Language of document : ECLI:EU:C:2015:35

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 22 gennaio 2015 (1)

Cause riunite C‑317/13 e C‑679/13

Parlamento europeo

contro

Consiglio dell’Unione europea

Causa C‑540/13

Parlamento europeo

contro

Consiglio dell’Unione europea

«Ricorso di annullamento — Base giuridica — Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale — Misure di attuazione — Mancata consultazione del Parlamento — Incidenza dell’entrata in vigore del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea — Disposizioni transitorie — Articolo 9 del Protocollo n. 36 — Obiettivo — Effetti giuridici»





1.        L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha apportato modifiche significative al paesaggio istituzionale dell’Unione europea, che funge da cornice giuridica all’adozione di misure correlate alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale dell’Unione (precedente titolo VI del Trattato UE, altresì noto come «terzo pilastro»). Tradizionalmente, il terzo pilastro era caratterizzato da un processo decisionale intergovernativo e il Parlamento europeo disponeva di rilievo solamente marginale. Con la «lisbonizzazione», tuttavia, il terzo pilastro è stato inserito nel quadro sovranazionale dell’UE e, di conseguenza, le procedure decisionali sono state allineate a quelle degli altri settori delle politiche europee. L’estensione della procedura legislativa ordinaria (in passato nota come «procedura di codecisione») a questo ambito ha pertanto, in generale, rafforzato il ruolo di colegislatore del Parlamento, le cui competenze in questo campo sono ora equiparate a quelle del Consiglio.

2.        I presenti ricorsi di annullamento proposti dal Parlamento testimoniano le complessità di questo processo di trasformazione. Più precisamente, le cause in esame vertono sull’esatta interpretazione dell’articolo 9 del Protocollo n. 36 (2) sulle disposizioni transitorie, allegato ai Trattati. Ai sensi di tale disposizione, gli effetti giuridici degli atti adottati nell’ambito del terzo pilastro sono mantenuti finché tali atti non saranno stati abrogati, annullati o modificati. Alla luce dell’interpretazione adottata, la Corte ha l’opportunità di determinare i parametri per valutare la legittimità delle misure assunte dal Consiglio dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona sulla base di atti che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 9 del Protocollo n. 36.

I –    Contesto normativo

A –    Protocollo n. 36

3.        L’articolo 9 del Protocollo n. 36 stabilisce quanto segue:

«Gli effetti giuridici degli atti delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione adottati in base al trattato sull’Unione europea prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona sono mantenuti finché tali atti non saranno stati abrogati, annullati o modificati in applicazione dei trattati. Ciò vale anche per le convenzioni concluse tra Stati membri in base al trattato sull’Unione europea».

B –    Decisioni pertinenti

1.      La decisione del 2005 (3)

4.        La decisione del 2005 è stata adottata sulla base del Trattato UE nella versione ante‑Lisbona, in particolare degli articoli 29 UE, 31, paragrafo 1, lettera e), UE e 34, paragrafo 2, lettera c), UE. In altri termini, la decisione è stata adottata sulla base del terzo pilastro e riguarda il settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

5.        Conformemente all’articolo 1 della decisione del 2005, quest’ultima istituisce un meccanismo per consentire lo scambio di informazioni in materia di nuove sostanze psicoattive. Essa prevede inoltre un meccanismo di valutazione del rischio per determinare la necessità di applicare misure di controllo in relazione a tali sostanze. Più in generale, la decisione del 2005 stabilisce un meccanismo volto a garantire una risposta rapida e coordinata degli Stati membri alle nuove sostanze psicoattive che si ritiene possano costituire un rischio (per la sanità pubblica o di altra natura).

6.        L’articolo 8 della decisione del 2005 disciplina il procedimento per l’applicazione a nuove sostanze psicoattive specifiche di misure di controllo già applicate negli Stati membri in relazione a sostanze stupefacenti e psicotrope. L’articolo 8, paragrafo 3, dispone che la decisione di applicare misure di controllo a nuove sostanze psicoattive debba essere adottata dal Consiglio, a maggioranza qualificata, sulla base dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE.

7.        Ai sensi dell’articolo 9 della decisione del 2005, una volta che il Consiglio abbia adottato una decisione in tal senso, spetta agli Stati membri prendere le misure necessarie in conformità del diritto interno per garantire che vengano applicate misure di controllo e sanzioni penali in relazione alle nuove sostanze.

8.        I ricorsi nelle cause riunite C‑317/13 e C‑679/13 riguardano decisioni (4) adottate dal Consiglio a titolo dell’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005.

2.      La prima decisione di esecuzione

9.        La prima decisione di esecuzione riguarda la 4-metilanfetamina, che è un derivato sintetico metilato ad anello dell’anfetamina. Il preambolo della decisione afferma che essa è stata adottata sulla base del Trattato FUE e dell’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005.

3.      La seconda decisione di esecuzione

10.      La seconda decisione di esecuzione riguarda un derivato sintetico dell’indolo dai supposti effetti allucinogeni. Come nel caso della prima decisione di esecuzione, il preambolo della decisione afferma che essa è stata adottata sulla base del Trattato FUE e dell’articolo 8, paragrafo 3, della decisione.

4.      La decisione VIS (5)

11.      La decisione VIS (6) è stata adottata sulla base del Trattato UE nella versione ante‑Lisbona e, in particolare, a norma degli articoli 30, paragrafo 1, lettera b), UE e 34, paragrafo 2, lettera c), UE. Analogamente alla decisione del 2005, la decisione VIS è stata quindi adottata sulla base del terzo pilastro e riguarda i settori della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

12.      Il VIS è un sistema per lo scambio, fra Stati membri, di dati relativi ai visti. Una delle espresse finalità del sistema è di aumentare la sicurezza interna e di lottare contro il terrorismo. Per assicurare il conseguimento di tale scopo, il Consiglio ha ritenuto necessario concedere l’accesso ai dati disponibili nel VIS alle autorità designate degli Stati membri responsabili della sicurezza interna e all’Europol. A tal fine, la decisione VIS è stata adottata a complemento del regolamento VIS (7).

13.      Considerata la complessità nell’istituire il sistema di accesso, era stato deciso che la decisione VIS divenisse efficace in una data successiva, che doveva essere stabilita dal Consiglio. L’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS prevede dunque che la decisione abbia effetto a decorrere dalla data che sarà fissata dal Consiglio dopo che la Commissione avrà comunicato al Consiglio che il regolamento VIS è entrato in vigore ed è applicabile.

5.      La decisione sulla data

14.      Il ricorso nella causa C‑540/13 verte sulla decisione (8) adottata dal Consiglio di fissare la data di applicazione della decisione VIS.

15.      Dopo essere stato informato dalla Commissione che il regolamento VIS era applicabile, il Consiglio ha adottato la decisione sulla data in base al Trattato FUE e all’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS. Conformemente all’articolo 1 della decisione sulla data, gli effetti della decisione VIS dovevano decorrere dal 1° settembre 2013.

