Language of document : ECLI:EU:T:2021:240

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Settima Sezione)

5 maggio 2021 (*)

«Aiuti di Stato – Settore postale – Compensazione per l’adempimento dell’obbligo di servizio universale – Decisione di non sollevare obiezioni – Calcolo della compensazione – Metodologia del costo evitato netto – Presa in considerazione dei vantaggi intangibili attribuibili al servizio universale – Utilizzo dei fondi concessi a titolo della compensazione – Garanzia pubblica del pagamento di indennità di licenziamento in caso di fallimento – Esenzione dall’IVA per determinate operazioni effettuate dal fornitore del servizio universale – Ripartizione contabile dei costi comuni alle attività rientranti nel servizio universale e a quelle non rientranti in esso – Conferimento di capitale da un’impresa pubblica per evitare il fallimento della sua controllata – Denuncia di un concorrente – Decisione che accerta l’insussistenza di aiuto di Stato al termine della fase di esame preliminare – Aiuto esistente – Concessione periodica di vantaggi – Imputabilità allo Stato – Criterio dell’investitore privato»

Nella causa T‑561/18,

ITD, Brancheorganisation for den danske vejgodstransport A/S, con sede in Padborg (Danimarca),

Danske Fragtmænd A/S, con sede in Åbyhøj (Danimarca),

rappresentate da L. Sandberg-Mørch, avvocata,

ricorrenti,

sostenute da

Jørgen Jensen Distribution A/S, con sede in Ikast (Danimarca), rappresentata da L. Sandberg‑Mørch e M. Honoré, avvocati,

e da

Dansk Distribution A/S, con sede in Karlslunde (Danimarca), rappresentata da L. Sandberg‑Mørch e J. Buendía Sierra, avvocati,

intervenienti,

contro

Commissione europea, rappresentata da K. Blanck e D. Recchia, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Regno di Danimarca, rappresentato da J. Nymann‑Lindegren e M. Wolff, in qualità di agenti, assistiti da R. Holdgaard, avvocato,

interveniente,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione C(2018) 3169 final della Commissione, del 28 maggio 2018, riguardante l’aiuto di Stato SA.47707 (2018/C) – Compensazioni statali concesse alla PostNord per la fornitura del servizio postale universale – Danimarca,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione),

composto da R. da Silva Passos (relatore), presidente, V. Valančius e L. Truchot, giudici,

cancelliere: P. Cullen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 ottobre 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti

1        L’ITD, Brancheorganisation for den danske vejgodstransport A/S (in prosieguo: l’«ITD»), è un’associazione professionale che raggruppa società di diritto danese attive, a livello nazionale e internazionale, sui mercati dei servizi di trasporto su strada di merci e dei servizi logistici.

2        La Danske Fragtmænd A/S è una società di diritto danese che opera, tra l’altro, sul mercato danese dei servizi di trasporto su strada e di consegna di pacchi.

3        La postloven, lov nr. 1536 (legge postale n. 1536), del 21 dicembre 2010 (Lovtidende 2010 A), come modificata, ha designato la Post Danmark A/S quale fornitore del servizio universale di consegna della posta in Danimarca. In applicazione di tale legge, il 30 maggio 2016, il Ministero dei Trasporti danese ha adottato un mandato di servizio pubblico che imponeva alla Post Danmark un obbligo di servizio universale (in prosieguo: l’«OSU») per il periodo dal 1° luglio 2016 al 31 dicembre 2019 (in prosieguo: il «mandato di servizio universale»). La Post Danmark è detenuta al 100% dalla PostNord AB, il cui capitale sociale è a sua volta detenuto al 40% dal Regno di Danimarca e al 60% dal Regno di Svezia e i cui diritti di voto nel consiglio di amministrazione sono ripartiti al 50% tra i due Stati azionisti.

4        Secondo il punto 2 del mandato di servizio universale, tale servizio deve essere fornito a livello sia nazionale che internazionale e garantito per almeno cinque giorni lavorativi alla settimana. Esso comprende i seguenti servizi:

–        la raccolta, lo smistamento, il trasporto e la consegna di invii postali di lettere, periodici (quotidiani, settimanali e mensili) e posta pubblicitaria (cataloghi e opuscoli) fino a 2 chilogrammi;

–        la raccolta, lo smistamento, il trasporto e la distribuzione di pacchi fino a 20 chilogrammi con consegna a domicilio o in un punto self‑service; gli invii di pacchi tra operatori professionali coperti da un contratto di distribuzione non sono compresi nel servizio universale;

–        i servizi relativi agli invii raccomandati e agli invii con valore dichiarato;

–        un servizio postale gratuito per le persone non vedenti, per invii fino a 7 chilogrammi di peso.

5        Per quanto riguarda in particolare l’OSU per gli invii da e verso destinazioni internazionali, il mandato di servizio universale precisa che essi sono disciplinati dalla Convenzione postale universale.

6        A partire dall’inizio degli anni 2000, il ricorso generalizzato alle comunicazioni elettroniche ha comportato una diminuzione degli invii postali di lettere, al punto che, essenzialmente per tale motivo, il fatturato della Post Danmark è calato del 38% tra il 2009 e il 2016. In tale contesto, il 23 febbraio 2017 la PostNord effettuava un aumento di capitale in favore della Post Danmark di un miliardo di corone danesi (DKK) (circa EUR 134 milioni) (in prosieguo: l’«aumento di capitale del 23 febbraio 2017»).

7        Considerando le conseguenze della digitalizzazione della corrispondenza, il Regno di Danimarca e il Regno di Svezia concludevano inoltre, il 20 ottobre 2017, un accordo relativo alla trasformazione del modello di produzione della Post Danmark (in prosieguo: l’«accordo del 20 ottobre 2017»), elaborato dalla PostNord e formalizzato in una proposta del consiglio di amministrazione di quest’ultima del 29 settembre 2017.

8        A termini dell’accordo del 20 ottobre 2017, le parti contraenti hanno concordato sulla necessità di adottare tale nuovo modello di produzione al fine di «affrontare le sfide della digitalizzazione in Danimarca» e garantire la sostenibilità economica della Post Danmark. Secondo il medesimo accordo, il nuovo modello di produzione elaborato dalla PostNord doveva basarsi su un aumento del capitale della Post Danmark e su una riduzione del personale di circa 4 000 dipendenti all’interno di quest’ultima, con costi totali stimati in circa 5 miliardi di corone svedesi (SEK) (circa EUR 491 milioni).

9        In particolare, l’attuazione del nuovo modello di produzione della Post Danmark comportava il pagamento di indennità speciali di licenziamento per ex funzionari della Post Danmark divenuti dipendenti della stessa al momento della sua trasformazione da impresa pubblica indipendente in società a responsabilità limitata. A tale proposito, l’accordo del 20 ottobre 2017 prevedeva che il Regno di Danimarca doveva compensare tali costi con un conferimento di capitale di SEK 1,533 miliardi (circa EUR 150 milioni) in favore della PostNord.

10      L’attuazione del nuovo modello di produzione della Post Danmark doveva essere effettuata con tre distinte misure, vale a dire:

–        una compensazione per la fornitura del servizio universale in Danimarca, versata dalle autorità danesi alla Post Danmark, tramite la PostNord, il cui importo sarebbe stato destinato a finanziare una parte delle indennità speciali di licenziamento di ex funzionari della Post Danmark;

–        un aumento di capitale di SEK 667 milioni (circa EUR 65 milioni) da parte del Regno di Danimarca e del Regno di Svezia in favore della PostNord;

–        un contributo interno della PostNord in favore della Post Danmark di circa DKK 2,3 miliardi (circa EUR 309 milioni).

11      Il 3 novembre 2017 le autorità danesi effettuavano la prenotifica, alla Commissione europea, della prima di queste tre misure, vale a dire la concessione di una compensazione di SEK 1,533 miliardi alla Post Danmark, tramite la PostNord, per la fornitura del servizio postale universale in Danimarca tra il 2017 e il 2019, somma destinata al finanziamento di una parte delle spese di licenziamento descritte al punto 9 supra.

12      Il 27 novembre 2017 l’ITD presentava una denuncia alla Commissione sostenendo che, con varie misure precedenti o future, le autorità danesi e svedesi avevano o avrebbero concesso aiuti di Stato illegali alla Post Danmark.

13      Secondo la denuncia, tali aiuti risultavano:

–        in primo luogo, dall’esistenza di una garanzia in base alla quale, in caso di fallimento della Post Danmark, il Regno di Danimarca si era impegnato a pagare a quest’ultima, senza contropartita, le spese relative al licenziamento degli ex funzionari, corrispondenti a tre anni di stipendio per ciascun funzionario (in prosieguo: la «garanzia in questione»);

–        in secondo luogo, da una prassi amministrativa danese che consentiva un’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto (IVA) a favore dei clienti di società di vendita per corrispondenza quando esse sceglievano di acquistare un servizio di consegna presso la Post Danmark, con conseguente aumento della domanda per quest’ultima;

–        in terzo luogo, da un’erronea ripartizione contabile, tra il 2006 e il 2013, dei costi comuni all’OSU e alle attività che non vi rientravano, la quale aveva comportato un aumento artificiale dei costi dell’OSU e una diminuzione artificiale dei costi delle attività commerciali della Post Danmark e costituiva, pertanto, un finanziamento incrociato delle attività commerciali della Post Danmark attraverso l’OSU;

–        in quarto luogo, dall’aumento di capitale del 23 febbraio 2017, in quanto esso era imputabile agli Stati danese e svedese e in quanto una misura del genere non soddisfaceva il criterio dell’investitore privato in un’economia di mercato;

–        in quinto luogo, dalla misura di compensazione prenotificata dal Regno di Danimarca il 3 novembre 2017 (v. punto 11 supra);

–        in sesto luogo, da aumenti del capitale della Post Danmark da parte del Regno di Danimarca, del Regno di Svezia e della PostNord, come previsti dall’accordo del 20 ottobre 2017.

14      Il 30 novembre 2017 la Commissione trasmetteva la denuncia dell’ITD alle autorità danesi e svedesi, le quali presentavano, il 20 dicembre 2017, le loro osservazioni congiunte su alcune censure di tale denuncia. Il 21 dicembre 2017 le autorità danesi presentavano le loro osservazioni sulle altre censure di detta denuncia.

15      L’8 febbraio 2018 le autorità danesi notificavano alla Commissione la concessione alla Post Danmark di una compensazione per un importo di SEK 1,533 miliardi per la fornitura del servizio postale universale nel periodo dal 2017 al 2019 (in prosieguo: la «compensazione in questione»).

16      Il 7 maggio 2018 le autorità danesi dichiaravano che la compensazione in questione sarebbe ammontata in definitiva ad un importo massimo di SEK 1,683 miliardi (circa EUR 160 milioni).

17      Il 28 maggio 2018 la Commissione adottava la decisione C(2018) 3169 final, riguardante l’aiuto di Stato SA.47707 (2018/N) – Compensazioni statali concesse alla PostNord per la fornitura del servizio postale universale – Danimarca (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

18      Nella decisione impugnata, sotto un primo profilo, la Commissione ha precisato che il suo esame avrebbe riguardato, da un lato, la compensazione in questione e, dall’altro, le censure dedotte dall’ITD nella sua denuncia, ad eccezione tuttavia degli aumenti di capitale previsti dall’accordo del 20 ottobre 2017 (punto 73 della decisione impugnata), che sarebbero stati oggetto di una decisione successiva.

19      Sotto un secondo profilo, per quanto riguarda la compensazione in questione, la Commissione ha considerato, anzitutto, che tale compensazione non soddisfaceva il quarto dei criteri elaborati nella sentenza del 24 luglio 2003, Altmark Trans e Regierungspräsidium Magdeburg (C‑280/00, EU:C:2003:415), in quanto non era stata concessa nell’ambito di una procedura di gara e il suo importo non era stato determinato sulla base dei costi di un’impresa media, gestita in modo efficiente. La Commissione ne ha dedotto che tale misura costituiva un aiuto di Stato, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE e che occorreva esaminare la compatibilità di tale aiuto alla luce dell’articolo 106, paragrafo 2, TFUE, come attuato nella comunicazione della Commissione concernente la disciplina dell’Unione europea relativa agli aiuti di Stato concessi sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico (2011) (GU 2012, C 8, pag. 15; in prosieguo: la «disciplina SIEG»).

20      Nel valutare la compatibilità della compensazione in questione con il mercato interno, la Commissione ha poi esaminato in particolare il calcolo, effettuato dalle autorità danesi, del costo netto necessario all’adempimento dell’OSU, utilizzando la metodologia del costo evitato netto (in prosieguo: il «CEN»). Nel loro metodo di calcolo, le autorità danesi hanno considerato uno scenario fattuale secondo cui, assicurando l’OSU per il periodo dal 2017 al 2019, la Post Danmark prevedeva, in primo luogo, un aumento sostanziale degli invii delle imprese ai consumatori in ragione dell’aumento del commercio elettronico, in secondo luogo, una diminuzione costante degli invii di lettere a seguito della crescente digitalizzazione delle comunicazioni, in terzo luogo, una diminuzione significativa degli invii di giornali e riviste e, in quarto luogo, l’attuazione di un nuovo modello di produzione che comportava il licenziamento di dipendenti. Secondo lo scenario controfattuale proposto dalle autorità danesi, se la Post Danmark non fosse stata incaricata dell’OSU per lo stesso periodo, ciò avrebbe comportato, in primo luogo, la dismissione di attività non redditizie, quali la distribuzione di giornali e riviste, gli invii non indirizzati e gli invii postali internazionali, in secondo luogo, l’ottimizzazione della distribuzione delle lettere commerciali, per le quali la consegna a domicilio sarebbe stata disponibile solo nelle città più grandi, in terzo luogo, la dismissione della consegna a domicilio di pacchi in alcune zone rurali e, in quarto luogo, una riduzione del numero di uffici postali.

21      Le autorità danesi ne hanno detratto i costi che sarebbero stati evitati in assenza dell’OSU, calcolati sulla base dei costi, in particolare del personale, relativi, in primo luogo, al mantenimento di una rete di cassette postali che coprono l’intero territorio nazionale nonché della produzione di francobolli, in secondo luogo, al funzionamento del centro postale internazionale di Copenaghen (Danimarca), che sarebbe stato chiuso in seguito alla dismissione degli invii postali internazionali, in terzo luogo, ai centri di smistamento delle lettere e alle piattaforme di distribuzione che sarebbero state chiuse a seguito dell’ottimizzazione della distribuzione delle lettere commerciali, in quarto luogo, alla consegna a domicilio degli invii postali in talune zone e, in quinto luogo, al funzionamento degli uffici postali che sarebbero stati chiusi.

22      Tuttavia, le autorità danesi hanno detratto dai costi evitati, da un lato, le entrate relative ai servizi dismessi o ottimizzati dalla Post Danmark in assenza dell’OSU e, dall’altro, i vantaggi derivanti da un aumento della domanda dovuto all’esenzione dall’IVA di cui essa aveva beneficiato in qualità di fornitore del servizio universale nonché degli attivi di proprietà intellettuale legati all’OSU, in particolare la pubblicità relativa alla sua visibilità nei punti di contatto e nelle cassette postali.

23      La Commissione ha considerato che il metodo proposto dalle autorità danesi era attendibile e ha rilevato che, secondo tale metodo, il CEN per l’adempimento dell’OSU ammontava a DKK 2,571 miliardi (circa EUR 345 milioni), ossia un importo notevolmente superiore alla compensazione in questione, fissata ad un massimo di DKK 1,192 miliardi (circa EUR 160 milioni).

24      Infine, dopo avere respinto le censure dedotte dall’ITD nella sua denuncia e dirette specificamente contro la compensazione in questione, la Commissione ha concluso che detta compensazione era compatibile con il mercato interno.

25      Sotto un terzo profilo, per quanto riguarda le altre censure dedotte nella denuncia dell’ITD, la Commissione ha considerato, in primo luogo, che la garanzia in questione poteva configurare un aiuto di Stato. A tale proposito, essa ha ritenuto che detta garanzia potesse conferire un vantaggio, ancorché molto indiretto, in quanto aveva consentito alla Post Danmark, al momento della sua trasformazione in società a responsabilità limitata nel 2002, di mantenere parte del suo personale. Tuttavia, la Commissione ha considerato che, supponendo che la garanzia in questione configurasse un aiuto di Stato, quest’ultimo sarebbe stato concesso nel 2002, in quanto riguardava solo i dipendenti che avevano rinunciato al loro status di funzionario a tale data. Pertanto, la garanzia in questione sarebbe stata concessa oltre dieci anni prima che la Commissione fosse informata di tale misura, dalla denuncia dell’ITD, e costituirebbe di conseguenza un aiuto esistente ai sensi dell’articolo 1, lettera b), punto iv), e dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015, recante modalità di applicazione dell’articolo 108 TFUE (GU 2015, L 248, pag. 9).

26      In secondo luogo, per quanto riguarda la prassi amministrativa danese che ha comportato un’esenzione dall’IVA a favore dei clienti della Post Danmark, la Commissione ha ritenuto che tale misura potesse conferire un vantaggio indiretto alla Post Danmark. Tuttavia, la Commissione ha considerato che l’esenzione di cui trattasi risultava dall’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 347; in prosieguo: la «direttiva IVA»), che rende obbligatoria l’esenzione dei servizi coperti dall’OSU. Pertanto, secondo la decisione impugnata, l’esenzione dall’IVA a vantaggio della Post Danmark non era imputabile allo Stato danese e, di conseguenza, non poteva configurare un aiuto di Stato.

27      In terzo luogo, per quanto concerne l’attribuzione dei costi relativi alle attività della Post Danmark e all’eventuale sovvenzione incrociata di tali attività, la Commissione ha accolto le spiegazioni delle autorità danesi concludendo per l’adeguatezza della ripartizione dei costi comuni alle attività della Post Danmark rientranti nell’OSU e a quelle che non vi rientrano. La Commissione ha aggiunto che, in ogni caso, anzitutto, l’erronea attribuzione dei costi addotta dall’ITD non sembrava implicare un trasferimento di risorse statali. Inoltre, secondo la decisione impugnata, una siffatta attribuzione non sarebbe stata imputabile alle autorità danesi, in quanto, se pure era vero che queste ultime avevano adottato la normativa contabile applicabile alla Post Danmark, tuttavia l’ITD non aveva dimostrato in che modo esse fossero implicate nella fissazione da parte della Post Danmark dei prezzi relativi alle sue attività non rientranti nell’OSU. Infine, la Commissione ha ritenuto che la pretesa sovvenzione incrociata delle attività commerciali della Post Danmark con i fondi ricevuti a titolo dell’OSU non costituisse un vantaggio, dato che la Post Danmark non aveva mai ricevuto alcuna compensazione per l’adempimento dell’OSU, calcolata sulla base della ripartizione dei costi denunciata dall’ITD.

28      In quarto luogo, quanto all’aumento di capitale del 23 febbraio 2017, la Commissione ha considerato che, certamente, tenuto conto della struttura del capitale della PostNord e delle modalità di nomina dei membri del suo consiglio di amministrazione, il Regno di Danimarca e il Regno di Svezia erano in grado di esercitare un’influenza dominante su detta società. Tuttavia, secondo la Commissione, gli elementi dedotti dall’ITD a sostegno della sua denuncia non consentivano di dimostrare che il Regno di Danimarca o il Regno di Svezia fossero effettivamente implicati in tale aumento di capitale. La Commissione ne ha dedotto che detto aumento di capitale non era imputabile a uno Stato e pertanto non costituiva un aiuto di Stato.

29      Inoltre, la Commissione ha considerato che, in circostanze come quelle con le quali era confrontata la PostNord, un investitore privato avrebbe deciso di effettuare l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 piuttosto che permettere che la sua controllata, nella fattispecie la Post Danmark, fallisse.

30      Infine, i punti conclusivi della decisione impugnata sono formulati come segue:

«(205)      La Commissione decide (...) di considerare che la misura di aiuto notificata per la compensazione dell’OSU per il periodo 2017‑2019 è compatibile con il mercato interno sulla base dell’articolo 106, paragrafo 2, TFUE e di non sollevare obiezioni nei confronti di tal[e] misur[a].

(206)      La Commissione decide inoltre che:

(i)      la [garanzia in questione è] un aiuto esistente;

(ii)      l’esenzione dall’IVA non costituisce un aiuto di Stato;

(iii)      la sovvenzione incrociata dei servizi commerciali non è materialmente confermata e non costituisce, in ogni caso, un aiuto di Stato; e

(iv)      l’[aumento di capitale del 23 febbraio 2017] non costituisce un aiuto di Stato».

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

31      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 20 settembre 2018, l’ITD e la Danske Fragtmænd, ricorrenti, hanno proposto il presente ricorso.

32      La Commissione ha depositato il controricorso il 7 dicembre 2018.

33      Le ricorrenti hanno depositato la replica il 15 febbraio 2019. La Commissione ha depositato la controreplica il 17 aprile 2019.

34      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 gennaio 2019, il Regno di Danimarca ha chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con decisione dell’11 aprile 2019, il presidente della Nona Sezione del Tribunale ha accolto tale domanda.

35      Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale rispettivamente il 17 e il 21 gennaio 2019, la Dansk Distribution A/S e la Jørgen Jensen Distribution A/S hanno chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni delle ricorrenti. Con ordinanze del 12 aprile 2019, il presidente della Nona Sezione del Tribunale ha accolto tali domande.

36      Il Regno di Danimarca ha depositato la sua memoria di intervento il 1° luglio 2019. La Jørgen Jensen Distribution e la Dansk Distribution hanno depositato le loro memorie di intervento il 3 luglio 2019. La Commissione e le ricorrenti hanno depositato le loro osservazioni sulle memorie di intervento rispettivamente il 15 e il 18 novembre 2019.

37      Essendo stata modificata la composizione delle sezioni del Tribunale, a norma dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura del Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato alla Settima Sezione, alla quale, di conseguenza, il 17 ottobre 2019 è stata riattribuita la presente causa.

38      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        dichiarare gli argomenti dedotti dal Regno di Danimarca irricevibili e, in ogni caso, infondati;

–        dichiarare il ricorso ricevibile e fondato;

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione e il Regno di Danimarca alle spese.

39      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

40      Il Regno di Danimarca chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso.

41      La Jørgen Jensen Distribution e la Dansk Distribution chiedono che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso ricevibile e fondato e annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

III. In diritto

42      A sostegno del loro ricorso, le ricorrenti deducono un motivo unico, vertente sul fatto che la Commissione ha omesso di avviare il procedimento d’indagine formale previsto all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, nonostante le gravi difficoltà sollevate dalla valutazione della compensazione in questione e delle altre misure contestate nella denuncia dall’ITD.

43      In limine, occorre rammentare che la fase di esame preliminare delle misure di aiuto notificate, prevista dall’articolo 108, paragrafo 3, TFUE e disciplinata dall’articolo 4 del regolamento 2015/1589, ha lo scopo di consentire alla Commissione di formarsi una prima opinione su dette misure (v., in tal senso, sentenza del 24 maggio 2011, Commissione/Kronoply e Kronotex, C 83/09 P, EU:C:2011:341, punto 43).

44      A conclusione di tale fase, la Commissione constata che una misura notificata non costituisce un aiuto, nel qual caso adotta una decisione di non sollevare obiezioni a norma dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento 2015/1589, oppure che essa rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Se la Commissione constata, a seguito dell’esame preliminare, che la misura notificata, nei limiti in cui rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, non desta dubbi circa la sua compatibilità con il mercato interno, adotta una decisione di non sollevare obiezioni ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento 2015/1589 (v., in tal senso, sentenza del 24 maggio 2011, Commissione/Kronoply e Kronotex, C 83/09 P, EU:C:2011:341, punti 43 e 44).

45      Quando la Commissione adotta una decisione di non sollevare obiezioni, non soltanto dichiara che la misura in questione non costituisce un aiuto o costituisce un aiuto compatibile con il mercato interno, ma rifiuta pure implicitamente di avviare il procedimento d’indagine formale previsto all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE e all’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento 2015/1589 (v., in tal senso, sentenza del 24 maggio 2011, Commissione/Kronoply e Kronotex, C 83/09 P, EU:C:2011:341, punto 45).

46      Se la Commissione constata, dopo l’esame preliminare, che la misura notificata solleva dubbi circa la sua compatibilità con il mercato interno, è tenuta ad adottare, sulla base dell’articolo 4, paragrafo 4, del regolamento 2015/1589, una decisione di avvio del procedimento d’indagine formale previsto all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE e all’articolo 6, paragrafo 1, di detto regolamento (sentenza del 24 maggio 2011, Commissione/Kronoply e Kronotex, C‑83/09 P, EU:C:2011:341, punto 46).

47      Inoltre, l’articolo 24, paragrafo 2, prima frase, del regolamento 2015/1589 concede a ogni parte interessata il diritto di presentare una denuncia per informare la Commissione di presunti aiuti illegali, il che, conformemente all’articolo 15, paragrafo 1, prima frase, del medesimo regolamento, ha l’effetto di far scattare l’avvio della fase di esame preliminare di cui all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE che comporta l’adozione, da parte della Commissione, di una decisione ai sensi dell’articolo 4, paragrafi 2, 3 o 4, del regolamento 2015/1589.

48      L’esistenza di dubbi tali da giustificare l’avvio del procedimento d’indagine formale di cui all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE si traduce nell’esistenza oggettiva di gravi difficoltà incontrate dalla Commissione nell’esame del carattere di aiuto della misura in questione o della sua compatibilità con il mercato interno. Infatti, dalla giurisprudenza risulta che la nozione di gravi difficoltà presenta carattere oggettivo (sentenza del 21 dicembre 2016, Club Hotel Loutraki e a./Commissione, C‑131/15 P, EU:C:2016:989, punto 31). L’esistenza di siffatte difficoltà deve essere ricercata tanto nelle circostanze dell’adozione dell’atto impugnato quanto nel suo contenuto, in termini oggettivi, mettendo in correlazione la motivazione della decisione con gli elementi di cui la Commissione disponeva e poteva disporre nel momento in cui si è pronunciata sulla compatibilità degli aiuti controversi con il mercato interno (v. sentenza del 28 marzo 2012, Ryanair/Commissione, T‑123/09, EU:T:2012:164, punto 77 e giurisprudenza citata), fermo restando a tale riguardo che gli elementi di informazione di cui la Commissione «poteva disporre» sono quelli che risultavano pertinenti ai fini della valutazione da effettuare e di cui essa avrebbe potuto ottenere, su sua richiesta, la produzione nel corso della fase di esame preliminare (sentenza del 20 settembre 2017, Commissione/Frucona Košice, C‑300/16 P, EU:C:2017:706, punto 71).

