Language of document : ECLI:EU:T:2017:392

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione)

15 giugno 2017 (*)

«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’Ucraina – Congelamento dei capitali – Restrizioni in materia di ammissione nel territorio degli Stati membri – Persona fisica che sostiene attivamente azioni o politiche che compromettono o minacciano l’Ucraina – Obbligo di motivazione – Errore manifesto di valutazione – Libertà di espressione – Proporzionalità – Diritti della difesa»

Nella causa T‑262/15,

Dmitrii Konstantinovich Kiselev, residente in Korolev (Russia), rappresentato da J. Linneker, solicitor, T. Otty, barrister, e B. Kennelly, QC,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da V. Piessevaux e J.‑P. Hix, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento, in primo luogo, della decisione (PESC) 2015/432 del Consiglio, del 13 marzo 2015, che modifica la decisione 2014/145/PESC, concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (GU 2015, L 70, pag. 47), e del regolamento di esecuzione (UE) 2015/427 del Consiglio, del 13 marzo 2015, che attua il regolamento (UE) n. 269/2014, concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (GU 2015, L 70, pag. 1), in secondo luogo, della decisione (PESC) 2015/1524 del Consiglio, del 14 settembre 2015, che modifica la decisione 2014/145/PESC concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (GU 2015, L 239, pag. 157), e del regolamento di esecuzione (UE) 2015/1514 del Consiglio, del 14 settembre 2015, che attua il regolamento (UE) n. 269/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (GU 2015, L 239, pag. 30), in terzo luogo, della decisione (PESC) 2016/359 del Consiglio, del 10 marzo 2016, che modifica la decisione 2014/145/PESC, concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (GU 2016, L 67, pag. 37), e del regolamento di esecuzione (UE) 2016/353 del Consiglio, del 10 marzo 2016, che attua il regolamento (UE) n. 269/2014, concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (GU 2016, L 67, pag. 1), nei limiti in cui tali atti riguardano il ricorrente,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione),

composto da G. Berardis (relatore), presidente, V. Tomljenović e D. Spielmann, giudici,

cancelliere: C. Heeren, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 28 settembre 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 17 marzo 2014, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato, sulla base dell’articolo 29 TUE, la decisone 2014/145/PESC, concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (GU 2014, L 78, pag.16).

2        Nella stessa data, il Consiglio ha adottato, sulla base dell’articolo 215, paragrafo 2, TFUE, il regolamento (UE) n. 269/2014, concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (GU 2014, L 78, pag. 6).

3        Con decisione di esecuzione 2014/151/PESC del Consiglio, del 21 marzo 2014, che attua la decisione 2014/145 (GU 2014, L 86, pag. 30), e con regolamento di esecuzione (UE) n. 284/2014 del Consiglio, del 21 marzo 2014, che attua il regolamento n. 269/2014 (GU 2014, L 86, pag. 27), il nome del ricorrente, sig. Dmitrii Konstantinovich Kiselev, è stato iscritto negli elenchi delle persone interessate dalle misure restrittive previste da detti regolamento e decisione (in prosieguo: gli «elenchi in questione») con la seguente motivazione:

«Nominato, con decreto presidenziale del 9 dicembre 2013, capo dell’agenzia di stampa “Rossiya Segodnya” dello Stato federale russo. Figura centrale della propaganda governativa a sostegno dello schieramento delle forze russe in Ucraina».

4        In seguito, il Consiglio ha adottato, il 25 luglio 2014, la decisione 2014/499/PESC, che modifica la decisione 2014/145 (GU 2014, L 221, pag. 15), e il regolamento (UE) n. 811/2014, che modifica il regolamento n. 269/2014 (GU 2014, L 221, pag. 11), in particolare per modificare i criteri in base ai quali persone fisiche o giuridiche, entità od organismi possono essere oggetto delle misure restrittive in questione.

5        L’articolo 2, paragrafi 1 e 2, della decisione 2014/145, nella versione modificata dalla decisione 2014/499 (in prosieguo: la «decisione 2014/145 modificata»), dispone quanto segue:

«1.      Sono congelati tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a, o posseduti, detenuti o controllati da:

a)      persone fisiche responsabili di azioni o politiche, o che sostengono attivamente o realizzano dette azioni o politiche, che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina, o la stabilità o la sicurezza in Ucraina, o che ostacolano l’operato delle organizzazioni internazionali in Ucraina, e persone fisiche o giuridiche, entità o organismi ad esse associati;

(…)

elencati nell’allegato.

2.      Nessun fondo o risorsa economica è messo a disposizione, direttamente o indirettamente, o a beneficio delle persone fisiche o giuridiche, delle entità o degli organismi elencati nell’allegato».

6        Le modalità di tale congelamento dei capitali sono definite nei paragrafi successivi del medesimo articolo.

7        L’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2014/145 modificata vieta l’ingresso o il transito nel territorio degli Stati membri alle persone fisiche che possiedono, in sostanza, requisiti identici a quelli stabiliti all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della stessa decisione.

8        Il regolamento n. 269/2014, come modificato dal regolamento 811/2014 (in prosieguo: il «regolamento n. 269/2014 modificato»), impone l’adozione di misure di congelamento dei fondi e stabilisce le modalità di tale congelamento in termini identici, in sostanza, a quelli della decisione 2014/145 modificata. Infatti, il suo articolo 3, paragrafo 1, lettera a), richiama essenzialmente l’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), di detta decisione.

9        Con lettera del 4 febbraio 2015 (in prosieguo: la «lettera del 4 febbraio 2015»), il ricorrente, tramite i suoi avvocati, ha chiesto, in particolare, al Consiglio, sul fondamento del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43), l’accesso ai documenti sui quali era stata fondata l’iscrizione del suo nome negli elenchi in questione.

10      Con lettera del 13 febbraio 2015, indirizzata agli avvocati del ricorrente, il Consiglio ha informato, in particolare, quest’ultimo di voler prorogare fino al mese di settembre 2015 la durata delle misure restrittive che lo riguardavano e lo ha invitato a presentare osservazioni in merito entro e non oltre il 26 febbraio 2015.

11      Con lettera del 25 febbraio 2015 (in prosieguo: la «lettera del 25 febbraio 2015»), il ricorrente, tramite i suoi avvocati, ha risposto all’invito allegando che l’adozione di misure restrittive nei suoi confronti non era giustificata.

12      Il 13 marzo 2015, con decisione (PESC) 2015/432, che modifica la decisione 2014/145 (GU 2015, L 70, pag. 47), e con regolamento di esecuzione (UE) 2015/427, che attua il regolamento n. 269/2014 (GU 2015, L 70, pag. 1) (in prosieguo: gli «atti di marzo 2015»), il Consiglio ha riesaminato ciascuna designazione e mantenuto l’iscrizione del nome del ricorrente negli elenchi in questione fino al 15 settembre 2015, senza che la motivazione relativa al ricorrente sia stata modificata.

13      Con lettera del 16 marzo 2015 (in prosieguo: la «lettera del 16 marzo 2015»), il Consiglio ha notificato gli atti di marzo 2015 agli avvocati del ricorrente precisando, in particolare, che gli argomenti che quest’ultimo aveva invocato nella lettera del 25 febbraio 2015 non rimettevano in discussione la fondatezza della motivazione applicatagli, atteso che l’agenzia di stampa dello Stato federale russo Rossiya Segodnya (in prosieguo: «RS») aveva presentato i fatti accaduti in Ucraina in chiave favorevole al governo russo e aveva così dato sostegno alla politica di detto governo riguardo alla situazione in Ucraina.

 Procedimento e conclusioni delle parti

14      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 22 maggio 2015, il ricorrente ha proposto ricorso per annullamento degli atti di marzo 2015 nella parte a lui afferente.

15      Il 14 settembre 2015, con decisione (PESC) 2015/1524, che modifica la decisione 2014/145 (GU 2015, L 239, pag. 157), e con regolamento di esecuzione (UE) 2015/1514, che attua il regolamento n. 269/2014 (GU 2015, L 239, pag. 30) (in prosieguo: gli «atti di settembre 2015»), l’applicazione delle misure restrittive in questione è stata prorogata dal Consiglio fino al 15 marzo 2016, senza che la motivazione relativa al ricorrente sia stata modificata.

16      Con memoria depositata presso la cancelleria del Tribunale il 24 novembre 2015, il ricorrente, conformemente all’articolo 86 del regolamento di procedura del Tribunale, ha adattato il ricorso onde comprendere l’annullamento altresì degli atti di settembre 2015 nella parte a lui afferente.

17      Il Consiglio ha presentato osservazioni su tale memoria con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 6 gennaio 2016.

18      Il 10 marzo 2016, con decisione (PESC) 2016/359, che modifica la decisione 2014/145 (GU 2016, L 67, pag. 37), e con regolamento di esecuzione (UE) 2016/353, che attua il regolamento n. 269/2014 (GU 2016, L 67, pag. 1) (in prosieguo: gli «atti di marzo 2016»), l’applicazione delle misure restrittive in questione è stata prorogata dal Consiglio fino al 15 settembre 2016, senza che la motivazione relativa al ricorrente sia stata modificata.

