014. Durante il periodo transitorio, l’aliquota dell’imposta sui pagamenti di interessi o di canoni effettuati nei confronti di una società consociata di un altro Stato membro o di una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro di una società consociata di uno Stato membro non deve superare il 10% fino al 31 dicembre 2010 e il 5% negli anni successivi fino al 31 dicembre 2014».

2.      Direttiva 2003/49

6.        I considerando 2 e 4 della direttiva 2003/49 sono così formulati:

«(2)      Attualmente tale condizione non è soddisfatta riguardo ai pagamenti di interessi e di canoni. Le legislazioni fiscali nazionali, unitamente, ove esistano, alle convenzioni bilaterali o multilaterali, non possono sempre assicurare l’eliminazione della doppia imposizione e la loro applicazione comporta spesso formalità amministrative onerose e problemi di flussi di liquidità per le imprese interessate.

(…)

(4)      L’abolizione delle imposte, siano esse riscosse tramite ritenuta alla fonte o previo accertamento, sui pagamenti di interessi e di canoni nello Stato membro da cui essi provengono costituisce la soluzione più idonea per eliminare le formalità e i problemi sopraindicati e per garantire la parità di trattamento fiscale tra operazioni nazionali e operazioni transfrontaliere. È particolarmente necessario abolire tali imposte per quanto riguarda i pagamenti del predetto tipo effettuati tra società consociate di Stati membri diversi nonché tra stabili organizzazioni di tali società».

7.        L’articolo 1  di tale direttiva, rubricato «Ambito d’applicazione e procedura», così dispone:

«1.      I pagamenti di interessi o di canoni provenienti da uno Stato membro sono esentati da ogni imposta applicata in tale Stato su detti pagamenti, sia tramite ritenuta alla fonte sia previo accertamento fiscale, a condizione che il beneficiario effettivo degli interessi o dei canoni sia una società di un altro Stato membro o una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro, di una società di uno Stato membro.

2.      Un pagamento effettuato da una società di uno Stato membro o da una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro è considerato proveniente da detto Stato membro, in seguito denominato “Stato d’origine”.

(…)

4.      Una società di uno Stato membro è considerata beneficiario effettivo di interessi o canoni soltanto se riceve tali pagamenti in qualità di beneficiaria finale e non di intermediaria, quale agente, delegato o fiduciario di un’altra persona.

(…)».

8.        L’articolo 2 di detta direttiva, rubricato «Definizione di interessi e canoni», alla lettera a), enuncia quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva s’intendono per:

“interessi”: i redditi da crediti di qualsiasi natura, garantiti o non da ipoteca e recanti o meno una clausola di partecipazione agli utili del debitore e, in particolare, i redditi derivanti da titoli e da obbligazioni di prestiti, compresi i premi collegati a detti titoli; le penali per tardivo pagamento non sono considerate interessi».

9.        L’articolo 4 della medesima direttiva, rubricato «Esclusione di pagamenti a titolo di interessi o canoni», stabilisce quanto segue:

«1.      Lo Stato d’origine non è tenuto a concedere i benefici della presente direttiva nei casi seguenti:

a)      pagamenti considerati utili distribuiti o capitale rimborsato ai sensi della legislazione dello Stato d’origine;

(…)

d)      pagamenti relativi a crediti che non contengono disposizioni per la restituzione del capitale o per i quali il rimborso debba essere effettuato trascorsi più di 50 anni dalla data di emissione.

2.      Qualora, a motivo di particolari rapporti tra il pagatore ed il beneficiario effettivo del pagamento degli interessi o dei canoni, ovvero tra uno di essi ed un terzo, l’importo degli interessi o dei canoni sia superiore all’importo che sarebbe stato convenuto dal pagatore e dal beneficiario effettivo in assenza dei rapporti in questione, le disposizioni della presente direttiva si applicano esclusivamente a quest’ultimo importo, se previsto».

10.      A termini dell’articolo 5 della direttiva 2003/49, rubricato «Frodi e abusi»:

«1.      La presente direttiva non osta all’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per impedire frodi o abusi.

2.      Gli Stati membri, nel caso di transazioni aventi come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali l’evasione o l’elusione fiscali, o gli abusi, possono revocare i benefici della presente direttiva o rifiutarne l’applicazione».

3.      Direttiva 2008/7/CE

11.      Ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2008/7/CE (6), rubricato «Conferimenti di capitale»:

«Ai fini della presente direttiva e fatto salvo l’articolo 4, le operazioni seguenti sono considerate “conferimenti di capitale”:

(…)

h)      l’aumento del patrimonio sociale di una società di capitali mediante prestazioni di servizi effettuate da un socio che non implica un aumento del capitale sociale, ma che trova la contropartita in una modifica dei diritti sociali ovvero che possono aumentare il valore delle quote sociali;

i)      il prestito contratto da una società di capitali, se il creditore ha diritto ad una quota degli utili della società;

j)      il prestito contratto da una società di capitali presso un socio, o un congiunto o un figlio di un socio, nonché quello contratto presso un terzo quando esso è garantito da un socio, a condizione che tali prestiti abbiano la stessa funzione di un aumento del capitale sociale».

12.      L’articolo 5 di tale direttiva, rubricato «Operazioni non soggette all’imposta indiretta», al suo paragrafo 1, stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri non assoggettano le società di capitali ad alcuna forma di imposta indiretta per le operazioni seguenti:

a)      conferimenti di capitale;

b)      prestiti, o prestazioni di servizi, effettuati nel quadro dei conferimenti di capitale;

(…)».

4.      Direttiva 2011/96/UE

13.      I considerando da 3 a 5 della direttiva 2011/96/UE (7) sono così formulati:

«(3)      La presente direttiva intende esentare dalle ritenute alla fonte i dividendi e altre distribuzioni di utili pagati dalle società figlie alle proprie società madri ed eliminare la doppia imposizione su tali redditi a livello di società madre.

(4)      I raggruppamenti di società di Stati membri diversi possono essere necessari per creare nell’Unione condizioni analoghe a quelle di un mercato interno e per assicurare così il buon funzionamento del mercato interno. Queste operazioni non dovrebbero essere intralciate da particolari restrizioni, svantaggi e distorsioni derivanti dalle disposizioni fiscali degli Stati membri. Occorre quindi prevedere per questi raggruppamenti norme fiscali che siano neutre nei riguardi della concorrenza al fine di permettere alle imprese di adeguarsi alle esigenze del mercato interno, di accrescere la loro produttività e di rafforzare la loro posizione concorrenziale sul piano internazionale.

(5)      I raggruppamenti in questione possono risolversi nella creazione di gruppi di società madri e figlie».

14.      A termini dell’articolo 1 di tale direttiva:

«1.      Ogni Stato membro applica la presente direttiva:

(…)

b)      alla distribuzione degli utili effettuata da società di questo Stato membro a società di altri Stati membri di cui esse sono filiali;

(…)

2.      Gli Stati membri non applicano i benefici della presente direttiva a una costruzione o a una serie di costruzioni che, essendo stata posta in essere allo scopo principale o a uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o la finalità della presente direttiva, non è genuina avendo riguardo a tutti i fatti e le circostanze pertinenti.

Una costruzione può comprendere più di una fase o parte.

3.      Ai fini del paragrafo 2, una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non genuina nella misura in cui non è stata posta in essere per valide ragioni commerciali che riflettono la realtà economica.

4.      La presente direttiva non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare l’evasione fiscale, la frode fiscale o l’abuso».

15.      L’articolo 5 di detta direttiva enuncia quanto segue:

«Gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte».

B.      Diritto bulgaro

16.      L’articolo 1, punto 4, dello zakon za korporativnoto podohodno oblagane (legge relativa all’imposta sui redditi delle società) (8) (in prosieguo: lo «ZKPO») così dispone:

«La presente legge disciplina le imposte sui redditi che ne costituiscono l’oggetto, percepiti nella Repubblica di Bulgaria da persone giuridiche residenti o non residenti».

17.      A termini dell’articolo 5 dello ZKPO:

«1.      Gli utili sono assoggettati all’imposta sulle società.

2.      I redditi delle persone giuridiche residenti o non residenti oggetto della presente legge sono assoggettati a un’imposta prelevata alla fonte».

18.      L’articolo 12, paragrafo 5, dello ZKPO enuncia quanto segue:

«Se percepiti da persone giuridiche residenti, imprenditori individuali residenti oppure da persone giuridiche non residenti o da imprenditori individuali non residenti, mediante una stabile organizzazione o uno stabilimento concreto nel paese, o se corrisposti a persone giuridiche non residenti da persone fisiche residenti o da persone fisiche non residenti che dispongono di uno stabilimento concreto, sono di origine nazionale i seguenti redditi:

1)      gli interessi, ivi compresi gli interessi inclusi nei rimborsi di una locazione finanziaria;

(…)».

19.      L’articolo 16 dello ZKPO, rubricato «Evasione fiscale», stabilisce quanto segue:

«1.      [(…) in vigore dal 1° gennaio 2010] Se una o più operazioni, incluse quelle tra soggetti non collegati tra loro, sono compiute in condizioni che comportano un’evasione fiscale, la base imponibile deve essere determinata a prescindere da tali operazioni, dalle loro specifiche condizioni o dalla loro forma giuridica; quale base imponibile si considera quella che risulterebbe da una normale operazione di tipo analogo effettuata a prezzi di mercato e intesa allo stesso risultato economico, senza condurre a un’evasione fiscale.

2.      Si considera altresì evasione fiscale:

(…)

3)      l’ottenimento o la concessione di crediti a un tasso di interesse che si discosta dal tasso abituale di mercato al momento della realizzazione dell’operazione, compresi i casi di prestiti senza interessi o di altri aiuti finanziari a titolo gratuito limitati nel tempo, nonché la remissione di debiti o il rimborso per proprio conto di crediti non collegati all’attività;

(…)».

20.      L’articolo 20 dello ZKPO, rubricato «Aliquota fiscale», così dispone:

«L’aliquota fiscale per l’imposta sulle società ammonta al 10%».

21.      La terza parte dello ZKPO, rubricata «Imposta trattenuta alla fonte», comprende segnatamente gli articoli da 195 a 202a.

22.      L’articolo 195 dello ZKPO, rubricato «Imposta trattenuta alla fonte delle persone non residenti», stabilisce quanto segue:

«1.      [(…) in vigore dal 1° gennaio 2011] I redditi delle persone giuridiche non residenti derivanti da fonti nazionali (…) sono assoggettati a una ritenuta alla fonte che estingue definitivamente l’obbligazione tributaria.

2.      La ritenuta alla fonte di cui al paragrafo 1 è operata dalle persone giuridiche residenti (…) che versano i redditi alle persone giuridiche non residenti (…)

(…)

6.      Sono esenti dalla ritenuta alla fonte:

(…)

3)      [(…) in vigore dal 1° gennaio 2015] i redditi costituiti da pagamenti di interessi, compensi per diritti d’autore e licenze, alle condizioni previste ai paragrafi da 7 a 12;

(…)

7.      [(…) in vigore dal 1° gennaio 2015] I redditi costituiti da pagamenti di interessi, compensi per diritti d’autore e licenze sono esenti da ritenuta alla fonte quando sono cumulativamente soddisfatte le seguenti condizioni:

(…)

11.      [(…) in vigore dal 1° gennaio 2015] I paragrafi 7, 8, 9 e 10 non si applicano:

1)      ai redditi che costituiscono utili distribuiti o capitale rimborsato;

(…)

4)      ai redditi derivanti da crediti non recanti disposizioni per la restituzione del capitale o per i quali il rimborso debba essere effettuato trascorsi più di 50 anni dalla data di emissione;

(…)

7)      ai redditi derivanti da operazioni aventi come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali l’evasione o l’elusione fiscale».

