Language of document : ECLI:EU:T:2003:282

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione ampliata)

23 ottobre 2003 (1)

«Dumping - Determinazione del valore normale - Condizioni di un'economia di mercato - Paese analogo - Art. 2, n. 7, del regolamento (CE) n. 384/96»

Nella causa T-255/01,

Changzhou Hailong Electronics & Light Fixtures Co. Ltd, con sede in Changzhou (Cina),

Zhejiang Yankon Group Co. Ltd, già Zheijang Sunlight Group Co. Ltd, con sede in Shangyu (Cina), rappresentate dal sig. P. Bentley, QC, e dal sig. F. Ragolle, avocat,

ricorrenti,

contro

Consiglio dell'Unione europea, rappresentato dal sig. S. Marquardt, in qualità di agente, assistito dal sig. G.M. Berrisch, avocat,

convenuto,

sostenuto da

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. V. Kreuschitz, T. Scharf e dalla sig.ra S. Meany, in qualità di agenti , con domicilio eletto in Lussemburgo

interveniente,

avente ad oggetto una domanda di annullamento del regolamento (CE) del Consiglio 16 luglio 2001, n. 1470, che istituisce dazi antidumping definitivi e riscuote in via definitiva i dazi provvisori istituiti sulle importazioni di lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali (CFL-i) originarie della Repubblica popolare cinese (GU L 195, pag. 8),

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione ampliata),

composto dal sig. R. García-Valdecasas, presidente, dalla sig.ra P. Lindh, dai sigg. J.D. Cooke, J. Pirrung e H. Legal, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 27 marzo 2003,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Contesto normativo

1.
    L'art. 1, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU L 56, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di base»), dispone che un dazio antidumping può essere imposto su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui immissione in libera pratica nella Comunità causi un pregiudizio. In conformità all'art. 1, n. 2, del regolamento di base un prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all'esportazione nella Comunità è inferiore ad un prezzo comparabile del prodotto simile, applicato nel paese esportatore nell'ambito di normali operazioni commerciali.

2.
    Il metodo principale di determinazione del valore normale di un prodotto è esposto all'art. 2, n. 1, del regolamento di base. Ai sensi di tale disposizione, «il valore normale è di norma basato sui prezzi pagati o pagabili, nel corso di normali operazioni commerciali, da acquirenti indipendenti nel paese esportatore».

3.
    Qualora non sia possibile determinare il valore normale dei prodotti secondo il metodo principale, tale valore è calcolato, in conformità all'art. 2, n. 3, del regolamento di base, con riferimento al costo di produzione nel paese d'origine, maggiorato di un congruo importo per le spese generali, amministrative e di vendita (in prosieguo: le «spese GAV») e per i profitti oppure in base ai prezzi all'esportazione, nel corso di normali operazioni commerciali, ad un paese appropriato, purché tali prezzi siano rappresentativi.

4.
    L'art. 2, n. 7, del regolamento di base prevedeva una regola particolare per le importazioni in provenienza da paesi non retti da un'economia di mercato. Nella versione anteriore alle modifiche indicate in seguito al punto 5, tale disposizione recitava quanto segue:

«Nel caso di importazioni in provenienza da paesi non retti da un'economia di mercato, in particolare da quelli cui si applica il regolamento (CE) n. 519/94 del Consiglio [del 7 marzo 1994, relativo al regime comune applicabile alle importazioni provenienti da alcuni paesi terzi (...) (GU L 67, pag. 89)], il valore normale è determinato in base al prezzo o al valore costruito in un paese terzo ad economia di mercato, oppure al prezzo per l'esportazione da tale paese terzo ad altri paesi, compresa la Comunità, oppure, qualora ciò non sia possibile, su qualsiasi altra base equa, compreso il prezzo realmente pagato o pagabile nella Comunità per un prodotto simile, se necessario debitamente adeguato per includere un equo margine di profitto.

Un paese terzo ad economia di mercato viene opportunamente selezionato, tenendo debitamente conto di tutte le informazioni attendibili di cui si disponga al momento della scelta. Si deve inoltre tener conto dei termini e, se lo si ritiene opportuno, viene utilizzato un paese terzo ad economia di mercato sottoposto alla stessa inchiesta.

(...)».

5.
    L'art. 2, n. 7, del regolamento di base è stato modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 27 aprile 1998, n. 905 (GU L 128, pag. 18), quindi dal regolamento (CE) del Consiglio 9 ottobre 2000, n. 2238 (GU L 257, pag. 2). Tale disposizione nel testo modificato così dispone:

«a)    Nel caso di importazioni in provenienza da paesi non retti da un'economia di mercato, il valore normale è determinato in base al prezzo o al valore costruito in un paese terzo ad economia di mercato oppure al prezzo per l'esportazione da tale paese terzo ad altri paesi, compresa la Comunità, oppure, qualora ciò non sia possibile, su qualsiasi altra base equa, compreso il prezzo realmente pagato o pagabile nella Comunità per un prodotto simile, se necessario debitamente adeguato per includere un equo margine di profitto.

Un paese terzo ad economia di mercato viene opportunamente selezionato, tenendo debitamente conto di tutte le informazioni attendibili di cui si disponga al momento della scelta. Si deve inoltre tener conto dei termini e, se lo si ritiene opportuno, viene utilizzato un paese terzo ad economia di mercato sottoposto alla stessa inchiesta.

