Language of document : ECLI:EU:T:2012:212

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Settima Sezione)

3 maggio 2012 (*)

«Marchio comunitario – Opposizione – Domanda di marchio comunitario denominativo KARRA – Marchi nazionali e comunitario figurativi anteriori Kara – Denominazione sociale Conceria Kara Srl e nome commerciale Kara – Impedimenti relativi alla registrazione – Articolo 75, prima frase, del regolamento (CE) n. 207/2009 – Articolo 42, paragrafi 2 e 3, del regolamento (CE) n. 207/2009 – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009 – Articolo 8, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 207/2009 – Articolo 8 della convenzione di Parigi – Malafede»

Nella causa T‑270/10,

Conceria Kara Srl, con sede a Trezzano sul Naviglio, rappresentata da P. Picciolini, avvocato,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato da G. Mannucci, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI:

Dima – Gida Tekstil Deri Insaat Maden Turizm Orman Urünleri Sanayi Ve Ticaret Ltd Sti, con sede a Istanbul (Turchia),

avente ad oggetto un ricorso di annullamento proposto avverso la decisione della seconda commissione di ricorso dell’UAMI del 29 marzo 2010 (procedimento R 1172/2009‑2), relativa ad un procedimento di opposizione tra la Conceria Kara Srl e la Dima – Gida Tekstil Deri Insaat Maden Turizm Orman Urünleri Sanayi Ve Ticaret Ltd Sti,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione),

composto dal sig. A. Dittrich, presidente, dalle sig.re I. Wiszniewska‑Białecka e M. Kancheva (relatore), giudici,

cancelliere: sig. E. Coulon

visto il ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale l’8 giugno 2010,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 22 settembre 2010,

visto che le parti non hanno presentato domanda di fissazione dell’udienza nel termine di un mese dalla notifica della chiusura della fase scritta ed avendo quindi deciso, su relazione del giudice relatore e in applicazione dell’articolo 135 bis del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire senza aprire la fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 29 settembre 2006 la richiedente, Dima – Gida Tekstil Deri Insaat Maden Turizm Orman Urünleri Sanayi Ve Ticaret Ltd Sti, presentava una domanda di registrazione di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), a norma del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio del quale veniva richiesta la registrazione è il segno denominativo KARRA.

3        I prodotti ed i servizi per i quali veniva domandata la registrazione rientrano, fra le altre, nelle classi 18, 20, 24, 25 e 35 ai sensi dell’Accordo di Nizza relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di queste classi, alla descrizione seguente:

–        classe 18: «Cuoio e sue imitazioni, bauli, valigie, sacche da viaggio, zaini, borse, borsette, set da viaggio, ombrelli, parasoli, bastoni, portamonete, portafogli, portadocumenti, portachiavi, portachiavi ad anello, borsette portatrucco»;

–        classe 20: «Articoli d’arredamento, quali mobili, divani, specchi, cornici, tende»;

–        classe 24: «Tessuti; tendaggi per arredamento; asciugamani da spiaggia; biancheria da bagno; biancheria per la casa; asciugamani; lenzuola; fodere; coperte da letto e copritavoli; copritavoli»;

–        classe 25: «Indumenti, vestiti, pantaloni, camicie, camicette, maglioni, gonne, cappotti, indumenti impermeabili, soprabiti, panciotti, giacche, cinture, cravatte, guanti, cappelli, calze, foulard, biancheria intima, scarpe, berretti, costumi da bagno, pantaloni e pantaloncini (vestiario da spiaggia), sciarpe, sandali, pantofole, vesti da camera, accappatoi, cuffie da bagno, abbigliamento in pelle»;

–        classe 35: «Organizzazione di esposizioni per scopi commerciali o pubblicitari; servizi che comportano il raggruppamento di articoli di moda, quali cosmetici, profumi, occhiali, articoli di gioielleria, orologi da polso, da tasca e da parete, articoli in pelle, borse, arredi, articoli tessili, abbigliamento, calzature, cappelleria, nel settore degli articoli della moda (eccetto il loro trasporto) per mezzo di negozi, grandi magazzini, siti Internet per acquisti on‑line, tali da consentire al pubblico un’agevole vista ai fini del loro acquisto».

4        La domanda di marchio comunitario veniva pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 11/2007, del 19 marzo 2007.