23.      L’articolo 199 dello ZKPO, rubricato «Base imponibile dell’imposta trattenuta alla fonte sui redditi delle persone non residenti», al suo paragrafo 1, così recita:

«La base imponibile per la liquidazione dell’imposta trattenuta alla fonte per i redditi di cui all’articolo 195, paragrafo 1, è l’importo lordo di tali redditi (…)».

24.      L’articolo 200 dello ZKPO, rubricato «Aliquota d’imposta», al suo paragrafo 2, nella versione in vigore dal 1° gennaio 2011, disponeva quanto segue:

«(…) L’aliquota d’imposta applicata ai redditi di cui all’articolo 195 ammonta al 10%, salvo i casi previsti dall’articolo 200a».

25.      A decorrere dal 1° gennaio 2015, tale disposizione è stata così modificata:

«(…) L’aliquota d’imposta applicata ai redditi di cui all’articolo 195 ammonta al 10%».

26.      L’articolo 200a dello ZKPO, nella versione in vigore dal 1° gennaio 2011, come modificato e integrato a decorrere dal 1° gennaio 2014, fino alla sua abrogazione con effetto dal 1° gennaio 2015, così stabiliva:

«1.      L’aliquota d’imposta applicata ai redditi costituiti da pagamenti di interessi, compensi per diritti d’autore e licenze ammonta al 5%, quando sono cumulativamente soddisfatte le seguenti condizioni;

(…)

5.      I paragrafi da 1 a 4 non si applicano:

1)      ai redditi che costituiscono utili distribuiti o capitale rimborsato;

(…)

4)      ai redditi relativi a crediti non recanti disposizioni per la restituzione del capitale o per i quali il rimborso debba essere effettuato trascorsi più di 50 anni dalla data di emissione;

(…)».

27.      L’articolo 202a, rubricato «Ricalcolo dell’imposta trattenuta alla fonte», nella versione in vigore dal 1° gennaio 2010, ai suoi paragrafi da 1 a 4 dispone quanto segue (9):

«1.      (…) Una persona giuridica non residente che sia residente fiscale in uno Stato membro dell’Unione europea o in un altro Stato dello Spazio economico europeo ha il diritto di optare per il ricalcolo dell’imposta trattenuta alla fonte in relazione ai redditi di cui all’articolo 12, paragrafi 2, 3, 5 e 8. Quando la persona non residente opta per il ricalcolo dell’imposta trattenuta alla fonte, la rideterminazione riguarda tutti i redditi di cui all’articolo 12, paragrafi 2, 3, 5 e 8 che essa ha percepito nel corso dell’esercizio.

2.      Se la persona non residente opta per il ricalcolo dell’imposta trattenuta alla fonte per quanto riguarda i redditi percepiti, l’imposta ricalcolata equivale all’imposta sulle società che sarebbe stata dovuta su tali redditi se fossero stati percepiti da una persona giuridica residente. Se la persona non residente ha sostenuto spese legate ai redditi, ai sensi della prima frase, soggette a un’imposta sulle spese qualora fossero state sostenute da una persona giuridica residente, l’ammontare dell’imposta ricalcolata è aumentato di tale importo.

3.      Qualora l’importo della ritenuta alla fonte di cui all’articolo 195, paragrafo 1, superi l’importo ricalcolato a norma del paragrafo 2, la differenza dev’essere rimborsata fino all’importo della ritenuta alla fonte di cui all’articolo 195, paragrafo 1, che la persona non residente non può dedurre dall’imposta dovuta nel suo Stato di residenza.

4.      La dichiarazione fiscale annuale presentata indica se si è optato per il ricalcolo dell’imposta trattenuta alla fonte. Il non residente presenta la propria dichiarazione fiscale annuale alla Teritorialna direktsia na Natsionalna agentsia za prihodite – Sofia [Direzione territoriale dell’Agenzia nazionale delle entrate – Sofia, Bulgaria], entro il 31 dicembre dell’anno successivo all’anno della percezione dei redditi».

III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

28.      In data 22 novembre 2013 la ricorrente ha stipulato, in qualità di mutuataria, un accordo su un prestito con il suo azionista unico, la InterV Investment, in forza del quale quest’ultima società, in qualità di mutuante, le concedeva un prestito convertibile senza interessi, con scadenza a 60 anni dall’entrata in vigore dell’accordo (in prosieguo: il «prestito controverso»). Detto accordo prevedeva l’estinzione dell’obbligo di restituzione del prestito a carico della mutuataria in qualsiasi momento successivo alla data di concessione del finanziamento, in caso di decisione da parte della società mutuante di far confluire l’importo dovuto per il prestito nel capitale della mutuataria come conferimento in natura.

29.      Con avviso di accertamento del 16 ottobre 2017, la Teritorialna direktsia na Natsionalnata agentsia za prihodite (Direzione territoriale dell’Agenzia nazionale delle entrate, Bulgaria) (in prosieguo: l’«amministrazione tributaria»), in forza dell’articolo 195, paragrafo 2, dello ZKPO, ha disposto a carico della ricorrente il pagamento di una ritenuta alla fonte su taluni redditi relativi a interessi versati alla InterV Investment, per il periodo compreso tra il 14 febbraio 2014 e il 31 marzo 2015.

30.      Avendo accertato che al momento della verifica fiscale il prestito controverso non era stato convertito in capitale (10) e che la mutuataria non aveva restituito il prestito né pagato gli interessi, l’amministrazione tributaria ha concluso nel senso dell’esistenza di un’operazione che integrava un’«evasione fiscale», ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO, che definisce come tale l’ottenimento o la concessione di crediti a un tasso di interesse che si discosta dal tasso abituale di mercato al momento della realizzazione dell’operazione, compresi i casi di prestiti senza interessi. L’amministrazione tributaria, nell’avviso di accertamento, ha determinato il tasso di interesse di mercato da applicare al prestito per calcolare gli interessi non versati dalla mutuataria prima di operare sugli stessi una ritenuta alla fonte del 10%.

31.      Con sentenza del 29 marzo 2019, l’Administrativen sad Sofia (Tribunale amministrativo di Sofia, Bulgaria), investito dalla ricorrente di un ricorso diretto a contestare la legittimità dell’avviso controverso, ha rigettato tale ricorso ritenendo che il prestito controverso rientrasse nell’attivo finanziario di tale società, avendo generato un vantaggio economico corrispondente al mancato pagamento degli interessi, mentre la società mutuante aveva subìto una perdita non avendo percepito detti interessi. Secondo detto giudice, il prestito è stato utilizzato per l’estinzione di taluni obblighi finanziari del mutuatario indicati nell’accordo di prestito e pertanto non costituiva un elemento del capitale proprio.

32.      La ricorrente ha proposto un ricorso per cassazione dinanzi al giudice del rinvio, il Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa, Bulgaria), diretto all’annullamento della suddetta sentenza.

33.      A sostegno di tale ricorso, la ricorrente fa valere che la ritenuta alla fonte è stata riscossa in relazione a redditi da interessi fittizi senza tenere conto della presenza dimostrata di un interesse di natura economica alla concessione di un prestito senza interessi. Essa sostiene parimenti che non disponeva di risorse per il pagamento degli interessi relativi al prestito controverso e che la InterV Investment era l’unico socio di capitale al momento della conclusione dell’accordo di concessione del prestito. La ricorrente ha altresì sostenuto che l’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO era in contrasto con la giurisprudenza della Corte, dato che non consentirebbe alle parti contraenti di un prestito senza interessi di dimostrare l’esistenza di valide considerazioni di ordine economico a favore della concessione del prestito.

34.      In subordine, sulla base del rilievo che la Repubblica di Bulgaria si è avvalsa della facoltà di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/49, la quale consente agli Stati membri di escludere dall’ambito di applicazione di tale direttiva gli interessi sui prestiti che essi qualificano da un punto di vista fiscale come redditi derivanti da strumenti di fondi propri, la ricorrente ha fatto valere l’applicabilità della direttiva 2011/96, avente ad oggetto tale tipologia di redditi. Orbene, in forza dell’articolo 5 di detta direttiva, gli utili distribuiti da una società figlia residente alla sua società madre non residente sono esenti dalla ritenuta alla fonte. La ricorrente ha parimenti aggiunto che il prestito controverso costituiva un conferimento di capitale, ai sensi dell’articolo 3, lettere da h) a j), della direttiva 2008/7, non soggetto, conformemente all’articolo 5 di tale direttiva, ad alcuna forma di imposta indiretta.

35.      In tale contesto, il Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il principio di proporzionalità di cui agli articoli 5, paragrafo 4, e 12, lettera b), [TUE] e il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice ai sensi dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [in prosieguo: la “Carta”] ostino a una normativa nazionale, come quella di cui all’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, [dello ZKPO].

2)      Se i pagamenti di interessi ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva [2003/49] costituiscano una distribuzione di utili a cui si applica l’articolo 5 della direttiva [2011/96].

3)      Se a pagamenti relativi a un prestito senza interessi che rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva [2003/49], con scadenza a 60 anni dalla conclusione del contratto, si applichi la disposizione di cui all’articolo 1, paragrafi 1, lettera b), e 3, e all’articolo 5 della direttiva [2011/96].

4)      Se gli articoli 49 e 63, paragrafi 1 e 2, [TFUE], l’articolo 1, paragrafi 1, lettera b), e 3, e l’articolo 5 della direttiva [2011/96] e l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva [2003/49] ostino a una normativa nazionale, come quella di cui agli articoli 195, paragrafo 1, 200, paragrafo 2, (…) e all’articolo 200a, paragrafi 1 e 5, punto 4, dello ZKPO (abrogato), nelle rispettive versioni in vigore dal 1° gennaio 2011 al 1° gennaio 2015, e all’articolo 195, paragrafi 1, 6, punto 3, e 11, punto 4, dello ZKPO, nella versione in vigore dal 1° gennaio 2015, nonché a una prassi fiscale secondo cui gli interessi non corrisposti su un prestito senza interessi, concesso alla società figlia residente dalla società madre avente sede in un altro Stato membro, con scadenza a 60 anni dal 22 novembre 2013, sono soggetti a ritenuta alla fonte.

5)      Se gli articoli 3, lettere da h) a j), 5, paragrafo 1, lettere a) e b), 7, paragrafo 1, e 8 della direttiva [2008/7] ostino a una normativa nazionale come quella di cui agli articoli 16, paragrafi 1 e 2, punto 3, e 195, paragrafo 1, dello ZKPO, sulla tassazione alla fonte di redditi costituiti da interessi fittizi derivanti da un prestito senza interessi concesso a una società residente da una società di un altro Stato membro che è unico azionista del capitale della società mutuataria.

6)      Se la trasposizione della direttiva [2003/49] negli articoli 200, paragrafo 2, e 200a, paragrafi 1 e 5, punto 4, dello ZKPO, effettuata dal 2011 – prima della scadenza del periodo transitorio previsto nell’allegato VI, sezione “Fiscalità”, punto 3, [dell’Atto di adesione] – fissando un’aliquota del 10% in luogo dell’aliquota massima del 5% prevista [nell’Atto di adesione] e nel Protocollo [di ammissione], violi i principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento».

36.      Hanno presentato osservazioni scritte la ricorrente, l’amministrazione tributaria, il governo bulgaro nonché la Commissione europea. Le suddette parti sono state altresì sentite nel corso dell’udienza tenutasi il 30 giugno 2021.

IV.    Analisi

A.      Osservazioni preliminari

37.      Con le sue sei questioni, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una ritenuta alla fonte sia in contrasto, da una parte, con il diritto primario dell’Unione derivante dall’articolo 5, paragrafo 4, e dall’articolo 12, lettera b), TUE, dall’articolo 47 della Carta, nonché dagli articoli 49 e 63 TFUE (questioni prima e quarta) e/o, dall’altra parte, con il diritto derivato dell’Unione quale risulta, rispettivamente, dalla direttiva 2003/49 (questioni seconda, terza, quarta e sesta), dalla direttiva 2011/96 (questioni seconda, terza e quarta) nonché dalla direttiva 2008/7 (quinta questione).