19      Con memoria depositata presso la cancelleria del Tribunale il 20 maggio 2016, il ricorrente ha adattato il ricorso per ottenere altresì l’annullamento degli atti di marzo 2016 nella parte a lui afferente.

20      Il Consiglio ha presentato osservazioni su tale memoria con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 14 giugno 2016.

21      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Nona Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’articolo 89, paragrafo 3, del regolamento di procedura, ha posto alle parti quesiti per risposta scritta e quesiti per risposta orale all’udienza.

22      Le risposte scritte delle parti sono state depositate presso la cancelleria del Tribunale nel termine impartito.

23      Le parti hanno svolto le loro arringhe e risposto ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza del 28 settembre 2016. In tale occasione il Tribunale ha autorizzato il ricorrente a produrre un documento, che questi ha depositato l’indomani. Il Consiglio ha formulato osservazioni scritte riguardo a tale documento il 24 ottobre 2016; il Presidente della Nona Sezione del Tribunale ha quindi chiuso la fase orale del procedimento il successivo 26 ottobre.

24      Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare gli atti di marzo 2015, di settembre 2015 e di marzo 2016 (in prosieguo: gli «atti impugnati») nella parte a lui afferente;

–        condannare il Consiglio alle spese.

25      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        respingere gli adattamenti del ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

 In diritto

26      A sostegno del ricorso il ricorrente deduce sei motivi aventi ad oggetto, il primo, un errore manifesto di valutazione riguardo all’applicazione al suo caso del criterio di designazione enunciato agli articoli 1, paragrafo 1, lettera a), e 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2014/145 modificata nonché all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 269/2014 modificato, il secondo, la violazione del diritto alla libertà di espressione, il terzo, la violazione dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, il quarto, la violazione dell’obbligo di motivazione, il quinto, dedotto in subordine, il fatto che il predetto criterio sarebbe incompatibile con il diritto alla libertà di espressione, e per questo illegittimo, se permettesse l’adozione di misure restrittive nei confronti di giornalisti nell’esercizio di tale diritto e, il sesto, la violazione dell’accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Federazione russa, dall’altra (GU 1997, L 327, pag. 3; in prosieguo: l’«accordo di partenariato»).

27      Occorre esaminare, inizialmente, il sesto motivo, indi il quarto, poi il primo e il secondo, seguiti dal quinto, e per ultimo il terzo motivo.

A –  Sul sesto motivo, vertente sulla violazione dell’accordo di partenariato

28      Il ricorrente sostiene che, nell’adottare le misure restrittive in questione, il Consiglio non ha tenuto conto delle condizioni imposte dall’accordo di partenariato. In particolare, gli atti impugnati violerebbero l’articolo 52, paragrafi 1, 5 e 8, di tale accordo, i quali prevedono, rispettivamente, il divieto di restrizioni alla libera circolazione dei capitali tra l’Unione e la Russia, l’astensione dei contraenti dall’introdurre nuove restrizioni dopo un periodo transitorio di cinque anni e l’obbligo di consultare un Consiglio di cooperazione istituito ai sensi dell’articolo 90 del medesimo accordo. Il Consiglio, inoltre, non avrebbe minimamente provato a giustificare le violazioni dell’accordo di partenariato. Al riguardo il ricorrente sottolinea che né la decisione 2014/145 né il regolamento n. 269/2014, come modificati, contengono disposizioni che giustifichino le misure restrittive alla luce dell’articolo 99, punto 1, lettera d), dell’accordo di partenariato, il quale consente alle parti di detto accordo di derogarvi per adottare le misure necessarie a tutelare i loro interessi fondamentali in materia di sicurezza «in tempo di guerra o in occasione di gravi tensioni internazionali che possano sfociare in una guerra».

29      Il Consiglio contesta gli argomenti del ricorrente.

30      In limine, occorre osservare che l’articolo 52, paragrafi 1, 5 e 8, dell’accordo di partenariato assicura, indubbiamente, la libera circolazione dei capitali tra l’Unione e la Federazione russa.

31      Nondimeno, l’accordo 99, punto 1, lettera d), del medesimo accordo prevede un’eccezione invocabile unilateralmente da una parte per prendere le misure che essa ritenga necessarie alla tutela dei suoi interessi sostanziali in materia di sicurezza, in particolare «in tempo di guerra o in occasione di gravi tensioni internazionali che possano sfociare in una guerra o per rispettare obblighi assunti al fine di mantenere la pace e la sicurezza internazionale».

32      Per prima cosa, occorre osservare che, come ha sottolineato il Consiglio, l’accordo di partenariato non impone a una parte che intenda adottare misure sulla base di tale disposizione di informare l’altra parte preventivamente, né di consultarla o di fornirle spiegazioni.

33      Per seconda cosa, relativamente alla situazione in Ucraina al momento in cui gli atti impugnati sono stati adottati, può ritenersi che le azioni della Federazione russa integrino un «tempo di guerra o (…) di gravi tensioni internazionali che possano sfociare in una guerra», ai sensi dell’articolo 99, punto 1, lettera d), dell’accordo di partenariato. Considerando l’interesse che hanno l’Unione e i suoi Stati membri ad avere, come paese vicino, un’Ucraina stabile, poteva ritenersi necessario istituire misure restrittive che facessero pressione sulla Federazione russa perché interrompesse le sue azioni di compromissione o di minaccia dell’integrità territoriale, della sovranità o dell’indipendenza dell’Ucraina. Peraltro, tali misure possono riguardare il «manten[imento del]la pace e [del]la sicurezza internazionale», anch’esso menzionato nell’articolo.

34      Di conseguenza, occorre considerare che le misure restrittive in questione sono compatibili con le eccezioni relative alla sicurezza previste all’articolo 99, punto 1, lettera d), dell’accordo di partenariato.

35      Alla luce di quanto precede, il sesto motivo deve essere respinto.

B –  Sul quarto motivo, vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione

36      Il ricorrente sostiene che la motivazione addotta dal Consiglio per giustificare l’iscrizione e il mantenimento del suo nome negli elenchi in questione non è sufficientemente precisa e concreta. Quand’anche fondata, tale motivazione sarebbe così vaga da non consentirgli di contestare utilmente le censure mosse nei suoi confronti.

37      Peraltro, ad avviso del ricorrente, detta motivazione non può essere completata dalle affermazioni contenute nella lettera del 16 marzo 2015 (v. punto 13 supra).

38      Il Consiglio contesta gli argomenti del ricorrente.

39      Si deve ricordare che l’obbligo di motivare un atto che arreca pregiudizio, quale previsto all’articolo 296, secondo comma, TFUE e all’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), ha lo scopo, da un lato, di fornire all’interessato indicazioni sufficienti per giudicare se l’atto sia fondato oppure se sia eventualmente inficiato da un vizio che consenta di contestarne la validità dinanzi al giudice dell’Unione e, dall’altro lato, di consentire a quest’ultimo di esercitare il suo sindacato di legittimità su tale atto. L’obbligo di motivazione così formulato costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione, al quale si può derogare solo in base a ragioni imperative. Pertanto la motivazione, in linea di principio, deve essere comunicata all’interessato contestualmente all’atto che gli arreca pregiudizio. La sua mancanza non può essere sanata dal fatto che l’interessato venga a conoscenza dei motivi dell’atto nel corso del procedimento dinanzi al giudice dell’Unione (v. sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 85 e giurisprudenza citata).

40      Così, salvo che ragioni imperative riguardanti la sicurezza dell’Unione o dei suoi Stati membri o lo svolgimento delle loro relazioni internazionali non ostino alla comunicazione di determinati elementi, il Consiglio è tenuto a portare a conoscenza di una persona o di un’entità interessata da misure restrittive le ragioni specifiche e concrete per le quali ritenga che dette misure dovessero essere adottate. Esso deve dunque menzionare gli elementi di fatto e di diritto da cui dipende la giustificazione giuridica delle misure di cui trattasi e le considerazioni che l’hanno indotto ad adottarle (v. sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 86 e giurisprudenza citata).

41      Peraltro, la motivazione deve essere adeguata alla natura dell’atto in questione e al contesto in cui esso è stato adottato. La necessità di motivazione deve essere valutata in funzione delle circostanze del caso di specie, e segnatamente del contenuto dell’atto, della natura dei motivi invocati e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo riguardate direttamente e individualmente possono avere a ricevere spiegazioni. Non è necessario che la motivazione specifichi tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, considerato che la sufficienza della motivazione deve essere valutata alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto nonché del complesso di norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi. In particolare, un atto che arreca pregiudizio è sufficientemente motivato quando è stato emanato in un contesto noto all’interessato, che gli consente di comprendere la portata del provvedimento adottato nei suoi confronti (v. sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 87 e giurisprudenza citata).

42      Nel caso di specie, la motivazione adottata nei confronti del ricorrente negli atti impugnati coincide con quella esposta al punto 3 supra.