Le parti interessate sono informate subito dopo l'apertura dell'inchiesta in merito al paese terzo ad economia di mercato che si prevede di utilizzare e hanno dieci giorni di tempo per presentare osservazioni.

b)    Nel caso di inchieste antidumping relative ad importazioni in provenienza dalla Federazione russa, dalla Repubblica popolare cinese, dall'Ucraina, dal Vietnam e dal Kazakistan, nonché da qualsiasi paese non retto da un'economia di mercato che sia membro dell'OMC [Organizzazione mondiale per il Commercio] alla data di apertura dell'inchiesta, il valore normale è determinato a norma dei paragrafi da 1 a 6 qualora, in base a richieste debitamente motivate di uno o più produttori oggetto dell'inchiesta e in funzione dei criteri e delle procedure di cui alla lettera c), sia dimostrata la prevalenza di condizioni dell'economia di mercato per il produttore o per i produttori in questione relativamente alla produzione e alla vendita del prodotto simile. Qualora ciò non sia possibile, si applica il regime di cui alla lettera a).

c)    La domanda di cui alla lettera b) dev'essere fatta per iscritto e deve contenere prove sufficienti in ordine al fatto che il produttore opera in condizioni di economia di mercato. Ciò si verifica quando:

-    le decisioni delle imprese in materia di prezzi, costi e fattori produttivi, inclusi ad esempio le materie prime, le spese per gli impianti tecnologici e la manodopera, la produzione, le vendite e gli investimenti, vengano prese in risposta a tendenze del mercato che rispecchiano condizioni di domanda e di offerta, senza significative interferenze statali, ed i costi dei principali mezzi di produzione riflettano nel complesso i valori di mercato;

-    le imprese dispongano di una serie ben definita di documenti contabili di base soggetti a revisione contabile indipendente e che siano d'applicazione in ogni caso in linea con le norme internazionali in materia di contabilità;

-    i costi di produzione e la situazione finanziaria delle imprese non siano soggette a distorsioni di rilievo derivanti dal precedente sistema ad economia non di mercato relativamente alle svalutazioni anche degli attivi, alle passività di altro genere, al commercio di scambio e ai pagamenti effettuati mediante compensazione dei debiti;

-    le imprese in questione siano soggette a leggi in materia fallimentare e di proprietà che garantiscano certezza del diritto e stabilità per la loro attività, e

-    le conversioni del tasso di cambio siano effettuate ai tassi di mercato.

-    (...)».

Fatti

6.
    Le ricorrenti sono imprese stabilite nella Repubblica popolare cinese (in prosieguo: la «RPC») che producono ed esportano verso la Comunità europea lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali.

7.
    In seguito ad una denuncia presentata dalla European Lighting Companies Federation (in prosieguo: la «denunziante») il 4 aprile 2000, la Commissione ha, conformemente all'art. 5 del regolamento di base, avviato un procedimento antidumping riguardante le importazioni di lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali originarie della RPC. L'avviso di apertura di tale procedimento è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 17 maggio 2000 (GU C 138, pag. 8). Tale avviso indicava in particolare che la Commissione intendeva utilizzare il Messico come «paese terzo appropriato ad economia di mercato ai fini della determinazione del valore normale per la [RPC]».

8.
    Le ricorrenti hanno esposto il loro punto di vista alla Commissione successivamente a tale pubblicazione, hanno cooperato nel corso dell'inchiesta, hanno presentato informazioni e sono state oggetto di una visita di verifica da parte di agenti della Commissione nei loro locali nella RPC.

9.
    Il 7 febbraio 2001, la Commissione ha adottato il regolamento (CE) n. 255/2001 che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di lampade fluorescenti compatte elettroniche integrali originarie della [RPC] (GU L 38, pag. 8; in prosieguo: il «regolamento provvisorio»). Tale regolamento imponeva un dazio antidumping provvisorio del 59,6% sui prodotti della prima ricorrente e del 35,4% su quelli della seconda ricorrente.

10.
    Dal ventiseiesimo al trentaduesimo ‘considerando’ del regolamento provvisorio risulta che, per la determinazione del valore normale per i produttori-esportatori della RPC, tra cui sono comprese le ricorrenti, la Commissione ha confermato la scelta del Messico quale paese terzo ad economia di mercato adeguato. Essa ha in tal modo respinto le obiezioni espresse contro tale scelta da taluni di questi produttori-esportatori, tra cui le ricorrenti. La determinazione del valore normale è stata basata sui prezzi dei prodotti fabbricati dalla Philips Mexicana SA e venduti sul mercato messicano.

11.
    Nell'ambito del procedimento dinanzi alla Commissione, dieci produttori-esportatori, tra cui le ricorrenti, hanno chiesto di poter beneficiare del trattamento di economia di mercato secondo l'art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base. Il beneficio di tale trattamento è stato rifiutato alle ricorrenti con la motivazione che esse non soddisfacevano i criteri indicati all'art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base.

12.
    Il 16 luglio 2001 il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 1470/2001 che istituisce dazi antidumping definitivi e riscuote in via definitiva i dazi provvisori istituiti sulle importazioni di lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali (CFL-i) originarie della [RPC] (GU L 195, pag. 8; in prosieguo: il «regolamento impugnato»). Tale regolamento ha imposto un dazio antidumping definitivo del 59,5% per quanto riguarda i prodotti della prima ricorrente e del 35,3% per quanto riguarda i prodotti della seconda ricorrente.

Procedimento e conclusioni delle parti

13.
    Con atto introduttivo, depositato nella cancelleria del Tribunale l'11 ottobre 2001, le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

14.
    Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 14 febbraio 2002, la Commissione ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

15.
    Con ordinanza 16 maggio 2002 del presidente della Quinta Sezione ampliata del Tribunale, la Commissione è stata ammessa ad intervenire. La Commissione ha tuttavia rinunciato a presentare un atto scritto di intervento.

16.
    Le parti hanno svolto le loro osservazioni orali e risposto ai quesiti orali del Tribunale all'udienza del 27 marzo 2003.

17.
    Le ricorrenti concludono che il Tribunale voglia:

-    annullare il regolamento impugnato per quanto le riguarda;

-    condannare il Consiglio alle spese.

18.
    Il Consiglio conclude che il Tribunale voglia:

-    respingere il ricorso;

-    condannare le ricorrenti alle spese.