II – Procedimento e conclusioni delle parti

16.      Con ordinanze del presidente della Corte dell’8 ottobre 2013 e del 28 aprile 2014, è stato ammesso l’intervento della Repubblica d’Austria a sostegno del Consiglio nelle cause C‑317/13 e C‑679/13. Con ordinanza del presidente della Corte del 27 marzo 2014, le due cause summenzionate sono state riunite ai fini della fase orale e della sentenza.

A –    Cause riunite C‑317/13 e C‑679/13

17.      Con i suoi ricorsi, il Parlamento chiede che la Corte voglia:

–        annullare le decisioni di esecuzione di cui trattasi;

–        mantenere gli effetti di tali decisioni fino a quando non saranno sostituite da nuovi atti adottati secondo le modalità prescritte, e

–        condannare il Consiglio alle spese.

18.      Il Consiglio, sostenuto dalla Repubblica d’Austria, chiede che la Corte voglia:

–        respingere i ricorsi;

–        respingere l’eccezione di illegittimità (9) relativa alla decisione del 2005 per inammissibilità o, quanto meno, per infondatezza;

–        condannare il Parlamento alle spese, e

–        in subordine, qualora la Corte annulli le decisioni di esecuzione di cui trattasi, mantenere gli effetti di tali decisioni fino alla loro sostituzione con nuovi atti.

B –    Causa C‑540/13

19.      Con il suo ricorso, il Parlamento chiede che la Corte voglia:

–        annullare la decisione sulla data;

–        mantenere gli effetti di tale decisione fino a quando non sarà sostituita da un nuovo atto adottato secondo le modalità prescritte, e

–        condannare il Consiglio alle spese.

20.      Il Consiglio chiede che la Corte voglia:

–        respingere il ricorso perché inammissibile o, quanto meno, infondato;

–        condannare il Parlamento alle spese, e

–        in subordine, qualora la Corte annulli la decisione sulla data, mantenere gli effetti di tale decisione fino alla sua sostituzione con un nuovo atto.

C –    Cause riunite C‑317/13 e C‑679/13 e causa C‑540/13

21.      Il Parlamento e il Consiglio hanno esposto le loro argomentazioni orali all’udienza congiunta svoltasi il 5 novembre 2014 per tutte le cause in esame.

III – Analisi

A –    Questioni preliminari

1.      Gli argomenti principali dedotti dalle parti

22.      Nelle cause riunite C‑317/13 e C‑679/13, il Parlamento contesta la legittimità delle decisioni di esecuzione di cui trattasi, sostenendo che in entrambi i casi il Consiglio ha utilizzato la base giuridica errata. La causa C‑540/13, invece, verte su una decisione con cui il Consiglio, agendo in conformità dell’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS, fissa la data di decorrenza degli effetti di quest’ultima decisione. Anche in questo caso il Parlamento contesta la legittimità della decisione, lamentando ancora una volta la scelta di una base giuridica errata.

23.      Nonostante le ovvie differenze, le tre cause sono intimamente collegate. Ciò non solo perché, in tutte e tre le cause, la decisione impugnata si fonda su una decisione adottata sulla base del vecchio terzo pilastro, ma anche perché, in tutte e tre le cause, entrambe le parti hanno presentato argomenti pressoché identici.

24.      A tale riguardo, devo osservare che le osservazioni scritte del Parlamento, in particolare, soffrono di una mancanza di chiarezza e rigore. Nondimeno, dalle osservazioni scritte e dagli argomenti esposti in udienza desumo che il ricorso del Parlamento si basi essenzialmente su due motivi. In primo luogo, esso sostiene che il Consiglio ha utilizzato la base giuridica errata per adottare le decisioni di esecuzione di cui trattasi nonché la decisione sulla data. A giudizio del Parlamento, il Consiglio si è avvalso di una base giuridica abrogata o, in subordine, di una base giuridica derivata invalida. In secondo luogo, in tale occasione, il Consiglio avrebbe seguito una procedura decisionale non prevista dal Trattato FUE (10).

25.      Il Parlamento deduce, in proposito, che, sebbene le decisioni 2013/129, 2013/496 e 2013/392 (in prosieguo, congiuntamente: le «decisioni impugnate») identifichino la propria base giuridica tramite un riferimento generico al Trattato FUE e un riferimento specifico, nei primi due casi, all’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 e, nel terzo, all’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS, le decisioni impugnate si basano in realtà sull’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE (11). Considerata l’avvenuta abrogazione dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le decisioni impugnate poggiano pertanto, secondo il Parlamento, su una base giuridica errata. Più precisamente, il Parlamento afferma che né l’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 né l’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS possono essere usati come base giuridica per alcuna delle decisioni impugnate.

26.      Secondo il Parlamento, il logico corollario dell’abrogazione dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE è che le misure di diritto derivato le quali, sulla base di tale disposizione, prevedono l’adozione di decisioni di esecuzione non possono più essere applicate. L’articolo 9 del Protocollo n. 36, ad avviso del Parlamento, non incide su tale analisi. Dato che tale disposizione transitoria costituisce un’eccezione alle norme generali stabilite dal Trattato FUE, essa deve essere interpretata restrittivamente.

27.      Il Consiglio, sostenuto dal governo austriaco nelle cause riunite C‑317/13 e C‑679/13, dissente, affermando che le decisioni impugnate potrebbero validamente basarsi, a seconda dei casi, sull’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 o sull’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS, in combinato disposto con l’articolo 9 del Protocollo n. 36.

28.      Peraltro, al termine della fase scritta, vi era molta confusione sul fatto che il Parlamento avesse anche sollevato, a titolo subordinato, un’eccezione di illegittimità relativa, in particolare all’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 e all’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS. Tale confusione era alimentata dalle lunghe discussioni in ordine tanto all’ammissibilità quanto al merito di tale eccezione condotte da entrambe le parti nelle loro osservazioni scritte (12). In udienza, tuttavia, il Parlamento ha fornito chiarimenti affermando di non mettere in discussione la legittimità delle decisioni di base (o di loro parti) in quanto tali. Esso intendeva solamente sostenere che, a seguito dell’abrogazione degli articoli 34, paragrafo 2, lettera c), UE e 39 UE, l’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 e l’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS non potevano più essere utilizzati per l’adozione delle decisioni impugnate: a suo avviso, il ricorso a tali disposizioni a questo fine equivaleva a un uso di una base giuridica derivata invalida, non prevista nel Trattato FUE.

2.      Le questioni principali sottese alle cause in esame

29.      Nelle cause in esame, la Corte è chiamata a pronunciarsi su questioni di indubbia portata costituzionale. Tali questioni riguardano il sistema istituzionale dell’Unione e il principio dell’equilibrio istituzionale, che costituisce una pietra angolare dell’architettura costituzionale dell’Unione (13). Più precisamente, le cause in esame sollevano una questione istituzionale finora mai affrontata, derivante dalle complessità correlate alla «lisbonizzazione» del vecchio terzo pilastro intergovernativo, con cui veniva disciplinata la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

30.      A differenza dell’acquis di Schengen, che è stato inserito nel quadro giuridico e istituzionale dell’Unione europea senza ricorrere a misure transitorie particolari (14), la «lisbonizzazione» del terzo pilastro, una decina d’anni più tardi, era concepita per procedere in maniera più graduale. Ciò è chiaramente illustrato dal fatto che il Trattato FUE contiene ora norme transitorie specifiche riguardanti gli atti adottati nell’ambito del terzo pilastro. Una di tali norme è stabilita dall’articolo 9 del Protocollo n. 36.

