Language of document : ECLI:EU:C:2011:676

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JÁN MAZÁK

presentate il 20 ottobre 2011 (1)

Causa C‑124/10 P

Commissione europea

contro

Électricité de France (EDF) e altri

«Impugnazione – Aiuto di Stato – Esenzione fiscale selettiva connessa ad un aumento di capitale durante una ricapitalizzazione di un’impresa – Principio dell’investitore privato in un’economia di mercato – Stato che agisce come azionista e Stato che agisce quale pubblica autorità»






1.        La Commissione chiede alla Corte di annullare la sentenza (2) con cui il Tribunale di primo grado (in prosieguo: il «Tribunale») ha annullato gli artt. 3 e 4 della decisione della Commissione relativa a misure di aiuto in favore della EDF e del settore delle industrie dell’elettricità e del gas (3). Il presente ricorso è di particolare importanza per il diritto dell’UE in materia di aiuti di Stato, in quanto solleva una questione di principio che riguarda la portata (applicabilità) di un principio fondamentale del diritto dell’Unione europea sugli aiuti di Stato – ossia, il principio dell’investitore privato in un’economia di mercato – in un caso in cui lo Stato ha esercitato le proprie prerogative di autorità pubblica. Sostanzialmente, il principio dell’investitore privato in un’economia di mercato (o «criterio dell’investitore privato») è l’espressione logica del principio, discendente dagli artt. 86 CE e 295 CE, di parità di trattamento delle imprese pubbliche e private.

I –    Contesto normativo

2.        L’art. 38, n. 2, del code général des impôts (codice tributario generale francese) dispone che «l’utile netto è costituito dalla differenza tra i valori netti dell’attivo alla chiusura e all’apertura dell’esercizio i cui risultati formano la base imponibile, diminuita degli apporti supplementari e aumentata dei prelievi effettuati durante tale periodo dal titolare o dai soci. Per attivo netto si intende l’eccedenza delle attività sul totale delle passività rappresentate dai crediti di terzi, dagli ammortamenti e dagli accantonamenti giustificati».

3.        Ai sensi, rispettivamente, del primo e secondo comma dell’art. 4 della legge n. 97-1026 (4), le opere della rete di alimentazione generale di energia elettrica sono da considerarsi proprietà della EDF dal momento in cui a quest’ultima è stata accordata la concessione della rete, e, ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al primo comma, al 1° gennaio 1997, il controvalore dei beni in natura della rete di alimentazione generale dati in concessione e figuranti nel passivo del bilancio della EDF deve essere iscritto alla voce «Conto patrimoniale» al netto delle differenze di rivalutazione corrispondenti.

II – Contesto della controversia

4.        I fatti, il procedimento amministrativo e la decisione impugnata sono descritti dettagliatamente ai punti 9-51 della sentenza impugnata. Mi limiterò a richiamarne i punti essenziali. La EDF produce, trasporta e distribuisce elettricità. All’epoca dei fatti, la EDF era posseduta interamente dallo Stato. È stata costituita con una legge che ha nazionalizzato l’elettricità e il gas e che ha stabilito il principio del trasferimento alla EDF delle concessioni elettriche nazionalizzate. Nel 1958 le diverse concessioni per il trasporto di elettricità accordate dallo Stato sono state unificate in una concessione unica, detta «rete di alimentazione generale» (réseau d’alimentation générale, in prosieguo: la «RAG»).

5.        L’applicazione alla EDF del piano contabile generale del 1982, contenente norme contabili specifiche per le concessioni, ha portato a modificare il trattamento contabile della RAG al fine di tener conto di determinate raccomandazioni formulate dal Conseil national de la comptabilité (Consiglio nazionale della contabilità; in prosieguo: il «CNC»). È stato creato un piano contabile specifico per la EDF, approvato con decreto interministeriale. La RAG è stata iscritta nell’attivo di bilancio della EDF alla voce intitolata «Immobilizzazioni materiali del settore dato in concessione». Alcuni accantonamenti specifici sono stati creati per il rinnovo delle immobilizzazioni date in concessione al fine di permettere alla EDF di restituire i suddetti beni in perfetto stato al termine della concessione.

6.        Le spese di rinnovo effettuate dalla EDF sono state registrate in bilancio alla voce intitolata «Controvalore dei beni dati in concessione» (altresì denominate «diritti del concessore»). Tale voce rappresentava un debito della EDF nei confronti dello Stato francese, legato alla restituzione gratuita dei beni sostituiti al termine della concessione. In una relazione del 1994 la Cour des comptes francese sottolineava il carattere irregolare dello sgravio fiscale di cui la EDF aveva beneficiato in seguito alla creazione irregolare degli accantonamenti per rinnovo della RAG. Lo Stato francese ha quindi provveduto ad una ristrutturazione del bilancio della EDF. Il contratto di gestione «Stato-EDF 1997-2000», siglato l’8 aprile 1997, prevedeva una normalizzazione dei conti della EDF e dei suoi rapporti finanziari con lo Stato, nella prospettiva dell’apertura del mercato dell’elettricità prevista dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 19 dicembre 1996, 96/92/CE, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica (GU 1997, L 27, pag. 20).

7.        Prima dell’adozione della legge n. 97-1026 il bilancio della EDF si presentava nel seguente modo: i) all’attivo, una voce intitolata «Immobilizzazioni materiali del settore dato in concessione», per un valore di FRF 285,7 miliardi, di cui circa FRF 90 miliardi a titolo della RAG; ii) al passivo, una voce intitolata «Accantonamenti», di cui circa FRF 38,5 miliardi a titolo della RAG, nonché una voce intitolata «Controvalore dei beni dati in concessione», in cui erano registrate le spese di rinnovo effettuate, pari a FRF 145,2 miliardi, di cui FRF 18,3 miliardi a titolo della RAG.

8.        Ai sensi dell’art. 4 della legge n. 97-1026, la modalità di ristrutturazione dello stato patrimoniale della EDF è stata decisa e comunicata alla EDF il 22 dicembre 1997 con lettera del Ministro dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria, del segretario di Stato al Bilancio e del Segretario di Stato all’Industria (v. infra paragrafi 25 e 26).

9.        Nell’ambito del procedimento amministrativo, la Commissione ha assunto tre decisioni congiunte riguardanti la EDF, pubblicate il 16 novembre 2002 (GU C 280, pag. 8). La Commissione ha avviato un procedimento di indagine formale ai sensi dell’art. 88, n. 2, CE, sul vantaggio derivante alla EDF dal mancato versamento dell’imposta sulle società dovuta su una parte degli accantonamenti contabili creati, in esenzione d’imposta, per il rinnovo della RAG. L’art. 3 della decisione impugnata classifica come aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune il mancato pagamento da parte della EDF, nel 1997, dell’imposta sulle società sulla quota degli accantonamenti creati in esenzione d’imposta per il rinnovo della RAG, pari a FRF 14,119 miliardi in diritti del concessore riclassificati nei conti patrimoniali e stabilisce che tale aiuto ammonta a EUR 888,89 milioni. Ai sensi dell’art. 4 della decisione impugnata, la Francia doveva recuperare dalla EDF l’aiuto (compresi gli interessi) pari a EUR 1,217 miliardi, e tale importo è stato effettivamente rimborsato allo Stato francese.

III – La sentenza impugnata

10.      A sostegno della propria impugnazione la EDF ha dedotto in sostanza tre motivi. Il Tribunale ha limitato il suo esame al primo motivo e alle prime tre parti del secondo motivo, respingendo il primo motivo e le prime due parti del secondo. Ha accolto la terza parte del secondo motivo, annullando gli artt. 3 e 4 della decisione impugnata, rispetto ai quali la EDF aveva sostanzialmente affermato che, mettendo in atto le misure in questione, lo Stato aveva agito come un investitore privato avveduto in un’economia di mercato.

11.      Ai punti 233-237 della sentenza impugnata il Tribunale ha essenzialmente ritenuto che il fatto che l’intervento dello Stato abbia assunto forma di legge non è sufficiente ad escludere che l’intervento dello Stato nel capitale di un’impresa persegua un obiettivo economico che potrebbe prefiggersi anche un investitore privato. Ai punti 243-245 esso ha stimato in sostanza che le disposizioni dell’art. 4 della legge 97-1026 non sono, in sé, disposizioni di natura fiscale, bensì disposizioni di natura contabile, aventi però ripercussioni fiscali. Ai punti 247-250 il Tribunale ha considerato essenzialmente che, tenuto conto dell’obiettivo perseguito, la mera natura fiscale del credito dello Stato francese nei confronti della EDF e il solo fatto che lo Stato francese sia ricorso allo strumento legislativo non significano che la Commissione possa legittimamente rifiutare di applicare il principio dell’investitore privato in un’economia di mercato.

12.      Ai punti 251 e 252 della sentenza impugnata il Tribunale ha affermato che non si può escludere che la forma assunta dall’investimento comporti differenze in termini di costi di mobilizzazione del capitale e di rendimento di quest’ultimo, che potrebbero indurre a ritenere che un investitore privato non avrebbe realizzato un simile investimento in condizioni analoghe. Questo tuttavia presuppone un’analisi economica in sede di applicazione del criterio dell’investitore privato, che la Commissione ha omesso deliberatamente di applicare. Al punto 253 il Tribunale ha concluso che la Commissione non poteva limitarsi ad esaminare le ripercussioni fiscali delle disposizioni adottate dalla Repubblica francese senza analizzare, simultaneamente, la fondatezza dell’argomento secondo cui l’operazione era conforme al criterio dell’investitore privato, eventualmente respingendolo al termine del suddetto esame.

IV – Valutazione

13.      La Commissione solleva due motivi di impugnazione, secondo i quali: i) il Tribunale ha snaturato e travisato i fatti all’origine della controversia e ii) il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel valutare la portata del principio dell’investitore privato in un’economia di mercato. Non è necessario riportare nel dettaglio tutti gli argomenti delle parti in una sezione apposita. Piuttosto, al fine di facilitare la lettura delle conclusioni, ingloberò tali argomenti nella mia analisi.

A –     Sul primo motivo: snaturamento dei fatti

14.      Sostanzialmente, la Commissione, la Iberdrola e l’Autorità di vigilanza EFTA (in prosieguo: l’«Autorità») affermano che, contrariamente a quanto stabilito nella sentenza impugnata, la Repubblica francese non ha in effetti proceduto alla conversione in capitale di un credito fiscale, ma ha semplicemente concesso alla EDF un aiuto sotto forma di esenzione dall’imposta sulle società. La EDF e il governo francese, da parte loro, chiedono che il primo motivo venga respinto.

15.      In primo luogo, la EDF afferma che il primo motivo d’impugnazione è irricevibile in quanto chiede alla Corte di riesaminare la valutazione effettuata dal Tribunale in relazione alla ristrutturazione del bilancio della EDF.

16.      Per quanto riguarda il motivo concernente lo snaturamento degli elementi di prova, rilevo che, mentre effettivamente spetta solo al Tribunale giudicare il valore da attribuire agli elementi di prova che gli sono stati sottoposti (5), la Corte di giustizia ha cionondimeno ritenuto ricevibile un tale motivo (6). Nella presente causa, l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla EDF dovrebbe essere respinta. È chiaro che la Commissione non sta semplicemente chiedendo un riesame della valutazione del Tribunale della ristrutturazione del bilancio della EDF. Piuttosto, emerge dagli argomenti e dai documenti presentati dinanzi alla Corte che sussiste un effettivo e attuale rischio che il Tribunale abbia snaturato i fatti all’origine della controversia e sia incorso in errore nella qualificazione di tali fatti.

17.      Effettivamente, secondo una giurisprudenza consolidata, le censure relative all’accertamento dei fatti e alla loro valutazione nella sentenza impugnata sono ricevibili nel caso in cui la ricorrente affermi che il Tribunale ha compiuto accertamenti la cui inesattezza materiale risulta dai documenti del fascicolo oppure che ha snaturato gli elementi di prova dinanzi ad esso prodotti (7). La valutazione delle prove è chiaramente rimessa all’apprezzamento del Tribunale e non è censurabile da parte della Corte di giustizia, ma ciò non vale nel caso in cui il Tribunale abbia snaturato elementi di prova ricavando da essi ciò che palesemente non dicono – e questo, a mio parere, è esattamente il caso di specie (8). Lo snaturamento degli elementi di prova (9) (dénaturation) ricorre quando l’organo giurisdizionale, nel giudicare il merito di una causa, eccede le proprie competenze interpretando un documento redatto in modo chiaro e non ambiguo (come un contratto, un testamento, una relazione, una sentenza o un atto di diritto straniero) in modo incompatibile con la lettera dello stesso (10).

