Language of document : ECLI:EU:T:2006:272

Causa T‑59/02

Archer Daniels Midland Co.

contro

Commissione delle Comunità europee

«Concorrenza — Intese — Acido citrico — Art. 81 CE — Ammenda — Art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 — Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende — Comunicazione sulla cooperazione — Principi di certezza del diritto e di irretroattività — Principio di proporzionalità — Parità di trattamento — Obbligo di motivazione — Diritti della difesa»

Massime della sentenza

1.      Diritto comunitario — Principi generali del diritto — Irretroattività delle disposizioni penali

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15; comunicazioni della Commissione 96/C 207/04 e 98/C 9/03)

2.      Concorrenza — Ammende — Orientamenti per il calcolo delle ammende

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

3.      Concorrenza — Ammende — Sanzioni comunitarie e sanzioni inflitte in uno Stato membro o in uno Stato terzo per violazione del diritto nazionale della concorrenza

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)

4.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione

(Artt. 81, n. 1, CE e 82 CE; accordo SEE, art. 53, n. 1; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

5.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

6.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Carattere dissuasivo dell’ammenda

(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)

7.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Impatto concreto sul mercato

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, primo comma)

8.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

9.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze attenuanti

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)

10.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Rispetto dei diritti della difesa

(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 11)

11.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze aggravanti

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 2)

12.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

13.    Concorrenza — Regole comunitarie — Infrazioni — Ammende — Importo — Determinazione

(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 17)

14.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze attenuanti

(Art. 81, n. 1, CE; regolamento n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3, terzo trattino)

15.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze attenuanti

(Art. 81, n. 1, CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)

16.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15; comunicazione della Commissione 96/C 207/04, titoli B, C e D)

17.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Comunicazione degli addebiti — Contenuto necessario

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 19, n. 1)

18.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Comunicazione degli addebiti — Contenuto necessario

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 19, n. 1)

19.    Concorrenza — Ammende — Importo — Potere discrezionale della Commissione — Sindacato giurisdizionale

(Art. 229 CE)

1.      Il principio di irretroattività delle leggi penali, sancito dall’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in quanto diritto fondamentale, costituisce un principio generale del diritto comunitario che deve esse osservato quando vengono inflitte ammende per infrazione alle regole di concorrenza. Tale principio esige che le sanzioni inflitte corrispondano a quelle che erano stabilite al momento in cui l’infrazione è stata commessa.

L’adozione di orientamenti che possono modificare la politica generale di concorrenza della Commissione in materia di ammende può, in linea di principio, rientrare nell’ambito di applicazione del principio di non retroattività.

Infatti, da un lato, gli orientamenti possono produrre effetti giuridici. Tali effetti giuridici derivano non già da una forza normativa propria degli orientamenti, bensì dalla loro adozione e pubblicazione da parte della Commissione. Tale adozione e tale pubblicazione degli orientamenti, come d’altronde quelle della comunicazione sulla cooperazione, implicano un’autolimitazione del potere discrezionale della Commissione, che non può discostarsi da essi, pena, se del caso, la sanzione a titolo di violazione di principi generali del diritto, come la parità di trattamento, la tutela del legittimo affidamento e la certezza del diritto.

Dall’altro lato, gli orientamenti, in quanto strumento di una politica in materia di concorrenza, rientrano nel campo di applicazione del principio di non retroattività, alla stregua di una nuova interpretazione giurisprudenziale di una norma che istituisce una infrazione, conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’art. 7, n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale la detta disposizione osta all’applicazione retroattiva di una nuova interpretazione di una norma che istituisce una infrazione. Secondo tale giurisprudenza, tale è in particolare il caso di un’interpretazione giurisprudenziale il cui risultato non era ragionevolmente prevedibile al momento in cui è stata commessa l’infrazione, vista, in particolare, l’interpretazione che a quell’epoca era accolta dalla giurisprudenza relativa alla disposizione di legge considerata. Tuttavia, da questa stessa giurisprudenza risulta che la portata della nozione di prevedibilità dipende in ampia misura dal contenuto del testo in esame, dal settore nel quale esso si colloca nonché dal numero e dalla qualità dei suoi destinatari. La prevedibilità della legge non osta infatti a che la persona interessata sia indotta a fare ricorso a consulenze per valutare, entro una ragionevole misura nelle circostanze di specie, le conseguenze che possono risultare da un determinato atto. In particolare, ciò vale specialmente per i professionisti, abituati a dar prova di estrema prudenza nell’esercizio della loro attività. È inoltre lecito attendersi che essi pongano una cura particolare nel valutare i rischi che essa comporta.

