Language of document : ECLI:EU:C:1999:115

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

4 marzo 1999 (1)

«Artt. 30 e 36 del Trattato CE - Regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari»

Nel procedimento C-87/97,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CE, dallo Handelsgericht di Vienna (Austria), nella causa dinanzi ad esso pendente tra

Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola

e

Käserei Champignon Hofmeister GmbH & Co. KG,

Eduard Bracharz GmbH,

domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 30 e 36 del Trattato CE,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta dai signori J.-P. Puissochet (relatore), presidente di sezione, P. Jann, C. Gulmann, D.A.O. Edward e L. Sevón, giudici,

avvocato generale: F.G. Jacobs


cancelliere: L. Hewlett, amministratore

viste le osservazioni scritte presentate:

-    per il Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola, dagli avv.ti Günther Frosch e Peter Klein, del foro di Vienna;

-    per la Käserei Champignon Hofmeister GmbH & Co. KG e la Eduard Bracharz GmbH, dall'avv. Christian Hauer, del foro di Vienna;

-    per il governo austriaco, dalla signora Christine Stix-Hackl, «Gesandte» presso il ministero federale degli Affari esteri, in qualità di agente;

-    per il governo ellenico, dal signor Ioannis-Konstantinos Chalkias, consigliere giuridico aggiunto presso l'Avvocatura dello Stato, e dalla signora Ioanna Galani-Maragkoudaki, consigliere giuridico speciale aggiunto presso il servizio speciale del contenzioso comunitario del ministero degli Affari esteri, in qualità di agenti;

-    per il governo francese, dalla signora Kareen Rispal-Bellanger, vicedirettore presso la direzione «Affari giuridici» del ministero degli Affari esteri, e dal signor Frédéric Pascal, addetto d'amministrazione centrale presso la medesima direzione, in qualità di agenti;

-    per il governo italiano, dal professor Umberto Leanza, capo del servizio del contenzioso diplomatico del ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, assistito dal signor Ivo Maria Braguglia, avvocato dello Stato;

-    per la Commissione delle Comunità europee, dal signor José Luis Iglesias Buhigues, consigliere giuridico, in qualità di agente, assistito dall'avv. Bertrand Wägenbaur, del foro di Amburgo,

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali del Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola, rappresentato dagli avv.ti Günther Frosch e Peter Klein, della Käserei Champignon Hofmeister GmbH & Co. KG e della Eduard Bracharz GmbH, rappresentati dall'avv. Christian Hauer, del governo ellenico, rappresentato dal signor Ioannis-Konstantinos Chalkias e dalla signora Ioanna Galani-Maragkoudaki, del governo francese, rappresentato dalla signora Christina Vasak, segretario aggiunto agli affari esteri presso la direzione «Affari giuridici» del ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, del governo italiano rappresentato dal signor Ivo Braguglia, e della Commissione, rappresentata dal signor José Luis Iglesias Buhigues, assistito dall'avv. Bertrand Wägenbaur, all'udienza del 24 settembre 1998,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 17 dicembre 1998,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1.
    Con ordinanza 18 luglio 1996, giunta alla Corte il 27 febbraio 1997, lo Handelsgericht di Vienna ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE, due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 30 e 36 del medesimo Trattato.

2.
    Le questioni sono sorte nell'ambito di una controversia tra il Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola e la Käserei Champignon Hofmeister GmbH & Co. KG (in prosieguo: la «Käserei Champignon») nonché la Eduard Bracharz GmbH (in prosieguo: la «Eduard Bracharz») relativamente ad una domanda volta ad ottenere l'inibitoria della distribuzione di un formaggio erborinato con la denominazione «Cambozola» in Austria nonché la cancellazione del relativo marchio depositato.

3.
    Il Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola ha inizialmente fondato la domanda su disposizioni del diritto internazionale nonché sulla normativa austriaca.

