Language of document : ECLI:EU:T:2003:311

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

25 novembre 2003 (1)

«Marchio comunitario - Procedimento di opposizione - Domanda di marchio comunitario denominativo KIAP MOU - Marchi nazionali denominativi anteriori MOU - Rifiuto di registrazione»

Nella causa T-286/02,

Oriental Kitchen SARL, con sede in Choisy-le-Roi (Francia), rappresentata dall'avv. J.-J. Sebag,

ricorrente,

contro

Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dai sigg. B. Lory, O. Waelbroeck e O. Montalto, in qualità di agenti,

convenuto,

con l'intervento, dinanzi al Tribunale, di

Mou Dybfrost A/S, con sede in Esbjerg N (Danimarca), rappresentata dall'avv. T. Steffensen,

avente ad oggetto un ricorso contro la decisione della quarta commissione di ricorso dell'U fficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) 28 giugno 2002 (procedimento R 114/2001-4), relativa all'opposizione del titolare dei marchi nazionali MOU alla registrazione del segno KIAP MOU come marchio comunitario,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),

composto dai sigg. N.J. Forwood, presidente, J. Pirrung e A.W.H. Meij, giudici,

cancelliere: sig.ra D. Christensen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 23 settembre 2003,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

     Antefatti della controversia

1.
    Il 29 settembre 1998, la ricorrente ha presentato, ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato, una domanda di registrazione di marchio comunitario all'U fficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (in prosieguo: l'«Ufficio»).

2.
    Il marchio per il quale è stata richiesta la registrazione è il segno denominativo KIAP MOU.

3.
    I prodotti per i quali è stata richiesta la registrazione rientrano nelle classi 29 e 30 ai sensi dell'Accordo di Nizza 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

-    classe 29: «Carne, pesce, pollame e selvaggina, estratti di carne; frutta e ortaggi conservati, essiccati e cotti; gelatine, marmellate; uova, latte ed altri prodotti derivati dal latte; oli e grassi commestibili; conserve di carne, di pesce, di pollame e di selvaggina; sottaceti, salamini alla cacciatora; piatti pronti (o cucinati) a base di ortaggi; piatti pronti (o cucinati) a base di carne; piatti pronti (o cucinati) a base di pesce»;

-    classe 30: «Piatti pronti (o cucinati) a base di pasta, di paste alimentari o di riso».

4.
    Il 4 ottobre 1999, questa domanda è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 78/99.

5.
    Il 4 gennaio 2000, la Mou Dybfrost A/S (in prosieguo: l'«interveniente») ha fatto opposizione, ai sensi dell'art. 42 del regolamento n. 40/94, alla registrazione del marchio richiesto, per tutti i prodotti contrassegnati dalla domanda di marchio. Il motivo dedotto a sostegno dell'opposizione è il rischio di confusione di cui all'art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. L'opposizione è basata sull'esistenza di diversi marchi nazionali anteriori di cui essa è titolare, in particolare:

-    il marchio denominativo MOU, registrato nel Regno Unito il 18 agosto 1995, con il n. 1524701 per i prodotti «Carne, pesce, pollame e selvaggina, estratti di carne; frutta e ortaggi conservati, essiccati e cotti; gelatine di carne, pesce, frutta e ortaggi, marmellate; prodotti a base di uova, prodotti derivati dal latte, yogurt e latte in polvere; oli e grassi commestibili; conserve di carne e di pesce, zuppe, brodi, zuppe contenenti carne, stufati; polpette di carne, polpette a base di midollo, polpette di ortaggi; piatti pronti consistenti completamente o parzialmente in carne, pesce, pollame, selvaggina, ortaggi e/o frutta; salsicce e prodotti a base di salsiccia; hamburger», tutti rientranti nella classe 29;

-    il marchio denominativo MOU, registrato nel Regno Unito il 18 agosto 1995 con il n. 1524702 per i prodotti «Sagù; farina e preparati fatti di cereali per il consumo; pane, pasticceria e confetteria, gelati, sale, senape, aceto; spezie, ghiaccio; farina per polpette; pane tostato; piatti pronti (...) interamente o quasi interamente [composti] da tagliatelle, riso, mais, farina e/o preparati a base di cereali; salse comprese le salse salate; panini per hamburger», tutti rientranti nella classe 30.