31.      La chiave per risolvere le cause in esame risiede nella determinazione della portata dell’articolo 9 del Protocollo n. 36. I ricorsi proposti dal Parlamento, infatti, meritano di essere accolti ovvero respinti a seconda dell’interpretazione di tale disposizione. Il Parlamento deduce, in sostanza, che, senza il supporto dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE, l’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 e l’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS non possono fungere da basi giuridiche per le decisioni impugnate. A suo parere, si dovrebbe applicare il quadro generale del TFUE e, di conseguenza, esistevano solo due possibili opzioni per adottare validamente tali decisioni.

32.      In base alla prima opzione, ove si ritenga che le decisioni impugnate disciplinino un elemento essenziale del settore regolamentato, esse avrebbero dovuto essere adottate con procedura legislativa ordinaria, conformemente all’articolo 83, paragrafo 1, TFUE nel caso delle decisioni di esecuzione di cui trattasi, e agli articoli 87 TFUE e 88 TFUE nel caso della decisione sulla data. In base all’altra opzione, qualora si ritenga che le decisioni impugnate disciplinino elementi non essenziali, le decisioni di base avrebbero dovuto essere modificate (secondo le procedure previste nelle summenzionate disposizioni del Trattato FUE) in modo da specificare se per l’adozione delle decisioni impugnate fosse necessario, a seconda dei casi, un atto delegato o un atto di esecuzione, ai sensi degli articoli 290 TFUE e 291 TFUE (15). A prescindere dalla scelta della prima o della seconda opzione, il Parlamento avrebbe agito in qualità di colegislatore.

33.      Il Consiglio, invece, sostiene di essere legittimato, proprio grazie all’articolo 9 del Protocollo n. 36, a continuare ad adottare misure (di esecuzione) sulla base di atti rientranti nell’ambito di applicazione di detto articolo, e che la situazione resta invariata fintanto che tali atti non vengano abrogati, annullati o modificati.

34.      A questo punto si impone un’importante precisazione. Il Parlamento suggerisce che le decisioni impugnate potrebbero non essere, in realtà, misure di esecuzione, in quanto si potrebbe ritenere che tali decisioni disciplinino elementi essenziali del settore regolamentato (16). Per i motivi esposti ai successivi punti da 52 a 55, non condivido tale impostazione.

35.      Ad ogni modo, la distinzione operata dalla Corte nella propria giurisprudenza circa gli elementi essenziali e non essenziali (17) è priva di pertinenza nelle cause in esame. Ciò in quanto, sulla base dell’interpretazione suggerita e di seguito illustrata dell’articolo 9 del Protocollo n. 36, il quadro normativo generale del TFUE non trova applicazione con riferimento alle decisioni impugnate. Una disamina delle due opzioni sopra descritte non è pertanto necessaria.

36.      Affronterò dunque le questioni sollevate dalle presenti cause prendendo le mosse da un esame dettagliato dell’articolo 9 del Protocollo n. 36. Sulla base dell’interpretazione proposta di tale articolo, passerò poi a valutare brevemente gli argomenti dedotti dalle parti nelle tre cause. Come cercherò di dimostrare, la necessità di garantire una transizione agevole e ordinata verso il nuovo quadro istituzionale dovrebbe guidare l’interpretazione dell’articolo 9 del Protocollo n. 36.

B –    Il significato dell’articolo 9 del Protocollo n. 36

1.      La norma dev’essere interpretata in modo restrittivo o ampio?

37.      Come già accennato, l’articolo 9 del Protocollo n. 36 stabilisce il regime transitorio per gli atti adottati sulla base dei titoli V e VI del Trattato UE nella versione ante‑Lisbona. Ai sensi di tale disposizione, gli effetti giuridici di detti atti sono mantenuti finché questi ultimi non saranno stati abrogati, annullati o modificati in applicazione dei Trattati. Le parti concordano sul fatto che le decisioni di base rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 9. Tuttavia, questo è l’unico punto di accordo.

38.      Il Parlamento sostiene che l’articolo 9 del Protocollo n. 36 non ha alcuna influenza sulla legittimità di atti, quali le decisioni impugnate, adottati post‑Lisbona. A suo avviso, la base giuridica appropriata per l’adozione di simili decisioni dev’essere determinata con riferimento alle norme generali previste nel Trattato FUE.

39.      Di conseguenza, il Parlamento assume un’impostazione restrittiva (pur affermando il contrario) nella lettura dell’articolo 9 del Protocollo n. 36, sostenendo che, in quanto eccezione alla regola generale, tale disposizione andrebbe interpretata in maniera stretta. Più precisamente, esso deduce che l’articolo 9 del Protocollo n. 36 è unicamente volto a garantire che, nonostante l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, gli atti adottati nell’ambito del vecchio terzo pilastro non siano automaticamente abrogati. Tali atti (quali le decisioni quadro) continuano a vincolare gli Stati membri quanto agli obiettivi da conseguire, senza avere effetto diretto. Il Parlamento respinge tuttavia l’idea che le disposizioni stabilite in atti che ricadono nell’ambito di applicazione dell’articolo 9 e che conferiscono competenze di esecuzione al Consiglio (come nel caso dell’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 e dell’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS) continuino ad essere applicabili all’interno del nuovo assetto costituzionale.

40.      Il Consiglio, invece, adotta un’interpretazione più estensiva dell’articolo 9 del Protocollo n. 36. Esso afferma che tutte le disposizioni stabilite da atti che ricadono nel campo di applicazione di tale articolo mantengono i loro effetti giuridici, incluse quelle che prevedono l’adozione di misure di esecuzione.

41.      Occorre riconoscere che l’articolo 9 del Protocollo n. 36 è lungi dall’essere privo di ambiguità. Infatti, non vi sono elementi che, prima facie, escludano definitivamente l’interpretazione restrittiva proposta dal Parlamento oppure quella più ampia suggerita dal Consiglio. Entrambe hanno qualche pregio. Tuttavia, anche se l’interpretazione sostenuta dal Parlamento comporterebbe una rapida transizione verso il nuovo sistema, ritengo che essa condurrebbe a conseguenze irragionevoli.

2.      Transizione armoniosa verso il nuovo quadro giuridico

42.      A mio parere, l’articolo 9 del Protocollo n. 36 dev’essere letto alla luce del suo contesto e, più precisamente, tenendo conto della sua finalità generale. Invero, se le norme transitorie possono perseguire vari obiettivi diversi, ritengo che siano generalmente volte a garantire una transizione ordinata e coerente verso un nuovo sistema (18). Nel particolare contesto della presente causa, a mio avviso, l’articolo 9 del Protocollo n. 36 andrebbe letto come uno strumento volto ad assicurare un’armoniosa transizione da un sistema a un altro.