18.      Da tutte le precedenti considerazioni risulta che il primo motivo è ricevibile.

19.      Passando al merito del primo motivo, sembra che il Tribunale sia incorso in errore nel qualificare i fatti – in particolare laddove ha affermato che la Repubblica francese aveva convertito in capitale un credito fiscale (v., inter alia, il punto 258 della sentenza impugnata), mentre ciò che lo Stato aveva in realtà effettuato era concedere alla EDF un’esenzione selettiva dall’imposta sulle società (11).

20.      Contrariamente a quanto sostenuto dalla EDF, e come verrà dimostrato nel prosieguo, lo snaturamento dei fatti risulta chiaramente dai documenti presentati alla Corte e di conseguenza non è necessario che la Corte proceda ad una nuova dettagliata valutazione dei fatti.

21.      Il governo francese cerca di giustificare l’impostazione del Tribunale insistendo sul fatto che la conversione in capitale di un credito fiscale è stata effettuata come parte della ristrutturazione del bilancio della EDF, essendo una delle fasi di tale procedimento una ricapitalizzazione.

22.      Nessuno contesta il fatto che al medesimo tempo fosse in corso una ricapitalizzazione della EDF, che non è stata ritenuta essere di per sé un aiuto di Stato. Tuttavia, è importante sottolineare che erano le conseguenze fiscali – che possono essere dissociate dalla ricapitalizzazione – che sono state classificate come aiuti di Stato (v. punto 241 della sentenza impugnata). Ritengo che l’argomento del governo francese sia inconsistente, in quanto a mio parere la rinuncia ad un credito fiscale e la sua conversione in conferimenti di capitale devono evidentemente essere considerate come due operazioni distinte e successive. In effetti, il governo francese sembra ammetterlo al punto 97 della sua replica.

23.      La lettura del fascicolo conferma palesemente che è impossibile trovare la base imponibile in alcuno di quei documenti. Non vi è un avviso di accertamento d’imposta, né vi è traccia di un credito fiscale esigibile, né una decisione di imputazione della somma imponibile alla ricapitalizzazione della EDF. Infatti, se si dovesse seguire l’interpretazione del Tribunale dei documenti e dei fatti ad esso presentati, l’imputazione della somma imponibile finirebbe per essere dedotta semplicemente dal silenzio della legge n. 97‑1026 e/o dalla lettera del 22 dicembre 1997 su questo punto.

24.      Infatti, al punto 242 della sentenza impugnata il Tribunale afferma che «tutte le parti concordano nel ritenere che l’importo di FRF 14,119 miliardi avrebbe dovuto essere assoggettato ad imposta prima di essere iscritto alla voce “Conto patrimoniale”».

25.      Dai punti 239-242 della sentenza impugnata risulta che tutte le misure per la ristrutturazione del bilancio della EDF sono state registrate nel suo bilancio, al duplice scopo di rafforzare la situazione netta dell’impresa e di stabilizzare i rapporti finanziari tra lo Stato e l’impresa su basi affini al diritto comune (v. punto 31 della sentenza impugnata).

26.      In particolare si devono rilevare i seguenti punti: i) i beni costitutivi della RAG sono stati riclassificati per un valore di FRF 90,325 miliardi, come «beni propri»; ii) gli accantonamenti per rinnovo della RAG non utilizzati sono stati contabilizzati come utili non distribuiti e riclassificati nel riporto a nuovo delle perdite, conto che è stato in tal modo estinto, mentre il saldo è stato destinato alle riserve (e aggiungerei che tale operazione è stata assoggettata a tassazione); iii) i «diritti del concessore» sono stati destinati direttamente alla voce dotazioni di capitale per un importo di FRF 14,119 miliardi.

27.      È importante, tuttavia, sottolineare che la conversione in capitale della somma imponibile, da cui la EDF era esentata, non è stata in alcun modo registrata nei conti dell’impresa.

28.      Infatti, «(…) [l]e stesse autorità francesi riconoscono il carattere illecito dell’operazione. In una nota della Direzione generale delle imposte [del Ministero dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria] del 9 aprile 2002, indirizzata alla Commissione, le autorità francesi segnalano che “i diritti del concessore relativi alla RAG rappresentano un debito illegittimo che l’incorporazione nel capitale ha sottratto all’imposta in maniera indebita” e che “tale riserva, prima della sua incorporazione nel capitale, sarebbe dovuta essere trasferita dal passivo dell’ente in cui figurava erroneamente ad un conto patrimoniale netto, comportando quindi una variazione positiva dell’attivo netto imponibile in applicazione dell’articolo 38-2” del code général des impôts» (v. punto 89 della decisione impugnata).

29.      Nonostante il chiaro parere espresso dalla Direzione generale delle imposte, nessun credito fiscale è stato debitamente registrato prima che l’importo corrispondente al «credito» fosse immesso come capitale.

30.      Infatti, a quanto consta, nella presente causa il «credito» non è mai esistito e non vi è mai stato un debito da cancellare. Come osservato dalla Iberdrola, non vi è stata alcuna conversione in capitale del credito, né, apparentemente, vi era alcuna volontà da parte delle autorità di effettuare una tale conversione. Sembra anche che il Tribunale si sia basato su un tentativo effettuato dal governo francese di giustificare a posteriori le proprie azioni sulla base del criterio dell’investitore privato. A mio parere, tali affermazioni – in particolare, in quanto presentate in tempore suspecto – non possono trasformare retroattivamente un’esenzione fiscale in un comportamento che può essere considerato «paragonabile» alla conversione di un credito in capitale.

31.      Al punto 282 della sentenza impugnata il Tribunale riconosce che non vi è mai stato alcun credito o debito da cancellare: «(…) prima che la legge n. 97-1026 fosse adottata e che la EDF fosse considerata proprietaria della RAG, non bisognava pagare alcuna imposta. In seguito, avendo la Repubblica francese rinunciato a percepire l’imposta, questa non era più dovuta e non avrebbe quindi potuto comparire nel bilancio come debito dell’impresa».

32.      Concordo con la Commissione sul fatto che, se la ricostruzione dei fatti effettuata dal Tribunale fosse accolta, ne risulterebbe un aumento di capitale implicito e non trasparente, realizzato senza l’espresso consenso del legislatore e contro il parere dell’amministrazione tributaria.

33.      A tal proposito, il punto 243 della sentenza impugnata è fondamentale ai fini del ragionamento del Tribunale. In quel punto il Tribunale sembra ricorrere all’argomento secondo cui l’art. 4 della legge n. 97-1026 era volto alla ristrutturazione del bilancio della EDF e all’aumento dei fondi propri della stessa, per concludere che «[n]on si tratta quindi di disposizioni di natura fiscale in sé, bensì di disposizioni di natura contabile aventi ripercussioni fiscali, come attestato dalla lettera indirizzata alla EDF (…) il 22 dicembre 1997».

34.      Infatti, la restante parte del ragionamento del Tribunale si fonda sulla conclusione che lo Stato francese aveva effettuato un investimento e, in particolare, aveva proceduto ad un «aumento del capitale [della EDF] rinunciando ad un credito fiscale» (v. punto 246 della sentenza impugnata). La lettura delle parti rilevanti della sentenza impugnata conferma, infatti, che tale elemento è la chiave del ragionamento del Tribunale e che per quest’ultimo rappresentava il punto essenziale da risolvere al fine di statuire sulla terza parte del secondo motivo invocato dalla EDF.

35.      In effetti, tale idea può essere rintracciata in tutta la sentenza. La si può trovare in termini più o meno espliciti nei punti 248, 249, 250, 252, 253, 258 e 259. Inoltre, il Tribunale fa riferimento agli obiettivi presumibilmente perseguiti nei punti 229, 233, 234, 235, 236, 237, 247 e 259 della sentenza impugnata.

36.      Chiaramente il Tribunale ha basato la sua valutazione sul testo dell’art. 4 della legge n. 97‑1026. Sostanzialmente, tutti gli argomenti del governo francese e della EDF si fondano ampiamente sul testo di detta disposizione. Essi sostengono che da tale testo è chiaro che il Tribunale aveva ragione nel ritenere che il supporto fornito nel 1997 fosse un conferimento di capitale. Tuttavia, in contrasto con tali argomenti, ritengo che il testo dell’art. 4 della legge n. 97‑1026 non conduca alla inevitabile conclusione che il supporto fosse un conferimento di capitale. Inoltre, il governo francese non ha dimostrato nelle sue osservazioni che dalla natura delle operazioni finanziarie discenda necessariamente che esse rappresentino un conferimento di capitale. Dalle considerazioni che precedono risulta chiaramente che deve altresì essere respinto l’argomento del governo francese secondo cui l’addotto conferimento di capitale è stato effettuato nella maniera «più trasparente» (in quanto ha assunto la forma di una legge).

37.      Tutt’al più era trasparente nella forma: non era certamente trasparente nel contenuto.

38.      L’art. 4 della legge n. 97‑1026, chiaramente, stabilisce soltanto le conseguenze contabili delle operazioni finanziarie considerate. Rimane il fatto che non fissa le conseguenze e le ripercussioni fiscali delle operazioni in questione. Infatti, la EDF sembra ammetterlo nella propria difesa. Come osservato dalla Commissione, durante il procedimento legislativo una proposta di emendamento al testo della legge fu respinta in quanto rivolta a definire il procedimento contabile con cui gli accantonamenti contabili relativi alle strutture in questione sarebbero stati convertiti in fondi propri (12).

39.      In primo luogo, è sufficiente sottolineare che nella legge n. 97‑1026 non vi è nulla che suggerisca che lo Stato francese abbia effettuato un’operazione che consisteva, in sostanza, nella conversione di un credito fiscale in capitale della EDF. Secondo, dalla relazione della commissione finanze dell’Assemblea nazionale, redatta nel corso dell’esame del testo, emerge che il legislatore non ha statuito in merito al procedimento fiscale con cui gli accantonamenti contabili relativi alle strutture di trasporto dell’elettricità oggetto della concessione alla rete di alimentazione generale sarebbero stati convertiti in fondi propri. È importante sottolineare che detta relazione conferma che la legge non contiene alcuna indicazione in merito alle conseguenze fiscali della riclassificazione contabile da effettuare ai sensi delle sue disposizioni.

40.      Per quanto riguarda la lettera del 22 dicembre 1997 del governo francese alla EDF, sembra che le stesse autorità francesi abbiano fatto una chiara distinzione tra le misure relative alla ristrutturazione del bilancio (v. allegato 1 alla suddetta lettera) e le conseguenze fiscali (v. allegato 3 alla suddetta lettera). Come osservato dalla Commissione, l’allegato 1 mostra semplicemente l’imputazione diretta dei diritti del concessore alla voce dotazioni di capitale per l’importo di FRF 14,119 miliardi, mentre l’allegato 3 elimina le conseguenze fiscali di questa misura per la EDF. Di nuovo non vi è nulla in quel documento che suggerisca che un credito fiscale sia stato convertito in capitale.

41.      Per quanto concerne la lettera del 9 aprile 2002 delle autorità francesi alla Commissione, la situazione è la medesima: di nuovo non vi è nulla che suggerisca che lo Stato francese abbia effettuato una conversione in capitale di un credito fiscale.

42.      Dai documenti presentati alla Corte discende che è stato in una fase tardiva del procedimento amministrativo – non prima del 9 dicembre 2002, 18 mesi dopo l’avvio dell’indagine – che le autorità francesi, nelle osservazioni inviate alla Commissione, hanno cercato di presentare l’esenzione fiscale concessa alla EDF come un’operazione «paragonabile» ad un «conferimento di capitale complementare», e, cosa importante, nel far ciò, le autorità francesi non hanno fornito elementi di prova oggettivi a sostegno di tali affermazioni.

43.      Infatti, come giustamente sottolineato dalla Commissione, la EDF, nelle osservazioni depositate dinanzi al Tribunale il 3 febbraio 2005, ha presentato uno studio intitolato «Prospettiva di un ipotetico investitore privato», ma anche quello studio è stato effettuato solo ex post nel tentativo di giustificare retroattivamente la logica economica dell’operazione in questione. Ovvero, vi è stato un tentativo di presentare tale operazione come la conversione in capitale di un credito, un’interpretazione degli eventi che, alla luce dei fatti, non sembra corrispondere alla realtà o essere mai stata intesa in tal senso dalla Repubblica francese, all’epoca della ristrutturazione in questione.