Il diritto internazionale e la normativa nazionale

4.
    L'art. 3 della convenzione internazionale sull'uso dei nominativi di origine e delle denominazioni dei formaggi firmata a Stresa il 1° giugno 1951 (in prosieguo: la «convenzione di Stresa»), riserva in via esclusiva le denominazioni d'origine disciplinate da una normativa nazionale «ai formaggi prodotti o stagionati nella regione tradizionale, sulla scorta di usi locali, leali e costanti». L'art. 1 della medesima convenzione vieta l'uso di designazioni di formaggi contrarie a taleprincipio. Così come integrata dal protocollo aggiuntivo, la convenzione designa la denominazione «Gorgonzola (Italia)» come denominazione d'origine.

5.
    La convenzione di Stresa è rimasta in vigore nel territorio austriaco dall'11 luglio 1955 ed ha cessato di produrvi effetti dal 9 febbraio 1996 in esito alla denuncia mediante nota del governo austriaco 30 novembre 1994.

6.
    L'art. 2 dell'accordo tra il governo austriaco e il governo italiano relativo ai nominativi geografici di origine e alle denominazioni di alcuni prodotti, firmato a Roma il 1° febbraio 1952, vieta l'importazione e la vendita dei prodotti recanti, anche sulla confezione o nei marchi, le denominazioni contenute nell'allegato che siano atte ad ingannare il pubblico sull'origine, il tipo, il carattere o le qualità speciali dei detti prodotti o merci. Il protocollo aggiuntivo al detto accordo, firmato a Vienna il 17 dicembre 1969, ha esteso la protezione prevista dall'accordo alla denominazione «Gorgonzola», ma unicamente per il caso in cui la convenzione di Stresa venga abrogata o modificata.

7.
    L'art. 2 del Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb (legge austriaca contro la concorrenza sleale) vieta le frodi, in particolare sulle qualità, l'origine e le modalità di produzione delle merci, e l'art. 9 della medesima legge vieta l'utilizzo abusivo delle denominazioni d'impresa.

Il diritto comunitario

8.
    Ai sensi dell'art. 2 del titolo A dell'allegato del regolamento (CE) della Commissione 12 giugno 1996, n. 1107, relativo alla registrazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine nel quadro della procedura di cui all'articolo 17 del regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio (GU L 148, pag. 1), la denominazione «Gorgonzola» costituisce una denominazione d'origine protetta a livello comunitario dal 21 giugno 1996. Gli artt. 13 e 14 del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari (GU L 208, pag. 1), stabiliscono le condizioni cui è subordinata la prosecuzione dell'uso di un marchio eventualmente incompatibile con una denominazione d'origine di cui sia stata chiesta la registrazione dopo la registrazione del marchio.

9.
    Ai sensi dell'art. 13, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2081/92:

«1.    Le denominazioni registrate sono tutelate contro:

a)    qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con questa denominazione o nella misura in cui l'uso di tale denominazione consenta di sfruttare indebitamente la reputazione della denominazione protetta;

b)    qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l'origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali ”genere”, ”tipo”, ”metodo”, ”alla maniera”, ”imitazione” o simili;

c)    qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all'origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti usata sulla confezione o sull'imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi ai prodotti considerati nonché l'impiego, per la confezione, di recipienti che possono indurre in errore sull'origine;

d)    qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il pubblico sulla vera origine dei prodotti.

(...)

2.    Gli Stati membri possono tuttavia mantenere le misure nazionali che autorizzano l'impiego delle espressioni di cui alla lettera b) del paragrafo 1 per un periodo massimo di cinque anni a decorrere dalla data di pubblicazione del presente regolamento, sempreché:

    -    i prodotti siano stati commercializzati legalmente con tali espressioni per almeno cinque anni prima della data di pubblicazione del presente regolamento;

    -    dalle etichette risulti chiaramente la vera origine dei prodotti.

    Questa deroga non può tuttavia condurre alla libera commercializzazione dei prodotti nel territorio di uno Stato membro per il quale dette espressioni erano vietate».