5        Il 5 giugno 2007 la ricorrente, Conceria Kara Srl, proponeva opposizione, ai sensi dell’articolo 42 del regolamento n. 40/94 (divenuto articolo 41 del regolamento n. 207/2009), alla registrazione del marchio richiesto per i prodotti e i servizi elencati al punto 3 supra.

6        L’opposizione si basava, in particolare, sui seguenti diritti anteriori:

–        il marchio italiano figurativo qui di seguito riprodotto, depositato il 20 giugno 1996 e registrato il 14 dicembre 1998 con il numero 761972, per prodotti e servizi rientranti nelle classi 18 e 40 ai sensi dell’Accordo di Nizza:

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–        il marchio italiano figurativo qui di seguito riprodotto, depositato il 12 novembre 1996 e registrato il 29 dicembre 1998 con il numero 765532, per prodotti rientranti nella classe 25 ai sensi dell’Accordo di Nizza:

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–        il marchio comunitario figurativo qui di seguito riprodotto, depositato il 24 luglio 1998 e registrato il 4 ottobre 1999 con il numero 887810, per prodotti rientranti, in particolare, nelle classi 18 e 25 ai sensi dell’Accordo di Nizza:

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–        la denominazione sociale Conceria Kara Srl, iscritta il 19 febbraio 1996 nel Registro delle Imprese di Milano, ed il nome commerciale Kara, utilizzato nella prassi commerciale per tutti i prodotti ed i servizi contraddistinti dai marchi summenzionati.

7        I motivi fatti valere a sostegno dell’opposizione erano quelli di cui all’articolo 8, paragrafo 1, lettere a) e b), e paragrafi 4 e 5, del regolamento n. 40/94 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettere a) e b), e paragrafi 4 e 5, del regolamento n. 207/2009].

8        Il 18 gennaio 2008, su istanza della richiedente, la ricorrente veniva invitata dall’UAMI a fornire la prova, ai sensi dell’articolo 43, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 40/94 (divenuto articolo 42, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009), dell’uso effettivo dei marchi anteriori sul territorio pertinente durante i cinque anni precedenti la pubblicazione della domanda di marchio comunitario.

9        Il 12 marzo 2008 la ricorrente trasmetteva all’UAMI, a titolo di prova dell’uso dei suoi marchi anteriori, i seguenti documenti:

–        una dichiarazione giurata;

–        bilanci certificati della ricorrente relativi agli anni 2004, 2005 e 2006;

–        fatture relative agli anni 2002‑2007;

–        la registrazione del nome di dominio www.conceriakara.com nonché estratti del sito ivi ospitato;

–        pubblicità, cataloghi di vendita, brochure e pubblicazioni su riviste internazionali;

–        ordini e richieste di campionari effettuati da diversi stilisti di moda;

–        fatture di vendita destinate alla richiedente e a clienti extraeuropei;

–        documentazione pubblicitaria, campagne pubblicitarie, documenti relativi alla partecipazione a fiere e stand negli anni 2002‑2004;

–        pubblicazioni su giornali e materiale vario.

10      Il 7 agosto 2009 la divisione di opposizione accoglieva parzialmente l’opposizione. Essa ravvisava la sussistenza di un rischio di confusione tra il marchio anteriore n. 761972 ed il marchio richiesto – rischio dovuto, segnatamente, alla loro somiglianza fonetica –, sebbene solamente con riferimento ai prodotti «cuoio e imitazioni di cuoio» della classe 18.

11      Il 6 ottobre 2009 la ricorrente proponeva ricorso all’UAMI, ai sensi degli articoli 58‑64 del regolamento n. 207/2009, contro la decisione della divisione di opposizione.

12      Con decisione del 29 marzo 2010 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la seconda commissione di ricorso dell’UAMI respingeva il ricorso.

13      In primo luogo, a giudizio della commissione di ricorso, la divisione di opposizione aveva correttamente concluso che la ricorrente aveva dimostrato l’uso effettivo dei suoi marchi anteriori solamente con riferimento ai prodotti «pelle, cuoio, imitazioni di pelle e cuoio» della classe 18 ed ai «servizi di conceria» della classe 40.

