Language of document : ECLI:EU:T:2011:675

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

16 novembre 2011(*)

«Marchio comunitario – Opposizione – Domanda di marchio comunitario figurativo BUFFALO MILKE Automotive Polishing Products – Marchio nazionale figurativo anteriore BÚFALO – Produzione di prove per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso – Potere di valutazione discrezionale dei fatti conferito dall’art. 74, n. 2, del regolamento (CE) n. 40/94 [divenuto art. 76, n. 2, del regolamento (CE) n. 207/2009] – Uso effettivo del marchio anteriore – Art. 43, nn. 2 e 3, del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 42, nn. 2 e 3, del regolamento n. 207/2009)»

Nella causa T‑308/06,

Buffalo Milke Automotive Polishing Products, Inc., con sede a Pleasanton, California (Stati Uniti), rappresentata dagli avv.ti F. de Visscher, E. Cornu e D. Moreau,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. D. Botis, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI e interveniente dinanzi al Tribunale:

Werner & Mertz GmbH, con sede a Magonza (Germania), rappresentata inizialmente dagli avv.ti M. Thewes e V. Wiot, successivamente dagli avv.ti. Thewes e P. Reuter,

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della seconda commissione di ricorso dell’UAMI 8 settembre 2006 (procedimento R 1094/2005‑2), relativa ad un procedimento di opposizione tra la Werner & Mertz GmbH e la Buffalo Milke Automotive Polishing Products, Inc.,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione),

composto dai sigg. N.J. Forwood, presidente, J. Schwarcz e A. Popescu (relatore), giudici,

cancelliere: sig.ra S. Spyropoulos

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 13 novembre 2006,

visto il controricorso dell’UAMI depositato presso la cancelleria del Tribunale il 10 aprile 2007,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 1o marzo 2007,

vista la memoria di replica della ricorrente depositata presso la cancelleria del Tribunale il 4 luglio 2007,

in seguito all’udienza del 13 settembre 2011, alla quale nessuna delle parti ha partecipato,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 20 febbraio 2001 la ricorrente, la Buffalo Milke Automotive Polishing Products, Inc., ha presentato una domanda di registrazione di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio oggetto della domanda di registrazione è il seguente segno figurativo:

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3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nelle classi 3, 18 e 25 di cui all’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di tali classi, alla descrizione seguente:

–        classe 3: «Cere, creme per lucidare, prodotti detergenti, creme per il cuoio, prodotti per la conservazione del cuoio, prodotti per il bucato»;

–        classe 18: «Borse»;

–        classe 2: «Articoli d’abbigliamento, comprese t-shirt, pannolini».

4        La domanda di marchio comunitario è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 27/2002 dell’8 aprile 2002.

5        Il 25 giugno 2002 l’interveniente, la Werner & Mertz GmbH, ha proposto opposizione contro la registrazione del marchio richiesto ai sensi dell’art. 42 del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 41 del regolamento n. 207/2009).

6        L’opposizione si fondava sul seguente marchio figurativo tedesco:

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7        Tale marchio è stato registrato il 15 luglio 1994, con il numero 2079354, per prodotti rientranti nella classe 3 di cui all’Accordo di Nizza e corrispondenti alla seguente descrizione: «Prodotti per il bucato e per la sbianca; prodotti detergenti, lucidanti, sgrassanti e abrasivi; saponi, agenti impregnanti, detergenti, per la conservazione e la cura degli articoli di cuoio, di plastica e tessili, in particolare le calzature; lucido per calzature, prodotti detergenti e per la cura dei pavimenti; prodotti detergenti e per la cura dei tappeti; materiali e tessuti ignifughi; smacchiatori; detergenti per servizi sanitari».

8        L’opposizione riguardava i prodotti oggetto della domanda, rientranti nella classe 3, i quali, dopo la limitazione introdotta nel corso del procedimento dinanzi all’UAMI, corrispondono alla seguente descrizione: «Cere, creme per lucidare, prodotti detergenti, creme per il cuoio, prodotti per la conservazione del cuoio, prodotti per il bucato, tutti per gli autoveicoli».

9        Il motivo dedotto a sostegno dell’opposizione era quello indicato all’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 207/2009].

10      Il 15 luglio 2005 la divisione di opposizione ha respinto l’opposizione nella sua integralità, in quanto gli elementi probatori prodotti dall’interveniente su richiesta della ricorrente, in conformità dell’art. 43 del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 42 del regolamento n. 207/2009), non costituivano prova sufficiente del fatto che il marchio nazionale anteriore fosse stato oggetto di un uso effettivo in Germania durante i cinque anni precedenti la data di pubblicazione della domanda di marchio comunitario. Essa ha ritenuto che i documenti prodotti fossero stati tutti redatti con carattere interno da parte dell’interveniente, che gli stessi non permettessero di addivenire alla conclusione di una commercializzazione reale ed effettiva dei prodotti nel mercato di riferimento e che, pertanto, non fornissero alcuna indicazione sulla rilevanza dell’uso del marchio anteriore.

11      Il 9 settembre 2005 l’interveniente ha impugnato la decisione della divisione di opposizione dinanzi alla commissione di ricorso.

12      Il 14 novembre 2005 l’interveniente ha presentato, in allegato alla memoria in cui erano esposti i motivi del ricorso, elementi di prova complementari a quelli già prodotti in primo grado. Tali nuovi elementi comprendevano nove fatture datate dal 20 aprile 2001 al 18 marzo 2002.

13      Con decisione 8 settembre 2006 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la seconda commissione di ricorso dell’UAMI ha annullato la decisione della divisione di opposizione rinviandole la causa.