6.
    Con decisione 11 dicembre 2000 (in prosieguo: la «decisione della divisione d'opposizione»), la divisione d'opposizione dell'Ufficio, basandosi su tali due marchi anteriori registrati nel Regno Unito, ha considerato che i marchi in questione erano simili, che i prodotti in questione erano identici o simili e che vi era, quindi, un rischio di confusione tra gli stessi. Tale divisione ha, di conseguenza, accolto l'opposizione e rifiutato la registrazione del marchio richiesto per tali prodotti.

7.
    Il 26 gennaio 2001, la ricorrente ha proposto un ricorso presso l'Ufficio, ai sensi dell'art. 59 del regolamento n. 40/94, contro la decisione della divisione d'opposizione.

8.
    Tale ricorso è stato respinto con decisione della quarta commissione dell'Ufficio 28 giugno 2002 (procedimento R 114/2001-4; in prosieguo: la «decisione impugnata»), notificata alla ricorrente il 5 agosto 2002. In sostanza, la commissione di ricorso ha considerato che esisteva un rischio di confusione tra i marchi anteriori e il marchio richiesto a causa dell'identità dei prodotti in questione nonché delle somiglianza visive e fonetiche tra i segni in conflitto e del fatto che il consumatore medio del Regno Unito non possedeva una conoscenza specifica della lingua laotiana e poteva quindi percepire il termine «mou» solo come termine inventato.

Procedimento e conclusioni delle parti

9.
    Con ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 23 settembre 2002, la ricorrente ha proposto il presente ricorso. L'Ufficio ha depositato il suo controricorso il 3 marzo 2003. L'interveniente ha depositato la sua memoria il 4 marzo 2003.

10.
    L'udienza ha avuto luogo il 23 settembre 2003 in assenza della ricorrente, che non era né rappresentata, né scusata.

11.
    La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

-    annullare la decisione impugnata;

-    riformare la decisione della divisione d'opposizione;

-    respingere l'opposizione dell'interveniente;

-    convalidare il deposito del marchio KIAP MOU;

-    condannare l'interveniente alle spese.

12.
    L'Ufficio chiede che il Tribunale voglia:

-    dichiarare irricevibili i capi delle conclusioni della ricorrente diretti alla riforma della decisione della divisione d'opposizione, al rigetto dell'opposizione e alla convalida del deposito della domanda di marchio contestata;

-     respingere il ricorso per il resto;

-    condannare la ricorrente alle spese.

13.
    L'interveniente chiede che il Tribunale voglia:

-    confermare la decisione impugnata;

-    condannare la ricorrente alle spese.

Sulla domanda diretta all'annullamento della decisione impugnata

14.
    La ricorrente fa valere, in sostanza, un motivo unico, relativo alla violazione dell'art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

Argomenti delle parti

15.
    La ricorrente osserva che i prodotti alimentari, consistenti essenzialmente in salumi, da essa fabbricati e distribuiti, sono destinati esclusivamente ad una clientela di origine indocinese (vietnamita, laotiana, tailandese e cinese). Tra tali prodotti figura la cotenna di maiale fritta, specialità tipica indocinese che la ricorrente mette in commercio con il marchio di fantasia KIAP MOU.

16.
    Secondo una perizia allegata al ricorso, nelle lingue laotiana e tailandese, il sostantivo «mou» significa «maiale», mentre l'aggettivo «kiap» esprime uno stato croccante, per cui la parola composta «kiap mou» può essere tradotta come «cotenna di maiale fritta e croccante» o anche come «maiale croccante».

17.
    La ricorrente ne deduce che, per la clientela interessata, cioè le comunità di origine indocinese stabilitesi nell'Europa occidentale, il segno MOU è puramente descrittivo di un prodotto che costituisce un ingrediente essenziale della loro alimentazione. Essa sostiene che un tale segno non può essere tutelato dal diritto dei marchi.

18.
    Secondo la ricorrente l'aggiunta del vocabolo «kiap» conferisce, invece, al segno KIAP MOU un carattere di originalità sufficiente per consentirne la registrazione come marchio comunitario.

19.
    La ricorrente aggiunge che il segno KIAP MOU è sufficientemente distintivo rispetto al segno MOU per consentire la differenziazione dei prodotti in questione.