14      In secondo luogo, essa dichiarava che l’opposizione poteva ritenersi fondata solamente nei confronti della registrazione del marchio anteriore n. 761972 e con esclusivo riferimento ai prodotti «cuoio e imitazioni di cuoio» della classe 18. Ad avviso della commissione di ricorso, questi ultimi erano gli unici a poter essere considerati simili o identici ai prodotti designati dal marchio richiesto, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

15      In terzo luogo, la commissione di ricorso indicava che, sebbene la ricorrente non avesse espressamente contestato le conclusioni della divisione di opposizione alla luce dell’articolo 8, paragrafi 4 e 5, del regolamento n. 207/2009 e dell’articolo 6 bis della convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, del 20 marzo 1883, come riveduta e modificata (in prosieguo: la «convenzione di Parigi»), essa riteneva opportuno precisare che tali conclusioni dovevano considerarsi corrette.

16      In quarto luogo, la commissione di ricorso rilevava che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, l’asserita malafede della richiedente non poteva determinare una violazione dell’articolo 8 del regolamento n. 207/2009, sebbene fosse possibile invocarla in un momento successivo, come motivo di nullità assoluta ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, dinanzi alla divisione di annullamento dell’UAMI.

 Conclusioni delle parti

17      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        disporre l’acquisizione dei fascicoli relativi ai procedimenti dell’UAMI B 1171453 e R 1172/2009‑2.

18      L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

 Sulla domanda di acquisizione dei fascicoli relativi ai procedimenti dell’UAMI B 1171453 e R 1172/2009-2 presentata dalla ricorrente

19      La ricorrente chiede al Tribunale di ordinare all’UAMI l’acquisizione dei fascicoli relativi ai procedimenti B 1171453 e R 1172/2009‑2.

20      Al riguardo occorre rilevare che i fascicoli relativi ai procedimenti B 1171453 e R 1172/2009-2 riguardano, rispettivamente, il procedimento dinanzi alla divisione di opposizione dell’UAMI e quello dinanzi alla commissione di ricorso. Orbene, il fascicolo relativo al procedimento dinanzi alla commissione di ricorso è stato trasmesso al Tribunale, conformemente all’articolo 133, paragrafo 3, del suo regolamento di procedura. Tale fascicolo conteneva anche copia del fascicolo relativo al procedimento dinanzi alla divisione di opposizione.

21      La domanda di acquisizione dei fascicoli relativi ai procedimenti B 1171453 e R 1172/2009‑2 è quindi divenuta priva di oggetto. Di conseguenza, non vi è più luogo a provvedere sulla medesima.

 Nel merito

22      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce quattro motivi, vertenti, rispettivamente, su una violazione dell’articolo 75, prima frase, del regolamento n. 207/2009, su una violazione dell’articolo 42, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009, su una violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 e dell’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009, e sulla malafede della richiedente al momento del deposito della domanda di registrazione.

 Sul primo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 75, prima frase, del regolamento n. 207/2009

23      La ricorrente sostiene, in sostanza, che la commissione di ricorso ha violato l’obbligo ad essa incombente di motivare adeguatamente la decisione impugnata ai sensi dell’articolo 75, prima frase, del regolamento n. 207/2009.

24      L’UAMI contesta gli argomenti della ricorrente.

25      A mente dell’articolo 75, prima frase, del regolamento n. 207/2009, le decisioni dell’UAMI devono essere motivate.

26      Secondo costante giurisprudenza, l’obbligo di motivazione stabilito da tale disposizione ha portata identica a quello sancito dall’articolo 253 CE e ha come obiettivo di consentire, da un lato, agli interessati di prendere conoscenza delle ragioni del provvedimento adottato per tutelare i propri diritti e, dall’altro, al giudice dell’Unione di esercitare il proprio controllo sulla legittimità della decisione [v. sentenza del Tribunale del 28 aprile 2004, Sunrider/UAMI – Vitakraft-Werke Wührmann e Friesland Brands (VITATASTE e METABALANCE 44), T‑124/02 e T‑156/02, Racc. pag. II‑1149, punto 73 e giurisprudenza ivi citata].

27      Dalla stessa giurisprudenza risulta che la corrispondenza di una motivazione a tali requisiti dev’essere valutata alla luce non solo della sua formulazione, ma anche del suo contesto e dell’insieme delle norme che disciplinano la materia di cui trattasi (v. sentenza VITATASTE e METABALANCE 44, cit., punto 73 e giurisprudenza ivi citata).