43.      Sebbene nuove norme possano indubbiamente condurre a modifiche significative per qualunque sistema giuridico, proprio l’esistenza di norme transitorie nel presente contesto indica, a mio avviso, che gli estensori del Trattato di Lisbona non trascuravano le difficoltà che possono sorgere nel processo di adeguamento. Ciò è chiaramente illustrato dalla Dichiarazione n. 50 allegata ai Trattati (19). Tale dichiarazione invita le istituzioni ad adoperarsi per adottare, nei casi opportuni e per quanto possibile entro il termine di cinque anni di cui all’articolo 10, paragrafo 3, del Protocollo n. 36, atti giuridici che modifichino o sostituiscano gli atti del precedente terzo pilastro (20).

44.      La dichiarazione, dunque, invita chiaramente il legislatore ad assumere le iniziative necessarie ad adeguare le misure del precedente terzo pilastro al nuovo quadro giuridico. A mio modo di vedere, tuttavia, tale dichiarazione, in combinato disposto con l’articolo 9 del Protocollo n. 36, che preserva gli effetti giuridici degli atti adottati nell’ambito del terzo pilastro (senza specificare limitazioni temporali), indica che l’articolo 9 del Protocollo n. 36 è volto a garantire una transizione dal vecchio sistema intergovernativo al quadro generale dell’Unione il prima possibile, riconoscendo nel contempo le restrizioni e le peculiari caratteristiche del processo legislativo. Invero, se gli estensori del Trattato di Lisbona avessero voluto garantire il pieno compimento del processo di transizione entro un determinato arco temporale, l’articolo 9 avrebbe indubbiamente indicato (analogamente, ad esempio, all’articolo 10) termini in tal senso.

45.      Sono pertanto del parere che, per una corretta lettura dell’articolo 9 del Protocollo n. 36, occorra tenere conto delle particolari circostanze che hanno condotto alla «lisbonizzazione» del terzo pilastro e all’inserimento della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale nella più ampia cornice dell’Unione. Si può infatti sostenere che le norme transitorie assumano importanza ancora maggiore qualora intervengano modifiche all’architettura costituzionale. In tale contesto, è evidente che misure transitorie come quelle previste nel Protocollo n. 36 sono volte a garantire un’armoniosa transizione verso il nuovo sistema (e ad assicurare un grado di continuità). Ritengo, quindi, che la ratio sottesa a disposizioni quali l’articolo 9 sia di evitare inutili interruzioni nell’applicazione di atti giuridici adottati nell’ambito di un contesto normativo non più esistente.

46.      Più precisamente, l’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 attribuisce competenza al Consiglio ad assoggettare nuove sostanze psicoattive a misure di controllo. L’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS legittima il Consiglio a fissare la data di assunzione degli effetti della decisione medesima. Entrambe le disposizioni conferiscono quindi competenze (di esecuzione) al Consiglio. All’epoca di adozione delle decisioni di base, tale conferimento si fondava – come riconosciuto da ambedue le parti – sull’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE. Anche se astrattamente possibile, sembrerebbe illogico affermare, come fa il Parlamento, che la nozione di «effetti giuridici» (21) di cui all’articolo 9 del Protocollo n. 36 si riferisce solamente a parte, e non all’integralità, degli effetti giuridici prodotti dagli atti di cui trattasi. In base a tale lettura, la nozione di «effetti giuridici» non si estenderebbe agli effetti riguardanti la possibilità di adottare le misure di esecuzione necessarie a garantire che gli atti adottati nell’ambito del vecchio terzo pilastro continuino ad essere efficaci o anche, come nel caso della decisione VIS, a permetterne l’applicazione.

47.      È opportuno sottolineare che l’articolo 9 non opera distinzioni siffatte tra tipi diversi di effetti giuridici. In tale contesto, trovo altresì particolarmente convincente l’argomento dedotto dal Consiglio. Se l’interpretazione restrittiva (e in certa misura selettiva) suggerita dal Parlamento con riferimento all’articolo 9 del Protocollo n. 36 venisse accolta, ciò determinerebbe la paralisi di un numero di atti adottati ante‑Lisbona che richiedono un costante aggiornamento per poter assolvere le proprie funzioni. Questo avverrebbe in particolare se l’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 cessasse automaticamente di produrre effetti post‑Lisbona. La data di applicazione della decisione VIS verrebbe altresì notevolmente ritardata.

48.      È inoltre importante rammentare che il legislatore dispone solamente di opzioni limitate in sede di adozione di nuove normative (o di modifiche di normative esistenti). La scelta di modificare atti adottati sulla base del terzo pilastro è una scelta di politica che dovrebbe semplicemente rimanere tale. Un’interpretazione restrittiva dell’articolo 9 del Protocollo n. 36 comporterebbe sotto tale aspetto un aggravio ingiustificato del procedimento legislativo e limiterebbe le scelte a disposizione del legislatore in ordine a quali proposte avanzare. In parole semplici, ciò comporterebbe uno spreco di risorse (22).

49.      Il principio dell’equilibrio istituzionale è indubbiamente stato spesso utilizzato per rafforzare il ruolo (originariamente solo consultivo) del Parlamento nel procedimento legislativo (23). Nondimeno, è evidente che il principio non può essere interpretato nel senso che esso conferisce in automatico maggiori poteri al Parlamento a discapito delle altre istituzioni (24). In sostanza, tale principio dev’essere applicato in modo tale da garantire che la ripartizione di poteri tra le istituzioni prevista dal Trattato (e, come nel caso di specie, dall’articolo 9 del Protocollo n. 36) sia rispettata.

50.      Ciò detto, è difficile non sostenere l’idea di un rafforzamento del ruolo del Parlamento nell’adozione di atti correlati al vecchio terzo pilastro. Tale idea è infatti in linea con lo scopo più generale del processo di «lisbonizzazione» consistente nell’aumentare la responsabilità democratica in questo settore (25).

51.      Tuttavia, fintanto che l’atto in questione non sia stato abrogato, annullato o modificato, l’articolo 9 del Protocollo n. 36 continua ad applicarsi in quanto lex specialis rispetto alle norme generali del Trattato FUE. Lo stesso vale per quanto riguarda il conferimento di competenze al Consiglio per l’adozione di decisioni sulla base di tali atti.

3.      In cosa consiste una modifica?

52.      Si potrebbe, naturalmente, affermare (come fatto dal Parlamento di sfuggita, senza ulteriori approfondimenti sul punto) che le decisioni impugnate – e, in particolare, la decisione sulla data – costituiscono modifiche delle decisioni di base. Se così fosse, scatterebbe l’applicazione delle norme generali del Trattato FUE.

53.      Una simile affermazione presuppone una definizione estremamente ampia della nozione di modifica. Ciò significherebbe, in sostanza, che qualunque misura (di esecuzione) – la cui legittimità si fondi su atto del vecchio terzo pilastro e alla quale a priori si applichi l’articolo 9 – adottata post‑Lisbona potrebbe essere considerata una modifica dell’atto di base in questione (26).