44.      Inoltre, dal punto 242 della sentenza impugnata risulta evidente il fatto che il Tribunale si è discostato dai fatti della controversia snaturandoli a tal punto che ha finito per statuire su un caso diverso da quello su cui era chiamato a decidere. In quel punto, il Tribunale ha sottolineato che tutte le parti hanno concordato che l’operazione in questione avrebbe dovuto essere soggetta a tassazione. Per contro, ai punti 266-269 il Tribunale prosegue esprimendo un dubbio sull’esigibilità dell’imposta in tali circostanze. Dai documenti presentati alla Corte sembra tuttavia che l’operazione in questione – nella forma in cui è stata effettuata – avrebbe dovuto effettivamente dar luogo a tassazione.

45.      Secondo il mio punto di vista, il Tribunale non poteva stabilire che un conferimento di capitale si era verificato a seguito della cancellazione di un credito fiscale, in mancanza di qualsiasi elemento oggettivo di prova dell’effettiva esistenza di una tale operazione.

46.      Conseguentemente, mancando palesemente una tale prova oggettiva, la conclusione del Tribunale secondo cui vi era stato un conferimento di capitale è basata su uno snaturamento dei documenti presentati dinanzi allo stesso.

47.      In subordine, come osservato dalla Commissione, se la conclusione del Tribunale fosse interpretata non tanto come una constatazione di un fatto oggettivo, bensì come una qualificazione giuridica dei fatti, basata sulla finzione di una conversione in capitale implicita e non trasparente di un’imposta, o come un’operazione corrispondente a una tale conversione, allora quella qualificazione giuridica sarebbe manifestamente errata, in quanto invaliderebbe l’intero ragionamento del Tribunale.

48.      Infine, il punto 225 della sentenza impugnata indica correttamente che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, il criterio dell’operatore privato non è pertinente allorché l’intervento dello Stato non ha carattere economico. Questo avviene quando le autorità pubbliche concedono una sovvenzione diretta ad un’impresa o accordano un’esenzione fiscale o consentono una riduzione dei contributi sociali. Concordo pertanto con la Commissione secondo cui sembra persino che, riqualificando l’operazione in questione, il Tribunale abbia cercato in effetti di eludere la giurisprudenza della Corte di giustizia sull’ambito di applicazione del principio dell’investitore privato in un’economia di mercato.

49.      Da tutte le considerazioni che precedono discende che il primo motivo di impugnazione deve essere accolto.

B –    Sul secondo motivo di impugnazione: l’interpretazione dell’art. 87 CE

1.      Sulla prima parte del secondo motivo: i criteri di distinzione tra lo Stato azionista e lo Stato quale pubblica autorità

50.      In sostanza, la Commissione, la Iberdrola e l’Autorità contestano l’affermazione del Tribunale secondo cui la distinzione tra lo Stato azionista e lo Stato quale pubblica autorità dipenderebbe essenzialmente dall’obbiettivo perseguito dallo Stato (nella specie la ricapitalizzazione della EDF) e non da elementi oggettivi e verificabili, come richiesto dalla giurisprudenza. La EDF e il governo francese sostengono che la prima parte del secondo motivo debba essere respinta.

51.      In primo luogo, la EDF e il governo francese fanno valere essenzialmente che il secondo motivo si fonda su un preteso snaturamento dei fatti da parte del Tribunale, che costituisce oggetto del primo motivo. Ritengo che i due motivi siano complementari e che il primo costituisca effettivamente una premessa indispensabile del secondo.

52.      Tuttavia, a mio parere, il secondo motivo è manifestamente separato e indipendente dal primo. Ciò è vero nonostante il fatto che l’impugnazione riguardi necessariamente gli artt. 3 e 4 della decisione impugnata, relativi al mancato versamento da parte della EDF nel 1997 di determinati importi a titolo di imposta sulle società. Infatti, come giustamente osservato dall’Autorità e dalla Iberdrola, la validità o meno degli artt. 3 e 4 della decisione impugnata prescinde dal fatto che la misura di aiuto in questione sia qualificata come conferimento di capitale o come mancato pagamento di imposta, se nessun investitore privato razionale e avveduto metterebbe tali fondi a disposizione di un’impresa a partecipazione pubblica a «condizioni alle quali un investitore privato, operante secondo la logica di un investitore operante in condizioni normali di economia di mercato, avrebbe accettato di finanziare un’impresa privata» (13).

53.      Chiaramente, la constatazione di fatto della Commissione in quella parte della decisione impugnata era che il supporto finanziario fornito dallo Stato francese nel 1997 costituiva un aiuto di Stato illecito.

54.      Ritengo in ogni caso che il secondo motivo sia ben fondato. Infatti, nella presente causa è pacifico che lo Stato francese ha esercitato le proprie prerogative di pubblica autorità.

55.      Passando al merito della prima parte del secondo motivo, ritengo che una delle questioni maggiormente rilevanti nel presente ricorso sia la somma importanza attribuita dal Tribunale all’obiettivo della misura in esame, insieme al fatto che tale approccio non trova alcun fondamento nella giurisprudenza della Corte di giustizia.

56.      Secondo l’interpretazione consolidata della Corte, l’art. 87, n. 1, CE «non distingue gli interventi statali a seconda della loro causa o del loro scopo, ma li definisce in funzione dei loro effetti» (14). Infatti, la natura degli obiettivi di una misura statale non è sufficiente a sottrarla ipso facto alla qualifica di aiuto di Stato. Altrimenti, sarebbe sufficiente per lo Stato membro invocare la legittimità delle finalità dell’intervento pubblico per evitare l’applicazione delle regole del Trattato sugli aiuti di Stato (15).

57.      Al riguardo la EFD replica con l’argomento che il Tribunale non ha valutato la misura in questione esclusivamente sulla base del suo obiettivo. Secondo la EDF, il Tribunale ha valutato detta misura alla luce di una molteplicità di criteri, quali la sua natura, il suo oggetto e i suoi obiettivi, e facendo riferimento a tutti i suoi aspetti e al suo contesto complessivo.

58.      Mentre si può ammettere che, prima facie, il Tribunale non abbia fondato il suo approccio esclusivamente sull’obiettivo perseguito, rimane il fatto che una lettura più attenta dell’intera sentenza impugnata mostra che il Tribunale ha, in effetti, basato le sue conclusioni principalmente – se non esclusivamente – sull’obiettivo perseguito, al fine di stabilire se lo Stato abbia agito come azionista o come pubblica autorità. Come si evincerà nel prosieguo, non si può negare che il Tribunale, nella sua analisi, abbia conferito un’importanza predominante all’obiettivo perseguito.

59.      Al punto 229 della sentenza impugnata il Tribunale ha affermato che «[p]er valutare se le misure adottate dallo Stato rientrino tra i suoi atti d’imperio o derivino da obblighi che esso è tenuto ad assumere in quanto azionista, esse vanno valutate non alla luce della loro forma, bensì della loro natura, del loro oggetto e delle norme alle quali sono soggette, tenendo conto dell’obiettivo da esse perseguito» (il corsivo è mio).

60.      Proseguendo, al punto 233, il Tribunale sottolinea nuovamente la necessità di stabilire se lo Stato perseguisse un «obiettivo economico» che potrebbe essere perseguito anche da un investitore privato, al fine di decidere se il criterio dell’investitore privato sia applicabile o meno. I punti 234 e 235 richiamano altresì l’importanza dell’obiettivo perseguito in questo contesto. Al punto 236 il Tribunale conclude che «occorre valutare la misura non soltanto alla luce della sua forma, ma in funzione della sua natura, del suo oggetto e dei suoi obiettivi, il che presuppone che venga considerata sotto tutti i suoi aspetti, e che sia preso in considerazione il contesto in cui la stessa si inserisce» (il corsivo è mio). Da ultimo, il punto 237 fa altresì riferimento all’obiettivo delle misure considerate.

61.      Quindi, al punto 247 il Tribunale afferma di nuovo – in modo decisivo – che «tenuto conto dell’obiettivo di ricapitalizzazione della EDF perseguito dalla legge n. 97-1026, la natura fiscale del credito (…) e il fatto che [lo Stato francese] sia ricorso alla legge non bastano da soli a consentire alla Commissione di rifiutarsi di verificare se, in circostanze analoghe, un investitore privato avrebbe potuto essere indotto ad effettuare un aumento di capitale della stessa entità e, pertanto, se i capitali siano stati conferiti dallo Stato in circostanze corrispondenti alle condizioni normali del mercato» (il corsivo è mio).

62.      Pertanto il Tribunale, al fine di statuire sull’applicabilità del criterio dell’investitore privato, ha manifestamente preso in considerazione e dato importanza decisiva all’obiettivo perseguito e, di conseguenza, detta pronuncia si fonda su un errore di diritto.

63.      Inoltre, è chiaro che la sentenza della Corte di giustizia nella causa SAT Fluggesellschaft (16) costituisce l’unica giurisprudenza sulla base della quale il Tribunale cerca di giustificare il fatto di prendere in considerazione, nel contesto dell’applicabilità del criterio dell’investitore privato, l’obiettivo presumibilmente perseguito dallo Stato membro.

64.      Tuttavia, nel punto pertinente di detta sentenza (punto 30), la Corte di giustizia non si riferisce in alcun modo all’obiettivo perseguito dalla misura in questione.

65.      Innanzitutto, la sentenza SAT Fluggesellschaft non riguarda un aiuto di Stato. Tale sentenza cercava di stabilire se un determinato ente internazionale costituisse un’«impresa» ai sensi degli artt. 82 e 86 CE. In particolare, alla Corte si chiedeva se l’Organizzazione europea per la sicurezza della navigazione aerea (Eurocontrol) costituisse o meno un’«impresa».

66.      Al fine di statuire sulla questione, la Corte ha esaminato: i) la natura delle attività dell’Eurocontrol (punto 19), ii) lo scopo di tali attività come definito nella convenzione che lo ha istituito (punto 21), iii) le competenze dell’Eurocontrol come definite nella convenzione modificata (punto 22), iv) le sue competenze, in particolare, a fissare e a riscuotere i contributi di rotta (punti 23, 28 e 29), v) l’attività operativa dell’Eurocontrol (punto 24), e infine vi) la sua modalità di finanziamento come ente internazionale (punto 26).

67.      Ai punti 30 e 31 della sentenza SAT Fluggesellschaft, la Corte ha quindi raggiunto la conclusione che «[c]onsiderate nel loro complesso, le attività dell’Eurocontrol (…) si ricollegano all’esercizio di prerogative, relative al controllo e alla polizia dello spazio aereo, che sono tipiche prerogative dei pubblici poteri. Esse non presentano carattere economico che giustifichi l’applicazione delle norme sulla concorrenza previste dal Trattato». Pertanto l’Eurocontrol non costituiva un’impresa ai sensi degli artt. 82 CE e 86 CE.

68.      Si deve osservare che, nella presente causa, è lo stesso Tribunale ad aver riconosciuto al punto 246 della sentenza impugnata che «lo Stato ha utilizzato le sue prerogative di autorità pubblica rinunciando al [credito in questione]». Non è contestato che la misura in questione sia connessa con l’esercizio di prerogative dei pubblici poteri. Inoltre, come giustamente indicato dalla Commissione, il criterio applicato dalla Corte di giustizia nella sentenza SAT Fluggesellschaft riguardava la qualificazione come impresa di una data organizzazione e non la qualificazione come aiuto di Stato di una data operazione effettuata dallo Stato, come nella presente causa.

69.      La sola conclusione che si può trarre dalle considerazioni che precedono è che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo francese, la sentenza SAT Fluggesellschaft era e resta irrilevante per decidere sulla presente causa e, in particolare, è irrilevante per stabilire se il criterio dell’investitore privato sia applicabile o meno in un dato caso riguardante l’art. 87 CE.

70.      Per di più ritengo che il Tribunale non abbia neppure applicato il criterio sancito dalla Corte di giustizia al punto 30 della sentenza SAT Fluggesellschaft. Il Tribunale ha considerato l’obiettivo perseguito dallo Stato – un criterio estraneo a quella sentenza della Corte – come il fattore di lunga maggiormente determinante e, al contempo, non ha tenuto conto della natura dell’azione dello Stato di rinuncia al credito in questione, che, nelle stesse parole del Tribunale, era un esempio di utilizzo da parte dello Stato delle sue prerogative di autorità pubblica.

71.      In primo luogo, un criterio che riposa sull’intenzione dello Stato sarebbe particolarmente inappropriato per valutare l’esistenza di un aiuto di Stato, in quanto un siffatto criterio è per sua natura soggettivo e aperto a interpretazioni. In secondo luogo, come rilevato dalla Iberdrola, la presa in considerazione degli obiettivi presumibilmente perseguiti dallo Stato membro si presta a manipolazioni, incidendo sulla concorrenza tra i settori privato e pubblico. Sussiste un rischio reale che, al fine di evitare l’applicazione del diritto sugli aiuti di Stato, gli Stati membri si sentano incoraggiati ad invocare (ex post) preoccupazioni di tipo lucrativo.