10.
    Ai sensi dell'art. 14, n. 2, del medesimo regolamento:

«Nel rispetto del diritto comunitario, l'uso di un marchio corrispondente ad una delle situazioni di cui all'articolo 13, registrato in buona fede anteriormente alla data di presentazione della domanda di registrazione o della denominazione d'origine o dell'indicazione geografica può proseguire, nonostante la registrazione di una denominazione d'origine o di un'indicazione geografica, qualora il marchio non incorra nella nullità o decadenza per i motivi previsti dalla direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri sui marchi, rispettivamente all'articolo 3, paragrafo 1, lettere c) e g) e all'articolo 12, paragrafo 2, lettera b)».

11.
    Ai sensi dell'art. 3, n. 1, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1):

«Sono esclusi dalla registrazione, o, se registrati, possono essere dichiarati nulli:

(...)

c)    i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio;

(...)

g)    i marchi di impresa che sono di natura tale da ingannare il pubblico, per esempio circa la natura, la qualità o la provenienza geografica del prodotto o del servizio;

(...)».

12.
    Ai sensi dell'art. 12, n. 2, della medesima direttiva:

«Il marchio di impresa è suscettibile inoltre di decadenza quando esso dopo la data di registrazione:

(...)

b)    è idoneo a indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza geografica dei suddetti prodotti o servizi, a causa dell'uso che ne viene fatto dal titolare del marchio di impresa o con il suo consenso per i prodotti o servizi per i quali è registrato».

Le questioni pregiudiziali

13.
    Con ordinanza 24 giugno 1994, emessa in sede di procedimento sommario, lo Handelsgericht di Vienna vietava alle convenute nel processo a quo di smerciare, nelle more del detto procedimento, un formaggio erborinato recante la denominazione «Cambozola»; detto giudice si è quindi interrogato, alla luce dell'adesione della Repubblica d'Austria all'Unione europea, sulla questione se i provvedimenti richiestigli, oggetto dell'ordinanza d'urgenza, fossero compatibili con le norme comunitarie relative alla libera circolazione delle merci. Essi potrebbero infatti configurare una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa ai sensi dell'art. 30 del Trattato ma, trattandosi della tutela di una denominazionedi provenienza geografica, sarebbe nondimeno ipotizzabile una giustificazione ex art. 36 del Trattato.

14.
    Ritenendo che la soluzione della controversia richiedesse l'interpretazione delle dette disposizioni lo Handelsgericht di Vienna ha deciso di sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte le due seguenti questioni pregiudiziali:

«1.    Se allo stato attuale del diritto comunitario sia compatibile con i principi della libera circolazione delle merci (artt. 30 e 36 del Trattato CE) il fatto che un formaggio prodotto legalmente dal 1977 in uno Stato membro e contrassegnato con il marchio ”Cambozola”, che dal 1983 viene distribuito in un altro Stato membro, non può essere smerciato in questo Stato membro con la denominazione ”Cambozola” in forza di una disposizione nazionale fondata su di un accordo internazionale sulla tutela delle denominazioni di provenienza e denominazioni di taluni prodotti (il quale tutela la denominazione ”Gorgonzola”) nonché su di un divieto nazionale delle indicazioni ingannevoli.

2)    Se per la soluzione di tale questione rilevi che l'imballaggio del tipo di formaggio contrassegnato con il marchio ”Cambozola” rechi un riferimento chiaramente visibile al paese di produzione [”Deutscher Weichkäse” (formaggio tenero tedesco)], qualora di regola questo formaggio non venga esposto e venduto ai consumatori in forme intere, bensì a pezzi, in parte senza imballaggio originale».

15.
    La tutela della denominazione d'origine «Gorgonzola» è stata trasferita nell'ambito comunitario con regolamento n. 1107/96 a decorrere dal 21 giugno 1996, data di entrata in vigore della registrazione di tale denominazione in forza del regolamento n. 2081/92. Pertanto le questioni sottoposte alla Corte vanno considerate unicamente nell'ambito delle norme comunitarie relative alla tutela delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli e dei generi alimentari.