38.      Prima di procedere all’analisi giuridica delle questioni sollevate dal giudice del rinvio, è opportuno svolgere le seguenti osservazioni preliminari.

1.      Sovranità fiscale degli Stati membri e diritto dellUnione

39.      Rammento che, in base alla giurisprudenza della Corte, se è pur vero che la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri e che in merito alla tassazione non è richiesto un approccio armonizzato, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione (11). Detta giurisprudenza ammette parimenti che le disposizioni relative alle libertà sancite dai trattati sono atte a limitare il diritto degli Stati membri di stabilire le condizioni e le modalità di imposizione dei redditi dei cittadini degli altri Stati membri derivanti da un’attività esercitata nel territorio dello Stato membro d’imposizione (12).

40.      Occorre altresì osservare che, sebbene gli Stati membri godano di un’autonomia in materia di accertamento delle frodi, la Corte ha ritenuto che, affinché una normativa nazionale possa essere considerata come diretta a evitare le frodi e gli abusi, il suo scopo specifico debba essere quello di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate a fruire indebitamente di un’agevolazione fiscale (13).

2.      Prassi fiscale internazionale e diritto dellUnione

a)      Disposizioni anti-abuso

41.      La finalità di eliminare la doppia imposizione senza creare opportunità di non imposizione o di un’imposizione ridotta mediante evasione o frode fiscale – in particolare ricorrendo a meccanismi di elusione fiscale – costituisce un obiettivo di politica fiscale perseguito su scala internazionale.

42.      Esso emerge in special modo nell’ambito delle convenzioni internazionali in materia fiscale in cui si rinvengono disposizioni «anti-abuso» intese ad escludere, in caso di frode o di abuso, l’applicazione delle disposizioni che conferiscono diritti al contribuente. Clausole simili sono state riprese sia nel diritto dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici di diversi Stati membri, come dimostra la presente causa.

43.      Rammento, al riguardo, che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, un contribuente non può beneficiare di un diritto o di un vantaggio riconosciuto dal diritto dell’Unione quando l’operazione de qua sia puramente artificiosa sul piano economico e sia diretta a sottrarre l’impresa in questione alla normativa dello Stato membro interessato (14).

44.      Rilevo parimenti che le direttive 2003/49 e 2011/96, oggetto delle questioni pregiudiziali, hanno l’obiettivo comune di evitare l’evasione fiscale e di consentire agli Stati membri non solo di adottare le misure necessarie per impedire tale tipo di frode, ma anche di revocare i benefici dalle stesse conferiti o di rifiutarne l’applicazione in caso di frodi o di abusi.

b)      Principio di libera concorrenza

45.      Il «principio di libera concorrenza» (arm’s length principle) – contemplato, inter alia, dall’articolo 9 del Modello di convenzione fiscale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) (15) che riflette il consenso raggiunto dai membri dell’organizzazione – ha lo scopo di garantire che i contribuenti che operano nell’ambito di un gruppo di imprese ricevano il medesimo trattamento riservato ai contribuenti che operano in modo indipendente sul mercato ai fini del regime generale di imposizione delle società.

46.      Tale principio è stato parimenti riconosciuto dalla Corte, la quale ha ritenuto, sia in materia di imposizione sia in altri settori, che il principio di libera concorrenza costituisca un criterio appropriato per distinguere una costruzione di puro artificio da operazioni economiche reali e che esso rappresenti in tale contesto un elemento oggettivo che consente di valutare se lo scopo essenziale della transazione di cui trattasi sia il conseguimento di un vantaggio fiscale (16).

B.      Sulla prima questione pregiudiziale

47.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO sia in contrasto con l’articolo 5, paragrafo 4, e con l’articolo 12, lettera b), TUE nonché con il diritto a un ricorso effettivo e all’accesso a un giudice imparziale sancito dall’articolo 47 della Carta.

48.      Occorre anzitutto rilevare che, a norma dell’articolo 5, paragrafo 4, TUE, il principio di proporzionalità si applica al «contenuto e [al]la forma dell’azione dell’Unione», mentre l’articolo 12, lettera b), TUE concerne il ruolo dei parlamenti nazionali in materia di rispetto del principio di sussidiarietà. Dette disposizioni enunciano quindi i principi che devono presiedere allo svolgimento del processo legislativo dell’Unione, non di quello degli Stati membri. A tale riguardo, la Corte ha ritenuto che non occorresse rispondere a una questione simile sollevata dal medesimo giudice del rinvio in un’altra causa relativamente recente, dal momento che le suddette disposizioni non riguardano legislazioni nazionali e non sono applicabili ad una situazione come quella di cui al procedimento principale(17).

49.      Per quanto attiene, inoltre, al diritto a un ricorso effettivo di cui all’articolo 47 della Carta, secondo una costante giurisprudenza le esigenze derivanti dalla protezione dei diritti fondamentali vincolano gli Stati membri soltanto in sede di attuazione del diritto dell’Unione (18).

50.      Ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO, l’ottenimento o la concessione di crediti a un tasso di interesse che si discosta dal tasso abituale di mercato al momento della realizzazione dell’operazione, compresi i casi di prestiti senza interessi, configura un’evasione fiscale. Tale disposizione della legislazione bulgara non costituisce né la trasposizione di una direttiva dell’Unione, né l’applicazione o l’attuazione di una qualsiasi altra disposizione del diritto dell’Unione.

51.      Per le medesime ragioni e alla luce dell’articolo 51 della Carta, si deve considerare che le disposizioni della stessa non sono applicabili a una siffatta disposizione del diritto tributario bulgaro che non costituisce una disposizione di attuazione del diritto dell’Unione.

52.      Propongo, quindi, alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 5, paragrafo 4, e l’articolo 12, lettera b), TUE nonché l’articolo 47 della Carta devono essere interpretati nel senso che essi non si applicano all’interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO, dal momento che quest’ultima disposizione non costituisce una disposizione di attuazione del diritto dell’Unione.

C.      Sulla seconda questione pregiudiziale

53.      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se i pagamenti a titolo di interessi di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/49 possano costituire una distribuzione di utili a cui si applica l’articolo 5 della direttiva 2011/96.

54.      Riguardo alla direttiva 2003/49, rammento che essa, operando un’armonizzazione in materia di imposte dirette al fine di consentire agli operatori economici di approfittare dei vantaggi derivanti dal mercato interno, è intesa, conformemente ai suoi considerando da 2 a 4, all’eliminazione delle doppie imposizioni per quanto concerne i pagamenti di interessi effettuati tra società consociate di Stati membri diversi e a stabilire che tali pagamenti siano assoggettati una sola volta ad imposizione in un unico Stato membro, vietando l’assoggettamento ad imposta degli interessi nello Stato membro d’origine a detrimento del loro beneficiario effettivo(19).

55.      In primo luogo, si pone la questione se gli interessi fittizi, quali gli interessi liquidati dall’amministrazione tributaria nella presente causa, possano ricadere nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/49 ed essere considerati come «pagamenti di interessi», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, e dell’articolo 2, lettera a), di tale direttiva, in particolare, nel caso molto peculiare della causa di cui trattasi, in cui non ha avuto luogo alcun pagamento distinto.

56.      Va evidenziato che la direttiva 2003/49, come dimostra il suo considerando 5, si applica ai «pagamenti». Osservo parimenti che, nel suo articolo 1, rubricato «Ambito d’applicazione e procedura», tale direttiva individua chiaramente un «beneficiario effettivo degli interessi» situato in un altro Stato membro che riceva «un pagamento effettuato» da una società situata nello Stato d’origine.

57.      Dalla giurisprudenza della Corte risulta altresì che, poiché l’articolo 2, lettera a), della direttiva 2003/49 definisce gli interessi come «i redditi da crediti di qualsiasi natura», soltanto il beneficiario «effettivo» può percepire interessi che costituiscono redditi da tali crediti e che, di conseguenza, la nozione di «beneficiario effettivo degli interessi», ai sensi di detta direttiva, dev’essere interpretata nel senso che designa un’entità che benefici «realmente», sotto il profilo economico, degli interessi «corrispostile» e che disponga, pertanto, del potere di deciderne liberamente la destinazione (20).

58.      Orbene, allorché l’amministrazione tributaria liquida e assoggetta a imposta interessi fittizi relativi a un prestito senza interessi (21), poiché il mutuante non percepisce alcun interesse, a mio avviso, non può essere considerato un «beneficiario effettivo» di detti interessi.

59.      In secondo luogo, rilevo che, in ogni caso, anche ammettendo che gli interessi fittizi possano considerarsi «pagamenti di interessi», ai sensi della direttiva 2003/49, tali pagamenti, riguardando un prestito senza interessi con scadenza a 60 anni dalla sua conclusione, rientrano nella deroga prevista all’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della suddetta direttiva, la quale esclude dall’ambito di applicazione della direttiva medesima i «pagamenti relativi a crediti che non contengono disposizioni per la restituzione del capitale o per i quali il rimborso debba essere effettuato trascorsi più di 50 anni dalla data di emissione». Orbene, la durata del prestito controverso era di 60 anni, il che comporta la non applicabilità della direttiva 2003/49 al caso di specie.

60.      In terzo e ultimo luogo, a fini di completezza, ritengo che occorra tenere parimenti in considerazione il fatto che la direttiva 2003/49 persegue un duplice obiettivo, vale a dire, da un lato, impedire la doppia imposizione (22) e, dall’altro, contrastare gli abusi e la frode fiscale (23).

61.      Di conseguenza, onde evitare una doppia imposizione di pagamenti di interessi transfrontalieri, è vietato l’assoggettamento a imposta nello Stato d’origine a detrimento del loro beneficiario effettivo (24). Orbene, nel caso di specie, la possibilità di una doppia imposizione che rischierebbe di essere in contrasto con la direttiva 2003/49 non sussiste, tenuto conto del fatto che gli interessi fittizi liquidati dall’amministrazione tributaria non possono essere assoggettati a imposta in Lussemburgo per via del mancato trasferimento di tali importi a favore della società madre.

62.      Per quanto concerne il rischio di abuso e di frodi fiscali, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2003/49 non osta all’applicazione delle disposizioni nazionali necessarie per impedire frodi o abusi. Rilevo, d’altronde, che, aderire all’interpretazione della ricorrente condurrebbe ad ammettere un’elusione della legislazione fiscale nazionale. Ciò equivarrebbe, in pratica, a consentire a società collegate di sottoscrivere prestiti (o di stipulare altre tipologie di operazioni infragruppo) in violazione del diritto nazionale, per poi avvalersi del diritto dell’Unione al fine di sottrarsi alla normativa fiscale nazionale (ed eventualmente anche all’imposta). Orbene, una siffatta interpretazione sarebbe in contrasto con gli obiettivi di detta direttiva, tra i quali figura la lotta alla frode fiscale (25).

63.      Alla luce di quanto precede, ritengo che le disposizioni della direttiva 2003/49 non possano trovare applicazione in una causa come quella di cui al procedimento principale.

64.      Propongo quindi alla Corte di rispondere alla seconda questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 4 della direttiva 2003/49 dev’essere interpretato nel senso che esso non richiede che i pagamenti di interessi, quali quelli di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva, siano qualificati come «distribuzioni di utili» a cui si applica l’articolo 5 della direttiva 2011/96.

D.      Sulla terza questione pregiudiziale

65.      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), e paragrafo 3, nonché l’articolo 5 della direttiva 2011/96 siano applicabili ai pagamenti relativi a un prestito senza interessi, con scadenza a 60 anni dalla sua conclusione, e che rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/49.