49      Ne discende che il controllo di legittimità effettuato dal Tribunale sull’esistenza di gravi difficoltà, per sua stessa natura, non può limitarsi alla ricerca del manifesto errore di valutazione (v. sentenze del 27 settembre 2011, 3F/Commissione, T‑30/03 RENV, EU:T:2011:534, punto 55 e giurisprudenza citata, e del 10 luglio 2012, Smurfit Kappa Group/Commissione, T‑304/08, EU:T:2012:351, punto 80 e giurisprudenza citata). Infatti, se simili difficoltà esistono, una decisione adottata dalla Commissione senza avviare il procedimento d’indagine formale può essere annullata per quest’unico motivo, in ragione dell’omesso esame approfondito e in contraddittorio previsto dal Trattato FUE, anche qualora non sia dimostrato che le valutazioni operate nel merito dalla Commissione erano errate in diritto o in fatto (v., in tal senso, sentenza del 9 settembre 2010, British Aggregates e a./Commissione, T‑359/04, EU:T:2010:366, punto 58).

50      Occorre rammentare che, conformemente allo scopo di cui all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE e al dovere di buona amministrazione cui è tenuta, la Commissione può, in particolare, avviare un dialogo con lo Stato notificante o con terzi onde superare, nel corso del procedimento preliminare, difficoltà eventualmente incontrate. Tale facoltà presuppone che la Commissione possa adattare la sua posizione in funzione dei risultati del dialogo avviato, senza che tale adattamento debba essere a priori interpretato come esistenza di gravi difficoltà (sentenza del 21 dicembre 2016, Club Hotel Loutraki e a./Commissione, C‑131/15 P, EU:C:2016:989, punto 35). Solo se non possono essere superate tali difficoltà si rivelano gravi e devono indurre la Commissione a nutrire dubbi, conducendola così ad avviare il procedimento d’indagine formale (sentenze del 2 aprile 2009, Bouygues e Bouygues Télécom/Commissione, C‑431/07 P, EU:C:2009:223, punto 61, e del 27 ottobre 2011, Austria/Scheucher‑Fleisch e a., C‑47/10 P, EU:C:2011:698, punto 70).

51      Spetta al ricorrente dimostrare l’esistenza di serie difficoltà, prova che può essere fornita sulla base di un insieme di indizi concordanti (v. sentenza del 19 settembre 2018, HH Ferries e a./Commissione, T‑68/15, EU:T:2018:563, punto 63 e giurisprudenza citata).

52      È alla luce delle considerazioni che precedono che occorre esaminare l’argomentazione delle ricorrenti diretta a dimostrare l’esistenza di gravi difficoltà che avrebbero dovuto indurre la Commissione ad avviare il procedimento d’indagine formale.

53      Nel caso di specie, le ricorrenti invocano un insieme di indizi che dimostrerebbero, a loro avviso, l’esistenza di gravi difficoltà e risulterebbero, da un lato, dalla durata della fase di esame preliminare e dalle circostanze relative al suo svolgimento e, dall’altro, dal contenuto della decisione impugnata e dalla valutazione compiuta dalla Commissione riguardo alle varie misure esaminate in tale decisione.

A.      Sugli indizi relativi alla durata e allo svolgimento della fase di esame preliminare

54      Sotto un primo profilo, le ricorrenti, sostenute dalla Jørgen Jensen Distribution e dalla Dansk Distribution, fanno valere che la durata della fase di esame preliminare dimostra le gravi difficoltà incontrate dalla Commissione. A tale proposito, esse rilevano che le autorità danesi hanno notificato la compensazione in questione l’8 febbraio 2018 e che la decisione impugnata è stata adottata il 28 maggio 2018, vale a dire oltre il termine di due mesi previsto all’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento 2015/1589 per l’adozione di una decisione sull’avvio o meno del procedimento d’indagine formale.

55      Le ricorrenti aggiungono che il superamento di tale termine è ancor più sorprendente se si considera la data di prenotifica della compensazione in questione, ossia il 3 novembre 2017. A questo proposito, da un lato, esse sostengono che, nella sentenza del 15 novembre 2018, Tempus Energy e Tempus Energy Technology/Commissione (T‑793/14, con impugnazione pendente, EU:T:2018:790), il Tribunale ha stabilito che la fase di prenotifica doveva essere presa in considerazione al fine di valutare l’esistenza di gravi difficoltà. Dall’altro lato, le ricorrenti affermano che la durata superiore a tre mesi della fase di prenotifica viola la durata di due mesi prevista al punto 14 del Codice delle migliori pratiche applicabili nei procedimenti di controllo degli aiuti di Stato (GU 2009, C 136, pag. 13; in prosieguo: il «Codice delle migliori pratiche»). A loro avviso, tale durata risulta dal fatto che la Commissione ha iniziato a valutare la compatibilità della compensazione in questione durante la fase di prenotifica.

56      Inoltre, la Commissione avrebbe superato il termine prescritto adottando la decisione impugnata sei mesi dopo il deposito della denuncia dell’ITD.

57      Sotto un secondo profilo, le ricorrenti sostengono che gli scambi tra la Commissione e le autorità danesi e svedesi, sia nella fase di prenotifica che in quella di esame preliminare, tendono a dimostrare l’esistenza di gravi difficoltà. Esse chiedono al Tribunale di adottare una misura di organizzazione del procedimento per fare in modo che tali scambi siano prodotti.

58      La Commissione, sostenuta dal Regno di Danimarca, contesta l’argomentazione delle ricorrenti.

59      In primo luogo, per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti relativo alla durata eccessiva dell’esame preliminare, occorre rammentare che, secondo una costante giurisprudenza, una simile durata può costituire, unitamente ad altri elementi, un indizio delle gravi difficoltà incontrate dalla Commissione, qualora tale durata sia di gran lunga superiore al tempo normalmente necessario per l’esame preliminare di una misura (v. sentenza del 3 dicembre 2014, Castelnou Energía/Commissione, T‑57/11, EU:T:2014:1021, punto 58 e giurisprudenza citata).

60      A tale proposito, occorre distinguere la procedura successiva a una notifica da parte di uno Stato membro da quella in cui la Commissione esamina, a seguito della presentazione di una denuncia, le informazioni, da qualsiasi fonte, relative a un asserito aiuto illegale. Infatti, l’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento 2015/1589 prevede che la durata della prima non deve superare due mesi a decorrere dal giorno successivo a quello di ricezione di una notifica completa. Per contro, il diritto dell’Unione europea non prevede alcun termine per lo svolgimento della seconda e l’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento 2015/1589 precisa semplicemente che la Commissione «esamina senza indebito ritardo la denuncia» (sentenza del 6 maggio 2019, Scor/Commissione, T‑135/17, non pubblicata, EU:T:2019:287, punto 106).

61      Nel caso di specie, la Commissione, da un lato, ha ricevuto la denuncia dell’ITD del 27 novembre 2017 e, dall’altro, ha ricevuto dal Regno di Danimarca la notifica completa della misura relativa alla concessione della compensazione in questione, intervenuta l’8 febbraio 2018. La Commissione ha adottato la decisione impugnata, che verte su entrambi i procedimenti, il 28 maggio 2018.

62      La fase di esame preliminare è quindi durata tre mesi e diciannove giorni se si prende come dies a quo il giorno successivo alla notifica delle autorità danesi, o sei mesi e un giorno se si prende come dies a quo la denuncia dell’ITD.

63      Pertanto, da un lato, per quanto riguarda il periodo di tre mesi e diciannove giorni trascorso tra il deposito della notifica da parte delle autorità danesi e l’adozione della decisione impugnata, il termine di due mesi previsto all’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento 2015/1589 è stato superato di oltre un mese. Tuttavia, tale superamento del termine previsto in detta disposizione si può facilmente spiegare con il fatto che, come risulta dal punto 72 della decisione impugnata, la Commissione ha esaminato simultaneamente la misura notificata dalle autorità danesi e quattro delle cinque misure che sarebbero state attuate dalle autorità danesi a favore della Post Danmark, menzionate nella denuncia dell’ITD (v. punto 13 supra). La Commissione ha quindi dovuto esaminare un ingente numero di informazioni presentate dalle parti. Inoltre, due giorni prima della scadenza del termine di due mesi previsto all’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento 2015/1589, le autorità danesi hanno informato la Commissione che intendevano modificare l’importo della compensazione in questione, passando da una compensazione fissa di SEK 1,533 miliardi a una compensazione massima di SEK 1,683 miliardi.

64      Pertanto, la circostanza che la durata della fase di esame preliminare sia stata superiore di un mese e diciannove giorni al termine previsto all’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento 2015/1589 non costituisce un indizio dell’esistenza di gravi difficoltà.

65      Dall’altro lato, per quanto riguarda il periodo di sei mesi e un giorno trascorso tra il deposito della denuncia dell’ITD e la decisione impugnata, le ricorrenti si limitano ad affermare, senza ulteriori precisazioni, che tale periodo «supera chiaramente [il termine] entro il quale la Commissione è tenuta a concludere il suo esame preliminare». Orbene, come si è ricordato al punto 60 supra, le disposizioni pertinenti non prevedono alcun termine vincolante per il trattamento di una denuncia presentata alla Commissione in materia di aiuti di Stato.

66      Inoltre, è già stato dichiarato che, allo scopo di valutare se la durata dell’esame costituisse un indizio di gravi difficoltà, occorreva riferirsi alle norme interne che la Commissione si era fissata (v., in tal senso, sentenze del 15 marzo 2001, Prayon‑Rupel/Commissione, T‑73/98, EU:T:2001:94, punto 94, e del 9 giugno 2016, Magic Mountain Kletterhallen e a./Commissione, T‑162/13, non pubblicata, EU:T:2016:341, punto 146). A tale proposito, il punto 47 del Codice delle migliori pratiche prevede che «[l]a Commissione cercherà, per quanto possibile, di esaminare una denuncia entro un periodo indicativo di dodici mesi dal ricevimento», che «[t]ale limite di tempo non costituisce un impegno vincolante» e che, «[a] seconda delle circostanze del singolo caso, l’eventuale necessità di richiedere informazioni complementari all’autore della denuncia, allo Stato membro o alle parti interessate può prolungare i tempi dell’esame della denuncia stessa».

67      Nel caso di specie, adottando la decisione impugnata sei mesi e un giorno dopo il deposito della denuncia dell’ITD, la Commissione ha rispettato i principi fissati nelle sue norme interne.

68      La sentenza del 10 febbraio 2009, Deutsche Post e DHL International/Commissione (T‑388/03, EU:T:2009:30), non può essere utilmente invocata dalle ricorrenti, in quanto dai punti da 96 a 98 di tale sentenza risulta che il Tribunale ha ritenuto che un periodo di sette mesi dopo la notifica di una misura da parte di uno Stato membro, e non dopo una denuncia, eccedesse significativamente il termine di due mesi che la Commissione era tenuta, in linea di principio, a rispettare per completare il proprio esame preliminare ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’articolo [108 TFUE] (GU 1999, L 83, pag. 1), il cui contenuto era identico a quello dell’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento 2015/1589. Detta sentenza non è pertinente nemmeno ai fini della valutazione, nel caso di specie, della durata della fase di esame preliminare a decorrere dalla notifica della compensazione in questione da parte delle autorità danesi, dato che tale durata, pari a tre mesi e un giorno, è stata considerata ragionevole per i motivi esposti al punto 63 supra.

69      In tali circostanze, la durata dell’esame preliminare non costituisce un indizio dell’esistenza di gravi difficoltà.

70      In secondo luogo, per quanto riguarda le circostanze relative alla fase di esame preliminare, le ricorrenti si basano su numerosi presunti scambi che sarebbero avvenuti tra la Commissione e le autorità danesi e svedesi.

71      A questo proposito, va ricordato che il solo fatto che si siano create discussioni tra la Commissione e lo Stato membro interessato durante la fase di esame preliminare e che, in tale contesto, la Commissione abbia potuto chiedere informazioni supplementari sulle misure sottoposte al suo controllo non può essere considerato, di per sé, una prova del fatto che detta istituzione dovesse affrontare gravi difficoltà di valutazione (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2018, Naviera Armas/Commissione, T‑108/16, EU:T:2018:145, punto 69 e giurisprudenza citata). Tuttavia, non si può escludere che il contenuto delle discussioni avviate tra la Commissione e lo Stato membro notificante durante tale fase del procedimento possa, in talune circostanze, indicare l’esistenza di siffatte difficoltà, al pari di un numero elevato di richieste di informazioni presentate allo Stato membro notificante dalla Commissione (v., in tal senso, sentenze del 9 dicembre 2014, Netherlands Maritime Technology Association/Commissione, T‑140/13, non pubblicata, EU:T:2014:1029, punto 74, e dell’8 gennaio 2015, Club Hotel Loutraki e a./Commissione, T‑58/13, non pubblicata, EU:T:2015:1, punto 47).

72      Nel caso di specie, dai punti da 1 a 10 della decisione impugnata risulta che, anzitutto, la Commissione ha trasmesso la denuncia dell’ITD alle autorità danesi e svedesi il 30 novembre 2017, sulla quale esse hanno presentato le loro osservazioni il 20 e il 21 dicembre 2017. Successivamente, il 5 febbraio 2018, la Commissione ha inviato una richiesta di informazioni alle autorità danesi, in merito a un complemento di denuncia presentato dall’ITD il 2 febbraio 2018. Le autorità danesi vi hanno risposto il 13 febbraio 2018. Infine, a seguito della notifica completa, l’8 febbraio 2018, della compensazione in questione, le autorità danesi hanno informato la Commissione, il 7 maggio 2018, che avevano modificato l’importo massimo di tale compensazione.

73      Orbene, non si può ritenere che siffatti scambi abbiano presentato una frequenza o un’intensità particolare, dato che la Commissione si è rivolta alle autorità danesi soltanto per raccogliere le loro osservazioni sulla denuncia dell’ITD. Essi non costituiscono quindi un indizio dell’esistenza di gravi difficoltà.

74      In terzo e ultimo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la fase di prenotifica non è pertinente, in linea di principio, al fine di valutare l’esistenza di gravi difficoltà, in quanto l’esistenza di tali difficoltà viene valutata alla luce della fase di esame preliminare, che inizia dalla notifica completa della misura, come risulta dall’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento 2015/1589 (v., in tal senso, sentenza del 28 marzo 2012, Ryanair/Commissione, T‑123/09, EU:T:2012:164, punto 168).

75      Solo in circostanze particolari, quali la complessità e il carattere inedito della misura prenotificata, la durata della fase di prenotifica e la valutazione della compatibilità di una misura siffatta durante tale fase, il Tribunale ha dichiarato, nella sentenza del 15 novembre 2018, Tempus Energy e Tempus Energy Technology/Commissione (T‑793/14, con impugnazione pendente, EU:T:2018:790), che lo svolgimento della fase di prenotifica poteva costituire un indizio dell’esistenza di gravi difficoltà.

76      Orbene, nel caso di specie, le ricorrenti non sono in grado di dimostrare l’esistenza di circostanze particolari di tale natura.

77      Da un lato, sebbene esse traggano argomenti dalla durata superiore a tre mesi della fase di prenotifica, tale durata non è eccessiva, pur superando il termine di due mesi menzionato nel Codice delle migliori pratiche. Infatti, durante la fase di prenotifica, la Commissione ha anche chiesto alle autorità danesi e svedesi di presentare le loro osservazioni sulla denuncia dell’ITD e sulle osservazioni complementari di quest’ultima (v. punto 14 supra).

78      Dall’altro, per quanto riguarda il contenuto degli scambi tra la Commissione e le autorità danesi e svedesi, le ricorrenti si limitano a supporre che la compatibilità della compensazione in questione sia stata discussa durante la fase di prenotifica, senza fornire indizi concreti in tal senso.

79      Di conseguenza, anche tenendo conto della fase di prenotifica, la durata e le circostanze relative allo svolgimento della fase di esame preliminare non rivelano, di per sé, gravi difficoltà che imponessero alla Commissione di avviare il procedimento d’indagine formale previsto all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE.

80      Poiché il Tribunale ha potuto pronunciarsi sugli argomenti delle ricorrenti vertenti sulla durata e sulle circostanze relative alla fase di esame preliminare, non può essere accolta la loro domanda di misura di organizzazione del procedimento volta a fare in modo che siano versati agli atti tutti gli scambi avvenuti, durante la fase di esame preliminare e la fase ad essa precedente, tra la Commissione, da un lato, e le autorità danesi e svedesi, dall’altro. In ogni caso, le ricorrenti non hanno fornito, a sostegno della loro domanda di misura di organizzazione del procedimento, alcun elemento che consenta di dimostrare l’utilità di una siffatta misura ai fini del procedimento (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2018, Europa Terra Nostra/Parlamento, T‑13/17, non pubblicata, EU:T:2018:428, punto 103 e giurisprudenza citata).

81      Occorre, pertanto, esaminare gli altri argomenti dedotti dalle ricorrenti a sostegno del motivo unico e diretti a dimostrare che il contenuto stesso della decisione impugnata fornisce indizi nel senso che l’esame delle misure di cui trattasi sollevava gravi difficoltà che avrebbero dovuto indurre la Commissione ad avviare il procedimento d’indagine formale.

B.      Sugli indizi relativi al contenuto della decisione impugnata

82      A sostegno della seconda parte del motivo unico, le ricorrenti affermano, in sostanza, che la Commissione è incorsa in vari errori che dimostrano l’esistenza di gravi difficoltà laddove ha considerato, nella decisione impugnata, che:

–        la compensazione in questione era compatibile con il mercato interno;

–        la garanzia in questione costituiva un aiuto esistente;

–        l’esenzione dall’IVA a favore della Post Danmark non era imputabile allo Stato;

–        l’errore nella ripartizione, nell’ambito della contabilità della Post Danmark, dei costi rientranti nell’OSU e di quelli che non vi rientravano non era accertato, non comportava il trasferimento di risorse statali e non era imputabile allo Stato;

–        l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 non era imputabile allo Stato e non costituiva un vantaggio economico.

1.      Sulla compensazione in questione

83      Le ricorrenti, sostenute dalla Jørgen Jensen Distribution e dalla Dansk Distribution, fanno valere che la Commissione, nel concludere per la compatibilità della compensazione in questione con il mercato interno, è incorsa in vari errori, i quali dimostrerebbero che essa era confrontata al riguardo con gravi difficoltà.

84      Anzitutto, le ricorrenti sostengono che la Commissione ha erroneamente considerato che, in assenza dell’OSU, la Post Danmark avrebbe dismesso la fornitura di talune attività.

85      Da un lato, per quanto riguarda gli invii unitari di lettere e pacchi, gli invii raccomandati o con valore dichiarato e il servizio gratuito per i non vedenti, le ricorrenti rilevano che tali servizi sono redditizi nelle aree urbane, come risulta da una relazione elaborata dalla società BDO e prodotta a sostegno del ricorso (in prosieguo: la «relazione della BDO»). Orbene, nella sua valutazione dello scenario controfattuale necessaria al calcolo del CEN, la Commissione non avrebbe operato alcuna distinzione tra aree urbane e aree rurali in relazione a tali servizi.

86      Nella replica, le ricorrenti precisano che la decisione di dismettere o mantenere la fornitura di taluni servizi deve basarsi su uno scenario a lungo termine e che i servizi menzionati al punto 85 supra sono redditizi a lungo termine. Tuttavia, secondo le ricorrenti, tenuto conto della situazione economica della Post Danmark e dei costi da essa sostenuti per la sua ristrutturazione, i servizi in questione non possono essere considerati redditizi a breve termine. Pertanto, poiché il calcolo della compensazione riguarda un periodo a breve termine, ossia quello dal 2017 al 2019, la Commissione avrebbe dovuto considerare che la Post Danmark avrebbe continuato a fornire tali servizi anche in assenza dell’OSU, anche qualora, nel periodo in questione, detti servizi avessero comportato perdite.

87      Dall’altro lato, le ricorrenti addebitano alla Commissione di avere considerato che, in assenza dell’OSU, la Post Danmark porrebbe fine ai servizi di invio internazionale di lettere e pacchi. A tale proposito, esse rilevano che un opuscolo della PostNord fa riferimento a obiettivi strategici mirati alla «globalizzazione» e ad una «presenza internazionale» mediante la «fornitura di soluzioni logistiche complete». Pertanto, anche in assenza dell’OSU, sarebbe improbabile che la Post Danmark cessi di fornire i servizi internazionali in questione.

88      Le ricorrenti addebitano poi alla Commissione di non avere tenuto conto di alcuni vantaggi intangibili di cui la Post Danmark beneficiava grazie all’OSU.

89      Da un lato, la Commissione avrebbe erroneamente omesso di tenere conto del rafforzamento della reputazione della Post Danmark a motivo dall’adempimento dell’OSU. Infatti, l’OSU conferirebbe alla Post Danmark un monopolio sui servizi postali e l’autorizzerebbe a stampare francobolli recanti la parola «Danmark» nonché ad utilizzare il simbolo del corno postale con la corona d’oro negli uffici postali pubblici. Secondo le ricorrenti, la relazione della BDO, che cita uno studio realizzato nel 2010 dalla WIK Consult su richiesta dell’Autorité de régulation des communications electroniques et des postes (Autorità di regolamentazione delle comunicazioni elettroniche e delle poste, ARCEP, Francia) (in prosieguo: lo «studio della WIK del 2010»), dimostrerebbe che il valore di tale vantaggio intangibile potrebbe raggiungere l’81% dell’ammontare dell’OSU.

90      Nella replica, le ricorrenti aggiungono che si ritiene generalmente che la fornitura di servizi postali migliori la reputazione dell’impresa che ne è incaricata e che ciò avviene anche quando tale impresa si trovi in difficoltà finanziarie. A sostegno di tale argomento, esse producono, nell’allegato C.2, una relazione del 28 gennaio 2015 dello United States Postal Service Office of Inspector General (Ufficio dell’Ispettore generale dei servizi postali degli Stati Uniti d’America) e relativa al valore del marchio dell’operatore US Postal (in prosieguo: la «relazione US Postal»), nell’allegato C.3, lo studio della WIK del 2010 e, nell’allegato C.4, una relazione della Commission for Communications Regulatory Authority (Autorità di regolamentazione delle comunicazioni, Irlanda) del 20 dicembre 2017 sulla strategia postale dell’operatore An Post per il periodo compreso tra il 2018 e il 2020. I medesimi documenti sono stati prodotti dalla Jørgen Jensen Distribution e dalla Dansk Distribution in allegato alle loro rispettive memorie di intervento.

91      Dall’altro lato, secondo le ricorrenti, l’ubiquità della Post Danmark, i cui servizi coprono l’intero territorio danese, le conferirebbe un vantaggio significativo e costituirebbe un fattore di vendita, in particolare rispetto alle società di commercio elettronico. L’esistenza di un simile vantaggio sarebbe stata riconosciuta nella relazione annuale e sulla sostenibilità della PostNord per il 2017. Orbene, nel calcolo del CEN accettato dalla Commissione non sarebbe stato dedotto alcun importo legato a tale ubiquità.

92      Nella replica, le ricorrenti affermano che la relazione US Postal è pertinente anche per quanto riguarda l’ubiquità, al pari di un documento elaborato nel 2014 dall’Economic and Social Research Council (Consiglio della ricerca economica e sociale, ESRC, Regno Unito), nell’ambito di una consultazione pubblica sulla concorrenza nel settore postale nel Regno Unito, prodotto come allegato C.5 della replica e parimenti prodotto dalla Jørgen Jensen Distribution e dalla Dansk Distribution in allegato alle loro rispettive memorie di intervento. Oltre a ciò, queste ultime rilevano che qualsiasi fornitore incaricato dell’OSU beneficia di un valore di marchio associato all’ubiquità, in quanto «l’OSU richiede un servizio universale completo e in ogni luogo».

93      Inoltre, secondo le ricorrenti, la compensazione in questione non tiene conto degli incentivi all’efficienza, in violazione dei punti da 39 a 43 della disciplina SIEG. A tale proposito, le ricorrenti rilevano che la Commissione ha calcolato i costi dell’OSU sulla base dei costi effettivi e dei costi previsionali della Post Danmark. Tuttavia, quest’ultima sarebbe stata sull’orlo del fallimento nel periodo coperto dalla compensazione in questione e le sarebbe occorsa una grande trasformazione per diventare efficiente. Pertanto, il calcolo di tale compensazione non sarebbe stato effettuato sulla base di un fornitore efficiente. Le ricorrenti aggiungono che detta compensazione, che riguarda l’OSU per il periodo dal 2017 al 2019, è stata concessa «a posteriori» per quanto riguarda la prima metà di tale periodo, compresa tra il 2017 e l’adozione della decisione impugnata, il 28 maggio 2018. Pertanto, per detta prima metà del periodo in questione non si sarebbe potuto verificare il rispetto degli standard di qualità stabiliti nel mandato di servizio universale.

94      Infine, le ricorrenti lamentano un «errore di diritto» compiuto dalla Commissione laddove ha considerato la compensazione in questione compatibile con il mercato interno pur accettando espressamente che essa fosse utilizzata per finanziare una parte dei costi legati al licenziamento di alcuni dipendenti della Post Danmark non assegnati all’OSU, mentre tale compensazione avrebbe dovuto essere destinata solo all’adempimento dell’OSU. La Commissione sarebbe infatti tenuta a verificare la compatibilità di un aiuto alla luce dell’obiettivo perseguito dal medesimo, cosa che essa non avrebbe fatto nel caso di specie, omettendo di esaminare se l’obiettivo di licenziare i dipendenti della Post Danmark fosse compatibile con il mercato interno. In tali circostanze, secondo le ricorrenti, la Commissione avrebbe accettato un utilizzo abusivo della compensazione in questione.

95      Le ricorrenti sostengono inoltre che la Commissione ha erroneamente accettato l’inclusione delle spese di licenziamento dei dipendenti della Post Danmark nel calcolo del CEN senza che sia stato accertato che i dipendenti in questione lavorassero nell’ambito dell’OSU. La loro argomentazione sarebbe corroborata da una relazione dell’agosto 2012 del gruppo dei regolatori europei per i servizi postali (ERGP) sul calcolo del CEN (in prosieguo: la «relazione dell’ERGP»).

96      Nelle loro osservazioni sulla memoria di intervento del Regno di Danimarca, le ricorrenti sostengono che la Commissione avrebbe dovuto basarsi sugli orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà (GU 2014, C 249, pag. 1; in prosieguo: gli «orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione») al fine di autorizzare la destinazione della compensazione in questione al licenziamento di ex funzionari della Post Danmark. Tale argomento è stato ripreso in udienza sia dalle ricorrenti che dalla Dansk Distribution.

97      La Commissione, sostenuta dal Regno di Danimarca, contesta l’argomentazione delle ricorrenti.

98      In particolare, da un lato, la Commissione contesta la ricevibilità degli allegati da C.2 a C.5, la cui produzione per la prima volta in fase di replica non sarebbe giustificata dalle ricorrenti.

99      Dall’altro lato, la Commissione eccepisce l’irricevibilità, ai sensi dell’articolo 84 del regolamento di procedura, di vari argomenti dedotti dopo il primo scambio di memorie. Ciò varrebbe, in primo luogo, per l’argomento con cui le ricorrenti rilevano, in fase di replica, che lo scenario controfattuale deve essere stabilito sulla base delle redditività a lungo termine di talune attività. In secondo luogo, in risposta a un quesito posto dal Tribunale nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, la Commissione ha contestato la ricevibilità dell’argomento secondo cui non sarebbe stata accertata l’assegnazione all’OSU dei dipendenti della Post Danmark che erano oggetto di un piano di licenziamenti, per il motivo che tale argomento è stato svolto dalle ricorrenti solo in fase di replica e successivamente nelle loro osservazioni sulla memoria di intervento presentata dal Regno di Danimarca. In terzo luogo, infine, la Commissione ha contestato in udienza la ricevibilità dell’argomentazione riassunta al punto 96 supra e relativa all’esame della compensazione in questione alla luce degli orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione.

a)      Sulla ricevibilità degli allegati da C.2 a C.5

100    Ai sensi dell’articolo 76, lettera f), del regolamento di procedura, ogni ricorso deve contenere, se del caso, le prove e le offerte di prova.