16.
    Infatti, benché formalmente il giudice a quo abbia limitato le questioni all'interpretazione degli artt. 30 e 37 del Trattato, ciò non osta a che la Corte fornisca al giudice nazionale tutti gli elementi interpretativi di diritto comunitario che possono consentirgli di dirimere la controversia sottopostagli a prescindere dal fatto che vi abbia fatto o no riferimento nel formulare le questioni (v. in particolare, in tal senso, sentenze 12 dicembre 1990, causa C-241/89, SARPP, Racc. pag. I-4695, punto 8, e 2 febbraio 1994, causa C-315/92, Verband Sozialer Wettbewerb, cosiddetta «Clinique», Racc. I-317, punto 7).

17.
    Ora, nel caso di specie, emerge chiaramente dall'oggetto delle domande proposte nel processo a quo che qualsiasi discussione relativa alla situazione giuridica precedente all'entrata in vigore del regolamento n. 1107/96 e alla registrazione della denominazione d'origine protetta «Gorgonzola» che ne risulta sarebbe inutile perla soluzione della controversia che deve dirimere, come risulta del resto dal testo stesso adottato dal giudice a quo per interrogare la Corte sullo «stato attuale del diritto comunitario».

18.
    Per quanto riguarda l'argomento dell'attrice nel processo a quo, secondo cui la tutela concessa da uno Stato membro ad una denominazione d'origine continuerebbe a sussistere dopo la registrazione della detta denominazione ai sensi del regolamento n. 2081/92, perché di portata superiore a quella della tutela comunitaria, esso è contraddetto dal dettato stesso dell'art. 17, n. 3 del medesimo regolamento, che consente agli Stati membri di mantenere la protezione nazionale di una denominazione solo fino alla data in cui venga presa una decisione in merito alla registrazione come denominazione protetta a livello comunitario (v. in tal senso sentenza 9 giugno 1998, cause riunite C-129/97 e C-130/97, Chiciak e Fol, Racc. pag. I-3315, punto 28). Pertanto unicamente il regime giuridico derivante dal regolamento n. 2081/92 può essere preso in considerazione, ad integrazione delle norme del Trattato, per risolvere le questioni sollevate dal giudice a quo.

19.
    Con tali questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice a quo domanda in sostanza se il diritto comunitario osti a provvedimenti nazionali volti a vietare la distribuzione di un formaggio erborinato con il nome «Cambozola» al fine di garantire la tutela della denominazione d'origine «Gorgonzola», restando inteso che sull'imballaggio del prodotto considerato è menzionata la sua vera origine.

20.
    Gli artt. 30 e 36 del Trattato, che non ostano all'applicazione delle norme di una convenzione bilaterale tra Stati membri relativa alla tutela delle indicazioni di provenienza e delle denominazioni d'origine purché le denominazioni tutelate non abbiano acquistato natura generica nello Stato d'origine (v. sentenza 10 novembre 1992, causa C-3/91, Exportur, Racc. pag. I-5529, punto 39), non possono a fortiori impedire che gli Stati membri prendano i provvedimenti necessari per la tutela delle denominazioni registrate in forza del regolamento n. 2081/92 e che in quanto tali, conformemente all'art. 3 del detto regolamento, sono prive di natura generica. Nel caso di specie sarà quindi sufficiente, per fornire una soluzione utile al giudice a quo, interpretare le disposizioni della normativa comunitaria che disciplinano la possibilità di mantenere in uso un marchio come «Cambozola».