In diritto

19.
    Le ricorrenti sollevano due motivi a sostegno del loro ricorso. Il primo riguarda una violazione dell'art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base e del principio di non discriminazione. Il secondo, proposto in via subordinata, riguarda una violazione dell'art. 2, n. 7, lett. a), del regolamento di base e del principio di non discriminazione.

Sul primo motivo riguardante una violazione dell'art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base e del principio di non discriminazione

Argomenti delle parti

20.
    Le ricorrenti sostengono che il Consiglio, nel determinare il valore normale dei loro prodotti secondo le disposizioni dell'art. 2, n. 7, lett. a), del regolamento di base e non secondo quelle dell'art. 2, nn. 1-6, di tale regolamento, ha violato l'art. 2, n. 7, lett. b), dello stesso regolamento e il principio di non discriminazione.

21.
    Esse affermano che in un'inchiesta antidumping riguardante l'importazione di prodotti provenienti dalla RPC, la regola generale è di determinare il valore normale sulla base del valore normale in un paese terzo a economia di mercato adeguato. La Commissione praticherebbe la politica costante di determinare lo stesso valore normale per tutti i produttori-esportatori della RPC.

22.
    L'art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base, nel testo modificato, prevederebbe una deroga al metodo normale di determinazione del valore normale nel caso di importazioni in provenienza da paesi terzi senza economia di mercato, deroga applicabile nel caso di inchieste antidumping riguardanti le importazioni in provenienza, segnatamente, della RPC e di qualsiasi paese non retto da un'economia di mercato e membro dell'OMC alla data di apertura dell'inchiesta. In tal caso, il valore normale sarebbe determinato «a norma dei paragrafi da 1 a 6 qualora, in base a richieste debitamente motivate di uno o più produttori oggetto dell'inchiesta e in funzione dei criteri e delle procedure di cui alla lettera c), sia dimostrata la prevalenza di condizioni dell'economia di mercato per il produttore o per i produttori in questione relativamente alla produzione e alla vendita del prodotto simile e che, qualora ciò non sia possibile, si applica il regime di cui alla lettera a)».

23.
    Secondo le ricorrenti, il legislatore comunitario riconosce in tal modo che i produttori-esportatori nella RPC operano talvolta in condizioni di economia di mercato e che, di conseguenza, il metodo normale e maggiormente appropriato previsto all'art. 2, nn. 1-6, del regolamento di base, potrebbe essere applicato per determinare se tali produttori-esportatori pratichino il dumping.

24.
    Esse affermano che il rifiuto della Commissione e del Consiglio di considerare come elemento più prossimo di confronto un produttore della RPC riconosciuto come operante in condizioni di economia di mercato in quanto il riferimento, nell'art. 2, n. 7, lett. a), del regolamento di base, «ad un paese terzo ad economia di mercato» esclude necessariamente la RPC, risulta da una lettura molto semplicista di tale regolamento ed è incompatibile con lo scopo evidente perseguito dal legislatore comunitario, che è quello di ottenere un valore normale ragionevole per potere determinare l'esistenza eventuale di una pratica di dumping. Nel caso di specie, la situazione della Philips Mexicana SA sarebbe chiaramente più lontana da quella delle ricorrenti rispetto alla situazione di un'altra società della RPC senza legami con i membri della denunziante.

25.
    Esse rilevano che, nella fattispecie, due produttori-esportatori della RPC, e cioè la Lisheng Electronic & Lighting (Xiamen) Co. Ltd (in prosieguo: la «Lisheng») e la Philips & Yaming Lighting Co. Ltd (in prosieguo: la «Philips-Yaming») hanno beneficiato del trattamento di economia di mercato, e cioè che la Commissione ha riconosciuto che soddisfacevano i criteri enunciati all'art. 2, n. 7, lett. c). Di conseguenza, la Commissione avrebbe ritenuto che le condizioni di economia di mercato erano prevalenti per uno o più produttori della RPC. Le ricorrenti ne traggono la conclusione che l'art. 2, n. 7, lett. b), si applicava e che il valore normale avrebbe quindi dovuto essere determinato per tutti i produttori-esportatori della RPC in base all'art. 2, nn. 1-6. Secondo le ricorrenti solo «se non è questo il caso», in altre parole solo se le condizioni di un'economia di mercato non sono prevalenti per alcun produttore, si applica il metodo normale dell'art. 2, n. 7, lett. a) e si deve determinare un valore normale unico per tutti i produttori-esportatori in base al valore normale in un paese analogo adeguato.

26.
    Le ricorrenti affermano che era quindi assolutamente possibile applicare l'art. 2, nn. 1-6, del regolamento di base al caso di specie e che la Commissione del resto in parte lo ha fatto, come dimostra il venticinquesimo ‘considerando’ del regolamento provvisorio. Da tale ‘considerando’ risulterebbe che, per uno dei produttori-esportatori beneficianti del trattamento di economia di mercato, le spese GAV e il margine di profitto sono stati determinati in base ai dati relativi all'altro produttore-esportatore che beneficiava dello stesso trattamento, in ragione del fatto che il primo produttore-esportatore non aveva realizzato vendite interne significative del prodotto in questione.