101    Inoltre, l’articolo 85, paragrafo 1, del regolamento di procedura dispone che le prove e le offerte di prova sono presentate nell’ambito del primo scambio di memorie. All’articolo 85, paragrafo 2, del medesimo regolamento è precisato che le parti possono ancora produrre prove od offerte di prova a sostegno delle loro argomentazioni in sede di replica e di controreplica, a condizione che il ritardo nella presentazione delle stesse sia giustificato.

102    A tale proposito, risulta dalla giurisprudenza che la prova contraria e l’ampliamento delle deduzioni istruttorie a seguito di una prova contraria della controparte nel suo controricorso non sono colpite dalla decadenza prevista dall’articolo 85, paragrafo 1, del regolamento di procedura. Tale disposizione riguarda infatti le deduzioni istruttorie nuove e deve essere letta alla luce dell’articolo 92, paragrafo 7, di detto regolamento, il quale prevede espressamente che la prova contraria e l’ampliamento dei mezzi di prova sono riservati [v. sentenza del 22 giugno 2017, Biogena Naturprodukte/EUIPO (ZUM wohl), T‑236/16, EU:T:2017:416, punto 17 e giurisprudenza citata].

103    Nel caso di specie, le ricorrenti hanno prodotto vari documenti negli allegati da C.2 a C.5 della replica, la cui ricevibilità è contestata dalla Commissione in ragione della loro tardività.

104    A questo proposito, occorre rilevare che, nel controricorso, la Commissione eccepisce, da un lato, che, di norma, gli operatori postali incaricati dell’OSU non godono per tale circostanza di una reputazione rafforzata e, dall’altro, che i medesimi operatori possono beneficiare di vantaggi legati all’ubiquità quando offrono un’ampia gamma di attività commerciali oltre all’attività postale propriamente detta. Orbene, i documenti prodotti negli allegati da C.2 a C.5 sono intesi, in sostanza, a dimostrare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il miglioramento della reputazione e l’ubiquità costituiscono vantaggi intangibili legati all’OSU che sono generalmente riconosciuti nel settore postale. Pertanto, come hanno esposto le ricorrenti in risposta a un quesito posto dal Tribunale nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, la produzione di tali allegati in fase di replica può essere giustificata al fine di garantire il rispetto del principio del contraddittorio in relazione a taluni argomenti svolti nel controricorso, conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 102 supra.

105    In tali circostanze, gli allegati da C.2 a C.5 sono ricevibili.

b)      Sullesistenza di gravi difficoltà relativamente alla compensazione in questione

106    Ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 2, TFUE, le imprese incaricate della gestione di un servizio d’interesse economico generale (SIEG) sono sottoposte alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata, purché tuttavia lo sviluppo degli scambi non sia compromesso in misura contraria agli interessi dell’Unione (v. sentenza del 1° luglio 2010, M6 e TF1/Commissione, T‑568/08 e T‑573/08, EU:T:2010:272, punto 136 e giurisprudenza citata).

107    Consentendo, a talune condizioni, deroghe alle norme generali del Trattato, l’articolo 106, paragrafo 2, TFUE mira a conciliare l’interesse degli Stati membri ad utilizzare talune imprese, in particolare del settore pubblico, come strumento di politica economica o sociale, con l’interesse dell’Unione al rispetto delle regole di concorrenza ed al mantenimento dell’unità del mercato interno. Ciò che l’articolo 106, paragrafo 2, TFUE intende evitare con la valutazione della proporzionalità dell’aiuto è che l’operatore preposto al servizio pubblico benefici di un finanziamento che ecceda i costi netti del servizio pubblico (sentenze del 7 novembre 2012, CBI/Commissione, T‑137/10, EU:T:2012:584, punto 293; del 16 ottobre 2013, TF1/Commissione, T‑275/11, non pubblicata, EU:T:2013:535, punto 131, e del 24 settembre 2015, Viasat Broadcasting UK/Commissione, T‑125/12, EU:T:2015:687, punto 87).

108    Pertanto, nell’ambito del controllo di proporzionalità inerente all’articolo 106, paragrafo 2, TFUE, spetta alla Commissione confrontare l’importo degli aiuti di Stato previsti con il livello dei costi netti delle missioni di servizio pubblico assunte dal beneficiario di tali aiuti (v., per analogia, sentenza del 10 luglio 2012, TF1 e a./Commissione, T‑520/09, non pubblicata, EU:T:2012:352, punto 121).

109    Tale è l’obiettivo perseguito dalla metodologia del CEN, in base alla quale, secondo il punto 25, prima frase, della disciplina SIEG, «il costo netto necessario – o che si prevede sia necessario – per ottemperare agli obblighi di servizio pubblico è calcolato come la differenza tra il costo netto per il fornitore del servizio soggetto ad un obbligo di servizio pubblico e il costo netto o utile del medesimo fornitore in assenza di tale obbligo». Pertanto, la metodologia del CEN implica l’elaborazione di uno scenario controfattuale, vale a dire una situazione ipotetica nella quale il fornitore del servizio universale non sarebbe più incaricato di tale servizio, e il suo confronto con lo scenario fattuale, in cui detto fornitore assicura l’OSU.

110    È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare i diversi argomenti delle ricorrenti relativi al fatto che la Commissione avrebbe incontrato gravi difficoltà nel valutare la compatibilità della compensazione in questione con il mercato interno.

111    Nel caso di specie, le ricorrenti deducono quattro serie di indizi dell’esistenza di gravi difficoltà, relative, la prima, all’erronea dimissione di talune attività nello scenario controfattuale utilizzato come base per il calcolo del CEN, la seconda, alla mancata detrazione di taluni vantaggi intangibili nel calcolo del CEN, la terza, alla mancata presa in considerazione, in tale calcolo, di incentivi all’efficienza ai sensi dei punti da 39 a 43 della disciplina SIEG e, la quarta, all’utilizzo della compensazione in questione per fini diversi dall’adempimento dell’OSU.

1)      Sullo scenario controfattuale

112    Le ricorrenti contestano l’elaborazione dello scenario controfattuale in quanto esso non prende in considerazione talune attività. A tale proposito, esse addebitano alla Commissione di avere accettato lo scenario controfattuale loro presentato dalle autorità danesi sebbene tale scenario includesse la dismissione di talune attività che, in realtà, la Post Danmark avrebbe probabilmente proseguito in assenza dell’OSU.

113    In limine, occorre rammentare che ai punti da 21 a 23 della disciplina SIEG, collocati nella sezione 2.8, intitolata «Importo della compensazione», è indicato quanto segue:

«21.      L’importo della compensazione non deve eccedere quanto necessario per coprire i costi netti determinati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, compreso un margine di utile ragionevole.

22.      L’importo della compensazione può essere fissato sulla base dei costi e delle entrate previsti, dei costi e delle entrate effettivamente registrati o su una combinazione dei due, a seconda degli incentivi all’efficienza che lo Stato membro intende prevedere sin dall’inizio, in conformità ai punti 40 e 41.

23.      Qualora la compensazione si basi, del tutto o in parte, sui costi e sulle entrate previsti, questi devono essere specificati nell’atto di incarico e devono basarsi su parametri plausibili ed osservabili relativi al contesto economico nel quale viene fornito il SIEG. I costi e le entrate previsti devono basarsi, se possibile, sulla competenza delle autorità di regolamentazione del settore o di altri organismi indipendenti dall’impresa. Gli Stati membri devono specificare su quali fonti si basano tali previsioni ([f]onti di informazione pubbliche, livelli dei costi sostenuti in passato dal fornitore del SIEG, livelli dei costi dei concorrenti, piani aziendali, relazioni sui settori in questione ecc.). La stima dei costi deve riflettere le aspettative di incrementi di efficienza realizzati dal fornitore del SIEG nel periodo dell’incarico».

114    Dai punti da 21 a 23 della disciplina SIEG risulta che gli Stati membri, i quali devono notificare alla Commissione i loro progetti volti all’istituzione di aiuti, dispongono di un certo margine di discrezionalità nella scelta dei dati pertinenti per il calcolo del CEN e che, quando tale calcolo si basa su dati previsionali, la Commissione ne verifica la plausibilità e si assicura che esso non superi quanto necessario per coprire il costo netto dell’adempimento del servizio pubblico, compreso un margine di utile ragionevole.

115    A tale proposito, si deve ricordare che i dati di natura previsionale comportano, per loro natura, un margine di errore e che questa sola circostanza non è atta a costituire un indizio di gravi difficoltà incontrate dalla Commissione nell’esame preliminare di un aiuto di Stato (v., in tal senso, sentenza del 10 luglio 2012, TF1 e a./Commissione, T‑520/09, non pubblicata, EU:T:2012:352, punti 103 e 139).

116    Nel caso di specie, al punto 148 della decisione impugnata, la Commissione ha affermato che lo scenario fattuale si fondava sui costi e ricavi previsionali per il periodo dal 2017 al 2019, basati sui conti finanziari della Post Danmark per i primi dieci mesi del 2017, su proiezioni per gli ultimi due mesi di tale anno e sul piano aziendale della Post Danmark per gli anni 2018 e 2019. Al punto 151 della decisione impugnata, la Commissione ha precisato che lo scenario controfattuale si basava sulla stima dei costi e dei ricavi dell’attività commerciale della Post Danmark in uno scenario nel quale non le fosse stato affidato l’OSU.

117    Dai punti 151 e 160 della decisione impugnata risulta che le autorità danesi hanno ritenuto che, in assenza dell’OSU, la Post Danmark avrebbe cessato gli invii unitari di lettere e pacchi, definiti al punto 3 del mandato di servizio universale come «lettere e pacchi affrancati inclusi nell’OSU, spediti occasionalmente e/o in piccole quantità e che non [era]no coperti da un contratto stipulato con la Post Danmark», gli invii raccomandati o con valore dichiarato, il servizio gratuito per i non vedenti, la consegna di giornali, riviste e cataloghi e gli invii internazionali di posta‑lettere e pacchi postali.

118    In primo luogo, le ricorrenti deducono che gli invii unitari di lettere e pacchi, gli invii raccomandati o con valore dichiarato, il servizio gratuito per i non vedenti, la consegna di giornali e riviste e gli invii internazionali di posta‑lettere e pacchi postali sono redditizi nelle aree urbane e che, pertanto, quand’anche non fosse più stata incaricata dell’OSU, la Post Danmark avrebbe continuato a svolgere dette attività in tali aree.

119    Anzitutto, si deve rilevare che l’asserita redditività delle attività in questione è desunta dalla relazione della BDO.

120    A tal riguardo, da un lato, secondo giurisprudenza costante, per l’attività della Corte e del Tribunale vale il principio del libero apprezzamento delle prove e il solo criterio di apprezzamento dell’efficacia delle prove prodotte risiede nella loro attendibilità. Per valutare l’efficacia probatoria di un documento, si deve verificare la verosimiglianza dell’informazione in esso contenuta, considerare, in particolare, la provenienza del documento, le circostanze in cui esso è stato elaborato e il suo destinatario, e chiedersi se, in base al suo contenuto, esso appaia ragionevole e affidabile (v. sentenza del 15 settembre 2016, Ferracci/Commissione, T‑219/13, EU:T:2016:485, punto 42 e giurisprudenza citata).

121    Dall’altro lato, come si è ricordato al punto 48 supra, la legittimità di una decisione in materia di aiuti di Stato deve essere valutata in funzione degli elementi di informazione di cui la Commissione poteva disporre nel momento in cui l’ha adottata.

122    Orbene, nel caso di specie, la relazione della BDO è stata redatta dopo l’adozione della decisione impugnata e su richiesta dell’ITD. Pertanto, l’efficacia probatoria di tale relazione ai fini della dimostrazione dell’esistenza di gravi difficoltà, che spetta alle ricorrenti, deve essere considerata fortemente limitata.

123    Inoltre, come rilevato dalla Commissione, l’inclusione di attività redditizie nello scenario controfattuale avrebbe avuto l’effetto di aumentare i profitti della Post Danmark in un simile scenario e di aumentare quindi la differenza, necessaria al calcolo del CEN, tra le entrate derivanti dall’OSU e quelle che la Post Danmark avrebbe ottenuto in assenza dell’OSU. Pertanto, se lo scenario controfattuale avesse incluso il proseguimento di altre attività redditizie, la possibilità che il calcolo del CEN portasse a una sovracompensazione si sarebbe ulteriormente ridotta, al pari, di conseguenza, del rischio di incompatibilità della compensazione in questione con il mercato interno.

124    Una siffatta conclusione non è rimessa in discussione dall’argomento dedotto dalle ricorrenti nella replica, secondo cui le attività da loro presentate come redditizie sono tali in realtà solo a lungo termine, cosicché, per la determinazione dello scenario controfattuale, stabilito in relazione al periodo a breve termine dal 2017 al 2019, dette attività comporterebbero perdite.

125    Infatti, anche supponendolo ricevibile, siffatto argomento si basa su una premessa erronea. A tale proposito, occorre rammentare che il calcolo del CEN, che mira ad isolare il costo della fornitura del servizio universale, implica l’elaborazione di uno scenario controfattuale, vale a dire una situazione ipotetica nella quale il fornitore di un siffatto servizio non ne sia più incaricato (v. punto 109 supra). Questa metodologia consiste, in una prima fase, nel valutare se, in assenza dell’OSU, l’operatore inizialmente incaricato dello stesso cambierebbe il proprio comportamento e cesserebbe di fornire i servizi in perdita o modificherebbe le modalità di fornitura dei servizi in perdita e, in una seconda fase, nel valutare l’incidenza di tale cambiamento di comportamento sui suoi costi e ricavi al fine di detrarne e calcolare un eventuale CEN. In altri termini, occorre stimare il costo netto dell’OSU valutando in quale misura aumenterebbero i profitti dell’operatore incaricato dell’OSU qualora esso non fosse tenuto a fornire il servizio universale (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2020, První novinová společnost/Commissione, T‑316/18, non pubblicata, EU:T:2020:489, punti 272 e 273).

126    A tal fine è quindi necessario, come indicato dalla Commissione, che lo scenario controfattuale descriva una situazione stabile che non tenga conto delle spese relative alla transizione, per il fornitore del servizio universale, alla situazione nella quale esso non è più incaricato dell’OSU. L’argomentazione delle ricorrenti non può essere accolta in quanto presuppone che la prosecuzione di attività redditizie comporti più perdite che profitti.

127    In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che lo scenario controfattuale proposto dalle autorità danesi non era realistico, in quanto prevedeva che la Post Danmark rinunciasse, in assenza dell’OSU, agli invii internazionali di posta‑lettere e di pacchi postali, sebbene gli obiettivi strategici dichiarati della Post Danmark si riferiscano a una «solida presenza internazionale» e alla fornitura di soluzioni logistiche complete per la consegna di merci dall’estero al cliente finale.

128    Tuttavia, come giustamente fatto valere dal Regno di Danimarca, lo scenario controfattuale riguarda solo la dismissione, da parte della Post Danmark, delle attività comprese nel mandato di servizio universale in assenza dell’OSU, vale a dire, conformemente alla Convenzione postale universale, cui rinvia il punto 2 del mandato di servizio universale (v. punto 5 supra), gli «invii della posta‑lettere» e alcuni «pacchi postali» indirizzati a singoli fino a 20 chilogrammi.

129    Pertanto, dallo scenario controfattuale non risulta che le autorità danesi abbiano ritenuto che la Post Danmark, qualora non fosse più incaricata dell’OSU, attenuerebbe la sua presenza internazionale o non sarebbe più in grado di assicurare la consegna di merci a livello internazionale. Ne consegue che lo scenario controfattuale non è in contrasto con gli obiettivi della Post Danmark relativi al rafforzamento della sua presenza internazionale e all’offerta di soluzioni logistiche complete al cliente finale.

130    Alla luce di quanto precede, le critiche delle ricorrenti relative all’elaborazione dello scenario controfattuale non sono atte a rivelare l’esistenza di gravi difficoltà con le quali sarebbe stata confrontata la Commissione.

2)      Sulla detrazione dei vantaggi intangibili

131    Ai sensi del punto 25, ultima frase, della disciplina SIEG, «[i]l calcolo del costo netto deve valutare i vantaggi, compresi per quanto possibile quelli immateriali, di cui beneficia il fornitore del SIEG».

132    Per quanto riguarda più specificamente il servizio postale universale, la direttiva 2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 febbraio 2008, che modifica la direttiva 97/67/CE per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari (GU 2008, L 52, pag. 1), ha inserito nella direttiva 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 1997, concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio (GU 1998, L 15, pag. 14), l’allegato I, intitolato «Orientamenti per il calcolo dell’eventuale costo netto del servizio universale». Tale allegato prevede, nella parte B, terzo e quarto comma, che nel calcolo del costo netto del servizio universale si tenga conto dei vantaggi intangibili.

133    Pertanto, in linea di principio, qualsiasi calcolo del CEN deve detrarre i vantaggi intangibili imputabili all’OSU (v., in tal senso, sentenza del 25 marzo 2015, Slovenská pošta/Commissione, T‑556/08, non pubblicata, EU:T:2015:189, punto 373), fermo restando che nessuna disposizione indica i tipi di vantaggi intangibili imputabili, in generale, a un SIEG o, in particolare, all’OSU in materia postale.

134    Nel caso di specie, al punto 157 della decisione impugnata, la Commissione ha ricordato che i vantaggi intangibili nel settore postale comprendono le economie di scala e di diversificazione, i vantaggi pubblicitari legati alla proprietà intellettuale, gli effetti sulla domanda dovuti all’esenzione dall’IVA, i vantaggi connessi alla copertura territoriale totale, il potere contrattuale e una migliore acquisizione della clientela.

135    Al punto 158 della decisione impugnata, la Commissione ha rilevato che il calcolo del CEN proposto dalle autorità danesi comprendeva due categorie di vantaggi intangibili. Da un lato, tale calcolo teneva conto dell’aumento della domanda in favore della Post Danmark per quanto riguarda i clienti che sono soggetti all’IVA e non possono detrarla, a motivo dell’esenzione da tale imposta per i servizi rientranti nell’OSU. Dall’altro lato, la Commissione ha rilevato che le autorità danesi avevano detratto gli attivi di proprietà intellettuale connessi all’OSU, in particolare quelli risultanti dalle ricadute pubblicitarie legate ai punti di contatto visibili, quali le cassette delle lettere e i punti di ritiro self‑service di pacchi.

136    Al punto 159 della decisione impugnata, la Commissione ha indicato che le autorità danesi avevano invece escluso dal calcolo del costo netto dell’OSU tre categorie di vantaggi intangibili, concernenti rispettivamente economie di scala, un maggiore potere contrattuale e una copertura territoriale completa sul mercato della consegna postale di riviste, periodici e cataloghi.

137    In sostanza, le ricorrenti addebitano alla Commissione di avere accettato un metodo di calcolo del CEN che non detraeva alcun vantaggio intangibile connesso al miglioramento della reputazione della Post Danmark e alla sua ubiquità sul territorio danese.

i)      Sul miglioramento della reputazione della Post Danmark

138    Le ricorrenti sostengono che il miglioramento della reputazione del fornitore del servizio universale è sempre considerato un vantaggio intangibile nel settore postale e che esso può raggiungere l’81% del costo dell’OSU. Nel caso della Post Danmark, l’OSU le consentirebbe di stampare francobolli recanti la parola «Danmark» e di usare il simbolo del corno postale con la corona d’oro negli uffici postali pubblici, rafforzando in tal modo il valore del marchio di detta impresa, costituitosi quando essa si trovava in situazione di monopolio.

139    In limine, si deve rilevare, al pari della Commissione, che la cifra dell’81% del costo dell’OSU, dedotta dalle ricorrenti, è tratta da uno studio sulle telecomunicazioni realizzato dalla WIK Consult nel 1997 e ripreso al punto 2.2, intitolato «Vantaggi intangibili nel settore delle comunicazioni elettroniche», dello studio della WIK del 2010. Non si può quindi dedurre da tale dato, che non riguarda il servizio postale universale, che la Commissione fosse confrontata con gravi difficoltà a causa della mancata presa in considerazione dell’incidenza dell’OSU sulla reputazione della Post Danmark.

140    Tuttavia, da vari elementi di prova prodotti dalle ricorrenti risulta che il miglioramento della reputazione del fornitore del servizio universale può essere considerato un vantaggio intangibile imputabile all’OSU nel settore postale. In particolare, lo studio della WIK del 2010 e la relazione dell’ERGP riportano, in termini identici, quanto segue:

«La maggior parte degli operatori storici/[fornitori del servizio universale] prestano servizi postali di elevata qualità, in tutto il loro territorio (Paese). Per tale motivo, essi godono di un’ottima reputazione e quindi di un elevato valore del loro marchio. I clienti, che percepiscono tale elevata qualità (riconoscendo altresì che il [fornitore del servizio universale] offre loro servizi in perdita), tenderanno ad acquistare servizi (non OSU) presso [il fornitore del servizio universale] a scapito di un altro operatore. Ridurre la qualità del servizio al di sotto degli standard OSU potrebbe comportare una perdita di reputazione dell’impresa e di valore del marchio».

141    A tal riguardo, occorre sottolineare che questa citazione figura nelle parti dello studio della WIK del 2010 e della relazione dell’ERGP dedicate all’inventario della documentazione e delle pubblicazioni disponibili sui vantaggi di cui gode il fornitore del servizio universale nel settore postale. Tali documenti precisano che l’individuazione del vantaggio relativo al miglioramento della reputazione del fornitore del servizio universale si basa su studi del 2001, del 2002 e del 2008.

142    Nel caso di specie, le ricorrenti non sono in grado di spiegare in qual modo le considerazioni riportate al punto 140 supra, che sono atte a dimostrare che l’OSU migliora la reputazione dell’operatore incaricatone, siano applicabili alla Post Danmark, per la quale il ricorso generalizzato agli invii elettronici ha determinato un calo di fatturato del 38% tra il 2009 e il 2016. Su quest’ultimo punto, come rilevato dalla Commissione, le difficoltà finanziarie incontrate dalla Post Danmark durante tale periodo hanno comportato, da un lato, una diminuzione delle prestazioni di servizi offerte nell’ambito dell’OSU e, dall’altro, l’aumento dei prezzi di detti servizi, il che esclude l’esistenza di gravi difficoltà per quanto riguarda la mancata detrazione di vantaggi connessi al miglioramento della reputazione della Post Danmark nel calcolo del CEN.

143    Una siffatta conclusione non è rimessa in discussione dalla relazione US Postal, dalla quale risulta che, nonostante le difficoltà finanziarie, il valore del marchio di impresa dell’operatore US Postal, incaricato dell’OSU negli Stati Uniti, è rimasto ad un livello molto elevato ed equivalente al costo dell’OSU. A questo proposito, anche supponendo che il contesto nel quale opera la US Postal sia trasponibile a quello relativo alla Post Danmark, la rilevanza del valore del suo marchio di impresa e il confronto di tale marchio con il costo dell’OSU non sono rilevanti al fine di dimostrare che la reputazione dell’impresa subisca ripercussioni in mancanza dell’OSU. Infatti, ai fini della detrazione dei vantaggi intangibili nel calcolo del CEN, non si deve valutare il valore del marchio di impresa del fornitore del servizio universale, bensì stabilire se la reputazione di un fornitore del servizio universale sia migliorata dal fatto che esso presta detto servizio.

144    Inoltre, neppure la circostanza, addotta dalle ricorrenti, che l’OSU consente alla Post Danmark di stampare francobolli recanti il nome «Danmark» e di utilizzare il logo del corno postale con la corona d’oro può essere considerata come un indizio di gravi difficoltà legate alla mancata presa in considerazione di un vantaggio intangibile relativo al miglioramento della reputazione della Post Danmark. Infatti, se pure una tale circostanza è atta a dimostrare un collegamento tra lo Stato danese e la Post Danmark, le ricorrenti non dimostrano che detto collegamento si interromperebbe in assenza dell’OSU. Orbene, tenuto conto del fatto che il nome «Danmark» è una componente della ragione sociale della Post Danmark, che è l’operatore storico danese e ha beneficiato, in tale qualità, di una posizione di monopolio sul territorio nazionale, e che lo Stato danese è uno dei due azionisti della società controllante della Post Danmark, è probabile che, quand’anche detto operatore non fosse più incaricato dell’OSU, la sua immagine continuerebbe ad essere associata allo Stato danese.

145    Infine, le ricorrenti non possono trarre validamente argomenti dallo studio della WIK del 2010 relativo all’operatore francese La Poste e da una relazione relativa all’operatore irlandese An Post.

146    Da un lato, sebbene lo studio della WIK del 2010 abbia concluso che il fatto che La Poste sia fornitore del servizio universale era atto a migliorare la sua reputazione, tale conclusione era legata all’esistenza di circostanze proprie al fornitore in questione, come risulta dalla constatazione che «i clienti percepiscono La Poste come un buon cittadino di impresa», che «[t]utto ciò che riguarda, in Francia, la nozione di “servizio pubblico” ha, per tradizione, un posto e un ruolo molto importanti agli occhi della popolazione» e che «[l]a gente ha fiducia nei servizi postali e finanziari di La Poste ed è molto sensibile a qualsiasi cambiamento nell’offerta di tali servizi». Orbene, le ricorrenti non dimostrano, e nemmeno sostengono, che siffatte circostanze siano trasponibili alla Post Danmark.

147    Dall’altro lato, per quanto riguarda la relazione concernente la An Post, il passaggio citato dalle ricorrenti, secondo cui la fornitura del servizio universale consente di migliorare la reputazione, è tratto da una sezione relativa all’«invio di corrispondenza». Solo per quanto riguarda tale servizio si potrebbe dedurre dal passaggio sopra citato un miglioramento della reputazione derivante dall’OSU.

148    Orbene, dai punti 151 e 160 della decisione impugnata risulta che, in mancanza dell’OSU, la Post Danmark cesserebbe di assicurare l’invio di lettere in ragione della mancanza di redditività di un siffatto servizio. Pertanto, un peggioramento della reputazione limitato al settore dell’invio delle lettere non inciderebbe sulla situazione della Post Danmark in assenza dell’OSU, dato che essa non sarebbe più presente in detto settore.

149    Da quanto precede risulta che nessuno degli elementi dedotti dalle ricorrenti consente di ritenere che il fatto che le autorità danesi non abbiano tenuto conto del miglioramento dell’immagine di marchio legato all’OSU nel calcolo del CEN avrebbe dovuto suscitare dubbi nella Commissione nell’esame della compatibilità con il mercato interno della compensazione in questione.

ii)    Sull’ubiquità

150    Secondo le ricorrenti, la Commissione ha inoltre accettato erroneamente il calcolo del CEN proposto dalle autorità danesi, sebbene un siffatto calcolo non detraesse alcun importo in relazione all’ubiquità.