21.
    L'art. 14 del regolamento n. 2081/92 disciplina in particolare i rapporti tra le denominazioni registrate in forza del regolamento e i marchi. Pertanto, benché l'art. 13, n. 2, del medesimo regolamento consenta in via eccezionale il mantenimento di provvedimenti nazionali che autorizzino l'uso di certe espressioni durante un periodo di cinque anni, tale disposizione non è volta a consentire la prosecuzione dell'uso di marchi. Contrariamente a quanto emerge dalle osservazioni del governo austriaco, l'art. 13, n. 2, nella versione iniziale così come del resto in quella che risulta dalla modifica effettuata con regolamento (CE) del Consiglio 17 marzo 1997, n. 535 (GU L 83, pag. 3), non è applicabile ad una situazione come quella su cui verte il processo a quo.

22.
    Occorre stabilire anzitutto se, in circostanze come quelle su cui verte il processo a quo, l'uso di un termine come «Cambozola» corrisponda ad una delle situazioni di cui all'art. 13, n. 1, del regolamento n. 2081/92.

23.
    Le convenute nel processo a quo propendono per la negativa affermando in particolare che non vi è «evocazione» ai sensi dell'art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento n. 2081/92 quando vi è solo un'associazione di idee che, nel contenzioso dei marchi, non costituisca un rischio di confusione (sentenza 11 novembre 1997, causa C-251/95, SABEL, Racc. pag. I-6191) ovvero quando il termine controverso si limiti a riprendere una parte di una denominazione protetta i cui componenti non fruiscono in quanto tali di tutela comunitaria (sentenza Chiciak e Fol, citata, punto 39).

24.
    L'attrice nel processo a quo, tutti i governi che hanno presentato osservazioni scritte e la Commissione convengono che la situazione di cui trattasi rientra nell'ambito d'applicazione dell'art. 13, n. 1, del regolamento n. 2081/92, e il governo italiano osserva inoltre che spetterà al giudice nazionale pronunciarsi sull'applicazione di tale disposizione alle circostanze precise che deve valutare.

25.
    A questo proposito la nozione di evocazione di cui all'art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento n. 2081/92 si riferisce all'ipotesi in cui il termine utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una denominazione protetta, di modo che il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto ad aver in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce dalla denominazione.

26.
    In particolare può esservi, contrariamente a quanto sostengono le convenute nel processo a quo, l'evocazione di una denominazione protetta in mancanza di qualunque rischio di confusione tra i prodotti di cui è causa, pur non applicandosi nessuna tutela comunitaria agli elementi della denominazione di riferimento che riprende la terminologia controversa, come ha osservato l'avvocato generale ai paragrafi 37 e 38 delle conclusioni.

27.
    Trattandosi di un formaggio a pasta molle erborinato il cui aspetto esterno presenta analogie con quelle del formaggio «Gorgonzola», sembra legittimo ritenere che vi sia evocazione di una denominazione protetta qualora la parola utilizzata per designarlo termini con le due medesime sillabe della detta denominazione e ne comporti il medesimo numero di sillabe, risultandone una similarità fonetica ed ottica manifesta tra i due termini.

28.
    In tale contesto sembrerebbe del resto opportuno che il giudice a quo prenda in considerazione un documento pubblicitario edito dalla Käserei Champignon e versato agli atti dall'attrice nel processo a quo, documento che sembra indicare che l'analogia fonetica fra le due denominazioni non è frutto di circostanze fortuite.

29.
    L'art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento n. 2081/92 dispone inoltre in modo esplicito che l'eventuale indicazione della vera origine del prodotto sull'imballaggio o in altro modo non ha alcuna incidenza sulla sua qualificazione per quanto riguarda le nozioni citate dal detto comma.

30.
    Se l'uso di un marchio come «Cambozola» corrisponde ad una delle ipotesi in cui si applica la tutela delle denominazioni registrate occorre stabilire se ricorrano i presupposti definiti dall'art. 14, n. 2, del regolamento n. 2081/92 affinché sia possibile la prosecuzione dell'uso di un marchio registrato in precedenza.

31.
    In primo luogo il marchio dev'essere stato registrato in buona fede prima della data del deposito della domanda di registrazione della denominazione d'origine o dell'indicazione geografica.