14      In primo luogo, riguardo alla ricevibilità degli elementi di prova prodotti per la prima volta in sede di impugnazione dinanzi alla commissione di ricorso dall’interveniente e destinati a provare che il marchio anteriore era stato utilizzato in Germania tra l’8 aprile 1997 ed il 7 aprile 2002, la commissione di ricorso ha ritenuto che le nove fatture costituissero prove complementari, dirette a confermare o a supportare i documenti giustificativi prodotti in tempo utile dinanzi alla divisione di opposizione, e che esse fossero ricevibili.

15      La commissione di ricorso ha fondato il suo ragionamento sull’art. 74, n. 2, del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 76, n. 2, del regolamento n. 207/2009), che conferisce all’UAMI il potere discrezionale di tenere conto o meno dei fatti e delle prove presentati tardivamente esaminando tutte le circostanze del caso.

16      In secondo luogo, riguardo alla questione se tali prove complementari fossero in grado di dimostrare l’uso del marchio anteriore ai sensi dell’art. 43, n. 2, del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 42, n. 2, del regolamento n. 207/2009), la commissione di ricorso ha ritenuto che gli elementi forniti provassero sufficientemente l’uso del marchio anteriore per i prodotti «creme per lucidare» e «creme per il cuoio». La commissione di ricorso ha concluso che tali elementi sostenevano e confermavano le informazioni contenute nella dichiarazione giurata e nei listini prezzi e che sembravano corrispondere alle relazioni sul fatturato.

 Conclusioni delle parti

17      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’UAMI alle spese.

18      L’UAMI e l’interveniente chiedono che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

19      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce un unico motivo, vertente sulla violazione dell’art. 43 del regolamento n. 40/94 e della regola 22 del regolamento (CE) della Commissione 13 dicembre 1995, n. 2868 recante modalità di esecuzione del regolamento n. 40/94 del Consiglio sul marchio comunitario (GU L 303, pag. 1). Tale motivo è suddiviso in due parti.

 Sulla presa in considerazione delle fatture prodotte per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso

20      La ricorrente fa valere, in sostanza, che la commissione di ricorso, in violazione dell’art. 43 del regolamento n. 40/94 e della regola 22 del regolamento n. 2868/95, ha dichiarato ricevibili i documenti tardivamente prodotti per la prima volta dinanzi ad essa. Secondo la ricorrente, la commissione di ricorso avrebbe dovuto tener conto della fase tardiva del procedimento nella quale ha avuto luogo tale produzione e delle circostanze che accompagnavano la produzione di tali elementi di prova per escluderli.

21      È pacifico tra le parti che i documenti forniti dall’interveniente il 14 novembre 2005, con la memoria contenente i motivi del ricorso, a sostegno di quelli già prodotti in primo grado, non sono stati prodotti in tempo utile, circostanza ritenuta, in sostanza, anche dalla commissione di ricorso ai punti 19 e 20 della decisione impugnata. Le parti controvertono, invece, se l’UAMI possa accogliere detti documenti.

22      A tal proposito, occorre rilevare, come emerge dalla formulazione dell’art. 74, n. 2, del regolamento n. 40/94 che, come regola generale e salvo disposizione contraria, la deduzione di fatti e di prove ad opera delle parti rimane possibile dopo la scadenza dei termini ai quali si trova subordinata una tale deduzione in applicazione delle disposizioni del regolamento n. 40/94 e che non è affatto proibito per l’UAMI tenere conto di fatti e prove così tardivamente dedotti o prodotti (sentenza della Corte 13 marzo 2007, causa C‑29/05 P, UAMI/Kaul, Racc. pag. I‑2213, punto 42).

23      Per contro, risulta in modo altrettanto certo da detto testo che una tale deduzione o produzione tardiva di fatti e di prove non è tale da conferire alla parte che vi procede un diritto incondizionato a che tali fatti o prove siano presi in considerazione dall’UAMI (sentenza UAMI/Kaul, cit., punto 43).

24      Siffatta presa in considerazione da parte dell’UAMI, quando è chiamato a statuire nell’ambito di un procedimento d’opposizione, è, in particolare, giustificabile se l’Ufficio ritiene che, da un lato, gli elementi prodotti tardivamente possano, a prima vista, rivestire una reale pertinenza per ciò che riguarda l’esito dell’opposizione proposta dinanzi ad esso e, dall’altro, che la fase del procedimento in cui interviene tale produzione tardiva e le circostanze che l’accompagnano non si oppongano a tale presa in considerazione (sentenza UAMI/Kaul, cit., punto 44).

25      A tal proposito, si deve respingere immediatamente l’argomento dedotto dalla ricorrente secondo cui la citata sentenza UAMI/Kaul non è applicabile alla presente fattispecie, poiché le prove non riguardavano, nella causa summenzionata, l’uso effettivo del marchio anteriore. È sufficiente osservare infatti che nella citata sentenza UAMI/Kaul, la Corte ha fornito la sua interpretazione dell’art. 74, n. 2, del regolamento n. 40/94 che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, non si limita affatto a prevedere l’ipotesi di produzione tardiva di prove concernenti la fondatezza dell’azione, ma permette all’UAMI di prendere in considerazione ogni genere di fatti o prove tardivamente presentati. D’altro canto, la Corte ha recentemente confermato che la sua interpretazione dell’art. 74, n. 2, del regolamento n. 40/94 si applicava anche nei casi di produzione tardiva di prove dell’uso effettivo di un marchio anteriore (v., in tal senso, sentenza della Corte 19 maggio 2011, causa C‑308/10 P, Union Investment Privatfonds/UAMI, Racc. pag. I‑79, punti 40‑45).