151    A tal riguardo, da vari documenti prodotti dalle ricorrenti, in particolare dallo studio della WIK del 2010 e dalla relazione della ERGP, emerge che, nel settore postale, l’ubiquità designa l’effetto di acquisizione e fidelizzazione dei consumatori, i quali sono maggiormente inclini a ricorrere al fornitore del servizio universale che non ai suoi concorrenti, in quanto sanno che, in ragione dell’OSU, tale fornitore eroga servizi in tutto il territorio.

152    Pertanto, si deve rilevare anzitutto che, da un lato, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, non godono del vantaggio derivante dall’ubiquità unicamente gli operatori che offrono servizi bancari o assicurativi, sebbene tale vantaggio possa essere tanto maggiore quanto più numerosi e variegati sono i servizi offerti. Dall’altro lato, contrariamente a quanto sostenuto dal Regno di Danimarca, il vantaggio legato all’ubiquità si distingue dall’efficacia pubblicitaria, la quale designa il fatto che la presenza territoriale connessa all’OSU offre al fornitore del servizio universale una visibilità su tutto il territorio, mentre qualsiasi altro operatore dovrebbe sostenere spese pubblicitarie per ottenere una visibilità equivalente.

153    Ciò posto, il fatto che l’ubiquità possa essere considerata un vantaggio intangibile legato al servizio universale in materia postale non è in contrasto con il contenuto della decisione impugnata, dato che la Commissione ha indicato, al punto 157 della stessa, che i vantaggi intangibili e commerciali comprendono tipicamente i «vantaggi [legati alla] copertura universale» e una «migliore acquisizione della clientela».

154    Inoltre, come rilevato dal Regno di Danimarca, un vantaggio intangibile legato all’ubiquità non è sistematicamente detratto dal calcolo del CEN, come dimostra lo studio della WIK del 2010, prodotto dalle ricorrenti, secondo cui l’OSU non procurava all’operatore francese La Poste alcun vantaggio intangibile legato all’ubiquità.

155    Nel caso di specie, al punto 159, iii), della decisione impugnata, la Commissione ha indicato che i distributori di cataloghi, riviste e periodici erano pienamente disposti, secondo le autorità danesi, a scegliere distributori che non offrono una copertura territoriale universale. Tale considerazione, che le ricorrenti non contestano, tende a dimostrare che la Post Danmark non gode, in ragione del suo status di fornitore del servizio universale, di un vantaggio intangibile legato all’ubiquità.

156    Per quanto riguarda gli elementi dedotti dalle ricorrenti e diretti a dimostrare che l’OSU conferisce alla Post Danmark un vantaggio intangibile relativo alla sua ubiquità, si deve rilevare che, certamente, nella sua relazione annuale e sulla sostenibilità per il 2017, la PostNord ha indicato che la presa in carico dell’OSU in Svezia e Danimarca le consentiva di accedere a tutte le case in questi due Stati, il che costituiva un fattore di forza in relazione alla crescita del commercio elettronico.

157    Tuttavia, tale estratto non è in contrasto con il contenuto della decisione impugnata riguardante la mancata detrazione di un vantaggio intangibile relativo all’ubiquità. Infatti, da un lato, al punto 149, i), della decisione impugnata, la Commissione ha rilevato che la Post Danmark prevedeva, per il periodo dal 2017 al 2019, un aumento sostanziale degli invii delle imprese ai consumatori, tenuto conto della crescita del commercio elettronico. Dall’altro lato, dal punto 151 della decisione impugnata risulta che, in mancanza dell’OSU, la Post Danmark avrebbe continuato a consegnare i pacchi diversi dai pacchi unitari, con alcuni adeguamenti relativi alla consegna a domicilio che sarebbe cessata in alcune zone rurali particolarmente poco popolate. Pertanto, come rilevato dalla Commissione e dal Regno di Danimarca, anche in assenza dell’OSU, l’ubiquità della Post Danmark non sarebbe stata fondamentalmente modificata per quanto riguarda i servizi connessi al commercio elettronico, dato che la Post Danmark avrebbe continuato ad offrire, in tutto il territorio danese, la consegna di pacchi diversi dai pacchi unitari, con o senza consegna a domicilio a seconda delle zone.

158    Inoltre, come correttamente osservato dalla Commissione, gli estratti della relazione US Postal e del documento elaborato dall’ESRC citati dalle ricorrenti riguardano l’ubiquità del marchio di impresa di un fornitore del servizio universale, vale a dire l’incidenza della copertura totale del territorio sulla reputazione di tale fornitore. Orbene, come si è rilevato ai punti da 142 a 149 supra, la situazione della Post Danmark era tale che la Commissione poteva escludere che l’OSU avrebbe migliorato la sua reputazione.

159    In tali circostanze, gli elementi dedotti dalle ricorrenti non consentono di ritenere che l’assenza di una specifica detrazione di un vantaggio intangibile legato all’ubiquità, nel calcolo del CEN presentato dalle autorità danesi, avrebbe dovuto porre la Commissione di fronte a gravi difficoltà per quanto riguarda la compatibilità della compensazione in questione con il mercato interno.

3)      Sulla presa in considerazione degli incentivi all’efficienza

160    Le ricorrenti addebitano alla Commissione di avere considerato che la compensazione in questione era compatibile con il mercato interno, mentre, a loro avviso, il calcolo del CEN che costituiva la base di tale compensazione violava, sotto due profili, i punti da 39 a 43 della disciplina SIEG, relativi agli incentivi all’efficienza. Da un lato, il calcolo del CEN non sarebbe stato elaborato sulla base di un fornitore efficiente e, dall’altro, non sarebbe stato possibile effettuare alcun controllo della qualità del servizio universale, in quanto la compensazione in questione è stata, in parte, versata a posteriori.

161    I punti da 39 a 43 della disciplina SIEG sono così formulati:

«39.      Nel definire il metodo di compensazione, gli Stati membri devono introdurre incentivi a favore di una prestazione efficiente di SIEG di elevata qualità, a meno che possano debitamente dimostrare che questo non sia possibile o opportuno.

40.      Gli incentivi all’efficienza possono essere concepiti in modi diversi per rispondere meglio alle specificità di ciascun caso o settore. Ad esempio, gli Stati membri possono definire in anticipo un livello di compensazione fisso che preveda e incorpori gli incrementi di efficienza che si può prevedere che l’impresa realizzi nel corso della durata dell’atto di incarico.

41.      In alternativa, gli Stati membri possono definire obiettivi di efficienza produttiva nell’atto di incarico in base ai quali il livello della compensazione è subordinato alla misura in cui gli obiettivi sono stati raggiunti. Se l’impresa non soddisfa gli obiettivi, la compensazione dovrebbe essere ridotta in base ad un metodo di calcolo specificato nell’atto di incarico. (...) Gli aumenti connessi ad incrementi di efficienza produttiva devono essere fissati ad un livello tale da consentire una ripartizione equilibrata del beneficio di detti incrementi fra l’impresa e lo Stato membro e/o gli utenti.

42.      Tali meccanismi volti ad incentivare i miglioramenti di efficienza devono basarsi su criteri oggettivi e misurabili, stabiliti nell’atto di incarico e soggetti ad una valutazione ex post trasparente effettuata da un soggetto indipendente dal fornitore del SIEG.

43.      Gli incrementi di efficienza dovrebbero essere realizzati senza incidere sulla qualità del servizio prestato e dovrebbero rispettare gli standard fissati nella normativa dell’Unione».

162    Nel caso di specie, ai punti da 166 a 169 della decisione impugnata, nonché al punto 181, vi), della stessa, la Commissione ha considerato che le autorità danesi avevano introdotto sufficienti incentivi all’efficienza del servizio universale. Da un lato, la Commissione ha ritenuto che un importante incentivo all’efficienza potesse essere dedotto dalla circostanza che la compensazione in questione sarebbe pagata in anticipo e che essa rappresentava il 46% del CEN, il che permetteva alla Post Danmark di mantenere tutti gli incrementi di efficienza a condizione che ciò non comportasse una sovracompensazione. Dall’altro lato, la Commissione ha rilevato che gli standard di qualità, imposti alla Post Danmark nel mandato di servizio universale, e il sistema di penalità istituito in caso di mancato rispetto di detti standard erano tali da escludere che i menzionati incrementi di efficienza influissero sulla qualità del servizio universale.

163    Gli argomenti dedotti dalle ricorrenti non consentono di concludere che simili considerazioni costituiscano un indizio dell’esistenza di gravi difficoltà concernenti la valutazione della compatibilità della compensazione in questione.

164    Anzitutto, le ricorrenti sostengono erroneamente che la compensazione in questione non costituiva un incentivo all’efficienza per il motivo che il suo beneficiario, la Post Danmark, era sull’orlo del fallimento e, pertanto, non poteva essere considerata un fornitore efficiente. Infatti, siffatto argomento deriva da una confusione tra, da un lato, gli incentivi all’efficienza richiesti ai punti da 39 a 43 della disciplina SIEG, i quali mirano a garantire che la fornitura di un SIEG procuri incrementi di efficienza assicurando al contempo un servizio di qualità, e, dall’altro, l’idea che il CEN sia calcolato sulla base di un fornitore efficiente.

165    A tale proposito, la questione se il livello della compensazione necessario debba essere determinato sulla base di un’analisi dei costi che un fornitore efficiente avrebbe sostenuto per adempiere l’OSU non è pertinente quando si valuta la compatibilità dell’aiuto nel contesto dell’applicazione dell’articolo 106, paragrafo 2, TFUE. Infatti, prendere in considerazione l’efficienza economica del fornitore del servizio universale equivarrebbe ad esigere che un siffatto servizio sia sempre fornito in normali condizioni di mercato, il che rischierebbe di ostare all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione affidata alle imprese incaricate della gestione di un SIEG. Orbene, tale situazione è esattamente ciò che l’articolo 106, paragrafo 2, TFUE mira a prevenire (v., in tal senso, sentenza del 24 settembre 2015, Viasat Broadcasting UK/Commissione, T‑125/12, EU:T:2015:687, punto 90 e giurisprudenza citata).

166    Inoltre, l’argomento delle ricorrenti secondo cui una parte della compensazione in questione è stata versata senza che sia stato possibile verificare il rispetto degli standard di qualità del servizio universale è carente in fatto. Invero, tali standard di qualità, nonché il meccanismo di controllo e sanzionatorio, sono stati definiti nel mandato di servizio universale, che risale al 30 maggio 2016, ossia prima dell’inizio del periodo interessato dalla compensazione in questione.

4)      Sull’utilizzo della compensazione in questione

167    In primo luogo, le ricorrenti addebitano alla Commissione di avere commesso un errore di diritto considerando che la compensazione in questione fosse compatibile con il mercato interno, sulla base della disciplina SIEG, pur consentendo espressamente che siffatta compensazione non fosse utilizzata ai fini dell’adempimento dell’OSU, bensì per pagare le spese legate al licenziamento di ex funzionari.

168    A tale proposito, è pacifico che, come rilevato dalla Commissione al punto 23 della decisione impugnata, la compensazione in questione costituisce una componente del nuovo modello di produzione della Post Danmark. In particolare, le autorità danesi hanno previsto che l’importo corrispondente alla compensazione in questione dovesse servire a finanziare una parte delle indennità speciali di licenziamento di ex funzionari della Post Danmark.

169    Secondo la giurisprudenza ricordata ai punti da 106 a 108 supra, l’obiettivo sotteso all’articolo 106, paragrafo 2, TFUE è evitare che le regole di concorrenza ostacolino l’adempimento dei loro compiti da parte delle imprese incaricate di un servizio pubblico, consentendo agli Stati membri di concedere loro un finanziamento, purché esso non ecceda i costi netti imputabili a tale servizio pubblico, compreso un margine di utile ragionevole.

170    Pertanto, l’esame della compatibilità con il mercato interno di una compensazione di servizio pubblico da parte della Commissione consiste nel verificare, a prescindere dalla destinazione effettiva dell’importo ad esso corrispondente, se detto servizio pubblico esista e se imponga un costo netto all’impresa incaricata di fornirlo.

171    Una siffatta valutazione è corroborata dalla circostanza che una compensazione di servizio pubblico può comprendere un margine di utile ragionevole e, pertanto, eccedere lo stretto ammontare dei costi netti del servizio pubblico.

172    Ciò vale a maggior ragione in materia postale, in quanto l’allegato I, parte C, primo comma, della direttiva 97/67 prevede che «[i]l recupero o il finanziamento del costo netto degli obblighi di servizio universale può implicare che i fornitori del servizio universale designati siano indennizzati per i servizi che forniscono a condizioni non commerciali». Infatti, l’espressione «il recupero o il finanziamento» utilizzata in tale disposizione esclude qualsiasi requisito secondo cui il trasferimento di fondi corrispondente a una compensazione per il servizio universale debba essere effettivamente destinato all’adempimento di tale servizio.

173    Di conseguenza, la circostanza che la somma concessa a titolo della compensazione in questione sia destinata a una finalità diversa dall’OSU non implica, di per sé, che la Commissione abbia incontrato gravi difficoltà nella valutazione della compatibilità di una misura siffatta (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2020, První novinová společnost/Commissione, T‑316/18, non pubblicata, EU:T:2020:489, punto 187).

174    Una conclusione del genere non può essere rimessa in discussione dall’argomento delle ricorrenti basato sulle norme giuridiche che vietano l’attuazione abusiva degli aiuti di Stato.

175    A questo proposito, dall’articolo 1, lettera g), del regolamento 2015/1589 risulta che gli aiuti attuati in modo abusivo sono aiuti utilizzati dal beneficiario in violazione di una decisione della Commissione.

176    Nel caso di specie, lo scopo della decisione impugnata è valutare la compatibilità della compensazione in questione, concessa al fine di coprire i costi netti dell’OSU quale previsto dal mandato di servizio universale. Orbene, è pacifico che, in Danimarca, l’OSU è assicurato dalla Post Danmark. Pertanto, si potrebbe constatare un’attuazione abusiva della compensazione in questione solo qualora fosse accertato che la Post Danmark non aveva adempiuto i suoi obblighi a titolo dell’OSU.

177    In secondo luogo, le ricorrenti sostengono in sostanza che la Commissione non poteva ammettere che il calcolo della compensazione in questione includesse l’importo delle spese di licenziamento degli ex funzionari della Post Danmark. In particolare, non sarebbe stato dimostrato che gli ex funzionari il cui licenziamento sarebbe coperto dalla compensazione in questione fossero effettivamente occupati nell’adempimento dell’OSU (v. punto 95 supra).

178    A tale proposito, anzitutto, come già esposto al punto 114 supra, gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità nella scelta dei dati pertinenti per il calcolo del CEN e nulla osta a che, al pari delle autorità danesi nel caso di specie, essi si basino sui costi precedentemente sostenuti dal fornitore del servizio universale o sul piano aziendale di quest’ultimo. Inoltre, come risulta dai punti 1 e 10 dell’accordo del 20 ottobre 2017 e dal punto 2.2 della decisione impugnata, da un lato, l’introduzione di un nuovo modello di produzione nell’ambito della Post Danmark è stata resa necessaria dal mutamento della natura del mercato postale dovuto alla crescente digitalizzazione delle comunicazioni in Danimarca e, dall’altro, il nuovo modello in questione è ampiamente incentrato sulla razionalizzazione di alcuni costi del personale inerenti alla consegna della posta. È quindi accertato che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, gli ex funzionari della Post Danmark, di cui era stato pianificato il licenziamento, erano intrinsecamente collegati alla consegna della posta, attività principale dell’OSU. Infine, come ha rilevato la Commissione senza essere contraddetta sul punto dalle ricorrenti, le autorità danesi hanno adottato un approccio prudente considerando, nello scenario controfattuale, che, anche se non fosse stata incaricata dell’OSU, la Post Danmark avrebbe comunque dovuto pagare le spese di licenziamento di ex funzionari nella stessa misura prevista nello scenario fattuale, il che tende a ridurre l’incidenza di tali spese di licenziamento sull’importo del CEN.

179    Per tutte le ragioni suesposte, si deve concludere che la presa in considerazione delle spese di licenziamento di ex funzionari della Post Danmark nel calcolo del CEN non è atta a dimostrare che la Commissione fosse confrontata con gravi difficoltà a tale riguardo.

180    Questa conclusione non può essere rimessa in discussione dalla relazione dell’ERGP. Infatti, secondo l’estratto di detta relazione invocato dalle ricorrenti, «le restrizioni alla riduzione del personale (...) non dovrebbero essere definite come facenti parte dell’OSU nel settore postale». Orbene, nel caso di specie, come rilevato dalla Commissione, la Post Danmark non era soggetta ad alcuna restrizione riguardo alla riduzione del suo personale a motivo dell’OSU. Al contrario, tale impresa ha previsto di ridurre il suo personale nello scenario fattuale.

181    La censura relativa alla presa in considerazione delle spese di licenziamento nel calcolo dell’importo del CEN deve quindi essere respinta, senza che occorra pronunciarsi sulla sua ricevibilità, contestata dalla Commissione in risposta a un quesito posto dal Tribunale nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento.

182    In terzo luogo, le ricorrenti e la Dansk Distribution sostengono che la Commissione è incorsa in un errore omettendo di esaminare la compatibilità della compensazione in questione sulla base degli orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione.

183    A tal riguardo, si deve rammentare che, conformemente all’articolo 84, paragrafo 1, del regolamento di procedura, è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento. Tuttavia, deve essere considerato ricevibile un motivo che costituisca un’estensione di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, nell’atto introduttivo del giudizio e che presenti una connessione stretta con quest’ultimo. Perché possa essere considerato un’estensione di un motivo o di una censura precedentemente indicati, occorre che il nuovo argomento presenti, con i motivi o le censure inizialmente dedotti nel ricorso, un legame sufficientemente stretto perché possa essere considerato derivante dalla normale evoluzione del contraddittorio nell’ambito di un procedimento giurisdizionale (v. sentenza del 20 novembre 2017, Petrov e a./Parlamento, T‑452/15, EU:T:2017:822, punto 46 e giurisprudenza citata).

184    Orbene, si deve necessariamente rilevare che solo nella fase delle loro osservazioni sulla memoria di intervento del Regno di Danimarca le ricorrenti hanno sostenuto, per la prima volta, che la Commissione sarebbe stata tenuta ad applicare gli orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione e che il ricorso non contiene alcun riferimento a detti orientamenti. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti in udienza, un simile argomento non può essere collegato alla censura contenuta nella parte del ricorso intitolata «Utilizzo dei fondi», in cui esse hanno addebitato alla Commissione di avere erroneamente dichiarato la compensazione in questione compatibile con il mercato interno sulla base della disciplina SIEG, pur consentendo che una parte della stessa fosse spesa per il licenziamento di ex funzionari della Post Danmark.

185    Di conseguenza, l’argomento relativo alla mancata applicazione degli orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione non può essere considerato un ampliamento del motivo dedotto nel ricorso ai sensi dell’articolo 84, paragrafo 1, del regolamento di procedura e deve quindi essere considerato un argomento nuovo ai sensi della medesima disposizione. Dal momento che tale argomento non si fonda su elementi emersi dopo la proposizione del ricorso in esame, occorre considerarlo tardivo e, pertanto, respingerlo in quanto irricevibile. Non può essere ammessa neppure la ripresa di detto argomento da parte della Dansk Distribution in udienza, dato che essa non l’aveva dedotto nella sua memoria di intervento.

5)      Conclusione

186    Dall’insieme degli elementi sopra esaminati risulta che le ricorrenti non hanno fornito la prova dell’esistenza di gravi difficoltà per quanto riguarda la compatibilità della compensazione in questione con il mercato interno.

187    Tale conclusione è corroborata dalla circostanza, rilevata al punto 160 della decisione impugnata, che l’importo del CEN calcolato, pari a DKK 2,571 miliardi (circa EUR 345 milioni), era nettamente superiore all’importo massimo della compensazione in questione, pari a DKK 1,192 miliardi (circa EUR 160 milioni). Ciò vale a maggior ragione in quanto le ricorrenti non hanno formulato alcuna contestazione diretta a rimettere in discussione tali importi, che figurano nella versione pubblica della decisione impugnata. Analogamente, sebbene la Commissione abbia evidenziato nel controricorso la differenza tra l’importo della compensazione in questione e quello del CEN, le ricorrenti non hanno contestato tale differenza neppure nella replica.

2.      Sulla garanzia in questione

188    Le ricorrenti, sostenute dalla Jørgen Jensen Distribution e dalla Dansk Distribution, affermano che non si può ritenere che la garanzia in questione, in base alla quale lo Stato danese si è impegnato a pagare le indennità di licenziamento degli ex funzionari della Post Danmark in caso di fallimento di quest’ultima, sia stata concessa al momento della sua adozione, nel 2002. Pertanto, una siffatta garanzia non costituirebbe un aiuto esistente ai sensi dell’articolo 17 del regolamento 2015/1589.

189    In primo luogo, secondo le ricorrenti, l’aiuto non risiederebbe nel vantaggio conferito dall’esistenza della garanzia stessa, bensì nell’assenza di pagamento di un premio allo Stato da parte della Post Danmark in contropartita per il beneficio procurato dalla garanzia in questione. A tale proposito, esse rilevano che dal punto 2.2 della comunicazione della Commissione sull’applicazione degli articoli [107 TFUE] e [108 TFUE] agli aiuti di Stato concessi sotto forma di garanzie (GU 2008, C 155, pag. 10; in prosieguo: la «comunicazione relativa alle garanzie») risulta che qualsiasi garanzia deve essere remunerata con un premio adeguato, in mancanza del quale il beneficiario della garanzia, vale a dire, nel caso di specie, la Post Danmark, ottiene un vantaggio.

190    Orbene, poiché un premio di garanzia è, in generale, fatturato in modo ricorrente e, come minimo, su base annua, la misura di aiuto denunciata dalle ricorrenti sarebbe stata concessa alla Post Danmark quanto meno annualmente a partire dal 2002. L’omissione ripetuta di pagamenti annuali di un premio adeguato in contropartita per la garanzia in questione si tradurrebbe quindi nella concessione periodica di vantaggi, ai sensi della sentenza dell’8 dicembre 2011, France Télécom/Commissione (C‑81/10 P, EU:C:2011:811, punto 82).

191    In risposta a un quesito posto dal Tribunale nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, le ricorrenti hanno precisato che, a loro avviso, la garanzia in questione costituiva un regime di aiuti e che, anche supponendo che non sia così, le considerazioni svolte dalla Corte nella sentenza dell’8 dicembre 2011, France Télécom/Commissione (C‑81/10 P, EU:C:2011:811), sarebbero comunque pertinenti.

192    In secondo luogo, le ricorrenti osservano che il solo fatto che la Commissione abbia espresso dubbi sull’esistenza di un vantaggio è sufficiente a dimostrare che essa ha incontrato gravi difficoltà riguardo alla questione se l’aiuto concesso alla Post Danmark sotto forma di garanzie costituisse un aiuto esistente o nuovo.

193    In terzo luogo, la Jørgen Jensen Distribution e la Dansk Distribution sostengono che, conformemente al principio dell’investitore privato in un’economia di mercato, la concessione di una garanzia senza premio costituisce un vantaggio economico che un operatore non avrebbe ottenuto in normali condizioni di mercato. Una conclusione del genere varrebbe a prescindere dal motivo per il quale è stata concessa la garanzia, anche supponendo che essa non rechi vantaggio ad alcun creditore. Al riguardo, la Jørgen Jensen Distribution e la Dansk Distribution rilevano che qualsiasi esenzione dai costi di gestione normalmente sostenuti da un’impresa costituisce, secondo la giurisprudenza, un vantaggio.

194    La Commissione, sostenuta dal Regno di Danimarca, contesta tali argomenti.

195    Secondo una costante giurisprudenza l’esame degli aiuti esistenti può essere oggetto, eventualmente, solo di una decisione di incompatibilità che produce effetti per il futuro (sentenze dell’11 marzo 2009, TF1/Commissione, T‑354/05, EU:T:2009:66, punto 166, e del 15 novembre 2018, Stichting Woonlinie e a./Commissione, T‑202/10 RENV II e T‑203/10 RENV II, EU:T:2018:795, punto 120).

196    A tale proposito, l’articolo 1, lettera b), punto iv), del regolamento 2015/1589 dispone che costituiscono aiuti esistenti gli aiuti considerati esistenti ai sensi dell’articolo 17 del medesimo regolamento.

197    A termini dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento 2015/1589, ogni aiuto per il quale sia scaduto il termine di prescrizione di dieci anni è considerato un aiuto esistente. I paragrafi 1 e 2 del medesimo articolo, dal canto loro, precisano che i poteri della Commissione in materia di recupero degli aiuti sono soggetti ad un termine di prescrizione di dieci anni e che tale termine inizia a decorrere solo il giorno in cui l’aiuto illegale viene concesso al beneficiario come aiuto individuale o come aiuto rientrante in un regime di aiuti.

198    Dalle suddette disposizioni risulta che la qualificazione come aiuto esistente dipende dalla scadenza del termine di prescrizione di cui all’articolo 17 del regolamento 2015/1589, il cui dies a quo è la data in cui tale aiuto è stato concesso.

199    Secondo la giurisprudenza, gli aiuti sono considerati concessi nel momento in cui il diritto di riceverli sia conferito al beneficiario in forza della normativa nazionale applicabile (v., in tal senso, sentenze del 21 marzo 2013, Magdeburger Mühlenwerke, C‑129/12, EU:C:2013:200, punti 40 e 41, e del 29 novembre 2018, ARFEA/Commissione, T‑720/16, non pubblicata, EU:T:2018:853, punti 177 e 178).

200    Nel caso di specie, il diritto di ricevere la garanzia in questione, con la quale lo Stato danese si è impegnato a coprire, in caso di fallimento della Post Danmark, le indennità di licenziamento dei dipendenti di quest’ultima che avevano mantenuto il loro status di funzionario al 1° gennaio 2002, data della sua trasformazione in società a responsabilità limitata, è stato concesso ai sensi dell’articolo 9 della lov nr. 409 om Post Danmark A/S (legge n. 409 relativa alla Post Danmark), del 6 giugno 2002 (Lovtidende 2002 A).

201    Nella decisione impugnata, la Commissione ha considerato che è a tale data che sarebbe stato concesso il solo vantaggio che poteva derivare da detta garanzia, consistente nell’evitare alla Post Danmark una perdita di membri del personale al momento della sua trasformazione in società a responsabilità limitata (punto 187 di detta decisione). La Commissione ne ha dedotto che, poiché l’ITD le aveva trasmesso la sua denuncia relativa alla garanzia in questione il 27 novembre 2017, ogni aiuto eventualmente concesso mediante tale garanzia sarebbe stato un aiuto esistente ai sensi dell’articolo 1, lettera b), punto iv), del regolamento 2015/1589 (punti da 189 a 192).