Al fine di controllare il rispetto del principio di non retroattività, si deve verificare se la modifica costituita dall’adozione degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA era ragionevolmente prevedibile all’epoca in cui le infrazioni considerate sono state commesse. A questo proposito, la principale innovazione degli orientamenti consiste nel prendere come punto di partenza per il calcolo un importo di base determinato a partire da forcelle a tal riguardo previste nei detti orientamenti, le quali riflettono i differenti gradi di gravità delle infrazioni, ma che, in quanto tali, non sono in rapporto con il fatturato pertinente. Tale metodo riposa pertanto essenzialmente su una tariffazione, per quanto relativa ed elastica, delle ammende.

Inoltre il fatto che la Commissione abbia applicato, in passato, ammende di un certo livello a taluni tipi di infrazione non può privarla della possibilità di elevare tale livello entro i limiti fissati dal regolamento n. 17, se ciò si rende necessario per assicurare l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza; anzi, l’efficace applicazione delle regole comunitarie di concorrenza esige che la Commissione possa in qualsiasi momento adattare il livello delle ammende alle esigenze di tale politica.

Ne consegue che le imprese implicate in un procedimento amministrativo che può dare luogo ad un’ammenda non possono riporre un legittimo affidamento nel fatto che la Commissione non supererà il livello delle ammende precedentemente praticato né in un metodo di calcolo di queste ultime.

Di conseguenza, le dette imprese devono tenere conto del fatto che, in qualsiasi momento, la Commissione può decidere di elevare il livello degli importi delle ammende rispetto a quello applicato in passato. Questo vale non soltanto allorché la Commissione procede ad un innalzamento del livello dell’importo delle ammende pronunciando ammende in decisioni individuali, ma anche quando tale innalzamento viene operato applicando a casi specifici regole di condotta aventi portata generale, come gli orientamenti.

(v. punti 41-49, 409)

2.      Il fatto che la Commissione abbia applicato il metodo enunciato negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA al fine di calcolare l’importo dell’ammenda inflitta a un’impresa non può costituire un trattamento discriminatorio rispetto alle imprese che hanno commesso infrazioni alle regole comunitarie di concorrenza durante lo stesso periodo, ma che, per ragioni attinenti alla data della scoperta dell’infrazione o inerenti allo sviluppo del procedimento amministrativo che le riguardano, hanno costituito oggetto di condanne in date anteriori all’adozione e alla pubblicazione degli orientamenti.

(v. punto 53)

3.      Il principio del ne bis in idem vieta di sanzionare una stessa persona più di una volta per uno stesso comportamento illecito al fine di tutelare un medesimo interesse giuridico. L’applicazione di questo principio è soggetta a tre condizioni cumulative, cioè l’identità dei fatti, l’identità del contravventore e l’identità dell’interesse giuridico protetto.

Così, un’impresa può validamente costituire oggetto di due procedimenti paralleli per uno stesso comportamento illecito e pertanto di una doppia sanzione, l’una da parte dell’autorità competente dello Stato membro considerato, l’altra comunitaria, nella misura in cui i detti procedimenti perseguano fini distinti e non vi sia identità tra le norme violate.