43      Occorre rilevare che, pur non indicando esplicitamente su quale criterio si è fondato il Consiglio per mantenere il nome del ricorrente negli elenchi in questione, tale motivazione rivela con sufficiente chiarezza che il Consiglio ha applicato il criterio enunciato agli articoli 1, paragrafo 1, lettera a), e 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2014/145 modificata, nonché all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 269/2014 modificato, giacché fa riferimento alle persone fisiche che sostengono azioni o politiche che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (in prosieguo: il «criterio in questione»).

44      Infatti, nella motivazione contestata, dopo aver ricordato che, con decreto presidenziale del 9 dicembre 2013, il ricorrente era stato nominato direttore di RS, il Consiglio ha fatto osservare che si trattava di una figura centrale della propaganda governativa russa a sostegno dell’impiego di forze armate russe in Ucraina.

45      Tale motivazione consente, dunque, di comprendere che il motivo dell’iscrizione e del mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi in questione risiede nel fatto che il Consiglio ha considerato che quest’ultimo, con il suo ruolo di direzione in seno a RS e con le sue dichiarazioni di giornalista, avesse fatto propaganda a favore di azioni militari della Federazione russa in Ucraina e rientrasse, perciò, fra le persone che sostengono attivamente azioni o politiche che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina.

46      Le osservazioni che il ricorrente ha presentato al Consiglio con la lettera del 25 febbraio 2015 confermano, del resto, che egli aveva compreso di essere interessato dalle misure restrittive in questione proprio in ragione del suo ruolo e della sua condotta professionale.

47      Quanto alle precisazioni che il Consiglio ha fornito nella lettera del 16 marzo 2015, occorre rilevare che, come quest’ultimo ha opportunamente fatto osservare, tale lettera contenente motivi complementari, intervenuta in uno scambio di documenti tra il Consiglio e il ricorrente, può essere presa in considerazione nell’esame di detti atti (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2013, Bank Melli Iran/Consiglio, T‑35/10 e T‑7/11, EU:T:2013:397, punto 88).

48      Così, per quanto sarebbe stato preferibile che i motivi complementari figurassero direttamente negli atti impugnati, e non solamente nella lettera del 16 marzo 2015, si deve valutare la motivazione degli atti impugnati altresì alla luce delle precisazioni che il Consiglio ha apportato in quest’ultima, in risposta alla lettera del 25 febbraio 2015 del ricorrente, relativamente alla circostanza che RS avesse presentato i fatti accaduti in Ucraina in una luce favorevole al governo russo e sostenuto, in tal modo, la politica di detto governo riguardo alla situazione in Ucraina.

49      In ogni caso, come evidenzia giustamente il Consiglio, la lettera del 16 marzo 2015 rinvia ampiamente alla motivazione degli atti impugnati. Certo, l’oggetto della propaganda ivi contestata al ricorrente e a RS verte in generale sulla politica russa concernente l’Ucraina, ma tale questione è strettamente legata a quella del dispiego di forze russe in tale paese. D’altro lato, anche prima di ricevere detta lettera, il ricorrente aveva compreso che la propaganda contestata non era limitata al dispiego di forze russe, atteso che, nella lettera del 25 febbraio 2015, egli si era riferito, più in generale, all’assenza di influenza da parte sua sulla «situazione in Ucraina» e all’assenza di nessi causali tra «qualsivoglia azione russa in Ucraina» e il suo ruolo di direttore e di giornalista.

50      Tutto ciò considerato, si deve concludere, da un lato, che la motivazione esposta dal Consiglio negli atti impugnati ha consentito al ricorrente di comprendere per quale motivo il suo nome fosse stato mantenuto negli elenchi in questione, tanto più che è possibile prendere in considerazione anche le precisazioni fornite nella lettera del 16 marzo 2015, e, dall’altro lato, che il Tribunale è nella condizione di esercitare il suo controllo sulla fondatezza di tale motivazione.

51      Occorre pertanto constatare che il Consiglio ha adempiuto all’obbligo di motivazione previsto all’articolo 296 TFUE.

52      La questione della fondatezza di tale motivazione non rientra nella valutazione del presente motivo, bensì in quella del primo e del secondo. A tale riguardo si deve rammentare che l’obbligo di motivare un atto costituisce una formalità sostanziale che va tenuta distinta dalla questione della fondatezza dei motivi, questione che attiene alla legittimità sostanziale dell’atto controverso. Infatti, la motivazione di un atto consiste nell’esplicitare le ragioni su cui esso si fonda. Gli errori che vizino tali ragioni inficiano la legittimità nel merito della decisione, ma non la motivazione di quest’ultima, che può essere sufficiente pur illustrando ragioni errate (v. sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 96 e giurisprudenza citata).

53      Conseguentemente, occorre respingere il quarto motivo.

C –  Sul primo e sul secondo motivo, vertenti su un errore manifesto di valutazione riguardo all’applicazione del criterio in questione alla situazione del ricorrente e sulla violazione del diritto alla libertà di espressione

54      Il ricorrente, dopo aver richiamato i principi generali concernenti in particolare la portata del controllo giurisdizionale, fa valere che il Consiglio ha omesso di dimostrare, con elementi probatori costituenti una base fattuale solida, che il suo caso soddisfacesse il criterio in questione, il quale non potrebbe riguardare ogni tipo di sostegno ad azioni o politiche che compromettano o minaccino l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina, o la stabilità e la sicurezza dell’Ucraina. Tale criterio dovrebbe rispettare il principio della certezza del diritto ed essere interpretato conformemente alle disposizioni in tema di diritto alla libertà di espressione, quali enunciate all’articolo 11 della Carta e all’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).

55      In particolare, in primo luogo, il ricorrente fa osservare che le limitazioni di detto diritto devono essere previste dalla legge, nel rispetto del principio della certezza del diritto, perseguire una finalità di interesse generale ed essere necessarie e proporzionate alla medesima, senza ledere la sostanza stessa di tale libertà e ostacolare considerevolmente l’attività dei giornalisti. Le nozioni di sicurezza nazionale e di incitamento all’odio sarebbero anch’esse di stretta interpretazione.

56      In secondo luogo, il ricorrente sostiene che il Consiglio non ha fornito prove affidabili nel senso che egli facesse propaganda a favore della politica del governo russo in Ucraina.

57      Il Consiglio ricorda che il criterio in questione riguarda le persone fisiche che sostengono attivamente le azioni o le politiche che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina, o la stabilità e la sicurezza dell’Ucraina, come sarebbe il caso del ricorrente. Non sarebbe dunque necessario dimostrare che tali persone siano esse stesse responsabili di dette azioni o politiche, essendo sufficiente che esse apportino un sostegno qualitativo o quantitativo importante in tal senso, ciò che sarebbe compatibile con il principio della certezza del diritto.

58      In particolare, innanzitutto, secondo il Consiglio, la designazione del ricorrente in base a detto criterio non viola il diritto alla libertà di espressione, dato che è prevista dalla legge, risponde all’obiettivo, coperto dall’articolo 21, paragrafo 2, lettera c), TUE, di far pressione sul governo russo perché cessi le sue attività di minaccia per l’Ucraina e non impedisce al ricorrente di portare avanti la sua attività giornalistica e di esprimere le sue opinioni. Le limitazioni apportate al diritto del ricorrente sarebbero dunque compatibili con l’articolo 52, paragrafo 1, della Carta e con l’articolo 10, paragrafo 2, della CEDU.

59      Dopodiché, il Consiglio fa osservare che la sua conclusione nel senso che il ricorrente è una figura centrale della propaganda che sostiene attivamente la politica del governo russo in Ucraina è fondata su più elementi probatori affidabili.

60      Occorre iniziare l’esame di tali argomenti ricordando i principi relativi al controllo esercitato dal Tribunale e alla necessità di interpretare il criterio in questione alla luce del diritto primario, in particolare della libertà di espressione, che ne fa parte.

1.     Sulla portata del controllo giurisdizionale

61      Occorre rammentare che, secondo la giurisprudenza, per quanto riguarda le norme generali che definiscono le modalità delle misure restrittive, il Consiglio dispone di un ampio potere discrezionale in merito agli elementi da prendere in considerazione per adottare sanzioni economiche e finanziarie ai sensi dell’articolo 215 TFUE, conformemente a una decisione adottata in base al capo 2 del titolo V del Trattato UE, in particolare in base all’articolo 29 TUE. Poiché il giudice dell’Unione non può sostituire la sua valutazione delle prove, dei fatti e delle circostanze che giustificano l’adozione di tali misure a quella svolta dal Consiglio, il controllo esercitato dal giudice suddetto deve limitarsi alla verifica del rispetto delle regole del procedimento e della motivazione, dell’esattezza materiale dei fatti e dell’assenza di un manifesto errore di valutazione dei fatti o di sviamento di potere. Tale controllo ristretto si applica, in particolare, alla valutazione delle considerazioni di opportunità sulle quali sono fondate misure siffatte (v. sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 127 e giurisprudenza citata).