202    Le ricorrenti negano che la data di adozione della legge n. 409 relativa alla Post Danmark possa costituire il dies a quo del termine di prescrizione per il recupero dell’aiuto che deriverebbe dalla garanzia in questione. Secondo le ricorrenti, la garanzia in questione migliorerebbe la situazione finanziaria della Post Danmark esentandola dal pagamento, quanto meno annuale, di un premio di garanzia, il che implicherebbe la concessione periodica di vantaggi tali da far ricominciare a decorrere il termine di prescrizione ad ogni esenzione di questo tipo.

203    A questo proposito, come rilevato dalle ricorrenti, la determinazione della data di concessione di un aiuto può variare in funzione della sua natura (v., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2011, France Télécom/Commissione, C‑81/10 P, EU:C:2011:811, punto 82, e ordinanza del 5 ottobre 2016, Diputación Foral de Bizkaia/Commissione, C‑426/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:757, punto 29). Così, nella sua sentenza dell’8 dicembre 2011, France Télécom/Commissione (C‑81/10 P, EU:C:2011:811, punti da 80 a 84), fatta valere dalle ricorrenti, la Corte ha dichiarato che, nel caso dei regimi di aiuti pluriennali consistenti in versamenti o nella concessione periodica di vantaggi, l’aiuto deve essere considerato accordato al beneficiario unicamente alla data in cui esso è effettivamente concesso a quest’ultimo, di modo che il termine di prescrizione ricomincia a decorrere ad ogni concessione effettiva, eventualmente annuale, del vantaggio.

204    Una soluzione del genere è giustificata dal fatto che, nell’ambito dei regimi di aiuti, in particolare dei regimi di aiuti fiscali, la data in cui è istituito un regime di aiuti e quella in cui viene concesso un aiuto individuale in applicazione di tale regime possono essere separate da un lasso di tempo significativo. Pertanto, il termine di prescrizione può ricominciare a decorrere ogni volta che un aiuto individuale viene nuovamente concesso in applicazione di un regime di aiuti, il che, nel caso di un regime di aiuti fiscali, corrisponde a ogni esenzione concessa quando è dovuta l’imposta, vale a dire, di norma, annualmente.

205    A tale proposito, conformemente all’articolo 1, lettera d), del regolamento 2015/1589, costituisce un «regime di aiuti» un atto in base al quale, senza che siano necessarie ulteriori misure di attuazione, possono essere adottate singole misure di aiuto a favore di imprese definite nell’atto in linea generale e astratta e qualsiasi atto in base al quale l’aiuto, che non è legato a uno specifico progetto, può essere concesso a una o più imprese per un periodo di tempo indefinito o per un ammontare indefinito.

206    Orbene, nel caso di specie, la garanzia in questione si limita a concedere senza premio a una persona giuridica determinata, la Post Danmark, il beneficio di una garanzia statale per il pagamento delle indennità di licenziamento di alcuni dei suoi dipendenti in caso di fallimento. Si tratta quindi di una misura individuale che non rientra nell’ambito di un regime di aiuti pluriennale.

207    A prescindere dalla qualificazione della garanzia in questione come regime di aiuti o come aiuto individuale, la situazione nel caso di specie non è comparabile a quella che ha giustificato il fatto che, nella sentenza dell’8 dicembre 2011, France Télécom/Commissione (C‑81/10, EU:C:2011:811), la Corte abbia considerato che il termine di prescrizione ricominciava a decorrere ogni anno. In detta causa, infatti, il vantaggio in questione era subordinato, di anno in anno, a circostanze particolari, in quanto siffatto vantaggio derivava, eventualmente, dalla differenza impositiva tra, da un lato, l’importo che avrebbe dovuto pagare la France Télécom a titolo della tassa professionale, il cui livello e la cui aliquota erano deliberati annualmente da ciascun ente locale francese, e, dall’altro, l’importo effettivamente posto a suo carico in forza di un regime derogatorio (v., in tal senso, sentenza del 30 novembre 2009, Francia e France Télécom/Commissione, T‑427/04 e T‑17/05, EU:T:2009:474, punti da 200 a 203 e da 321 a 324, confermata su impugnazione con sentenza dell’8 dicembre 2011, France Télécom/Commissione, C‑81/10 P, EU:C:2011:811). Orbene, nel caso di specie, le ricorrenti non hanno dedotto alcun elemento idoneo a dimostrare che l’importo del premio che la Post Danmark avrebbe dovuto pagare ogni anno in contropartita per la garanzia in questione dovesse essere determinato periodicamente in funzione di circostanze specifiche di ciascun periodo, né che ciò valga, in generale, per l’importo di un premio di garanzia.

208    L’argomentazione delle ricorrenti si basa quindi su una confusione tra, da un lato, la concessione periodica di vantaggi a seguito dell’applicazione individuale, reiterata, di un regime di aiuti e, dall’altro, la concessione di una garanzia individuale che può avere l’effetto di migliorare, in modo continuativo, la situazione del beneficiario. In quest’ultimo caso, la data di concessione dell’aiuto è quella della sua adozione, fermo restando che, nell’ipotesi in cui tale misura costituisse un aiuto esistente, essa potrebbe essere oggetto di una decisione della Commissione per il futuro, conformemente alla giurisprudenza richiamata al punto 195 supra.

209    Peraltro, nella comunicazione relativa alle garanzie, fatta valere dalle ricorrenti, la Commissione ha indicato, al punto 2.1 in fine, quanto segue:

«L’aiuto deve considerarsi concesso nel momento in cui viene prestata la garanzia e non quando la garanzia venga fatta valere o il garante provveda al pagamento. Nel valutare se una garanzia implichi un aiuto di Stato, e quale sia l’eventuale importo di tale aiuto, occorre quindi far riferimento al momento in cui essa viene prestata».

210    Pertanto, la Commissione poteva, senza che ne risulti l’esistenza di gravi difficoltà, fissare la data di concessione della garanzia in questione, e, di conseguenza, il dies a quo del termine di prescrizione per gli aiuti eventualmente concessi mediante tale garanzia, alla data della sua adozione, vale a dire il 6 giugno 2002 (v. punto 201 supra).

211    Ad ogni modo, l’argomento delle ricorrenti riprodotto al punto 202 supra si basa sulla premessa erronea secondo cui la garanzia in questione conferisce alla Post Danmark un vantaggio derivante esclusivamente dall’assenza di pagamenti, quanto meno annuali, di un premio di garanzia.

212    A questo proposito, è vero che, come rilevato dalle ricorrenti e come risulta dai punti 2.1 e 2.2 della comunicazione relativa alle garanzie, l’assenza di pagamento di un premio adeguato in contropartita per una garanzia pubblica costituisce una condizione necessaria del vantaggio conferito da tale garanzia al suo beneficiario.

213    Tuttavia, per stabilire che sarebbe stato necessario un pagamento in contropartita per la concessione di una garanzia affinché siffatta concessione sfugga alla qualificazione come aiuto di Stato, occorre anzitutto esaminare se detta garanzia conferisca un vantaggio migliorando la situazione del beneficiario. Così, la Corte ha dichiarato che il Tribunale non era incorso in un errore considerando che il vantaggio conferito all’ente pubblico francese La Poste da una garanzia statale illimitata si basava, da un lato, sull’assenza di contropartita per detta garanzia e, dall’altro, sul miglioramento delle condizioni di credito di tale ente pubblico (sentenza del 3 aprile 2014, Francia/Commissione, C‑559/12 P, EU:C:2014:217, punto 102).

214    Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti nonché dalla Jørgen Jensen Distribution e dalla Dansk Distribution, non si può prescindere dall’oggetto di una garanzia pubblica allorché si esamina l’incidenza di quest’ultima sulla situazione del beneficiario.

215    Tale valutazione è corroborata dal punto 2.2 della comunicazione relativa alle garanzie, invocata dalle ricorrenti, dalla quale risulta che l’identificazione dell’esistenza di un vantaggio concesso da una garanzia pubblica senza contropartita richiede che sia esaminata la concreta incidenza della garanzia in questione sulla situazione del suo beneficiario rispetto a quella dei suoi concorrenti.

216    Nel caso di specie, si deve rilevare che, in primo luogo, la garanzia in questione impone allo Stato danese di coprire le indennità di licenziamento speciali degli ex funzionari divenuti dipendenti della Post Danmark il 1° gennaio 2002 solo in caso di fallimento di quest’ultima. Orbene, non risulta che siffatta garanzia migliori la situazione della Post Danmark, dato che essa potrebbe essere attuata solo nel caso in cui tale impresa cessasse di esistere. In altri termini, fintanto che sia solvibile, la Post Danmark è responsabile del pagamento delle indennità speciali per il licenziamento dei suoi ex dipendenti.

217    In secondo luogo, si deve rilevare altresì che la garanzia in questione riguarda esclusivamente gli ex funzionari della Post Danmark che hanno accettato, al momento della trasformazione di quest’ultima in società a responsabilità limitata, il 1° gennaio 2002, di diventarne i dipendenti. Pertanto, detta garanzia non può andare a vantaggio del personale assunto dopo tale data, cosicché non può neppure ritenersi che essa rafforzi l’attrattività della Post Danmark per potenziali nuovi dipendenti.

218    In terzo luogo, è vero che, come rilevato dalla Jørgen Jensen Distribution e dalla Dansk Distribution, sono considerati aiuti gli interventi i quali, in varie forme, alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un’impresa, oneri che includono i costi legati alla retribuzione dei dipendenti (sentenza del 12 dicembre 2002, Belgio/Commissione, C‑5/01, EU:C:2002:754, punti 32 e 39). Tuttavia, nel caso di specie, non viene sostenuto da queste ultime, né dalle ricorrenti, e neppure risulta dal fascicolo, che la garanzia in questione esenti la Post Danmark dalla normale contribuzione alla quale sono soggetti i suoi concorrenti al fine di assicurare il pagamento delle indennità di licenziamento in caso di fallimento, né che i suoi oneri regolari per il personale siano alleviati per effetto di tale garanzia.

219    In tali circostanze, il Tribunale ritiene che, come correttamente rilevato dalla Commissione, la garanzia in questione procuri soprattutto un vantaggio agli ex funzionari della Post Danmark divenuti dipendenti di quest’ultima al momento della sua trasformazione in società a responsabilità limitata, dato che a tali dipendenti è garantito, in caso di fallimento della Post Danmark, che essi percepiranno integralmente le loro indennità di licenziamento speciali.

220    Da quanto precede risulta che le ricorrenti, contrariamente a quanto da esse affermato, non dimostrano che la garanzia in questione migliori la situazione della Post Danmark in maniera continuativa. Per gli stessi motivi, non può essere accolto l’argomento dedotto dalla Jørgen Jensen Distribution e dalla Dansk Distribution secondo cui, in applicazione del criterio dell’investitore privato in un’economia di mercato, qualsiasi garante avrebbe richiesto il pagamento di un premio periodico per concedere la garanzia in questione, senza che occorra pronunciarsi sulla ricevibilità di tale argomento, contestata dalla Commissione.

221    Infine, è infondato anche l’argomento delle ricorrenti secondo cui la Commissione avrebbe espresso dubbi sull’esistenza di un vantaggio derivante dalla garanzia in questione. Infatti, la Commissione ha respinto la denuncia nella parte riguardante la garanzia in questione poiché l’esistenza di un vantaggio derivante da detta garanzia era fortemente incerta e, in ogni caso, supponendo che un simile vantaggio esistesse, l’aiuto che ne sarebbe risultato avrebbe costituito un aiuto esistente, di cui non si sarebbe più potuto ordinare il recupero (v. punto 201 supra).

222    Da tutto quanto precede risulta che nessuno degli indizi relativi al contenuto della decisione impugnata dedotti dalle ricorrenti rivela l’esistenza di gravi difficoltà tali da giustificare l’avvio del procedimento d’indagine formale relativamente alla garanzia in questione.

3.      Sullesenzione dallIVA

223    Le ricorrenti, sostenute dalla Jørgen Jensen Distribution e dalla Dansk Distribution, contestano la conclusione della Commissione secondo cui l’esenzione dall’IVA sulle prestazioni di trasporto di beni effettuate dalla Post Danmark nell’ambito delle operazioni tra una società di vendita per corrispondenza e un cliente finale (in prosieguo: la «prassi amministrativa in questione») non costituiva un aiuto di Stato, per il motivo che essa era imputabile all’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA e non allo Stato danese. Esse fanno valere, a tale proposito, che l’esame condotto dalla Commissione era insufficiente o incompleto e pertanto sollevava gravi difficoltà.

224    Anzitutto, le ricorrenti rilevano che, nella decisione impugnata, la Commissione non ha contestato che la prassi amministrativa in questione avesse conferito un vantaggio economico alla Post Danmark, risultante da un aumento della domanda in suo favore, prima di precisare che il fatto che detta impresa abbia beneficiato di tale prassi solo indirettamente è sufficiente affinché ciò sia qualificato come vantaggio ai sensi delle norme sugli aiuti di Stato. Esse affermano quindi di concentrare la loro argomentazione sulla questione relativa all’imputabilità dell’esenzione derivante dalla prassi amministrativa in questione.

225    A tal riguardo, le ricorrenti rilevano che è stata l’amministrazione danese ad istituire la prassi amministrativa in questione, con la decisione amministrativa n. 1306/90 e il regolamento amministrativo F 6742/90 del 1990, prima di abolirla, a decorrere dal 1° gennaio 2017, con l’istruzione n. 14-2926872/SKM2016.306.SKAT del 30 giugno 2016.

226    Le ricorrenti rilevano inoltre che la base giuridica della prassi amministrativa in questione non era l’articolo 13, paragrafo 13, lettera a), della lov om merværdiafgift (momsloven) nr. 106 (legge n. 106 sull’IVA), del 23 gennaio 2013 (Lovtidende 2013 A) (in prosieguo: la «legge danese sull’IVA»), che recepisce nel diritto nazionale l’esenzione prevista all’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA, bensì l’articolo 27, paragrafo 3, punto 3, di detta legge, che recepisce l’articolo 79, primo comma, lettera c), della direttiva IVA, consentendo di escludere dalla base imponibile dell’IVA gli importi versati a una società dal proprio cliente a titolo di rimborso delle spese sostenute in nome e per conto di quest’ultimo. Esse sostengono quindi che è sul fondamento di queste ultime disposizioni che la prassi amministrativa in questione consentiva alle società di vendita per corrispondenza di trattare i pagamenti che esse effettuavano alle società di trasporto di beni, tra cui la Post Danmark, come spese sostenute in nome e per conto dei propri clienti finali. Così, secondo le ricorrenti, per effetto della prassi amministrativa in questione, si presumeva che l’operazione relativa al trasporto di beni fosse realizzata tra i clienti finali delle società di vendita per corrispondenza e il vettore, sebbene non esistesse alcun rapporto giuridico tra loro.

227    In una siffatta configurazione, le prestazioni di trasporto fornite dalla Post Danmark sarebbero state esentate dall’IVA in applicazione dell’esenzione obbligatoria dall’IVA per le attività svolte dai servizi pubblici postali, prevista all’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA, recepita dall’articolo 13, paragrafo 13, della legge danese sull’IVA. Pertanto, la domanda delle società di vendita per corrispondenza sarebbe stata automaticamente trasferita al servizio di trasporto fornito dalla Post Danmark. Per contro, senza la prassi amministrativa in questione, il servizio di trasporto richiesto alla Post Danmark da una società di vendita per corrispondenza sarebbe stato esentato dall’IVA, mentre tale imposta avrebbe dovuto essere applicata alle spese di trasporto fatturate da detta società al cliente finale.

228    Secondo le ricorrenti, sarebbe evidente che la prassi amministrativa in questione non dava attuazione e non presentava alcun nesso con l’articolo 13, paragrafo 13, lettera a), della legge danese sull’IVA, che recepisce l’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA. Le ricorrenti affermano che, nell’accertare tale nesso, la Commissione ha confuso l’esenzione dall’IVA specificamente concessa dalla prassi amministrativa in questione, per le operazioni delle società di vendita per corrispondenza, con la distinta esenzione obbligatoria dall’IVA delle prestazioni effettuate dai servizi pubblici postali.

229    Le ricorrenti aggiungono che la prassi amministrativa in questione è stata introdotta da una decisione e da un regolamento amministrativo e successivamente abolita da un’istruzione. Esse sostengono che tale prassi deriva quindi da uno strumento giuridico adottato direttamente dalle autorità tributarie danesi ed è pertanto imputabile allo Stato danese.

230    Infine, le ricorrenti rilevano che la prassi amministrativa in questione, pur basandosi sulla norma di cui all’articolo 79, primo comma, lettera c), della direttiva IVA, non interpretava, chiariva né applicava detta norma. A tale proposito, esse rilevano che le stesse autorità tributarie danesi hanno riconosciuto che l’abolizione della prassi amministrativa in questione era stata motivata dal fatto che tale prassi non trovava fondamento giuridico nella legge danese sull’IVA né nella direttiva IVA.

231    Pertanto, le ricorrenti sostengono che la Post Danmark era il beneficiario indiretto dell’esenzione dall’IVA delle prestazioni di trasporto che le venivano richieste dalle società di vendita per corrispondenza e che detta esenzione era imputabile unicamente alla prassi amministrativa in questione e, quindi, allo Stato danese. Di conseguenza, esse ritengono che l’esame di tale misura, idonea a costituire un aiuto di Stato a favore della Post Danmark, sia stato effettuato dalla Commissione in modo insufficiente o incompleto e abbia quindi dato luogo a gravi difficoltà.

232    La Commissione, sostenuta dal Regno di Danimarca, contesta tali argomenti.

233    Da un lato, essa rileva che l’esenzione dall’IVA di cui beneficia la Post Danmark per i suoi servizi legati all’OSU deriva direttamente dall’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA. Tale esenzione dall’IVA non sarebbe imputabile allo Stato danese, bensì a detta direttiva. A questo proposito, il Regno di Danimarca aggiunge che, a prescindere dalla prassi amministrativa in questione, la Post Danmark non era tenuta a fatturare l’IVA alle società di vendita per corrispondenza per i loro invii rientranti nell’OSU.

234    Dall’altro lato, la Commissione sostiene che la prassi amministrativa in questione era una misura che aveva quali principali beneficiari le società di vendita per corrispondenza e i consumatori, e non la Post Danmark. Analogamente, il Regno di Danimarca afferma, sulla base dei lavori che hanno preceduto l’adozione della prassi amministrativa in questione, che quest’ultima non mirava ad assicurare un maggior numero di clienti alla Post Danmark, bensì a realizzare l’obiettivo della direttiva IVA consistente nell’assicurare invii più economici ai consumatori. A tal fine, detta prassi avrebbe consentito di far beneficiare i consumatori e le società di vendita per corrispondenza del vantaggio dell’esenzione prevista dalla direttiva IVA per gli invii rientranti nell’OSU.

235    La Commissione rileva che, se le società di vendita per corrispondenza potevano offrire ai loro clienti spese di trasporto inferiori quando essi sceglievano la Post Danmark per la prestazione di tale servizio, è solo perché quest’ultima beneficiava già dell’esenzione dall’IVA dell’OSU in ragione del suo status di fornitore del servizio universale.

236    Pertanto, secondo la Commissione e il Regno di Danimarca, il vantaggio «indiretto e incidentale» di cui beneficiava la Post Danmark, vale a dire l’aumento della domanda in suo favore, era solo un mero effetto secondario della combinazione della prassi amministrativa in questione con l’esenzione dall’IVA relativa all’OSU, imputabile alla direttiva IVA e, quindi, all’Unione.

237    Infine, il Regno di Danimarca rileva, da un lato, che la Post Danmark non era la beneficiaria effettiva della prassi amministrativa in questione, in quanto tale prassi non le aveva consentito di essere liberata dagli oneri che normalmente gravano sul suo bilancio. Dall’altro lato, secondo il Regno di Danimarca, la prassi amministrativa in questione non avrebbe condotto a una rinuncia di risorse da parte sua, dato l’effetto modesto di tale prassi sul fatturato della Post Danmark.

238    Secondo una costante giurisprudenza della Corte, la qualificazione di una misura nazionale come «aiuto di Stato», ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, esige che siano interamente soddisfatte le seguenti condizioni. In primo luogo, deve trattarsi di un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali; in secondo luogo, tale intervento deve essere idoneo ad incidere sugli scambi fra gli Stati membri; in terzo luogo, esso deve concedere un vantaggio selettivo al suo beneficiario e, in quarto luogo, deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza (v. sentenze del 10 giugno 2010, Fallimento Traghetti del Mediterraneo, C‑140/09, EU:C:2010:335, punto 31 e giurisprudenza citata; sentenze del 21 dicembre 2016, Commissione/Hansestadt Lübeck, C‑524/14 P, EU:C:2016:971, punto 40, e del 21 dicembre 2016, Commissione/World Duty Free Group e a., C‑20/15 P e C‑21/15 P, EU:C:2016:981, punto 53).

239    A tale proposito, quando la Commissione è in grado di escludere da subito la qualificazione come aiuto di Stato di una misura, dopo avere constatato che una delle condizioni essenziali per l’applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE non è soddisfatta, le è eventualmente consentito archiviare una denuncia in esito ad un esame preliminare (v. sentenza del 15 marzo 2018, Naviera Armas/Commissione, T‑108/16, EU:T:2018:145, punto 113 e giurisprudenza citata).

240    Per quanto riguarda in particolare la prima delle condizioni menzionate al punto 238 supra, occorre rammentare che, affinché determinati vantaggi possano essere qualificati come «aiuti» ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, da un lato, essi devono essere concessi direttamente o indirettamente mediante risorse statali e, dall’altro, devono essere imputabili allo Stato e tali due condizioni sono distinte e cumulative (v. sentenza del 16 gennaio 2020, Iberpotash/Commissione, T‑257/18, EU:T:2020:1, punto 50 e giurisprudenza citata).

241    Quanto alla condizione relativa all’imputabilità allo Stato, essa richiede di esaminare se le autorità pubbliche debbano essere ritenute coinvolte nell’adozione della misura di cui trattasi (sentenze del 19 dicembre 2013, Association Vent De Colère! e a., C‑262/12, EU:C:2013:851, punto 17; del 13 settembre 2017, ENEA, C‑329/15, EU:C:2017:671, punto 21, e dell’11 dicembre 2014, Austria/Commissione, T‑251/11, EU:T:2014:1060, punto 86).

242    A tale proposito, quando un vantaggio è previsto da una disposizione di diritto nazionale, il requisito dell’imputabilità allo Stato deve essere considerato soddisfatto (v., in tal senso, sentenze del 19 dicembre 2013, Association Vent De Colère! e a., C‑262/12, EU:C:2013:851, punto 18, e del 13 settembre 2017, ENEA, C‑329/15, EU:C:2017:671, punto 22). Analogamente, tale requisito è soddisfatto quando un regime fiscale è deliberato dal governo di uno Stato (v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 2006, Belgio e Forum 187/Commissione, C‑182/03 e C‑217/03, EU:C:2006:416, punto 128).

243    In particolare, nel caso di una misura nazionale adottata per garantire la trasposizione nel diritto interno di un obbligo derivante da una direttiva, l’imputabilità di una siffatta misura allo Stato non può essere esclusa a priori. Infatti, è già stato dichiarato che una decisione di un’istituzione che autorizzava uno Stato membro a introdurre, conformemente a una direttiva, un’esenzione fiscale non poteva produrre l’effetto di impedire alla Commissione di esercitare le competenze ad essa assegnate dal Trattato e, di conseguenza, di attuare il procedimento previsto dall’articolo 108 TFUE al fine di esaminare se tale esenzione costituisse un aiuto di Stato (v., in tal senso, sentenza del 10 dicembre 2013, Commissione/Irlanda e a., C‑272/12 P, EU:C:2013:812, punto 49).

244    Per contro, la situazione è diversa nel caso di un’esenzione fiscale prevista da una misura nazionale che dà attuazione a una disposizione di una direttiva che impone agli Stati membri un obbligo chiaro e preciso di non assoggettare all’imposta una determinata operazione. Infatti, in un caso del genere, la trasposizione dell’esenzione nel diritto nazionale costituisce un mero adempimento degli obblighi che incombono agli Stati in forza dei trattati. Ne consegue che una misura adottata in applicazione di un obbligo chiaro e preciso previsto da una direttiva non è imputabile allo Stato membro, ma deriva in realtà da un atto del legislatore dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2006, Deutsche Bahn/Commissione, T‑351/02, EU:T:2006:104, punto 102).

245    In sintesi, una prassi amministrativa nazionale che istituisce un’esenzione fiscale deve essere imputata all’Unione quando si limita a riprendere un obbligo chiaro e preciso previsto da una direttiva, mentre deve essere considerata imputabile allo Stato, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, se quest’ultimo l’ha adottata avvalendosi, nella trasposizione di una direttiva, di un margine di discrezionalità che gli è proprio.

246    Nel caso di specie, le parti ammettono che la prassi amministrativa in questione è stata adottata dall’amministrazione tributaria danese sul fondamento dell’articolo 27, paragrafo 3, punto 3, della legge danese sull’IVA, a sua volta adottato per garantire la trasposizione nel diritto nazionale dell’articolo 79, primo comma, lettera c), della direttiva IVA. È del pari pacifico che detta prassi amministrativa aveva ad oggetto l’assimilazione delle spese pagate dalle società di vendita per corrispondenza, per i servizi di trasporto, alle imprese di trasporti, a spese sostenute in nome e per conto dei clienti finali di tali società. Così, nessuna delle parti contesta che siffatto dispositivo abbia consentito alle società di vendita per corrispondenza di traslare sui loro clienti finali l’esenzione dall’IVA di cui esse avevano beneficiato, ai sensi dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA, quando richiedevano i servizi della Post Danmark per effettuare il trasporto di beni a tali clienti, a condizione che detto trasporto rientrasse nell’ambito dell’OSU.

247    Nella decisione impugnata, la Commissione ha considerato, in una prima fase, al punto 193, che era probabile che tale prassi avesse conferito alla Post Danmark un vantaggio indiretto derivante da un aumento della sua domanda, tenuto conto del fatto che, per effetto di tale prassi, i clienti finali delle società di vendita per corrispondenza avevano beneficiato della mancata fatturazione dell’IVA sulle spese di trasporto quando il servizio di trasporto era fornito dalla Post Danmark.

248    In una seconda fase, al punto 194 della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che tale vantaggio indiretto derivasse principalmente dall’esenzione dall’IVA di cui beneficiava la Post Danmark per i servizi rientranti nell’OSU, ai sensi dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA. La Commissione ne ha dedotto che l’esenzione dall’IVA sul trasporto da parte della Post Danmark dei beni ordinati dai clienti finali presso società di vendita per corrispondenza non era imputabile allo Stato danese, prima di concludere, al punto 195 della decisione impugnata, che la prassi amministrativa in questione non costituiva un aiuto di Stato.