26      Per quanto riguarda le modalità di esercizio, da parte dell’UAMI, del potere discrezionale sopra richiamato, si deve rilevare, in primo luogo, che la commissione di ricorso ha espressamente dichiarato, a buon diritto, che essa disponeva del potere discrezionale necessario, ai sensi dell’art. 74, n. 2, del regolamento n. 40/94, specificando, al punto 22 della decisione impugnata, che «spett[ava] all’[UAMI] decidere, a sua assoluta discrezione, se prendere o meno in considerazione fatti e prove presentati tardivamente esaminando tutte le circostanze pertinenti del caso».

27      In secondo luogo, la motivazione fornita dalla commissione di ricorso consente di giustificare la decisione della stessa di accettare, tenuto conto delle circostanze, gli elementi di prova presentati per la prima volta dinanzi ad essa. La commissione di ricorso precisa infatti, al punto 25 della decisione impugnata, che la divisione di opposizione ha ritenuto, nella sua decisione, che l’interveniente avesse omesso di fornire elementi di prova indipendenti sulle sue vendite effettive, che potessero confermare o supportare i documenti che essa aveva redatto internamente sulla rilevanza dell’uso del marchio anteriore. Conseguentemente, la commissione di ricorso ha ritenuto di disporre di un potere discrezionale e che fosse giusto ammettere le prove prodotte con la memoria contenente i motivi del ricorso e diretti a confermare o a supportare i documenti giustificativi prodotti in tempo utile dinanzi alla divisione di opposizione.

28      In terzo luogo, la decisione impugnata ha espressamente affrontato la questione della pertinenza delle nove fatture ai fini dell’esito del procedimento ed ha stabilito di ammetterle, in quanto si trattava di elementi di prova complementari che apportavano chiarimenti su questioni connesse alla rilevanza dell’uso del marchio anteriore, ossia questioni per le quali erano già stati presentati elementi di prova in primo grado. Peraltro, si deve sottolineare, al pari dell’UAMI, che la commissione di ricorso non si è accontentata di valutare a prima vista la pertinenza dei documenti, come richiede la Corte, ma ha sottoposto questi ultimi ad un esame completo il quale ha dimostrato che i nuovi elementi modificavano in realtà l’esito del procedimento, come attestano i punti 26‑31 della decisione impugnata.

29      In quarto luogo, riguardo ad altre circostanze che possono eventualmente ostare alla presa in considerazione delle fatture tardivamente presentate, si deve sottolineare che non risulta in alcun modo dal fascicolo che l’interveniente avesse intenzione di allungare abusivamente i tempi del procedimento o che avesse dato prova di negligenza all’atto della presentazione delle prove in primo grado.

30      Neppure l’argomento della ricorrente secondo il quale la fase del procedimento in cui avviene la produzione tardiva delle prove osta alla presa in considerazione delle stesse può essere accolto. Nella fattispecie, l’interveniente, in seguito alla decisione della divisione di opposizione, aveva la possibilità di presentare prove complementari a sostegno del suo ricorso e la commissione di ricorso disponeva del potere discrezionale di accettarle. La commissione di ricorso ha preso in considerazione tali prove e ciò che la ricorrente pretende essere un ritardo nel procedimento costituisce in realtà il normale svolgimento della procedura nella quale la commissione di ricorso può essere portata ad annullare la decisione della divisione di opposizione.

31      Infine, per quanto riguarda la verifica se una disposizione della normativa ostasse eventualmente all’ammissione delle nuove prove in tale fase del procedimento, occorre ricordare che la possibilità per le parti nel procedimento dinanzi all’UAMI di presentare fatti e prove dopo la scadenza dei termini impartiti a tale scopo non è incondizionata, ma, come emerge dal punto 42 della citata sentenza UAMI/Kaul, è subordinata alla condizione che non esistano disposizioni contrarie. Soltanto se tale condizione è soddisfatta, l’UAMI dispone di un potere discrezionale quanto alla presa in considerazione di fatti e prove presentati tardivamente, come riconosciutogli dalla Corte interpretando l’art. 74, n. 2, del regolamento n. 40/94 [sentenza del Tribunale 12 dicembre 2007, causa T‑86/05, K & L Ruppert Stiftung/UAMI – Lopes de Almeida Cunha e a. (CORPO livre), Racc. pag. II‑4923, punto 47].

32      Tuttavia, utilizzando l’espressione «salvo disposizione contraria» a proposito delle disposizioni che possono limitare il potere discrezionale conferito all’UAMI dall’art. 74, n. 2, del regolamento n. 40/94, la Corte, nella citata sentenza UAMI/Kaul, non ha indicato espressamente a quali disposizioni del regolamento n. 40/94 venisse fatto riferimento. Essa non ha neppure precisato se tale espressione comprendesse anche il regolamento n. 2868/95 e, in particolare, la regola 22, n. 2, del medesimo.

33      Orbene, occorre rilevare che, dato che la Commissione ha adottato il regolamento n. 2868/95 ai sensi dell’art. 140 del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 145 del regolamento n. 207/2009), le sue disposizioni devono essere interpretate in conformità delle disposizioni di quest’ultimo regolamento [sentenza del Tribunale 25 marzo 2009, causa T‑191/07, Anheuser‑Busch/UAMI – Budějovický Budvar (BUDWEISER), Racc. pag. II‑691, punto 73].