54.      In primo luogo, con riferimento alle decisioni di esecuzione di cui trattasi, tali decisioni, a mio avviso, non incidono sulle scelte di politica del diritto effettuate nell’istituire un sistema di scambio di informazioni e di valutazione dei rischi correlati a nuove sostanze psicoattive, quale previsto nella decisione del 2005. Dette decisioni garantiscono, invece, un’effettiva applicazione della decisione del 2005 alle sostanze di nuova scoperta. Pur estendendo l’applicazione della decisione del 2005 a nuove sostanze, le decisioni di esecuzione di cui trattasi non modificano in alcun modo il sistema istituito da tale decisione.

55.      In secondo luogo, quanto alla decisione sulla data, osservo che la fissazione di una data di applicazione della decisione VIS non incide sul contenuto sostanziale o sull’effettiva entrata in vigore della medesima. Tale decisione è entrata in vigore già nel 2008, quale parte di un pacchetto di misure che include anche il regolamento VIS. In tal senso, a differenza della data di entrata in vigore, la fissazione di una data di applicazione costituisce soltanto una mera misura di esecuzione volta a garantire la sua piena applicazione in tutta l’Unione europea.

56.      Tenendo conto di tali considerazioni, passerò ora a valutare gli argomenti dedotti dalle parti in ordine alle basi giuridiche delle decisioni impugnate.

C –    Le basi giuridiche delle decisioni impugnate

57.      In maniera piuttosto insolita, le parti divergono non solo sulla validità della base giuridica utilizzata, ma anche sulle effettive basi giuridiche delle decisioni impugnate. Prima di poter esaminare la validità delle basi giuridiche delle decisioni impugnate, occorre quindi stabilire su quali basi queste ultime siano state effettivamente adottate.

58.      L’argomento principale del Parlamento è che la base giuridica delle decisioni impugnate sia, di fatto, l’abrogato articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE. Sebbene il Consiglio dissenta al riguardo, entrambe le parti concordemente ritengono che l’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE non possa costituire una base giuridica valida per le decisioni impugnate, essendo stato abrogato con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ai sensi dell’articolo 1, punto 51, di quest’ultimo. Ed invero, nell’attuale quadro costituzionale, non vi sono misure che preservino gli effetti di tale abrogata disposizione durante un periodo transitorio. Tuttavia, le parti traggono conclusioni radicalmente diverse da tale fatto pacifico.

59.      Si deve anzitutto osservare che la Corte esamina sistematicamente la validità della base giuridica di un atto facendo riferimento agli elementi desumibili dall’atto di cui trattasi. Quanto, poi, all’obbligo di indicare chiaramente la base giuridica di un provvedimento dell’Unione, la Corte ha riconosciuto che l’omessa specificazione di una precisa disposizione del Trattato non costituisce automaticamente una violazione delle forme sostanziali, purché la base giuridica del provvedimento possa essere determinata con il sostegno di altri suoi elementi (27).

60.      Né l’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE né, peraltro, il vecchio Trattato UE sono menzionati nelle decisioni impugnate (aspetto, questo, distinto dalla questione relativa all’esistenza, nelle decisioni di base, di un richiamo a tale disposizione, e sui riflessi che ciò potrebbe avere sulla legittimità di dette decisioni) (28). Le decisioni impugnate fanno solamente riferimento alle disposizioni pertinenti delle decisioni di base (ossia, a seconda dei casi, all’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 e all’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS) e al Trattato FUE nel suo insieme.

61.      Alla luce dell’approccio della Corte, sopra descritto, con riferimento alla validità della base giuridica di un atto, e ricordando che le decisioni impugnate fanno solamente riferimento alle pertinenti disposizioni delle decisioni di base e al Trattato FUE, fatico a scorgere la rilevanza dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE nella fattispecie. Quest’ultima disposizione si limitava a conferire al Consiglio, prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la competenza ad adottare le misure necessarie ad assicurare l’attuazione in tutta l’Unione europea di decisioni assunte sulla base della medesima disposizione. È pur vero che l’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 fa riferimento proprio a detta norma (a differenza dell’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS). Tuttavia, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, tale riferimento (o la sua assenza) non ha più alcuna rilevanza nell’ambito della presente analisi. Considerato che tutte e tre le decisioni impugnate sono state adottate dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sono convinto che il Trattato FUE costituisce il solo quadro rilevante per valutare la loro legittimità (e la competenza del Consiglio ad adottarle).

62.      A tale riguardo, non sembrano esservi dubbi circa la base giuridica effettivamente utilizzata per le decisioni impugnate: come indicato nel preambolo di ogni decisione, le decisioni di esecuzione di cui trattasi sono state adottate sulla base dell’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 e del Trattato FUE, mentre la decisione sulla data si basa sull’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS e sul Trattato FUE.

63.      A questo punto, devo rispondere all’argomento del Parlamento secondo cui il riferimento al Trattato FUE (nel suo insieme) è, ad ogni modo, troppo generico per costituire una base giuridica adeguata. Tale vago riferimento sarebbe fonte di incertezza giuridica.

64.      Di regola, un riferimento impreciso al Trattato, come il riferimento qui in esame, mi porterebbe a concludere che le decisioni impugnate devono essere annullate. Infatti, l’omessa chiara identificazione della base giuridica utilizzata – in linea di principio richiesta dalla Corte – è difficilmente conciliabile con il principio di attribuzione (29). Tuttavia, nel particolare contesto del caso di specie, devo dissentire dal Parlamento. A parte l’articolo 9 del Protocollo n. 36, nessun’altra disposizione del Trattato FUE sembra venire in rilievo nella fattispecie.

65.      Anche se il Consiglio avrebbe certamente potuto inserire un richiamo all’articolo 9 del Protocollo n. 36, l’utilità di un simile richiamo resta dubbia: infatti, tale disposizione provvisoria non prevede alcuna norma sostanziale che potesse fungere da base giuridica. Essa, invece, si limita a preservare gli effetti degli atti di diritto derivato rientranti nel vecchio terzo pilastro fino all’abrogazione, sostituzione o annullamento dei medesimi. In questo particolare contesto, sono proprio le basi giuridiche «derivate» – segnatamente l’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 e l’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS – che concretizzano il generico riferimento al Trattato FUE a rendere ammissibile detto generico riferimento al Trattato.

66.      Come sopra affermato, né la decisione del 2005 né la decisione VIS sono state ad oggi modificate. Pertanto, il fatto che le decisioni impugnate si riferiscano espressamente, a seconda dei casi, agli articoli 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 e 18, paragrafo 2, della decisione VIS, e al Trattato FUE in generale, costituisce a mio parere un’indicazione sufficiente della base giuridica delle decisioni impugnate.

67.      Alla luce di tale rilievo, l’interpretazione sopra adottata con riferimento all’articolo 9 del Protocollo n. 36 risulterà decisiva nel determinare se il Consiglio potesse legittimamente adottare le decisioni impugnate su tale base.