62      Tuttavia, sebbene il Consiglio disponga quindi di un ampio potere discrezionale circa i criteri generali da considerare ai fini dell’adozione di misure restrittive, l’effettività del controllo giurisdizionale garantito dall’articolo 47 della Carta esige che, nell’ambito del controllo della legittimità delle motivazioni su cui si fonda la decisione di iscrivere o di mantenere il nome di una determinata persona in un elenco di persone sottoposte a misure restrittive, il giudice dell’Unione si assicuri che detta decisione, la quale riveste portata individuale per tale persona, poggi su una base fattuale sufficientemente solida. Ciò comporta una verifica dei fatti allegati nell’esposizione dei motivi sottesa a tale decisione, cosicché il controllo giurisdizionale non si limita alla valutazione dell’astratta verosimiglianza dei motivi dedotti, ma consiste invece nell’accertare se questi motivi, o per lo meno uno di essi considerato di per sé sufficiente a suffragare la medesima decisione, abbiano un fondamento sufficientemente preciso e concreto (sentenze del 21 aprile 2015, Anbouba/Consiglio, C‑605/13 P, EU:C:2015:248, punti 41 e 45, e del 26 ottobre 2015, Portnov/Consiglio, T‑290/14, EU:T:2015:806, punto 38).

63      In caso di contestazione, è all’autorità competente dell’Unione che incombe il compito di dimostrare la fondatezza dei motivi posti a carico della persona interessata, e non già a quest’ultima di produrre la prova negativa dell’infondatezza di tali motivi (sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 121, e del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 128).

2.     Sull’interpretazione del criterio in questione alla luce del diritto primario, in particolare della libertà di espressione

64      Occorre ricordare che, se è vero che il Consiglio dispone indubbiamente di un ampio potere discrezionale nella definizione dei criteri in base ai quali persone o entità possono essere interessate da misure restrittive, tali criteri possono essere considerati conformi all’ordinamento giuridico dell’Unione solo nei limiti in cui sia possibile attribuire loro un senso compatibile con le condizioni imposte dalle norme di rango superiore alla cui osservanza essi sono soggetti (v., in tal senso, sentenza del 15 settembre 2016, Yanukovych/Consiglio, T‑346/14, con impugnazione pendente, EU:T:2016:497, punto 100).

65      Risulta pertanto necessaria un’interpretazione di tali criteri generali in conformità con le condizioni imposte dal diritto primario.

66      Al riguardo si deve osservare che il diritto alla libertà di espressione fa parte del diritto primario. La Carta, infatti, alla quale l’articolo 6, paragrafo 1, TUE riconosce il medesimo valore giuridico dei Trattati, prevede, all’articolo 11, quanto segue:

«1.      Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.

2.      La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati».

67      Tale diritto non è assoluto, atteso che l’articolo 52, paragrafo 1, della Carta così dispone:

«Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui».

68      Disposizioni analoghe contiene la CEDU, della quale è menzione all’articolo 6, paragrafo 3, TUE. Infatti, il suo articolo 10 è formulato nei seguenti termini:

«1.      Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera (…).

2.      L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario».

69      Secondo la giurisprudenza, il diritto alla libertà di espressione non costituisce una prerogativa assoluta e può, di conseguenza, essere oggetto di limitazioni alle condizioni enunciate all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta. Così, per essere conforme al diritto dell’Unione, una violazione della libertà di espressione e dei media deve soddisfare una triplice condizione. In primo luogo, la limitazione deve essere «prevista dalla legge». Altrimenti detto: l’istituzione dell’Unione che adotta misure in grado di restringere la libertà di espressione di una persona deve disporre di una base legale a tal fine. In secondo luogo, la limitazione deve perseguire una finalità di interesse generale, riconosciuta come tale dall’Unione. In terzo luogo, la limitazione non deve essere eccessiva (v., in tal senso, sentenza del 4 dicembre 2015, Sarafraz/Consiglio, T‑273/13, non pubblicata, EU:T:2015:939, punti da 177 a 182 e 184).

70      Tali condizioni corrispondono, in sostanza, a quelle previste dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), secondo la quale, perché sia giustificata alla luce del paragrafo 2 dell’articolo 10 della CEDU, un’ingerenza nell’esercizio del diritto alla libertà di espressione deve essere «prevista dalla legge», avere una o più finalità legittime fra quelle menzionate nella medesima disposizione e risultare «necessaria, in una società democratica», al conseguimento di tale o tali finalità (Corte EDU, 15 ottobre 2015, Perinçek c. Svizzera, CE:ECHR:2015:1015JUD002751008, punto 124). Ne consegue che il criterio in questione deve essere interpretato nel senso che il Consiglio poteva adottare misure restrittive che limitassero la libertà di espressione del ricorrente, ma solo nel rispetto delle condizioni, testé citate, che devono riunirsi perché tale libertà possa essere legittimamente limitata.

71      Si tratterà dunque di verificare se le misure restrittive concernenti il ricorrente siano previste dalla legge, rispondano a una finalità di interesse generale e non siano eccessive.

a)     Sulla condizione che qualsivoglia restrizione della libertà di espressione deve essere «prevista dalla legge»

72      Quanto al punto se le misure restrittive in questione siano state previste dalla legge, si deve rilevare che esse sono enunciate in atti di portata generale e che presentano, in primo luogo, basi giuridiche chiare nel diritto dell’Unione, ossia l’articolo 29 TUE e l’articolo 215 TFUE, e, in secondo luogo, una motivazione sufficiente riguardo tanto alla loro portata quanto alle ragioni della loro applicazione al ricorrente (v. punti da 42 a 51 supra) (v., per analogia, sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 176 e giurisprudenza citata). Nondimeno, occorre stabilire se il ricorrente potesse ragionevolmente attendersi che il criterio in questione, che si riferisce alla nozione di «sostegno attivo», fosse applicabile alla sua situazione, che era, in linea di principio, protetta dalla libertà di espressione.

73      Al riguardo, se è vero che gli atti impugnati non contengono definizione precisa della nozione di «sostegno attivo», quest’ultimo può essere compreso solo nel senso di riferirsi a persone che, senza essere personalmente responsabili delle azioni e politiche governative russe di destabilizzazione dell’Ucraina e senza metterle esse stesse in atto, forniscano un appoggio a tali politiche e azioni.

74      Occorre inoltre precisare che il criterio in questione si riferisce non a qualsiasi forma di sostegno al governo russo, bensì alle forme di sostegno che, per qualità o quantità, contribuiscano alle azioni e politiche di quest’ultimo per destabilizzare l’Ucraina. Interpretato, sotto il controllo del giudice dell’Unione, alla luce dell’obiettivo di fare pressione sul governo russo per costringerlo a metter fine a dette politiche e azioni, il criterio in questione definisce quindi in modo obiettivo una categoria circoscritta di persone e di entità passibili di misure di congelamento dei capitali (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 16 luglio 2014, National Iranian Oil Company/Consiglio, T‑578/12, non pubblicata, EU:T:2014:678, punto 119).

75      Nell’interpretare tale criterio, si deve tener conto della giurisprudenza della Corte EDU che riconosce l’impossibilità di raggiungere una precisione assoluta nella redazione delle leggi, specialmente in settori in cui la situazione varia secondo le opinioni predominanti nella società, e ammette che la necessità di evitare rigidità e di adattarsi ai cambiamenti di situazione implica che numerose leggi si servano di formule piò o meno vaghe la cui interpretazione e applicazione dipende dalla pratica. Il presupposto che le infrazioni siano chiaramente definite dalla legge è soddisfatto qualora il singolo possa conoscere, a partire dal testo della disposizione rilevante e, se necessario, mediante l’aiuto della sua interpretazione da parte dei giudici, quali atti o omissioni fanno sorgere la sua responsabilità (v., in tal senso, Corte EDU, 15 ottobre 2015, Perinçek c. Svizzera, CE:ECHR:2015:1015JUD002751008, punti 133 e 134).

76      Orbene, vista l’importanza del ruolo che giocano i media, specialmente quelli del settore audiovisivo, nella società contemporanea (v., in tal senso, Corte EDU, 17 settembre 2009, Manole e a. c. Moldavia, CE:ECHR:2009:0917JUD001393602, punto 97, e 16 giugno 2016, Delfi c. Estonia, CE:ECHR:2015:0616JUD006456909, punto 134), era prevedibile che a un sostegno mediatico di livello alle azioni e alle politiche del governo russo per destabilizzare l’Ucraina, apportato, in particolare, nel corso di trasmissioni molto popolari, da persona nominata con decreto del presidente Putin direttore di RS, un’agenzia di stampa che il ricorrente medesimo definisce «impresa unitaria» dello Stato russo, potesse essere applicato il criterio fondato sulla nozione di «sostegno attivo», nella misura in cui le limitazioni alla libertà di espressione che ne discendono rispettassero le altre condizioni prescritte perché tale libertà potesse essere legittimamente ristretta.