28      Non si può pretendere che le commissioni di ricorso forniscano una spiegazione che ripercorra esaustivamente e singolarmente tutti i ragionamenti svolti dinanzi ad esse dalle parti. La motivazione può quindi essere implicita, a condizione che consenta agli interessati di conoscere le ragioni per le quali la decisione della commissione di ricorso è stata adottata ed al giudice competente di disporre degli elementi sufficienti per esercitare il suo controllo [v. sentenza del Tribunale del 9 luglio 2008, Reber/UAMI – Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (Mozart), T‑304/06, Racc. pag. II‑1927, punto 55 e giurisprudenza ivi citata].

29      Quanto alla prima censura, secondo cui la commissione di ricorso avrebbe fatto integralmente rinvio alle conclusioni della decisione della divisione di opposizione senza fornire alcuna motivazione a sostegno del suo ragionamento, occorre rilevare che dalla lettura stessa della decisione impugnata emerge che l’argomentazione della ricorrente è errata in fatto.

30      Infatti, dalla decisione impugnata risulta che la commissione di ricorso ha proceduto ad un esame dettagliato di ciascuno dei motivi dedotti dalla ricorrente a sostegno del ricorso, vale a dire quelli vertenti, rispettivamente, sull’adeguatezza della prova dell’uso effettivo dei marchi anteriori (v. punti 15‑27 della decisione impugnata), sull’esistenza di un rischio di confusione (v. punti 29‑39 della decisione impugnata) e sulla malafede da parte della richiedente al momento del deposito della domanda di registrazione (v. punto 40 della decisione impugnata). Nell’ambito di tale esame, la commissione di ricorso ha esposto i motivi che consentivano di reputare corrette le valutazioni effettuate dalla divisione di opposizione nonché i motivi che l’hanno indotta a respingere gli argomenti fatti valere dalla ricorrente avverso tali valutazioni. Il fatto che la commissione di ricorso abbia confermato la conclusione della decisione della divisione di opposizione (v. punto 41 della decisione impugnata) non può essere considerato, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, alla stregua di un rinvio integrale, del tutto privo di motivazione, alla decisione della divisione di opposizione.

31      Occorre tuttavia rilevare, come fatto dalla ricorrente, che, per quanto riguarda le conclusioni della divisione di opposizione sull’applicazione, al caso di specie, dell’articolo 8, paragrafi 4 e 5, del regolamento n. 207/2009 e dell’articolo 6 bis della convenzione di Parigi, la commissione di ricorso si è limitata ad affermare che «le conclusioni della divisione [di] opposizione in merito a tali motivi si reputa[va]no corrette, per le ragioni esposte nella decisione medesima, a cui la commissione si [è rimessa] integralmente» (v. punto 10 della decisione impugnata).

32      Orbene, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza, a condizione che la motivazione possa consentire agli interessati di conoscere in modo chiaro ed inequivocabile il contenuto del provvedimento, le commissioni di ricorso sono pienamente libere di rinviare alla decisione amministrativa di primo grado e di aderirvi, senza per questo violare l’obbligo di motivazione ad esse incombente (v., in tal senso, sentenza Mozart, cit., punti 47, 48 e 50).

33      Nel caso di specie, dalla decisione della divisione di opposizione emerge che quest’ultima ha dichiarato che la ricorrente non aveva fornito, entro i termini stabiliti a tal fine dall’UAMI, la prova necessaria per affermare l’esistenza della tutela della denominazione sociale Conceria Kara Srl ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009, né aveva presentato deduzioni relative al carattere notorio o notoriamente conosciuto dei marchi anteriori sul territorio dell’Unione europea, ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009 e dell’articolo 6 bis della convenzione di Parigi (v. pagine 6, 10 e 11 della decisione della divisione di opposizione).

34      Di conseguenza, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la divisione di opposizione ha illustrato i motivi per cui l’applicazione delle suddette disposizioni non era giustificata nella fattispecie.

35      La prima censura della ricorrente dev’essere quindi respinta.

36      Quanto alla seconda censura, secondo cui la commissione di ricorso avrebbe omesso di esaminare talune prove prodotte dalla ricorrente al fine di dimostrare l’uso effettivo dei marchi anteriori e di pronunciarsi sulle medesime, fra le quali, segnatamente, una serie di fatture e di estratti del suo sito Internet, si deve rilevare, in senso contrario, che la commissione di ricorso ha esaminato singolarmente i documenti trasmessi all’UAMI dalla ricorrente il 12 marzo 2008 e diretti ad una siffatta dimostrazione (v. punti 15‑25 della decisione impugnata) nonché i documenti dalla stessa presentati per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso al medesimo scopo (v. punto 26 della decisione impugnata).