72.      Infine, il ruolo determinante attribuito dal Tribunale all’obiettivo perseguito è difficilmente conciliabile con il fatto che «la nozione di aiuto è una nozione obiettiva» (17). Infatti, non si deve dimenticare che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, «la nozione di aiuto statale, quale definita nel Trattato, ha carattere giuridico e deve essere interpretata sulla base di elementi obiettivi» (18). Infine, la presenza di un elemento di aiuto di Stato è valutata con esclusivo riferimento ad elementi obiettivi e verificabili. Diversamente, il dovere di vigilanza della Commissione sarebbe pregiudicato e i giudici comunitari non potrebbero «esercitare (…) un controllo completo per quanto riguarda la questione se una misura rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 87, n. 1, CE» (19), e infatti questo è precisamente il rischio nel caso in cui si segua l’approccio suggerito nella sentenza impugnata.

73.      La EDF sostiene poi che ciò che rileva in sede di applicazione del criterio dell’investitore privato non è solo l’obiettivo perseguito, ma anche, in particolare, il contesto. La EDF si fonda su alcuni casi in cui la Commissione era chiamata a valutare il contesto di diverse operazioni. In particolare, la EDF fa riferimento alle cause Chronopost I (20), P&O European Ferries (Vizcaya) e Diputación Foral de Vizcaya/Commissione (in prosieguo: «P&O European Ferries») (21), Bundesverband deutscher Banken/Commissione (22), e Ryanair/Commissione (in prosieguo: «Ryanair») (23).

74.      Tuttavia, è sufficiente osservare che tutte quelle cause riguardavano operazioni di natura commerciale. Nella causa Chronopost I si trattava della cessione di clientela; nella causa P&O European Ferries della vendita di biglietti di viaggio in traghetto; nella causa Bundesverband deutscher Banken/Commissione della messa a disposizione di una banca di un patrimonio poi utilizzato per garantire la propria attività commerciale; e, da ultimo, nella causa Ryanair della determinazione di tariffe aeroportuali, ossia, un’attività direttamente connessa con la gestione dell’infrastruttura aeroportuale, che è un’attività economica. In particolare, nella sentenza Ryanair il Tribunale ha chiarito che era appropriato considerare le tariffe in questione come «diritti» e non come «tasse» – infatti, contrariamente alla presente situazione, un sistema di riduzione di tali tariffe poteva essere attuato da un operatore privato.

75.      In particolare, sembra che il Tribunale si sia ispirato alla propria sentenza nella causa Ryanair, in cui ha parimenti annullato una decisione della Commissione su un aiuto di Stato. In particolare, nella sentenza Ryanair il Tribunale ha ritenuto viziato da un errore di diritto il rifiuto della Commissione di esaminare congiuntamente i vantaggi concessi dalla regione Vallonia e dall’aeroporto Charleroi e di verificare se, unitamente considerati, i due enti si fossero comportati come operatori razionali in un’economia di mercato. Tuttavia, è chiaro che il presente caso deve essere distinto dal caso Ryanair. Infatti, la giurisprudenza ha già riconosciuto la natura economica delle attività in questione nella causa Ryanair (24). Anche se le tariffe in questione in quella causa erano determinate con misure regolamentari, il Tribunale ha reputato che sussistesse un’attività economica in quanto «la determinazione delle tasse aeroportuali(…) si collega strettamente all’uso e alla gestione dell’aeroporto di Charleroi, attività che deve essere qualificata come economica». In sostanza il Tribunale ha considerato che non riconoscendo il fatto che, determinando le tariffe in questione, la regione Vallonia poteva agire come un investitore privato si sarebbe operata una discriminazione tra aeroporti privati e aeroporti pubblici. È forse opportuno osservare che la Commissione non ha presentato ricorso avverso la sentenza Ryanair.

76.      Tuttavia, a differenza della fissazione di tali tariffe, nessun operatore privato potrebbe (mai) rinunciare a un credito fiscale. Infatti, ritengo che la EDF sia manifestamente in errore quando cerca di sostenere che il fatto che lo strumento utilizzato dallo Stato non è accessibile all’investitore privato non può significare che il criterio dell’investitore privato debba essere respinto. Vi sono chiaramente buone ragioni a sostegno dell’opinione della dottrina secondo cui il criterio dell’investitore privato non può applicarsi in materia fiscale, ossia nei casi in cui il vantaggio in questione è ottenuto per mezzo del diritto tributario (25).

77.      A mio parere l’approccio del Tribunale nella sentenza impugnata deve essere respinto a fortiori perché, se lo Stato desidera agire potenzialmente come investitore privato, può ancora farlo: tutto ciò che deve fare è procedere ad un conferimento di capitale in un’impresa dopo aver esercitato i propri poteri di ordine fiscale e quindi dopo avere esercitato le proprie prerogative di pubblica autorità. Di conseguenza, contrariamente alla tesi della EDF secondo cui l’ambito di applicazione del criterio dell’investitore privato sarebbe eccessivamente ridotto ed equivarrebbe ad una discriminazione nei confronti delle imprese pubbliche, l’approccio che sostengo qui non provocherebbe alcuna discriminazione a danno delle imprese pubbliche. È semplicemente destinato a limitare il rischio di discriminazione a danno delle imprese private.

78.      Poi, come osservato dall’Autorità, mentre vi sono circostanze in cui uno Stato può intraprendere rapporti contrattuali e commerciali con talune società, il debito della EDF verso lo Stato francese nella presente causa non era assolutamente di natura contrattuale o commerciale. Si trattava di un debito fiscale. Le tasse sono imposte dallo Stato e non sono dovute in ragione di volontari rapporti contrattuali o commerciali. In ogni caso, la Corte ha distinto le operazioni realizzate dallo Stato che si comporta come investitore da quelle in cui agisce come creditore (26).

79.      Inoltre, secondo il criterio dell’investitore privato, ogni qualvolta una società riceve supporto per mezzo di fondi pubblici, tale supporto verrà considerato come aiuto di Stato se un investitore privato, in circostanze normali, non avrebbe effettuato un tale investimento. Se, d’altro canto, lo Stato ha agito nello stesso modo di qualsiasi normale azionista privato operante in normali condizioni di mercato, il supporto finanziario non è considerato come aiuto di Stato. Come rilevato dall’Autorità, è chiaro che lo Stato impone tasse nell’esercizio dei propri poteri pubblici. Difficilmente si può sostenere che lo Stato abbia il potere di imporre delle tasse nella sua qualità di investitore privato. Il corollario dell’imposizione fiscale – la rinuncia a crediti fiscali – è parimenti un’attività che lo Stato compie come pubblica autorità. Conseguentemente, le attività fiscali dello Stato – l’imposizione, la riscossione, il rimborso o lo sgravio delle imposte – sono indubbiamente effettuate nell’esercizio dei suoi poteri pubblici e non possono per definizione essere intraprese in qualità di investitore privato.

80.      Infatti questa è la ragione per cui una distinzione importante è stata stabilita dalla Corte. Nella sentenza Spagna/Commissione (in prosieguo: «Hytasa») (27) la Corte ha affermato che «occorre distinguere tra gli obblighi che lo Stato deve assumere come proprietario azionista di una società e quelli che possono incombergli come autorità pubblica. Poiché le tre società in questione sono state costituite nella forma di società per azioni, il Patrimonio del Estado, come proprietario azionista di tali società, era responsabile dei loro debiti solo nella misura del valore di liquidazione degli attivi. (…) [Q]uesto significa che, applicando il criterio dell’investitore privato, non deve tenersi conto degli oneri inerenti al costo del licenziamento dei lavoratori, al pagamento dei sussidi di disoccupazione ed agli aiuti alla ricostruzione del tessuto industriale».

81.      Nella sentenza Germania/Commissione (in prosieguo: «Gröditzer») (28) la Corte ha affermato che «[a]l fine di stabilire se la privatizzazione della GS ad un prezzo di vendita negativo di DEM 340 milioni presenti elementi di aiuto di Stato, occorre valutare se, in circostanze analoghe, un investitore privato di dimensioni paragonabili a quelle degli enti che gestiscono il settore pubblico avrebbe potuto essere indotto ad effettuare conferimenti di capitali di tale entità nell’ambito della vendita della detta impresa o avrebbe optato per la liquidazione di quest’ultima» (29). Di nuovo, la Corte ha ricordato che occorre distinguere tra gli obblighi che lo Stato deve assumere come proprietario azionista di una società e quelli che possono incombergli come autorità pubblica.

82.      Inoltre, nella causa Altmark (30), l’avvocato generale Léger ha rilevato che la Corte applica il criterio dell’operatore economico privato solo nelle situazioni in cui l’intervento dello Stato ha carattere economico. Ha affermato che il criterio dell’operatore economico privato è pertinente quando il comportamento dello Stato potrebbe essere adottato, almeno in linea di principio, da un operatore privato a scopo di lucro (un investitore, una banca, un fideiussore, un’impresa o un creditore). Tuttavia, il criterio dell’operatore privato non è pertinente allorché l’intervento dello Stato non ha carattere economico. In tali situazioni, l’intervento dello Stato non può essere realizzato da un operatore privato a scopo di lucro, ma rientra tra gli atti d’imperio dello Stato, come la politica fiscale o sociale. Pertanto il criterio dell’operatore privato non è pertinente perché non può esistere, per definizione, una disparità di trattamento tra il settore pubblico e quello privato. Conseguentemente, l’avvocato generale ha concluso che il criterio dell’operatore privato non si applica agli interventi statali che rientrano negli atti d’imperio.

83.      Infatti, come ha giustamente affermato il Tribunale nella sentenza Ryanair (31), «[m]entre risulta necessario, nel caso in cui lo Stato agisca in qualità di impresa che opera come investitore privato, valutare il suo comportamento alla luce del principio dell’investitore privato operante in un’economia di mercato, l’applicazione di detto principio deve essere invece esclusa nell’ipotesi in cui esso agisca in quanto pubblico potere. Infatti, in quest’ultima ipotesi, il comportamento dello Stato non può mai essere paragonato a quello di un operatore o di un investitore privato operante in un’economia di mercato».

84.      Nella sentenza Westdeutsche Landesbank Girozentrale e Land Nordrhein-Westfalen/Commissione (32) il Tribunale ha correttamente osservato che «per quanto riguarda l’argomento del Land relativo all’aumento delle entrate fiscali, occorre sottolineare che la posizione del Land in quanto ente pubblico e la sua posizione in quanto imprenditore non devono essere confuse. Orbene, tale aumento delle entrate sarebbe del tutto privo di rilevanza per un investitore privato».

85.      Infine, si deve rilevare che la Corte ha già stabilito che un ente che agisce come esattore d’imposta non interviene quale operatore economico (33). Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte, un’attività che, per la sua natura, per le norme alle quali è soggetta e per il suo oggetto, esuli dalla sfera degli scambi economici o si ricolleghi all’esercizio di prerogative dei pubblici poteri sfugge all’applicazione delle regole di concorrenza del Trattato (34).

86.      Al riguardo la EDF e il governo francese replicano che vi sono stati altri casi in cui la Corte ha adottato un approccio meno restrittivo in situazioni in cui sono stati esercitati poteri dello Stato. Il governo francese sostiene che i mezzi utilizzati sono irrilevanti quando diverse forme di investimento possono essere prese in considerazione dallo Stato. Esso sostiene che la Corte ha già ammesso che talune misure che non erano disponibili agli investitori privati potevano essere paragonate al comportamento di operatori privati (35).

87.      Tuttavia ritengo importante non trattare nella medesima maniera due concetti che sono alquanto differenti. Si deve effettuare una distinzione tra il principio del creditore privato (in un’economia di mercato) e il principio dell’investitore privato (in un’economia di mercato). Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica francese, non è possibile confrontare la posizione di un investitore privato con quella di un creditore privato. Mentre l’investitore cerca di realizzare un profitto intervenendo presso le imprese interessate, il creditore cerca di ottenere il pagamento di somme dovute da un debitore in difficoltà economiche (36).

88.      Conseguentemente, è significativo che nel caso in questione né il governo francese né la EDF abbiano sostenuto che si trattava di un caso di un’impresa in difficoltà economiche. È chiaro che questo non è un caso di un creditore che cerca di recuperare somme dovute da un debitore in difficoltà economiche. Inoltre, il criterio del creditore privato non dipende dal ruolo dello Stato quale azionista: in base a tale criterio, le imprese pubbliche e private sono trattate esattamente nella medesima maniera. Contrariamente al criterio dell’investitore privato e alla situazione che ci riguarda nella fattispecie, nel caso del criterio del creditore privato non sussiste alcun rischio di disparità di trattamento.