34      Pertanto, nella fattispecie, gli argomenti della ricorrente, secondo i quali la commissione di ricorso, in base alla regola 22, n. 2, del regolamento n. 2868/95, aveva l’obbligo di escludere i documenti tardivi prodotti dall’interveniente senza poter applicare l’art. 74, n. 2, del regolamento n. 40/94, giungerebbero a far prevalere l’interpretazione di una norma del regolamento di esecuzione in senso contrario ai chiari termini del regolamento generale (v. sentenza BUDWEISER, cit., punto 73, e giurisprudenza ivi citata).

35      Inoltre, salvaguardare la possibilità di ammettere prove complementari è conforme allo spirito della citata sentenza UAMI/Kaul. Nella causa all’origine di tale sentenza, la Corte ha giustificato l’ammissione di prove tardive in base ai principi di certezza del diritto e di buona amministrazione della giustizia, in virtù dei quali l’esame nel merito di un’opposizione deve essere il più completo possibile, al fine di evitare la registrazione di marchi che successivamente potrebbero essere dichiarati nulli. Pertanto, tali principi possono prevalere sul principio di efficacia processuale sotteso alla necessità di rispettare i termini, se le circostanze del caso di specie lo giustificano.

36      Ne consegue che la regola 22, n. 2, del regolamento n. 2868/95 non può essere considerata come una «disposizione contraria» ai sensi della citata sentenza UAMI/Kaul.

37      È senz’altro vero che il Tribunale ha già stabilito che l’art. 43, nn. 2 e 3, del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 42, nn. 2 e 3, del regolamento n. 207/2009), come attuato dalla regola 22, n. 1, del regolamento n. 2868/95 nella versione applicabile prima della sua modifica da parte del regolamento (CE) della Commissione 29 giugno 2005, n. 1041 (GU L 172, pag. 4), divenuta regola 22, n. 2, del medesimo regolamento, dopo tale modifica, dispone che la presentazione di prove dell’uso del marchio anteriore dopo la scadenza del termine a tal fine stabilito comporta, in linea di principio, il rigetto dell’opposizione, senza che l’UAMI abbia un margine di discrezionalità al riguardo (sentenza CORPO livre, cit., punti 48‑49).

38      Nondimeno, il Tribunale ha altresì stabilito che la regola 22, n. 2, seconda frase, del regolamento n. 2868/95 non può essere interpretata nel senso che essa osta a che vengano considerati ulteriori elementi di prova, tenuto conto dell’esistenza di elementi nuovi, anche se sono forniti dopo la scadenza di tale termine (sentenza CORPO livre, cit., punto 50).

39      Orbene, anche se l’ammissione di prove dell’uso del marchio, fornite tardivamente, dovesse essere subordinata alla comparsa di un «elemento nuovo», nella fattispecie, esisterebbero valide ragioni che militano a favore dell’ammissione di tali prove.

40      Infatti, nel caso di specie, l’«elemento nuovo», come previsto nella citata sentenza CORPO livre, è costituito dalla decisione della divisione di opposizione. Nel caso in cui l’opponente produca, nel termine stabilito, prove iniziali pertinenti, ritenendo in buona fede che esse siano sufficienti a supportare le sue pretese ed apprenda solo tramite la decisione della divisione di opposizione che dette prove non sono ritenute tali, non esiste alcuna ragione valida che impedisca di rafforzare o di chiarire il contenuto delle prove iniziali producendo prove complementari, qualora l’opponente chieda alla commissione di ricorso di procedere ad un riesame completo della causa.

41      L’argomento secondo il quale gli opponenti, che assumono l’onere della prova e devono soddisfare tale onere, hanno in genere la possibilità di presentare prove complete dall’inizio del procedimento, unitamente alle loro osservazioni, non è convincente. Per definizione, esiste anche, in tutti i casi in cui siano presentate prove tardive, un mancato rispetto del termine inizialmente stabilito. Se la semplice circostanza del mancato rispetto del termine fosse sufficiente ad escludere la possibilità di produrre prove complementari, l’art. 74, n. 2, del regolamento n. 40/94 non sarebbe mai applicabile e, pertanto, sarebbe privo di qualsiasi portata.

42      Tenuto conto dell’insieme di tali elementi, occorre considerare che gli argomenti addotti dalla ricorrente non possono incidere sulla legittimità della decisione impugnata quanto alla presa in considerazione delle prove dell’uso effettivo del marchio anteriore presentate per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso. La prima parte del motivo dedotto dalla ricorrente deve essere quindi respinta in quanto infondata.

 Sulla prova dell’uso effettivo del marchio anteriore

43      La ricorrente fa valere che la commissione di ricorso ha ritenuto erroneamente che l’insieme dei documenti prodotti dall’interveniente permettesse di dimostrare un uso effettivo del marchio anteriore. Infatti, le nove fatture prodotte per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso, anche se esaminate congiuntamente agli altri mezzi di prova, non permetterebbero, a giudizio della ricorrente, di provare l’uso effettivo del marchio anteriore nel territorio tedesco durante il periodo di riferimento.

44      Come risulta dal nono ‘considerando’ del regolamento n. 40/94, il legislatore ha ritenuto che la tutela di un marchio anteriore sia giustificata soltanto nella misura in cui esso sia stato effettivamente utilizzato. Conformemente a tale ‘considerando’, l’art. 43, nn. 2 e 3, del regolamento n. 40/94 prevede che il richiedente un marchio comunitario possa chiedere la prova che il marchio anteriore sia stato seriamente utilizzato nel territorio in cui esso è protetto nei cinque anni che precedono la pubblicazione della domanda di marchio che ha formato oggetto di un’opposizione.