20.
    Di conseguenza, la ricorrente sostiene che occorre annullare la decisione impugnata e convalidare il deposito del marchio contestato.

21.
    L'Ufficio e l'interveniente ritengono, in sostanza, che la commissione di ricorso abbia affermato giustamente, facendo una corretta applicazione della normativa e della giurisprudenza comunitaria in materia, che vi è un rischio di confusione tra i marchi controversi, ai sensi dell'art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, e che il ricorso deve essere, quindi, respinto.

Giudizio del Tribunale

22.
    Ai sensi dell'art. 8, n. 1), lett. b), del regolamento n. 40/94, in seguito all'opposizione del titolare di un marchio anteriore il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se a causa dell'identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell'identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore. Peraltro, ai sensi dell'art. 8, n. 2, lett. a), sub ii), del regolamento n. 40/94, per marchi anteriori si intendono i marchi registrati in uno Stato membro la cui data di deposito sia anteriore a quella della domanda di marchio comunitario.

23.
    Quanto al rischio di confusione, emerge dalla giurisprudenza della Corte relativa all'interpretazione degli artt. 4, n. 1, lett. b) e 5, n. 1, lett. b), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), il cui contenuto normativo è, in sostanza, identico a quello dell'art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, che esso è costituito dalla possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o servizi in questione provengono dalla stessa impresa o eventualmente da imprese economicamente legate tra loro (sentenze della Corte 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon, Racc. pag. I-5507, punto 29, e 22 giugno 1999, causa C-342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I-3819, punto 17).

24.
    Secondo la medesima giurisprudenza, il rischio di confusione nella mente del pubblico dev'essere valutato globalmente, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie (sentenze della Corte 11 novembre 1997, causa C-251/95, SABEL, Racc. pag. I-6191, punto 22; Canon, citata sopra al punto 23, punto 16; Lloyd Schuhfabrik Meyer, citata sopra al punto 23, punto 18 e 22 giugno 2000, causa C-425/98, Marca Mode, Racc. pag. I-4861, punto 40).

25.
    Tale valutazione globale implica una certa interdipendenza tra i fattori che entrano in considerazione, e in particolare tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa (sentenze Canon, citata sopra al punto 23, punto 17; Lloyd Schuhfabrik Meyer, citata sopra al punto 23, punto 19 e Marca Mode, citata sopra al punto 24, punto 40). L'interdipendenza tra questi fattori trova la sua espressione nel settimo ‘considerando’ del regolamento n. 40/94, secondo il quale occorre interpretare la nozione di somiglianza in relazione al rischio di confusione, la cui valutazione a sua volta dipende in particolare dalla notorietà del marchio sul mercato e dal grado di somiglianza tra il marchio e il contrassegno e tra i prodotti o servizi designati.

26.
    Inoltre, la percezione dei marchi operata dal consumatore medio del tipo di prodotto o servizio in questione svolge un ruolo determinante nella valutazione globale del rischio di confusione. Orbene, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt'uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi (v., sentenza SABEL, citata sopra al punto 24, punto 23 e Lloyd Schuhfabrik Meyer, citata sopra al punto 23, punto 25). Ai fini di questa valutazione globale, si ritiene che il consumatore medio dei prodotti in questione sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Peraltro, occorre tener conto del fatto che il consumatore medio solo raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari marchi, ma deve fare affidamento sull'immagine imperfetta degli stessi che mantiene nella memoria. Occorre anche prendere in considerazione il fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi in questione (sentenza Lloyd Schuhfabrik Meyer, citata sopra al punto 23, punto 26).

27.
    Nella fattispecie, i due marchi anteriori sono registrati nel Regno Unito, che costituisce quindi il territorio rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

28.
    Peraltro, sia i prodotti contrassegnati dai marchi anteriori sia i prodotti contrassegnati dalla domanda di marchio sono prodotti alimentari di consumo corrente, rientranti nelle classi 29 e 30.

29.
    A tal riguardo, non occorre tener conto dell'affermazione della ricorrente secondo cui essa intende usare il marchio richiesto solo per una parte dei prodotti contrassegnati dalla domanda di marchio e, più in particolare, per la cotenna di maiale fritta.