37      In particolare, per quanto riguarda le fatture della ricorrente, la commissione di ricorso ha esaminato tanto quelle destinate a clienti europei quanto quelle emesse per clienti al di fuori dell’Unione europea, ivi compresa la richiedente. Essa ha spiegato, a seguito di tale esame, che tali documenti consentivano di constatare che l’attività della ricorrente era rivolta alla fabbricazione e alla commercializzazione di pelli e pellami stampati e non alla confezione di prodotti finiti in pelle e in cuoio (v. punti 20‑22 della decisione impugnata). Peraltro, la commissione di ricorso ha esaminato gli estratti del sito Internet della ricorrente. In sostanza, essa ha ribadito che tali estratti confermavano l’attività della ricorrente di fabbricante di pelli e pellami stampati e lavorati a mano, ma non quella di fabbricante di prodotti finiti (v. punti 23 e 26 della decisione impugnata).

38      Ne consegue che la commissione di ricorso ha esaminato le prove prodotte dalla ricorrente al fine di dimostrare l’uso effettivo dei marchi anteriori, ivi comprese le fatture e gli estratti del suo sito Internet. Parimenti, essa ha spiegato che tale esame la induceva a concludere che tali prove non erano sufficienti a provare un uso effettivo dei marchi anteriori che andasse al di là della sua attività di fabbricazione e di commercializzazione di pelli e pellami stampati. La ricorrente non può, pertanto, addebitarle di non avere motivato la decisione impugnata a tale riguardo.

39      La seconda censura della ricorrente dev’essere quindi respinta.

40      Quanto alla terza censura, che contesta la valutazione della commissione di ricorso in merito all’adeguatezza delle prove prodotte dalla ricorrente al fine di dimostrare l’uso effettivo dei marchi anteriori, occorre rilevare che tale censura è volta a contestare la fondatezza della motivazione della decisione impugnata. Orbene, secondo costante giurisprudenza, l’obbligo di motivazione costituisce una forma sostanziale che dev’essere tenuta distinta dalla questione della fondatezza della motivazione [sentenze del Tribunale del 15 giugno 2005, Corsica Ferries France/Commissione, T‑349/03, Racc. pag. II‑2197, punti 58 e 59, e del 17 dicembre 2009, Notartel/UAMI – SAT.1 (R.U.N.), T‑490/07, non pubblicata nella Raccolta, punto 27]. Di conseguenza, occorre esaminare questa terza censura nell’ambito del secondo motivo.

41      Dalle suesposte considerazioni consegue che la commissione di ricorso ha sufficientemente motivato la propria decisione, in tal modo consentendo alla ricorrente, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 26 supra, di prendere conoscenza delle ragioni del provvedimento per tutelare i propri diritti e al Tribunale di esercitare il proprio controllo sulla legittimità della decisione impugnata.

42      Di conseguenza, la commissione di ricorso non ha violato l’articolo 75, prima frase, del regolamento n. 207/2009. Pertanto, occorre respingere il primo motivo.

 Sul secondo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 42, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009

43      La ricorrente deduce, in sostanza, che la commissione di ricorso ha erroneamente dichiarato che gli elementi di prova da essa prodotti dinanzi all’UAMI non erano sufficienti a dimostrare che i marchi anteriori erano stati oggetto di uso effettivo per tutti i prodotti ed i servizi rientranti nelle classi 16, 18 e 25.

44      L’UAMI contesta gli argomenti della ricorrente.

45      Ai sensi dell’articolo 42, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009:

«2. Su istanza del richiedente, il titolare di un marchio comunitario anteriore che abbia presentato opposizione deve addurre la prova che nel corso dei cinque anni che precedono la pubblicazione della domanda di marchio comunitario il marchio comunitario anteriore sia stato seriamente utilizzato nella Comunità per i prodotti o i servizi per cui è stato registrato e sui quali si fonda l’opposizione, o che vi siano legittime ragioni per la mancata utilizzazione, purché a quella data il marchio anteriore fosse registrato da almeno cinque anni. In mancanza di tale prova, l’opposizione è respinta. Se il marchio comunitario anteriore è stato utilizzato solo per una parte dei prodotti o dei servizi per cui è stato registrato, ai fini dell’esame dell’opposizione si intende registrato solo per tale parte dei prodotti o dei servizi.