45      Ai sensi della regola 22, n. 3, del regolamento n. 2868/95, la prova dell’utilizzazione deve riguardare il luogo, la durata, la rilevanza e la natura dell’uso del marchio anteriore [v. sentenza del Tribunale 10 settembre 2008, causa T‑325/06, Boston Scientific/UAMI – Terumo (CAPIO), non pubblicata nella Raccolta, punto 27, e giurisprudenza ivi citata].

46      Nell’interpretare la nozione di uso effettivo, occorre considerare che la ratio legis che occorra che il marchio anteriore debba essere stato seriamente utilizzato per essere opponibile ad una domanda di marchio comunitario consiste nel limitare conflitti fra due marchi, purché non vi sia un legittimo motivo economico derivante da una funzione effettiva del marchio sul mercato [sentenza del Tribunale 12 marzo 2003, causa T‑174/01, Goulbourn/UAMI – Redcats (Silk Cocoon), Racc. pag. II‑789, punto 38]. Per contro, detta disposizione non è diretta a valutare il successo commerciale né a controllare la strategia economica di un’impresa né a riservare la tutela dei marchi solamente a loro sfruttamenti commerciali rilevanti sotto il profilo quantitativo [sentenze del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑203/02, Sunrider/UAMI – Espadafor Caba (VITAFRUIT), Racc. pag. II‑2811, punto 38, e 8 novembre 2007, causa T‑169/06, Charlott/UAMI – Charlo (Charlott France Entre Luxe et Tradition), non pubblicata nella Raccolta, punto 33].

47      Un marchio è oggetto di un uso effettivo quando, conformemente alla sua funzione essenziale, che è di garantire l’identità di origine dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, è usato al fine di creare o mantenere uno sbocco per tali prodotti e servizi, restando esclusi gli usi simbolici che hanno il solo scopo di conservare i diritti conferiti dal marchio [v. sentenza del Tribunale 13 maggio 2009, causa T‑183/08, Schuhpark Fascies/UAMI – Leder & Schuh (jello SCHUHPARK), non pubblicata nella Raccolta, punto 20, e giurisprudenza ivi citata]. A tale proposito, il presupposto dell’uso effettivo del marchio richiede che quest’ultimo, quale è tutelato nel territorio pertinente, sia usato pubblicamente e verso l’esterno (sentenze Silk Cocoon, cit., punto 39; VITAFRUIT, cit., punto 39, e Charlott France Entre Luxe et Tradition, cit., punto 34).

48      Nel verificare l’uso effettivo del marchio occorre prendere in considerazione tutti i fatti e le circostanze che possano provare l’effettività del suo sfruttamento commerciale, segnatamente gli usi considerati giustificati, nel settore economico interessato, per mantenere o creare quote di mercato per i prodotti o per i servizi tutelati dal marchio, la natura di tali prodotti o servizi, le caratteristiche del mercato, l’ampiezza e la frequenza dell’uso del marchio (sentenza BUDWEISER, cit., punto 101).

49      Per quanto riguarda la rilevanza dell’uso del marchio anteriore, occorre tener conto, in particolare, del volume commerciale di tutti gli atti d’uso, da un lato, e della durata del periodo durante il quale sono stati compiuti atti d’uso nonché della frequenza di tali atti, dall’altro (sentenza BUDWEISER, cit., punto 102).

50      Il problema di stabilire se un uso sia quantitativamente sufficiente a conservare o creare quote di mercato per i prodotti o i servizi protetti dal marchio dipende così da diversi fattori e da una valutazione caso per caso. Le caratteristiche di tali prodotti o servizi, la frequenza o la regolarità dell’uso del marchio, il fatto che il marchio sia utilizzato per commercializzare tutti i prodotti o i servizi identici dell’impresa titolare o semplicemente alcuni di essi, ovvero ancora le prove relative all’uso del marchio che il titolare è in grado di fornire, rientrano tra i fattori che possono essere presi in considerazione (sentenza della Corte 11 maggio 2006, causa C‑416/04 P, Sunrider/UAMI, Racc. pag. I‑4237, punto 71).

51      Per stabilire l’effettività dell’uso del marchio anteriore, occorre procedere ad una valutazione complessiva tenendo conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie (sentenza BUDWEISER, cit., punto 104). Tale valutazione implica una certa interdipendenza dei fattori considerati. Infatti, uno scarso volume di prodotti commercializzati con il detto marchio può essere compensato da una notevole intensità o da una grande costanza nel tempo dell’uso di tale marchio e viceversa. Inoltre, il fatturato realizzato nonché il numero di vendite di prodotti con il marchio anteriore non possono essere giudicati in assoluto, ma devono essere valutati rispetto ad altri fattori pertinenti, quali il volume dell’attività commerciale, le capacità di produzione o di commercializzazione o il grado di diversificazione dell’impresa che sfrutta il marchio nonché le caratteristiche dei prodotti o dei servizi nel mercato interessato. Pertanto, non è necessario che l’uso del marchio anteriore sia sempre quantitativamente rilevante perché sia qualificato come effettivo (sentenza della Corte 11 marzo 2003, causa C‑40/01, Ansul, Racc. pag. I‑2439, punto 39, e ordinanza della Corte 27 gennaio 2004, causa C‑259/02, La Mer Technology, Racc. pag. I‑1159, punto 21).