77      Peraltro, occorre rilevare che, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, la giurisprudenza scaturita dalla sentenza del 23 settembre 2014, Mikhalchanka/Consiglio (T‑196/11 e T‑542/12, non pubblicata, EU:T:2014:801), non permette di concludere che la nozione di «sostegno attivo» si applica al lavoro di un giornalista solo quando le dichiarazioni di quest’ultimo hanno un impatto concreto. Infatti, come ha giustamente evidenziato il Consiglio, in detta sentenza il Tribunale non si è pronunciato sulla libertà di espressione, bensì ha considerato come il Consiglio non avesse provato che al caso del ricorrente nella causa che aveva dato luogo a quella sentenza si applicassero i criteri di designazione previsti dagli atti lì in questione. Tali criteri riguardavano, in particolare, le persone responsabili delle violazioni alle norme elettorali internazionali che avevano segnato le elezioni presidenziali in Bielorussia il 19 dicembre 2010 e quelle responsabili di violazioni gravi dei diritti dell’uomo o della repressione ai danni della società civile e dell’opposizione democratica in detto paese. È in tali circostanze che il Tribunale ha statuito che il Consiglio non aveva prodotto elementi atti a dimostrare l’influenza, l’impatto concreto e soprattutto la responsabilità in cui sarebbe incorso il ricorrente, nonché, eventualmente, il programma televisivo da lui condotto, riguardo alle violazioni delle norme elettorali internazionali e alla repressione ai danni della società civile e dell’opposizione democratica (v., in tal senso, sentenza del 23 settembre 2014, Mikhalchanka/Consiglio, T‑196/11 e T‑542/12, non pubblicata, EU:T:2014:801, punti 7, 8, 15, 134 e 135).

78      Orbene, nella fattispecie, il criterio del «sostegno attivo», applicato dal Consiglio al ricorrente, è più ampio di quelli, fondati sulla responsabilità, di cui si trattava nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 23 settembre 2014, Mikhalchanka/Consiglio (T‑196/11 e T‑542/12, non pubblicata, EU:T:2014:801). Di conseguenza, il ricorrente non può fondatamente invocare detta sentenza per sostenere che il Consiglio avrebbe dovuto dimostrare gli effetti concreti delle sue dichiarazioni.

79      In tali circostanze occorre considerare che, nel caso di specie, il requisito che le limitazioni alla libertà di espressione siano previste dalla legge è soddisfatto.

b)     Sul perseguimento di una finalità di interesse generale

80      Quanto alla condizione relativa al perseguimento di una finalità di interesse generale, riconosciuta come tale dall’Unione, si deve osservare che, con le misure restrittive adottate appunto in applicazione del criterio in questione, il Consiglio intende esercitare una pressione sulle autorità russe affinché interrompano le loro azioni e le loro politiche di destabilizzazione dell’Ucraina, ciò che corrisponde a uno degli obiettivi della politica estera e di sicurezza comune (PESC).

81      Infatti, l’adozione di misure restrittive nei confronti in particolare di persone che sostengono attivamente le azioni e le politiche del governo russo per destabilizzare l’Ucraina risponde alla finalità, di cui all’articolo 21, paragrafo 2, lettera c), TUE, di preservare la pace, prevenire i conflitti e rafforzare la sicurezza internazionale, conformemente agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite.

82      A tal proposito, occorre sottolineare, al pari del Consiglio, che, il 27 marzo 2014, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 68/262, intitolata «Integrità territoriale dell’Ucraina», con la quale ha ricordato l’obbligo incombente a tutti gli Stati, ai sensi dell’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, di astenersi, nelle loro relazioni internazionali, dal ricorrere alla minaccia o all’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di ogni Stato e di risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici. Essa ha espresso apprezzamento per gli sforzi incessanti dispiegati in particolare da organizzazioni internazionali e regionali per ridurre le tensioni in Ucraina. Nel dispositivo di tale risoluzione, l’Assemblea generale ha in particolare riaffermato l’importanza della sovranità, dell’indipendenza politica, dell’unità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale e ha esortato tutte le parti ad affrontare immediatamente, con mezzi pacifici, la situazione in Ucraina, a dare prova di moderazione, a evitare ogni atto unilaterale e ogni dichiarazione incendiaria in grado di accrescere le tensioni e a partecipare in pieno agli sforzi internazionali di mediazione.

83      Occorre pertanto concludere che, nel caso di specie, la condizione del perseguimento di una finalità di interesse generale è soddisfatta.

c)     Sul carattere non eccessivo delle misure restrittive a carico del ricorrente

84      Quanto alla condizione relativa al carattere non eccessivo delle limitazioni alla libertà di espressione che discendono dalle misure restrittive in questione, deve rilevarsi che essa consta di due parti: da un lato, tali limitazioni devono essere necessarie e proporzionate allo scopo perseguito, dall’altro, la sostanza di tale libertà non deve essere intaccata (v., in tal senso, sentenza del 4 dicembre 2015, Sarafraz/Consiglio, T‑273/13, non pubblicata, EU:T:2015:939, punto 184 e giurisprudenza citata).

 Sulla necessità e la proporzionalità delle limitazioni

85      In primo luogo, con riferimento alla necessità delle limitazioni in questione, è d’uopo constatare che misure restrittive alternative e meno vincolanti, quali un sistema di previa autorizzazione o un obbligo di giustificazione a posteriori dell’uso dei capitali versati, non consentono di raggiungere altrettanto efficacemente gli scopi perseguiti, ossia l’esercizio di una pressione sui decisori russi responsabili della situazione in Ucraina, in particolare tenuto conto della possibilità di eludere le restrizioni imposte (v., per analogia, sentenza del 12 marzo 2014, Al Assad/Consiglio, T‑202/12, EU:T:2014:113, punto 117 e giurisprudenza citata).

86      In secondo luogo, con riferimento alla proporzionalità delle limitazioni in questione, occorre ricordare la giurisprudenza in tema di principio di proporzionalità e di limitazioni alla libertà di espressione e stabilire come queste ultime possano essere applicate alla situazione specifica del ricorrente quale risulta dagli elementi del fascicolo del Consiglio.

87      Il principio di proporzionalità, in quanto principio generale del diritto dell’Unione, esige che gli atti delle istituzioni dell’Unione non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi perseguiti dalla normativa di cui trattasi. Qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve perciò ricorrere alla meno restrittiva e gli inconvenienti causati devono essere proporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v. sentenza del 4 dicembre 2015, Sarafraz/Consiglio, T‑273/13, non pubblicata, EU:T:2015:939, punto 185 e giurisprudenza citata).

88      A tal proposito la giurisprudenza precisa che, per quanto riguarda il controllo giurisdizionale del rispetto del principio di proporzionalità, si deve riconoscere un ampio potere discrezionale al legislatore dell’Unione nei settori che richiedono da parte di quest’ultimo scelte di natura politica, economica e sociale e rispetto ai quali esso è chiamato a effettuare valutazioni complesse. Di conseguenza, solo il carattere manifestamente inidoneo di un provvedimento adottato in tali ambiti, rispetto allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di un tale provvedimento (v. sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Manufacturing Support & Procurement Kala Naft, C‑348/12 P, EU:C:2013:776, punto 120 e giurisprudenza citata).

89      Quanto, più precisamente, alle limitazioni alla libertà di espressione, svariati principi possono essere identificati nella giurisprudenza della Corte EDU.

90      In primo luogo, quest’ultima ha rilevato che la libertà di espressione costituiva uno dei pilastri di una società democratica e una delle condizioni primordiali del suo progresso e dello sviluppo di ciascuno e che essa proteggeva, in linea di principio, non solo le «informazioni» o le «idee» accolte con favore o considerate inoffensive o indifferenti, ma anche quelle dissonanti, che colpivano o inquietavano, e ciò al fine di garantire il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura senza i quali non c’è società democratica. Tale libertà conosce, certamente, eccezioni, ma queste sono di interpretazione stretta, e il bisogno di limitarla deve essere convincentemente dimostrato [Corte EDU, 15 ottobre 2015, Perinçek c. Svizzera, CE:ECHR:2015:1015JUD002751008, punto 196, i)].

91      In secondo luogo, la Corte EDU ha considerato che l’articolo 10, paragrafo 2, della CEDU non lascia praticamente spazio a restrizioni alla libertà di espressione nel dibattito politico o in questioni di interesse generale. Infatti, in linea di principio, le dichiarazioni che si riferiscono a tali questioni di interesse pubblico richiedono una tutela forte, diversamente da quelle che difendono o giustificano la violenza, l’odio, la xenofobia o altre forme di intolleranza, le quali di norma non sono protette. Il dibattito politico è, per sua natura, fonte di polemiche e spesso è virulento, ma non per questo perde di interesse pubblico, sempre che esso non superi la misura e degeneri in un appello alla violenza, all’odio o all’intolleranza (Corte EDU, 15 ottobre 2015, Perinçek c. Svizzera, CE:ECHR:2015:1015JUD002751008, punti 197, 230 e 231).

92      In terzo luogo, quanto alla «necessità» di una limitazione della libertà di espressione, la Corte EDU considera che quest’ultima implica un bisogno sociale imperativo e che un’ingerenza va esaminata alla luce dell’intera controversia per determinare se fosse proporzionata all’obiettivo legittimo perseguito e se i motivi invocati dalle autorità per giustificarla risultassero pertinenti e sufficienti [Corte EDU, 15 ottobre 2015, Perinçek c. Svizzera, CE:ECHR:2015:1015JUD002751008, punto 196, ii) e iii)].