27.
    Esse ammettono che il metodo principale per la determinazione del valore normale indicato all'art. 2, n. 1, del regolamento di base, non si applicava al loro caso, dato che la Commissione aveva constatato che esse non operavano in condizioni di economia di mercato. Tuttavia, esse ritengono che la Commissione avrebbe potuto applicare il metodo previsto all'art. 2, n. 3. Il «valore normale stabilito» comprenderebbe due elementi, vale a dire, da un lato, il costo di produzione nel paese d'origine e, dall'altro, un margine ragionevole per le spese GAV e i profitti. Le ricorrenti assumono che la Commissione avrebbe potuto stabilire il primo di tali elementi sia basandosi sui costi reali di produzione delle ricorrenti sia, se riteneva che tali costi non fossero affidabili, cercando una misura obiettiva dei costi di produzione nel paese d'origine, prendendo, ad esempio, come punto di riferimento i costi di produzione di altri produttori i cui costi sono affidabili (ad esempio, i costi di produzione dell'uno dei due produttori-esportatori che beneficiano di un trattamento di economia di mercato). Per quanto riguarda il secondo elemento, e cioè le spese GAV e il margine di profitto, le ricorrenti sono dell'opinione che la Commissione poteva, conformemente all'art. 2, n. 6, utilizzare la media ponderata degli importi effettivi determinati per altri esportatori-produttori beneficianti del trattamento di economia di mercato. Le ricorrenti sostengono, di conseguenza, che l'art. 2, n. 7, lett. b), esigeva che la Commissione determinasse il valore normale dei loro prodotti in base all'art. 2, nn. 1-6, il che risultava assolutamente possibile.

28.
    Inoltre, tale rifiuto di determinare il valore normale sulla base dei nn. 1-6 dell'art. 2 per i produttori-esportatori che ottengono il trattamento individuale condurrebbe ad una discriminazione sproporzionata di questi ultimi rispetto ai produttori-esportatori che ottengono lo status di società di economia di mercato.

29.
    Le ricorrenti affermano che, contrariamente a quanto sostiene il Consiglio, l'art. 2, n. 7, lett. b), non stabilisce alcun legame tra i produttori rispetto ai quali prevalgono le condizioni di un'economia di mercato e quelli rispetto ai quali potrebbe essere utilizzato il metodo previsto all'art. 2, nn. 1-6. L'art. 2, n. 7, lett. b), enuncerebbe semplicemente una condizione che, se soddisfatta, permette l'applicazione dell'art. 2, nn. 1-6, in modo generale e ad eccezione dell'art. 2, n. 7, lett. a). Inoltre, anche se le condizioni fissate dall'art. 2, n. 7, lett. c), devono essere esaminate con riferimento a produttori individuali, il testo non contiene alcun elemento che permetta di sostenere che l'applicazione dei nn. 1-6 deve essere limitata a tali produttori individuali.

30.
    Le ricorrenti ammettono che la Commissione potrebbe decidere che i prezzi interni che esse praticavano non erano stabiliti «nel corso di normali operazioni commerciali» e che i loro costi non erano affidabili perché esse non operavano in condizioni di economia di mercato. Tuttavia, questo fatto non si opporrebbe a che il valore normale sia determinato sulla base dell'art. 2, nn. 1-6, in quanto esisterebbero altri produttori nel paese che operano nelle condizioni di economia di mercato. Poiché è stabilito che tali produttori-esportatori esistono, sarebbe contemporaneamente possibile ed obbligatorio determinare il valore normale per ogni produttore/esportatore in applicazione dell'art. 2, nn. 1-6 del regolamento di base.

31.
    Il Consiglio ricorda, anzitutto, l'obiettivo e l'evoluzione dell'art. 2, n. 7, del regolamento di base. In particolare, sottolinea che l'art. 2, n. 7, del regolamento di base, nella versione precedente al regolamento n. 905/98, definiva i paesi non retti da un'economia di mercato come quelli a cui si applicava il regolamento (CE) del Consiglio 7 marzo 1994, n. 519, relativo al regime comune applicabile alle importazioni da alcuni paesi terzi e che abroga i regolamenti (CEE) n. 1765/82, (CEE) n. 1766/82 e (CEE) n. 3420/83 (GU L 67, pag. 89), inclusi, segnatamente, la RPC e la Russia. Il Consiglio rileva che, conformemente alla versione precedente dell'art. 2, n. 7, il valore normale doveva essere calcolato ricorrendo al metodo detto del «paese analogo», il quale comportava che per tutti i produttori dei paesi non retti da un'economia di mercato, il valore normale era determinato sulla base del prezzo di vendita o del valore normale stabilito in un paese terzo ad economia di mercato. Pertanto, secondo il Consiglio, la situazione individuale del produttore non era presa in considerazione.

32.
    Il Consiglio puntualizza che, in seguito all'evoluzione della situazione economica in RPC e in Russia, le istituzioni comunitarie hanno giudicato che non era più possibile supporre che i prezzi e i costi di tutti i produttori non riflettessero, ipso facto, le condizioni di un'economia di mercato. Quindi, sarebbero stati apportati emendamenti all'art. 2, n. 7, lett. b), introducendo una valutazione individualizzata specifica, applicabile ai produttori-esportatori della RPC e della Russia. Così, per tali produttori il valore normale potrebbe essere calcolato secondo il metodo previsto all'art. 2, nn. 1-6, del regolamento di base, vale a dire lo stesso metodo che si applica alle importazioni in provenienza da paesi a economia di mercato, ma a condizione che uno o più produttori presentino una richiesta debitamente documentata che dimostri, in funzione dei criteri e delle procedure enunciate all'art. 2, n. 7, lett. c), «la prevalenza di condizioni dell'economia di mercato per il produttore o per i produttori in questione».

33.
    Il Consiglio fa valere che la struttura complessiva del nuovo testo dell'art. 2, n. 7, non lascia alcun dubbio circa il fatto che la RPC e la Russia non debbano ancora essere considerate come paesi ad economia di mercato. Ciò sarebbe confermato dal preambolo del regolamento n. 905/98, che fa riferimento «all'emergere di imprese per le quali prevalgono condizioni di economia di mercato».

34.
    Il Consiglio sottolinea che la richiesta delle ricorrenti di vedersi accordare il trattamento di economia di mercato è stata esaminata dalla Commissione e che quest'ultima ha concluso che esse non soddisfacevano le condizioni previste dall'art. 2, n. 7, lett. c). Il Consiglio rileva che le ricorrenti non rimproverano alla Commissione di aver commesso un qualsiasi errore a tale riguardo. Le pretese delle ricorrenti si fonderebbero sulla sola asserzione che poiché due produttori-esportatori determinati della RPC sono stati considerati come rispondenti ai criteri dell'art. 2, n. 7, lett. c), tutti i produttori-esportatori della RPC devono vedersi accordare il trattamento di economia di mercato, a prescindere dal fatto che essi stessi rispondano o meno a tali criteri.