52      Peraltro, il Tribunale ha precisato che la seria utilizzazione di un marchio non poteva essere dimostrata da probabilità o da presunzioni, ma doveva basarsi su elementi concreti ed oggettivi che provassero un’utilizzazione effettiva e sufficiente del marchio sul mercato interessato [sentenza del Tribunale 12 dicembre 2002, causa T‑39/01, Kabushiki Kaisha Fernandes/UAMI – Harrison (HIWATT), Racc. pag. II‑5233, punto 47].

53      È alla luce delle considerazioni precedenti che occorre esaminare se la commissione di ricorso abbia giustamente ritenuto che l’interveniente avesse fornito la prova dell’uso effettivo del marchio anteriore.

54      Occorre rilevare che, poiché la domanda di registrazione del marchio in oggetto è stata pubblicata l’8 aprile 2002, il periodo di cinque anni previsto dall’art. 43, nn. 2 e 3, del regolamento n. 40/94 va dunque dall’8 aprile 1997 al 7 aprile 2002. Inoltre, gli elementi di prova forniti dall’interveniente alla divisione di opposizione e volti a dimostrare l’uso effettivo del marchio anteriore in Germania sono i seguenti:

–        dichiarazione giurata del direttore generale della società interveniente, datata 3 dicembre 2003;

–        due opuscoli, nessuno dei quali datato, in cui sono riportati in dettaglio gli articoli venduti sotto il marchio figurativo dell’interveniente con traduzione dei passaggi pertinenti;

–        due copie dell’imballaggio del prodotto, nessuna delle quali datata, con traduzione in inglese integrata;

–        due listini prezzi con traduzione parziale, recanti la dicitura «valido a partire dal» e le date del 1o aprile 2001 e del 1o gennaio 2000;

–        tre rapporti sul fatturato mensile datati 1997, 1998 e 1999;

–        due rapporti sul fatturato datati 2003.

55      Quanto agli elementi di prova forniti dall’interveniente per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso a sostegno di quelli già prodotti in primo grado, si tratta di nove fatture datate dal 20 aprile 2001 al 18 marzo 2002.

56      A tal proposito, occorre sottolineare che la ricorrente opera una distinzione tra gli argomenti relativi ai documenti prodotti dinanzi alla divisione di opposizione e quelli relativi al valore probatorio delle fatture presentate per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso.

57      Per quanto riguarda i documenti prodotti in primo grado, la ricorrente sostiene che essi sono manifestamente insufficienti a dimostrare l’uso effettivo del marchio anteriore, da un lato, quanto alla dichiarazione giurata, perché questa è resa dall’interveniente e, dall’altro, quanto agli altri documenti, perché nessuno di essi contiene tutte le indicazioni richieste dalla regola 22, n. 3, del regolamento n. 2868/95, ossia informazioni concernenti la durata, il luogo, la rilevanza e la natura dell’uso del marchio.

58      Per quanto concerne la dichiarazione giurata, occorre rilevare che, secondo una giurisprudenza costante, per valutare il valore probatorio di «dichiarazioni scritte fatte sotto il vincolo del giuramento o in forma solenne, ovvero che abbiano effetto equivalente a norma del diritto dello Stato in cui viene redatta la dichiarazione» ai sensi dell’art. 76, n. 1, lett. f), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 78, n. 1, lett. f), del regolamento n. 207/2009], è necessario accertare la verosimiglianza e la veridicità dell’informazione ivi contenuta, tenendo conto, in particolare, dell’origine del documento, delle circostanze della sua redazione, del suo destinatario e chiedersi se, in base al suo contenuto, detto documento appaia sensato e affidabile [v., in tal senso, sentenze del Tribunale 16 dicembre 2008, causa T‑86/07, Deichmann‑Schuhe/UAMI – Design for Woman (DEITECH), non pubblicata nella Raccolta, punto 47, e jello SCHUHPARK, cit., punto 38].

59      Di conseguenza, se è vero che, tenuto conto dei vincoli che legano l’autore della dichiarazione giurata e l’interveniente, detta attestazione, per avere valore probatorio, deve essere corroborata dal contenuto di altri elementi di prova forniti dall’interveniente, nondimeno la circostanza che tale attestazione sia resa dal direttore generale dell’interveniente non può di per sé privare la dichiarazione di qualsiasi valore. Peraltro, come rilevato in prosieguo, le informazioni fornite con la dichiarazione sono effettivamente confermate dagli altri elementi di prova presentati all’UAMI. Pertanto, tale argomento della ricorrente deve essere respinto.

60      Quanto all’argomento della ricorrente secondo il quale nessuno degli altri elementi di prova contiene tutte le indicazioni richieste dalla regola 22, n. 3, del regolamento n. 2868/95, occorre rilevare, al pari dell’UAMI, che il metodo applicato dalla ricorrente per l’analisi delle prove, consistente nello scindere i documenti prodotti in diverse parti, tentando di escluderne il maggior numero possibile perché non pertinenti, non è compatibile, da un lato, con il principio secondo cui le prove devono valutarsi nella loro totalità e, dall’altro, con la posizione assunta dalla Corte nella citata sentenza Ansul, secondo la quale si devono prendere in considerazione, nel verificare l’uso del marchio, tutti i fatti e le circostanze che possono provare la realtà del suo sfruttamento commerciale (sentenza Ansul, cit., punto 38).