Da ciò consegue che il principio del ne bis in idem non può, a maggior ragione, trovare applicazione in un caso in cui i procedimenti promossi e le sanzioni inflitte dalla Commissione, da un lato, e dalle autorità di Stati terzi, dall’altro, non perseguono, con tutta evidenza, gli stessi obiettivi. Infatti, se nel primo caso si tratta di preservare una concorrenza non falsata nel territorio dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo, la protezione che nel secondo caso si intende perseguire riguarda il mercato di uno Stato terzo. Fa difetto in tal caso la condizione dell’identità dell’interesse giuridico protetto, necessaria affinché possa essere applicato il principio del ne bis in idem.

(v. punti 61-63)

4.      Il potere della Commissione di infliggere ammende a imprese che, intenzionalmente o per negligenza, si rendono responsabili di una infrazione all’art. 81, n. 1, CE o all’art. 82 CE costituisce uno degli strumenti di cui la Commissione dispone per poter svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto comunitario. Questo compito comprende anche il dovere di seguire una politica generale mirante ad applicare, in fatto di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese.

Da ciò consegue che alla Commissione è lecito decidere il livello dell’importo delle ammende al fine di rafforzarne l’effetto dissuasivo allorché infrazioni di un certo tipo sono ancora relativamente frequenti, benché la loro illegittimità sia stata dimostrata sin dagli inizi della politica comunitaria della concorrenza, dati i vantaggi che determinate imprese possono trarne.

L’obiettivo di dissuasione perseguito dalla Commissione si riferisce al comportamento delle imprese in seno alla Comunità o allo Spazio economico europeo (SEE). Di conseguenza, il carattere dissuasivo di un’ammenda inflitta a un’impresa a causa della violazione da parte sua delle regole comunitarie di concorrenza non può essere determinato né in funzione della sola situazione particolare di tale impresa né in funzione del rispetto da parte sua delle regole di concorrenza fissate in Stati terzi al di fuori del SEE.

(v. punti 70-72)

5.      La gravità delle infrazioni alle regole di concorrenza deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi quali, segnatamente, le circostanze proprie del caso di specie e il suo contesto, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione.

Parimenti, tra gli elementi di valutazione della gravità dell’infrazione possono, a seconda dei casi, figurare il volume e il valore delle merci oggetto dell’infrazione nonché la dimensione e la potenza economica dell’impresa e quindi l’influenza che questa può esercitare sul mercato rilevante. Da un lato, ne consegue che è lecito, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, tener conto sia del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, per quanto approssimativa e imperfetta, della sua dimensione e potenza economica, sia della quota di mercato delle imprese interessate nel mercato rilevante che può fornire un’indicazione della portata dell’infrazione. Dall’altro, ne consegue che non si deve attribuire né all’una né all’altra di tali cifre un peso eccessivo rispetto agli altri elementi di valutazione, con la conseguenza che la determinazione dell’importo adeguato di un’ammenda non può essere il risultato di un semplice calcolo basato sul fatturato complessivo.

(v. punti 98-99)

6.      La dissuasione è una delle principali considerazioni che deve guidare la Commissione in occasione della determinazione dell’ammontare delle ammende inflitte per violazione delle regole comunitarie di concorrenza.

Se l’ammenda dovesse essere fissata a un livello che si limiti ad annullare il beneficio dell’intesa, non avrebbe effetto dissuasivo. Si può infatti ragionevolmente presumere che talune imprese tengano razionalmente conto, nell’ambito del loro calcolo finanziario e della loro gestione, non solo del livello delle ammende che rischiano di vedersi infliggere in caso di infrazione, ma anche del livello di rischio che l’intesa venga scoperta. Inoltre, se si riducesse la funzione dell’ammenda al mero annullamento del profitto o del beneficio previsto, non si terrebbe conto a sufficienza dell’illiceità del comportamento di cui trattasi alla luce dell’art. 81, n. 1, CE. Infatti, riducendo l’ammenda ad una semplice compensazione del pregiudizio verificatosi, verrebbe trascurato, oltre all’effetto dissuasivo, che può riguardare unicamente comportamenti futuri, anche il carattere repressivo di una siffatta misura rispetto all’infrazione concreta effettivamente commessa.