249    In limine, occorre rilevare che, poiché nella decisione impugnata la Commissione ha escluso l’esistenza di un aiuto di Stato in ragione del fatto che gli effetti della prassi amministrativa in questione non erano imputabili allo Stato danese, il Regno di Danimarca non può utilmente sostenere, in sostanza, ai fini del rigetto del ricorso, che detta prassi non ha conferito un vantaggio alla Post Danmark e non ha comportato una rinuncia a risorse da parte dello Stato danese. Infatti, siffatti argomenti, qualora fossero accolti, indurrebbero il Tribunale a modificare la motivazione della decisione impugnata, contrariamente a quanto previsto dalla costante giurisprudenza secondo la quale, nell’ambito di un ricorso di annullamento, il giudice dell’Unione non può sostituire la propria motivazione a quella dell’autore dell’atto impugnato (v., in tal senso, sentenza del 26 ottobre 2016, PT Musim Mas/Consiglio, C‑468/15 P, EU:C:2016:803, punto 64 e giurisprudenza citata).

250    Le ricorrenti contestano la conclusione cui è giunta la Commissione nella decisione impugnata per quanto riguarda la prassi amministrativa in questione e sostengono che quest’ultima ha effettivamente conferito alla Post Danmark un vantaggio imputabile allo Stato danese.

251    A tale proposito, in primo luogo, si deve rilevare che la prassi amministrativa in questione è stata istituita nel 1990 con la decisione amministrativa n. 1306/90 e il regolamento amministrativo F 6742/90 adottati dall’amministrazione tributaria danese, e che è stata posta fine a tale prassi con l’istruzione n. 14-2926872/SKM2016.306.SKAT della medesima amministrazione, con effetto dal 1° gennaio 2017. Pertanto, conformemente a quanto dichiarato ai punti 241 e 242 supra, la prassi amministrativa in questione risulta, sotto l’aspetto formale, imputabile allo Stato danese.

252    Occorre esaminare, in secondo luogo, se la Commissione potesse considerare che l’esenzione dall’IVA sulle prestazioni di trasporto fornite dalla Post Danmark fosse, sotto l’aspetto sostanziale, imputabile all’Unione in quanto tale esenzione derivava dalla direttiva IVA, senza che ciò riveli l’esistenza di gravi difficoltà.

253    In primo luogo, si deve rammentare che l’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA, sul quale la Commissione ha fondato la sua analisi contenuta nel punto 194 della decisione impugnata, impone di esentare dall’IVA le prestazioni di servizi effettuate dai servizi pubblici postali.

254    A tale proposito, da un lato, la Corte ha già dichiarato che la nozione di «servizi pubblici postali» ai sensi dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA designava gli organi di gestione che effettuavano le prestazioni di servizi da esentare e che, per ricadere sotto tale disposizione, era necessario che dette prestazioni venissero effettuate da un operatore che potesse essere definito «servizio pubblico postale» nel senso organico del termine (v., in tal senso, sentenza del 23 aprile 2009, TNT Post UK, C‑357/07, EU:C:2009:248, punto 27 e giurisprudenza citata). Dall’altro lato, la Corte ha dichiarato che le prestazioni di servizi di cui all’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA erano quelle che i servizi pubblici postali effettuavano in quanto tali, vale a dire a titolo della loro stessa qualifica di servizi pubblici postali (v., in tal senso, sentenza del 23 aprile 2009, TNT Post UK, C‑357/07, EU:C:2009:248, punto 44).

255    Il tenore letterale dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA è quindi chiaro e preciso, in quanto stabilisce l’esenzione dall’IVA delle operazioni effettuate da un fornitore del servizio universale che rientrano nell’ambito dell’OSU, in deroga alla regola generale secondo cui l’IVA è riscossa su ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo.

256    È per tale motivo che, come ammettono le parti, quando una società di vendita per corrispondenza si avvale dei servizi della Post Danmark per il trasporto di un bene, quest’ultima, in quanto fornitore del servizio universale in Danimarca, non deve fatturare l’IVA a tale impresa se il servizio richiesto rientra nell’ambito dell’OSU.

257    Tuttavia, se la stessa prestazione di trasporto del bene di cui trattasi è successivamente fatturata dalla società di vendita per corrispondenza al cliente finale, siffatta prestazione costituisce la parte accessoria dell’operazione principale di vendita di detto bene da parte di tale società e non è assimilabile a una prestazione «effettuata da un servizio pubblico postale» ai sensi dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA.

258    In altri termini, conformemente all’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA, una società di vendita per corrispondenza non è tenuta a versare alla Post Danmark l’IVA sulla prestazione di trasporto di un bene al suo cliente finale se tale prestazione rientra nell’ambito dell’OSU. Per contro, se la medesima prestazione è successivamente fatturata dalla società di vendita per corrispondenza al suo cliente finale, essa non rientra più nell’ambito dell’esenzione prevista da tale disposizione, cosicché il cliente finale è effettivamente tenuto a versare l’IVA sulle spese di trasporto che paga a detta società.

259    Pertanto, contrariamente a quanto risulta dalla decisione impugnata e a quanto suggerito dalla Commissione e dal Regno di Danimarca nell’ambito della presente controversia, non si può ritenere che l’esenzione dall’IVA consentita dalla prassi amministrativa in questione per le prestazioni di trasporto di beni effettuate dalla Post Danmark, ma fatturate dalle società di vendita per corrispondenza ai loro clienti finali, derivi direttamente dall’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA.

260    In secondo luogo, occorre esaminare l’argomento delle ricorrenti secondo cui l’esenzione dall’IVA delle prestazioni di trasporto di beni fatturate dalle società di vendita per corrispondenza ai loro clienti finali, quando tali prestazioni erano effettuate dalla Post Danmark, non può essere considerata imputabile all’Unione ai sensi dell’articolo 79, primo comma, lettera c), della direttiva IVA.

261    A termini dell’articolo 79, primo comma, lettera c), della direttiva IVA, non sono compresi nella base imponibile le somme ricevute da un soggetto passivo da parte dell’acquirente o del destinatario quale rimborso delle spese sostenute in nome e per conto di questi ultimi, e che figurano nella sua contabilità in conti provvisori.

262    L’articolo 79, primo comma, lettera c), della direttiva IVA impone quindi di escludere dalla base imponibile dell’IVA gli importi che corrispondono non già al prezzo di un servizio offerto da un soggetto passivo, bensì al rimborso di un pagamento effettuato da quest’ultimo in nome e per conto del suo cliente. A questo proposito, si deve rilevare, al pari delle parti, che tale obbligo chiaro e preciso è stato trasposto nel diritto danese mediante l’articolo 27, paragrafo 3, punto 3, della legge danese sull’IVA.

263    Tuttavia, contrariamente a quanto fatto valere in sostanza dalla Commissione e dal Regno di Danimarca, dall’articolo 79, primo comma, lettera c), della direttiva IVA non si evince che gli Stati membri debbano ritenere che le spese di trasporto fatturate al cliente finale da una società di vendita per corrispondenza costituiscano, in tutti i casi, un rimborso delle spese sostenute da detta società in nome e per conto di tale cliente e debbano quindi essere escluse dalla base imponibile dell’IVA.

264    Al contrario, l’articolo 78, primo comma, lettera b), della direttiva IVA impone di includere nella base imponibile dell’IVA le spese accessorie, quali le spese di commissione, di imballaggio, di trasporto e di assicurazione addebitate dal fornitore all’acquirente di un bene.

265    Inoltre, come hanno correttamente rilevato le ricorrenti e come ha ammesso il Regno di Danimarca in risposta a un quesito posto dal Tribunale nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, l’amministrazione tributaria danese ha considerato, nella sua istruzione n. 14-2926872/SKM2016.306.SKAT del 30 giugno 2016, che abolisce la prassi amministrativa in questione, che tale prassi «non trova[va] fondamento giuridico né nella legge danese sull’IVA né nella direttiva [IVA] che ha abolito la prassi», prima di concludere che «non [era] possibile mantenere il sistema esistente». Come risulta dal punto 49 della decisione impugnata, la Commissione era a conoscenza di detta abolizione, cui l’ITD aveva fatto riferimento nella sua denuncia.

266    In tali circostanze, non si può escludere che, consentendo di assimilare, con la prassi amministrativa in questione, le spese di trasporto fatturate dalle società di vendita per corrispondenza ai loro clienti finali a rimborsi di somme versate da tali società in nome e per conto di questi ultimi, l’amministrazione tributaria danese non si sia limitata a riprendere un requisito chiaro e preciso imposto dal diritto dell’Unione, ma abbia piuttosto esercitato il proprio margine di discrezionalità nell’ambito della trasposizione di una direttiva. Tale circostanza tenderebbe a dimostrare l’imputabilità di detta misura allo Stato danese e non all’Unione, conformemente ai principi ricordati ai punti da 243 a 245 supra. Questa valutazione è corroborata dalle memorie stesse della Commissione e del Regno di Danimarca, dalle quali cui risulta che la prassi amministrativa in questione derivava dall’«interpretazione», da parte delle autorità danesi, della norma prevista all’articolo 79, primo comma, lettera c), della direttiva IVA (v. punto 86 del controricorso, punto 65 della memoria di intervento del Regno di Danimarca e punto 28 delle risposte di quest’ultimo ai quesiti posti dal Tribunale nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento).

267    Orbene, è in applicazione della prassi amministrativa in questione che le società di vendita per corrispondenza sono state autorizzate a traslare sui loro clienti finali l’esenzione dall’IVA sulle prestazioni di trasporto effettuate dalla Post Danmark, di cui tali imprese avevano beneficiato ai sensi dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA. Peraltro, al punto 89 del controricorso e al punto 67 della controreplica, la Commissione rileva che l’aumento della domanda di cui la Post Danmark ha potuto beneficiare indirettamente è stato reso possibile dalla «combinazione», da un lato, dell’esenzione dall’IVA prevista all’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA e, dall’altro, dalla traslazione di tale esenzione sui clienti finali delle società di vendita per corrispondenza come autorizzata dalla prassi amministrativa in questione. In altri termini, come espongono correttamente le ricorrenti, in mancanza della prassi amministrativa in questione, le società di vendita per corrispondenza avrebbero dovuto applicare l’IVA alle spese di trasporto fatturate ai clienti finali, indipendentemente dall’operatore incaricato di effettuare detto trasporto. Pertanto, in una simile ipotesi, le società di vendita per corrispondenza non sarebbero state incentivate a richiedere i servizi della Post Danmark, cosicché quest’ultima non avrebbe potuto beneficiare di un aumento della sua domanda.

268    Alla luce di quanto precede, la Commissione non poteva escludere l’esistenza di gravi difficoltà per quanto riguarda la questione dell’imputabilità allo Stato danese degli effetti della prassi amministrativa in questione sulla domanda in favore della Post Danmark, limitandosi a ricordare l’esenzione dall’IVA delle prestazioni effettuate dai servizi pubblici postali prevista all’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA, esenzione di cui è stata peraltro accertata l’inapplicabilità alle spese di trasporto di beni quando esse erano fatturate da un’impresa di vendita per corrispondenza ai clienti finali (v. punto 257 supra). Così facendo, la Commissione ha omesso di esaminare, al fine di verificare se gli effetti della prassi amministrativa in questione fossero imputabili all’Unione o allo Stato danese, i collegamenti fra la prassi in parola e la norma di cui all’articolo 79, primo comma, lettera c), della direttiva IVA, sulla quale tale prassi era fondata. Analogamente, la Commissione ha omesso di tenere conto dell’abolizione della prassi in questione da parte dell’amministrazione tributaria danese in ragione del fatto che essa non era fondata sul diritto dell’Unione, sebbene detta abolizione fosse stata menzionata nella denuncia dell’ITD.

269    Una siffatta valutazione non può essere rimessa in discussione dall’argomento dedotto dal Regno di Danimarca secondo cui, in ogni caso, la prassi amministrativa in questione era intesa a garantire ai consumatori spese di spedizione più basse e non ad aumentare la domanda in favore della Post Danmark. Infatti, l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE non distingue gli interventi statali a seconda delle loro cause o dei loro obiettivi, bensì li definisce in funzione dei loro effetti, poiché la nozione di aiuto costituisce una nozione oggettiva (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2018, Naviera Armas/Commissione, T‑108/16, EU:T:2018:145, punto 86 e giurisprudenza citata). Pertanto, lo scopo perseguito tramite interventi statali è privo di ogni rilievo ai fini della loro qualificazione come aiuto di Stato (v., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2011, France Télécom/Commissione, C‑81/10 P, EU:C:2011:811, punto 17 e giurisprudenza citata).

270    Di conseguenza, si deve concludere che le ricorrenti sostengono correttamente che la Commissione non ha esaminato in modo completo e sufficiente la questione se l’aumento della domanda di cui la Post Danmark ha potuto beneficiare indirettamente attraverso l’applicazione della prassi amministrativa in questione fosse imputabile allo Stato danese.

271    Ne consegue che il presente ricorso deve essere accolto nella misura in cui è diretto contro la parte della decisione impugnata nella quale la Commissione, senza avviare il procedimento d’indagine formale ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, ha concluso che la prassi amministrativa in questione non era imputabile allo Stato danese e, pertanto, che tale prassi non costituiva un aiuto di Stato.

4.      Sulla ripartizione contabile dei costi comuni alle attività della Post Danmark rientranti nellambito dellOSU e a quelle che non vi rientrano

272    Secondo le ricorrenti, sostenute dalla Jørgen Jensen Distribution e dalla Dansk Distribution, la Commissione ha erroneamente concluso, da un lato, che la ripartizione dei costi tra le attività commerciali della Post Danmark e quelle relative all’OSU era adeguata e, dall’altro, che siffatta ripartizione non implicava, in ogni caso, l’imputabilità allo Stato, risorse statali, o la concessione di un vantaggio.

273    A sostegno di queste affermazioni, in primo luogo, le ricorrenti espongono che il ragionamento con cui la Commissione è giunta a tale conclusione non emerge dalla decisione impugnata e che, in mancanza della pubblicazione di detto ragionamento, si dovrebbe considerare che la normativa contabile applicabile alla Post Danmark tra il 2006 e il 2013 imponesse a quest’ultima una ripartizione erronea dei costi comuni ai servizi legati all’OSU e a quelli non legati ad esso (in prosieguo: i «costi comuni»).

274    In secondo luogo, le ricorrenti sostengono, in sostanza, che la normativa contabile applicabile tra il 2006 e il 2013 ha consentito alla Post Danmark di imputare all’OSU tutti i costi comuni, senza verificare se una parte di tali costi fosse condivisa o meno da servizi non legati all’OSU. Di conseguenza, secondo le ricorrenti, sarebbe impossibile concludere che i costi comuni siano stati ripartiti, in pratica, sulla base di un’analisi diretta della loro origine, in violazione dell’articolo 14, paragrafo 3, lettera b), i), della direttiva 97/67, ai sensi del quale, «ove possibile, [i costi comuni sono imputati] sulla base di un’analisi diretta dell’origine dei costi stessi». In particolare, la normativa contabile applicabile alla Post Danmark sarebbe stata specificamente modificata nel 2014 per porre fine all’incompatibilità delle precedenti versioni con la direttiva 97/67.

275    Le ricorrenti aggiungono che gli argomenti della Commissione volti a dimostrare la regolarità della normativa contabile applicabile alla Post Danmark sono erroneamente fondati sulla versione di tale normativa applicabile a decorrere dal 2014. Orbene, nella sua denuncia, l’ITD avrebbe contestato le due normative contabili applicabili in ordine successivo dal 2006 al 2011 (in prosieguo: «la normativa contabile del 2006») e poi dal 2011 al 2013 (in prosieguo: la «normativa contabile del 2011»), abrogate in occasione dell’adozione, nel 2014, di una nuova normativa contabile.

276    In terzo luogo, secondo le ricorrenti, la ripartizione dei costi relativi alle diverse attività della Post Danmark, risultante dalla normativa contabile applicabile tra il 2006 e il 2013, le avrebbe conferito un vantaggio consentendole di ridurre artificialmente i costi delle sue attività commerciali che non rientravano nell’OSU e pertanto di fatturare prezzi predatori per tali attività. A questo proposito, siffatta ripartizione dei costi delle attività della Post Danmark avrebbe comportato un aumento dei prezzi proposti per i servizi postali rientranti nell’OSU pari a DKK 280 milioni (circa EUR 37,5 milioni) all’anno. Inoltre, un esame dell’esercizio contabile successivo all’adozione della nuova disciplina contabile, nel 2014, dimostrerebbe che il 4,2% dei costi precedentemente sostenuti per l’OSU sono stati trasferiti verso i costi sostenuti per attività che non rientravano nell’OSU.

277    In quarto luogo, le ricorrenti sostengono che la ripartizione erronea dei costi comuni ha comportato il trasferimento di risorse statali a vantaggio della Post Danmark. Infatti, lo Stato danese sarebbe stato in grado di dare istruzioni e di orientare l’utilizzo delle risorse della Post Danmark. A tale proposito, le ricorrenti osservano che i trasferimenti interni a una persona giuridica possono costituire un aiuto di Stato.

278    Inoltre, le ricorrenti fanno valere che la ripartizione erronea dei costi comuni ha consentito alla Post Danmark di beneficiare di un aumento dei suoi «diritti di bollo». A tale proposito, le ricorrenti rilevano che la Post Danmark, in quanto fornitore del servizio universale, emette francobolli il cui prezzo è fissato per coprire i costi generati dall’OSU e che essa può trattenere i ricavi della vendita dei francobolli solo nella misura in cui detti ricavi coprono i costi generati dall’OSU, mentre l’eccedenza deve essere restituita allo Stato danese. Pertanto, sopravvalutando tali costi, la Post Danmark avrebbe beneficiato di un pagamento eccessivo dei diritti di bollo, il che costituirebbe una perdita di entrate per lo Stato danese e la messa a disposizione di risorse statali a vantaggio della Post Danmark. Nelle loro osservazioni sulla memoria di intervento del Regno di Danimarca, le ricorrenti precisano che il Ministro dei Trasporti deve approvare il prezzo dei francobolli per la posta nazionale affrancata, conferendo in tal modo ai ricavi della vendita di detti francobolli la qualificazione di risorse statali.

279    In quinto luogo, le ricorrenti sostengono che la Commissione avrebbe dovuto approfondire il suo esame dell’imputabilità allo Stato della misura, oggetto della presente censura. A questo proposito, la Commissione non avrebbe verificato alcuno degli indizi pertinenti elaborati dalla giurisprudenza al fine di accertare se una decisione adottata da un’impresa pubblica sia imputabile allo Stato. Inoltre, le ricorrenti rilevano che sono state le autorità danesi ad adottare le normative contabili del 2006 e del 2011 e che tale normativa contabile imponeva alla Post Danmark di seguire un metodo di ripartizione che comportava l’inclusione dei costi comuni nei costi relativi all’OSU.

280    Pertanto, secondo le ricorrenti, tali errori implicano che l’esame effettuato dalla Commissione durante il procedimento di indagine preliminare era insufficiente o incompleto e costituiscono la prova dell’esistenza di gravi difficoltà, in presenza delle quali la Commissione avrebbe dovuto avviare il procedimento d’indagine formale.

281    La Commissione, sostenuta dal Regno di Danimarca, contesta l’argomentazione delle ricorrenti.

282    Anzitutto, occorre rilevare che, al punto 196 della decisione impugnata, la Commissione ha considerato che le norme contabili applicabili alla Post Danmark consentivano una separazione adeguata tra le attività rientranti nell’OSU e quelle che non vi rientravano. A tale proposito, essa ha rinviato alla parte della decisione impugnata concernente l’esame della conformità di dette norme con la sua direttiva 2006/111/CE, del 16 novembre 2006, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese (GU 2006, L 318, pag. 17), effettuato nell’ambito della valutazione della compatibilità della compensazione in questione con il mercato interno. Al punto 197 della medesima decisione, la Commissione ha precisato che, tra il 2006 e il 2013, la contabilità regolatoria della Post Danmark era stata sottoposta a un esame annuale di conformità alla normativa contabile da parte di un revisore dei conti riconosciuto dallo Stato, a un controllo regolare da parte dell’autorità nazionale di regolamentazione e a una revisione contabile da parte di una società indipendente, la cui relazione, pubblicata il 4 dicembre 2014, ha constatato l’adeguatezza del criterio di ripartizione dei costi nella contabilità della Post Danmark.

283    In una sezione della decisione impugnata intitolata «Imputabilità e risorse statali», la Commissione ha poi considerato, al punto 198, in primo luogo, che l’asserita ripartizione erronea dei costi non sembrava comportare un trasferimento di risorse statali, in secondo luogo, che non era dimostrato il coinvolgimento delle autorità danesi nella fissazione dei prezzi dei servizi che non rientravano nell’OSU e, in terzo luogo, che l’asserita sovvenzione incrociata non sembrava avere conferito alcun vantaggio alla Post Danmark, in particolare perché nel periodo in questione quest’ultima non aveva percepito alcuna compensazione sulla base della ripartizione dei costi contestata. La Commissione ne ha dedotto, al punto 199 della decisione impugnata, che l’asserita erronea ripartizione dei costi comuni nella contabilità della Post Danmark non costituiva un aiuto di Stato.

284    Infine, al punto 206, iii), della decisione impugnata, la Commissione ha concluso che la sovvenzione incrociata dei servizi commerciali non era materialmente confermata e che, in ogni caso, essa non costituiva un aiuto di Stato (v. punto 30 supra).

285    Dalla decisione impugnata risulta quindi che la Commissione ha basato la sua conclusione, in via principale, sull’erroneità dell’affermazione secondo cui le norme contabili applicabili alla Post Danmark avevano comportato una ripartizione errata dei costi comuni e, in ogni caso, sull’insussistenza di vari criteri previsti all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

286    Pertanto, le ricorrenti addebitano erroneamente alla Commissione di non avere motivato la sua conclusione, di cui esse, conseguentemente, non hanno potuto contestare i diversi elementi nel loro ricorso.

287    Per quanto riguarda l’asserito carattere insufficiente e incompleto dell’esame effettuato dalla Commissione, occorre rammentare, preliminarmente, i termini dell’articolo 14, paragrafi da 2 a 4, della direttiva 97/67, così formulati:

«2.      Il fornitore o i fornitori del servizio universale nella loro contabilità interna tengono conti separati per distinguere chiaramente tra i singoli servizi ed i prodotti che fanno parte del servizio universale e quelli che non ne fanno parte. Siffatta separazione contabile è applicata quando gli Stati membri calcolano il costo netto del servizio universale. Tali sistemi di contabilità interna operano sulla base di principi di contabilità dei costi applicati coerentemente e obiettivamente giustificabili.

3.      I sistemi di contabilità di cui al paragrafo 2, fatto salvo il paragrafo 4, imputano i costi nel modo seguente:

a)      imputazione diretta dei costi che possono essere direttamente attribuiti ad un servizio o prodotto particolare;

b)      imputazione dei costi comuni, vale a dire che non possono essere direttamente attribuiti a un particolare servizio o prodotto, come segue:

i)      ove possibile, sulla base di un’analisi diretta dell’origine dei costi stessi;

ii)      se non è possibile un’analisi diretta, le categorie di costi comuni sono imputate per collegamento indiretto con un’altra categoria di costi o gruppo di categorie di costi per i quali è possibile l’imputazione o attribuzione diretta; il collegamento indiretto è basato su strutture di costi comparabili;

iii)      se non è possibile imputare la categoria dei costi né in modo diretto né in modo indiretto, la categoria dei costi viene attribuita applicando un parametro di assegnazione generale, determinato in base al rapporto fra tutte le spese direttamente o indirettamente attribuite o imputate a ciascuno dei servizi universali, da un lato, e agli altri servizi, dall’altro;

iv)      i costi comuni necessari per la prestazione di servizi universali e di servizi non universali sono imputati in modo appropriato; ai servizi universali e ai servizi non universali devono essere applicati gli stessi fattori di costo.

4.      Possono essere utilizzati altri sistemi di contabilità dei costi soltanto se compatibili con il paragrafo 2 e se approvati dall’autorità di regolamentazione nazionale. La Commissione è informata prima della relativa applicazione».

288    L’articolo 4, paragrafo 3, della normativa contabile del 2011 prevedeva quanto segue:

«a)      I costi incrementali per un servizio specifico sono attribuiti ad esso. Ciò vale sia per i costi variabili che per i costi fissi.

b)      I costi che non possono essere attribuiti direttamente a un servizio specifico sono attribuiti, per quanto possibile, a un gruppo di servizi sulla base di un’analisi diretta dell’origine dei costi (costi comuni imputabili).

c)      Nel determinare l’imputazione dei costi di cui alle lettere a) e b), i costi necessari all’adempimento dell’obbligo di servizio universale devono essere imputati a ciascuno dei servizi che rientrano nell’obbligo di servizio universale o a un gruppo di servizi che rientrano nell’obbligo di servizio universale.

d)      I costi che non possono essere imputati sulla base di un’analisi diretta (costi comuni non imputabili) sono attribuiti ai gruppi di servizi interessati sulla base di un collegamento indiretto con un’altra categoria di costi o un altro gruppo di categorie di costi per i quali è possibile effettuare un orientamento o una separazione diretti. Tale collegamento indiretto deve essere basato su strutture di costi comparabili.

e)      Nel caso dei costi comuni non imputabili per i quali non esiste un metodo di ripartizione dei costi diretti o indiretti, le categorie di costi devono essere ripartite secondo di un criterio di ripartizione generale calcolato utilizzando il rapporto tra tutti i costi direttamente o indirettamente imputati o ripartiti per ciascun servizio rientrante nel servizio universale, da un lato, e gli altri servizi, dall’altro.

f)      I costi comuni, necessari alla fornitura sia di servizi universali che di servizi non universali (costi comuni non imputabili), devono essere ripartiti in modo appropriato. Gli stessi fattori di costo devono essere applicati sia ai servizi universali che ai servizi non universali».

289    L’articolo 4, paragrafo 3, lettere da a) a e), della normativa contabile del 2011 era identico all’articolo 4, paragrafo 4, lettere da a) a e), della normativa contabile del 2006.

290    Si deve rilevare anzitutto che è certamente pacifico che l’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della normativa contabile del 2011 non è formulato negli stessi termini della parte dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 97/67 che enuncia i principi contabili cui i fornitori del servizio universale designati negli Stati membri sono tenuti ad ottemperare.

291    Tuttavia, quest’unica differenza non è sufficiente a dimostrare che le normative contabili del 2006 e del 2011 violassero i principi contabili previsti nella direttiva 97/67. Peraltro, l’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 97/67 riserva la possibilità per gli Stati membri di imporre ai fornitori del servizio universale sistemi di contabilità dei costi diversi da quelli previsti al paragrafo 3 della medesima disposizione.

292    In particolare, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, che si limitano ad una mera affermazione su questo punto, dalla formulazione dell’articolo 4, paragrafo 4, lettera c), della normativa contabile del 2006 e dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della normativa contabile del 2011, riprodotto al punto 288 supra, risulta che tali disposizioni imponevano o addirittura consentivano alla Post Danmark di imputare tutti i costi comuni ai costi sostenuti per assicurare l’OSU. Per quanto riguarda i costi comuni, il principio stabilito da dette disposizioni era quello della ripartizione sulla base di un’analisi diretta della loro origine.