93      Questi principi costituiscono, è vero, elementi importanti da prendere in considerazione nel caso di specie. Tuttavia, deve osservarsi che essi sono applicabili solo nella misura in cui rilevano nel contesto della presente causa, che è caratterizzata da specificità che la distinguono da quelle che hanno permesso alla Corte EDU di sviluppare la sua giurisprudenza.

94      Si deve sottolineare, infatti, che i principi che discendono dalla giurisprudenza della Corte EDU sono stati stabiliti riguardo a situazioni in cui una persona che aveva tenuto discorsi o azioni considerati inaccettabili da uno Stato aderente alla CEDU si vedeva imporre da detto Stato, nel quale risiedeva, misure repressive, spesso di natura penale, e invocava la libertà di espressione come mezzo di difesa contro detto Stato.

95      Nel caso di specie, al contrario, il ricorrente è un cittadino russo, residente in Russia, che è stato nominato con decreto del presidente Putin direttore dell’agenzia di stampa RS, la quale è un’«impresa unitaria» dello Stato russo.

96      Nell’esercizio delle sue funzioni di giornalista, inscindibili da quelle di direttore di RS, il ricorrente si è espresso più di una volta sulla situazione che il governo russo ha creato in Ucraina e, secondo il Consiglio, ha presentato gli accadimenti di tale situazione in una luce favorevole al governo russo.

97      È in questo contesto che il ricorrente invoca il diritto alla libertà di espressione. Non si tratta, dunque, di far valere tale diritto come mezzo di difesa contro lo Stato russo, ma di evitare misure restrittive, di natura cautelare e non penale, che il Consiglio ha adottato per reagire alle azioni e alle politiche del governo russo che destabilizzano l’Ucraina. Orbene, è notorio che tali azioni e politiche beneficino in Russia di una larghissima copertura mediatica e siano molto spesso presentate, propagandisticamente, al popolo russo come del tutto giustificate.

98      In particolare, si deve osservare che, il 13 febbraio 2014, il Collegio pubblico russo che decide sulle denunce per fatti di stampa (in prosieguo: il «collegio russo») ha adottato una risoluzione contro il ricorrente a seguito di una denuncia concernente la trasmissione «Vesti Nedeli» («Novità della settimana»), da lui animata. In tale occasione il collegio russo ha considerato che le dichiarazioni del ricorrente nel corso della trasmissione Vesti nedeli dell’8 dicembre 2013 costituissero propaganda che presentava i fatti accaduti il 30 novembre e il 1o dicembre 2013 in piazza dell’Indipendenza a Kiev (Ucraina) in modo non del tutto attendibile e anzi confliggente con i principi di responsabilità sociale, di innocuità, di verità, di imparzialità e di giustizia che si imponevano ai giornalisti, e ciò al fine di manipolare l’opinione pubblica russa con tecniche di disinformazione.

99      Il ricorrente non nega di aver reso le dichiarazioni sulle quali il collegio russo si è pronunciato nella sua risoluzione, ma sostiene che la propaganda è protetta dalla libertà di espressione.

100    Peraltro, occorre rilevare che la circostanza che il ricorrente abbia fatto propaganda a favore di azioni e di politiche del governo russo per la destabilizzazione dell’Ucraina risulta anche dalla decisione del Nacionālā elektronisko plašsaziņas līdzekļu padome (Consiglio nazionale dei media elettronici della Lettonia) del 3 aprile 2014 (in prosieguo: la «decisione lettone») e dalla decisione del Lietuvos radijo ir televizijos komisija (Commissione lituana della radio e della televisione) del 2 aprile 2014, quale confermata dal Vilniaus apygardos administracinis teismas (Tribunale amministrativo regionale di Vilnius, Lituania) il 7 aprile 2014 (in prosieguo: la «decisione lituana») concernenti la sospensione, nei loro rispettivi paesi, della diffusione proprio delle puntate di Vesti Nedeli alle quali ha partecipato il ricorrente.

101    Secondo il ricorrente, le decisioni lettone e lituana sono prese di posizione unilaterali sulle quali né lui né RS hanno potuto presentare osservazioni, sicché il Consiglio non potrebbe prenderle a fondamento.

102    Quanto a tali decisioni, occorre osservare che il Consiglio, nella sua risposta scritta a un quesito del Tribunale, ha indicato che esse erano state formalmente acquisite al fascicolo amministrativo il 1o febbraio 2016.

103    Pertanto, mentre è chiaro che esse fanno parte delle prove sulle quali sono fondati gli atti di marzo 2016, altrettanto non vale per gli atti di marzo 2015 e di settembre 2015.

104    Al riguardo non può essere condivisa la tesi del Consiglio secondo la quale quest’ultimo conosceva il contenuto delle decisioni lettone e lituana già al momento dell’adozione degli atti di marzo 2015 poiché si trattava di decisioni rese pubbliche, anche in inglese, nei mesi di aprile e di ottobre 2014. Infatti, non si può assumere che il Consiglio conoscesse ogni documento concernente il ricorrente solo perché documento pubblico.

105    Quanto al contenuto delle medesime decisioni, in primo luogo, deve rilevarsi che il Consiglio nazionale dei media elettronici di Lettonia, forte di un rapporto redatto dalla polizia lettone dopo aver esaminato la trasmissione Vesti Nedeli, in particolare le puntate del 2 e del 16 marzo 2014 alle quali aveva partecipato il ricorrente, ha considerato che tali trasmissioni facessero propaganda di guerra per giustificare l’intervento militare russo in Ucraina e assimilassero i difensori della democrazia ucraina ai nazisti veicolando il messaggio che, se tali difensori fossero al potere, commetterebbero gli stessi crimini dei nazisti.

106    In secondo luogo, il Vilniaus apygardos administracinis teismas (Tribunale amministrativo regionale di Vilnius) ha approvato la conclusione della Commissione lituana della radio e della televisione secondo la quale la puntata di Vesti Nedeli del 2 marzo 2014, che quest’ultima aveva esaminato, incitava all’odio tra Russi e Ucraini e giustificava l’intervento militare russo in Ucraina nonché l’annessione alla Russia di parte del territorio ucraino.

107    Orbene, constatazioni simili, da parte di autorità di due Stati membri che hanno esaminato le puntate in questione, costituiscono elementi di prova del fatto che il ricorrente si è dedicato ad attività di propaganda a favore delle azioni e delle politiche del governo russo per la destabilizzazione dell’Ucraina.

108    Ciò tanto più che, dinanzi al Tribunale, il ricorrente non ha rimesso in discussione le constatazioni contenute nelle decisioni lettone e lituana, ma si è limitato a sollevare obiezioni formali (v. punto 101 supra).

109    Al riguardo occorre osservare che le circostanze invocate dal ricorrente non tolgono che, nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale, egli potesse avanzare argomenti e prove che rimettessero in discussione la fondatezza delle constatazioni contenute in dette decisioni.

110    Peraltro, si deve rilevare che né il ricorrente né RS hanno contestato le decisioni lettone e lituana dinanzi ai giudici nazionali competenti, mentre dal fascicolo risulta che quantomeno la decisione lettone era impugnabile.

111    In tali circostanze occorre concludere che, fondandosi sulla risoluzione del collegio russo e, quanto agli atti di marzo 2016, anche sulle decisioni lettone e lituana, il Consiglio poteva considerare che il ricorrente avesse fatto propaganda.

112    Orbene, l’adozione da parte del Consiglio di misure restrittive nei confronti del ricorrente per la sua propaganda a favore delle azioni e delle politiche del governo russo per la destabilizzazione dell’Ucraina non può essere considerata una restrizione sproporzionata del suo diritto alla libertà di espressione.

113    Infatti, diversamente, il Consiglio verserebbe nell’impossibilità di perseguire il suo obiettivo politico di far pressione sul governo russo indirizzando misure restrittive non solamente alle persone che sono responsabili delle azioni o delle politiche di tale governo riguardo all’Ucraina, o alle persone che attuano tali azioni o politiche, ma anche alle persone che sostengono queste ultime attivamente.

114    Conformemente alla giurisprudenza citata al precedente punto 74, la nozione di sostegno attivo riguarda le forme di sostegno che, per la loro importanza quantitativa o qualitativa, contribuiscono a portare avanti le azioni e le politiche del governo russo per la destabilizzazione dell’Ucraina.

115    Tale nozione non si limita a un sostegno materiale, ma copre altresì il sostegno che può apportare il direttore di RS, che è un’«impresa unitaria» dello Stato russo, nominato dal presidente di tale Stato, sul quale ricade la responsabilità ultima delle azioni e delle politiche che il Consiglio condanna e alle quali intende reagire con l’adozione delle misure restrittive in questione.