35.
    Il Consiglio sostiene che l'interpretazione delle ricorrenti è erronea e incompatibile con il disposto dell'art. 2, n. 7, lett. b). Il trattamento di economia di mercato potrebbe essere concesso a uno o più produttori solo se è dimostrata «la prevalenza di condizioni dell'economia di mercato per il produttore o per i produttori in questione». L'interpretazione proposta dalle ricorrenti contraddirebbe tale testo in quanto essa impone che il trattamento dell'economia di mercato sia accordato non appena tali condizioni prevalgono per almeno un altro produttore. Inoltre, essa non sarebbe compatibile con i termini dell'art. 2, n. 7, lett. b), secondo cui deve essere dimostrato che le condizioni di un'economia di mercato prevalgono «in funzione dei criteri e delle procedure di cui alla lettera c)». Secondo il Consiglio, tutti questi criteri si applicano individualmente ad ogni impresa. Sarebbe privo di senso sostenere, come fanno le ricorrenti, che il regolamento di base esige una valutazione dettagliata di tali criteri individuali rispetto a un produttore, per applicare poi ciecamente il risultato di tale valutazione a tutti i produttori, compresi quelli che non soddisfano alcuno dei criteri.

36.
    Il Consiglio afferma che l'art. 2, n. 7, lett. b), esige una valutazione individualizzata della domanda di ciascun produttore di vedersi concedere il trattamento dell'economia di mercato. Sostiene che qualora non sia accertato che le condizioni dell'economia di mercato prevalgono per il singolo produttore o per i singoli produttori che presentano la domanda, l'ultima frase dell'art. 2, n. 7, lett. b), obbliga le istituzioni comunitarie ad applicare le regole previste dall'art. 2, n. 7, lett. a). Dal momento che è fuori discussione il fatto che le ricorrenti non soddisfacevano le condizioni enunciate all'art. 2, n. 7, lett. c), il Consiglio non avrebbe violato l'art. 2, n. 7, lett. b), rifiutando di concedere alle ricorrenti il trattamento dell'economia di mercato.

Giudizio del Tribunale

37.
    Con il primo motivo, le ricorrenti fanno valere che sarebbe stato conforme all'art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base, e consentito dall'art. 2 dello stesso regolamento, determinare il valore normale dei loro prodotti secondo le regole relative ai paesi a economia di mercato, contenute ai nn. 1-6 del menzionato art. 2, piuttosto che secondo le disposizioni dell'art. 2, n. 7, lett. a).

38.
    Tale argomento non può essere accolto.

39.
    In via preliminare, occorre rilevare che il metodo di determinazione del valore normale previsto all'art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base, costituisce un'eccezione al metodo specifico previsto all'art. 2, n. 7, lett. a), e applicabile nel caso di importazioni in provenienza da paesi non retti da un'economia di mercato. Orbene, secondo una giurisprudenza costante qualsiasi deroga o eccezione a una norma generale va interpretata restrittivamente (sentenze della Corte 12 dicembre 1995, causa C-399/93, Oude Luttikhuis e a., Racc. pag. I-4515, punto 23; 18 gennaio 2001, causa C-83/99, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-445, punto 19, e 12 dicembre 2002, causa C-5/01, Belgio/Commissione, Racc. pag. I-11991, punto 56).

40.
    In primo luogo, occorre constatare che dalla lettera e dalla struttura dell'art. 2, n. 7, del regolamento di base, in particolare alla luce dei ‘considerando’ del regolamento n. 905/98, risulta che la determinazione del valore normale dei prodotti in provenienza dalla RPC in applicazione delle regole enunciate all'art. 2, nn. 1-6, del regolamento di base, è limitata a casi individuali specifici, in cui i produttori interessati hanno, ciascuno per proprio conto, presentato una richiesta debitamente documentata conformemente ai criteri e alle procedure di cui all'art. 2, n. 7, lett. c). Ciò risulta dal riferimento, contenuto all'art. 2, n. 7, lett. b), all'obbligo di dimostrare la prevalenza delle condizioni di un'economia di mercato «per il produttore o per i produttori in questione». Tale interpretazione è confermata dal sesto ‘considerando’ del regolamento n. 905/98, che fa riferimento alle richieste dei produttori «che intendano avvalersi della possibilità di far determinare il valore normale secondo le norme applicabili ai paesi ad economia di mercato», vale a dire le regole enunciate all'art. 2, nn. 1-6. Inoltre, il quarto ‘considerando’ del regolamento n. 905/98, pur disponendo che il processo di riforma in corso nella RPC ha modificato in modo essenziale l'economia di tale paese, indica tuttavia chiaramente che, se ciò ha portato all'apparizione di talune condizioni di mercato, ciò è avvenuto solo riguardo a talune imprese specifiche e non al paese nel suo insieme. Il legislatore comunitario intendeva quindi chiaramente che l'applicazione delle regole relative ai paesi a economia di mercato ai prodotti in provenienza dalla RPC richiede la presentazione di una richiesta debitamente documentata e conforme ai criteri e alle procedure di cui all'art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base da parte di ciascuna delle imprese individualmente interessate.