293    A questo proposito, il Regno di Danimarca espone correttamente che tali disposizioni costituivano un chiarimento del modo in cui i costi dovevano essere registrati nella contabilità interna della Post Danmark dopo essere stati attribuiti all’OSU. In particolare, dalle precisazioni fornite dal Regno di Danimarca, in risposta a un quesito posto dal Tribunale nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, risulta che la ripartizione contabile dei costi della Post Danmark era basata su un metodo di imputazione relativo ai «costi incrementali», definiti negli allegati della normativa contabile come i «costi sia fissi che variabili che, a breve o medio termine (da tre a cinque anni), cessano di esistere in caso di cessazione di un servizio» e i costi in tal modo considerati incrementali erano trattati come costi direttamente imputabili allo specifico servizio cui si riferivano. L’articolo 4, paragrafo 4, lettera c), della normativa contabile del 2006 e l’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della normativa contabile del 2011, messi in discussione dalle ricorrenti, si limitavano ad indicare che, quando determinati costi erano imputati all’OSU sulla base del metodo del costo incrementale, tali costi dovevano essere attribuiti, nell’ambito dell’OSU, al servizio pertinente, secondo la norma di cui alla lettera a), o al gruppo di servizi pertinente, secondo la norma di cui alla lettera b). In altri termini, l’articolo 4, paragrafo 4, lettera c), della normativa contabile del 2006 e l’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della normativa contabile del 2011 costituivano solo un’applicazione specifica all’OSU dei principi previsti alle lettere a) e b) delle medesime disposizioni.

294    L’adeguatezza della ripartizione contabile dei costi comuni è corroborata dalla circostanza, addotta dalla Commissione al punto 197 della decisione impugnata, che la contabilità della Post Danmark era stata sottoposta a controlli regolari da parte di un esperto contabile autorizzato dallo Stato e dall’autorità nazionale di regolamentazione (v., per analogia, sentenza del 15 ottobre 2020, První novinová společnost/Commissione, T‑316/18, non pubblicata, EU:T:2020:489, punto 253).

295    Analogamente, le ricorrenti, alle quali incombe l’onere della prova dell’esistenza di gravi difficoltà (v. punto 51 supra), non deducono alcun elemento che consenta di suffragare la loro affermazione secondo cui, in pratica, la Post Danmark ha sistematicamente imputato i costi comuni ai costi relativi all’OSU. A tale proposito, le ricorrenti si limitano a sostenere che, in seguito all’adozione di una nuova normativa contabile che riproduce esattamente il testo dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 97/67, nel 2014 i costi legati all’OSU sono diminuiti rispetto all’anno precedente, mentre i costi legati alle altre attività della Post Danmark sono aumentati. Tuttavia, da un lato, siffatto argomento si basa su un’affermazione non suffragata. Dall’altro lato, quand’anche fosse dimostrata, l’esistenza di una variazione nella ripartizione dei diversi costi da un anno all’altro, rilevata dalle ricorrenti, non è sufficiente, di per sé, per presumere che, nel periodo precedente, i costi comuni siano stati sistematicamente imputati ai costi associati all’OSU.

296    In tali circostanze, la Commissione poteva considerare che l’imputazione dei costi comuni ai costi rientranti nell’OSU non era dimostrata e che la normativa contabile applicabile alla Post Danmark tra il 2006 e il 2013 conduceva a una ripartizione adeguata dei diversi tipi di costi.

297    Di conseguenza, si deve concludere che le ricorrenti non hanno dimostrato che la Commissione sia stata confrontata con gravi difficoltà che non avrebbe superato, quando ha escluso che la normativa contabile della Post Danmark tra il 2006 e il 2013 comporti l’esistenza di un aiuto di Stato, a motivo, in via principale, del fatto che non è stata fornita la prova di un’eventuale irregolarità nella ripartizione contabile dei costi comuni. Pertanto, non è necessario esaminare le censure dirette contro il ragionamento svolto in subordine dalla Commissione e relativo all’insussistenza, in ogni caso, di un aiuto di Stato derivante dalla ripartizione dei costi nella contabilità della Post Danmark.

5.      Sullaumento di capitale del 23febbraio 2017

298    Le ricorrenti, sostenute dalla Jørgen Jensen Distribution e dalla Dansk Distribution, fanno valere che la conclusione secondo cui l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 non costituisce un aiuto di Stato dimostra il carattere insufficiente e incompleto dell’esame di tale misura da parte della Commissione.

299    In primo luogo, le ricorrenti contestano la conclusione della Commissione secondo cui l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 non è imputabile allo Stato danese.

300    A questo proposito, anzitutto, esse ricordano che l’ITD ha indicato nella sua denuncia che le autorità danesi e svedesi avevano incitato la PostNord ad effettuare siffatto aumento di capitale, per gli stessi motivi esposti nell’accordo del 20 ottobre 2017. Inoltre, l’ITD avrebbe prodotto, durante la fase di esame preliminare, due presentazioni preparate dal Ministero dei Trasporti danese, rispettivamente il 9 e il 22 febbraio 2017, secondo le quali la sostenibilità economica della Post Danmark era subordinata ad aumenti di capitale da parte della PostNord, il che tenderebbe a dimostrare che le autorità danesi erano a conoscenza dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 e, pertanto, costituirebbe un indizio dell’imputabilità allo Stato di tale misura.

301    Le ricorrenti addebitano poi alla Commissione di avere concluso per l’assenza di imputabilità allo Stato dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 limitandosi ad affermare che il solo fatto che la PostNord fosse un’impresa pubblica controllata dallo Stato non era sufficiente per imputare le misure da essa adottate ai suoi Stati azionisti. La Commissione avrebbe dovuto valutare l’eventuale imputabilità allo Stato dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 alla luce dei criteri elaborati nella giurisprudenza e, in particolare, nella sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294).

302    Infine, le ricorrenti addebitano alla Commissione di non avere informato l’ITD della propria posizione sull’assenza di elementi atti a dimostrare l’imputabilità allo Stato dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 e di non averla invitata a presentare le sue osservazioni al riguardo, violando in tal modo l’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento 2015/1589.

303    In secondo luogo, le ricorrenti contestano la tesi secondo cui un investitore privato avrebbe effettuato l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017.

304    A tale proposito, da un lato, la Commissione avrebbe concluso erroneamente che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 aveva consentito di evitare il fallimento della Post Danmark, in quanto tale fallimento sarebbe solo stato rinviato di qualche anno.

305    Dall’altro lato, per quanto riguarda i presunti effetti negativi che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 avrebbe consentito di evitare, le ricorrenti mettono anzitutto in discussione la nota del consiglio di amministrazione della PostNord (in prosieguo: la «nota del consiglio di amministrazione»), di cui esse non sono state informate e sulla quale si è basata la Commissione. In particolare, nessun elemento consentirebbe di dimostrare la data, la rilevanza o l’attendibilità dei dati utilizzati per la valutazione contenuta in detta nota. Le ricorrenti chiedono pertanto al Tribunale di adottare una misura di organizzazione del procedimento per fare in modo che detta nota sia prodotta.

306    Inoltre, le ricorrenti rilevano che gli effetti negativi che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 avrebbe consentito di evitare sono riassunti in modo molto generico nella decisione impugnata e che essi non sono sufficienti a suffragare la conclusione secondo cui un investitore privato avrebbe scelto di evitare simili effetti realizzando il suddetto aumento di capitale. Infatti, la Commissione non avrebbe proceduto a una valutazione globale di tutti gli elementi pertinenti che consentono di stabilire se lo Stato abbia adottato il provvedimento in questione nella sua qualità di azionista oppure di pubblico potere, dato che essa si sarebbe basata unicamente sulle spiegazioni delle autorità svedesi e danesi.

307    Le ricorrenti rilevano inoltre che la valutazione della Commissione non può essere fondata sulla razionalità economica, salvo considerare che il principio dell’investitore privato si applichi a qualsiasi aumento di capitale da una società controllante alla sua controllata sull’orlo del fallimento. Ciò varrebbe a maggior ragione in quanto, tenuto conto delle gravi difficoltà economiche della Post Danmark negli anni che hanno preceduto l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017, non vi sarebbe stata alcuna urgenza conseguente alla pubblicazione della relazione di fine anno della Post Danmark.

308    Oltre a ciò, per quanto riguarda gli effetti negativi quali riassunti nella decisione impugnata, le ricorrenti osservano che la Commissione ha ignorato la giurisprudenza relativa al criterio dell’investitore privato in un’economia di mercato, la quale richiede che siano presi in considerazione elementi oggettivi e verificabili. Infatti, la Commissione si sarebbe limitata a dichiarazioni generiche e non avrebbe identificato, in primo luogo, le parti la cui fiducia nel gruppo PostNord sarebbe stata intaccata dal fallimento della Post Danmark, in secondo luogo, gli accordi di finanziamento del gruppo PostNord suscettibili di risoluzione in caso di fallimento della Post Danmark, in terzo luogo, gli accordi conclusi dalla PostNord con proprietari immobiliari o fornitori che sarebbero stati interessati dal fallimento della Post Danmark, nonché le garanzie che la PostNord avrebbe dovuto attivare in tale ipotesi e, in quarto luogo, gli incarichi che avrebbe perso la restante parte danese del gruppo PostNord. Le ricorrenti aggiungono che nessuna di tali presunte perdite è stata quantificata, cosicché esse non potrebbero essere utilizzate per dimostrare le perdite subite dal gruppo PostNord in caso di fallimento della Post Danmark.

309    Inoltre, le ricorrenti sostengono che gli effetti negativi che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 avrebbe consentito di evitare sono strettamente legati al deterioramento dell’immagine del marchio del gruppo PostNord nel suo insieme conseguente a un eventuale fallimento della Post Danmark. Orbene, dalla giurisprudenza risulterebbe che solo eccezionalmente, in circostanze particolari, un danno all’immagine del marchio dello Stato in caso di fallimento di un’impresa pubblica può giustificare un aumento di capitale volto ad evitare tale fallimento. Su questo punto, le ricorrenti sottolineano che è risaputo che il Regno di Danimarca e il Regno di Svezia sono i due azionisti della PostNord, cosicché sarebbe stata proprio la tutela dell’immagine di marchio di questi ultimi a giustificare l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017.

310    Infine, le ricorrenti addebitano alla Commissione di non avere valutato se, tra i costi provocati da un eventuale fallimento della Post Danmark, alcuni derivassero dalla concessione di aiuti di Stato. Ciò varrebbe segnatamente per i prestiti o le garanzie concessi dalla PostNord, che, date le difficoltà finanziarie della Post Danmark, probabilmente non sarebbero stati accordati da un operatore accorto in un’economia di mercato.

311    La Commissione, sostenuta dal Regno di Danimarca, contesta l’argomentazione delle ricorrenti.

312    In primo luogo, la Commissione afferma di avere espresso la sua posizione preliminare sulla denuncia dell’ITD in occasione di una riunione tenutasi il 19 gennaio 2018 e che tale posizione preliminare è stata inoltre discussa con il rappresentante delle ricorrenti in una successiva conversazione telefonica. Pertanto, non si potrebbe addebitare alla Commissione di essere venuta meno all’obbligo di informazione derivante dall’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento 2015/1589.

313    In secondo luogo, essa sottolinea di essersi conformata al suo obbligo di esaminare diligentemente la denuncia dell’ITD, chiedendo alle autorità danesi le informazioni necessarie per valutare gli elementi presentati non solo in detta denuncia, ma anche nella memoria integrativa presentata dall’ITD. La Commissione aggiunge che il solo fatto che le ricorrenti mettano in discussione l’esito di tale valutazione non può essere indicativo dell’esistenza di gravi difficoltà.

314    In terzo luogo, la Commissione contesta gli indizi dedotti dalle ricorrenti e diretti a dimostrare l’imputabilità allo Stato dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017. In particolare, le presentazioni del Ministero dei Trasporti danese dimostrerebbero che lo Stato danese era uno «spettatore passivo» di tale operazione. Infatti, dette presentazioni non direbbero nulla riguardo al rischio imminente di fallimento della Post Danmark e prevederebbero solo soluzioni a lungo termine per tale società, che non corrispondono all’aumento di capitale del 23 febbraio 2017. La Commissione invoca inoltre il principio di leale cooperazione per sostenere che gli Stati membri sono tenuti a fornirle tutte le informazioni necessarie per consentirle di verificare se una misura costituisca un aiuto e, in caso affermativo, se esso sia compatibile con il mercato interno. Così, la Commissione, precisando che l’avvio del procedimento d’indagine formale non le avrebbe consentito di ottenere maggiori informazioni, avrebbe potuto basarsi sulle dichiarazioni delle autorità danesi e svedesi secondo cui l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 non era loro imputabile, per concludere, in assenza di indizi contrari, che era effettivamente così.

315    Il Regno di Danimarca, dal canto suo, confermando di essere venuto a conoscenza dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 solo dopo che era stato realizzato, sostiene che nulla indica che le operazioni della PostNord debbano essere imputate, in generale, alle autorità danesi o svedesi. A tale proposito, rileva che detta società agisce in modo indipendente con un’ampia autonomia sul mercato, è gestita secondo principi commerciali e opera in concorrenza con operatori privati su un mercato completamente liberalizzato, non è soggetta ad alcun obbligo di far approvare determinate operazioni dai suoi proprietari e tutte le sue operazioni rispondono a una logica puramente economica.

316    In quarto luogo, per quanto riguarda gli argomenti delle ricorrenti relativi al criterio dell’investitore privato in un’economia di mercato, la Commissione sostiene che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 era una conseguenza diretta della relazione di fine anno della PostNord, pubblicata il 10 febbraio 2017, che avrebbe evidenziato un rischio imminente di fallimento della Post Danmark. Pertanto, molte ragioni, come guadagnare tempo in vista della ristrutturazione della controllata – che era la posizione della PostNord nei confronti della Post Danmark –, nonché mantenere relazioni d’affari e condizioni di finanziamento sui mercati finanziari, potrebbero giustificare il fatto che, di fronte a un tale rischio per la sua controllata, un investitore privato proceda a un aumento di capitale di quest’ultima, di importo limitato, entro un breve periodo.

317    La Commissione nega quindi che la sua argomentazione induca a ritenere che qualsiasi aumento di capitale da una società controllante a una controllata sia giustificato.

318    A tal riguardo, basandosi sulla sentenza del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione (T‑305/13, EU:T:2015:435), la Commissione rileva che, per valutare se uno Stato membro si sia comportato come un operatore privato, occorre determinare la razionalità economica della misura in questione collocandosi nel contesto in cui essa è stata adottata. A questo scopo, la Commissione dovrebbe disporre degli elementi più completi e affidabili possibile, elementi che dipendono dalle circostanze del caso di specie nonché dalla natura e dalla complessità della misura di cui trattasi.

319    Pertanto, secondo la Commissione, la sola circostanza che la PostNord non abbia fatto precedere l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 da un’analisi economica approfondita da parte di esperti indipendenti non è sufficiente per ritenere che essa non abbia agito come un investitore privato, dato che nessuna società, di fronte a un rischio improvviso e imminente di fallimento della sua controllata, avrebbe avuto il tempo di agire in tal modo.

320    La Commissione conclude quindi che, considerando che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 non era atto a conferire un vantaggio alla Post Danmark, essa ha valutato alla luce della razionalità e della logica economiche, da un lato, le informazioni fornite dalle autorità danesi e svedesi e, dall’altro, quelle presentate dall’ITD. Più in particolare, la Commissione avrebbe ritenuto che tale aumento di capitale rispecchiasse il comportamento ragionevole di una società controllante, tenuto conto del costo che essa avrebbe dovuto sopportare per lasciare che la Post Danmark fallisse e della possibilità di trasformare quest’ultima in una società efficiente in futuro. Sarebbe quindi errato sostenere che la Commissione abbia seguito ciecamente la tesi delle autorità danesi e svedesi e, in particolare, gli elementi contenuti nella nota del consiglio di amministrazione e descritti al punto 80 della decisione impugnata.

321    A tale proposito, il Regno di Danimarca rileva che, da un lato, tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, gli attivi della Post Danmark hanno subito un significativo deprezzamento che ha comportato, in tale periodo, un peggioramento dei risultati di DKK 733 milioni, il quale, combinato con le perdite di esercizio parimenti subite dalla Post Danmark, ha condotto quest’ultima a perdere improvvisamente oltre la metà del capitale proprio. Dall’altro lato, il Regno di Danimarca sostiene che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 è stato effettuato tenendo conto del fatto che la trasformazione della Post Danmark doveva consentirle di ottenere incrementi di efficienza, anche se le modalità di finanziamento di tale trasformazione sono state definite solo dopo la conclusione dell’accordo del 20 ottobre 2017.

322    Infine, ad avviso della Commissione, è erronea la premessa del ragionamento delle ricorrenti in base alla quale esse hanno considerato e accettato che la PostNord aveva effettuato l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 al fine di tutelare l’immagine del suo marchio. Ad ogni modo, le analogie con la giurisprudenza relativa alla tutela dell’immagine di marchio di uno Stato membro in quanto operatore economico non sarebbero trasponibili alla situazione della PostNord, la quale è un operatore che dispone di un marchio proprio.

a)      Sulla sussistenza di una violazione dellarticolo 24, paragrafo 2, del regolamento 2015/1589

323    Le ricorrenti sostengono che la Commissione ha violato l’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento 2015/1589 in quanto non ha informato l’ITD che intendeva respingere la sua denuncia, in ragione della mancanza di elementi idonei a dimostrare che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 fosse imputabile allo Stato, e non l’ha invitata a presentare ulteriori osservazioni su tale questione.

324    A termini dell’articolo 24, paragrafo 2, secondo comma, prima frase, del regolamento 2015/1589, «[l]a Commissione, se ritiene che la parte interessata non rispetta l’obbligo di ricorrere al modulo di denuncia o gli elementi di fatto e di diritto presentati dalla parte interessata non sono sufficienti a dimostrare, in base a un esame prima facie, l’esistenza di un aiuto illegale o l’attuazione abusiva di aiuti, ne informa la parte interessata invitandola a presentare osservazioni entro un termine stabilito, di norma non superiore a un mese».

325    Inoltre, all’articolo 24, paragrafo 2, terzo comma, del medesimo regolamento è precisato che «[l]a Commissione invia copia al denunciante della decisione adottata su un caso riguardante l’oggetto della denuncia».

326    Dall’articolo 24, paragrafo 2, secondo e terzo comma, del regolamento 2015/1589, che disciplina i diritti degli interessati, risulta che la Commissione, dopo aver ottenuto da un interessato informazioni relative ad asseriti aiuti illegittimi, o ritiene non vi siano motivi sufficienti per pronunciarsi sul caso e ne informa detto interessato, oppure adotta una decisione sul caso stesso riguardante l’argomento delle informazioni fornite (v., in tal senso, sentenza del 18 novembre 2010, NDSHT/Commissione, C‑322/09 P, EU:C:2010:701, punto 55).

327    Orbene, nel caso di specie, per quanto riguarda la questione dell’imputabilità allo Stato dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017, la Commissione ha adottato una decisione dopo avere esaminato la denuncia dell’ITD e avere ritenuto che essa non consentisse di accertare tale imputabilità.

328    In tali circostanze, la Commissione non era tenuta a comunicare all’ITD che intendeva respingerne la denuncia prima dell’adozione della decisione impugnata. La censura relativa a una violazione dell’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento 2015/1589 deve pertanto essere respinta.

b)      Sullimputabilità dellaumento di capitale del 23febbraio 2017

329    Come risulta dalla giurisprudenza ricordata ai punti 239 e 240 supra, l’imputabilità di una misura a uno Stato membro è una condizione autonoma della qualificazione come aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE e, quando la Commissione è in grado di escludere una siffatta imputabilità in relazione a una misura che le viene sottoposta, può adottare una decisione di non sollevare obiezioni nei suoi confronti.

330    A tale proposito, secondo la giurisprudenza della Corte, l’imputabilità di una misura allo Stato non può essere dedotta dalla mera circostanza che la misura di cui trattasi è stata adottata da un’impresa pubblica (v., in tal senso, sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punti 51 e 57).

331    Infatti, anche nel caso in cui lo Stato sia in grado di controllare un’impresa pubblica e di esercitare un’influenza dominante sulle operazioni di quest’ultima, l’esercizio effettivo di tale controllo nel caso concreto non può essere automaticamente presunto. Un’impresa pubblica può agire con maggiore o minore indipendenza, a seconda del grado di autonomia ad essa concesso dallo Stato. Pertanto, il solo fatto che un’impresa pubblica si trovi sotto il controllo dello Stato non è sufficiente per imputare a quest’ultimo misure adottate da tale impresa. Resta ancora da verificare se si debba ritenere che le autorità pubbliche abbiano avuto un qualche ruolo nell’adozione di tali misure (v., in tal senso, sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punto 52).

332    A questo proposito non si può pretendere che venga dimostrato, sulla base di un’istruttoria precisa, che le autorità pubbliche hanno concretamente incitato l’impresa pubblica ad adottare i provvedimenti di aiuto in questione. Infatti, da un lato, considerato che tra lo Stato e le imprese pubbliche sussistono relazioni strette, vi è un rischio reale che aiuti statali vengano concessi per il tramite di tali imprese pubbliche in maniera poco trasparente e in violazione del regime previsto dal Trattato per gli aiuti statali. Dall’altro lato, come regola generale, sarà assai difficile per un terzo, proprio a motivo delle relazioni privilegiate che esistono tra lo Stato ed un’impresa pubblica, dimostrare nel caso concreto che eventuali provvedimenti di aiuto adottati da tale impresa sono stati effettivamente assunti dietro istruzione delle autorità pubbliche (v., in tal senso, sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punti 53 e 54).

333    Per questi motivi, al punto 55 della sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), la Corte ha considerato che l’imputabilità allo Stato di un provvedimento di aiuto adottato da un’impresa pubblica può essere dedotta da un insieme di indizi risultanti dalle circostanze del caso di specie e dal contesto nel quale il provvedimento di cui trattasi è stato adottato. A questo proposito, essa ha già preso in considerazione la circostanza che l’organismo in questione non poteva adottare la decisione contestata senza tenere conto delle esigenze dei pubblici poteri (v., in tal senso, sentenza del 2 febbraio 1988, Kwekerij Van der Kooy e a./Commissione, 67/85, 68/85 e 70/85, EU:C:1988:38, punto 37) o che, oltre che degli elementi di natura organica che vincolavano le imprese pubbliche allo Stato, tali imprese, grazie alla cui intermediazione gli aiuti erano stati accordati, dovevano tenere conto delle direttive impartite dal governo (v., in tal senso, sentenze del 21 marzo 1991, Italia/Commissione, C‑303/88, EU:C:1991:136, punti 11 e 12, e del 21 marzo 1991, Italia/Commissione, C‑305/89, EU:C:1991:142 punti 13 e 14).

334    Inoltre, altri indizi potrebbero, eventualmente, essere pertinenti per giungere ad affermare l’imputabilità allo Stato di un provvedimento di aiuto adottato da un’impresa pubblica, quali, in particolare, l’integrazione di tale impresa nelle strutture dell’amministrazione pubblica, la natura delle sue attività e l’esercizio di queste sul mercato in normali condizioni di concorrenza con gli operatori privati, lo status giuridico dell’impresa, ossia il fatto che questa sia soggetta al diritto pubblico ovvero al diritto comune delle società, l’intensità della tutela esercitata dalle autorità pubbliche sulla gestione dell’impresa, ovvero qualsiasi altro indizio che indichi, nel caso concreto, un coinvolgimento delle autorità pubbliche ovvero l’improbabilità di una mancanza di coinvolgimento nell’adozione di un provvedimento, tenuto conto anche dell’ampiezza di tale provvedimento, del suo contenuto ovvero delle condizioni che esso comporta (v., in tal senso, sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punto 56).

335    Tuttavia, il solo fatto che un’impresa pubblica sia stata costituita in forma di società di capitali di diritto comune non può – tenuto conto dell’autonomia che tale forma giuridica è suscettibile di conferire all’impresa in questione – essere considerato sufficiente per escludere che un provvedimento di aiuto adottato da una società di questo tipo sia imputabile allo Stato. Infatti, l’esistenza di una situazione di controllo e le reali possibilità di esercitare un’influenza dominante che detta situazione comporta in pratica non consentono di escludere fin da subito qualsiasi imputabilità allo Stato di un provvedimento adottato da una società di questo tipo e, come conseguenza, il rischio di un aggiramento delle regole del Trattato in materia di aiuti di Stato, malgrado la rilevanza, in quanto tale, della forma giuridica dell’impresa pubblica quale indizio, insieme ad altri, che permette di dimostrare nel caso concreto il coinvolgimento o meno dello Stato (v., in tal senso, sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C‑482/99, EU:C:2002:294, punto 57 e giurisprudenza citata).

336    Nel caso di specie, ai punti da 200 a 202 della decisione impugnata, dopo avere riprodotto il punto 52 della sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), ricordato al punto 331 supra, la Commissione ha anzitutto rilevato che la struttura del capitale della PostNord e la modalità di nomina del suo consiglio di amministrazione dimostravano che gli Stati danese e svedese avrebbero potuto essere in grado di esercitare un’influenza dominante su tale società. La Commissione ha poi considerato che questi elementi non consentivano di dimostrare che detti Stati esercitassero un controllo effettivo sulla PostNord al momento dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017, né che i poteri pubblici fossero stati coinvolti, in un modo nell’altro, nell’adozione di tale provvedimento. Infine, la Commissione ha ritenuto che l’ITD non avesse presentato alcun elemento atto a dimostrare l’imputabilità dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 allo Stato danese o allo Stato svedese.

337    Le ricorrenti sostengono che siffatta valutazione dimostra il carattere insufficiente e incompleto dell’esame svolto dalla Commissione.

338    A tale proposito, si deve rilevare che la Commissione ha correttamente affermato che il solo fatto che una società sia detenuta da capitali pubblici non era sufficiente a far presumere che qualsiasi decisione assunta da quest’ultima sia imputabile allo Stato azionista, conformemente ai principi elaborati dalla Corte nella sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294) (v. punti 330 e 331 supra).

339    Tuttavia, dalla sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), risulta altresì che, nel caso di un’impresa sulla quale uno Stato membro può esercitare un’influenza dominante, la Commissione deve esaminare, sulla base di un insieme di indizi sufficientemente precisi e concordanti, che il coinvolgimento dello Stato in un provvedimento adottato da detta impresa sia concreto oppure che la mancanza di un simile coinvolgimento sia improbabile alla luce delle circostanze e del contesto in esame (v. punto 334 supra) (v., in tal senso, sentenza del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione, T‑305/13, EU:T:2015:435, punti 51 e 52).

340    Così, nel caso di specie, avendo constatato che la PostNord era un’impresa sulla quale gli Stati danese e svedese potevano esercitare un’influenza dominante, la Commissione non poteva limitarsi a constatare di non essere in grado di presumere che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 fosse imputabile allo Stato. Conformemente al principio ricordato al punto 339 supra, spettava alla Commissione, se del caso, stabilire in concreto, sulla base di indizi che essa poteva raccogliere in funzione delle informazioni disponibili, se fosse probabile o meno che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 fosse imputabile agli Stati danese e svedese.

341    Ne consegue che, limitandosi a constatare la natura di impresa pubblica della PostNord, la Commissione ha proceduto ad un’analisi insufficiente del coinvolgimento dello Stato nell’adozione del provvedimento controverso. Tale approccio equivale infatti ad escludere l’imputabilità dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 allo Stato per il solo motivo che la PostNord era costituita sotto forma di società commerciale, in violazione del principio elaborato dalla Corte e ricordato al punto 335 supra.

