Language of document : ECLI:EU:C:2017:467

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 15 giugno 2017 (1)

Causa C181/16

Sadikou Gnandi

contro

État belge

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2008/115/CE – Rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Ordine di lasciare il territorio – Emissione sin dal momento del rigetto della domanda di asilo e prima dell’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale»






1.        La demanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») nonché dell’articolo 5 e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (2).

2.        Con la sua questione pregiudiziale, il Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio) chiede in sostanza alla Corte se il principio di non‑refoulement e il diritto ad un ricorso effettivo ostino a che una decisione di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115 sia adottata nei confronti di un richiedente asilo sin dal momento del rigetto della sua domanda di protezione internazionale ad opera dell’organo di esame di primo grado e quindi prima dell’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale a sua disposizione contro tale rigetto.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

 Direttiva 2005/85/CE

3.        L’articolo 7 della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (3), dispone:

«1.      I richiedenti [asilo] sono autorizzati a rimanere nello Stato membro, ai fini esclusivi della procedura, fintantoché l’autorità accertante non abbia preso una decisione secondo le procedure di primo grado di cui al capo III. Il diritto a rimanere non dà diritto a un titolo di soggiorno (4).

(…)».

4.        L’articolo 39, paragrafo 1, di tale direttiva fa gravare sugli Stati membri l’obbligo di garantire ai richiedenti asilo il diritto ad un ricorso effettivo. Il paragrafo 3 di tale disposizione è formulato nei termini seguenti:

«Gli Stati membri prevedono, se del caso, norme conformi ai loro obblighi internazionali intese:

a)      a determinare se il rimedio di cui al paragrafo 1 produce l’effetto di consentire ai richiedenti di rimanere nello Stato membro interessato in attesa del relativo esito;

b)      a prevedere la possibilità di un mezzo di impugnazione giurisdizionale o di misure cautelari, qualora il mezzo di impugnazione di cui al paragrafo 1 non produca l’effetto di consentire ai richiedenti di rimanere nello Stato membro interessato in attesa del relativo esito.(…)

(…)».

5.        La direttiva 2005/85 è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (5). L’articolo 46, paragrafo 5, di quest’ultima direttiva prevede che «gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso». Tale disposizione non si applica però, ratione temporis, ai fatti della controversia nel procedimento principale (6).

 Direttiva 2008/115

6.        L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 precisa che quest’ultima si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare.

7.        Ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 2, 4 e 5, di tale direttiva:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

2)      “soggiorno irregolare” la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro;

(…)

4)      “decisione di rimpatrio” decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio;

5)      “allontanamento” l’esecuzione dell’obbligo di rimpatrio, vale a dire il trasporto fisico fuori dallo Stato membro».

8.        L’articolo 5 della direttiva 2008/115 impone agli Stati membri il rispetto del principio di non-refoulement nell’attuazione di quest’ultima.

9.        L’articolo 6 di tale direttiva, intitolato «Decisione di rimpatrio», dispone, ai paragrafi 1 e 6:

«1.      Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5.

(…)

6.      La presente direttiva non osta a che gli Stati membri decidano di porre fine al soggiorno regolare e dispongano contestualmente il rimpatrio (…) in un’unica decisione o atto amministrativo o giudiziario in conformità della legislazione nazionale, fatte salve le garanzie procedurali previste dal capo III e da altre pertinenti disposizioni del diritto comunitario e nazionale».

10.      L’articolo 8 di detta direttiva, intitolato «Allontanamento», prevede, al paragrafo 3:

«(…)

3.      Gli Stati membri possono adottare una decisione o un atto amministrativo o giudiziario distinto che ordini l’allontanamento».

11.      L’articolo 9, paragrafo 1, della stessa direttiva, intitolato «Rinvio dell’allontanamento», dispone:

«1.      Gli Stati membri rinviano l’allontanamento:

a)      qualora violi il principio di non-refoulement, oppure

b)      per la durata della sospensione concessa ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2».

12.      L’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 così recita:

«1.      Le decisioni di rimpatrio (…) sono adottate in forma scritta, sono motivate in fatto e in diritto e contengono informazioni sui mezzi di ricorso disponibili.

(…)».

13.      Ai sensi dell’articolo 13, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva:

«1.      Al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12, paragrafo 1, o per chiederne la revisione dinanzi ad un’autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza.

2.      L’autorità o l’organo menzionati al paragrafo 1 hanno la facoltà di rivedere le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12, paragrafo 1, compresa la possibilità di sospenderne temporaneamente l’esecuzione, a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile ai sensi del diritto interno».

 Diritto belga

14.      L’articolo 39/70, primo comma, della loi du 15 décembre 1980 sur l’accès au territoire, l’établissement, le séjour et l’éloignement des étrangers (legge del 15 dicembre 1980 sull’accesso al territorio, sul soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri; in prosieguo: la «legge del 15 dicembre 1980»), così recita:

«Salvo che l’interessato presti il suo consenso, nessuna misura di allontanamento dal territorio o di respingimento può essere eseguita in maniera forzata nei confronti dello straniero durante il termine previsto per la presentazione del ricorso e durante l’esame dello stesso».

15.      L’articolo 52/3, paragrafo 1, primo e secondo comma, di tale legge stabilisce:

«Qualora il Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides [Commissario generale per i rifugiati e gli apolidi; in prosieguo: il “CGRA”] non tenga conto della domanda di asilo o neghi il riconoscimento dello status di rifugiato o la concessione dello status di protezione sussidiaria allo straniero e quest’ultimo soggiorni in modo irregolare nel Regno, il ministro o il soggetto delegato da quest’ultimo deve emettere senza indugio un ordine di lasciare il territorio, giustificato da uno dei motivi di cui all’articolo 7, primo comma, punti da 1 a 12. (…)

Qualora il Conseil du contentieux des étrangers [Consiglio per il contenzioso degli stranieri; in prosieguo: il “CCE”] respinga il ricorso presentato dallo straniero avverso una decisione adottata dal [CGRA] ai sensi dell’articolo 39/2, paragrafo 1, punto 1, e lo straniero soggiorni in modo irregolare nel Regno, il ministro o il soggetto delegato da quest’ultimo decide, senza indugio, di prorogare l’ordine di lasciare il territorio di cui al primo comma. (…)».

16.      L’articolo 75, paragrafo 2, dell’arrêté royal du 8 octobre 1981 concernant l’accès au territoire, le séjour, l’établissement et l’éloignement des étrangers (regio decreto dell’8 ottobre 1981 in materia di accesso al territorio, soggiorno, stabilimento e allontanamento degli stranieri; in prosieguo: il «regio decreto 8 ottobre 1981») prevede che:

«Se il [CGRA] nega allo straniero il riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria o non prende in considerazione la domanda di asilo, il ministro o il soggetto delegato da quest’ultimo ordina all’interessato di lasciare il territorio, ai sensi dell’articolo 52/3, § 1, della legge [del 15 dicembre 1980]».

17.      L’articolo 111 di tale regio decreto dispone:

«Se un ricorso di piena giurisdizione è proposto dinanzi al [CCE] conformemente alla procedura ordinaria (…), l’amministrazione comunale rilascia all’interessato un documento conforme al modello contenuto all’allegato 35, su istruzioni del ministro o del soggetto delegato da quest’ultimo, ove tale ricorso sia diretto contro una decisione che comporta l’allontanamento dal Regno.

Tale documento è valido tre mesi a partire dalla data di rilascio ed è poi prorogato di mese in mese sino a che non sia stato statuito sul ricorso di cui al comma precedente».

18.      L’allegato 35 del detto regio decreto, intitolato «Documento speciale di soggiorno», precisa che il destinatario (o la destinataria) del rilascio di tale documento «non è ammesso/a né autorizzato/a a soggiornare ma può rimanere nel territorio del Regno in attesa di una decisione del [CCE]».

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

19.      Il 14 aprile 2011 il sig. Sadikou Gnandi, cittadino togolese e ricorrente nel procedimento principale, ha presentato una domanda di asilo.

20.      Il 23 maggio 2014, il CGRA ha respinto tale domanda.

21.      Il 3 giugno 2014, lo Stato belga, resistente nel procedimento principale, ha ingiunto al ricorrente nel procedimento principale di lasciare il territorio.