116    Al riguardo, è vero che, nel valutare la proporzionalità delle misure restrittive concernenti il ricorrente, si deve esaminare se queste ultime dissuadano i giornalisti russi dall’esprimersi liberamente su questioni politiche di interesse generale, quali le azioni e le politiche del governo russo per la destabilizzazione dell’Ucraina. Una tale conseguenza, infatti, sarebbe deleteria per tutta la società (v., in tal senso, Corte EDU, 17 dicembre 2004, Cumpănă e Mazăre c. Romania, CE:ECHR:2004:1217JUD003334896, punto 114).

117    Tuttavia, così non avviene nel caso di specie, dato che la situazione del ricorrente presenta il tratto specifico, anzi unico, che egli fa propaganda a sostegno delle azioni e delle politiche del governo russo per la destabilizzazione dell’Ucraina utilizzando i mezzi e il potere che gli derivano dall’incarico di direttore di RS, quale conferitogli dallo stesso presidente Putin con decreto.

118    Orbene, gli altri giornalisti che vogliano esprimersi, anche con discorsi dissonanti, che colpiscono o inquietano (v. punto 90 supra), su questioni del dibattito politico e di interesse generale (v. punto 91 supra), quali appunto le azioni e le politiche del governo russo per la destabilizzazione dell’Ucraina, non versano in una situazione analoga a quella del ricorrente, l’unico a essere titolare dell’incarico di direttore di RS per precisa scelta del presidente Putin.

119    Del resto, il nome di nessun altro giornalista figura negli elenchi in questione e solo la motivazione relativa a un membro delle autorità della sedicente «Repubblica popolare di Donetsk» fa riferimento ad attività di propaganda.

120    Le considerazioni testé svolte sono sufficienti, tenuto conto altresì dell’ampio potere discrezionale di cui beneficia il Consiglio (v. punto 88 supra), per stabilire che le limitazioni al diritto alla libertà di espressione del ricorrente che le misure restrittive in questione possono comportare sono necessarie e non sproporzionate, e non occorre esaminare se gli altri elementi di prova sui quali il Consiglio si è fondato dimostrino che il ricorrente ha incitato alla violenza o all’odio.

121    Atteso che le limitazioni alla libertà di espressione che le misure restrittive in questione possono comportare nei confronti del ricorrente sono necessarie e proporzionate allo scopo perseguito, occorre esaminare la condizione che non sia violata la sostanza di detta libertà.

 Sull’assenza di violazione sostanziale della libertà di espressione del ricorrente

122    Quanto alla condizione dell’assenza di violazione sostanziale della libertà di espressione del ricorrente, si deve ricordare che le misure restrittive in questione prevedono, da un lato, che gli Stati membri prendano le misure necessarie per impedire il suo ingresso o il suo transito sul loro territorio e, dall’altro, un congelamento dei fondi e delle risorse economiche che ha collocato nell’Unione.

123    Orbene, il ricorrente è cittadino di uno Stato terzo all’Unione, la Federazione russa, e risiede in tale Stato, dove esercita l’attività professionale di direttore di RS. Pertanto, le misure restrittive in questione non ledono la sostanza del suo diritto a esercitare la libertà di espressione segnatamente nell’ambito della sua attività professionale nel settore dei media, nel paese in cui risiede e lavora (v., per analogia, sentenza del 4 dicembre 2015, Sarafraz/Consiglio, T‑273/13, non pubblicata, EU:T:2015:939, punto 190 e giurisprudenza citata).

124    Tali misure, inoltre, hanno carattere temporaneo e reversibile. Risulta, infatti, dall’articolo 6 della decisione 2014/145 che quest’ultima è riesaminata costantemente e dall’articolo 14, paragrafo 4, del regolamento n. 269/2014 che l’elenco allegato a quest’ultimo è riesaminato periodicamente e almeno ogni dodici mesi.

125    Ne consegue che le misure restrittive imposte al ricorrente non ledono il contenuto essenziale della sua libertà di espressione.

126    Tutto ciò considerato, il primo e il secondo motivo devono essere respinti.

D –  Sul quinto motivo, vertente sul fatto che il criterio in questione sarebbe incompatibile con il diritto alla libertà di espressione, e per questo illegittimo, se permettesse l’adozione di misure restrittive nei confronti di giornalisti nell’esercizio di tale diritto

127    In subordine il ricorrente solleva una censura di illegittimità ai sensi dell’articolo 277 TFUE, con riferimento al criterio in questione, nell’ipotesi in cui quest’ultimo dovesse essere interpretato nel senso che esso consente di adottare misure restrittive nei confronti di giornalisti che abbiano espresso opinioni a giudizio del Consiglio discutibili. Tale criterio, come interpretato, sarebbe sproporzionato e mancherebbe di base giuridica. Nella replica il ricorrente precisa che gli articoli 29 TFUE e 215 TFUE non consentono l’adozione di atti contrari al diritto alla libertà di espressione.

128    In primo luogo, il Consiglio eccepisce l’irricevibilità del presente motivo, che non soddisfarebbe le condizioni previste all’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura.

129    In secondo luogo, il Consiglio espone che il criterio in questione concerne le attività di propaganda e di disinformazione che apportano sostegno attivo al governo russo nel destabilizzare l’Ucraina e che un tale criterio non è contrario alla libertà di espressione.

130    Risulta dall’esame del primo e del secondo motivo che il criterio in questione deve essere intrepretato in conformità al diritto primario, che include le disposizioni a tutela del diritto alla libertà di espressione (v. punti da 64 a 70 supra).

131    Orbene, è stato concluso che il criterio in questione poteva essere interpretato e applicato in maniera conforme al diritto primario, compreso il diritto alla libertà di espressione. Peraltro, si è ritenuto che l’applicazione d tale criterio che è stata fatta nel caso di specie al ricorrente non violasse il suo diritto alla libertà di espressione, dato che il Consiglio ha rispettato le condizioni di legge previste per limitare detta libertà.

132    In tali circostanze si deve respingere il presente motivo, senza che occorra pronunciarsi sull’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio.

E –  Sul terzo motivo, vertente sulla violazione dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva

133    Il ricorrente, dopo aver richiamato i principi giurisprudenziali vertenti sul rispetto dei diritti della difesa in materia di misure restrittive, fa valere che, sebbene gli atti di marzo 2015 abbiano mantenuto, e non iscritto per la prima volta, il suo nome negli elenchi in questione, egli non è stato informato preventivamente dei motivi di tale mantenimento né ha ricevuto elementi di prova seri, affidabili e concreti che potessero giustificarlo.

134    In particolare, in primo luogo, il ricorrente fa valere che gli atti di marzo 2015 sono stati adottati prima che il Consiglio rispondesse alla sua domanda di accesso al fascicolo contenuta nella lettera del 4 febbraio 2015. Pertanto egli non avrebbe potuto pronunciarsi con cognizione di causa riguardo all’intenzione del Consiglio di mantenere l’applicazione di misure restrittive nei suoi confronti.

135    In secondo luogo, il ricorrente avanza che la sua lettera del 25 febbraio 2015 non è stata esaminata con accuratezza e imparzialità.

136    Il Consiglio, oltre a contestare nel merito gli argomenti del ricorrente circa la violazione dei diritti della difesa, fa valere che l’invocazione, da parte di quest’ultimo, unicamente nel presente motivo, della violazione del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva è irricevibile, perché non sarebbe conforme ai requisiti minimi previsti all’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura.

137    In limine si deve accogliere l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio, dato che il ricorrente non ha dedotto argomenti vertenti specificamente sulla violazione del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

138    Infatti, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, che coincide, in sostanza, con l’articolo 44, paragrafo 1, lettera c), del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991, l’atto introduttivo deve contenere inter alia un’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Inoltre, per giurisprudenza costante, tale esposizione deve essere sufficientemente chiara e precisa per consentire al convenuto di preparare la sua difesa e al Tribunale di statuire sul ricorso, eventualmente senza corredo di altre informazioni. Infatti, al fine di garantire la certezza del diritto e una corretta amministrazione della giustizia, è necessario, perché un ricorso sia ricevibile, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso si basa emergano, anche sommariamente, purché in modo coerente e comprensibile, dal testo dell’atto introduttivo stesso. Sempre secondo giurisprudenza costante, qualsiasi motivo che non sia sufficientemente articolato nell’atto introduttivo deve essere considerato irricevibile. Requisiti analoghi valgono per le censure formulate a sostegno di un motivo. Questo motivo di irricevibilità di ordine pubblico deve essere rilevato d’ufficio dal giudice dell’Unione [v., in tal senso, sentenza del 12 maggio 2016, Italia/Commissione, T‑384/14, EU:T:2016:298, non pubblicata, punto 38 e giurisprudenza citata].

139    Quanto alla censura concernente la violazione dei diritti della difesa, occorre ricordare che il diritto fondamentale al rispetto di questi ultimi nel corso di un procedimento preliminare all’adozione di una misura restrittiva è esplicitamente consacrato nell’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta (v. sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 102 e giurisprudenza citata).