342    Inoltre, si deve rilevare che, a sostegno della sua denuncia, l’ITD aveva menzionato l’esistenza di due presentazioni realizzate dal Ministero dei Trasporti danese il 9 e il 22 febbraio 2017.

343    È vero che, come rilevato dalla Commissione e dal Regno di Danimarca, tali presentazioni prevedevano soluzioni a lungo termine che consentivano di attuare un nuovo modello di produzione all’interno della Post Danmark, senza evocare un aumento di capitale immediato, come quello del 23 febbraio 2017. Tuttavia, dalle medesime presentazioni risulta che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il governo danese era consapevole della portata delle difficoltà finanziarie incontrate dalla Post Danmark nel 2016 e di quelle previste per il 2017, del rischio di fallimento di detta impresa e del costo di un siffatto fallimento per lo Stato. Orbene, come ha esposto la Commissione nella decisione impugnata e nelle sue memorie, sono stati questi ultimi elementi a giustificare l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017.

344    Pertanto, la conoscenza di tali elementi da parte dello Stato danese giustificava anche il fatto che la Commissione approfondisse l’esame della questione relativa all’imputabilità dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017, in quanto, tenuto conto degli stretti rapporti tra Stati e imprese pubbliche, non era necessario dimostrare che le autorità pubbliche avevano concretamente incitato la PostNord, sulla base di un’istruzione precisa, ad adottare tale provvedimento (v. punto 332 supra).

345    A tal riguardo, è importante inoltre rammentare che la Commissione, in determinate circostanze, può essere tenuta ad istruire una denuncia andando oltre il mero esame degli elementi di fatto e di diritto portati a sua conoscenza dal denunciante. Infatti, la Commissione è tenuta, nell’interesse di una corretta amministrazione delle norme fondamentali del Trattato relative agli aiuti di Stato, a procedere ad un esame diligente ed imparziale della denuncia, il che può rendere necessario l’esame di elementi che non sono stati citati espressamente dal denunciante (v. sentenza del 15 marzo 2018, Naviera Armas/Commissione, T‑108/16, EU:T:2018:145, punto 101 e giurisprudenza citata).

346    Orbene, dal fascicolo risulta che la Commissione si è limitata a trasmettere la denuncia dell’ITD alle autorità danesi e svedesi e si è accontentata della loro risposta del 20 dicembre 2017, secondo la quale tali autorità erano venute a conoscenza dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 solo dopo che esso era stato effettuato, nella loro qualità di azionisti.

347    A questo proposito, la Commissione non può utilmente invocare il principio di leale cooperazione, come interpretato nella sentenza del 21 dicembre 2016, Club Hotel Loutraki e a./Commissione (C‑131/15 P, EU:C:2016:989, punto 34). In detta sentenza, la Corte ha dichiarato che, in applicazione del principio di leale cooperazione tra Stati membri e istituzioni, quale discende dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, e al fine di non rallentare il procedimento, spettava allo Stato membro, che reputasse che una misura sottoposta all’esame preliminare della Commissione non costituisse un aiuto, fornirle al più presto possibile, a partire dal momento in cui essa lo investiva della questione attinente a tale misura, gli elementi che giustificavano la sua posizione. È vero che le dichiarazioni fornite dagli Stati membri non sono, di per sé, irrilevanti nell’ambito delle procedure di controllo degli aiuti di Stato (v., in tal senso, sentenza del 26 giugno 2008, SIC/Commissione, T‑442/03, EU:T:2008:228, punto 104). Tuttavia, nel caso di specie, non si può dedurre dal principio di leale cooperazione, come interpretato dalla Corte, che la Commissione potesse basarsi prevalentemente, nella fase dell’esame preliminare, su affermazioni rese dalle autorità danesi e svedesi per concludere che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 non era imputabile allo Stato, sebbene tale misura fosse stata adottata dalla PostNord, che la Commissione aveva constatato essere un’impresa pubblica sulla quale gli Stati danese e svedese erano in grado di esercitare un’influenza dominante.

348    Alla luce di quanto precede, si deve concludere che le ricorrenti sostengono giustamente che la Commissione non ha condotto un esame completo e sufficiente della questione se l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 fosse imputabile agli Stati danese e svedese.

349    Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento del Regno di Danimarca secondo cui le operazioni della PostNord rispondono a una logica puramente economica e non devono essere approvate dai suoi Stati proprietari, come per qualsiasi impresa privata. Infatti, la Commissione non ha assolutamente tenuto conto di tale circostanza laddove ha considerato che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 non era imputabile allo Stato, dato che si è limitata ad indicare che la struttura del capitale della PostNord e la modalità di nomina del suo consiglio di amministrazione non consentivano di dimostrare il coinvolgimento dei suoi Stati azionisti in detto aumento di capitale. Ad ogni modo, l’argomento del Regno di Danimarca relativo alle condizioni in cui la PostNord esercita le sue attività non è suffragato da alcun documento.

350    Tenuto conto di quanto precede, occorre esaminare il secondo motivo dedotto dalla Commissione a sostegno della sua conclusione secondo cui l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 non costituisce un aiuto di Stato, basato sul fatto che siffatto provvedimento non procura alcun vantaggio in quanto rispetta il criterio dell’investitore privato in un’economia di mercato.

c)      Sul criterio dellinvestitore privato in uneconomia di mercato

351    Secondo la giurisprudenza, la questione se la Commissione abbia applicato in modo erroneo il criterio dell’investitore privato in un’economia di mercato non si confonde con quella relativa all’esistenza di gravi difficoltà richiedenti l’avvio del procedimento d’indagine formale. Infatti, la verifica dell’esistenza di gravi difficoltà non mira a stabilire se la Commissione abbia correttamente applicato l’articolo 107 TFUE, bensì ad appurare se essa disponesse, alla data di adozione della decisione impugnata, di informazioni sufficientemente complete per valutare l’esistenza di un aiuto di Stato e, se del caso, la sua compatibilità con il mercato interno (v. sentenza del 28 marzo 2012, Ryanair/Commissione, T‑123/09, EU:T:2012:164, punto 129 e giurisprudenza citata; sentenza del 12 giugno 2014, Sarc/Commissione, T‑488/11, non pubblicata, EU:T:2014:497, punto 93).

352    I principi elaborati dal giudice dell’Unione nella sua giurisprudenza relativa all’applicazione del criterio dell’investitore privato in un’economia di mercato sono comunque utili per valutare se, nella fase di esame preliminare, la Commissione si sia trovata di fronte a gravi difficoltà che non abbia superato quando ha considerato che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 non era tale da conferire un vantaggio alla Post Danmark.

353    In limine, occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza consolidata, le condizioni che devono ricorrere affinché una misura possa ricadere nella nozione di aiuto ai sensi dell’articolo 107 TFUE non sono soddisfatte qualora l’impresa beneficiaria potesse ottenere lo stesso vantaggio rispetto a quello procuratole per mezzo di risorse statali e in circostanze corrispondenti alle normali condizioni del mercato, valutazione che deve essere effettuata, in via di principio, applicando il criterio dell’investitore privato in un’economia di mercato (v. sentenze del 24 gennaio 2013, Frucona Košice/Commissione, C‑73/11 P, EU:C:2013:32, punto 70 e giurisprudenza citata, e del 21 dicembre 2016, Club Hotel Loutraki e a./Commissione, C‑131/15 P, EU:C:2016:989, punto 71).

354    Pertanto, l’applicazione del criterio dell’investitore privato in un’economia di mercato, implica che si valuti se, in circostanze analoghe, un investitore privato operante in condizioni normali di un’economia di mercato, di dimensioni paragonabili a quelle dell’ente rientrante nel settore pubblico, avrebbe potuto essere indotto ad effettuare conferimenti di capitali di simile entità e alle stesse condizioni (v., in tal senso, sentenza del 4 settembre 2014, SNCM e Francia/Corsica Ferries France, C‑533/12 P e C‑536/12 P, EU:C:2014:2142, punto 32 e giurisprudenza citata).

355    A tal fine, è importante rammentare che il comportamento dell’investitore privato cui deve essere comparato il comportamento dell’investitore pubblico non è necessariamente quello del comune investitore che colloca capitali in funzione della loro capacità di produrre reddito a termine più o meno breve, ma deve, quantomeno, corrispondere a quello di una holding privata o di un gruppo imprenditoriale privato che persegua una politica strutturale, globale o settoriale, ed essere guidato da prospettive di redditività a più lungo termine (sentenze del 21 marzo 1991, Italia/Commissione, C‑305/89, EU:C:1991:142, punto 20, e del 24 settembre 2008, Kahla/Thüringen Porzellan/Commissione, T‑20/03, EU:T:2008:395, punto 238). Così, quando i conferimenti di capitali di un investitore pubblico prescindano da qualsiasi prospettiva di redditività, anche a lungo termine, essi vanno considerati aiuti ai sensi dell’articolo 107 TFUE e la loro compatibilità con il mercato comune deve valutarsi unicamente alla luce dei criteri previsti da tale disposizione (v. sentenza del 4 settembre 2014, SNCM e Francia/Corsica Ferries France, C‑533/12 P e C‑536/12 P, EU:C:2014:2142, punto 39 e giurisprudenza citata).

356    In particolare, la Corte ha statuito che un socio privato poteva ragionevolmente conferire il capitale necessario per garantire la sopravvivenza dell’impresa che fosse temporaneamente in difficoltà, ma che, previa riorganizzazione, fosse eventualmente in grado di ridivenire redditizia. Pertanto, una società controllante può parimenti, per un periodo limitato, sopportare le perdite di una delle sue società controllate allo scopo di consentire la cessazione delle attività di quest’ultima nelle migliori condizioni (sentenze del 21 marzo 1991, Italia/Commissione, C‑303/88, EU:C:1991:136, punti 21 e 22; del 18 dicembre 2008, Componenta/Commissione, T‑455/05, non pubblicata, EU:T:2008:597, punto 87, e del 28 gennaio 2016, Slovenia/Commissione, T‑507/12, non pubblicata, EU:T:2016:35, punto 221).

357    A tale proposito, spetta allo Stato membro o all’ente pubblico interessato trasmettere alla Commissione gli elementi oggettivi e verificabili da cui emerga che la sua decisione di intervenire nel capitale di un’impresa è fondata su valutazioni economiche preliminari analoghe a quelle che, in circostanze analoghe, un investitore privato razionale, che si trovi in una situazione la più analoga possibile a quella di tale Stato o di tale ente, avrebbe fatto accertare, prima di adottare la misura in questione, al fine di determinare la redditività futura della stessa. Tuttavia, gli elementi di valutazione economica preliminare che si chiedono allo Stato membro devono essere modulati in funzione della natura e della complessità dell’operazione di cui trattasi, del valore degli attivi, dei beni o dei servizi interessati e delle circostanze del caso di specie (sentenze del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione, T‑305/13, EU:T:2015:435, punti 97 e 98, e dell’11 dicembre 2018, BTB Holding Investments e Duferco Participations Holding/Commissione, T‑100/17, non pubblicata, EU:T:2018:900, punti 79 e 80).

358    Così, il contenuto e il livello di precisione di siffatte valutazioni economiche preliminari possono dipendere, in particolare, dalle circostanze del caso di specie, dalla situazione del mercato e dalla congiuntura economica, sicché, in alcun casi, l’assenza di un piano d’impresa dettagliato della controllata, che contenga stime precise e complete della sua redditività futura ed analisi dettagliate dei costi/benefici, non consente, di per sé, di affermare che l’investitore pubblico non si è comportato come avrebbe fatto un investitore privato (sentenza del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione, T‑305/13, EU:T:2015:435, punti 178 e 179).

359    Ciò posto, è stato statuito che un investitore privato razionale, pur trovandosi nell’impossibilità di procedere a previsioni dettagliate e complete, non deciderebbe di iniettare ulteriori capitali in una controllata che ha realizzato perdite significative senza compiere valutazioni preliminari, sia pure approssimative, che consentano di ipotizzare ragionevoli probabilità di realizzare profitti in futuro, e senza analizzare diversi scenari e diverse opzioni, inclusa, eventualmente, la possibile cessione o liquidazione della controllata. Pertanto, l’impossibilità di procedere a previsioni dettagliate e complete non può dispensare un investitore pubblico dal procedere a una valutazione preliminare appropriata della redditività del suo investimento, comparabile a quella che avrebbe svolto un investitore privato in una situazione simile, in funzione degli elementi disponibili e prevedibili (sentenza del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione, T‑305/13, EU:T:2015:435, punti da 180 a 182).

360    In particolare, dalla giurisprudenza risulta che, di fronte a varie alternative, prima di effettuare un’operazione, un investitore privato razionale deve valutare i vantaggi e gli svantaggi di ognuna di esse al fine di scegliere l’alternativa più vantaggiosa (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 24 gennaio 2013, Frucona Košice/Commissione, C‑73/11 P, EU:C:2013:32, punti 79 e 80, e del 21 marzo 2013, Commissione/Buczek Automotive, C‑405/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:186, punti da 56 a 58).

361    È alla luce di tali considerazioni che occorre valutare se, nel caso di specie, la Commissione abbia condotto un esame completo e sufficiente della questione se un investitore privato avrebbe effettuato l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 e, pertanto, determinare se, a tale proposito, essa si sia trovata di fronte a gravi difficoltà che non abbia superato.

362    Nella decisione impugnata, la Commissione ha considerato, al punto 203, che un investitore privato nella situazione della PostNord avrebbe, molto probabilmente, effettuato l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 piuttosto che lasciare che la sua controllata fallisse. A sostegno di tale valutazione essa ha rilevato, da un lato, che non vi erano dubbi sul fatto che la Post Danmark sarebbe fallita in assenza di detto aumento di capitale, giacché il capitale proprio di tale società era passato da DKK 1,29 miliardi alla fine del 2015 a DKK 108 milioni alla fine dell’anno successivo, con un’ulteriore perdita prevista per il 2017. Dall’altro lato, rinviando alle spiegazioni delle autorità danesi e svedesi descritte al punto 5.1 della decisione impugnata, la Commissione ha osservato che il fallimento della Post Danmark avrebbe avuto, per il gruppo PostNord, un costo molto più elevato rispetto all’aumento di capitale del 23 febbraio 2017.

363    Dal punto 5.1 della decisione impugnata e, in particolare, dal punto 80 della stessa risulta che, nel corso del procedimento amministrativo, le autorità danesi e svedesi hanno sostenuto, in riferimento alla nota del consiglio di amministrazione, che il fallimento della Post Danmark avrebbe comportato i seguenti effetti negativi:

–        una perdita di fiducia da parte dei mercati del credito e dei capitali, dei clienti, dei fornitori, dei proprietari, dei dipendenti e delle altre parti interessate a livello del gruppo nel suo complesso;

–        la risoluzione di accordi di finanziamento esistenti per il gruppo PostNord che avrebbe reso difficili il rifinanziamento e la raccolta di capitali;

–        un peggioramento delle condizioni alle quali la PostNord poteva locare beni immobili ed approvvigionarsi presso i fornitori, nonché dei requisiti relativi alle varie forme di garanzia offerte dalla PostNord;

–        la messa a rischio della posizione e del nome della PostNord nei mercati logistici nordici, dove si trova la maggior parte dei suoi clienti, che operano in diversi paesi;

–        un effetto negativo di flusso di cassa all’interno del gruppo PostNord e una perdita contabile.

364    La Commissione ha quindi basato la sua conclusione sul fatto che il fallimento della Post Danmark avrebbe avuto una serie di conseguenze negative per il gruppo PostNord.

365    A tale proposito, non si può escludere che le conseguenze negative generate dal fallimento di una controllata possano indurre un investitore privato, la cui azione è guidata dalla razionalità economica, a procedere a conferimenti di capitale che consentano di assicurare la sopravvivenza di tale controllata.

366    Tuttavia, per escludere, in fase di esame preliminare, la qualificazione come aiuto di Stato di un investimento pubblico volto a garantire la sopravvivenza di una società controllata, per il motivo che esso corrisponde al comportamento di un investitore privato razionale, la Commissione, conformemente alla giurisprudenza ricordata ai punti da 355 a 360 supra, deve poter stabilire che un siffatto investimento è preferibile a qualsiasi misura alternativa, quale il fallimento di detta controllata. A tal fine, come risulta dalla medesima giurisprudenza, la Commissione deve procedere a un esame scrupoloso, sulla base degli elementi attendibili di cui dispone, dei vantaggi e degli svantaggi, da un lato, dell’opzione consistente nel porre in stato di fallimento la società controllata e, dall’altro, dell’opzione consistente nell’effettuare un investimento pubblico al fine di garantire la sopravvivenza dell’impresa, esaminando in particolare, in quest’ultimo caso, le prospettive di redditività che l’investitore pubblico può attendersi.

367    Orbene, nel caso di specie, sebbene la Commissione abbia considerato che il costo dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 sarebbe stato, per la PostNord, inferiore al costo del fallimento della Post Danmark, dalla decisione impugnata risulta che essa si è basata, in realtà, esclusivamente sulle conseguenze negative di un fallimento della Post Danmark, senza escludere la possibilità che un siffatto fallimento potesse, nonostante tutto, essere più vantaggioso rispetto a un aumento di capitale che, ad esempio, non avrebbe offerto alcuna prospettiva di redditività, neanche a lungo termine.

368    A tale proposito, la Commissione non può validamente sostenere che la sua conclusione secondo cui l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 corrispondeva al comportamento di un investitore privato non si basava sulla nota del consiglio di amministrazione e sugli elementi menzionati al punto 363 supra, bensì sulla logica economica, la quale implicherebbe che una società controllante, dovendo far fronte al fallimento improvviso e imminente di una delle sue controllate, decida di assicurane la sopravvivenza sostenendone le perdite.

369    Infatti, in primo luogo, con un siffatto argomento, la Commissione contraddice la sua valutazione contenuta nel punto 203 della decisione impugnata, l’unico dedicato alla valutazione dell’esistenza di un vantaggio derivante dall’aumento di capitale del 23 febbraio 2017, in cui essa ha rinviato agli argomenti addotti dalle autorità danesi e svedesi ed esposti al punto 5.1 della medesima decisione.

370    In secondo luogo, dalla decisione impugnata non risulta che la Commissione abbia tenuto conto della situazione di urgenza in relazione al rischio di fallimento della Post Danmark emerso in seguito alla pubblicazione, il 10 febbraio 2017, della relazione di fine anno della PostNord. Peraltro, anche supponendo che dalla decisione impugnata possa dedursi che la Commissione si sia basata su una tale situazione di urgenza, non è dimostrato che questa sia emersa con la pubblicazione della summenzionata relazione di fine anno. A questo proposito, nella parte introduttiva di detta relazione, l’amministratore delegato della PostNord ha indicato che i risultati di quest’ultima «continua[va]no ad essere influenzati dal forte calo dei volumi di posta, soprattutto in Danimarca», che «il rapido ritmo della digitalizzazione [aveva] comportato una drammatica tendenza al ribasso dei volumi e delle entrate sul mercato danese», prima di annunciare l’adozione di una decisione di introdurre un nuovo modello di produzione finanziariamente sostenibile per il futuro. Pertanto, come rilevato dalle ricorrenti, il rischio di fallimento della Post Danmark era solo la conseguenza delle difficoltà finanziarie di lunga data di tale impresa, a motivo della diminuzione degli invii di posta conseguente al ricorso generalizzato agli invii elettronici (v. punto 6 supra).

371    In terzo luogo, in ogni caso, il fatto che la PostNord si trovasse in una situazione di emergenza non esentava la Commissione dall’esaminare se l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 potesse, anche a lungo termine, costituire un’operazione redditizia. Infatti, dalla giurisprudenza ricordata ai punti da 355 a 359 supra risulta che un investitore privato razionale deve, in linea di principio, prima di effettuare un conferimento di capitale in una società, valutare la redditività di tale operazione, anche quando la sua realizzazione non possa essere preceduta da previsioni dettagliate e complete.

372    A questo proposito, la Commissione ammette implicitamente di non avere tenuto conto di considerazioni relative alla redditività dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 laddove riconosce, nel controricorso, che, di fronte al fallimento improvviso e imminente di una controllata, un investitore privato può assicurare la sopravvivenza di quest’ultima, «almeno in modo da guadagnare il tempo necessario a valutare adeguatamente la situazione».

373    In quarto luogo, anche considerando che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 fosse una condizione necessaria alla ristrutturazione della Post Danmark, non risulta che la Commissione abbia valutato, anche solo sommariamente, la plausibilità dell’affermazione secondo cui il nuovo modello di produzione della Post Danmark avrebbe consentito di ripristinare l’efficienza economica di tale impresa.

374    In tali circostanze, non si può concludere che la Commissione abbia effettuato un esame completo e sufficiente che l’abbia indotta a stabilire che la misura costituita dall’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 era preferibile al fallimento della Post Danmark.

375    Come sostenuto dalle ricorrenti, la soluzione adottata dalla Commissione nella decisione impugnata equivale ad ammettere che qualsiasi conferimento di capitale effettuato da una società a capitale pubblico in favore della propria controllata che fa fronte a un improvviso rischio di fallimento soddisfa, in linea di principio, il criterio dell’investitore privato in un’economia di mercato.

376    Di conseguenza, occorre accogliere il presente ricorso nella misura in cui è diretto contro la parte della decisione impugnata nella quale la Commissione ha concluso, senza avviare il procedimento d’indagine formale ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, che l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 non costituiva un aiuto di Stato in quanto non era imputabile agli Stati danese e svedese e non comportava l’esistenza di un vantaggio.

377    Pertanto, non è necessario accogliere la domanda di misura di organizzazione del procedimento richiesta dalle ricorrenti e volta a fare in modo che sia prodotta la nota del consiglio di amministrazione.

IV.    Conclusioni sul ricorso nel suo complesso

378    Secondo la giurisprudenza, il solo fatto che ritenga fondato un motivo invocato dal ricorrente a sostegno del proprio ricorso di annullamento non consente al Tribunale di annullare automaticamente l’atto impugnato in toto. Un annullamento integrale, infatti, non può essere disposto quando risulta del tutto evidente che tale motivo, avendo ad oggetto unicamente un aspetto specifico dell’atto contestato, è tale da fondare solo un annullamento parziale (sentenza dell’11 dicembre 2008, Commissione/Département du Loiret, C‑295/07 P, EU:C:2008:707, punto 104).

379    Tuttavia, l’annullamento parziale di un atto dell’Unione è possibile solo se gli elementi di cui è chiesto l’annullamento sono separabili dal resto dell’atto. Tale requisito della separabilità non è soddisfatto quando l’annullamento parziale di un atto produrrebbe l’effetto di modificare la sostanza dell’atto medesimo (v. sentenza dell’11 dicembre 2008, Commissione/Département du Loiret, C‑295/07 P, EU:C:2008:707, punti 105 e 106 e giurisprudenza citata).

380    Nel caso di specie, nella decisione impugnata la Commissione ha esaminato cinque misure distinte, vale a dire la compensazione in questione, la garanzia in questione, la prassi amministrativa in questione, la ripartizione contabile dei costi della Post Danmark e l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017. Tali misure, di cui la Commissione ha riconosciuto in udienza la reciproca autonomia, sono state esaminate separatamente nella decisione impugnata e sono oggetto ciascuna di una conclusione propria ai punti 205 e 206 della stessa, riprodotti al punto 30 supra.

381    A tale proposito, ai punti 271 e 376 supra si è considerato che il presente ricorso è fondato nella misura in cui è diretto contro le parti della decisione impugnata nella quali la Commissione ha concluso, senza avviare il procedimento d’indagine formale di cui all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, che la prassi amministrativa in questione e l’aumento di capitale del 23 febbraio 2017 non costituivano aiuti di Stato. Di conseguenza, occorre annullare parzialmente la decisione impugnata entro tali limiti e respingere il ricorso quanto al resto.

V.      Sulle spese

382    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, il Tribunale può decidere che ogni parte sopporti le proprie spese o di ripartire le spese.

383    Poiché il ricorso è stato parzialmente accolto, sarà fatta una giusta valutazione delle circostanze della causa decidendo che le ricorrenti si faranno carico di metà delle proprie spese, mentre il resto delle loro spese sarà sopportato dalla Commissione, e che quest’ultima si farà inoltre carico delle proprie spese.

384    In applicazione dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, il Regno di Danimarca si farà carico delle proprie spese. In applicazione dell’articolo 138, paragrafo 3, del medesimo regolamento, la Jørgen Jensen Distribution e la Dansk Distribution si faranno carico delle proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione C(2018) 3169 final della Commissione, del 28 maggio 2018, riguardante l’aiuto di Stato SA.47707 (2018/N) – Compensazioni statali concesse alla PostNord per la fornitura del servizio postale universale – Danimarca è annullata nei limiti in cui in essa è stato considerato, al termine della fase di esame preliminare, che non costituivano aiuti di Stato, da un lato, l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto (IVA) istituita dalla decisione amministrativa n. 1306/90 e dal regolamento amministrativo F 6742/90, adottati dall’amministrazione tributaria danese, e, dall’altro, l’aumento di capitale di un miliardo di corone danesi (DKK) effettuato dalla PostNord AB a vantaggio della Post Danmark A/S, il 23 febbraio 2017.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      L’ITD, Brancheorganisation for den danske vejgodstransport A/S e la Danske Fragtmænd A/S sopporteranno la metà delle proprie spese, mentre il resto delle loro spese sarà sopportato dalla Commissione europea.

4)      La Commissione, il Regno di Danimarca, la Jørgen Jensen Distribution A/S e la Dansk Distribution A/S sopporteranno le proprie spese.

da Silva Passos

Valančius

Truchot

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 maggio 2021.

Firme


Indice


I. Fatti

II. Procedimento e conclusioni delle parti

III. In diritto

A. Sugli indizi relativi alla durata e allo svolgimento della fase di esame preliminare

B. Sugli indizi relativi al contenuto della decisione impugnata

1. Sulla compensazione in questione

a) Sulla ricevibilità degli allegati da C.2 a C.5

b) Sull’esistenza di gravi difficoltà relativamente alla compensazione in questione

1) Sullo scenario controfattuale

2) Sulla detrazione dei vantaggi intangibili

i) Sul miglioramento della reputazione della Post Danmark

ii) Sull’ubiquità

3) Sulla presa in considerazione degli incentivi all’efficienza

4) Sull’utilizzo della compensazione in questione

5) Conclusione

2. Sulla garanzia in questione

3. Sull’esenzione dall’IVA

4. Sulla ripartizione contabile dei costi comuni alle attività della Post Danmark rientranti nell’ambito dell’OSU e a quelle che non vi rientrano

5. Sull’aumento di capitale del 23 febbraio 2017

a) Sulla sussistenza di una violazione dell’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento 2015/1589

b) Sull’imputabilità dell’aumento di capitale del 23 febbraio 2017

c) Sul criterio dell’investitore privato in un’economia di mercato

IV. Conclusioni sul ricorso nel suo complesso

V. Sulle spese


*      Lingua processuale: l’inglese.