66.      Per quanto riguarda la direttiva 2011/96, rammento che essa è intesa a esentare dalle ritenute alla fonte i dividendi e altre distribuzioni di utili pagate dalle società figlie stabilite in uno Stato membro alle proprie società madri stabilite in un altro Stato membro, nonché a eliminare la doppia imposizione su tali redditi a livello di società madre, al fine di facilitare i raggruppamenti di società a livello dell’Unione (26).

67.      In tale ottica, l’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/96 stabilisce che essa si applica alla «distribuzione di utili» effettuata, in una relazione transfrontaliera, da una società figlia alla società madre.

68.      Osservo che la nozione di «distribuzione di utili» non è specificamente definita da detta direttiva.

69.      A tale riguardo, la Corte ha dichiarato che lo Stato membro di residenza di una società può legittimamente trattare gli interessi versati da tale società alla società madre stabilita in un altro Stato membro come una distribuzione di utili (27). Tale conclusione è stata, tuttavia, applicata in un contesto in cui la società figlia aveva effettivamente pagato interessi su un prestito, circostanza che non si è verificata nella presente causa.

70.      Ritengo, pertanto, che gli interessi fittizi determinati dall’amministrazione tributaria esclusivamente al fine di assoggettare a imposta un’operazione considerata occulta in base al diritto nazionale non possano considerarsi una «distribuzione di utili», ai sensi della direttiva 2011/96, segnatamente in mancanza di un versamento effettivo degli interessi tra tali due società del medesimo gruppo.

71.      Osservo parimenti che, sulla falsariga della direttiva 2003/49, la direttiva 2011/96, tra i suoi principali obiettivi, si prefigge di evitare tanto la doppia imposizione quanto gli abusi e le frodi in materia fiscale. A tal proposito, rinvio al ragionamento svolto ai paragrafi 61 e 62 delle presenti conclusioni che si applica mutatis mutandis alla direttiva 2011/96.

72.      Per le ragioni suesposte, ritengo che la direttiva 2011/96 non sia applicabile a una situazione come quella di cui al procedimento principale.

73.      Propongo quindi di rispondere alla terza questione pregiudiziale dichiarando che la direttiva 2011/96 dev’essere interpretata nel senso che essa non è applicabile a una ritenuta alla fonte su un reddito fittizio relativo a interessi su un prestito senza interessi accordato dalla società madre alla società figlia.

E.      Sulla quarta questione pregiudiziale

74.      La quarta questione si articola in due aspetti principali che è opportuno considerare separatamente.

75.      Il primo aspetto verte sulla questione se la tassazione alla fonte di presunti pagamenti di interessi relativi a un prestito senza interessi sia conforme alla direttiva 2003/49 e all’esenzione dalla ritenuta alla fonte ai sensi della direttiva 2011/96. Il secondo aspetto solleva la medesima questione ma alla luce dei requisiti dell’articolo 49 e dell’articolo 63, paragrafi 1 e 2, TFUE.

76.      A tale riguardo, conformemente alla recente sentenza pronunciata dalla Corte (Grande Sezione), nelle cause riunite N Luxembourg 1 e a. (28), occorre distinguere, in limine, due ipotesi.

77.      La prima ipotesi è quella in cui l’inapplicabilità del regime di esenzione dalla ritenuta alla fonte prevista dalla direttiva 2003/49 discenderebbe dall’accertamento della sussistenza di una frode o di un abuso, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva medesima. In tale ipotesi, alla luce della giurisprudenza richiamata al paragrafo 43 delle presenti conclusioni, una società residente in uno Stato membro non potrebbe rivendicare il beneficio delle libertà sancite dal Trattato FUE al fine di contestare la normativa nazionale posta a disciplina della tassazione degli interessi versati ad una società residente in un altro Stato membro. Alla luce del fatto che la direttiva 2011/96 contiene al suo articolo 1, paragrafo 2, una disposizione simile all’articolo 5 della direttiva 2003/49 per quanto riguarda la sua inapplicabilità in caso di frode o di abuso, ritengo che tale ipotesi debba applicarsi mutatis mutandis alla direttiva 2011/96.

78.      La seconda ipotesi è quella in cui l’inapplicabilità del regime di esenzione dalla ritenuta alla fonte prevista dalla direttiva 2003/49 (e, per analogia, l’inapplicabilità della direttiva 2011/96) discenderebbe dall’insussistenza delle condizioni d’applicazione del regime di esenzione medesimo, senza peraltro essere accompagnata dall’accertamento di una frode o di un abuso ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2003/49 (o dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2011/96). In tale ipotesi, occorre verificare se l’articolo 49 e l’articolo 63, paragrafi 1 e 2, TFUE debbano essere interpretati nel senso che ostino ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, relativa alla tassazione degli interessi in questione(29).

79.      Osservo anzitutto che la questione del giudice del rinvio verte unicamente sulla compatibilità con l’articolo 49 e con l’articolo 63, paragrafi 1 e 2, TFUE degli articoli 195, 200 e 200a dello ZKPO, che stabiliscono rispettivamente le modalità di prelievo alla fonte e della procedura di rideterminazione e di rimborso dell’imposta a favore dei non residenti.

80.      Ritengo peraltro che l’analisi di tale questione non dovrebbe limitarsi esclusivamente alle disposizioni del diritto nazionale succitate, ma che occorra tenere conto dell’intero regime fiscale bulgaro applicabile alle società non residenti (30). Propongo quindi di includere nell’analisi successiva sia l’articolo 16 dello ZKPO (che stabilisce le modalità di tassazione delle società non residenti in caso di violazione del principio di libera concorrenza) sia l’articolo 199 dello ZKPO (che concerne la base imponibile per la liquidazione dell’imposta ritenuta alla fonte sui redditi delle società non residenti) e l’articolo 202a (che disciplina il regime di ricalcolo e di rimborso dell’imposta ritenuta alla fonte di cui possono beneficiare le società non residenti).

81.      Dalla giurisprudenza della Corte risulta, infatti, che è necessario non limitare l’esame all’esenzione da un certo tipo di imposta su un piano puramente formale, bensì tenere conto del contesto fiscale complessivo della tassazione delle società non residenti e di procedere quindi a un esame completo (sul piano materiale) (31).

1.      Riguardo alle direttive 2003/49 e 2011/96

82.      La risposta a tale questione, per quanto riguarda le direttive 2003/49 e 2011/96, è stata fornita nell’ambito delle risposte suggerite per le questioni pregiudiziali seconda e terza, nelle quali ho concluso per la loro non applicabilità ai fatti del caso di specie (32).

2.      Riguardo agli articoli 49 e 63 TFUE

83.      Per rispondere alla quarta questione sollevata dal giudice del rinvio, occorre anzitutto esaminare se gli articoli 49 e 63 TFUE ostino a una normativa nazionale in forza della quale il regime applicato automaticamente alle società non residenti, a differenza di quando trattasi di società residenti, non consente loro di dedurre le spese relative al prestito in questione. In caso di risposta affermativa, occorre esaminare se una siffatta differenza di trattamento possa, da un lato, essere eliminata da un meccanismo di rideterminazione e rimborso dell’imposta, cui possano accedere le società non residenti e, dall’altro lato, essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale. In un caso del genere, occorre inoltre che l’applicazione di detta restrizione sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e che non ecceda quanto necessario per conseguirlo.

a)      Sulle disposizioni pertinenti del Trattato FUE

84.      Poiché il giudice del rinvio interpella la Corte sulla compatibilità della normativa bulgara di cui trattasi con le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali (articoli 49 e 63 TFUE), occorre chiedersi, in primo luogo, alla luce di quale delle suddette disposizioni del trattato tale normativa debba essere valutata.

85.      Osservo che, in linea di principio, le questioni relative al trattamento fiscale degli interessi e dei redditi da capitale versati tra società di due Stati membri possono rientrare nell’ambito sia della libera circolazione dei capitali (33) sia della libertà di stabilimento, segnatamente, per quanto attiene a quest’ultima, ove sia stato stipulato un prestito tra due società collegate nel caso in cui una società di uno Stato membro detenga, nel capitale di una società stabilità in un altro Stato membro, una partecipazione tale da conferirle una sicura influenza sulle decisioni di tale società e da consentirle di indirizzarne le attività (34).

86.      Tuttavia, secondo una costante giurisprudenza, per stabilire se una normativa nazionale ricada nell’una o nell’altra delle libertà di circolazione, occorre prendere in considerazione l’oggetto della normativa in discussione (35).

87.      Orbene, dalla decisione di rinvio risulta che l’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO si applica a tutti i casi di concessione di prestiti senza interesse, al di là dell’ipotesi di società collegate, e a prescindere dall’entità della partecipazione della società che concede il prestito nel capitale della società mutuataria. Tale elemento dovrebbe condurci prima facie a esaminare la quarta questione pregiudiziale sotto il profilo della libera circolazione dei capitali.

88.      Ritengo tuttavia che il contesto di fatto della presente causa porti a esaminare la normativa bulgara in discussione alla luce della libertà di stabilimento. Infatti, oltre alla circostanza che la InterV Investment era l’azionista unico della ricorrente al momento della conclusione del prestito controverso, le caratteristiche di quest’ultimo, in particolare la sua durata e le condizioni per la sua restituzione, indicano che esso avrebbe potuto essere stipulato soltanto tra società collegate. Non vi è, quindi, alcun dubbio che sussista un vincolo di interdipendenza tra dette società tale da conferire alla InterV Investment, considerata la sua partecipazione nel capitale della ricorrente, un sicuro potere di influenzare le decisioni di quest’ultima consentendole al contempo di indirizzarne le attività.

89.      Un approccio del genere sarebbe d’altronde conforme alla giurisprudenza della Corte in una serie di cause relative a normative nazionali che presentano caratteristiche comuni con la legislazione bulgara. Osservo al riguardo che, nella causa SGI, la Corte ha esaminato, alla luce della libertà di stabilimento, la normativa belga che consentiva all’amministrazione tributaria di reintegrare negli utili della società residente, ai fini dell’imposta sui redditi, gli interessi fittizi di un prestito senza interessi accordato a una società figlia non residente, in base alla motivazione che, benché tale legislazione non si applicasse soltanto alle società collegate, la situazione oggetto di tale causa riguardava società collegate (36).

90.      Per quanto sia incline a ritenere che sia più appropriato esaminare la quarta questione alla luce della libertà di stabilimento, è del tutto concepibile esaminare la normativa nazionale di cui trattasi sotto il profilo della libera circolazione dei capitali.

91.      Tuttavia, nonostante la scelta di procedere all’analisi della compatibilità delle misure nazionali in discussione alla luce della libertà di stabilimento, anche da un’analisi della questione sotto il profilo della libera circolazione dei capitali emergono conclusioni uguali a quelle che mi accingo a formulare. Infatti, analogamente alla libertà di stabilimento, la libera circolazione dei capitali vieta misure idonee a dissuadere i non residenti dall’effettuare investimenti in uno Stato membro o a dissuadere i residenti di questo Stato membro dall’effettuarne in altri Stati (37).

92.      Infine, ammesso che la normativa nazionale di cui trattasi abbia effetti restrittivi sulla libera circolazione dei capitali, tali effetti sarebbero l’inevitabile conseguenza di un’eventuale restrizione alla libertà di stabilimento e non giustificano pertanto un esame autonomo della stessa normativa sulla base dell’articolo 63 TFUE (38).

b)      Se gli articoli 195 e 199 dello ZKPO stabiliscano una discriminazione tra società residenti e non residenti

93.      Secondo una costante giurisprudenza, l’articolo 49 TFUE mira ad assicurare alle società il beneficio del trattamento nazionale nello Stato membro ospitante e vieta qualsiasi discriminazione fondata sul luogo in cui si trova la loro sede (39) nonché, in generale, qualsiasi restrizione ingiustificata all’esercizio di tale libertà (40).