22.      Il 23 giugno 2014, il ricorrente nel procedimento principale ha proposto un ricorso dinanzi al CCE contro la decisione del 23 maggio 2014 del CGRA di respingere la sua domanda di asilo. In pari data, il ricorrente nel procedimento principale ha chiesto presso lo stesso giudice l’annullamento dell’ordine di lasciare il territorio del 3 giugno 2014 nonché la sospensione dell’esecuzione dello stesso.

23.      Con sentenza del 31 ottobre 2014, il CCE ha respinto il ricorso contro la decisione del CGRA del 23 maggio 2014. Il 19 novembre 2014, il ricorrente nel procedimento principale ha proposto un ricorso per cassazione dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato) avverso tale sentenza. Il 10 novembre 2015, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha annullato la detta sentenza e ha rinviato la causa al CCE.

24.      Con sentenza del 19 maggio 2015, il CCE ha anch’esso respinto il ricorso contro l’ordine di lasciare il territorio del 3 giugno 2014 a seguito del venir meno dell’interesse ad agire del ricorrente nel procedimento principale. Tale giudice ha in particolare considerato che la sua sentenza del 31 ottobre 2014 aveva posto termine alla domanda di asilo presentata dal ricorrente nel procedimento principale e che quest’ultimo non aveva quindi più alcun interesse a far valere il beneficio della prosecuzione di una domanda di asilo che era stata archiviata. Inoltre, il detto giudice ha considerato che, poiché detto ordine di lasciare il territorio impugnato non era stato seguito da un’esecuzione forzata, il ricorrente aveva avuto la possibilità di far valere i suoi argolmenti dinanzi al CCE in seguito alla decisione di rigetto della sua domanda di asilo da parte del CGRA e non comprovava, pertanto, di aver più alcun interesse ad invocare la violazione dell’articolo 13 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).

25.      Il 2 giugno 2015, il ricorrente nel procedimento principale ha impugnato la sentenza del CCE del 19 maggio 2015 dinanzi al giudice del rinvio. Nell’ambito di tale ricorso per cassazione, il detto giudice ha respinto una prima eccezione di irricevibilità, ritenendo che l’ordine impugnato di lasciare il territorio fosse un atto lesivo per il ricorrente. Secondo il detto giudice, pur non potendo temporaneamente essere oggetto di esecuzione forzata, tale ordine obbliga il ricorrente a lasciare il territorio. Inoltre, il divieto di procedere all’esecuzione forzata di tale ordine sarebbe solo temporaneo e quest’ultima potrebbe avvenire non appena il CCE abbia nuovamente respinto il ricorso proposto contro la decisione del CGRA del 23 maggio 2014.

26.      Nell’ambito dello stesso ricorso per cassazione, lo Stato belga ha sollevato una seconda eccezione di irricevibilità, anch’essa relativa ad una mancanza di interesse al ricorso, facendo valere, in particolare, che, in caso di annullamento dell’ordine di lasciare il territorio, esso non avrebbe altra scelta se non quella di adottare nuovamente la stessa decisione. Infatti, la normativa controversa nel procedimento principale lo obbligherebbe a emettere un ordine di lasciare il territorio sin dal rigetto della domanda di asilo da parte del CGRA, indipendentemente dalla questione se tale rigetto sia definitivo o meno. Il sig. Gnandi ribatte che l’imposizione di un obbligo di lasciare il territorio sin dal momento del rigetto della domanda di asilo e, pertanto, prima dell’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale contro tale rigetto, viola il diritto dell’Unione e segnatamente il diritto ad un ricorso effettivo nonché il principio di non-refoulement. Il giudice del rinvio considera che, se il diritto dell’Unione ostasse al rilascio di un ordine di lasciare il territorio prima della definitiva archiviazione della domanda di asilo, il ricorrente disporrebbe del necessario interesse alla cassazione della sentenza impugnata.

27.      Di conseguenza, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 5 della direttiva [2008/115], che impone agli Stati membri di rispettare il principio di non-refoulement al momento dell’attuazione di tale direttiva, nonché il diritto a un ricorso effettivo, previsto dall’articolo 13, paragrafo 1, della medesima direttiva e dall’articolo 47 della [Carta], debbano essere interpretati nel senso che ostano all’adozione di una decisione di rimpatrio – come quella prevista dall’articolo 6 della direttiva [2008/115] nonché dall’articolo 52/3, § 1, della legge del 15 dicembre 1980 (…) e dall’articolo 75, § 2, del regio decreto dell’8 ottobre 1981 (…) – sin dal momento del rigetto della domanda di asilo da parte del [CGRA] e, dunque, prima che i mezzi di ricorso avverso tale decisione di rigetto possano essere esauriti e prima che la procedura di asilo possa essere definitivamente chiusa».

28.      Successivamente alla decisione del giudice del rinvio di sottoporre tale questione pregiudiziale alla Corte, il CCE, con sentenza dell’11 marzo 2016, ha annullato la decisione del 23 maggio 2014 del CGR      A che respingeva la domanda di asilo e ha rinviato la causa dinanzi al CGRA. Quest’ultimo, il 30 giugno 2016, ha adottato una nuova decisione di diniego di asilo, che il sig. Gnandi ha nuovamante impugnato dinanzi al CCE.

29.      Inoltre, indipendentemente dalla sua domanda di asilo, il sig. Gnandi, con decisione dell’8 febbraio 2016, è stato autorizzato al soggiorno temporaneo sul territorio belga sino al 1o marzo 2017.

 Procedimento dinanzi alla Corte

30.      In applicazione dell’articolo 101 del regolamento di procedura della Corte, una domanda di chiarimenti è stata rivolta dalla Corte al giudice del rinvio, che vi ha risposto con lettera del 14 febbraio 2017.

31.      Il sig. Gnandi, i governi belga e ceco, nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte ai sensi dell’articolo 23, secondo comma, dello statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. Le difese orali di tali interessati, ad eccezione della Repubblica ceca, sono state sentite all’udienza del 1o marzo 2017.

32.      Il 2 marzo 2017, in applicazione dell’articolo 62, paragrafo 1, del regolamento di procedura, il governo belga è stato invitato a produrre un certo numero di documenti. Esso ha ottemperato a tale richiesta il 9 marzo 2017.

 Analisi

 Rilevanza della risposta alla questione pregiudiziale ai fini della soluzione della controversia nel procedimento principale

33.      Nelle sue osservazioni scritte, il governo belga sostiene, in via principale, che non vi è più luogo a statuire sulla questione pregiudiziale. Esso fa valere, da una parte, che l’ordine di lasciare il territorio controverso nel procedimento principale è decaduto a seguito della sentenza del CCE dell’11 marzo 2016, con la quale tale giudice ha annullato la decisione de CGRA del 23 maggio 2014 che costituisce il fondamento di tale ordine e, dall’altra, che il sig. Gnandi è stato autorizzato a soggiornare temporaneamente in Belgio sino al 1o marzo 2017. Di conseguenza, il procedimento principale sarebbe divenuto privo di oggetto o, quanto meno, il sig. Gnandi non avrebbe più interesse al proprio ricorso.

34.      Invitato dalla Corte a indicare i motivi per i quali esso ritiene che una risposta alla questione pregiudiziale sia ancora necessaria, tenuto conto degli elementi addotti dal governo belga, il giudice del rinvio ha precisato che l’annullamento della decisione di rigetto della domanda di asilo del sig. Gnandi ad opera della sentenza del CCE dell’11 marzo 2016 non comporta di per se stesso alcun effetto giuridico sull’ordine di lasciare il territorio del 3 giugno 2014.

35.      Per contro, tale annullamento avrebbe avuto la conseguenza di riaprire dinanzi al CGRA la procedura di asilo del sig. Gnandi, il che avrebbe indotto le autorità belghe a rilasciare a quest’ultimo un’autorizzazione di soggiorno temporaneo in attesa di una nuova decisione sulla sua domanda di protezione internazionale.

36.      Il giudice del rinvio riconosce di aver già considerato che un’autorizzazione di soggiorno temporaneo come quella accordata al sig. Gnandi costituisce un atto contrario a un ordine di lasciare il territorio rilasciato in precedenza e comporta la sua revoca implicita. Tuttavia, esso rileva che, nella sua sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 75), la Corte ha precisato che l’effetto utile della direttiva 2008/115 può richiedere che una procedura di rimpatrio avviata ai sensi di tale direttiva possa essere ripresa nella fase in cui è stata interrotta in conseguenza del deposito di una domanda di protezione internazionale sin dal momento del rigetto in primo grado di tale domanda. Tenuto conto di tale esigenza di garantire l’effetto utile della direttiva 2008/115, non può ritenersi, secondo il giudice del rinvio, che l’ordine di lasciare il territorio del 3 giugno 2014 sia decaduto. Tale atto produrrebbe di nuovo effetti dopo il secondo rigetto della domanda di asilo del sig. Gnandi, intervenuto il 30 giugno 2016, al fine di consentire la riapertura della procedura di rimpatrio nella fase in cui essa è stata interrotta.