30.
    Occorre, infatti, sottolineare che, ai fini dell'applicazione dell'art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, la valutazione del rischio di confusione deve comprendere tutti i prodotti designati dalla domanda di marchio. Per poter essere presa in considerazione, una limitazione dell'elenco dei prodotti e dei servizi designati da una domanda di marchio comunitario deve essere effettuata secondo talune modalità particolari, su istanza di modifica della domanda presentata conformemente all'art. 44 del regolamento n. 40/94 e alla regola 13 del regolamento (CE) della Commissione 13 dicembre 1995, n. 2868, recante modalità di esecuzione del regolamento n. 40/94 (GU L 303, pag. 1) [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 5 marzo 2003, causa T-194/01, Unilever/UAMI (pasticca ovoidale), Racc. pag. II-383, punto 13]. Orbene, tali modalità non sono state rispettate nella fattispecie, in quanto la ricorrente non ha presentato un'istanza di modifica della domanda in applicazione di tali disposizioni.

31.
    Non occorre, a maggior ragione, tener conto dell'affermazione della ricorrente secondo cui i prodotti contrassegnati dalla domanda di marchio sarebbero destinati esclusivamente ad una clientela di origine cinese o indocinese (vietnamita, laotiana, tailandese) stabilitasi nell'Europa occidentale.

32.
    Da una parte, infatti, l'Ufficio rileva correttamente che nessuna precisazione nel testo della domanda di registrazione contestata consente di ritenere che i prodotti in questione siano destinati esclusivamente ad una tale clientela. I termini generali usati dalla ricorrente permettono, al contrario, di ritenere che tali prodotti siano indirizzati alla clientela media ed abituale dei prodotti alimentari contrassegnati anche dai marchi anteriori. L'Ufficio rileva, senza essere contraddetto dalla ricorrente a tal proposito, che tali prodotti sono distribuiti attraverso gli stessi canali e venduti negli stessi punti vendita allo stesso tipo di acquirenti.

33.
    Dall'altra, l'Ufficio rileva, sempre correttamente, che, in mancanza di precisazioni nel testo della domanda contestata, il semplice fatto che il termine «mou» possiede un significato in una lingua indocinese o che l'espressione «kiap mou» rinvii, in queste stesse lingue, ad una caratteristica dei prodotti non basta a stabilire e definire una categoria particolare di consumatori a cui si riferisce la domanda di marchio contestata.

34.
    In ogni caso, tale affermazione della ricorrente non sembra rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, poiché, come rilevato dall'Ufficio e dall'opponente, in linea con la commissione di ricorso, il modo in cui sono formulati i prodotti nella domanda di marchio non esclude la possibilità di usare successivamente il marchio in questione per un mercato più ampio, vale a dire il mercato a cui si riferiscono i marchi anteriori.

35.
    Pertanto, ai fini della valutazione complessiva del rischio di confusione, occorre tener conto del punto di vista del pubblico pertinente costituito dai consumatori finali di prodotti alimentari di consumo corrente nel Regno Unito.

36.
    Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre verificare il paragone effettuato, da una parte, tra i prodotti interessati e, dall'altra, tra i segni in conflitto, dalla commissione di ricorso.

37.
    Quanto, in primo luogo, ai prodotti in questione, come contrassegnati dalla domanda di marchio, da una parte, e dai marchi anteriori, dall'altra, essi sono incontestabilmente identici o, perlomeno, simili. Si tratta infatti, come rilevato dall'Ufficio, di prodotti alimentari rientranti nelle classi 29 e 30, presentati in termini generali e riproducenti principalmente i titoli dei capitoli della classificazione di Nizza. Del resto, la ricorrente non contesta tale identità o somiglianza in quanto tali. Quanto agli argomenti della ricorrente relativi, da una parte, ad una asserita limitazione dell'uso del marchio richiesto solo a taluni prodotti contrassegnati dalla domanda di marchio e, dall'altra, ad una pretesa destinazione esclusiva dei detti prodotti alla clientela indocinese, essi sono già stati respinti sopra.