3. Il paragrafo 2 si applica ai marchi nazionali anteriori di cui all’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), fermo restando che l’utilizzazione nella Comunità è sostituita dall’utilizzazione nello Stato membro in cui il marchio nazionale anteriore è tutelato».

46      Secondo costante giurisprudenza, un marchio è oggetto di un uso effettivo allorché è utilizzato conformemente alla sua funzione essenziale, che è di garantire l’identità di origine dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, al fine di trovare o di mantenere per essi uno sbocco, ad esclusione degli usi simbolici, che siano tesi soltanto a conservare i diritti conferiti dal marchio. Inoltre, la condizione relativa all’uso effettivo del marchio esige che questo, come tutelato nel territorio rilevante, venga utilizzato pubblicamente e verso l’esterno [v. sentenza del Tribunale del 27 settembre 2007, La Mer Technology/UAMI – Laboratoires Goëmar (LA MER), T‑418/03, non pubblicata nella Raccolta, punto 54 e giurisprudenza ivi citata].

47      Nel verificare l’uso effettivo del marchio occorre prendere in considerazione tutti i fatti e le circostanze che possano provare l’effettività del suo sfruttamento commerciale, segnatamente gli usi considerati giustificati, nel settore economico interessato, per mantenere o creare quote di mercato per i prodotti o per i servizi tutelati dal marchio, la natura di tali prodotti o servizi, le caratteristiche del mercato, l’ampiezza e la frequenza dell’uso del marchio [sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2004, Sunrider/UAMI – Espadafor Caba (VITAFRUIT), T‑203/02, Racc. pag. II‑2811, punto 40]. Per stabilire, in un caso specifico, l’effettività dell’uso del marchio anteriore, occorre quindi procedere ad una valutazione complessiva, tenendo conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie (sentenza VITAFRUIT, cit., punto 42).

48      Nella fattispecie occorre rilevare, in via preliminare, che l’affermazione della commissione di ricorso secondo cui è stato dimostrato l’uso dei marchi anteriori per i prodotti «pelle, cuoio, imitazioni di pelle e cuoio» della classe 18 e per i «servizi di conceria» della classe 40 (v. punto 27 della decisione impugnata) non è messa in discussione dalla ricorrente.

49      La ricorrente contesta, invece, la valutazione della commissione di ricorso relativa alla prova dell’uso effettivo dei suoi marchi anteriori con riferimento ai prodotti finiti in cuoio e in pelle rientranti nella classe 18 nonché ai prodotti finiti appartenenti alle classi 16 e 25.

50      A tale riguardo si deve osservare che la commissione di ricorso ha dichiarato che né i documenti trasmessi dalla ricorrente all’UAMI il 12 marzo 2008 a titolo di prova dell’uso dei suoi marchi anteriori né i documenti presentati per la prima volta dinanzi ad essa allo stesso titolo erano sufficienti a dimostrare l’uso effettivo dei marchi anteriori in relazione ai prodotti finiti delle classi 16, 18 e 25 (v. punti 15‑27 della decisione impugnata). In sostanza, la commissione di ricorso ha ritenuto che i suddetti prodotti e servizi fossero fabbricati e forniti dai clienti della ricorrente e non dalla ricorrente medesima.

51      Quanto alla prima censura, secondo cui la commissione di ricorso avrebbe dovuto ritenere che l’uso effettivo dei marchi anteriori rispetto ai prodotti finiti contraddistinti dagli stessi derivasse dal fatto che i clienti della ricorrente, nel confezionare detti prodotti, utilizzavano le materie prime da quest’ultima fabbricate, occorre dichiarare che una simile censura non può essere accolta.

52      Secondo la giurisprudenza, l’articolo 42, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009 deve essere interpretato come diretto ad evitare che un marchio utilizzato in modo parziale goda di una protezione estesa per il solo fatto di essere stato registrato per un’ampia gamma di prodotti o servizi. Di conseguenza, sono coperti da un tale marchio solo i prodotti che non differiscono sostanzialmente da quelli per i quali il titolare del marchio anteriore ha potuto provare un uso effettivo e che appartengono ad uno stesso gruppo non altrimenti suddivisibile se non in modo arbitrario [v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 14 luglio 2005, Reckitt Benckiser (España)/UAMI – Aladin (ALADIN), T‑126/03, Racc. pag. II‑2861, punti 44 e 46].