37.      Secondo una giurisprudenza costante, il procedimento istituito dall’articolo 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione fra la Corte ed i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione che sono loro necessari per la soluzione delle controversie che sono chiamati a dirimere (7). Nell’ambito di tale cooperazione, è il giudice nazionale adito colui che si trova nella situazione più idonea per valutare, tenuto conto delle peculiarità della causa, la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere posto in grado di emettere la sentenza nonché la pertinenza delle questioni sottoposte alla Corte (8).

38.      Ciò non toglie che spetta alla Corte esaminare, ove necessario, le condizioni in cui viene adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza e, in particolare, verificare se l’interpretazione richiesta del diritto dell’Unione presenti una relazione con l’effettività e l’oggetto della controversia nel procedimento principale, di modo che la Corte non sia indotta ad esprimere opinioni consultive su questioni generali o ipotetiche (9). Ove risulti che la questione sollevata manifestamente non è pertinente ai fini della risoluzione di tale controversia, la Corte deve constatare il non luogo a statuire (10).

39.      La Corte ha in particolare dichiarato che non vi era luogo a statuire su una domanda di pronuncia pregiudiziale qualora l’atto contro cui il ricorso nel procedimento principale era diretto fosse decaduto a seguito di eventi intervenuti dopo la presentazione di tale domanda, di modo che la controversia nel procedimento principale era divenuta senza oggetto (11).

40.      Nella fattispecie, per quanto riguarda, in primo luogo, gli effetti della sentenza del CCE dell’11 marzo 2016 che ha annullato il rigetto della domanda di asilo del sig. Gnandi sull’ordine di lasciare il territorio del 3 giugno 2014, il giudice del rinvio si limita a negare che tale sentenza abbia avuto un qualunque effetto giuridico sul detto ordine, senza tuttavia motivare la sua posizione. Dal canto suo, il governo belga fonda la sua affermazione secondo la quale la pronuncia della detta sentenza avrebbe fatto decadere l’ordine di cui sopra sulla sola considerazione che quest’ultimo si basa sulla decisione negativa del CGRA del 23 maggio 2014.

41.      Al riguardo, rilevo che, benché nell’ordine di lasciare il territorio del 3 giugno 2014 si affermi, sotto il titolo «Motivazione della decisione», che «una decisione di diniego dello status di rifugiato (…) è stata emanata dal [CGRA] il 26 [maggio] 2014» (12), viene precisato, sotto lo stesso titolo, che l’ingiunzione di lasciare il territorio è stata emessa «in esecuzione dell’articolo 7, primo comma, della legge del 15 dicembre 1980 (…)» e per i motivi che compaiono al punto 1 di tale disposizione, e cioè che «l’interessato/a rimane nel Regno senza essere titolare dei documenti richiesti dall’articolo 2 [della legge del 15 dicembre 1980], infatti, l’interessato/a non è in possesso di un passaporto valido con visto valido». Risulta quindi dall’ordine di lasciare il territorio del 3 giugno 2014 che, contrariamente a quanto lascia intendere il governo belga, non è la decisione del CGRA che ha motivato la sua adozione, ma il carattere irregolare del soggiorno del sig. Gnandi sul territorio belga. Certo, conformemente alle pertinenti disposizioni della legge belga, tale ordine ha potuto essere emesso, nelle circostanze della controversia nel procedimento principale, solo una volta che la domanda di asilo del sig. Gnandi è stata respinta dal CGRA (13). Tale rigetto era pertanto un preliminare necessario all’adozione del detto ordine. Esso non ne costituisce tuttavia il fondamento, che è, come risulta dal tenore di tale ordine, il soggiorno irregolare del sig. Gnandi.

42.      D’altro canto, l’ordine di lasciare il territorio di cui trattasi nel procedimento principale è stato adottato conformemente all’articolo 75, paragrafo 2, del regio decreto dell’8 ottobre 1981, il quale rinvia all’articolo 52/3, paragrafo 1, della legge del 15 dicembre 1980. Orbene, rilevo che nessuna di tali disposizioni prevede che l’eventuale annullamento della decisione di diniego dello status di rifugiato adottata dal CGRA con rinvio della causa a quest’ultimo privi di efficacia giuridica l’ordine di lasciare il territorio che è stato adottato in esecuzione di tali disposizioni. La legge belga prevede del resto altre situazioni in cui un ordine di lasciare il territorio coesiste con una domanda di protezione internazionale e una procedura di riconoscimento dello status di rifugiato avviata (14). Infine, rilevo che, eccetto i due articoli menzionati, il governo belga non fa valere alcun’altra disposizione di diritto interno né alcuna decisione giurisdizionale a sostegno delle sue affermazioni.

43.      Alla luce di quanto precede, non mi appare manifesto che l’oggetto della controversia nel procedimento principale sia venuto meno a seguito dell’annullamento della decisione del CGRA del 23 maggio 2014. Pertanto, seguire il parere del governo belga, malgrado la posizione contraria, per quanto non motivata, espressa dal giudice del rinvio, equivarrebbe a rimettere in discussione i ruoli rispettivi del giudice nazionale e della Corte nell’ambito del procedimento ai sensi dell’articolo 267 TFUE. Vero è che la Corte ha già avuto occasione di dichiarare un non luogo a statuire nonostante l’auspicio espresso dal giudice del rinvio di veder mantenere la sua domanda di pronuncia pregiudiziale (15). Tuttavia, ciò è avvenuto solo in casi in cui era fuori di dubbio il venir meno dell’oggetto della controversia nel procedimento principale o della domanda di pronuncia pregiudiziale, di modo che il mantenimento di tale domanda avrebbe manifestamente condotto la Corte a rispondere a questioni ipotetiche o prive di pertinenza ai fini della soluzione della controversia nel procedimento principale. Orbene, per i motivi in precedenza esposti, ciò non avviene, a mio modo di vedere, nel caso di specie.

44.      Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’incidenza dell’autorizzazione temporanea di soggiorno rilasciata al sig. Gnandi sull’ordine di lasciare il territorio del 3 giugno 2014, risulta chiaramente, dalla lettura della risposta alla richiesta di chiarimenti, che, secondo il Conseil d’État (Consiglio di Stato), l’interpretazione della direttiva 2008/115 accolta dalla Corte nella sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84) impedisce di ritenere che una siffatta autorizzazione abbia comportato la revoca implicita del detto ordine.

45.      Al riguardo, da un lato, osservo che l’esame della questione pregiudiziale sollevata dal Conseil d’État (Consiglio di Stato) richiede, tra l’altro, quello della questione se, ed in quali termini, la soluzione elaborata dalla Corte nella sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84) possa essere applicata alla controversia nel procedimento principale, di modo che la risposta della Corte a tale questione mantenga la sua utilità – almeno per quanto riguarda tale punto – per la decisione che il giudice del rinvio dovrà emanare nella controversia nel procedimento principale. Dall’altro lato, rilevo che non risulta dalla risposta alla richiesta di chiarimenti che un’applicazione delle sole norme nazionali condurrebbe necessariamente il Conseil d’État (Consiglio di Stato) a concludere per la decadenza dell’ordine di lasciare il territorio di cui trattasi nel procedimento principale a seguito del rilascio di un’autorizzazione di soggiorno temporaneo al sig. Gnandi, dato che tale giudice non menziona una prassi giurisprudenziale costante al riguardo. Non risulta dunque in maniera manifesta che la controversia nel procedimento principale sia divenuta priva di oggetto a seguito del rilascio di un’autorizzazione del genere.

46.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, non può sostenersi, al pari del governo belga, che la risposta della Corte alla questione pregiudiziale non avrebbe più alcuna utilità ai fini della soluzione della controversia nel procedimento principale.

 Sulla questione pregiudiziale

47.      Occorre sottolineare, in via preliminare, che sia il giudice del rinvio sia tutti gli interessati che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte sono concordi nel qualificare l’ordine di lasciare il territorio del 3 giugno 2014 come «decisione di rimpatrio» ai sensi della direttiva 2008/115.