94.      Orbene, dalla lettura dell’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO risulta che tale disposizione è applicabile a qualsiasi prestito senza interessi, indipendentemente dal fatto che esso impegni soltanto società residenti o anche società non residenti. Inoltre, non si contesta che si applichi la medesima aliquota impositiva del 10%, a prescindere dalla circostanza che il mutuante sia una società residente o una società non residente.

95.      Tuttavia, dalla lettura degli articoli 195 e 199 dello ZKPO emerge che alle società non residenti che concludano transazioni del genere è riservato un trattamento fiscale diverso. Infatti, mentre gli interessi fittizi relativi a un prestito concesso da una società non residente sono assoggettati a una ritenuta alla fonte che costituisce un’imposta immediata e definitiva, escludendo la possibilità di dedurre gli oneri connessi alla concessione del prestito, l’imposta cui sono soggetti gli interessi fittizi relativi a un prestito concesso da una società residente dipende, ai fini della tassazione a titolo di imposta sulle società, dal suo risultato d’esercizio, attivo o passivo, previa considerazione degli eventuali oneri connessi alla concessione del prestito.

96.      Sottolineo, a questo punto della mia analisi, che la giurisprudenza della Corte è ricca di sentenze che hanno affrontato tale problematica, dal punto di vista sia della libera circolazione dei capitali sia della libertà di stabilimento. Più precisamente, in una serie di cause i cui fatti si avvicinano a quelli del procedimento principale, la Corte ha dichiarato che costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento una normativa nazionale ai sensi della quale a una società non residente, per effetto della ritenuta alla fonte operata da una società residente, viene applicata un’imposta sugli interessi corrispostile da quest’ultima, restando esclusa la deducibilità fiscale dei costi, quali gli oneri finanziari direttamente connessi all’operazione di finanziamento de qua, laddove la deducibilità è invece riconosciuta nel caso di corresponsione di interessi da una società residente ad altra società residente (41). La medesima conclusione è stata tratta per quanto concerne la libera circolazione dei capitali (42).

97.      Alla luce di quanto precede, ritengo che una siffatta differenza sulle modalità di calcolo dell’imposta possa essere idonea a costituire una restrizione che ricade nell’ambito di applicazione dell’articolo 49 TFUE.

98.      La presente causa, tuttavia, si distingue dalle citate cause, nel senso che il diritto bulgaro sembra prevedere, all’articolo 202a dello ZKPO, una procedura che consente alle società non residenti di essere trattate allo stesso modo delle società residenti sotto il profilo fiscale. Prima di procedere all’esame di un’eventuale giustificazione della misura discriminatoria introdotta dagli articoli 195 e 199 dello ZKPO, occorre quindi esaminare se l’articolo 202a di tale legge consenta di eliminare la differenza di trattamento sopra rilevata tra società residenti e non residenti.

c)      Se larticolo 202a dello ZKPO consenta di eliminare le caratteristiche discriminatorie del regime fiscale applicabile ai non residenti ai sensi degli articoli 195 e 199 di tale legge

1)      Ambito di applicazione dell’articolo 202a dello ZKPO

99.      Dalle osservazioni scritte depositate dall’amministrazione tributaria e dal governo bulgaro risulta che l’articolo 202a dello ZKPO prevede un meccanismo che consente alle società non residenti di optare per il regime di tassazione previsto per le società residenti. Infatti, detta procedura consentirebbe loro, da una parte, di dedurre talune spese, quali gli oneri finanziari direttamente connessi all’operazione di finanziamento de qua e, dall’altra parte, di ottenere il rimborso dell’imposta trattenuta alla fonte o di esserne esentate nel caso siano in perdita.

100. L’amministrazione tributaria e il governo bulgaro sostengono che, se nella fattispecie la ricorrente avesse optato per tale regime, non sarebbe stata assoggettata all’imposta sulle società in Bulgaria, dato che (conformemente a quanto sostiene la ricorrente) nel periodo pertinente essa si trovava in una situazione di perdita.

101. La ricorrente, dal canto suo, nutre dubbi circa l’idoneità della procedura prevista all’articolo 202a dello ZKPO ad attenuare la discriminazione, la quale persisterebbe anche in caso in cui un’impresa si avvalesse di tale disposizione, alla luce del fatto che la procedura di rimborso non sarebbe immediata.

102. In base alle precisazioni fornite all’udienza dalla ricorrente, dall’amministrazione tributaria e dal governo bulgaro, la procedura di rideterminazione e di rimborso prevista all’articolo 202a dello ZKPO può sintetizzarsi nei seguenti termini.

103. La procedura di cui all’articolo 202a dello ZKPO non si applica automaticamente. Per avvalersene, una società non residente deve espressamente optare per tale procedura, precisandolo nella dichiarazione fiscale. Anche qualora una società decida di operare tale scelta, la ritenuta alla fonte verrà effettuata conformemente al regime previsto agli articoli 195 e 199 dello ZKPO, vale a dire che l’imposta sarà prelevata direttamente alla fonte sui suoi redditi lordi. Solo in un secondo tempo la società non residente potrà ottenere un rimborso dell’imposta qualora, a seguito di un riesame della sua situazione da parte dell’amministrazione tributaria, sia dimostrato il suo risultato d’esercizio negativo.

104. Per quanto concerne la durata del procedimento di rideterminazione e di rimborso ex articolo 202a dello ZKPO, all’udienza è emersa una diversità di punti di vista tra la ricorrente, la quale sostiene che tale procedimento possa essere particolarmente lungo, da un lato, e l’amministrazione tributaria e il governo bulgaro, i quali negano che il procedimento de qua abbia una durata eccessiva, dall’altro lato.

105. La descrizione del regime di rimborso dell’imposta previsto all’articolo 202a dello ZKPO merita le seguenti osservazioni.

106. In primo luogo, dalla lettura combinata dell’articolo 202a, paragrafi da 1 a 4, dello ZKPO risulta che tale regime, in effetti, consente alle società non residenti di presentare una domanda di rideterminazione dell’imposta già trattenuta alla fonte conformemente al regime applicabile alle società residenti. Detta disposizione sembra diretta ad allineare – o quanto meno ad avvicinare – il trattamento fiscale delle società non residenti a quello delle società domiciliate in Bulgaria.

107. A tale riguardo, osservo che la Corte ha già statuito che il diritto a deduzione può altresì concretizzarsi successivamente al prelievo della ritenuta alla fonte con il rimborso di parte della ritenuta (43).

108. Tuttavia, si deve constatare che, nonostante tale possibilità offerta alle società non residenti, sussiste il rischio che le società residenti possano fruire di un vantaggio fiscale. Infatti, sembra conseguirne che alle società residenti possa essere conferito un vantaggio di tesoreria, dal momento che, nel caso siano in perdita, queste non devono pagare l’imposta sugli interessi fittizi contrariamente alle società non residenti.

109. Più precisamente, per una società non residente in perdita, detto «svantaggio di tesoreria» corrisponde allo scarto temporale tra la data del prelievo alla fonte e quella del rimborso dell’imposta ritenuta in eccesso dall’amministrazione tributaria.

110. Ritengo che la portata del vantaggio di tesoreria derivante da tale differenza di trattamento, e suscettibile di costituire un elemento di discriminazione, dipenda strettamente dalle norme procedurali nazionali, nonché dalla prassi seguita dall’amministrazione tributaria nell’esecuzione della procedura ex articolo 202a dello ZKPO. Infatti, se la durata del procedimento di ricalcolo e di un eventuale rimborso eccede una durata ragionevole, come ha sostenuto la ricorrente all’udienza, il vantaggio di tesoreria per una società residente rispetto a una società non residente può essere considerevole e perciò configurare una discriminazione o un ostacolo alla libera circolazione dei capitali. Al contrario, se tale durata è ragionevole, una misura del genere può attenuare la discriminazione tra società residenti e non residenti o porvi rimedio. Osservo che la previsione di interessi moratori da parte della legislazione bulgara consentirebbe eventualmente di mitigare detta discriminazione basata sul vantaggio di tesoreria nella misura in cui detta durata non sia considerevole.

111. A tale riguardo, tengo a sottolineare che la valutazione dell’esistenza di un eventuale trattamento sfavorevole degli interessi pagati alle società non residenti deve essere fatta per ciascun esercizio fiscale, singolarmente considerato(44).

112. In secondo luogo, si deve parimenti precisare che, oltre alla questione della durata del rimborso, l’esame relativo all’applicazione dell’articolo 202a dello ZKPO deve tenere conto di tutti gli elementi che possono sfociare in una disparità di trattamento tra società residenti e non residenti. Sebbene tale articolo miri a stabilire una parità di trattamento tra questi due tipi di società, il che dovrebbe escludere, in linea di principio, disparità di trattamento (diverse dal vantaggio di tesoreria sopra constatato), occorre assicurarsi che la sua applicazione non crei altre forme di discriminazione. Tale punto è strettamente connesso alle modalità di pagamento previste dal diritto bulgaro in materia di imposta sulle società, comprese le relative cadenze e la possibilità di differire il pagamento dell’imposta o di ottenere altre agevolazioni atte ad aumentare il vantaggio di tesoreria rilevato. A titolo di esempio, nell’ipotesi in cui il diritto bulgaro consentisse a una società residente in perdita di adeguare la sua tassazione o di differirla a un esercizio attivo successivo, ciò rischierebbe di aumentare il suo vantaggio di tesoreria rispetto a una società non residente (45).

113. In terzo e ultimo luogo, ritengo che, sul piano pratico, la misura dell’idoneità della disposizione ad attenuare detta discriminazione dipenderà parimenti dalla possibilità conferita, da una parte, alla società non residente di fornire la prova delle spese deducibili rivendicate e, dall’altra parte, all’autorità tributaria dello Stato di residenza della società mutuataria, nella fattispecie la Bulgaria, di esercitare un controllo effettivo. Rilevo, in proposito, che né il giudice del rinvio né le altre parti del procedimento principale hanno invocato l’esistenza di un accordo bilaterale tra il Granducato di Lussemburgo e la Repubblica di Bulgaria per questo tipo di situazione.

114. Orbene, un processo che consenta di assicurare l’assenza di discriminazioni per quanto concerne le società non residenti, garantendo al contempo la possibilità per le autorità tributarie di verificare se le spese sostenute giustifichino un rimborso, non può che basarsi sulla cooperazione e lo scambio di informazioni tra le autorità tributarie degli Stati membri (o terzi) interessati. Osservo d’altronde che, a parte i trattati bilaterali stipulati tra gli Stati membri, una siffatta cooperazione è parimenti prevista dalla direttiva 2011/16/UE (46), la quale mira, inter alia, a evitare tanto la doppia imposizione quanto la mancata imposizione che può derivare da situazioni di frode o di abuso (47).

115. Spetta quindi, in linea di principio, al giudice del rinvio esaminare, alla luce delle precisazioni sopra esposte e tenendo conto delle norme procedurali e della prassi amministrativa nazionale in materia fiscale, se la differenza di trattamento tra società residenti e società non residenti che si sono avvalse dell’articolo 202a dello ZKPO possa conferire un vantaggio di tesoreria.

2)      Sull’oggettiva comparabilità della situazione fiscale delle società residenti e non residenti

116. Secondo una consolidata giurisprudenza, una discriminazione può sorgere solo dall’applicazione di norme diverse a situazioni analoghe o dall’applicazione della stessa norma a situazioni diverse (48).

117. Per quanto riguarda, anzitutto, l’articolo 16 dello ZKPO, è quasi certo che tale disposizione si applichi in egual maniera tanto alle società residenti quanto alle società non residenti.