140    In tale contesto, si deve osservare che l’articolo 3, paragrafi 2 e 3, della decisione 2014/145 e l’articolo 14, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 269/2014 prevedono che il Consiglio trasmetta la sua decisione e i motivi dell’inserimento nell’elenco in questione alla persona fisica o giuridica, entità o organismo interessati, o direttamente, se l’indirizzo è noto, o mediante la pubblicazione di un avviso, dando loro la possibilità di presentare osservazioni. Qualora siano avanzate osservazioni o presentate nuove prove sostanziali, il Consiglio riesamina la decisione e ne informa la persona fisica o giuridica, l’entità o l’organismo interessati.

141    Parimenti va rilevato, anzitutto, che, secondo l’articolo 6, terzo comma, della decisione 2014/145, quest’ultima è riesaminata periodicamente. Poi, nella sua versione iniziale, l’articolo 6, secondo comma, di tale decisione prevedeva che questa fosse applicabile fino al 17 settembre 2014, mentre atti posteriori ne hanno deciso a più riprese la proroga. Infine, secondo l’articolo 14, paragrafo 4, del regolamento n. 269/2014, l’elenco allegato a quest’ultimo è esaminato costantemente e almeno ogni dodici mesi.

142    Nella fattispecie, il ricorrente non ha impugnato né la decisione d’esecuzione 2014/151 né il regolamento di esecuzione n. 284/2014 con i quali il Consiglio ha proceduto all’iscrizione del suo nome per la prima volta (v. punto 3 supra). Come ha ammesso in una risposta scritta a un quesito del Tribunale, la sua prima reazione all’adozione di tali atti è stata l’invio della lettera del 4 febbraio 2015, e ciò nonostante che il Consiglio, il 22 marzo 2014, avesse pubblicato un avviso all’attenzione delle persone soggette alle misure restrittive previste dalla decisione 2014/145, attuata dalla decisione di esecuzione 2014/151, e dal regolamento n. 269/2014, attuato dal regolamento di esecuzione 284/2014 (GU 2014, C 84, pag. 3).

143    Tale avviso indicava, in particolare, che le persone e le entità interessate potevano presentare al Consiglio, unitamente ai documenti giustificativi, una richiesta di riesame della decisione che aveva incluso i loro nomi negli elenchi allegati ai primi atti impugnati.

144    Ne consegue che il ricorrente ha atteso a lungo prima di chiedere al Consiglio l’accesso ai documenti che lo riguardavano e il riesame della propria situazione.

145    Peraltro si deve rilevare che, con gli atti di marzo 2015, il nome del ricorrente è stato mantenuto negli elenchi in questione con la stessa motivazione di prima. Al riguardo occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, pur non essendo tenuto a sentire il ricorrente anteriormente alla prima iscrizione del suo nome, affinché le misure restrittive che lo riguardavano beneficiassero di un effetto sorpresa (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punti da 110 a 113 e giurisprudenza citata), il Consiglio era nondimeno tenuto, in linea di principio, a sentirlo prima di decidere di mantenere il suo nome negli elenchi medesimi. Tuttavia, il diritto di essere ascoltato prima dell’adozione di atti che mantengono misure restrittive riguardo a persone già interessate da tali misure si impone quando il Consiglio ha preso in considerazione elementi nuovi nei confronti di tali persone, non quando un tale mantenimento sia fondato sugli stessi motivi che avevano giustificato l’adozione dell’atto iniziale che disponeva le misure restrittive in questione (v., per analogia, sentenza del 28 luglio 2016, Tomana e a./Consiglio e Commissione, C‑330/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:601, punto 67 e giurisprudenza citata; v. anche, in tal senso e per analogia, sentenza del 7 aprile 2016, Central Bank of Iran/Consiglio, C‑266/15 P, EU:C:2016:208, punto 33).

146    Orbene, nella fattispecie, la motivazione concernente il ricorrente negli atti impugnati non è cambiata rispetto a quella degli atti con i quali era stata decisa la prima iscrizione del suo nome.

147    In tali circostanze, in primo luogo, il Consiglio non era tenuto a sentire il ricorrente prima di adottare gli atti impugnati.

148    In secondo luogo, si deve rilevare che, con lettera del 13 febbraio 2015 (v. punto 10 supra), il Consiglio, ha, in ogni caso, invitato il ricorrente a pronunciarsi sull’eventuale proroga delle misure restrittive che lo riguardavano.

149    Certo, è vero che il ricorrente, nonostante la domanda del 4 febbraio 2015, non aveva ancora ottenuto l’accesso ai documenti che giustificavano l’iscrizione del suo nome quando ha presentato le sue osservazioni in risposta all’invito del Consiglio.

150    Tuttavia, si deve osservare che, quand’anche detta domanda, pur formalmente fondata sul regolamento n. 1049/2001, potesse essere considerata come presentata nell’ambito del procedimento di riesame di cui alle disposizioni menzionate ai punti 140 e 141 supra, e potesse, dunque, essere pertinente per valutare se i diritti della difesa del ricorrente siano stati rispettati nella fattispecie, al Consiglio non può addebitarsi di non aver trattato detta domanda, in un termine brevissimo, prima di adottare gli atti di marzo 2015, dato che il ricorrente medesimo aveva atteso quasi undici mesi prima di reagire alla prima iscrizione del suo nome e di introdurre una tale domanda.

151    A tale proposito occorre rilevare che, qualora siano state comunicate informazioni sufficientemente precise, che consentano alla persona interessata di far conoscere utilmente il suo punto di vista sugli elementi addotti a suo carico dal Consiglio, il principio del rispetto dei diritti della difesa non implica l’obbligo per tale istituzione di concedere spontaneamente l’accesso ai documenti contenuti nel suo fascicolo. È soltanto su richiesta della parte interessata che il Consiglio è tenuto a dare accesso a tutti i documenti amministrativi non riservati relativi alla misura di cui trattasi (v. sentenza del 14 ottobre 2009, Bank Melli Iran/Consiglio, T‑390/08, EU:T:2009:401, punto 97 e giurisprudenza citata).

152    Nel caso di specie, come è stato constatato nell’ambito dell’esame del quarto motivo, siccome la motivazione degli atti impugnati a carico del ricorrente, coincidente con quella degli atti che avevano comportato la prima iscrizione del suo nome, era sufficiente, il Consiglio non era tenuto a dare di propria iniziativa al ricorrente accesso al fascicolo o ad attendere l’esito della domanda che quest’ultimo aveva alla fine introdotto, prima di decidere se mantenere il suo nome negli elenchi in questione. Il ricorrente sapeva, infatti, ben prima di ricevere la lettera del 16 marzo 2015, di essere interessato da misure restrittive in ragione delle sua attività di giornalista e di direttore di RS e conosceva necessariamente le modalità in cui aveva esercitato tali attività.

153    In terzo luogo, e ad abundantiam, si deve ricordare che, perché una violazione dei diritti della difesa comporti l’annullamento di un atto, occorre che, in assenza di tale irregolarità, la procedura potesse portare a un risultato differente. Nella fattispecie, il ricorrente non ha spiegato quali erano gli argomenti e gli elementi che avrebbe potuto far valere se avesse ricevuto i documenti in questione più presto né ha dimostrato che tali argomenti ed elementi avrebbero potuto portare nel suo caso a un risultato differente, vale a dire a non rinnovare nei suoi confronti le misure restrittive in questione (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 18 settembre 2014, Georgias e a./Consiglio e Commissione, T‑168/12, EU:T:2014:781, punti da 106 a 108 e giurisprudenza citata). Pertanto il presente motivo non può, in nessun caso, comportare l’annullamento degli atti impugnati.

154    Tutto ciò considerato, il presente motivo deve essere respinto.

155    Poiché nessuno dei motivi dedotti dal ricorrente ha avuto buon fine, il ricorso deve essere respinto in toto.

 Sulle spese

156    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Consiglio ne ha fatto domanda, il ricorrente, risultato soccombente, va condannato alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Il sig. Dmitrii Konstantinovich Kiselev è condannato alle spese.

Berardis

Tomljenović

Spielmann

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 giugno 2017.

Firme

Indice


Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

A –  Sul sesto motivo, vertente sulla violazione dell’accordo di partenariato

B –  Sul quarto motivo, vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione

C –  Sul primo e sul secondo motivo, vertenti su un errore manifesto di valutazione riguardo all’applicazione del criterio in questione alla situazione del ricorrente e sulla violazione del diritto alla libertà di espressione

1.  Sulla portata del controllo giurisdizionale

2.  Sull’interpretazione del criterio in questione alla luce del diritto primario, in particolare della libertà di espressione

a)  Sulla condizione che qualsivoglia restrizione della libertà di espressione deve essere «prevista dalla legge»

b)  Sul perseguimento di una finalità di interesse generale

c)  Sul carattere non eccessivo delle misure restrittive a carico del ricorrente

Sulla necessità e la proporzionalità delle limitazioni

Sull’assenza di violazione sostanziale della libertà di espressione del ricorrente

D –  Sul quinto motivo, vertente sul fatto che il criterio in questione sarebbe incompatibile con il diritto alla libertà di espressione, e per questo illegittimo, se permettesse l’adozione di misure restrittive nei confronti di giornalisti nell’esercizio di tale diritto

E –  Sul terzo motivo, vertente sulla violazione dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva

Sulle spese



* Lingua processuale: l’inglese.