48.      Sono anch’io di questo parere. Detto ordine risponde alla definizione contenuta all’articolo 3, punto 4), di tale direttiva: si tratta di un atto amministrativo che dichiara illegale il soggiorno del sig. Gnandi sul territorio belga e ingiunge a quest’ultimo di lasciare tale territorio entro il termine indicato (16). La circostanza che, conformemente all’articolo 39/70 della legge del 15 dicembre 1980, al detto ordine non possa temporaneamente darsi esecuzione forzata è ininfluente su tale qualificazione.

49.      Con la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente alla Corte se le condizioni per l’adozione di una siffatta decisione di rimpatrio ricorressero nella fattispecie oggetto del procedimento principale e se la sua adozione non abbia violato i principi di non-refoulement e di tutela giurisdizionale effettiva.

50.      Al riguardo, ricordo che, conformemente all’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, quest’ultima si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare. Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, il cui testo è riportato al paragrafo 9 delle presenti conclusioni, perché una decisione di rimpatrio possa essere adottata nei confronti del cittadino di un paese terzo, quest’ultimo deve trovarsi in posizione di «soggiorno irregolare» sul territorio dello Stato membro interessato.

51.      Occorre pertanto verificare se, nella fattispecie oggetto del procedimento principale, il sig. Gnandi potesse considerarsi in posizione di soggiorno irregolare sul territorio belga ai sensi della direttiva 2008/115 e se una decisione di rimpatrio potesse, o addirittura dovesse, essere adottata nei suoi confronti da parte delle autorità belghe.

52.      La nozione di «soggiorno irregolare» è definita all’articolo 3, punto 2), della direttiva 2008/115, riportato al paragrafo 7 delle presenti conclusioni (17). Risulta da tale definizione che si trova in posizione di soggiorno irregolare ogni cittadino di un paese terzo che si trovi nel territorio di uno Stato membro senza soddisfare le condizioni di ingresso, di soggiorno o di residenza in quest’ultimo (18).

53.      Nel considerando 9 di tale direttiva, che rinvia al riguardo alla direttiva 2005/85, si afferma che il soggiorno di un cittadino di un paese terzo che ha chiesto asilo in uno Stato membro non dovrebbe essere considerato irregolare nel territorio di tale Stato membro «finché non sia entrata in vigore una decisione negativa in merito alla sua domanda d’asilo o una decisione che pone fine al suo diritto di soggiorno quale richiedente asilo».

54.      L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2005/85, applicabile all’epoca dei fatti nel procedimento principale, riconosceva infatti al richiedente asilo il diritto di rimanere sul territorio dello Stato membro interessato quanto meno sino a quando la sua domanda fosse stata respinta in primo grado. Al punto 48 della sua sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343), la Corte ha precisato che tale diritto esclude che un siffatto richiedente possa essere considerato in «soggiorno irregolare» ai sensi della direttiva 2008/115. Ciò vale, secondo la Corte, indipendentemente dalla circostanza che lo Stato membro interessato abbia rilasciato o meno al richiedente asilo un titolo di soggiorno, dato che l’articolo 7 della direttiva 2005/85 lascia l’emissione di un titolo del genere alla discrezionalità di tale Stato membro.

55.      Orbene, a mio parere, risulta chiaramente dal ragionamento seguito dalla Corte ai punti da 44 a 49 della motivazione della sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343), nonché, più in generale, dal collegamento tra la direttiva 2008/115 e la direttiva 2005/85 – oggi la direttiva 2013/32 – che un cittadino di un paese terzo richiedente asilo non può essere considerato in posizione di soggiorno irregolare nel territorio dello Stato membro in cui ha presentato la sua domanda di protezione internazionale finché – in attesa dell’esito della procedura relativa a tale domanda – gli è riconosciuto un diritto di rimanere su tale territorio, vuoi dal diritto dell’Unione vuoi dal diritto nazionale.

56.      Tale conclusione è del resto implicitamente confermata dall’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/115, ai sensi della quale qualora uno Stato membro decida di rilasciare, per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura, un titolo di soggiorno autonomo o un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel suo territorio sia irregolare, nessuna decisione di rimpatrio viene adottata nei suoi confronti. Certo, il diritto di una persona di rimanere nel territorio dello Stato membro in cui essa ha presentato una domanda di asilo, in attesa dell’esame di quest’ultima, non costituisce un diritto ad un titolo di soggiorno, come precisa l’articolo 7, paragrafo 1, ultima frase, della direttiva 2005/85. Tuttavia, come la Commissione ha sottolineato all’udienza e come viene precisato nel manuale sul rimpatrio adottato da tale istituzione (19), ogni cittadino di un paese terzo fisicamente presente nel territorio di uno Stato membro è, alla luce della direttiva 2008/115, vuoi in posizione di soggiorno regolare vuoi in posizione di soggiorno irregolare. Non esiste una terza possibilità (20).

57.      Non potendo essere considerato in posizione di soggiorno irregolare, un richiedente asilo autorizzato a rimanere nel territorio di uno Stato membro in attesa dell’esame della sua domanda non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115 (21), quanto meno per il periodo in cui beneficia di tale autorizzazione. Egli non può pertanto essere destinatario di una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva.

58.      Come ho già ricordato nlle presenti conclusioni, all’epoca dei fatti del procedimento principale, la direttiva 2005/85 prevedeva il diritto del richiedente asilo di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato sino al rigetto in primo grado della sua domanda. Nel caso del sig. Gnandi, tale diritto è dunque cessato il 23 maggio 2014, data in cui è stata adottata dal CGRA la decisione di rigetto della sua domanda.

59.      L’articolo 39, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2005/85 lasciava agli Stati membri l’iniziativa di emanare norme derivanti dai loro obblighi internazionali concernenti il diritto dei richiedenti asilo di rimanere nello Stato membro in cui hanno presentato la loro domanda di asilo in attesa dell’esito del ricorso giurisdizionale previsto dall’articolo 39, paragrafo 1, di tale direttiva contro il rigetto in primo grado di tale domanda.

60.      Orbene, risulta dagli atti che, l’11 luglio 2014, le autorità belghe hanno rilasciato al sig. Gnandi il documento speciale di soggiorno ai sensi dell’allegato 35 al regio decreto dell’8 ottobre 1981, in applicazione dell’articolo 111 di tale decreto, con la motivazione che egli aveva proposto un ricorso di piena giurisdizione dinanzi al CCE. Da tale documento, inizialmente valido sino al 10 ottobre 2014 e successivamente prorogato sino al 10 dicembre 2014, risulta che «[l]’interessato non è né ammesso, né autorizzato al soggiorno ma può rimanere nel territorio del Regno in attesa di una decisione del [CCE]».

61.      Senza che sia necessario pronunciarsi sulla questione di stabilire se il Regno del Belgio si sia avvalso o meno dell’articolo 39, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2005/85, è giocoforza constatare che il documento summenzionato ha conferito al sig. Gnandi un diritto di rimanere nel territorio belga in attesa dell’esito del suo ricorso. A partire dal suo rilascio, tale documento ostava quindi all’adozione di una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 nei confronti del sig. Gnandi, dato che la posizione di quest’ultimo sul territorio belga non poteva essere qualificata come «irregolare».

62.      Rilevo, tuttavia, che l’ordine di lasciare il territorio controverso nel procedimento principale è stato adottato il 3 giugno 2014, e cioè prima della proposizione, da parte del sig. Gnandi, il 23 giugno 2014, del suo ricorso dinanzi al CCE. Pertanto, al momento in cui tale ordine è stato emesso, il diritto belga non riconosceva ancora al sig. Gnandi un diritto di rimanere nel territorio belga, diritto che è sorto solo al momento della proposizione di tale ricorso (22).

63.      Si deve ritenere che, nel periodo compreso tra la data del rigetto della sua domanda di asilo da parte del CGRA e la data di proposizione del suo ricorso al CCE, il sig. Gnandi – non essendo in possesso di un passaporto e di un visto validi e non ricavando un diritto a rimanere nel territorio belga quale richiedente asilo né dalla direttiva 2005/85, né dalla normativa belga – si trovasse in posizione di soggiorno irregolare, con la conseguenza che una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 poteva essere adottata nei suoi confronti?

64.      Per i motivi che mi appresto ad esporre, sono convinto che la risposta a tale interrogativo debba essere negativa.