Parimenti, nel caso di un’impresa che è presente su un gran numero di mercati e dispone di una capacità finanziaria particolarmente importante, il fatto di prendere in considerazione il fatturato realizzato sul mercato rilevante può non essere sufficiente ad assicurare un effetto dissuasivo dell’ammenda. Infatti, più un’impresa è grande e dispone di risorse globali che le conferiscono la capacità di agire in modo indipendente sul mercato, più deve essere cosciente dell’importanza del suo ruolo circa il buon funzionamento della concorrenza sul mercato. Pertanto, le circostanze di fatto, e segnatamente il fatturato globale, relative alla potenza economica di un’impresa resasi colpevole di un’infrazione debbono essere prese in considerazione in occasione dell’esame della gravità dell’infrazione.

(v. punti 129-131)

7.      Secondo la formulazione del punto 1 A, primo comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, nel calcolare l’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione la Commissione tiene conto, in particolare, dell’impatto concreto dell’infrazione sul mercato quando sia misurabile. Tale impatto misurabile dell’intesa deve essere considerato sufficientemente dimostrato quando la Commissione è in grado di fornire indizi concreti e credibili che indicano, con ragionevole probabilità, che l’intesa ha avuto un impatto sul mercato.

Infatti, l’esame dell’impatto di una intesa sul mercato implica necessariamente il ricorso a ipotesi. In questo contesto, la Commissione deve, in particolare, esaminare quale sarebbe stato il prezzo del prodotto in esame in assenza di intesa. Orbene, nel procedere all’esame delle cause dell’effettiva evoluzione dei prezzi, è azzardato speculare sul rispettivo ruolo di ciascuna delle dette cause. Si deve tener conto della circostanza obiettiva che, in ragione dell’intesa sui prezzi, le parti hanno per l’appunto rinunciato alla loro libertà di farsi concorrenza sui prezzi. Pertanto, la valutazione dell’influenza derivante da fattori diversi dalla detta volontaria astensione dei partecipanti all’intesa è necessariamente fondata su ragionevoli probabilità, non quantificabili con esattezza.

Quindi, a meno che non si voglia togliere effetto utile al criterio di cui al punto 1 A, primo comma, non può rimproverarsi alla Commissione di aver preso come base l’impatto concreto di una intesa sul mercato avente un oggetto anticoncorrenziale, quale un’intesa sui prezzi ovvero sulle quote, senza quantificare tale impatto o senza fornire in proposito dati di valutazione in cifre.

(v. punti 157-161)

8.      In occasione della determinazione della gravità di un’infrazione in materia di concorrenza va tenuto conto, in particolare, del contesto normativo ed economico del comportamento addebitato. A tale proposito, per valutare l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato, spetta alla Commissione fare riferimento al gioco della concorrenza che si sarebbe normalmente avuto in assenza dell’infrazione.

Da un lato, ne deriva che, nel caso di intese vertenti sui prezzi, si deve constatare – con un ragionevole grado di probabilità – che gli accordi hanno effettivamente consentito ai partecipanti interessati di conseguire un livello di prezzo superiore a quello che si sarebbe avuto in assenza d’intesa. D’altro lato, ne consegue che la Commissione, nell’ambito della sua valutazione, deve prendere in considerazione tutte le condizioni obiettive del mercato rilevante, tenuto conto del contesto economico ed eventualmente normativo vigente. Si deve tener conto dell’esistenza, se del caso, di «fattori economici obiettivi» dai quali risulti che, in un contesto di «libero gioco della concorrenza», il livello dei prezzi non si sarebbe evoluto in modo identico a quello dei prezzi praticati.

(v. punti 181-182)

9.      Il fatto che i partecipanti a un’intesa non abbiano rispettato il loro accordo e non abbiano interamente applicato i prezzi convenuti non implica che, così facendo, abbiano applicato prezzi che avrebbero potuto praticare in assenza dell’intesa e non costituisce quindi una circostanza da prendere in considerazione a titolo di attenuante. Infatti, un’impresa che persegue, malgrado la concertazione con i suoi concorrenti, una politica più o meno indipendente sul mercato può semplicemente tentare di usare l’intesa a proprio profitto.