89.      La giurisprudenza secondo cui il criterio dell’investitore privato deve essere applicato «indipendentemente da qualsiasi considerazione di carattere sociale o di politica regionale o settoriale», così che non si possa porre la questione di tener conto di considerazioni palesemente collegate al ruolo dello Stato membro come pubblica autorità, discende dai casi più risalenti (37).

90.      Le prime sentenze sul criterio dell’investitore privato sono le sentenze Meura e Boch II (38). Tuttavia, l’argomento era già stato affrontato dall’avvocato generale VerLoren van Themaat nella causa Intermills/Commissione (39). Questi aveva affermato che «[n]ella presente fattispecie si tratta chiaramente di una partecipazione al capitale di un’impresa in difficoltà, che la Commissione (…) considerava già un aiuto ai sensi dell’art. 92. (…) [D]etta partecipazione al capitale delle imprese del gruppo Intermills era inoltre principalmente destinata alla copertura di perdite. Mi sembra indubbio che anche un intervento del genere, sotto forma di amplissima copertura delle perdite, per mantenere artificialmente in vita un’impresa, debba essere considerato un aiuto ai sensi dell’art. 92. Tanto più che dal carattere non temporaneo di questa partecipazione al capitale, come pure dalla circostanza che a quattro anni di distanza dalla concessione dell’aiuto non è stata ancora ripristinata la redditività degli impianti produttivi ancora in funzione, si deve desumere che i relativi fondi non avrebbero potuto essere reperiti sul mercato privato dei capitali».

91.      Come cerco di dimostrare nelle presenti conclusioni, ritengo chiara la ragione per cui è giustificato che sia la Commissione che la Corte siano sempre state ferme nel mantenere una netta distinzione tra l’esercizio da parte dello Stato dei propri poteri pubblici e il suo ruolo come investitore – di modo che, anche laddove la misura adottata in virtù di pubblici poteri abbia in sostanza la medesima portata di una misura che avrebbe forse potuto essere adottata dallo Stato in qualità di investitore, non se ne debba tuttavia tenere conto quando si valutano affermazioni secondo cui lo Stato ha agito come un investitore di mercato (40).

92.      È mia convinzione che, nella sentenza impugnata, il Tribunale abbia disatteso una distinzione, stabilita dalla Corte in maniera meticolosa, tra acta iure gestionis e acta iure imperii (41). In sostanza, a mio parere, l’approccio del Tribunale potrebbe condurre ad incertezza giuridica e ad una mancanza di trasparenza, nonché a privilegi (fiscali) per le imprese pubbliche. Aggiungerei che l’ultima possibilità potrebbe avere un’incidenza particolarmente negativa sui numerosi settori che sono stati recentemente liberalizzati o che sono in corso di liberalizzazione.

93.      Più specificatamente, l’approccio del Tribunale nella sentenza impugnata si scontra con l’obbligo di trasparenza previsto dal diritto dell’Unione europea. Ad esempio, la Corte di giustizia ha affermato che «un sistema di concorrenza non alterata, come quello prefigurato dal Trattato, può garantirsi solo se venga assicurata l’uguaglianza delle opportunità tra i vari operatori economici». La Corte ne ha concluso che «la preservazione di un’effettiva concorrenza e la garanzia di trasparenza esigono che la formulazione delle specifiche tecniche, il controllo della loro applicazione e l’omologazione siano svolti da un ente indipendente dalle imprese pubbliche o private che offrono beni e/o servizi concorrenti nel settore delle telecomunicazioni» (42). A mio parere non c’è alcun dubbio che la trasparenza giochi altresì un ruolo molto importante nell’ambito del diritto dell’Unione sugli aiuti di Stato.

94.      Al riguardo è pertinente fare riferimento alla sentenza Altmark (43). Se si applicano i principi accolti in quella sentenza la situazione è che, affinché una compensazione per obblighi di diritto pubblico non costituisca un aiuto di Stato, l’impresa beneficiaria deve essere effettivamente incaricata dell’adempimento di obblighi di servizio pubblico e detti obblighi devono essere definiti in «modo chiaro». Inoltre, «i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione devono essere previamente definiti in modo obiettivo e trasparente» (il corsivo è mio). Nell’ambito del quarto presupposto stabilito dalla sentenza Altmark, è altresì pertinente che la scelta dell’impresa da incaricare dell’adempimento di obblighi di servizio pubblico deve essere effettuata attraverso una procedura di appalto pubblico.

95.      Secondo me è chiaro che la sentenza impugnata mette effettivamente in discussione alcuni elementi della giurisprudenza Altmark. Nella sentenza Altmark la Corte, adottando un approccio prescrittivo, ha cercato di eliminare qualsiasi possibilità di manipolazione da parte degli Stati membri (al riguardo v. altresì supra paragrafo 71) e di portare trasparenza e chiarezza nelle attività degli Stati membri sul mercato.

96.      A mio parere, la presente causa richiede il medesimo approccio. La Commissione aveva pertanto ragione ad adottare nella decisione impugnata una linea di principio per cui dovrebbe esserci una visibile separazione tra il ruolo dello Stato come pubblica autorità e il ruolo dello Stato come azionista. Ritengo che il criterio dell’investitore privato non dovrebbe essere applicabile se non vi sono condizioni di parità per i diversi operatori economici e uguaglianza dinanzi alle imposte. Non si deve dimenticare che la ratio del criterio dell’investitore privato è precisamente quella di prevenire qualsiasi discriminazione tra imprese pubbliche e imprese private, con l’obiettivo di assicurare la corretta applicazione delle disposizioni del Trattato in materia di aiuti di Stato. Come abbiamo visto, tuttavia, nella sentenza impugnata, il Tribunale si è discostato da questa uguaglianza e, conseguentemente, dalla ragion d’essere del principio dell’investitore privato in un’economia di mercato.

97.      Di conseguenza, la prima parte del secondo motivo dev’essere accolta.

2.      Sulla seconda parte del secondo motivo di impugnazione: il Tribunale avrebbe dovuto valutare se il comportamento dello Stato francese poteva essere adottato da un operatore privato senza privilegi

98.      In sostanza, la Commissione, la Iberdrola e l’Autorità rimproverano al Tribunale di non aver basato la sua analisi sullo studio comparativo, da un lato, del comportamento che in analoghe circostanze avrebbe tenuto un operatore privato avveduto, privo di privilegi, e, dall’altro lato, del comportamento tenuto effettivamente nel caso di specie dallo Stato francese, dotato della prerogativa di pubblica autorità. La EDF e il governo francese sostengono che la seconda parte del secondo motivo debba essere respinta.

99.      Tuttavia, contrariamente agli argomenti della EDF secondo cui il Tribunale ha valutato il comportamento effettivamente adottato dallo Stato, ritengo che la sua analisi si fondi in effetti sul comportamento che lo Stato francese «avrebbe potuto» adottare – se avesse agito diversamente. Il Tribunale ha condotto uno studio del comportamento che lo Stato avrebbe potuto adottare in base allo «schema lungo». Questo consisteva, innanzitutto, nel destinare al capitale della EDF un importo netto in base all’imposta sulle società, poi nel richiedere alla EDF il versamento di un’imposta corrispondente alla variazione dell’attivo netto e, infine, nel procedere ad un conferimento di capitale complementare di importo pari all’imposta versata.

100. Al riguardo, la Commissione ha ragione quando sottolinea che, in base allo «schema lungo», il bilancio dello Stato, che è soggetto ad un rigido controllo, avrebbe garantito trasparenza, la cui mancanza è precisamente il punto cruciale della presente causa. In base allo schema affettivamente applicato nel presente caso, le risorse sono sfuggite a qualsiasi disciplina di bilancio, il principio di uguaglianza dinanzi alle imposte non è stato rispettato e la EDF ha goduto di un trattamento speciale privo di qualsiasi trasparenza.

101. Come sostiene la Iberdrola, è chiaramente errata l’affermazione secondo cui non fa alcuna differenza che la base imponibile sia direttamente destinata al capitale di un’impresa pubblica – in una maniera del tutto non trasparente – oppure che tale importo sia attribuito al bilancio dello Stato. Non è per nulla una conclusione scontata che il conferimento di capitale a cui il Tribunale ha assimilato l’esenzione fiscale in questione sarebbe effettivamente intervenuto se lo Stato francese avesse prima riscosso l’imposta per contribuire con tale importo al proprio bilancio e poi, attraverso le procedure applicabili, avesse cercato di investire nella EDF un importo corrispondente a quello dell’imposta riscossa.

102. In ogni caso, la giurisprudenza chiarisce che la qualificazione di una misura come aiuto di Stato non dipende dalle misure che «avrebbero potuto» essere adottate altrimenti. Essa dipende dalle caratteristiche oggettive della misura effettivamente attuata dallo Stato membro (44).

103. Inoltre, nella sentenza BNP Paribas e BNL/Commissione (45) il Tribunale ha giustamente ritenuto che «non spetta alla Commissione, nell’esame di un regime alla luce delle disposizioni in materia di aiuti di Stato, prendere in considerazione le scelte soggettive che avrebbero potuto compiere i beneficiari di tale regime in assenza del medesimo, bensì esaminare il regime stesso per determinare se esso comporti oggettivamente un vantaggio economico rispetto all’imposizione alla quale esso deroga e che sarebbe normalmente applicabile in sua assenza (…). La considerazione in forza della quale, in assenza del regime (…) controverso, le imprese interessate non avrebbero asseritamente ceduto i loro attivi, nel contesto di una siffatta valutazione oggettiva, resta inconferente».

104. Si deve osservare che, nella presente causa, l’approccio del Tribunale esige che la Commissione intraprenda un’analisi «complessiva», ossia un’analisi che comprenda, da un lato, la perdita di entrate fiscali derivante dall’esenzione fiscale concessa alla EDF, e dall’altro, il presunto conferimento di capitale da parte dello Stato azionista. È sufficiente indicare che un tale approccio presuppone che il gettito fiscale proveniente dall’imposta fosse direttamente destinato al supposto conferimento di capitale. Tuttavia, è ora chiaro che se l’imposta fosse stata riscossa essa sarebbe confluita nel bilancio dello Stato, senza alcun vincolo di destinazione concreto.

105. Secondo la giurisprudenza, è quindi richiesta una valutazione congiunta di un’imposta come modo di finanziamento solo quando è indissociabile dall’aiuto, ipotesi che ricorre quando un determinato gettito fiscale è specificatamente «destinato» all’utilizzo in questione. Infatti, «[a]ffinché un tributo possa ritenersi parte integrante di una misura di aiuto, deve sussistere un vincolo di destinazione necessario tra il tributo e l’aiuto in forza della normativa nazionale pertinente, nel senso che il gettito del tributo viene necessariamente destinato al finanziamento dell’aiuto e incide direttamente sulla sua entità» (46).

106. Poi, la questione se fosse o meno ragionevole per lo Stato francese adottare la misura in questione nella fattispecie è semplicemente irrilevante. Questa non è la finalità del criterio dell’investitore privato. Piuttosto, emerge chiaramente dalla giurisprudenza che il suo scopo è di confrontare la situazione dell’impresa pubblica con quella dell’impresa privata e non di confrontare i costi dello Stato per due differenti operazioni.

107. Al riguardo, il punto 262 della sentenza impugnata indica che «al pari di ogni creditore proprietario di una società, lo Stato può rinunciare ad un credito convertendolo in capitale per un importo equivalente. Tale operazione, con la quale il proprietario di una società ne aumenta il capitale rinunciando ad un credito maturato nei suoi confronti, costituisce una compensazione che anche un investitore privato avveduto è in grado di effettuare in condizioni normali di mercato». All’udienza la Corte di giustizia ha pertanto chiesto se, nell’ipotesi in cui un’impresa privata abbia costituito accantonamenti contabili al fine di rimborsare un credito nei confronti del suo unico azionista e che quest’ultimo decida di rinunciare al suo credito in modo da aumentare il capitale dell’impresa, tale operazione dia luogo a tassazione ai sensi dell’art. 38, n. 2, del code général des impôts. La Commissione ha replicato che è pacifico che l’importo dell’aumento di capitale non sarebbe mai lo stesso, in quanto l’ammontare dell’imposta non potrebbe mai essere recuperato da un operatore privato (che dovrebbe versare l’imposta e non potrebbe convertirla in capitale), mentre qui lo Stato francese era in grado di reimmettere il medesimo importo.