118. Tuttavia, come sopra illustrato, sebbene le società residenti e non residenti siano soggette a una ritenuta alla fonte, le modalità di calcolo dell’imposta per tali tipi di società sono diverse. Infatti, la legislazione bulgara stabilisce una differenza di trattamento tra le società non residenti, soggette a imposta alla fonte sui loro redditi lordi in forza degli articoli 195 e 199 dello ZKPO (che costituiscono peraltro il regime automaticamente applicabile), e le società residenti, soggette a imposta alla fonte sui loro redditi netti.

119. Se è vero che la Corte ha dichiarato, nella sentenza Truck Center, che una differenza di trattamento consistente nell’applicazione di tecniche impositive diverse a seconda del luogo di residenza del contribuente riguarda situazioni che non sono oggettivamente analoghe (49), occorre tuttavia rilevare che, a differenza della causa succitata, in cui la ritenuta di imposta mobiliare in discussione era riscossa soltanto sugli interessi versati alle società beneficiarie non residenti, nella causa di cui al procedimento principale la normativa applicabile assoggetta tanto i contribuenti residenti quanto i contribuenti non residenti alla medesima modalità di riscossione dell’imposta sui dividendi, ossia una ritenuta alla fonte (50).

120. Pertanto, a partire dal momento in cui uno Stato membro assoggetta alla medesima imposta non solo le società residenti ma anche le società non residenti, per gli interessi che esse ricevono da una società stabilita in tale Stato, le rispettive situazioni di tali categorie di contribuenti si avvicinano e devono quindi essere assoggettate a un trattamento fiscale equivalente (51).

121. Orbene, occorre rilevare che dalla lettura combinata degli articoli 195 e 199 dello ZKPO risulta che il vantaggio di tesoreria concesso alle società residenti non si estende alle società non residenti. Tuttavia, l’opzione offerta all’articolo 202a dello ZKPO, fatte salve le constatazioni esposte ai paragrafi da 109 a 115 delle presenti conclusioni, potrebbe conseguire tale obiettivo.

3)      Sul carattere opzionale dell’articolo 202a dello ZKPO

122. Da una costante giurisprudenza emerge che un regime nazionale restrittivo delle libertà di circolazione può rimanere incompatibile con il diritto dell’Unione anche qualora la sua applicazione sia facoltativa, dal momento che l’esistenza di un’opzione che consenta eventualmente di rendere una situazione compatibile con il diritto dell’Unione non ha l’effetto di porre rimedio, da sola, all’illegittimità di un sistema che in ogni caso comprende un meccanismo impositivo incompatibile con detto diritto (52).

123. Si pone, quindi, la questione se il regime ex articolo 202a dello ZKPO debba essere considerato opzionale, nel qual caso esso non potrebbe eliminare gli effetti discriminatori del regime previsto agli articoli 195 e 199 dello ZKPO.

124. Va precisato che, in sede di udienza, la Commissione ha sostenuto che il regime ex articolo 202a dello ZKPO non dovrebbe essere considerato opzionale alla luce della giurisprudenza della Corte e segnatamente delle sentenze Gielen (53) e Autoridade Tributária e Aduaneira (Tassazione delle plusvalenze immobiliari) (54), ma piuttosto quale un meccanismo di rimborso dell’imposta.

125. Osservo che le citate due cause si distinguono da quella oggetto del procedimento principale su due piani. Anzitutto, è certo che, contrariamente al regime bulgaro in discussione, la scelta dei contribuenti in tali cause aveva un impatto diretto sull’imposta loro imputata. Orbene, ai sensi del regime bulgaro di cui trattasi, una società non residente sarà tassata alla fonte sui suoi redditi lordi a prescindere dalla scelta di tale società di optare per uno dei due regimi disponibili. Solo in un secondo tempo la sua situazione fiscale verrà riesaminata e sarà possibile un rimborso, purché essa abbia optato per il regime previsto all’articolo 202a dello ZKPO. Occorre parimenti evidenziare che, contrariamente alla presente causa, le cause succitate non afferiscono al contesto di un eventuale abuso o di una frode fiscale.

126. Ritengo, peraltro, che il carattere opzionale dell’articolo 202a dello ZKPO non possa essere rimesso in discussione.

127. Infatti, la stessa circostanza che il contribuente abbia la possibilità di scegliere tra due diversi regimi, indipendentemente dal trattamento fiscale che questi gli riservano, ne indica la natura opzionale. Ciò vale a maggior ragione ove, come sembra verificarsi nel caso di specie, il meccanismo incompatibile con il diritto dell’Unione sia quello automaticamente applicabile in mancanza di scelta da parte del contribuente.

128. Ritengo parimenti che il fatto che il meccanismo istituito all’articolo 202a dello ZKPO assomigli più a un meccanismo di rimborso dell’imposta nell’ambito di una ritenuta alla fonte, non ne possa rimettere in 11discussione il carattere opzionale per il contribuente.

d)      Sulle giustificazioni

129. L’ultima questione che si pone riguarda la possibilità di giustificare la differenza di trattamento di cui sono oggetto le società non residenti. A tal fine, occorre esaminare a) se la normativa bulgara persegua un obiettivo legittimo compatibile con il Trattato e sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale, b) se sia idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo di cui trattasi e c) se non ecceda quanto necessario per raggiungere tale obiettivo.

130. A tale riguardo, l’amministrazione tributaria e il governo bulgaro sostengono che la normativa in discussione costituisce uno strumento proporzionato a legittimi obiettivi di ordine politico, che derivano dalla salvaguardia della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri (1) e dalla prevenzione della frode o dell’evasione fiscale (2).

1)      Sulla giustificazione relativa alla salvaguardia della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri

131. La Corte ha dichiarato che la ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri può essere ammessa quale giustificazione di una restrizione delle libertà fondamentali qualora, in particolare, il regime di cui trattasi sia inteso a prevenire comportamenti tali da violare il diritto di uno Stato membro di esercitare la propria competenza fiscale in relazione alle attività svolte sul suo territorio (55).

132. Rammento che tale obiettivo è espressione della sovranità fiscale degli Stati membri, la quale include il diritto di uno Stato di tutelare il proprio gettito fiscale, in particolare per quanto riguarda gli utili realizzati nel proprio territorio (principio di territorialità) e il diritto di uno Stato di configurare il proprio ordinamento tributario in maniera autonoma (principio di autonomia) (56).

133. In mancanza di un’armonizzazione, l’imposizione delle imposte dirette rientra, allo stato attuale del diritto dell’Unione, nella competenza degli Stati membri. Spetta del pari agli Stati membri stabilire i criteri di ripartizione dei loro poteri impositivi mediante la stipula di convenzioni contro le doppie imposizioni o attraverso misure unilaterali (57).

134. Come rilevato dall’avvocato generale Kokott nella causa N Luxembourg 1 e a. (58), nel caso di fattispecie estere, non sempre vi è la garanzia che il beneficiario assoggetti debitamente ad imposta i propri redditi. In genere, lo Stato di stabilimento del beneficiario degli interessi raramente viene a conoscenza dei redditi del medesimo provenienti dall’estero, qualora fra le amministrazioni finanziarie non esistano sistemi funzionanti di scambio dei dati. In un caso del genere, la tassazione alla fonte nello Stato di stabilimento del debitore di interessi costituisce pertanto una particolare tecnica impositiva, finalizzata ad assicurare, in sostanza, una tassazione (minima) del beneficiario degli interessi.

135. Tuttavia, secondo una costante giurisprudenza, una legislazione fiscale che, al pari degli articoli 195 e 199 dello ZKPO, in sede di imposizione fiscale dei non residenti, prenda in considerazione i redditi lordi, senza deduzione delle spese professionali, mentre i residenti sono tassati sui loro redditi netti, previa deduzione di tali spese, non può essere giustificata dall’obiettivo di preservare la ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri (59). Lo stesso vale se dall’applicazione dell’articolo 202a dello ZKPO, nonostante il suo carattere opzionale, derivi una discriminazione nella forma di un vantaggio di tesoreria a favore delle società residenti (60).

136. Pertanto, conformemente alla giurisprudenza della Corte (61), ritengo che occorra analizzare la normativa fiscale bulgara applicabile alle società non residenti nel suo complesso, prendendo in considerazione anche l’articolo 16 dello ZKPO, il che, alla luce degli obiettivi perseguiti da tale disposizione, ci porta a esaminare la giustificazione fondata sulla lotta alla frode e alle pratiche abusive.

2)      Sulla giustificazione fondata sulla lotta alla frode e alle pratiche abusive

137. La Corte ha già dichiarato che la lotta alla frode o all’evasione fiscale costituisce un motivo imperativo di interesse generale che può giustificare una restrizione all’esercizio delle libertà di circolazione garantite dal Trattato (62).

138. L’accertamento di un abuso dipende da una valutazione globale delle circostanze di ciascun caso di specie che spetta alle autorità nazionali competenti e che deve poter essere oggetto di sindacato giurisdizionale (63). Se è vero che è compito del giudice del rinvio provvedere a detta valutazione globale (64), la Corte può tuttavia fornirgli indicazioni utili al fine di stabilire se le operazioni siano effettuate nel quadro di normali transazioni commerciali o unicamente allo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione (65).

139. Rammento che la Corte ha precisato che la mera circostanza che una società residente ottenga un prestito da una società collegata avente sede in un altro Stato membro non può fondare una presunzione generale di pratiche abusive, né giustificare una misura che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato FUE (66). Tuttavia, è importante ricordare che un contribuente non può beneficiare di un diritto o di un vantaggio riconosciuto dal diritto dell’Unione quando l’operazione de qua sia puramente artificiosa sul piano economico e sia diretta a sottrarre l’impresa in questione alla normativa dello Stato membro interessato(67).

140. A tale riguardo, rilevo che l’articolo 16 dello ZKPO persegue l’obiettivo della lotta all’evasione fiscale recependo il principio della «libera concorrenza» nel diritto bulgaro, il quale è riconosciuto sia dalla prassi fiscale internazionale sia dalla giurisprudenza della Corte quale strumento appropriato per evitare le manipolazioni artificiose di operazioni transfrontaliere (68).

141. Ritengo pertanto che, alla luce di un’analisi globale del contesto fiscale nella presente causa, il trattamento fiscale previsto dalla normativa in discussione – e segnatamente dall’articolo 16 dello ZKPO – sia giustificato da un rischio di non imposizione per effetto, da una parte, del mancato assoggettamento ad imposta dei redditi da interessi nello Stato membro che avrebbe dovuto esserne il destinatario (vale a dire il Granducato di Lussemburgo), date le caratteristiche del prestito controverso (e più specificamente della mancanza di un percettore effettivo degli interessi stante la natura infruttifera del prestito stipulato), e, dall’altra parte, del fatto che, fino al momento dell’accertamento tributario e quindi al periodo pertinente nella presente causa, il prestito controverso non era stato convertito in capitale dalla ricorrente (e non poteva pertanto essere assoggettato ad imposta in Bulgaria come conferimento di capitale) (69). Ritengo, quindi, che l’articolo 16 dello ZKPO, quale disposizione «anti-abuso», consenta di garantire l’effettiva riscossione dell’imposta.

142. Di conseguenza, laddove il giudice del rinvio, procedendo ad un’applicazione conforme al diritto dell’Unione dei principi vigenti nell’ordinamento giuridico nazionale, pervenisse alla conclusione che ricorre una costruzione abusiva, sarebbe ipotizzabile un’imposta alla fonte quale quella in discussione nella presente causa. Tuttavia, nel caso di specie, allora, la questione non si porrebbe più, perché tale imposizione è una conseguenza dell’abuso, e secondo una costante giurisprudenza della Corte, i singoli non possono avvalersi abusivamente delle norme del diritto dell’Unione (70).

143. Come illustrato ai paragrafi da 41 a 44 delle presenti conclusioni, un simile approccio è conforme sia alla prassi fiscale internazionale sia al diritto dell’Unione e alla giurisprudenza della Corte in materia di abusi e di frode.