68.      Considerata l’interpretazione proposta al paragrafo 51 supra, non posso condividere la posizione sostenuta dal Parlamento circa l’invalidità delle basi giuridiche utilizzate per l’adozione delle decisioni impugnate. Alla luce della mia convinzione secondo cui l’interpretazione dell’articolo 9 del Protocollo n. 36 deve essere guidata dall’idea di un’armoniosa transizione, tale norma dev’essere intesa nel senso che essa preserva tutti gli effetti delle disposizioni previste dagli atti che ricadono nel suo ambito di applicazione. Pertanto, fintanto che le decisioni di base non siano state modificate, la competenza attribuita al Consiglio per l’adozione di misure di esecuzione resta pienamente efficace. In altri termini, per rendere applicabili le norme generali dell’Unione, sarebbe necessario modificare le decisioni di base. Il potere di proporre la modifica – oppure la sostituzione o l’abrogazione – di tali atti resta, tuttavia, una prerogativa della Commissione. Come ho già spiegato, sono persuaso che le decisioni impugnate non costituiscono modifiche delle decisioni di base ai sensi dell’articolo 9 del Protocollo n. 36.

69.      Tali considerazioni mi portano a concludere che le decisioni impugnate sono state adottate utilizzando la corretta base giuridica.

70.      Una conclusione in tal senso sarebbe di per sé sufficiente a far respingere per infondatezza i ricorsi proposti dal Parlamento. A fini di completezza, tuttavia, presenterò le osservazioni che seguono in ordine a due questioni ampiamente dibattute dalle parti nel corso del presente procedimento: l’uso di una base giuridica derivata e la mancata consultazione del Parlamento.

D –    Ulteriori questioni: uso di una base giuridica derivata e consultazione del Parlamento

71.      Nel corso del procedimento, il Parlamento ha più volte lamentato il fatto di non essere stato coinvolto nel processo decisionale, come sarebbe avvenuto in base al regime vigente prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nonché in base al quadro generale del Trattato FUE. Tuttavia, in udienza è stato appurato che il Parlamento non aveva chiesto di essere consultato nel procedimento che ha condotto all’adozione delle decisioni impugnate in quanto tali. L’argomento relativo alla mancanza di consultazione era semplicemente un modo di dimostrare che il processo decisionale seguito dal Consiglio nell’adozione delle decisioni impugnate si discosta da quello che vigeva nel regime ante‑Lisbona e che, ad avviso del Parlamento, avrebbe dovuto essere seguito ai fini di una corretta applicazione del quadro generale del Trattato FUE (30).

72.      A questo punto, è necessario ricordare brevemente che, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, gli articoli 34, paragrafo 2, lettera c), UE e 39 UE sono stati abrogati. Come osservato da entrambe le parti, tali disposizioni hanno quindi cessato di produrre ogni effetto giuridico e non possono essere usate come parametro di riferimento nell’individuazione della procedura appropriata per adottare le decisioni impugnate. Pertanto – e segnatamente alla luce del principio tempus regit actum – non si può sostenere che un obbligo di consultare il Parlamento permanga in forza dell’articolo 39 UE (31). Sul punto non sembrano esservi dubbi. Nondimeno, persistono notevoli divergenze sul fatto che l’abrogazione del precedente Trattato UE implichi o meno che l’articolo 8, paragrafo 2, della decisione del 2005 e l’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS siano divenuti basi giuridiche derivate invalide (32), in particolare perché tali disposizioni non richiedono la consultazione del Parlamento (33).

73.      Come già più volte ricordato, il fatto che l’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE sia stato abrogato non incide sull’attribuzione di competenze di esecuzione in base all’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 e all’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS, e questo grazie all’articolo 9 del Protocollo n. 36. Tale disposizione mantiene gli effetti di tali disposizioni attributive di competenza nonostante l’abrogazione del quadro costituzionale nel quale la decisione del 2005 e la decisione VIS sono state adottate.

74.      Anche a costo di affermare l’ovvio, si deve ricordare che tale quadro è stato sostituito dal Trattato FUE. Tuttavia, l’articolo 9 del Protocollo n. 36 costituisce parte integrante di tale Trattato e, dunque, del nuovo quadro costituzionale (34). È tale disposizione di diritto primario che consente di continuare ad avvalersi delle competenze di esecuzione attribuite al Consiglio prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, mantenendo gli effetti, durante il periodo transitorio, di qualsiasi attribuzione di competenze di esecuzione esistente. Considerata l’esistenza dell’articolo 9, l’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 e l’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS non si discostano affatto dalle norme previste dal Trattato FUE al punto da costituire basi giuridiche derivate invalide.

75.      È pur vero che si potrebbe sostenere che l’obbligo di consultazione ai sensi dell’articolo 39 UE previsto nel regime ante‑Lisbona non scompare semplicemente a causa della modifica del quadro costituzionale. La sopravvivenza di tale obbligo sarebbe coerente con l’obiettivo del processo di «lisbonizzazione» di rafforzare il coinvolgimento del Parlamento nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

76.      Ritengo, tuttavia, che debba essere riconosciuta particolare importanza all’articolo 9 del Protocollo n. 36, che si limita a mantenere gli effetti giuridici degli atti di diritto derivato esistenti adottati sulla base del vecchio terzo pilastro. Considerato il silenzio non solo di tale disposizione di diritto primario, ma anche del Trattato FUE in generale quanto all’obbligo di consultare il Parlamento con riferimento a misure di esecuzione adottate sulla base di competenze precedentemente attribuite, non mi pare corretto ravvisare un simile obbligo all’interno dell’attuale Trattato FUE. Ciò è a maggior ragione vero in quanto sia l’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE sia l’articolo 39 UE sono stati abrogati conformemente all’articolo 1, punto 51, del Trattato di Lisbona (35). Di conseguenza, le decisioni di esecuzione adottate sulla doppia base di atti del terzo pilastro e dell’articolo 9 del Protocollo n. 36 costituiscono, in via temporanea, uno speciale tipo di misura la cui adozione non richiede il coinvolgimento del Parlamento.

77.      Concludo, pertanto, nel senso che i tre ricorsi proposti dal Parlamento nelle cause riunite C‑317/13 e C‑679/13 e nella causa C‑540/13 devono essere respinti in quanto infondati. Alla luce di tale conclusione, non è necessario esaminare la richiesta presentata da entrambe le parti circa la necessità di mantenere gli effetti delle decisioni impugnate fino alla sostituzione con nuovi atti.

E –    Spese

78.      Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In tutte e tre le cause, il Consiglio ne ha fatto domanda e il Parlamento è risultato soccombente.

79.      Ai sensi dell’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le spese sostenute dagli Stati membri e dalle istituzioni intervenuti nella causa restano a loro carico. La Repubblica d’Austria deve quindi farsi carico delle proprie spese nelle cause riunite C‑317/13 e C‑679/13.