41.
    In secondo luogo, l'argomento avanzato dalle ricorrenti è incompatibile con l'applicazione delle disposizioni dell'art. 2, nn. 1-6, del regolamento di base che presuppone la disponibilità di taluni dati, come i prezzi pagati o da pagare, il costo di produzione e le vendite nel corso di operazioni commerciali normali in un'economica di mercato e che si riferiscono principalmente al prodotto oggetto dell'inchiesta. I criteri previsti all'art. 2, n. 7, lett. c), del regolamento di base, che devono essere soddisfatti per poter beneficiare del trattamento di economia di mercato, vale a dire le disposizioni dell'art. 2, nn. 1-6, richiedono che le imprese che intendano avvalersi di tale beneficio operino secondo le condizioni di un'economia di mercato e che i prezzi, i costi e la serie ben definita di documenti contabili di base siano affidabili. Orbene, nel caso di specie, i ricorsi presentati dalle ricorrenti a norma dell'art. 2, n. 7, lett. b), sono stati respinti.

42.
    In terzo luogo, dato che le istituzioni comunitarie competenti in materia di antidumping sono obbligate, in ogni caso, a determinare il valore normale di un prodotto basandosi sulle regole applicabili, l'interpretazione dell'art. 2, n. 7, lett. b), proposta dalle ricorrenti, avrebbe una conseguenza incompatibile con l'obiettivo della normativa, vale a dire che, non appena un produttore di tale prodotto nella RPC presenta una richiesta debitamente documentata in applicazione di tale disposizione, tali istituzioni sarebbero obbligate ad applicare le disposizioni dei nn. 1-6 dell'art. 2 a tutti gli altri produttori di tale paese oggetto dell'inchiesta, compresi quelli che si erano deliberatamente astenuti dal presentare una simile richiesta per il fatto che il ricorso al paese e al produttore analogo selezionati per stabilire il valore normale era loro maggiormente favorevole.

43.
    Per quanto riguarda il motivo relativo all'asserita violazione del principio di non discriminazione (v. supra, punto 28), esso deve essere dichiarato infondato per i motivi esposti al punto 60 infra.

44.
    Ne consegue che il primo motivo deve essere integralmente respinto.

Sul secondo motivo riguardante una violazione dell'art. 2, n. 7, lett. a), del regolamento di base e del principio di non discriminazione

Argomenti delle parti

45.
    Le ricorrenti sostengono, a titolo subordinato, che, anche a voler supporre che nelle circostanze del caso in esame, l'art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base non escluda il ricorso all'art. 2, n. 7, lett. a), il Consiglio avrebbe violato quest'ultima disposizione e il principio di non discriminazione scegliendo la Philips Mexicana SA come produttore analogo in condizioni di economia di mercato.

46.
    Esse sostengono che è stato utilizzato il criterio del paese analogo per trovare una misura obiettiva del valore normale in condizioni non falsate di mercato aperto. In conformità della prassi della Commissione e di una giurisprudenza costante, due criteri dovrebbero, in particolare, essere presi in considerazione in tale contesto, vale a dire, da un lato, la comparabilità dei prodotti in questione e, dall'altro, la comparabilità del processo di produzione o della struttura dei costi di produzione. Inoltre, l'impiego dei termini «qualora ciò non sia possibile, su qualsiasi altra base equa», all'art. 2, n. 7, lett. a), dimostrerebbe che l'obiettivo di tutti i metodi prescritti da tale disposizione è di ottenere una misura «ragionevole» del valore normale nel paese di esportazione. Con la scelta del paese analogo, l'obiettivo dovrebbe essere di avvicinarsi il più possibile alla situazione che esisterebbe nel paese di esportazione se si trattasse di un paese ad economia di mercato (conclusioni dell'avvocato generale Van Gerven presentate nella causa decisa con sentenza della Corte 22 ottobre 1991, causa C-16/90, Nölle, Racc. pag. I-5163, in particolare pag. I-5172, punto 15).

47.
    Le ricorrenti affermano che la Commissione, quando ha determinato un valore normale sulla base di un'impresa stabilita in Messico ed ha riconosciuto che dovevano essere compiuti aggiustamenti per tener conto delle differenze nella tensione di funzionamento delle lampade, il livello degli scambi e i tipi di prodotti, avrebbe dovuto constatare che il valore normale aggiustato era considerabilmente più elevato di quello di almeno uno degli esportatori che potevano beneficiare del trattamento di economia di mercato. Ciò avrebbe dovuto portare la Commissione a concludere che il valore normale analogo determinato in Messico, anche dopo l'aggiustamento, era manifestamente inadeguato ed irragionevole. Essa avrebbe dovuto, quindi, utilizzare un metodo alternativo ragionevole per il calcolo del valore normale appropriato, sia effettuando ulteriori aggiustamenti, sia utilizzando un altro paese analogo o qualsiasi altra base ragionevole «il più possibile comparabile» al valore normale in condizioni di gestione di economia di mercato nella RPC.

48.
    Le ricorrenti fanno valere che il fatto che l'applicazione simultanea delle disposizioni dell'art. 2, n. 7, lett. a) e b), nelle cause antidumping, produca effetti discriminatori, a meno che il valore normale determinato nel paese analogo costituisca oggetto di aggiustamenti adeguati, è chiaramente illustrato dalla causa relativa al ferro-molibdeno che ha dato origine al regolamento (CE) della Commissione 3 agosto 2001, n. 1612, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di ferro-molibdeno originarie della [RPC] (GU L 214, pag. 3, cinquantaduesimo ‘considerando’). Esse sostengono che tale regolamento dimostra lo svantaggio costante subito dalle imprese che ottengono il trattamento individuale poiché il valore normale nel paese analogo non è stato aggiustato in modo adeguato per essere «il più possibile comparabile» al valore normale nelle condizioni di gestione di economia di mercato nella RPC. Inoltre, tale svantaggio sarebbe discriminatorio in quanto le società che ottengono il trattamento individuale e quelle che ottengono lo status di economia di mercato sono in concorrenza tra di loro sul mercato delle altre esportazioni verso la Comunità.