65.      L’articolo 39, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2005/85 imponeva agli Stati membri l’obbligo di riconoscere ai richiedenti asilo «un diritto a un ricorso effettivo» dinanzi ad un giudice contro qualsiasi decisione riguardante la loro domanda di asilo. Come la Corte ha riconosciuto nella sentenza del 17 dicembre 2015, Tall (C‑239/14, EU:C:2015:824, punti da 51 a 53), le caratteristiche di tale ricorso devono essere determinate in conformità dell’articolo 47 della Carta, che costituisce una riaffermazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva, e alla luce del principio di non-refoulement, sancito all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta (23).

66.      Orbene, ricordo che risulta dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che dev’essere presa in considerazione, in applicazione dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, per interpretare l’articolo 19, paragrafo 2, e l’articolo 47 di quest’ultima, che, qualora uno Stato decida di rispedire uno straniero verso un paese in cui esistono motivi seri per ritenere che sarebbe esposto ad un rischio reale di trattamenti contrari all’articolo 3 della CEDU, il carattere effettivo del ricorso esperito, previsto dall’articolo 13 della CEDU, richiede che tale straniero disponga di un ricorso sospensivo di diritto contro l’esecuzione del provvedimento che permette il suo rimpatrio (24). Gli stessi principi sono stati affermati dalla Corte, in particolare nelle sentenze del 18 dicembre 2014, Abdida (C‑562/13, EU:C:2014:2453, punti 52 e 53, e del 17 dicembre 2015, Tall (C‑239/14, EU:C:2015:824, punto 58).

67.      Certo, la giurisprudenza sopra menzionata riguarda unicamente i ricorsi avverso provvedimenti la cui esecuzione rischi di esporre l’interessato a trattamenti contrari all’articolo 3 della CEDU e all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta. Orbene, una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale, che, in quanto tale, non comporta provvedimenti di allontanamento non costituisce, in linea di principio, un provvedimento del genere. Per questo motivo la Corte ha considerato che la mancanza di effetti sospensivi di un ricorso esperito contro una decisione di questo tipo è, in linea di principio, conforme all’articolo 19, paragrafo 2, e all’articolo 47 della Carta. Sebbene tale decisione, infatti, non consenta a un cittadino di un paese terzo di ricevere una protezione internazionale, la sua esecuzione non può tuttavia, in quanto tale, comportare l’allontanamento di detto cittadino (25).

68.      Tuttavia, il carattere effettivo di un ricorso giurisdizionale contro una decisione del genere e il rispetto del principio di non-refoulement sarebbero tenuti in non cale se, in pendenza del termine per la proposizione di tale ricorso – e, dopo la sua proposizione, sino all’esito di quest’ultimo –, il richiedente asilo fosse esposto all’esecuzione di provvedimenti di allontanamento.

69.      Del resto, per tornare alla controversia in esame, la normativa belga prevede espressamente, all’articolo 39/70 della legge del 15 dicembre 1980, che a nessun provvedimento di allontanamento può essere data esecuzione forzata nei confronti dello straniero in pendenza del termine fissato per la proposizione del ricorso di piena giurisdizione contro le decisioni del CGRA.

70.      Orbene, se nessun provvedimento di allontanamento può essere eseguito nei confronti del cittadino di un paese terzo in pendenza del termine per la proposizione di un ricorso contro la decisione di rigetto della sua domanda di protezione internazionale, salvo privare tale ricorso di ogni carattere effettivo e violare il principio di non-refoulement, ciò significa che un siffatto cittadino ha il diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro in cui ha depositato tale domanda durante il detto periodo.

71.      Tale diritto esclude che l’interessato possa essere considerato in posizione di soggiorno irregolare ai sensi della direttiva 2008/115 (26), quale interpretata dalla sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343), e, pertanto, che egli possa formare oggetto di una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della stessa direttiva.

72.      Non osta, a mio parere, a tale conclusione la sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84), fatta valere dal governo belga.

73.      In tale sentenza, la Corte ha escluso che la presentazione di una domanda di asilo da parte del cittadino di un paese terzo sottoposto ad una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115 possa avere l’effetto di far decadere qualsiasi decisione di rimpatrio che sia stata adottata nel contesto di tale procedura (27). La circostanza che, in quanto richiedente asilo, un siffatto cittadino abbia il diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato in attesa dell’esito della sua domanda e, pertanto, non possa essere considerato in posizione di soggiorno irregolare ai sensi dell’articolo 3, punto 2), della direttiva 2008/115, non osta, secondo la Corte, a che la procedura di rimpatrio già avviata nei suoi confronti, per quanto interrotta, resti pendente, salvo continuarla in caso di rigetto della domanda di asilo.

74.      Tale posizione, che figurava già al punto 60 della sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343), si giustifica, secondo la Corte, con l’esigenza di non compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 2008/115, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare (28). Infatti, l’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 8 di tale direttiva di procedere, nei casi di cui al paragrafo 1 di tale articolo, all’allontanamento – obbligo che dev’essere adempiuto con la massima celerità ‐ (29), non sarebbe rispettato se l’allontanamento venisse ritardato per il fatto che, dopo il rigetto in primo grado della domanda di protezione internazionale, una procedura di rimpatrio dovesse ricominciare non dalla fase in cui è stata interrotta, ma dal suo inizio (30).

75.      Secondo il governo belga, poiché, in applicazione della sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84), una procedura di rimpatrio può proseguire dopo il rigetto in primo grado della domanda di asilo, essa deve anche poter essere avviata a partire da tale rigetto.

76.      Non condivido questa tesi. Le circostanze di fatto e di diritto del procedimento principale si distinguono nettamente da quelle all’origne della causa che ha dato luogo alla sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84), di modo che non è possibile trasporre automaticamente alla prima causa la soluzione accolta nella seconda.

77.      La procedura di rimpatrio avviata nei confronti del sig. N. era stata avviata prima della presentazione da parte di quest’ultimo della sua domanda di protezione internazionale (31). Pertanto, quando tale procedura è stata avviata, il sig. N. non era richiedente asilo (32) e non traeva alcun diritto a rimanere, a tale titolo, nel territorio olandese. Egli si trovava in posizione di soggiorno irregolare ai sensi dell’articolo 3, punto 2), della direttiva 2008/115. Inoltre, quando ha presentato la sua domanda di asilo, la decisione di rimpatrio, nonché il divieto di ingresso della durata di dieci anni, adottati nei suoi confronti, erano divenuti definitivi (33).

78.      Per contro, quando l’ordine di lasciare il territorio controverso nel procedimento principale è stato notificato al sig. Gnandi, la procedura di asilo era in corso, il CGRA aveva adottato una decisione di rigetto della domanda e il termine di ricorso contro tale decisione era ancora pendente. Non potendo formare oggetto di un allontanamento in pendenza di tale termine e, dopo la proposizione del ricorso, sino al suo esito, il sig. Gnandi, come si è visto in precedenza, aveva il diritto di rimanere in territorio belga. Al momento in cui la procedura di rimpatrio è stata avviata, il sig. Gnandi non poteva pertanto considerarsi in posizione irregolare ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della direttiva 2008/115.

79.      Ne consegue che un’applicazione analogica della sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84), alla presente causa non solo non è consentita sul piano interpretativo, alla luce delle differenze esistenti tra le controversie oggetto del procedimento principale in questa causa e in quella in cui è stata pronunciata la detta sentenza, ma condurrebbe in sostanza alla conseguenza inaccettabile di riconoscere agli Stati membri la possibilità di avviare una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115 pur non ricorrendo le condizioni prescritte da tale direttiva.

80.      Inoltre, le esigenze di efficacia e di celerità che sono alla base della soluzione accolta dalla Corte in tale sentenza si applicano solo quando una procedura di rimpatrio sia già stata avviata. In un caso del genere, tali esigenze possono giustificare la sospensione, anziché l’annullamento, di una siffatta procedura. In questo senso, la sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84), è coerente con l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/115, ai sensi del quale, qualora uno Stato membro decida di concedere un diritto di soggiorno al cittadino di un paese terzo e sia già stata presa una decisione di rimpatrio, quest’ultima può essere semplicemente sospesa per la durata di tale diritto, o, ancora, con l’articolo 9 della stessa direttiva che prevede che l’allontanamento sia «rinviato» nel caso in cui esso avverrebbe in violazione del principio di non-refoulement.