(v. punto 189)

10.    Nessuna disposizione vieta alla Commissione di avvalersi, come elemento di prova utile a constatare una infrazione agli artt. 81 CE e 82 CE e a fissare un’ammenda, di un documento che è stato redatto nel contesto di un procedimento diverso da quello condotto dalla Commissione stessa.

Ciononpertanto, viene riconosciuto in base ai principi generali del diritto comunitario, del quale i diritti fondamentali costituiscono parte integrante ed alla luce dei quali tutte le norme di diritto comunitario vanno interpretate, il diritto di un’impresa a non essere costretta dalla Commissione, in sede di applicazione dell’art. 11 del regolamento n. 17, ad ammettere la propria partecipazione ad un’infrazione. La tutela di tale diritto richiede che, ove sorga contestazione circa la portata di una domanda, sia verificato se la risposta del destinatario equivarrebbe effettivamente all’ammissione di un’infrazione, sicché verrebbe arrecato pregiudizio ai diritti della difesa.

La Commissione, qualora, nell’ambito della sua libera valutazione degli elementi di prova di cui dispone, si avvalga di una dichiarazione resa in un contesto diverso da quello del procedimento promosso dinanzi ad essa e qualora questa dichiarazione comporti potenzialmente informazioni che l’impresa interessata avrebbe avuto il diritto di rifiutare di fornire alla Commissione, se le avesse posto domande sullo stesso tema, è tenuta a garantire a tale impresa diritti processuali equivalenti a quelli conferiti all’impresa a cui pone domande.

Il rispetto di tali garanzie processuali implica, in un contesto del genere, che la Commissione sia tenuta ad esaminare d’ufficio se, a prima vista, vi siano seri dubbi circa il rispetto dei diritti processuali delle parti interessate nell’ambito del procedimento nel corso del quale esse hanno reso siffatte dichiarazioni. In assenza di tali seri dubbi, i diritti processuali delle parti interessate devono considerarsi sufficientemente garantiti se, nella comunicazione degli addebiti, la Commissione indica chiaramente, eventualmente allegando i documenti interessati da tale comunicazione, di avere l’intenzione di avvalersi delle dichiarazioni di cui trattasi. In questo modo, la Commissione consente alle parti interessate di prendere posizione non solo rispetto al contenuto di tali dichiarazioni, ma anche a eventuali irregolarità o a circostanze particolari che hanno accompagnato la loro redazione o la loro produzione dinanzi alla Commissione.

(v. punti 261-265)

11.    Qualora una infrazione alle regole di concorrenza sia stata commessa da più imprese, si deve esaminare, nell’ambito della determinazione dell’importo delle ammende, la gravità relativa della partecipazione di ciascuna di esse, il che implica, in particolare, accertare il loro rispettivo ruolo nel corso della durata della loro partecipazione all’infrazione.

Da ciò risulta, in particolare, che il ruolo di «capofila» svolto da una o più imprese nell’ambito di un’intesa deve essere preso in considerazione ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda, nella misura in cui le imprese che hanno svolto un siffatto ruolo hanno, a tale titolo, una particolare responsabilità rispetto alle altre imprese.

(v. punti 296-297)

12.    Nella fissazione dell’importo dell’ammenda inflitta per violazione delle regole di concorrenza, la Commissione dispone di un potere discrezionale. Il fatto che la Commissione in passato abbia applicato, in presenza di circostanze aggravanti, una certa percentuale di maggiorazione delle ammende non può privarla del potere di aumentare tali percentuali entro i limiti indicati dal regolamento n. 17 e dagli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, se ciò si rende necessario per assicurare l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza.