49.
    Le ricorrenti sostengono che l'espressione «qualora [tali metodi non siano] possibil[i]» che compare alla prima frase dell'art. 2, n. 7, lett. a), non fa riferimento a un'impossibilità aritmetica, ma alla questione di stabilire se i metodi si avvicinino «il più possibile» alla situazione che esisterebbe nel paese di esportazione se si trattasse di un paese a economia di mercato. Così, il ricorso al valore normale in un paese terzo a economia di mercato sarebbe sempre soggetto alla necessità imperativa di un risultato ragionevole. Secondo le ricorrenti, «il fatto che il valore normale sia stato determinato per taluni esportatori nella [RPC] fornisce una misura o indicazione di ciò che è ragionevole, migliore del valore normale stabilito per un'impresa in Messico che è collegata a uno dei denunzianti». Esse asseriscono che l'argomento del Consiglio secondo cui esse hanno confuso i margini di dumping e il valore normale è privo di fondamento.

50.
    Per quanto riguarda l'affermazione del Consiglio secondo cui, anche se le istituzioni comunitarie avessero commesso un errore nel calcolo del valore normale, la determinazione del dumping non sarebbe inficiata, le ricorrenti giudicano che deve essere dichiarata irricevibile e infondata, dal momento che si basa su una valutazione fatta dalle istituzioni comunitarie successivamente all'adozione del regolamento impugnato e che non è mai stata oggetto di un esame nel corso della procedura di inchiesta. In particolare, tale valutazione non sarebbe stata oggetto di consultazioni con i rappresentanti degli Stati membri in sede di Comitato consultivo e neppure di una comunicazione alle ricorrenti in applicazione dell'art. 20 del regolamento di base.

51.
    Il Consiglio considera che l'art, 2, n. 7, lett. a), del regolamento di base, è relativamente facile da interpretare. Il metodo principale di determinazione del valore normale nel caso di importazioni in provenienza da paesi non retti da un'economia di mercato sarebbe quello del «prezzo o [del] valore costruito in un paese terzo ad economia di mercato oppure [del] prezzo per l'esportazione da tale paese terzo ad altri paesi; compresa la Comunità». Un metodo secondario di determinazione del valore normale sarebbe in seguito definito, ma la disposizione in questione limiterebbe le circostanze in cui le istituzioni comunitarie possono ricorrere a tale metodo. In altri termini, quando l'impiego del metodo principale non è possibile, sarebbe permesso ricorrere a «qualsiasi altra base equa, compreso il prezzo realmente pagato o pagabile nella Comunità per un prodotto simile, se necessario debitamente adeguato per includere un equo margine di profitto». Ne consegue, secondo il Consiglio, che l'espressione «qualora non sia possibile» significa che il metodo che si fonda su «qualsiasi altra base equa» è valido solo come ultima risorsa.

52.
    Il Consiglio giudica di aver correttamente applicato nel caso di specie le disposizioni dell'art. 2, n. 7, lett. a). Il Consiglio rileva che la RPC non è né un paese «ad economia di mercato» né un «paese terzo» nel senso dell'art. 2, n. 7, lett. a), e che le ricorrenti lo ammettono poiché sostengono che i prezzi del produttore cinese che ha beneficiato del trattamento di economia di mercato costituiscono «qualsiasi altra base equa» nel senso di tale disposizione. Tuttavia, le istituzioni comunitarie avrebbero potuto ricorrere a tale metodo secondario solo se non fosse stato possibile riferirsi ai prezzi praticati in un paese terzo analogo ad economia di mercato. Il Consiglio giudica che, nella fattispecie, era assolutamente possibile utilizzare i prezzi praticati in un paese terzo a economia di mercato, e cioè il Messico, per calcolare il valore normale. Il fatto che sia stato necessario procedere a degli aggiustamenti non significherebbe che non fosse possibile utilizzare i prezzi messicani. Il Consiglio rileva che le ricorrenti non affermano che il Consiglio stesso non ha proceduto agli opportuni aggiustamenti e che esse non precisano alcun caso in cui sarebbero stati effettuati non correttamente oppure omessi degli aggiustamenti.

53.
    Il Consiglio considera che l'argomento delle ricorrenti, secondo cui sarebbe irragionevole e non appropriato stabilire il valore normale assumendo il Messico come paese di riferimento giacché il valore normale dopo l'aggiustamento era ancora considerevolmente più elevato di quello di uno degli esportatori della RPC che beneficiava del trattamento di economia di mercato, non ha senso. Il Consiglio rimprovera alle ricorrenti di confondere i margini di dumping e il concetto di valore normale. Inoltre rileva che le differenze di margini di dumping tra gli esportatori che beneficiano del trattamento di economia di mercato e quelli che non ne beneficiano non possono affatto indicare che la scelta del paese analogo è irragionevole e a fortiori impossibile. Il Consiglio fa osservare che uno dei produttori che ha beneficiato del trattamento di economia di mercato aveva il margine di dumping più elevato tra tutti i margini rilevati e che c'era una differenza considerevole tra i margini di dumping dei produttori che non avevano beneficiato del trattamento di economia di mercato, i quali erano compresi tra l'8,4% e il 59,5%. Benché la lista dei criteri per la scelta di un paese analogo, nei termini in cui l'ha enunciata la Corte nella citata sentenza Nölle, non sia esaustiva, a parere del Consiglio, è incontestabile che l'importo del diritto di dumping in definitiva instaurato non può costituire un criterio pertinente.

54.
    Il Consiglio ritiene che il potere di valutazione di cui dispongono le istituzioni comunitarie nella scelta di un paese analogo non le autorizza a non tener conto dell'esigenza di scegliere un paese terzo a economia di mercato in tutti i casi in cui ciò è possibile. Esso rileva che né la Commissione né le ricorrenti sono pervenute a trovare un altro paese analogo, più appropriato che il Messico, che soddisfacesse tale esigenza.