108. Sembra quindi che, da un lato del confronto, il Tribunale abbia considerato il «possibile» comportamento dello Stato francese – ossia, lo schema lungo (in contrapposizione al comportamento effettivamente adottato dallo Stato) – mentre, dall’altro, abbia omesso di definire un operatore privato di riferimento che potrebbe esistere sul mercato.

109. Tuttavia, come è ora chiaro, secondo la giurisprudenza consolidata un conferimento di capitale da parte dello Stato o di autorità pubbliche non può essere considerato un aiuto di Stato quando un investitore privato operante nelle normali condizioni di un’economia di mercato avrebbe effettuato l’investimento (47). Al riguardo, occorre valutare se, in circostanze analoghe, un investitore privato di dimensioni paragonabili a quelle dell’ente pubblico in questione avrebbe effettuato conferimenti di capitali di simile entità (48).

110. E, come risulta dalle considerazioni che precedono, nella presente causa è chiaro che un’impresa privata non avrebbe potuto convertire in capitale i fondi messi da parte come accantonamenti contabili senza prima sostenere l’imposta sulle società. Di conseguenza, l’investitore privato non avrebbe più a sua disposizione l’importo soggetto a tassazione e quindi non avrebbe a sua disposizione l’importo presumibilmente utilizzato per il conferimento di capitale complementare, che lo Stato francese – nell’esercizio delle sue prerogative – è stato in grado di «investire».

111. A tal riguardo, è pertinente fare riferimento alla sentenza Chronopost I (49), in quanto, a mio parere, in quella sentenza in sostanza la Corte ha adottato l’approccio che si impone nella presente causa. Nella sentenza Chronopost I la Corte ha ritenuto che non fosse appropriato confrontare la situazione di La Poste con quella dell’investitore privato.

112. In particolare, anche in quella causa il Tribunale aveva ammesso l’applicazione del criterio dell’investitore privato, mentre successivamente la Corte l’ha respinta. Ciò era necessario in quanto La Poste era in una situazione molto particolare: doveva mantenere una rete di uffici postali al fine di fornire servizi di interesse economico generale, e un investitore privato – non operante in un settore riservato – non si troverebbe mai nella medesima situazione.

113. Conseguentemente dalla sentenza Chronopost I discende che, quando un operatore pubblico è posto in una situazione in cui, per definizione, non si potrebbe trovare un operatore privato, non sussiste alcunché da confrontare. A mio parere, nella causa Chronopost I si trattava di stabilire l’importo della compensazione dovuta per un servizio pubblico e non si trattava di una controversia riguardante direttamente il criterio dell’investitore privato in quanto tale. Tuttavia, quella sentenza è pertinente nella presente causa e dovrebbe essere applicata in via analogica.

114. Ritengo pertanto che il Tribunale abbia applicato in maniera errata detta giurisprudenza laddove, al punto 278 della sentenza impugnata, fondandosi sul punto 38 della sentenza Chronopost I, ha concluso che «la mancanza di un investitore privato di riferimento non esclude che l’operazione debba essere esaminata alla luce delle “condizioni normali del mercato” che, essendo necessariamente ipotetiche, devono valutarsi con riferimento agli elementi obiettivi e verificabili che sono disponibili».

115. È utile innanzitutto leggere le conclusioni dell’avvocato generale Tizzano relative alla sentenza Chronopost I, che sono state seguite dalla Corte. Al paragrafo 47 l’avvocato generale spiega che «“in normali condizioni di mercato” un’impresa privata che non fosse tenuta a mantenere una rete postale pubblica comparabile a quella di La Poste per garantire la fornitura del servizio postale universale (…) non disporrebbe di una siffatta rete postale e non potrebbe quindi fornire ad una sua controllata un’assistenza logistica del tipo di quella in causa. Domandando alla Commissione di valutare la contropartita che per una tale assistenza avrebbe richiesto un’ipotetica società finanziaria (…) che non fosse tenuta ad assicurare la fornitura del servizio postale universale, e non beneficiasse pertanto di un settore riservato, il Tribunale ha di conseguenza accolto un’errata interpretazione dell’art. 87 CE, perché ha assunto come benchmark per l’individuazione di eventuali aiuti di Stato un operatore privato che in realtà “in normali condizioni di mercato” non esisterebbe affatto». Al paragrafo 45 l’avvocato generale conclude che «il Tribunale ha (…) chiesto alla Commissione di applicare un test chiaramente irrealistico, e per questo motivo inidoneo ad individuare in una simile fattispecie l’eventuale sussistenza di un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87 CE».

116. È chiaro che nella causa Chronopost I il criterio dell’investitore privato non rilevava. La Corte ha concordato con detta analisi e questo è precisamente il motivo per cui la Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse commesso un errore ed ha rifiutato di applicare il criterio dell’investitore privato in quel caso. Infatti, al punto 33 della suddetta sentenza la Corte ha affermato che la «valutazione [del Tribunale] [basata sull’applicazione del criterio dell’investitore privato], che non tiene conto del fatto che un’impresa come La Poste si trova in una situazione molto diversa da quella di un’impresa privata operante in condizioni normali di mercato, è inficiata da un errore di diritto».

117. Questa è la ragione per cui, in un certo senso, l’approccio adottato dalla Corte in quella controversia affronta la medesima questione che è al centro della presente impugnazione: l’esigenza di escludere dall’ambito di applicazione del criterio dell’investitore privato le situazioni in cui non vi è alcun reale operatore privato con cui confrontare il comportamento dello Stato.

118. Questa è la ragione per cui il criterio applicato nella sentenza impugnata non può essere accolto, dato che si fonda su un cumulo di finzioni riguardanti il reale comportamento dello Stato e dell’investitore privato standard. Entrambi gli elementi del paragone – il comportamento dello Stato, da un lato, e il comportamento dell’investitore privato, dall’altro – sono alterati nella misura in cui ciò che è in questione non è più un confronto del comportamento effettivo dello Stato con quello di un reale investitore privato operante in un’economia di mercato.

119. Ne consegue che il criterio dell’investitore privato così come configurato dal Tribunale risulta privo di senso. Secondo la versione del criterio accolta dal Tribunale, le «normali» condizioni di mercato non sono più valutate sulla base di elementi reali che caratterizzerebbero un investitore privato di riferimento corrispondente ad un investitore standard sul mercato (che il Tribunale non ha definito); né sono valutate alla luce dei mezzi utilizzati per fornire il capitale, ma solo sulla base di considerazioni meramente ipotetiche. Per contro, il criterio dell’investitore privato esige in maniera evidente di verificare se un investitore privato avrebbe effettuato l’investimento in questione alle medesime condizioni. Come osservato dalla Commissione, investimenti differenti possono comportare costi differenti e prospettive di redditività differenti.

120. Infine, secondo il punto 249 della sentenza impugnata «la Commissione era tenuta a verificare se un investitore privato avrebbe proceduto ad un investimento simile in circostanze analoghe, indipendentemente dalla forma dell’intervento dello Stato per aumentare il capitale della EDF e dall’eventuale uso di risorse fiscali a tal fine, ciò per verificare la razionalità economica di tale investimento e paragonarlo al comportamento che avrebbe avuto un simile investitore nei confronti della stessa impresa nelle medesime circostanze».

121. Infatti, in accordo con l’analisi del Tribunale, la EDF sostiene sostanzialmente che tutti i comportamenti dello Stato dovrebbero essere valutati attraverso il prisma della redditività (50).

122. Tuttavia, come osservato dalla Iberdrola, se contasse solo la logica economica dell’investimento dello Stato, alle imprese pubbliche sarebbe consentito godere di vantaggi in base allo status dei loro proprietari, in quanto lo Stato investitore sarebbe intrinsecamente in una situazione diversa da quella dell’investitore privato. Secondo tale analisi, le imprese pubbliche potrebbero in definitiva essere completamente esentate dalle imposte.

123. Al riguardo, come il Tribunale ha giustamente affermato nella sentenza Westdeutsche Landesbank (51), nell’applicazione del principio dell’investitore privato non bastava paragonare il rendimento che il Land otteneva dalla transazione controversa con quello che otteneva per il patrimonio della Wohnungsbauförderungsanstalt des Landes Nordrhein-Westfalen prima di questa transazione, in quanto tale patrimonio non era soggetto alla logica di un investitore privato. Occorreva paragonare il rendimento ottenuto dal Land grazie alla transazione controversa con il rendimento che un investitore privato ipotetico avrebbe chiesto per quella transazione (52). Il fatto che la transazione controversa fosse ragionevole per il Land non lo esonerava dall’applicazione del diritto comunitario degli aiuti di Stato. Tale circostanza non eliminava la necessità di sapere se tale operazione rafforzasse la posizione della Westdeutsche Landesbank dandole un vantaggio che essa non avrebbe ottenuto in normali condizioni di mercato.

124. Infatti, se si dovesse seguire l’approccio del Tribunale, gli Stati membri potrebbero procedere sulla base di un calcolo complessivo di opportunità economica, nel cui contesto sarebbe loro consentito far uso delle loro prerogative di pubbliche autorità. Ad esempio, nella presente causa, la Repubblica francese potrebbe esercitare il proprio potere di ordine fiscale a beneficio della EDF se – valutata nel complesso – l’operazione potesse essere configurata come un comportamento razionale per un operatore che agisce a scopo di lucro.

125. Tuttavia, è questo tipo di valutazione complessiva della razionalità economica che è stato censurato dalla Corte nelle sentenze Hytasa e Gröditzer (53). Come sottolineato dalla Iberdrola, quelle cause riguardavano la possibilità per la Germania e la Spagna di essere autorizzate a sfruttare la ratio delle misure in questione (in sostanza, aumenti di capitale), in considerazione degli obblighi che incombono loro come autorità pubbliche in caso di liquidazione dell’impresa beneficiaria, obblighi relativi ad esempio al pagamento di sussidi di disoccupazione. La Corte ha censurato un tale controllo complessivo della ratio perché coinvolgeva atti di esercizio dei pubblici poteri. La Corte ha sottolineato l’incompatibilità tra la stima del fondamento specifico del criterio dell’investitore privato, da un lato, e la presa in considerazione dei vantaggi e degli oneri risultanti dai poteri e dagli obblighi specifici dello Stato, dall’altro.

126. Al riguardo, contrariamente a quanto affermato ai punti 256 e segg. della sentenza impugnata e agli argomenti avanzati dalla EDF, il fatto che le sentenze Hytasa e Gröditzer riguardavano «obblighi» dello Stato soltanto, e non – come nella presente causa – i poteri esistenti a suo proprio beneficio, non ha incidenza sul fatto che gli obblighi – ma altresì i diritti – che lo Stato può avere come autorità pubblica non devono mai essere considerati congiuntamente a quelli che lo Stato ha come investitore.

127. Di conseguenza, come risulta chiaramente dall’art. 258 della sentenza impugnata, il Tribunale può incorrere in un tale errore solo facendo prevalere ancora una volta il presunto obiettivo della misura in questione rispetto all’esclusività insormontabile dei diritti necessari per attuarla. Tuttavia, né nella sentenza Hytasa né nella sentenza Gröditzer la Corte ha tenuto conto degli obiettivi di redditività complessiva invocati dai due Stati membri, avendo negato la rilevanza di tali obiettivi nella logica di un investitore: la natura delle misure era di per sé sufficiente ad escluderle dal calcolo di razionalità invocato dagli Stati membri.

128. Infine, come osservato dalla Commissione, l’approccio del Tribunale è paradossale in particolare perché è introdotto nel contesto della liberalizzazione del mercato considerato. Dato che l’esenzione fiscale rappresenta un notevole vantaggio per l’impresa pubblica in questione, è chiaro come una tale misura tenda chiaramente a perpetuare la sua posizione dominante, a dispetto della liberalizzazione del mercato.

129. Da tutte le considerazioni che precedono risulta che la seconda parte del secondo motivo di impugnazione deve essere accolta.

3.      Sulla terza parte del secondo motivo di impugnazione: il principio della parità di trattamento

130. In sostanza, la Commissione e la Iberdrola sostengono che la sentenza impugnata ha violato il principio di parità di trattamento tra imprese pubbliche e private, consentendo così allo Stato di accordare un trattamento fiscale più favorevole, anche a quelle società di cui lo Stato non è azionista unico. La EDF e il governo francese chiedono che la terza parte del secondo motivo venga respinta.

131. Ricordo che il criterio dell’investitore privato riflette il principio della parità di trattamento e, pertanto, come ha rilevato la Commissione, consentendo allo Stato di accordare esenzioni fiscali ad imprese di cui è proprietario al 100% – fintanto che la loro redditività è sufficiente – il Tribunale accorda in effetti a dette imprese un vantaggio dal punto di vista fiscale.