32.
    L'attrice nel processo a quo sostiene a tal proposito che le disposizioni di deroga all'art. 13, che tutela le denominazioni, vanno interpretate in senso stretto e che la registrazione del marchio «Cambozola» in Austria non ha potuto essere effettuata in buona fede ai sensi dell'art. 14, n. 2, poiché è stato caratterizzato da illiceità fin dall'origine. Infatti nel 1983, quando il marchio «Cambozola» è stato depositato in Austria, la denominazione «Gorgonzola» fruiva di una protezione sostanzialmente analoga, benché sulla scorta di altri fondamenti giuridici, a quella che dal 1996 le viene garantita dal diritto comunitario.

33.
    Il governo italiano osserva altresì che le autorità austriache avrebbero dovuto negare la registrazione del marchio «Cambozola», contrario fin dall'origine alle norme in vigore, e che non si può pertanto ritenere che tale marchio sia stato registrato in buona fede.

34.
    La Commissione ritiene da parte sua che l'applicazione del criterio della registrazione in buona fede è di competenza esclusiva del giudice nazionale, e che a tal fine quest'ultimo deve accertare anzitutto che la registrazione sia stata effettuata nel rispetto delle norme in vigore all'epoca.

35.
    La nozione di buona fede di cui all'art. 14, n. 2, del regolamento n. 2081/92 dev'essere valutata tenendo conto del complesso della normativa, nazionale e internazionale, in vigore nel momento in cui è stata depositata la domanda di registrazione del marchio. Il titolare del marchio non può infatti fruire in linea di principio di una presunzione di buona fede se disposizioni allora vigenti ostavano chiaramente a che la sua domanda potesse essere legalmente accolta.

36.
    Non spetta però alla Corte, in sede di interpretazione del regolamento n. 2081/92, pronunciarsi sull'efficacia delle disposizioni internazionali e nazionali che tutelavano le denominazioni di origine in Austria prima che tale tutela venisse garantita dalle disposizioni di diritto comunitario, né quindi tentare di desumerne le circostanze soggettive in cui la domanda è stata presentata. Un'analisi del genere puòunicamente essere svolta, come osserva giustamente la Commissione, dal giudice a quo.

37.
    In secondo luogo, affinché il marchio registrato in buona fede possa fruire del mantenimento dell'uso, non devono sussistere le cause di nullità o di decadenza previste dalle relative disposizioni della prima direttiva 89/104.

38.
    L'attrice nel processo a quo sostiene a questo proposito che il marchio considerato è atto ad ingannare il consumatore sulla natura, la qualità o la provenienza geografica del prodotto che esso contraddistingue ed è quindi nullo in forza dell'art. 3, n. 1, lett. g), della prima direttiva 89/104.

39.
    Il governo italiano ritiene altresì che la capacità del marchio di indurre in errore il consumatore osti a che la Käserei Champignon e la Eduard Bracharz si avvalgano dell'art. 14, n. 2, del regolamento n. 2081/92.

40.
    La Commissione osserva che le norme di cui agli artt. 3, n. 1, lett. c) e g), e 12, n. 2, lett. b), della prima direttiva 89/104 debbono essere interpretate in senso stretto in quanto costituiscono eccezioni, per motivi di ordine pubblico, alla molteplicità dei tipi di marchio. La Commissione ne desume che né il marchio «Cambozola» né l'uso che ne viene fatto contengono un riferimento sufficientemente preciso ad un'origine geografica effettiva per poter ingannare il pubblico o indurlo in errore sulla natura, la qualità o la provenienza geografica del prodotto. Secondo la Commissione nessuna delle cause elencate negli artt. 3 e 12 della prima direttiva 89/104 osta pertanto all'uso del marchio di cui trattasi.