55.
    Il Consiglio nega di aver violato il principio di non discriminazione. Esso rileva che il ventesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato contraddice di per sé l'affermazione delle ricorrenti secondo cui la causa del ferro-molibdeno dimostra uno svantaggio costante per le imprese che beneficiano di un trattamento individuale. Tale ‘considerando’ indicherebbe che i margini di dumping per le imprese che si vedono accordare il trattamento di economia di mercato che andavano dal 61,8% (Philips-Yaming) a de minimis (Lisheng), mentre i margini per le imprese che beneficiano del trattamento individuale andavano dal 59,5% (Hailong) all'8,4% (Zuoming). Non ci sarebbe pertanto uno svantaggio certo per le sole imprese che beneficiano del trattamento individuale e queste ultime non sarebbero state oggetto di alcuna discriminazione.

56.
    Il Consiglio sostiene che, anche se le istituzioni avessero commesso un errore nel calcolo del valore normale, un simile errore sarebbe senza incidenza sulla conclusione relativa all'esistenza del dumping in quanto tale. Esso rileva che, a titolo di ipotesi, la Commissione ha calcolato i margini di dumping a cui sarebbe giunto se avesse stabilito il valore normale in base alle vendite degli esportatori della RPC beneficiari del trattamento di economia di mercato, come proponevano le ricorrenti; ai fini di tale calcolo, è stato supposto che le ricorrenti avessero beneficiato di un aggiustamento generoso che si elevava al 21,5% del valore normale. Tale calcolo avrebbe determinato un margine di dumping del 64,9% per la prima ricorrente e del 45,3% per la seconda ricorrente, margini che in effetti sono più elevati di quelli stabiliti dal regolamento impugnato.

Giudizio del Tribunale

57.
    Con il loro secondo motivo, le ricorrenti fanno valere, a titolo subordinato, che le istituzioni competenti che hanno determinato il valore normale dei prodotti in questione sulla base delle regole applicabili in condizioni di economia di mercato nel caso dei due produttori cinesi, vale a dire le regole enunciate ai nn. 1-6 dell'art. 2 del regolamento di base, avrebbero dovuto constatare che il fatto di assumere come riferimento la Philips Mexicana era manifestamente inadeguato e irragionevole in quanto ne risultava la fissazione di valori normali che, anche dopo l'aggiustamento, erano considerabilmente più elevati di quella riguardante almeno uno dei due produttori cinesi beneficianti del trattamento di economia di mercato. Le istituzioni competenti avrebbero dovuto di conseguenza ricorrere a «qualsiasi altra base equa» in applicazione dell'art. 2, n. 7, lett. a).

58.
    Tale argomento deve essere respinto.

59.
    Infatti, tali istituzioni competenti possono escludere l'applicazione della regola generale, enunciata all'art. 2, n. 7, lett. a), del regolamento di base, per la determinazione del valore normale dei prodotti in provenienza da paesi non retti da un'economia di mercato, fondandosi su un'altra base ragionevole, esclusivamente nell'ipotesi in cui tale regola generale non possa essere applicata. Il Tribunale giudica che una simile impossibilità può presentarsi solo quando i dati richiesti per la determinazione del valore normale non sono disponibili o affidabili. Il fatto che sia necessario aggiustare tali dati per adattarli il più possibile alle condizioni che si applicherebbero a dei produttori cinesi se la RPC fosse un paese a economia di mercato non prova che l'impiego dei dati relativi alla Philips Mexicana fosse impossibile o anche inadatto.

60.
    L'argomento delle ricorrenti secondo cui il modo di procedere delle istituzioni competenti produce effetti discriminatori, nel senso che sfavorisce costantemente i produttori che ottengono il trattamento individuale rispetto a quelli che «ottengono lo statuto di economia di mercato», in applicazione dell'art. 2, n. 7, lett. b), non può essere accolto. Secondo una giurisprudenza costante la trasgressione da parte delle istituzioni comunitarie del divieto di discriminazioni presuppone che queste ultime abbiano trattato in modo diverso situazioni paragonabili causando uno svantaggio a taluni operatori rispetto ad altri, senza che tale differenza di trattamento sia giustificata dall'esistenza di differenze oggettive di una certa rilevanza (sentenza del Tribunale 12 maggio 1999, cause riunite da T-164/96 a T-167/96, T-122/97 e T-130/97, Moccia Irme e a./Commissione, Racc. pag. II-1477, punto 188, e la giurisprudenza ivi citata).

61.
    Orbene, nella fattispecie, le ricorrenti che non operano in condizioni di economia di mercato, non erano nella stessa situazione dei due produttori cinesi operanti in tali condizioni e che hanno presentato richieste debitamente documentate a tale riguardo. Inoltre, come hanno constatato le istituzioni competenti, la grande diversità tra i margini di dumping imposti dal regolamento impugnato per le due imprese che si vedevano concedere il trattamento di economia di mercato, dimostra che i produttori per i quali il valore normale è determinato in applicazione della regola enunciata all'art. 2, n. 7, lett. a), non subiscono necessariamente uno svantaggio rispetto a quelli il cui valore normale è stabilito in applicazione della regola enunciata all'art. 2, n. 7, lett. b).

62.
    Ne consegue che il secondo motivo non è fondato e che pertanto il ricorso dev'essere interamente respinto.

Sulle spese

63.
    A norma dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Essendo rimaste soccombenti e avendo il Consiglio concluso in tale senso, le ricorrenti devono essere condannate a sostenere le spese sostenute dal Consiglio.

64.
    Conformemente all'art. 87, n. 4, primo comma, di tale regolamento, le istituzioni intervenute nella causa sopportano le proprie spese. La Commissione, interveniente, sopporterà quindi le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)    Il ricorso è respinto.

2)    Le ricorrenti sopporteranno le proprie spese, nonché quelle sostenute dal Consiglio.

3)    La Commissione sopporterà le proprie spese.

R. García-Valdecasas
P. Lindh
J.D. Cooke

J. Pirrung

H. Legal

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 23 ottobre 2003.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

P. Lindh


1: Lingua processuale: l'inglese.