81.      In altri termini, una procedura di rimpatrio regolarmente avviata può essere mantenuta in vita, pur restando sospesa, nei confronti del cittadino di un paese terzo che, nel corso di tale procedura, acquisisca un diritto di soggiornare o di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato.

82.      Per contro, tale procedura non può essere avviata nei confronti di un cittadino del genere finché esiste un siffatto diritto.

83.      Argomenti contrari alla conclusione formulata al paragrafo 71 delle presenti conclusioni non possono neppure essere desunti dall’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115, né dal manuale sul rimpatrio, anch’essi fatti valere dal governo belga.

84.      L’articolo 6, paragrafo 6 della direttiva 2008/115, il cui testo è riportato al paragrafo 9 delle presenti conclusioni, prevede che una decisione di rimpatrio possa essere adottata simultaneamente e contestualmente alla cessazione del soggiorno regolare dell’interessato e alla dichiarazione di tale cessazione.

85.      Tale disposizione si limita a riconoscere agli Stati membri una facoltà procedurale (34), diretta a semplificare la procedura in due tappe prevista dalla detta direttiva (35) e di cui possono servirsi nel rispetto delle condizioni di applicazione di quest’ultima. Orbene, tra tali condizioni figura quella relativa al carattere irregolare del soggiorno del cittadino interessato di un paese terzo. La possibilità di adottare un solo atto, anziché due atti distinti, per porre fine al soggiorno regolare di un siffatto cittadino, da un lato, e adottare una decisione di rimpatrio e/o di allontanamento, dall’altro, non può autorizzare gli Stati membri a prescindere da tale condizione e ad iniziare una procedura di rimpatrio nei confronti di una persona che dispone del diritto di rimanere nel loro territorio.

86.      Tale conclusione risulta del resto chiaramente dalla formulazione stessa dell’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 che consente di cumulare la decisione di rimpatrio e/o allontanamento con una decisione «di porre fine al soggiorno regolare», ossia con una decisione che, ponendo fine ad un soggiorno del genere, segni l’inizio del soggiorno irregolare dell’interessato. Orbene, come ho sopra dimostrato, ciò non vale nel caso di rigetto di una domanda di asilo qualora, in applicazione del diritto dell’Unione o del diritto nazionale, tale rigetto non sia definitivo e il richiedente abbia il diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato in attesa dell’esito della procedura di asilo.

87.      D’altro canto, rilevo, così come ha fatto la Commissione in occasione delle sue difese orali, che l’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 si applica «fatte salve le (…) pertinenti disposizioni del diritto [dell’Unione] e nazionale». Orbene, fra tali disposizioni figurano anche i principi del diritto dell’Unione ricordati in precedenza e le normative nazionali che conferiscono al richiedente asilo il diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato durante la procedura di asilo.

88.      Il manuale sul rimpatrio precisa, dal canto suo, che il rigetto di una domanda di asilo e una decisione di rimpatrio possono essere adottati in un solo atto conformemente all’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 (36). Tale manuale, che non ha alcuna efficacia vincolante (37), è stato adottato dopo l’entrata in vigore della direttiva 2013/32, che ha sostituito la direttiva 2005/85 e, come la Commissione ha sottolineato all’udienza, dev’essere interpretato alla luce delle disposizioni di quest’ultima. Orbene, come ho già sopra ricordato, l’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 prevede che gli Stati membri autorizzino i richiedenti asilo a rimanere nel loro territorio sino alla scadenza del termine previsto per l’esercizio del loro diritto ad un ricorso effettivo contro la decisione di rigetto della loro domanda e, ove tale diritto sia stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso. È pertanto chiaro che, quando il detto manuale afferma che una decisione di rigetto concernente una domanda di asilo impone anche un obbligo di rimpatrio, esso non si riferisce ad una decisione contro cui sia esperibile un ricorso ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, poiché tale interpretazione confliggerebbe con i principi formulati nella sentenza Arslan (38). Occorre quindi ritenere che tale affermazione riguardi invece una decisione di rigetto che abbia acquisito un carattere definitivo o, come ha spiegato la Commissione all’udienza, una decisione adottata in una delle situazioni elencate all’articolo 46, paragrafo 6, di tale direttiva, qualora il diritto dello Stato membro interessato o una decisione giurisdizionale non conceda al richiedente asilo la possibilità di rimanere nel territorio di tale Stato in attesa dell’esito del ricorso.

89.      Da tutte le considerazioni che precedono risulta che nessuna decisione di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115 poteva essere adottata nei confronti del sig. Gnandi in pendenza del termine di ricorso contro la decisione di rigetto della sua domanda di asilo, nonché, una volta proposto tale ricorso, nel corso di tutta la durata dell’esame di quest’ultimo e sino alla scadenza del suo documento speciale di soggiorno di cui all’allegato 35 del regio decreto dell’8 ottobre 1981.

90.      Relativamente al periodo posteriore alla sentenza del CCE del 31 ottobre 2014, e alla proposizione del ricorso per cassazione amministrativa contro tale sentenza, si deve ricordare che, nella sentenza del 28 luglio 2011, Samba Diouf (C‑69/10, EU:C:2011:524), la Corte ha precisato che la direttiva 2005/85 non impone l’esistenza di un doppio grado di giudizio e che il principio di tutela giurisdizionale effettiva offre ai singoli un diritto di acesso ad un giudice e non a più gradi di giudizio (39).

91.      Tuttavia, dalle considerazioni finora svolte risulta che, qualora la legge di uno Stato membro preveda un siffatto doppio grado di giudizio e autorizzi il richiedente asilo a rimanere nel territorio di tale Stato in attesa dell’esito del ricorso in appello o in cassazione, non può essere avviata nei confronti di tale richiedente asilo una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115. Orbene, risulta dagli atti che, l’8 febbraio 2016, le autorità belghe hanno rilasciato al sig. Gnandi un’autorizzazione temporanea di soggiorno, valida sino al 1o marzo 2017, sulla base dell’articolo 9 bis della legge del 15 dicembre 1980, il quale prevede la possibilità di rilasciare tale documento, tra l’altro, ai richiedenti asilo che abbiano proposto un ricorso per cassazione amministrativa dichiarato ammissibile.

92.      Prima di concludere, vorrei ancora trattare in breve due questioni che, pur non essendo direttamente considerate dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, sono state tuttavia discusse dalle parti nei loro documenti scritti e all’udienza.

93.      La prima riguarda la conformità dell’ordine di lasciare il territorio controverso nel procedimento principale con le garanzie procedurali della direttiva 2008/115.

94.      Al riguardo, rilevo che l’atto di notifica di tale ordine menzionava la possibilità di proporre un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 39/2, paragrafo 2, della legge del 15 dicembre 1980, nonché una domanda di sospensione conformemente all’articolo 39/82 di tale legge, e precisava che, «fatta salva l’applicazione dell’articolo 39/79 della stessa legge», né tale ricorso né la presentazione di tale domanda avrebbero avuto l’effetto di sospendere l’esecuzione dell’ordine notificato. Il detto atto di notifica non menzionava invece in alcun modo il fatto che l’articolo 39/70 della legge del 15 dicembre 1980 vietava di procedere all’esecuzione forzata del detto ordine in pendenza del termine di ricorso contro la decisione di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, nonché nel corso dell’esame di un eventuale ricorso contro tale decisione. Al contrario, le informazioni notificate al sig. Gnandi con l’ordine di lasciare il territorio controverso nel procedimento principale erano tali da ingenerare nell’interessato la convinzione che al detto ordine potesse essere data esecuzione forzata alla scadenza del termine fissato per la partenza volontaria. Infatti, l’atto di notifica precisava che, non ottemperando a tale ordine, il sig. Gnandi rischiava di essere riaccompagnato al confine e di essere detenuto a tal fine. Secondo le affermazioni del sig. Gnandi, – non contestate dal governo belga – le stesse informazioni figuravano,in uno stampato consegnatogli unitamente all’atto di notifica.

95.      In tali circostanze, la decisione di rimpatrio notificata al sig. Gnandi non mi sembra che possa essere considerata conforme alle garanzie procedurali prescritte dalla direttiva 2008/115 e, segnatamente, dal suo articolo 12, paragrafo 1, il quale dispone che tali decisioni «contengono informazioni sui mezzi di ricorso disponibili» e dal suo articolo 14, paragrafo 2, che dispone che gli Stati membri confermano per iscritto alle persone di cui al paragrafo 1 di tale articolo (40) che la decisione di rimpatrio non sarà temporaneamente eseguita. Più in generale, il carattere lacunoso e contraddittorio (41) di tali informazioni nelle circostanze del procedimento principale non risponde, a mio modo di vedere, ai requisiti di una procedura equa e trasparente, menzionati al considerando 6 di tale direttiva.