132. A mio parere ciò equivale ad una violazione del principio della parità di trattamento e non può essere conciliato con l’obiettivo del criterio dell’investitore privato. È chiaro che il criterio così come concepito dal Tribunale provocherebbe inevitabilmente una distorsione della concorrenza tra imprese pubbliche e private e, di conseguenza, il fatto che lo strumento utilizzato debba essere accessibile anche all’investitore privato non ha un valore meramente accessorio: tale questione tocca l’essenza del principio dell’investitore privato in un’economia di mercato. Conseguentemente, ritengo che il criterio così come concepito dal Tribunale sia incompatibile con l’art. 295 CE, in combinato disposto con l’art. 87 CE. In particolare, l’applicazione di quel criterio sovvertirebbe la logica intrinseca del principio di neutralità consacrato dall’art. 295 CE (54).

133. Infatti, secondo il Tribunale, dato che la natura del credito è ininfluente, tutti i vantaggi fiscali concessi dallo Stato attraverso l’esercizio della sua autorità pubblica dovrebbero essere valutati alla luce di detto principio, approccio questo che diventerebbe un mezzo per escludere dal concetto di aiuto di Stato delle misure che un investitore privato non sarebbe in grado di adottare.

134. Come sottolineato dalla Iberdrola, il principio secondo cui le attività dello Stato in qualità di azionista dovrebbero essere tenute strettamente separate dalle attività intraprese dallo Stato come autorità pubblica corrisponde in sostanza alla medesima idea di fondo che ha condotto la Corte a ritenere che il fatto che un’impresa dominante abbia agito, al contempo, sia come titolare di diritti speciali sia come operatore economico creasse un rischio di conflitto di interessi in violazione degli art. 82 e 86 CE. Un sistema di concorrenza non falsata, come quello previsto dal Trattato, può essere garantito solo se sono garantite pari opportunità tra i vari operatori economici (55). Analogamente, la Corte ha affermato che una misura statale costituisce una violazione degli art. 86, n. 1, CE e 82 CE quando determina una disparità di opportunità tra gli operatori economici, e quindi una concorrenza falsata (56). A mio parere, pertanto, il criterio dell’investitore privato non dovrebbe permettere alle imprese pubbliche di effettuare operazioni in condizioni che sono più favorevoli rispetto a quelle applicabili alle imprese private o di effettuare operazioni che le imprese private non sarebbero mai in grado di intraprendere. Infatti, non si deve dimenticare che, nella presente causa, lo Stato avrebbe potuto adottare altrettanto facilmente un atteggiamento paragonabile a quello di un investitore privato (v. supra, paragrafo 77).

135. Come risulta evidente dalle considerazioni che precedono, ritengo che, all’evidenza, il principio dell’investitore privato in un’economia di mercato non debba essere applicabile nel caso di un’esenzione fiscale.

136. Infine, sebbene prima facie il Tribunale sembri tentare di limitare la portata della propria sentenza all’ipotesi di un’impresa in cui lo Stato è l’unico azionista, non credo sia possibile distinguere nella logica alla base della sentenza le ragioni di tale limitazione. Al contrario, come osservato dalla Commissione, una volta che vi sono degli azionisti privati accanto allo Stato, l’applicazione del criterio dell’investitore privato diviene ancor più plausibile, in quanto il comportamento degli altri azionisti può spesso diventare un valido punto di riferimento.

137. Occorre conseguentemente accogliere la terza parte del secondo motivo d’impugnazione.

4.      Sulla quarta parte del secondo motivo d’impugnazione: l’onere della prova

138. La Commissione, la Iberdrola e l’Autorità sostengono che il Tribunale ha violato le regole che presiedono alla ripartizione dell’onere della prova in relazione all’applicabilità del criterio dell’investitore privato. Secondo la EDF e il governo francese la quarta parte del secondo motivo deve essere respinta.

139. In primo luogo, vorrei sottolineare che il Tribunale precisa ai punti 248, 249 e 250 della sentenza impugnata che ricade sulla Commissione l’onere di provare che l’operazione in questione soddisfaceva il criterio dell’investitore privato. Infatti, al punto 278, il Tribunale rimprovera persino alla Commissione di «non [aver] dimostrato l’assenza di un investitore privato di riferimento al quale confrontare (…) l’investitore pubblico». Mentre concordo con la EDF che la Commissione è tenuta ad effettuare un esame diligente ed imparziale del fascicolo, ritengo che certamente ciò non significa che la Commissione debba compiere una valutazione dell’esenzione fiscale alla luce del criterio dell’investitore privato semplicemente perché lo Stato membro ha «menzionato» quel principio dopo 18 mesi d’indagine. Non si tratta evidentemente di una questione relativa al criterio dell’investitore privato che dipende dalla cooperazione dello Stato membro.

140. È chiaro che spetta alla Commissione stabilire che il supporto finanziario concesso dallo Stato soddisfa obiettivamente tutte le condizioni necessarie per qualificarlo come aiuto di Stato. Tuttavia, rimane il fatto che, una volta che la Commissione lo ha stabilito, spetta allo Stato dimostrare che ha agito nello stesso modo di un investitore privato razionale. Come sottolineato dall’Autorità, l’applicazione del criterio dell’investitore privato serve a confutare la conclusione che il sostegno concesso era un aiuto di Stato. Di conseguenza, spetta allo Stato in questione apportare le prove contrarie.

141. Infatti, nella sentenza Freistaat Thüringen/Commissione (57), in sostanza il Tribunale ha giustamente affermato che, una volta che tutte le condizioni di esistenza di un aiuto di Stato sono soddisfatte, spetta allo Stato membro «invoca[re] (…) elementi diretti a provare che la concessione del finanziamento in questione era stata conforme al comportamento di un investitore privato in economia di mercato».

142. Dopotutto, è logico che lo Stato membro che si fonda su questo argomento debba sopportare l’onere di provare che sono soddisfatte le condizioni del criterio dell’investitore privato. È altresì evidente che lo Stato membro e l’impresa beneficiaria sono le uniche parti che hanno a loro disposizione i dati economici e contabili che dimostrano la natura e le caratteristiche di un dato investimento.

143. Ad ogni modo, questo si impone a fortiori qualora il comportamento che lo Stato membro ritiene confacente al criterio dell’investitore privato sembra sin dall’inizio implicare l’esercizio del potere pubblico.

144. Dai documenti presentati alla Corte risulta che durante il procedimento amministrativo le autorità francesi non hanno prodotto alcuna prova adeguata e specifica a sostegno della loro tesi secondo cui lo Stato francese aveva agito come un investitore privato razionale. Infatti, le autorità francesi hanno semplicemente addotto che il conferimento di capitale era giustificato sulla base delle prospettive di redditività, senza fornire alcuna prova in tal senso. Contrariamente a quanto sostenuto dalla EDF, pertanto, in considerazione delle circostanze della presente causa e dato che, mentre l’onere della prova ricadeva sullo Stato membro, le autorità francesi non hanno fornito la minima prova specifica, la Commissione aveva diritto di non applicare il criterio dell’investitore privato, in particolare nelle circostanze della presente causa, dove lo Stato ha esercitato i propri poteri pubblici.

145. Ne discende che il Tribunale è incorso in errore di diritto, in quanto non ha rispettato le regole sulla ripartizione dell’onere della prova.

146. Infatti, come osservato dall’Autorità, l’inversione dell’onere della prova compiuta dal Tribunale pone la Commissione in una posizione difficile. Di norma, la Commissione non può conoscere le circostanze precise del sostegno fornito dallo Stato ad un’impresa, a meno che non sia informata di tali circostanze dallo Stato in questione. Tutti gli argomenti rilevanti – e, in particolare, i fatti e le prove sottostanti – devono essere forniti dallo Stato. Se la Commissione non è in possesso di tutti gli elementi fattuali necessari, deve poter adottare una decisione alla luce delle informazioni a sua disposizione.

147. Inoltre, concordo con la Commissione sul fatto che la mancanza di prove che dimostrino che l’esenzione fiscale in questione avrebbe dovuto essere considerata un investimento in relazione al quale lo Stato aveva valutato le prospettive di redditività prima di impegnarsi, come avrebbe fatto qualsiasi investitore privato, rivela un altro errore di diritto.

148. Infatti, come ha ricordato la Corte nella sentenza Commissione/Scott (58), «la legittimità di una decisione in materia di aiuti di Stato deve essere valutata dal giudice dell’[Unione] alla luce delle informazioni di cui la Commissione poteva disporre quando l’ha adottata».

149. Tuttavia, al tempo dell’adozione della decisione impugnata nella presente causa, la Commissione non aveva a sua disposizione prove che dimostrassero la rilevanza del criterio dell’investitore privato o che detto criterio fosse stato soddisfatto. Pertanto, rimproverare alla Commissione di non aver valutato l’esenzione fiscale alla luce del criterio dell’investitore privato equivale a criticarla per non aver preso in considerazione informazioni di cui non disponeva.

150. Infine, si deve rilevare che, nel corso del procedimento amministrativo, le autorità francesi non hanno fornito alcuna prova obiettiva a sostegno della loro tesi secondo cui il criterio dell’investitore privato era applicabile. Non hanno fornito alcuna relazione, perizia o studio interno dimostrante che vi era stata una valutazione della redditività. Infatti, anche quando il Tribunale ha chiesto di produrre una tale relazione, la relazione successivamente presentata era stata effettuata a posteriori: in altre parole, le autorità francesi non disponevano di alcuna relazione risalente all’epoca del presunto investimento. Ne consegue che lo Stato francese sembra aver investito EUR 888,89 milioni in un’impresa senza aver condotto alcuna analisi preliminare o aver redatto ex ante un piano aziendale, pur sostenendo ancora che il suo comportamento dovrebbe essere considerato paragonabile a quello di un avveduto investitore privato operante in un’economia di mercato.

151. Ne consegue che anche la quarta parte del secondo motivo deve essere accolta e che, di conseguenza, il secondo motivo d’impugnazione deve essere accolto integralmente.

5.      Sulle conseguenze dell’annullamento

152. Conformemente all’art. 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, quest’ultima, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta, oppure rinviare la causa al Tribunale affinché sia decisa da quest’ultimo.

153. Nella presente causa, il Tribunale non ha valutato tutti i motivi sollevati dalla EDF. È pertanto opportuno rinviare la causa al Tribunale affinché la riesamini e riservare la decisione sulle spese dell’impugnazione.

154. Tuttavia, resta il fatto che la Corte stessa può statuire definitivamente su una questione, qualora lo stato degli atti lo consenta. A mio parere, la Corte ha ora a sua disposizione tutte le informazioni necessarie per statuire sul merito della terza parte del secondo motivo sollevato dalla EDF in primo grado, in cui la EDF sosteneva in sostanza che le misure in questione avrebbero dovuto essere qualificate come un conferimento di capitale ed essere analizzate nel contesto complessivo del chiarimento dei rapporti finanziari tra lo Stato e la EDF, sostenendo così che lo Stato aveva agito come un avveduto investitore privato in un’economia di mercato. Da tutte le considerazioni che precedono discende tuttavia che la terza parte del secondo motivo deve essere respinta.

V –    Conclusioni

155. Per tutte le ragioni sopra esposte propongo alla Corte di:

–        annullare la sentenza del Tribunale dell’Unione europea (Terza sezione) 15 dicembre 2009, causa T‑156/04, EDF/Commissione, laddove ha annullato gli artt. 3 e 4 della decisione della Commissione adottata il 16 dicembre 2003 (C 68/2002, N 504/2003 e C 25/2003) relativa agli aiuti di Stato in favore della EDF e del settore delle industrie dell’elettricità e del gas;

–        rinviare la causa al Tribunale per un nuovo esame;

–        riservare le spese dell’impugnazione.


1 –      Lingua originale: l’inglese.


2 –      Sentenza del 15 dicembre 2009, causa T‑156/04, EDF/Commissione (Racc. pag. II‑4503; in prosieguo: la «sentenza impugnata»).


3 –      Decisione (C 68/2002, N 504/2003 e C 25/2003) adottata il 16 dicembre 2003 (in prosieguo: la «decisione impugnata»).


4 –      Legge 10 novembre 1997 recante misure urgenti a carattere fiscale e finanziario (JORF 11 novembre 1997, pag. 16387).


5 –      Sentenza 1° giugno 1994, causa C‑136/92 P, Commissione/Brazzelli Lualdi e a. (Racc. pag. I‑1981, punto 66).


6 –      V., inter alia, sentenza 2 marzo 1994, causa C‑53/92 P, Hilti/Commissione (Racc. pag. I‑667, punto 42).