(v. punto 312)

13.    Nell’applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 a ciascun caso di specie, vale a dire quando infligge ammende per violazione delle regole di concorrenza del Trattato, la Commissione è tenuta a rispettare i principi generali del diritto, tra i quali figura il principio di parità di trattamento, quale interpretato dai giudici comunitari. Un’impresa può tuttavia contestare l’importo dell’ammenda inflittale deducendo la violazione di tale principio solo se dimostra che i dati di fatto delle cause relative alle decisioni cui essa si riferisce, come i mercati, i prodotti, i paesi, le imprese e i periodi interessati, sono comparabili con quelli di specie.

(v. punti 315-316)

14.    Per valutare la gravità di una infrazione alle regole di concorrenza, onde determinare l’importo dell’ammenda, la Commissione deve tener conto non solo delle circostanze particolari della fattispecie, ma anche del contesto in cui si colloca l’infrazione e curare che la sua azione abbia carattere dissuasivo. Infatti, soltanto prendendo in considerazione tali aspetti è possibile garantire la piena efficacia dell’azione della Commissione per mantenere una concorrenza non falsata sul mercato comune.

Un’analisi puramente letterale della disposizione di cui al punto 3, terzo trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA potrebbe dare l’impressione che il semplice fatto che un contravventore cessi ogni infrazione fin dai primi interventi della Commissione costituisca in modo generale e senza riserve una circostanza attenuante. Orbene, siffatta interpretazione di detta disposizione sminuirebbe l’effetto utile delle disposizioni che consentono il mantenimento di una concorrenza efficace, perché affievolirebbe sia la sanzione che può essere imposta a seguito di una violazione dell’art. 81 CE, sia l’effetto dissuasivo di una siffatta sanzione.

Infatti, a differenza di altre circostanze attenuanti, tale circostanza non è inerente né alla peculiarità soggettiva del contravventore né ai fatti propri del caso di specie, dato che procede essenzialmente dall’intervento esterno della Commissione. La cessazione di una infrazione unicamente a seguito dell’intervento della Commissione non può pertanto essere assimilata ai meriti che derivano da una iniziativa autonoma da parte del contravventore, ma costituisce soltanto una reazione appropriata e normale al detto intervento. Inoltre, siffatta circostanza sancisce solo il ritorno del contravventore a un comportamento lecito e non contribuisce a rendere l’azione della Commissione più efficace. Infine, l’asserito carattere attenuante di tale circostanza non può giustificarsi con il semplice incentivo a porre fine all’infrazione che essa induce. A questo riguardo la qualificazione come circostanza aggravante della continuazione di una infrazione dopo i primi interventi della Commissione costituisce già, giustamente, un incentivo a porre termine all’infrazione, che non attenua né la sanzione né l’effetto dissuasivo di tale sanzione.

Infatti, il riconoscimento della cessazione di una infrazione sin dai primi interventi della Commissione come circostanza attenuante comprometterebbe ingiustificatamente l’effetto utile dell’art. 81, n. 1, CE, a causa dell’attenuazione non solo della sanzione ma anche dell’effetto dissuasivo della sanzione. Di conseguenza, la Commissione non può imporre a se stessa di considerare la mera cessazione dell’infrazione sin dai suoi primi interventi come circostanza attenuante. Si deve pertanto interpretare restrittivamente la disposizione di cui al punto 3, terzo trattino, degli orientamenti, in modo da non contrastare l’effetto utile dell’art. 81, n. 1, CE, e nel senso che solo le circostanze particolari del caso di specie, nelle quali l’ipotesi della cessazione dell’infrazione fin dai primi interventi della Commissione viene a concretizzarsi, potrebbero giustificare che tale circostanza venga presa in considerazione come circostanza attenuante.

Nel caso di un’infrazione particolarmente grave, avente ad oggetto una fissazione dei prezzi ed una ripartizione dei mercati, commessa intenzionalmente dalle imprese interessate, la sua cessazione non può essere considerata una circostanza attenuante quando è stata determinata dall’intervento della Commissione.