96.      La seconda questione che merita di essere brevemente affrontata riguarda gli effetti dell’ordine di lasciare il territorio controverso nel procedimento principale sulle condizioni di soggiorno del sig. Gnandi nel territorio belga, in particolare per quanto riguarda i suoi diritti sociali ed economici.

97.      Il giudice del rinvio fornisce solo pochissime informazioni al riguardo. Esso si limita sostanzialmente ad asserire che il detto ordine era vincolante per il sig. Gnandi, che restava tenuto ad eseguirlo volontariamente, benché nessun provvedimento di allontanamento potesse essere eseguito forzatamente nei suoi confronti. Risulta tuttavia dagli atti ed è pacifico tra le parti che, in applicazione di una circolare del 30 agosto 2013 (42), il nominativo del ricorernte è stato cancellato dal registro anagrafico a seguito dell’adozione del detto ordine, il che sembrerebbe implicare che l’interessato non ha più avuto diritto ad alcuna assistenza mutualistica, né ad alcuna forma di assistenza sociale.

98.      Al riguardo, da un lato, ricordo che la direttiva 2003/9 (43), nonché la direttiva 2013/33 (44), la quale ha sostituito la prima dal 20 luglio 2015, fissano le condizioni minime di accoglienza che gli Stati membri sono tenuti a garantire a favore dei cittadini di paesi terzi e apolidi che abbiano presentato una domanda di protezione internazionale, finché sono autorizzati a rimanere nel loro territorio in qualità di richiedenti asilo (45). Le misure previste da tali direttive, vertenti in particolare sulle condizioni materiali di accoglienza e sulle prestazioni sanitarie, implicano un’assunzione a carico della situazione del richiedente asilo (46), che non è assolutamente paragonabile alle garanzie in attesa del rimpatrio prescritte dall’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 (47).

99.      Dall’altro lato, come ha fatto la Commissione nelle sue osservazioni scritte, ricordo che la Corte europea dei diritti dell’uomo, in una sentenza dell’anno 2015 (48), ha precisato che il fatto di costringere de facto un richiedente asilo a ritornare nel paese da cui è fuggito senza che la fondatezza dei suoi timori abbia potuto essere esaminata da un giudice implica una violazione delle garanzie di disponibilità e di accessibilità dei ricorsi giurisdizionali come in pratica pretese dal combinato disposto degli articoli 3 e 13 della CEDU (49). Orbene, è vero che la Grande Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo, alla quale la causa in cui è stata pronunciata tale sentenza è stata rinviata, ha deciso la cancellazione del ricorso dal ruolo, di modo che la detta sentenza non ha più alcun effetto giuridico (50). Ritengo tuttavia che l’interpretazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva formulata da tale sentenza meriti di essere accolta relativamente all’articolo 47 della Carta in combinato disposto con l’articolo 19, paragrafo 2, di quest’ultima. Tali disposizioni ostano a che un richiedente asilo sia costretto de facto a lasciare il territorio dello Stato nel quale ha proposto un ricorso contro il rigetto della sua domanda di asilo, prima dell’esito di tale ricorso, a causa dell’impossibilità in cui è lasciato di provvedere ai suoi bisogni essenziali.

 Conclusione

100. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio) nei seguenti termini:

«La direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, e segnatamente il suo articolo 2, paragrafo 1, e il suo articolo 5, nonché i principi di non-refoulement e di tutela giurisdizionale effettiva, sanciti rispettivamente all’articolo 19, paragrafo 2, e all’articolo 47, primo comma, della Carta dei diritti fondamantali dell’Unione europea, ostano all’adozione di una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva nei confronti di un cittadino di un paese terzo che ha presentato una domanda di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, e che, in applicazione del diritto dell’Unione e/o del diritto nazionale, è autorizzato a rimanere nello Stato membro nel quale ha presentato la sua domanda di protezione internazionale, in pendenza del termine di ricorso previsto all’articolo 39, paragrafo 1, della direttiva 2005/85 contro il rigetto di tale domanda e, qualora tale ricorso sia stato proposto entro i termini, nel corso dell’esame di quest’ultimo. La direttiva 2008/115, nonché i principi di non-refoulement e di tutela giurisdizionale effettiva non ostano invece a che una siffatta decisione di rimpatrio sia adottata nei confronti di un siffatto cittadino dopo il rigetto del detto ricorso, a meno che, in forza del diritto nazionale, tale cittadino non sia autorizzato a rimanere nello Stato membro interessato in attesa dell’esito definitivo della procedura di asilo.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2008, L 348, pag. 98.


3      GU 2005, L 326, pag. 13.


4      Il paragrafo 2 di tale articolo prevede eccezioni limitate alla norma enunciata al paragrafo 1. Tali eccezioni non si applicano alla controversia nel procedimento principale.


5      GU 2013, L 180, pag. 60.


6      Conformemente all’articolo 52, primo comma, della direttiva 2013/32 le domande di protezione internazionale presentate prima del 20 luglio 2015 sono disciplinate dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate in forza della direttiva 2005/85.


7      V. in tal senso, in particolare, sentenze del 16 luglio 1992, Meilicke (C‑83/91, EU:C:1992:332, punto 22); del 27 novembre 2012, Pringle (C‑370/12, EU:C:2012:756, punto 83), e del 24 ottobre 2013, Stoilov i Ko (C‑180/12, EU:C:2013:693, punto 36).


8      V. in particolare, in questo senso, sentenze del 16 luglio 1992, Lourenço Dias (C‑343/90, EU:C:1992:327, punto 15), del 21 febbraio 2006, Ritter-Coulais (C‑152/03, EU:C:2006:123, punto 14), e del 24 ottobre 2013, Stoilov i Ko (C‑180/12, EU:C:2013:693, punto 37).


9      V. in questo senso, in particolare, sentenze del 16 dicembre 1981, Foglia (244/80, EU:C:1981:302, punti 18 e 21); del 30 settembre 2003, Inspire Art (C‑167/01, EU:C:2003:512, punto 45), e del 24 ottobre 2013, Stoilov i Ko (C‑180/12, EU:C:2013:693, punto 38).


10      V. sentenze del 16 luglio 1992, Lourenço Dias (C‑343/90, EU:C:1992:327, punto 20); del 21 febbraio 2006, Ritter-Coulais (C‑152/03, EU:C:2006:123, punto 15 e giurisprudenza ivi citata), e del 24 ottobre 2013, Stoilov i Ko (C‑180/12, EU:C:2013:693, punto 38).


11      V. ordinanze del 10 giugno 2011, Mohammad Imran (C‑155/11 PPU, EU:C:2011:387, punti da 16 a 18); del 3 marzo 2016, Euro Bank (C‑537/15, non pubblicata, EU:C:2016:143, punti da 31 a 36). V. anche sentenza del 24 ottobre 2013, Stoilov i Ko (C‑180/12, EU:C:2013:693, punti da 39 a 46).


12      La data indicata non corrisponde a quella riferita del giudice del rinvio e che figura sulla copia della decisione del CGRA trasmessa alla Corte dal governo belga.


13      Ciò non si verifica sempre. Infatti, in taluni casi, in particolare in quelli previsti dall’articolo 74/6, paragrafo 1 bis, della legge del 15 dicembre 1980, l’ordine di lasciare il territorio è rilasciato al momento della presentazione della domanda di asilo (v. anche l’articolo 52/3, paragrafo 2, della legge del 15 dicembre 1980).


14      In particolare in caso di domande di asilo «susseguenti», v. articolo 74/6, paragrafo 1 bis, della legge del 15 dicembre 1980.


15      V., in particolare, ordinanze del 22 ottobre 2012, Šujetová (C‑252/11, non pubblicata, EU:C:2012:653, punti da 11 a 20); del 5 giugno 2014, Antonio Gramsci Shipping e a. (C‑350/13, EU:C:2014:1516, punti da 5 a 12), e del 23 marzo 2016, Overseas Financial e Oaktree Finance (C‑319/15, non pubblicata, EU:C:2016:268, punti da 28 a 35). V. anche sentenze del 27 giugno 2013, Di Donna (C‑492/11, EU:C:2013:428, punti da 24 a 31), e del 24 ottobre 2013, Stoilov i Ko (C‑180/12, EU:C:2013:693, punti da 39 a 46).