7 –      V. sentenza 15 giugno 2000, causa C‑237/98 P, Dorsch Consult/Consiglio e Commissione (Racc. pag. I‑4549, punti 35 e 36).


8 –      V. conclusioni dell’avvocato generale Tesauro presentate il 5 giugno 1997, relative alla sentenza 16 settembre 1997, causa C‑362/95 P, Blackspur DIY e a./Consiglio e Commissione (Racc. pag. I‑4775, paragrafo 32).


9 –      V. anche sentenza Hilti/Commissione, cit. alla nota 6 (punto 42).


10 –      V. conclusioni dell’avvocato generale Sharpston presentate il 14 maggio 2009, relative alla sentenza 1° ottobre 2009, causa C‑141/08 P, Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware/Consiglio (Racc. pag. I‑9147, paragrafo 72).


11 –      Sentenza 15 marzo 1994, causa C‑387/92, Banco Exterior de España (Racc. pag. I‑877, punto 14). V. altresì sentenza 19 maggio 1999, causa C‑6/97, Italia/Commissione (Racc. pag. I‑2981, punto 16).


12 –      V. relazione «Migaud» effettuata a nome della Commission des finances, de l’économie générale et du plan dell’Assemblea nazionale, allegata alla richiesta della Commissione, pagg. 79-81, che riporta la discussione sull’emendamento «De Courson». Infatti, la discussione su questo emendamento mostra che i membri principali della commissione (e in particolare il presidente e il relatore generale) ritenevano che la disposizione da adottare dovesse comportare il pagamento da parte della EDF dell’imposta sulle società sull’ammontare degli accantonamenti trasformati in capitale.


13 –      V. comunicazione della Commissione agli Stati membri – Applicazione degli articoli 92 e 93 [CEE] e dell’articolo 5 della direttiva della Commissione 80/723/CEE alle imprese pubbliche dell’industria manifatturiera (GU 1993, C 307, pag. 3), punto 11.


14 –      Sentenza 9 giugno 2011, cause riunite C‑71/09 P, C‑73/09 P e C‑76/09 P, Comitato «Venezia vuole vivere»/Commissione (Racc. pag. I‑4727, punto 94 e giurisprudenza ivi citata).


15 –      V. conclusioni dell’avvocato generale Tizzano presentate il 28 ottobre 2004, relative alla sentenza 3 marzo 2005, causa C‑172/03, Heiser (Racc. pag. I‑1627, paragrafo 45).


16 –      Sentenza 19 gennaio 1994, causa C‑364/92 (Racc. pag. I‑43).


17 –      V. conclusioni dell’avvocato generale Léger presentate il 19 marzo 2002, relative alla sentenza 24 luglio 2003, causa C‑280/00, Altmark Trans e Regierungspräsidium Magdeburg (Racc. pag. I‑7747, paragrafo 77; in prosieguo: «Altmark»).


18 –      Sentenza 22 dicembre 2008, causa C‑487/06, British Aggregates/Commissione (Racc. pag. I‑10515, punto 111).


19 –      V., inter alia, sentenza 16 maggio 2000, causa C‑83/98 P, Francia/Ladbroke Racing e Commissione (Racc. pag. I‑3271, punto 25).


20 –      Sentenza 3 luglio 2003, cause riunite C‑83/01 P, C‑93/01 P e C 94/01 P, Chronopost e a./Ufex e a. (Racc. pag. I‑6993, punto 128; in prosieguo: «Chronopost I»).


21 –      La EDF fa riferimento alle conclusioni dell’avvocato generale Tizzano presentate il 9 febbraio 2006, relative alla sentenza 1° giugno 2006, cause riunite C‑442/03 P e C‑471/03 P (Racc. pag. I‑4845, paragrafo 87).


22 –      Sentenza 3 marzo 2010, causa T‑163/05 (Racc. pag. II‑387).


23 –      Sentenza 17 dicembre 2008, causa T‑196/04 (Racc. pag. II‑3643).


24 –      V., in tal senso, sentenza 12 dicembre 2000, causa T‑128/98, Aéroports de Paris/Commissione (Racc. pag. II‑3929, punti 107-109, 121, 122 e 125).


25 –      E in generale attraverso misure regolamentari. V. inter alia Hancher, L., Ottervanger, T., e Slot, P.J., EC State Aids, Sweet & Maxwell, 2006, pag. 74; Jaeger, Th., Beihilfen durch Steuern und parafiskalische Abgaben, NWV, 2006, paragrafo 195; Mamut, M.-A., «Privatinvestorgrundsatz und Steuerbeihilfen», in Jaeger (cur.), Jahrbuch Beihilferecht 09, pag. 341; e Haslehner, W., «Die Anwendbarkeit des Privatinvestorentests bei Steuerbeihilfen», in Jaeger (cur.), Jahrbuch Beihilferecht 2011, NWV, 2011, pag. 273.


26 –      Sentenza 29 aprile 1999, causa C 342/96, Spagna/Commissione (Racc. pag. I‑2459, punto 46).


27 –      Sentenza 14 settembre 1994, cause riunite da C‑278/92 a C‑280/92 (Racc. pag. I‑4103, punto 22). V. altresì sentenza 21 gennaio 1999, cause riunite T‑129/95, T‑2/96 e T‑97/96, Neue Maxhütte Stahlwerke e Lech-Stahlwerke/Commissione (Racc. pag. II‑17, punto 119) e decisione della Commissione 10 maggio 2007, 2008/722/CE relativa all’aiuto di Stato C 2/06 (ex N 405/05) al quale la Grecia intende dare esecuzione a favore del piano di prepensionamento volontario dell’OTE (GU 2008, L 243, pag. 7), punti 85 e 86.


28 –      Sentenza 28 gennaio 2003, causa C‑334/99 (Racc. pag. I‑1139, punti 133 e 134).


29 –      Sentenza 16 maggio 2002, causa C‑482/99, Francia/Commissione (Racc. pag. I‑4397, punto 70; in prosieguo: «Stardust Marine»).


30 –      Conclusioni presentate il 14 gennaio 2003, relative alla sentenza Altmark, cit. alla nota 17 (paragrafi 20-27).


31 –      Cit. alla nota 23 (punto 85) (il corsivo è mio).


32 –      Sentenza 6 marzo 2003, cause riunite T‑228/99 e T‑233/99 (Racc. pag. II‑435; in prosieguo: «Westdeutsche Landesbank»).


33 –      Sentenza 11 settembre 2003, causa C‑207/01, Altair Chimica (Racc. pag. I‑8875, punto 35).


34 –      Sentenza 19 febbraio 2002, causa C‑309/99, Wouters e a. (Racc. pag. I‑1577, punto 57).


35 –      Fa riferimento alla sentenza C‑342/96, Spagna/Commissione, cit. alla nota 26 (punto 46), e alla sentenza 29 giugno 1999, causa C‑256/97, DM Transport (Racc. pag. I‑3913).


36 –      V., in tal senso, le sentenze C‑342/96, Spagna/Commissione, cit. alla nota 26 (punto 46), e DM Transport, cit. alla nota 35 (punto 24). V. altresì le conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro presentate il 1° aprile 2004, relative alla sentenza 14 settembre 2004, causa C‑276/02, Spagna/Commissione (Racc. pag. I‑8091, paragrafi 24 e 25), e la sentenza 11 luglio 2002, causa T‑152/99, HAMSA/Commissione (Racc. pag. II‑3049), dove la conversione in capitale del debito dell’impresa verso lo Stato è stata valutata in base al criterio dell’investitore privato, anche se il Tribunale ha osservato che il corretto metro di paragone era il creditore privato.


37 –      V. decisione della Commissione 20 ottobre 2005, 2006/900/CE, relativa all’aiuto di stato al quale la Finlandia ha dato esecuzione in forma di aiuto all’investimento in favore di Componenta Oyj (GU 2006, L 353, pag. 36, punto 26) (non si deve confondere il ruolo della città come autorità pubblica e il ruolo che le compete come comproprietaria della società), e decisione della Commissione 30 aprile 2008, 2008/719/CE, relativa all’aiuto di Stato C 56/06 (ex NN 77/06) al quale l’Austria ha dato esecuzione per la privatizzazione di Bank Burgenland (GU L 239, pag. 32): la Commissione ha respinto l’argomento addotto dall’Austria, sottolineando che gli obblighi ai sensi del diritto pubblico non dovrebbero essere confusi con l’esame dei comportamenti dello Stato in qualità di investitore, ma ha osservato che la situazione sarebbe stata differente se lo Stato avesse prestato il medesimo tipo di garanzia attraverso un contratto di garanzia di diritto privato.


38 –      Rispettivamente sentenze 10 luglio 1986, causa 234/84, Belgio/Commissione (Racc. pag. 2263), e causa 40/85, Belgio/Commissione (Racc. pag. 2321).


39 –      Conclusioni presentate l’11 luglio 1984, relative alla sentenza 14 novembre 1984, causa 323/82 (Racc. pag. 3809, in particolare pag. 3842).


40 –      V. Khan, N., e Borchardt, K.-D., «The private market investor principle: reality check or distorting mirror?», EC State aid law – Le droit des aides d’État dans le CE: liber amicorumFrancisco Santaolalla Gadea, Kluwer, 2008, pag. 115.


41 –      Acta iure gestionis, in quanto le misure in questione miravano a «normalizzare» i conti di un’impresa, nella fattispecie, il bilancio della EDF (v. supra paragrafo 6) e acta iure imperii, poiché la ristrutturazione del bilancio della EDF era stata «decisa e comunicata alla EDF» dalle autorità francesi in base ad una legge adottata a tal scopo (v. supra paragrafi 6-8).


42 –      Il corsivo è mio. V. sentenza 9 novembre 1995, causa C‑91/94, Tranchant (Racc. pag. I‑3911, punto 18 e la giurisprudenza ivi citata).


43 –      Cit. alla nota 17 (punti 89, 90 e 93).


44 –      Sentenza 15 dicembre 2005, causa C‑148/04, Unicredito Italiano (Racc. pag. I‑11137, punto 114).


45 –      Sentenza 1° luglio 2010, causa T‑335/08 (Racc. pag. II‑3323, punto 169).


46 –      Sentenza 17 luglio 2008, causa C‑206/06, Essent Netwerk Noord e a. (Racc. pag. I‑5497, punti 89 e 90 e giurisprudenza ivi citata).


47 –      V., inter alia, sentenze 21 marzo 1991, causa C‑303/88, Italia/Commissione (Racc. pag. I‑1433, punti 20-24; in prosieguo: «ENI-Lanerossi»); 21 marzo 1991, causa C‑305/89, Italia/Commissione (Racc. pag. I‑1603, punti 19-20; in prosieguo: «Alfa Romeo»), e 8 maggio 2003, cause riunite C‑328/99 e C‑399/00, Italia e SIM 2 Multimedia/Commissione (Racc. pag. I‑4035, punto 38).


48 –      V. sentenze Alfa Romeo, cit. alla nota 47 (punto 19); 29 giugno 2000, causa T‑234/95, DSG/Commissione (Racc. pag. II‑2603, punto 119); 12 dicembre 2000, causa T‑296/97, Alitalia/Commissione (Racc. pag. II‑3871, punto 96), e Westdeutsche Landesbank, cit. alla nota 32 (punto 245).


49 –      Cit. alla nota 20.


50 –      La EDF fa riferimento alla causa 234/84, Belgio/Commissione, cit. alla nota 38 (punto 14), e alla sentenza Italia e SIM 2 Multimedia/Commissione, cit. alla nota 47 (punto 38).


51 –      Cit. alla nota 32 (punti 313-315).


52 –      V. in tal senso sentenza DM Transport, cit. alla nota 35 (punto 25).


53 –      Cit., rispettivamente, alla nota 27 (punto 22), e alla nota 28 (punto 134).


54 –      V. sentenze 6 luglio 1982, cause riunite da 188/80 a 190/80, Francia e a./Commissione (Racc. pag. 2545, punto 21), e Westdeutsche Landesbank, cit. alla nota 32 (punti 192-194).


55 –      V. sentenza 1° luglio 2008, causa C‑49/07, MOTOE (Racc. pag. I‑4863, punti 48 e segg. e punto 51).


56 –      V. sentenza 22 maggio 2003, causa C‑462/99, Connect Austria (Racc. pag. I‑5197, punto 84).


57 –      Sentenza 19 ottobre 2005, causa T‑318/00 (Racc. pag. II‑4179, punto 180).


58 –      Sentenza 2 settembre 2010, causa C‑290/07 P (Racc. pag. I‑7763, punto 91 e la giurisprudenza ivi citata).