144. Osservo infine che il ragionamento che precede è valido non solo se l’obiettivo legittimo di prevenire le frodi e gli abusi è considerato isolatamente, ma anche se esso è esaminato congiuntamente all’obiettivo della salvaguardia della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri.

145. Sottolineo, al riguardo, che la Corte ha dichiarato che gli obiettivi della salvaguardia della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri e della prevenzione dell’evasione fiscale sono connessi. La Corte ha, infatti, considerato che comportamenti consistenti nel creare costruzioni di puro artificio, prive di effettività economica e finalizzate a eludere l’imposta normalmente dovuta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale, sono tali da violare il diritto degli Stati membri di esercitare la propria competenza tributaria in relazione a tali attività e da compromettere un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri (71).

146. Va, tuttavia, rilevato che la Corte ha ammesso la possibilità di prendere in considerazione congiuntamente tali motivi di giustificazione in situazioni molto specifiche, ossia allorché la lotta all’evasione fiscale costituisce un aspetto peculiare dell’interesse generale connesso alla necessità di tutelare un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri. Su tale fondamento, alla luce segnatamente della necessità di salvaguardare un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri e benché le misure in discussione non avessero specificamente ad oggetto costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e create allo scopo di eludere l’imposta normalmente dovuta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale, la Corte ha dichiarato che dette misure possono comunque considerarsi giustificate (72).

147. Alla luce dei suddetti due obiettivi, relativi fondamentalmente alla prevenzione dell’evasione fiscale, ma anche, in via accessoria, alla necessità di salvaguardare un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri (congiuntamente considerati con il primo obiettivo citato), ritengo che una normativa, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, persegua obiettivi legittimi, compatibili con il Trattato FUE e rientranti tra i motivi imperativi di interesse generale e che essa sia idonea a garantire la realizzazione di detti obiettivi.

3)      Sulla verifica della proporzionalità

148. Infine, si pone la questione della conformità al principio di proporzionalità della procedura di tassazione prevista dal diritto bulgaro nel contesto dell’accertamento di un abuso o di una frode fiscale.

149. A tale riguardo, rammento che, in base alla giurisprudenza della Corte, per verificare se un’operazione persegua un obiettivo di frode e di abuso, le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, a un esame complessivo dell’operazione interessata (73).

150. In tale contesto, la Corte ha dichiarato che una normativa nazionale che si fonda su un esame di elementi oggettivi e verificabili per stabilire se una transazione consista in una costruzione di puro artificio a soli fini fiscali va considerata come non eccedente quanto necessario per prevenire pratiche abusive quando, in primo luogo, in tutti i casi in cui l’esistenza di una tale costruzione non può essere esclusa, il contribuente è messo in grado, senza eccessivi oneri amministrativi, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali per le quali tale transazione è stata conclusa (74).

151. Perché una tale normativa resti conforme al principio di proporzionalità, occorre, in secondo luogo, che, ove dalla verifica di tali elementi emerga che la transazione di cui trattasi corrisponde ad una costruzione di puro artificio priva di reali logiche commerciali, la riqualificazione degli interessi versati come utili distribuiti si limiti alla parte di tali interessi che eccede quanto sarebbe stato convenuto in assenza di relazioni speciali tra le parti o tra queste ultime e un terzo(75).

152. A tale riguardo, si deve osservare che la circostanza che una società residente abbia ottenuto un prestito da una società non residente a condizioni diverse da quelle che sarebbero state applicate da tali società in un regime di piena concorrenza costituisce per lo Stato membro di residenza della società mutuataria un elemento oggettivo e verificabile da parte di terzi per stabilire se la transazione in questione rappresenti, in tutto o in parte, una costruzione di puro artificio finalizzata, fondamentalmente, a sottrarre l’impresa dalla legislazione fiscale di tale Stato membro (76).

153. Rilevo peraltro che l’articolo 16 dello ZKPO sembra parimenti soddisfare il secondo criterio enunciato dalla giurisprudenza della Corte, in quanto la misura fiscale correttrice prevista da tale disposizione è intesa a garantire che i prestiti tra società collegate siano concessi in un regime di «libera concorrenza», rettificando il tasso applicabile e verificando che esso sia conforme a quello di mercato al fine di calcolare gli interessi non pagati.

154. Per quanto concerne, infine, la prassi fiscale dell’amministrazione bulgara, rilevo che la posizione della ricorrente secondo la quale tale imposta è dovuta «in forza di una presunzione assoluta di evasione fiscale»,  escludendo che le parti dell’operazione possano invocare l’esistenza di motivazioni economiche che ne giustificano la conclusione, non sembra essere confermata dall’articolo 16 dello ZKPO, il quale subordina qualsivoglia rettifica fiscale a una valutazione globale degli elementi di prova forniti dal contribuente e di quelli raccolti dall’amministrazione tributaria.

155. In tali circostanze e fatte salve le verifiche spettanti al giudice del rinvio sui punti suesposti, ritengo che la procedura di rettifica fiscale prevista all’articolo 16 dello ZKPO soddisfi le condizioni di proporzionalità stabilite dalla giurisprudenza della Corte e non ecceda quanto necessario per raggiungere gli obiettivi perseguiti.

156. Alla luce di quanto precede, propongo di rispondere alla quarta questione dichiarando che l’articolo 49 e l’articolo 63, paragrafi 1 e 2, TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano, in linea di principio, a una normativa nazionale che, in applicazione del «principio di libera concorrenza» e ai fini della lotta all’evasione fiscale, preveda l’assoggettamento ad imposta sotto forma di una ritenuta alla fonte degli interessi fittizi che una società figlia residente, beneficiaria di un prestito senza interessi concessole dalla società madre non residente, avrebbe dovuto corrispondere, in base alle condizioni di mercato, a quest’ultima società, purché la rettifica fiscale prevista da tale normativa sia fondata su un esame individuale dell’operazione in questione e conceda al contribuente la facoltà di produrre le prove delle considerazioni di ordine economico che possono averlo indotto a concludere l’operazione di cui trattasi.

F.      Sulla quinta questione pregiudiziale

157. La quinta questione pregiudiziale è intesa a stabilire se l’articolo 3, lettere da h) a j), l’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e b), l’articolo 7, paragrafo 1, e l’articolo 8 della direttiva 2008/7 ostino a disposizioni di diritto nazionale, quali l’articolo 16, paragrafi 1 e 2, punto 3, e l’articolo 195, paragrafo 1, dello ZKPO, sulla tassazione alla fonte di redditi costituiti da interessi fittizi, derivanti dal prestito controverso.

158. Anzitutto, per quanto concerne la direttiva 2008/7, rammento che essa ha armonizzato esaustivamente i casi in cui gli Stati membri possono applicare imposte indirette sulla raccolta di capitali (77) al fine di eliminare, per quanto possibile, i fattori che possono falsare le condizioni di concorrenza od ostacolare la libera circolazione dei capitali, nonché per garantire il buon funzionamento del mercato interno (78).

159. Sotto tale profilo, l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), di detta direttiva impone agli Stati membri di non assoggettare le società di capitali ad alcuna forma di «imposta indiretta» per i «conferimenti di capitale».

160. Per rispondere alla questione sollevata, occorre in primo luogo stabilire se un prestito senza interessi, come quello concesso nella specie dal detentore unico del capitale della società beneficiaria, costituisca un «conferimento di capitale», ai sensi dell’articolo 3, lettera h), della direttiva 2008/7.

161. La risposta a tale questione si può trarre sia dal contenuto della citata disposizione sia dalla giurisprudenza della Corte.

162. Infatti, l’articolo 3, lettera h), della direttiva 2008/7 definisce un «conferimento di capitale» come «l’aumento del patrimonio sociale di una società di capitali mediante prestazioni di servizi effettuate da un socio che non implica[no] un aumento del capitale sociale ma (…) che possono aumentare il valore delle quote sociali».

163. Dalla giurisprudenza della Corte risulta parimenti che l’aumento del patrimonio sociale comprende, in linea di principio, ogni forma di aumento del patrimonio sociale di una società di capitali (79). In tal senso, la Corte ha rilevato che la concessione di un prestito senza interessi può configurare un «conferimento di capitale» (80).

164. Ritengo, infine, che le caratteristiche del prestito controverso, e in particolare la sua convertibilità e la sua lunga durata, costituiscano indici ulteriori del fatto che tale prestito possa considerarsi come un «conferimento di capitale».

165. Per quanto riguarda la seconda parte della questione, riguardante segnatamente l’applicabilità della direttiva 2008/7 e più specificamente del suo articolo 5, paragrafo 1, lettera a), all’imposta riscossa in forza degli articoli 16 e 195 dello ZKPO, va osservato che detta disposizione impone agli Stati membri di non assoggettare le società di capitali ad alcuna forma di imposta indiretta per i conferimenti di capitale.

166. Tuttavia, la direttiva 2008/7 non impone agli Stati membri di esentare i conferimenti di capitale da qualsiasi forma di imposta diretta.

167. Come la Corte ha già dichiarato, tale direttiva non riguarda le imposte dirette che, come l’imposta sui redditi delle società, rientrano, in linea di principio, nell’ambito delle competenze proprie degli Stati membri, nel rispetto del diritto dell’Unione (81).

168. Non vi è dubbio che la ritenuta alla fonte di cui trattasi nel procedimento principale sia un’imposta diretta sul reddito e che si tratti di una manifestazione dell’imposta sui redditi delle società.

169. Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di rispondere alla quinta questione pregiudiziale dichiarando che la direttiva 2008/7 dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una ritenuta alla fonte come quella in discussione nella presente causa.

G.      Sulla sesta questione pregiudiziale

170. Con la sua sesta e ultima questione, il giudice del rinvio precisa che l’articolo 200, paragrafo 2, e l’articolo 200a, paragrafi 1 e 5, punto 4, dello ZKPO, nella versione applicabile al 1° gennaio 2011, fissano un’aliquota della ritenuta alla fonte del 10%, mentre l’aliquota massima applicabile concessa durante il periodo transitorio era del 5%. Il giudice del rinvio chiede se una siffatta differenza sia in contrasto con i principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento.

171. Dall’analisi della seconda questione, illustrata ai paragrafi da 54 a 63 delle presenti conclusioni, risulta che il prestito senza interessi oggetto del procedimento principale rientra, inter alia, nell’ambito dell’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/49 e che la medesima non è applicabile ai fatti del caso di specie.

172. Alla luce di quanto precede, ritengo che, nell’ambito della controversia pendente, la sesta questione sia priva di oggetto.

V.      Conclusione

173. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa, Bulgaria) nei seguenti termini:

1)      L’articolo 5, paragrafo 4, e l’articolo 12, lettera b), TUE nonché l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che essi non si applicano all’interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello zakon za korporativnoto podohodno oblagane (legge relativa alle imposte sui redditi delle società), dal momento che quest’ultima disposizione non costituisce una disposizione di attuazione del diritto dell’Unione.

2)      L’articolo 4 della direttiva 2003/49/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi dev’essere interpretato nel senso che esso non richiede che i pagamenti di interessi, quali quelli di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva, siano qualificati come «distribuzioni di utili» a cui si applica l’articolo 5 della direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi.

3)      La direttiva 2011/96 dev’essere interpretata nel senso che essa non è applicabile a una ritenuta alla fonte su un reddito fittizio relativo a interessi su un prestito senza interessi accordato dalla società madre alla società figlia.