41.
    A questo proposito si deve rilevare che la fattispecie presa in considerazione all'art. 3, n. 1, lett. c), della prima direttiva non si applica al caso di specie. Nell'ambito delle due altre disposizioni rilevanti della medesima direttiva, l'ipotesi di diniego di registrazione, di nullità del marchio o di decadenza dei diritti del titolare che ostano alla prosecuzione dell'uso del marchio medesimo ai sensi dell'art. 14, n. 2, del regolamento n. 2081/92 presuppongono l'accertamento di un inganno effettivo o di un rischio sufficientemente grave di inganno del consumatore (v. su tale nozione le sentenze Clinique, già citata; 6 luglio 1995, causa C-470/93 Mars, Racc. pag. I-1923, e 26 novembre 1996, causa C-313/94, Graffione, Racc. pag. I-6039, punto 24).

42.
    Anche in tal caso spetta al giudice nazionale far uso di tali criteri alla luce delle circostanze della fattispecie sottopostagli. Benché il termine «Cambozola», che contiene un'evocazione della denominazione «Gorgonzola», non possa di per sé essere considerato atto ad ingannare il pubblico sulla natura, la qualità e la provenienza della merce con esso contrassegnata, il giudizio sulle condizioni dell'uso del medesimo presuppone un esame della fattispecie che non rientra nelle competenze della Corte ex art. 177 del Trattato (v. in tal senso, la citata sentenza Graffione, punti 25 e 26).

43.
    Le questioni sollevate vanno pertanto risolte nel senso che allo stato attuale del diritto comunitario il principio della libera circolazione delle merci non osta all'emanazione da parte di uno Stato membro dei provvedimenti che gli competono al fine di garantire la tutela delle denominazioni d'origine registrate in forza del regolamento n. 2081/92. A tal fine l'uso di una denominazione come «Cambozola» può essere considerato, ai sensi dell'art. 3, n. 1, lett. b), del medesimo regolamento, un'evocazione della denominazione d'origine protetta «Gorgonzola», senza che l'indicazione della vera origine del prodotto sull'imballaggio sia atta a modificare tale qualificazione. Spetta al giudice nazionale stabilire se le condizioni poste dall'art. 14, n. 2, del regolamento n. 2081/92 consentano nel caso di specie la prosecuzione dell'uso del marchio previamente registrato nonostante la registrazione della denominazione di origine protetta «Gorgonzola», fondandosi in particolare sulla situazione giuridica vigente al momento della registrazione del marchio onde valutare se quest'ultima sia stata effettuata in buona fede e non comporti che una denominazione come «Cambozola» costituisce di per sé un inganno del consumatore.

Sulle spese

44.
    Le spese sostenute dai governi austriaco, ellenico, francese ed italiano, nonché dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE (Quinta Sezione)

pronunciandosi sulle due questioni sottopostele dallo Handelsgericht di Vienna con ordinanza 18 luglio 1996, dichiara:

Allo stato attuale del diritto comunitario il principio della libera circolazione delle merci non osta all'emanazione da parte di uno Stato membro dei provvedimenti che gli competono al fine di garantire la tutela delle denominazioni d'origine registrate in forza del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari. A tal fine l'uso di una denominazione come «Cambozola» può essere considerato, ai sensi dell'art. 3, n. 1, lett. b), del medesimo regolamento, un'evocazione della denominazione d'origine protetta «Gorgonzola», senza che l'indicazione della vera origine del prodotto sull'imballaggio sia atta a modificare tale qualificazione. Spetta al giudice nazionale stabilire se le condizioni poste dall'art. 14, n. 2, del regolamento n. 2081/92 consentano nel caso di specie la prosecuzione dell'uso del marchiopreviamente registrato nonostante la registrazione della denominazione di origine protetta «Gorgonzola», fondandosi in particolare sulla situazione giuridica vigente al momento della registrazione del marchio onde valutare se quest'ultima sia stata effettuata in buona fede e non comporti che una denominazione come «Cambozola» costituisce di per sé un inganno del consumatore.

Puissochet                    Jann
Gulmann

            Edward                Sevón

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 4 marzo 1999.

Il cancelliere

Il presidente della Quinta Sezione

R. Grass

J.-P. Puissochet


1: Lingua processuale: il tedesco.