16      V., nello stesso senso, sentenza del 18 dicembre 2014, Abdida (C‑562/13, EU:C:2014:2453, punto 39).


17      In mancanza di espresso rinvio al diritto nazionale, tale nozione dev’essere interpretata sulla base del solo diritto dell’Unione (v., in particolare, sentenza del 21 ottobre 2010, Padawan, C‑467/08, EU:C:2010:620, punto 32) e ciò sebbene la valutazione in concreto del carattere regolare o irregolare del soggiorno di un cittadino di un paese terzo sul territorio di uno Stato membro possa dipendere, a seconda dei casi, anche dall’applicazione di norme di diritto nazionale di tale Stato.


18      V. sentenza del 7 giugno 2016, Affum (C‑47/15, EU:C:2016:408, punto 48).


19      V. raccomandazione della Commissione del 1o ottobre 2015 che istituisce un «manuale sul rimpatrio» che le autorità competenti degli Stati membri devono utilizzare nell’espletamento dei compiti connessi al rimpatrio [C(2015) 6250 final] (in prosieguo: il «manuale sul rimpatrio»).


20      V. manuale sul rimpatrio, punto 1.2.


21      V. sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343, punti 48 e 49).


22      Un documento speciale di soggiorno, ai sensi dell’allegato 35 al regio decreto dell’8 ottobre 1981, è stato rilasciato al sig. Gnandi solo il 10 luglio 2014, ma il diritto di rimanere nel territorio belga che esso attesta è connesso alla proposizione del ricorso e deriva dall’articolo 111 del regio decreto dell’8 ottobre 1981.


23      Tale disposizione prevede in particolare che nessuno può essere allontanato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti. Nella sua sentenza del 28 luglio 2011, Samba Diouf (C‑69/10, EU:C:2011:524, punto 61), la Corte ha riconosciuto che «l’obiettivo della direttiva 2005/85 consiste nello stabilire un ambito comune di garanzie idonee ad assicurare il pieno rispetto della Convenzione di Ginevra [convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951] e dei diritti fondamentali», tra cui il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo.


24      V., da ultimo, Corte EDU, 14 febbraio 2017, Allanazarova c. Russie (CE:ECHR:2017:0214JUD004672115, punti da 96 a 99 e giurisprudenza citata).


25      V., relativamente ad una decisione di non proseguire l’esame di una domanda di asilo successiva, sentenza del 17 dicembre 2015, Tall (C‑239/14, EU:C:2015:824, punto 56).


26      Rilevo incidentalmente che, nella sentenza Saadi c. Royaume-Uni, la Grande Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo, nel contesto dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera f, della CEDU, ha adottato una posizione diversa. Secondo tale Corte, l’ingresso di un richiedente asilo nel territorio di uno Stato contraente è «irregolare» finché non sia stato «autorizzato» da quest’ultimo (v. sentenza del 29 gennaio 2008, ECLI:CE:ECHR:2008:0129JUD001322903, punto 65), il che sembra implicare che la domanda di asilo riceva un esito favorevole. V., tuttavia, l’opinione parzialmente dissenziente comune a sei giudici della Grande Sezione.


27      V. punto 75 della sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84).


28      V. sentenza del 28 aprile 2011, El Dridi (C‑61/11 PPU, EU:C:2011:268, punto 59).


29      V., in questo senso, sentenza del 6 dicembre 2011, Achughbabian (C‑329/11, EU:C:2011:807, punti 43 e 45).


30      V. punto 76 della sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84).


31      Si trattava della quarta domanda di asilo presentata dal sig. N. La prima e la terza erano state definitivamente respinte e la seconda era stata ritirata.


32      Le tre domande di asilo presentate dal sig. N. in precedenza erano state tutte respinte definitivamente, di modo che nessuna procedura di asilo era pendente al momento dell’emissione nei suoi confronti di una decisione di rimpatrio.


33      V., in particolare, punto 44 della sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84).


34      Rilevo incidentalmente che le autorità belghe non si sono avvalse di tale facoltà nel caso del sig. Gnandi. Infatti, da una parte, l’ordine di lasciare il territorio notificato al sig. Gnandi, di per sé, non pone fine al suo soggiorno regolare in Belgio ma constata invece il carattere irregolare di tale soggiorno e, dall’altra, tale ordine e la decisione del CGRA del 23 maggio 2014 sono due atti diversi, adottati da due autorità diverse.


35      La proposta della direttiva 2008/115 accenna, al punto 4), al fatto che tale facoltà è stata prevista per rispondere alla preoccupazione espressa durante le consultazioni preliminari da numerosi Stati membri che temevano che la procedura in due tappe comportasse ritardi procedurali.


36      V. manuale sul rimpatrio, punto 12.2.


37      Come precisato nell’introduzione di tale manuale, quest’ultimo si basa in larga misura sui lavori effettuati dagli Stati membri e dalla Commissione nell’ambito del «comitato di contatto sulla direttiva rimpatrio» tra l’anno 2009 e l’anno 2014 ed espone, in maniera sistematica e succinta, le discussioni intervenute in tale sede, che non rispecchiano necessariamente un consenso tra gli Stati membri sull’interpretazione degli atti giuridici.


38      V. sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343).


39      V. punto 69. Per quanto riguarda l’articolo 13 della CEDU v., da ultimo, sentenza della Corte EDU, 14 febbraio 2017, Allanazarova c. Russie (CE:ECHR:2017:0214JUD004672115, punto 98), nella quale si conferma che tale disposizione non obbliga gli Stati contraenti ad istituire un doppio grado di giudizio in materia di provvedimenti di allontanamento e che basta che esista almeno un ricorso interno che soddisfi le condizioni di effettività volute dalla detta disposizione, vale a dire un ricorso che permetta un controllo attento e un esame rigoroso della pretesa di un rischio di trattamenti contrari all’articolo 3 della CEDU e che presenti un’efficacia sospensiva di diritto nei confronti del provvedimento controverso.


40      Si tratta, tra l’altro, delle persone nei confronti delle quali l’allontanamento è stato rinviato, conformemente all’articolo 9 della direttiva 2008/115, in quanto contrario al principio di non-refoulement.


41      L’ordine di lasciare il territorio controverso nel procedimento principale è stato notificato al sig. Gnandi solo alcuni giorni dopo la decisione del CGRA del 23 maggio 2014 che lo informava che nessun provvedimento di allontanamento poteva essere adottato nei suoi confronti in pendenza del termine di ricorso dinanzi al CCE contro tale decisione. Orbene, come si è visto, tale ordine – adottato da un’autorità diversa dal CGRA – nonché l’atto di notifica che lo accompagnava non facevano alcuna menzione del fatto che l’esecuzione forzata dell’ingiunzione di lasciare il territorio era temporaneamente sospesa, ma erano invece redatti in maniera tale da ingenerare la convinzione opposta, contribuendo così a creare confusione, per il suo destinatario, sugli obblighi a suo carico e sui mezzi di ricorso messi a sua disposizione.


42      Circolare che abroga quella del 20 luglio 2001 relativa alla portata giuridica dell’allegato 35 del regio decreto dell’8 ottobre 1981, Moniteur Belge del 6 settembre 2013, pag. 63240.


43      Direttiva del Consiglio del 27 gennaio 2003 recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU 2003, L 31, pag. 18).


44      Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96).


45      V. articolo 3, paragrafo 1, delle due direttive.


46      V. sentenza del 27 febbraio 2014, Saciri e a. (C‑79/13, EU:C:2014:103, punti da 35 a 42).


47      Conformemente all’articolo 14, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/115, i cittadini di paesi terzi hanno diritto, nel corso del periodo per la partenza volontaria, solo alle prestazioni sanitarie d’urgenza e al trattamento essenziale delle malattie. L’articolo 14, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva impone che si tenga conto delle esigenze particolari delle persone vulnerabili.


48      Sentenza della Corte EDU, 7 luglio 2015, V.M. e a. c. Belgique (CE:ECHR:2015:0707JUD006012511).


49      Sentenza della Corte EDU, 7 luglio 2015, V.M. e a. c. Belgique (CE:ECHR:2015:0707JUD006012511, punti 197 e segg.).


50      Sentenza della Corte EDU, 17 novembre 2016, V.M. e a. c. Belgique (CE:ECHR:2016:1117JUD006012511).