61      D’altro canto, sebbene la regola 22 del regolamento n. 2868/95 faccia riferimento a indicazioni concernenti il luogo, la durata, la rilevanza e la natura dell’uso e dia esempi di prove ammissibili, come gli imballaggi, le etichette, gli elenchi dei prezzi, i cataloghi, le fatture, le fotografie, la pubblicità a mezzo stampa e le dichiarazioni scritte, tale regola non prevede affatto che ogni elemento di prova debba necessariamente contenere informazioni su ciascuno dei quattro elementi su cui deve fornire la prova dell’uso effettivo, ossia il luogo, la durata, la natura e la rilevanza dell’uso.

62      Ne consegue che l’argomento della ricorrente, secondo il quale taluni elementi di prova non possono essere presi in considerazione, perché non apportano simultaneamente la prova di tutti e quattro gli elementi richiesti, non può essere accolto, e ciò tanto più in quanto, nella fattispecie, gli opuscoli, i listini prezzi e le dichiarazioni presentate attestano chiaramente il luogo, la durata e la natura dell’uso o direttamente o per deduzione.

63      A tal proposito, occorre rilevare che sugli opuscoli e sulle due copie dell’imballaggio, i prodotti sono presentati in tedesco. È vero che su uno degli imballaggi le modalità d’uso e la descrizione del prodotto sono riportate anche in francese e in inglese, ma ciò trova spiegazione, come sostiene l’interveniente, nel fatto che i prodotti di cui si tratta sono stati reimportati a partire da altri paesi europei. In ogni caso, tali indicazioni non consentono di dubitare del fatto che il mercato considerato sia proprio la Germania. I listini prezzi, stabiliti in marchi tedeschi o in euro a seconda degli anni, ne sono un’ulteriore prova, avvalorando in tal modo la dichiarazione del direttore generale dell’interveniente sul luogo d’uso. Il marchio figurativo come registrato compare su tutti gli opuscoli, sugli imballaggi nonché sui listini. I rapporti sul fatturato indicano che sono state effettivamente realizzate delle vendite. Inoltre, le fatture confermano tale elemento. Benché il termine «bufalo» sia in taluni casi abbreviato, l’abbreviazione può fare riferimento soltanto al termine «bufalo». Così, ad esempio, una fattura del 20 dicembre 2001 contiene l’indicazione «buf. shoe polish schwarz 75 ml». Il riferimento a tale prodotto si ritrova in un’altra fattura dello stesso giorno e corrisponde in quest’ultima al prodotto «bufalo shoe polish black 75ml». La natura dell’uso è quindi sufficientemente provata.

64      Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, l’uso non è stato dimostrato solo per prodotti destinati alla cura delle calzature. Gli opuscoli attestano che, oltre al lucido, l’interveniente commercializzava, in particolare, saponi sui quali è espressamente indicato che essi sono adatti per «tutti i cuoi lisci», grassi per cuoio e prodotti sui quali sono rappresentati unicamente articoli di pelletteria o di abbigliamento, che dunque indicano che i prodotti BÚFALO sono a questi destinati. L’argomentazione della ricorrente sul punto non è pertanto pertinente e deve essere respinta.

65      Si deve altresì respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale sono irrilevanti anche i documenti non datati o recanti una data non compresa nel periodo da considerare. Anche supponendo che tali documenti non permettano, di per sé, di concludere per un uso effettivo, si deve considerare che, dal momento che la durata della vita commerciale di un prodotto si estende in genere per un periodo dato, e che la continuità dell’uso fa parte delle indicazioni di cui tenere conto per stabilire che l’uso era oggettivamente destinato a creare o a conservare una quota di mercato, i documenti di tal genere, lungi dall’essere irrilevanti, nella fattispecie, devono essere presi in considerazione e valutati congiuntamente agli altri elementi, poiché essi possono fornire la prova a posteriori di uno sfruttamento commerciale effettivo e serio del marchio.

66      Quanto alle fatture presentate per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso, la ricorrente contesta il loro valore probatorio in base al fatto, in primo luogo, che esse evidenziano solo un uso sporadico, tenuto conto della natura dei prodotti (prodotti a basso costo), dell’ampiezza del mercato geografico in questione (la Germania) e dei consumatori di riferimento (il grande pubblico) e che esse corrispondono soltanto ad una frazione minima del fatturato menzionato nella dichiarazione giurata, in secondo luogo, che esse sono emesse da un’entità diversa, per la quale non è provato che si tratti di un licenziatario autorizzato dal titolare, in terzo luogo, che esse non riguardano l’intero periodo di cinque anni, ma soltanto tredici mesi e, in quarto luogo, che esse possono al più attestare un uso per le calzature, ma non per creme per lucidare e creme per il cuoio in generale.

67      Nella fattispecie, per quanto riguarda le fatture supplementari e il loro impatto sulla valutazione della rilevanza dell’uso, la commissione di ricorso ha considerato a buon diritto che, congiuntamente ad altri elementi di prova, tali fatture «[…] forniscono la prova di un uso oggettivamente idoneo a creare o a preservare uno sbocco per le creme per lucidare [e per le] creme per il cuoio [; i]noltre, il volume delle vendite, in relazione alla durata ed alla frequenza dell’uso, non è così scarso da portare alla conclusione che si tratti di un uso puramente simbolico, minimo o fittizio, avente il solo scopo di mantenere la tutela del diritto al marchio».