4)      L’articolo 49 e l’articolo 63, paragrafi 1 e 2, TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano, in linea di principio, a una normativa nazionale che, in applicazione del «principio di libera concorrenza» e ai fini della lotta all’evasione fiscale, preveda l’assoggettamento ad imposta sotto forma di una ritenuta alla fonte degli interessi fittizi che una società figlia residente, beneficiaria di un prestito senza interessi concessole dalla società madre non residente, avrebbe dovuto corrispondere, in base alle condizioni di mercato, a quest’ultima società, purché la rettifica fiscale prevista da tale normativa sia fondata su un esame individuale dell’operazione in questione e conceda al contribuente la facoltà di produrre le prove delle considerazioni di ordine economico che possono averlo indotto a concludere l’operazione di cui trattasi.

5)      La direttiva 2008/7/CE del Consiglio, del 12 febbraio 2008, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una ritenuta alla fonte come quella in discussione nella presente causa.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2005, L 157, pag. 29.


3      GU 2005, L 157, pag. 203; in prosieguo: l’«Atto di adesione».


4      Direttiva del Consiglio, del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (GU 2003, L 157, pag. 49).


5      Direttiva del Consiglio, del 29 aprile 2004, che modifica la direttiva 2003/49 (GU 2004, L 157, pag. 106).


6      Direttiva del Consiglio, del 12 febbraio 2008, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali (GU 2008, L 46, pag. 11).


7      Direttiva del Consiglio, del 30 novembre 2011, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU 2011, L 345, pag. 8), come modificata dalla direttiva (UE) 2015/121 del Consiglio, del 27 gennaio 2015 (GU 2015, L 21, pag. 1) (in prosieguo: la «direttiva 2011/96»).


8      DV n. 105, del 22 dicembre 2006.


9      Il contenuto di tale disposizione non è fornito dal giudice del rinvio, bensì dall’amministrazione tributaria (in parte) e dal governo bulgaro (integralmente) nelle loro osservazioni scritte.


10      Tale conversione ha avuto luogo il 31 ottobre 2018.


11      V. sentenze del 14 febbraio 1995, Schumacker (C‑279/93, EU:C:1995:31, punto 21), e del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer (C‑446/03, EU:C:2005:763, punto 29).


12      V. sentenza del 14 febbraio 1995, Schumacker (C‑279/93, EU:C:1995:31, punto 24).


13      V. sentenza del 20 dicembre 2017, Deister Holding e Juhler Holding (C‑504/16 e C‑613/16, EU:C:2017:1009, punto 60).


14      V. sentenza del 26 febbraio 2019, N Luxembourg 1 e a. (C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16, EU:C:2019:134, punto 109, nonché giurisprudenza ivi citata).


15      Modello di convenzione fiscale sui redditi e sul patrimonio 2017 intesa a evitare la doppia imposizione in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, senza creare opportunità di non imposizione o di ridotta imposizione attraverso l’evasione o l’elusione fiscale, nella versione pubblicata dall’OCSE il 21 novembre 2017.


16      V. sentenze del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 86), e del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 81).


17      V. sentenza del 25 luglio 2018, TTL (C‑553/16, EU:C:2018:604, punti da 30 a 35).


18      V. sentenza del 19 settembre 2013, Betriu Montull (C‑5/12, EU:C:2013:571, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).


19      V. sentenze del 21 luglio 2011, Scheuten Solar Technology (C‑397/09, EU:C:2011:499, punti 24, 25 e 28), e del 26 febbraio 2019, N Luxembourg 1 e a. (C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16, EU:C:2019:134, punti 85, 86 e 108).


20      V. sentenza del 21 luglio 2011, Scheuten Solar Technology (C‑397/09, EU:C:2011:499, punto 27).


21      Osservo che la liquidazione e la tassazione degli interessi fittizi sono intese ad assoggettare a imposta il vantaggio derivante da un prestito senza interessi a favore del mutuatario.


22      V. considerando da 2 a 4 della direttiva 2003/49.


23      V. articolo 5 della direttiva 2003/49.


24      V. sentenza del 21 luglio 2011, Scheuten Solar Technology (C‑397/09, EU:C:2011:499, punti 24, 25 e 28).


25      V. sentenza del 26 febbraio 2019, N Luxembourg 1 e a. (C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16, EU:C:2019:134, punto 109, nonché giurisprudenza ivi citata).


26      V. sentenza del 2 aprile 2020, GVC Services (Bulgaria) (C‑458/18, EU:C:2020:266, punto 31).


27      V. sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 89).


28      V. sentenza del 26 febbraio 2019, N Luxembourg 1 e a. (C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16, EU:C:2019:134, punto 155).


29      V. sentenza del 26 febbraio 2019, N Luxembourg 1 e a. (C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16, EU:C:2019:134, punto 156).


30      Tale affermazione non incide sul monopolio interpretativo del giudice nazionale per quanto riguarda la normativa interna.


31      V. sentenza del 2 giugno 2016, Pensioenfonds Metaal en Techniek (C‑252/14, EU:C:2016:402, punti 29 e segg.).


32      V. paragrafi da 53 a 73 delle presenti conclusioni.


33      V. sentenza del 3 ottobre 2013, Itelcar (C‑282/12, EU:C:2013:629, punto 14 e giurisprudenza ivi citata).


34      V. sentenza del 17 settembre 2009, Glaxo Wellcome (C‑182/08, EU:C:2009:559, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).


35      V. sentenza del 21 gennaio 2010, SGI (C‑311/08, EU:C:2010:26, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).


36      V. sentenza del 21 gennaio 2010, SGI (C‑311/08, EU:C:2010:26, punti da 25 a 37).


37      V. sentenza del 30 aprile 2020, Société Générale (C‑565/18, EU:C:2020:318, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).


38      V. ordinanza del 10 maggio 2007, Lasertec (C‑492/04, EU:C:2007:273, punto 25).


39      V. sentenza del 3 marzo 2020, Vodafone Magyarország (C‑75/18, EU:C:2020:139, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).


40      V. sentenza del 20 gennaio 2021, Lexel (C‑484/19, EU:C:2021:34, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).


41      V. sentenze del 12 giugno 2003, Gerritse (C‑234/01, EU:C:2003:340, punti 29 e 55), del 3 ottobre 2006, FKP Scorpio Konzertproduktionen (C‑290/04, EU:C:2006:630, punto 42), e del 15 febbraio 2007, Centro Equestre da Lezíria Grande (C‑345/04, EU:C:2007:96, punto 23).


42      V. sentenze del 17 settembre 2015, Miljoen e a. (C‑10/14, C‑14/14 e C‑17/14, EU:C:2015:608, punto 57), e del 26 febbraio 2019, N Luxembourg 1 e a. (C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16, EU:C:2019:134, punto 17).


43      V. sentenza del 13 luglio 2016, Brisal e KBC Finance Ireland (C‑18/15, EU:C:2016:549, punto 42).


44      V. sentenze del 2 giugno 2016, Pensioenfonds Metaal en Techniek (C‑252/14, EU:C:2016:402, punto 41), e del 22 novembre 2018, Sofina e a. (C‑575/17, EU:C:2018:943, punti 30 e 52).


45      V. sentenza del 22 novembre 2018, Sofina e a. (C‑575/17, EU:C:2018:943, punto 34).


46      Direttiva del Consiglio, del 15 febbraio 2011, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la direttiva 77/799/CEE (GU 2011, L 64, pag. 1).


47      Infatti, come dimostra la prassi fiscale internazionale, un meccanismo del genere è idoneo a impedire la doppia deduzione delle spese deducibili perché, qualora sia applicato dal primo Stato, questo può verificare le spese professionali che sono state incluse nel calcolo dell’imposta pagata nel secondo. È parimenti pacifico che, nel contesto di un meccanismo del genere, le autorità tributarie di uno Stato possono informare lo Stato di residenza del contribuente parzialmente assoggettato ad imposta della richiesta di rimborso da questi presentata.


48      V. sentenza del 14 febbraio 1995, Schumacker (C‑279/93, EU:C:1995:31, punto 30).


49      V. sentenza del 22 dicembre 2008, Truck Center (C‑282/07, EU:C:2008:762, punto 41).


50      V. sentenza del 17 settembre 2015, Miljoen e a. (C‑10/14, C‑14/14 e C‑17/14, EU:C:2015:608, punto 72).


51      V. sentenza dell’8 novembre 2007, Amurta (C‑379/05, EU:C:2007:655, punti 38 e 39), e ordinanza del 12 luglio 2012, Tate & Lyle Investments (C‑384/11, non pubblicata, EU:C:2012:463, punti 31 e 32, nonché giurisprudenza ivi citata).


52      V. sentenza dell’8 giugno 2016, Hünnebeck (C‑479/14, EU:C:2016:412, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).


53      V. sentenza del 18 marzo 2010 (C‑440/08, EU:C:2010:148, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).


54      V. sentenza del 18 marzo 2021 (C‑388/19, EU:C:2021:212, punto 45).


55      V. sentenza del 5 luglio 2012, SIAT (C‑318/10, EU:C:2012:415, punto 45).


56      V. conclusioni dell’avvocata generale Kokott nella causa Allianzgi-Fonds Aevn (C‑545/19, EU:C:2021:372).


57      V. sentenza del 5 luglio 2005, D. (C‑376/03, EU:C:2005:424, punti 50 e 51, nonché giurisprudenza ivi citata).


58      V. conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa N Luxembourg 1 (C‑115/16, EU:C:2018:143).


59      V. giurisprudenza citata al paragrafo 96 delle presenti conclusioni.


60      V. sentenza del 22 novembre 2018, Sofina e a. (C‑575/17, EU:C:2018:943, punto 34).


61      V. sentenza del 2 giugno 2016, Pensioenfonds Metaal en Techniek (C‑252/14, EU:C:2016:402, punti 29 e segg.).


62      V. sentenza dell’8 marzo 2017, Euro Park Service (C‑14/16, EU:C:2017:177, punto 65).


63      V. sentenza del 17 luglio 1997, Leur-Bloem (C‑28/95, EU:C:1997:369, punto 41).


64      V. sentenza del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).


65      V. sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).


66      V. sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 73 e giurisprudenza ivi citata).


67      V. sentenza del 26 febbraio 2019, N Luxembourg 1 e a. (C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16, EU:C:2019:134, punto 109, nonché giurisprudenza ivi citata).


68      V. paragrafo 46 delle presenti conclusioni.


69      Rammento in proposito che il prestito è stato convertito dopo l’accertamento in rettifica da parte dell’amministrazione tributaria.


70      V. sentenze del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 68), e del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27).


71      V. sentenza del 18 luglio 2007, Oy AA (C‑231/05, EU:C:2007:439, punto 62).


72      V. sentenze del 18 luglio 2007, Oy AA (C‑231/05, EU:C:2007:439, punti 58, 59 e 63), e del 21 gennaio 2010, SGI (C‑311/08, EU:C:2010:26, punti 66 e 67).


73      V. sentenza del 20 dicembre 2017, Deister Holding e Juhler Holding (C‑504/16 e C‑613/16, EU:C:2017:1009, punto 62, nonché giurisprudenza ivi citata).


74      V. sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 82), e ordinanza del 23 aprile 2008, Test Claimants in the CFC and Dividend Group Litigation (C‑201/05, EU:C:2008:239, punto 84).


75      V. sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 83).


76      V. sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 81).


77      V. sentenza del 19 ottobre 2017, Air Berlin (C‑573/16, EU:C:2017:772, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).


78      V. sentenza del 22 aprile 2015, Drukarnia Multipress (C‑357/13, EU:C:2015:253, punto 31).


79      V. sentenza del 12 gennaio 2006, Senior Engineering Investments (C‑494/03, EU:C:2006:17, punto 34).


80      V. sentenza del 17 settembre 2002, Norddeutsche Gesellschaft zur Beratung und Durchführung von Entsorgungsaufgaben bei Kernkraftwerken (C‑392/00, EU:C:2002:500, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).


81      V. sentenza del 18 gennaio 2001, P. P. Handelsgesellschaft (C‑113/99, EU:C:2001:32, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).