(v. punti 334-338, 340-341)

15.    Se è certamente importante che una impresa adotti provvedimenti per impedire che in futuro siano commesse da parte di propri collaboratori nuove infrazioni al diritto comunitario della concorrenza, l’adozione di siffatti provvedimenti non muta affatto la realtà dell’infrazione constatata. La Commissione non è pertanto tenuta a considerare un siffatto elemento come circostanza attenuante, tanto più qualora l’infrazione di cui trattasi costituisca una palese violazione dell’art. 81, n. 1, CE.

(v. punto 359)

16.    A meno che non si entri in conflitto con il principio di parità di trattamento, la comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi di intesa tra imprese deve essere applicata nel senso che, nella riduzione delle ammende, la Commissione deve trattare allo stesso modo le imprese che forniscono alla Commissione nella medesima fase del procedimento e in circostanze analoghe informazioni simili circa i fatti loro addebitati. La sola circostanza che una di queste imprese abbia riconosciuto i fatti imputati rispondendo per prima alle domande poste dalla Commissione nella medesima fase del procedimento non può costituire una ragione obiettiva per riservarle un trattamento differenziato.

Tuttavia, ciò vale soltanto nell’ambito di una cooperazione di imprese non rientrante nell’ambito di applicazione dei punti B e C della comunicazione sulla cooperazione.

Infatti, contrariamente a tali punti, il punto D non prevede un trattamento diverso per le imprese interessate in funzione dell’ordine secondo il quale queste cooperano con la Commissione.

(v. punti 400-401, 403)

17.    La comunicazione degli addebiti deve contenere un’esposizione degli addebiti formulata in termini che, per quanto sommari, siano sufficientemente chiari per consentire agli interessati di prendere atto dei comportamenti di cui la Commissione fa loro carico. Solo a questa condizione, infatti, la comunicazione degli addebiti può assolvere la funzione attribuitale dai regolamenti comunitari, che consiste nel fornire alle imprese e associazioni di imprese tutti gli elementi necessari per provvedere utilmente alla propria difesa prima che la Commissione adotti una decisione definitiva.

(v. punto 416)

18.    La Commissione, quando nella comunicazione degli addebiti dichiara espressamente che vaglierà se sia il caso di infliggere ammende alle parti interessate e indica i principali elementi di fatto e di diritto che possono implicare l’irrogazione di un’ammenda, quali la gravità e la durata della presunta infrazione e il fatto di averla commessa «intenzionalmente o per negligenza», adempie agli obblighi che le incombono di rispettare il diritto delle imprese al contraddittorio. Così operando, fornisce a queste ultime gli elementi necessari per difendersi non solo contro l’accertamento dell’infrazione, ma anche contro l’inflizione di un’ammenda.

Da ciò consegue che, per quanto riguarda la determinazione dell’importo dell’ammenda, i diritti della difesa delle imprese interessate sono garantiti dinanzi alla Commissione tramite la possibilità di presentare osservazioni in ordine alla durata, alla gravità e alla prevedibilità del carattere anticoncorrenziale dell’infrazione. Questa conclusione si impone tanto più che, con la pubblicazione degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, la Commissione ha fatto conoscere agli interessati, in modo dettagliato, il metodo di calcolo dell’importo di un’eventuale ammenda e il modo secondo il quale avrebbe tenuto conto di tali criteri. Tale conclusione non viene rimessa in discussione dal fatto che gli orientamenti non fanno espressamente riferimento a un coefficiente moltiplicatore, dato che in essi è dato di leggere che è necessario prendere in considerazione l’effettiva capacità economica degli autori dell’infrazione di produrre un danno consistente agli altri operatori e determinare l’importo dell’ammenda a un livello che ne assicuri un carattere sufficientemente dissuasivo.

(v. punti 434-435)

19.    Qualora dall’esame dei motivi sollevati da un’impresa avverso la legittimità di una decisione della Commissione che le ha inflitto un’ammenda per violazione delle regole comunitarie di concorrenza emerga un illecito, il Tribunale deve verificare se, esercitando la propria competenza anche di merito, esso debba riformare la decisione impugnata.

(v. punto 443)