68      La commissione di ricorso è pervenuta a tale conclusione, dopo una valutazione rigorosa dei documenti e in base alle seguenti osservazioni concrete:

«Le nove fatture sono datate da aprile 2001 a marzo 2002. Il direttore generale dell’[interveniente] ha indicato nella sua dichiarazione che i prodotti ed i materiali per la cura delle calzature hanno generato per l’opponente, tra il 2000 e il 2003, un fatturato di EUR 6 653 237. Le nove fatture riguardano vendite per un importo di EUR 1 600 circa e indicano che gli articoli BÚFALO sono stati consegnati in piccole quantità (12, 24, 36, 48, 60, 72 o 144 pezzi) a diversi clienti. Ciò sembra corrispondere ai bassi fatturati, di cui si fa menzione nella dichiarazione, che superano di poco un milione di euro all’anno per prodotti di largo utilizzo, come il lucido per calzature, nel più grande mercato europeo, ossia la Germania, che conta circa 80 milioni di consumatori potenziali. Inoltre, le tariffe applicate nelle fatture coincidono in larga misura con quelle che figurano nei listini dei prezzi prodotti come allegato (d) dinanzi alla divisione [di] opposizione».

69      Tali conclusioni sono conformi alla giurisprudenza della Corte secondo la quale, qualora risponda ad una reale esigenza commerciale, un uso anche minimo del marchio o che sia opera di un unico importatore nello Stato membro interessato può essere sufficiente a stabilirne l’effettività (sentenza Ansul, cit., punto 39, e ordinanza La Mer Technology, cit., punto 21).

70      Ne consegue che l’argomento della ricorrente secondo il quale le vendite indicate nelle fatture evidenziano soltanto un uso sporadico, considerata la natura dei prodotti e l’ampiezza del mercato geografico, deve essere respinto.

71      Inoltre, occorre rilevare che la valutazione della rilevanza dell’uso non dovrebbe fondarsi esclusivamente sul volume delle vendite espressamente indicate nelle fatture. Infatti, le fatture forniscono anche indirettamente indicazioni sull’uso del marchio anteriore. Ad esempio, la circostanza che le fatture presentate non rechino numeri progressivi e riportino date essenzialmente riferite a mesi diversi porta a concludere che l’interveniente ha prodotto solo elementi di prova corrispondenti ad esempi di vendite. Tuttavia, tali esempi consentono di supporre, con un ragionevole grado di certezza, che le vendite totali dei prodotti in oggetto siano in realtà nettamente superiori a quelle espressamente menzionate. Parimenti, la circostanza che le fatture siano indirizzate a diversi distributori indica che l’uso è sufficientemente rilevante per corrispondere ad uno sforzo commerciale effettivo e serio e che non si tratta di un semplice tentativo di simulare l’uso serio utilizzando sempre gli stessi circuiti di distribuzione.

72      Di conseguenza, la commissione di ricorso ha giustamente ritenuto che gli importi indicati nelle fatture non fossero così bassi da implicare che tali vendite erano state realizzate al solo scopo di mantenere il marchio nel registro e non per farne un uso effettivo e che ciò fosse sufficiente per concludere che, nella fattispecie, l’interveniente aveva fornito la prova, che le incombeva, di tale uso effettivo.

73      Per quanto riguarda l’argomento secondo il quale le fatture sono emesse da un’entità diversa dall’interveniente, di cui non è dimostrato che si tratti di un licenziatario autorizzato dal titolare, occorre rilevare che la società che emette le fatture risulta in un opuscolo, ma anche nel listino prezzi valido dal 1o aprile 2001 e in un rapporto sul fatturato relativo agli anni dal 2000 al 2003. Sul listino prezzi, il nome di tale società compare seguito dalla dicitura «Vertriebsgesellschaft mbH», che può essere tradotta in francese come «société de distribution» [«società di distribuzione»]. La stessa dicitura compare nella carta intestata utilizzata per le nove fatture. Inoltre, l’indirizzo di posta elettronica della società nel margine inferiore delle fatture indica che tale indirizzo è riportato nel sito Internet dell’interveniente, ossia «BNS@WERNER-MERTZ.COM». Tali elementi confermano l’affermazione dell’interveniente secondo la quale la società in questione è una società di distribuzione dell’interveniente o, almeno, una società ad essa strettamente collegata.

74      Inoltre, l’argomento secondo il quale le fatture non riguardano l’intero periodo di cinque anni, ma soltanto tredici mesi deve essere parimenti respinto, poiché non è necessario che l’uso duri per tutto l’arco dei cinque anni, ma per un periodo sufficientemente lungo per stabilire l’effettività di tale uso. Inoltre, la dichiarazione giurata fornisce ulteriori informazioni al riguardo e, di conseguenza, non può affermarsi che, nella fattispecie, l’uso sia stato limitato ad un periodo di soli tredici mesi.

75      Infine, l’argomento secondo il quale le prove possono dimostrare l’uso, al massimo, per le sole calzature e non per le creme per lucidare e le creme per il cuoio in generale deve essere, anch’esso, respinto, perché introduce una distinzione che non corrisponde ad alcun segmento reale di mercato nel quale i prodotti su cui si fonda l’opposizione possano essere suddivisi da un punto di vista commerciale.

76      Ne consegue che le fatture presentate per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso erano sufficienti a dimostrare, congiuntamente agli altri elementi di prova, che il marchio tedesco anteriore sul quale si fondava l’opposizione era stato oggetto di un uso effettivo per i prodotti indicati dalla commissione di ricorso. Di conseguenza, deve essere respinta anche la seconda parte del motivo dedotto e, con essa, il ricorso nella sua integralità.

 Sulle spese

77      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, occorre condannarla alle spese sostenute dall’UAMI e dall’interveniente conformemente alla domanda di questi ultimi.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Buffalo Milke Automotive Polishing Products, Inc. è condannata alle spese.

Forwood

Schwarcz

Popescu

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 16 novembre 2011.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.