38.
    Quanto, in secondo luogo, ai segni in questione, occorre rilevare, in via generale, che due marchi sono simili quando, dal punto di vista del pubblico pertinente, esiste tra loro un'uguaglianza almeno parziale per quanto riguarda uno o più aspetti pertinenti [sentenza del Tribunale 23 ottobre 2002, causa T-6/01, Matratzen Concord/UAMI - Hukla Germany (MATRATZEN), Racc. pag. II-4335, punto 30]. Come risulta dalla giurisprudenza della Corte, sono pertinenti gli aspetti visivi, uditivi e concettuali. Inoltre, la valutazione della somiglianza tra due marchi deve essere fondata sull'impressione complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi (sentenze SABEL, citata sopra al punto 24, punto 23 e Lloyd Schuhfabrik Meyer, citata sopra al punto 23, punto 25).

39.
    Al riguardo, il Tribunale afferma che occorre, in prima analisi, partire dal principio secondo il quale, nel caso in cui, da un lato, uno dei due soli termini costituenti un marchio denominativo sia identico, sul piano visivo e sul piano uditivo, all'unico termine costituente un marchio denominativo anteriore, e, d'altro lato, tali termini, considerati insieme o isolatamente, non abbiano, sul piano concettuale, alcun significato per il pubblico destinatario, i marchi in questione, considerati ciascuno nel suo complesso, vanno normalmente ritenuti simili ai sensi dell'art. 8, n. 1, lett. b, del regolamento n. 40/94.

40.
    Nella fattispecie, occorre constatare che, sul piano visivo e uditivo, il vocabolo «mou» è al contempo l'unico termine che costituisce i marchi denominativi anteriori ed il secondo dei due termini (laddove il primo è il vocabolo «kiap») che costituiscono il marchio denominativo richiesto.

41.
    Peraltro, sul piano concettuale, come è stato constatato sopra, il pubblico pertinente è costituito dai consumatori finali di prodotti alimentari di consumo corrente nel Regno Unito. La stragrande maggioranza di tale pubblico è anglofona. Orbene, i termini «mou», «kiap» e «kiap mou» non significano nulla in inglese e non assomigliano minimamente ai termini inglesi aventi un significato equivalente a quello che hanno in laotiano o in tailandese. Peraltro, nulla nel fascicolo o negli argomenti della ricorrente indica che una parte determinante di tale pubblico dispone di una conoscenza sufficiente delle lingue laotiana o tailandese per capire il significato, in tali lingue, dei termini di cui trattasi.

42.
    Da tali considerazioni deriva anche che, dal punto di vista del pubblico pertinente e contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il termine «mou» non è descrittivo dei prodotti contrassegnati dal marchio anteriore. Esso sarà percepito da tale pubblico come un termine inventato e intrinsecamente distintivo.

43.
    Dato che lo stesso vale per il termine «kiap», occorre considerare, come l'Ufficio, che tali due termini hanno un potere d'attrazione equivalente nei confronti del pubblico pertinente e che, accostati nell'espressione «kiap mou», verranno percepiti da tale pubblico come ugualmente dominanti, senza che il termine «mou» perda il suo carattere distintivo.

44.
    Ciò premesso, la commissione di ricorso ha correttamente concluso che i segni che costituiscono i marchi denominativi in questione, considerati ciascuno nel suo complesso e tenendo conto, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti, sono simili.

45.
    Tenuto conto di quanto precede, il pubblico pertinente può pensare che i prodotti alimentari contrassegnati dal marchio denominativo KIAP MOU possono provenire dall'impresa titolare dei marchi denominativi anteriori MOU. Di conseguenza, il grado di somiglianza tra i marchi in questione è sufficiente per affermare che esiste un rischio di confusione tra questi. Pertanto, occorre respingere il motivo unico, relativo alla violazione dell'art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

46.
    Il ricorso deve, di conseguenza, essere respinto, senza che sia necessario pronunciarsi sulla ricevibilità dei capi delle conclusioni della ricorrente diretti alla riforma della decisione della divisione d'opposizione, al rigetto dell'opposizione e alla convalida del deposito della domanda di marchio contestata.

Sulle spese

47.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l'Ufficio e l'interveniente ne hanno fatto domanda, la ricorrente, che è rimasta soccombente, va condannata alle spese dai primi sostenute.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)    Il ricorso è respinto.

2)    La ricorrente è condannata alle spese.

Forwood
Pirrung
Meij

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 25 novembre 2003.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

J. Pirrung


1: Lingua processuale: il francese.