IV – Conclusione

80.      Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di pronunciarsi nel modo seguente:

–        respingere i ricorsi proposti dal Parlamento nelle cause riunite C‑317/13 e C‑679/13 e nella causa C‑540/13;

–        condannare il Parlamento alle spese, e

–        condannare la Repubblica d’Austria a farsi carico delle proprie spese.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – L’articolo 9 figura nel titolo VII di tale Protocollo, che riguarda gli atti adottati sulla base dei titoli V e VII della versione ante‑Lisbona del Trattato sull’Unione europea.


3 – Decisione 2005/387/GAI del Consiglio, del 10 maggio 2005, relativa allo scambio di informazioni, alla valutazione dei rischi e al controllo delle nuove sostanze psicoattive (GU 2005, L 127, pag. 32).


4 – Decisione 2013/129/UE del Consiglio, del 7 marzo 2013, che sottopone a misure di controllo la 4-metilanfetamina (GU L 72, pag. 11) (in prosieguo: la «prima decisione di esecuzione»), e decisione di esecuzione 2013/496/UE del Consiglio, del 7 ottobre 2013, che sottopone a misure di controllo il 5-(2-amminopropil)indolo (GU L 272, pag. 44) (in prosieguo: la «seconda decisione di esecuzione» o, congiuntamente: le «decisioni di esecuzione di cui trattasi»).


5 – Visa Information System (sistema di informazione visti). Il VIS è stato istituito con decisione 2004/512/CE del Consiglio, dell’8 giugno 2004, che istituisce il sistema di informazione visti (VIS) (GU L 213, pag. 5).


6 – Decisione 2008/633/GAI del Consiglio, del 23 giugno 2008, relativa all’accesso per la consultazione al sistema di informazione visti (VIS) da parte delle autorità designate degli Stati membri e di Europol ai fini della prevenzione, dell’individuazione e dell’investigazione di reati di terrorismo e altri reati gravi (GU L 218, pag. 129).


7 – Regolamento (CE) n. 767/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, concernente il sistema di informazione visti (VIS) e lo scambio di dati tra Stati membri sui visti per soggiorni di breve durata (regolamento VIS) (GU L 218, pag. 60).


8 – Decisione 2013/392 del Consiglio, del 22 luglio 2013, che fissa la data di decorrenza degli effetti della decisione 2008/633/GAI relativa all’accesso per la consultazione al sistema di informazione visti (VIS) da parte delle autorità designate degli Stati membri e di Europol ai fini della prevenzione, dell’individuazione e dell’investigazione di reati di terrorismo e altri reati gravi (GU L 198, pag. 45) (in prosieguo: la «decisione sulla data»).


9 – Il Parlamento deduce, in via subordinata, che l’articolo 8, paragrafo 3, della decisione del 2005 costituisce una base giuridica derivata invalida. Nel suo controricorso, il Consiglio interpreta tale deduzione come un’eccezione di illegittimità ai sensi dell’articolo 277 TFUE. Pur non formulando espresse conclusioni in tal senso nella causa C‑540/13, un argomento simile riguardante la decisione VIS viene sollevato nel testo delle osservazioni del Consiglio in detta causa.


10 – Nonostante la somiglianza dei motivi dedotti in tutte e tre le cause, tali motivi sono esposti in ordine inverso nelle cause C‑679/13 e C‑540/13 rispetto alla causa C‑317/13. Il Parlamento censura la procedura utilizzata, dato che, secondo le norme vigenti prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, esso doveva essere consultato ai sensi dell’articolo 39 UE in sede di adozione da parte del Consiglio di misure rientranti nel terzo pilastro.


11 – L’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE conferiva al Consiglio competenza ad adottare, a maggioranza qualificata, le misure necessarie all’attuazione a livello dell’Unione di decisioni coerenti con gli obiettivi del titolo VI del Trattato UE, escluso qualsiasi ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, adottate in base a tale norma.


12 – L’origine di tale confusione può, in effetti, essere ricondotta al controricorso del Consiglio nella causa C‑317/13. Il Consiglio ha interpretato gli argomenti dedotti dal Parlamento nel suo ricorso con riferimento a dette disposizioni come un’eccezione di illegittimità ai sensi dell’articolo 277 TFUE. Il Parlamento, tuttavia, non ha in alcun modo cercato di chiarire la questione nella sua replica o nelle sue altre osservazioni scritte. Al contrario, il Parlamento ha ulteriormente contribuito all’incomprensione fornendo alla Corte lunghe spiegazioni relative, in particolare, alle ragioni per cui esso era legittimato a contestare la legittimità della decisione del 2005 e quella della decisione VIS (in prosieguo, congiuntamente: le «decisioni di base»).


13 – Per una panoramica sull’evoluzione del principio dell’equilibrio istituzionale nel sistema giuridico dell’Unione, v. Jacqué, J.‑P., «The Principle of Institutional Balance», Common Market Law Review 41/2004, pagg. da 383 a 391. V. anche Curtin, D., «EU Constitution as Architecture — Separation of Powers in the Twenty-First Century», in Reestman, J.‑H., Schrauwen, A., van Montfrans, M., e Jans, J., De Regels en het spel — Opstellen over recht, filosofie, literatuur en geschiedenis aangeboden aan Tom Eijsbouts, TMC Asser Press, L’Aia, 2011, pagg. da 123 a 133, in particolare pagg. 126 e segg. Per una prima discussione del principio nella giurisprudenza, v. sentenza del 13 giugno 1958, Meroni/Alta Autorità (9/56, EU:C:1958:7).


14 – Ciò è avvenuto a seguito della firma del Trattato di Amsterdam, il 1° maggio 1999. In tale contesto, il Consiglio doveva predisporre un elenco di elementi delle misure Schengen costituenti l’acquis, individuando la corrispondente base giuridica per ciascuno di tali elementi nei Trattati (Trattato CE o Trattato sull’Unione europea). Tale operazione è stata compiuta con la decisione 1999/435/CE del Consiglio, del 20 maggio 1999, che definisce l’acquis di Schengen ai fini della determinazione, in conformità del Trattato che istituisce la Comunità europea e del Trattato sull’Unione europea, della base giuridica per ciascuna delle disposizioni o decisioni che costituiscono l’acquis (GU L 176, pag. 1), e con la decisione 1999/436/CE del Consiglio, del 20 maggio 1999, che determina, in conformità delle pertinenti disposizioni del Trattato che istituisce la Comunità europea e del Trattato sull’Unione europea, la base giuridica per ciascuna delle disposizioni o decisioni che costituiscono l’acquis di Schengen (GU L 176, pag. 17).


15 – In aggiunta, applicando la seconda opzione, le decisioni di base avrebbero anche potuto essere modificate con l’aggiunta di una disposizione riguardante, nel caso della decisione del 2005, l’applicazione delle misure di controllo a nuove sostanze psicoattive o, nel caso della decisione VIS, la data di assunzione degli effetti di tale decisione.


16 – Tuttavia, in udienza, il Parlamento si è frequentemente riferito alle decisioni impugnate definendole misure di esecuzione.


17 – Per questa distinzione nella giurisprudenza, v., ad esempio, sentenza Parlamento/Consiglio (C‑355/10, EU:C:2012:516, punti da 64 a 66), secondo cui l’adozione di norme relative a elementi essenziali non può essere delegata. Per precedenti riferimenti a tale principio, v. sentenze Parlamento/Commissione (C‑156/93, EU:C:1995:238, punto 18 e giurisprudenza citata); Parlamento/Consiglio (C‑303/94, EU:C:1996:238, punto 23); Söhl & Söhlke (C‑48/98, EU:C:1999:548, punto 34) e Parlamento/Consiglio (C‑133/06, EU:C:2008:257, punto 45).


18 – Nell’ambito dell’adesione di nuovi Stati membri all’Unione europea, l’applicazione di misure transitorie a detti Stati ha dato origine a una copiosa giurisprudenza. In tale situazione, la finalità generale delle misure transitorie è di agevolare il passaggio dal regime esistente nei nuovi Stati membri a quello derivante dall’applicazione del diritto dell’Unione. V., ad esempio, sentenze Danisco Sugar (C‑27/96, EU:C:1997:563); Weidacher (C‑179/00, EU:C:2002:18); Parlamento/Consiglio (C‑413/04, EU:C:2006:741) e Polonia/Commissione (C‑336/09 P, EU:C:2012:386).


19 – Dichiarazione relativa all’articolo 10 del Protocollo n. 36 allegato all’atto finale della Conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007.


20 – L’articolo 10 riguarda i poteri rispettivi delle istituzioni dell’Unione rispetto ai preesistenti atti del terzo pilastro. L’articolo 10, paragrafo 1, statuisce, tra l’altro, che, con riferimento ai preesistenti atti del terzo pilastro, le attribuzioni della Corte restino invariate rispetto alla data di entrata in vigore di tale Trattato. Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, la modifica di un simile atto fa cessare lo speciale regime che disciplina la competenza della Corte. Infine, l’articolo 10, paragrafo 3, limita l’applicazione nel tempo della misura transitoria menzionata al paragrafo 1. Il regime transitorio speciale cessa di avere effetto cinque anni dopo la data di entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ossia il 1° dicembre 2014.


21 – In un diverso contesto, la Corte ha inoltre interpretato il concesso di «atti che hanno effetti giuridici» in maniera ampia, così da includervi raccomandazioni adottate da un’organizzazione internazionale. V. sentenza del 7 ottobre 2014, Germania/Consiglio (C‑399/12, EU:C:2014:2258, punti 56 e segg.).


22 – La Dichiarazione n. 50 corrobora questo parere, poiché invita le istituzioni a adeguare le misure del vecchio terzo pilastro al nuovo contesto, per quanto possibile durante periodo transitorio di cinque anni applicabile di cui all’articolo 10, paragrafo 1, del Protocollo n. 36.


23 – Per importanti esempi di tale tendenza, v., ad esempio, sentenze Roquette Frères/Consiglio (138/79, EU:C:1980:249) e Parlamento/Consiglio (C‑70/88, EU:C:1990:217).


24 – V. in tal senso, sentenza Wybot (149/85, EU:C:1986:310, punto 23).


25 – V., più in generale, Parlamento/Consiglio (C‑130/10, EU:C:2012:472, punto 81 e giurisprudenza citata). Non tutti condividono questa visione positiva della responsabilità. Per una nota critica, v. Charlemagne, «The will to power: The European Parliament would like you to know that it matters», The Economist, 4 ottobre 2014: «Il Parlamento, facendo leva sull’argomento, all’apparenza attraente, secondo cui esso è la sola istituzione direttamente responsabile nei confronti degli elettori, ha accresciuto le proprie competenze negli ultimi decenni. Come un bambino che riceve caramelle, ogni dolcetto che ottiene lo spinge a chiederne altri» [traduzione libera].


26 – Tuttavia, condivido l’opinione secondo cui anche una modifica di minima entità (purché effettivamente interpretabile come modifica) è sufficiente a determinare l’applicazione delle nuove norme. Sull’assenza di una regola de minimis in questo contesto e sui problemi riguardanti i criteri di identificazione di ciò che costituisce una modifica, v. Peers, S., «Finally “Fit for Purpose”? The Treaty of Lisbon and the End of the Third Pillar Legal Order», in Eeckhout, P., e Tridimas, T. (eds), 27(2008) Yearbook of European Law, pagg. da 47 a 64, in particolare pagg. 55 e segg.


27 – V. sentenza Commissione/Consiglio (C‑370/07, EU:C:2009:590, punto 56 e giurisprudenza citata). Un simile riferimento esplicito è tuttavia richiesto dalla Corte nel caso in cui, in sua mancanza, gli interessati e la Corte siano lasciati nell’incertezza circa il preciso fondamento giuridico.


28 – Come sopra accennato, l’argomento è stato discusso dalle parti nelle loro memorie scritte, sebbene successivamente, in udienza, sia emerso che il Parlamento non aveva inteso mettere in discussione la legittimità delle decisioni di base o di loro parti.


29 – V. sentenza Commissione/Consiglio (C‑370/07, EU:C:2009:590, punto 56 e segg). Sul principio di attribuzione, v., ad esempio, sentenza Parlamento/Commissione (C‑403/05, EU:C:2007:624, punto 49 e giurisprudenza citata). V. anche, recentemente, parere 1/13 (EU:C:2014:2303, punto 74).


30 – V. paragrafo 32 supra.


31 – Il Consiglio rileva, senza essere contraddetto sul punto dal Parlamento, che, prima dell’adozione del Trattato di Lisbona, una decisione simile alle decisioni di esecuzione di cui trattasi era adottata solo previa consultazione del Parlamento ai sensi dell’articolo 39 UE.


32 – V. sentenza Parlamento/Consiglio (C‑133/06, EU:C:2008:257, punti da 54 a 57), in cui la Corte respinge fermamente la possibilità di utilizzare basi giuridiche che modificano le procedure stabilite dai Trattati.


33 – Con riferimento all’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS, il Parlamento sostiene inoltre che la mancanza di una regola di voto formulata espressamente in tale disposizione costituisce una modifica del processo decisionale stabilito dai Trattati [in questo contesto, dall’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), UE].


34 – V. articolo 51 TUE.


35 – La stessa osservazione si applica alla questione delle regole di voto (o della loro assenza) nell’articolo 18, paragrafo 2, della decisione VIS e dell’asserito effetto di espansione delle regole di voto previste all’articolo 34 UE. Fintanto che il conferimento di competenze stabilito da tale disposizione di diritto derivato resta in vigore in forza dell’articolo 9 del Protocollo n. 36, la regola di voto applicabile, come rilevato dal Consiglio, dev’essere individuata nell’articolo 16, paragrafo 3, TUE. Ai sensi di tale disposizione, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente. Si deve anche notare che norme transitorie specifiche si applicano al voto a maggioranza qualificata. Tali norme, applicate dal Consiglio con riferimento alla decisione sulla data, sono stabilite al Protocollo n. 36.