53      Orbene, nella fattispecie, è necessario rilevare che le materie prime che la ricorrente fornisce ai suoi clienti sono sottoposte a un processo di trasformazione da parte di questi ultimi tramite il quale vengono ottenuti articoli e prodotti finiti destinati alla vendita al consumatore finale. Pertanto, anche nell’ipotesi in cui tali prodotti finiti incorporino le pelli e i pellami della ricorrente, o anche qualora siano rivestiti da tali materiali, vanno considerati – per natura, finalità e destinazione – sostanzialmente differenti ai sensi della summenzionata giurisprudenza.

54      Inoltre, sebbene la ricorrente affermi che, per esaminare l’uso effettivo dei marchi anteriori, la commissione di ricorso avrebbe dovuto considerare che questi sono spesso accostati ai marchi dei prodotti finiti, si deve ricordare che, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 46 supra, può ravvisarsi l’uso effettivo di un marchio solamente qualora tale marchio sia utilizzato per garantire l’identità di origine dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato. Orbene, accogliere l’argomento dedotto dalla ricorrente equivarrebbe ad affermare che essa fabbrica i suddetti prodotti finiti congiuntamente ai propri clienti, mentre dai suoi stessi atti processuali emerge che ciò non corrisponde alla realtà della sua gestione commerciale.

55      Secondo la ricorrente, inoltre, il fatto che i suoi clienti, quando confezionano i propri prodotti finiti, vi appongano il proprio marchio e non il marchio della ricorrente è il risultato di una mera prassi del settore. Tuttavia, a tale riguardo, occorre considerare che tale circostanza dimostra, invece, la volontà dei fabbricanti di indicare ai consumatori di essere all’origine della trasformazione delle materie prime e di consentire ai consumatori di identificare il realizzatore ultimo dei prodotti finiti.

56      Peraltro, per quanto concerne l’argomento della ricorrente secondo cui la portata della tutela di un marchio deve tenere conto dei possibili sviluppi dell’attività di impresa a seconda dell’evoluzione del settore e, in particolare, della decisione di un fabbricante di pellame di sfruttare la notorietà del proprio marchio e di estendere la propria attività alla produzione di prodotti finiti con lo stesso marchio, si deve ricordare, in senso contrario, che, ai sensi dell’articolo 42, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, il titolare di un marchio anteriore deve fornire la prova del suo uso effettivo nel corso di un periodo ben determinato, vale a dire nei cinque anni che precedono la pubblicazione della domanda di marchio comunitario. Ne consegue che il titolare di un marchio anteriore il quale non abbia provato l’uso effettivo del suddetto marchio per i prodotti da questo contraddistinti nel corso del periodo indicato non può invocare la tutela di tale marchio nell’ambito di eventuali futuri sviluppi di tali prodotti.

57      Infine, quanto all’argomento della ricorrente relativo alla prassi asseritamente contraria dell’UAMI, è sufficiente ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso dev’essere valutata unicamente sulla base del regolamento n. 207/2009, come interpretato dal giudice dell’Unione europea, e non sulla base di una prassi anteriore delle medesime [v. sentenza del Tribunale del 17 marzo 2011, Jiménez Sarmiento/UAMI – Oxygène sport international (Q), T‑455/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 43 e giurisprudenza ivi citata]. Di conseguenza l’argomento della ricorrente vertente sulla prassi anteriore eventualmente contraria dell’UAMI non può essere accolto.

58      Di conseguenza, la commissione di ricorso ha correttamente dichiarato che la mera circostanza che i prodotti finiti che i clienti della ricorrente fabbricano e vendono al pubblico incorporino le pelli e i pellami confezionati da quest’ultima non può significare che la ricorrente abbia effettivamente utilizzato i marchi anteriori per prodotti siffatti.

59      La prima censura della ricorrente dev’essere pertanto respinta.

60      Quanto alla seconda censura, secondo cui la commissione di ricorso avrebbe dovuto concludere, alla luce degli estratti del sito Internet della ricorrente e, segnatamente, della documentazione pubblicitaria che vi figura, che essa fabbrica articoli finiti in pelle e in cuoio, occorre rilevare che tali documenti dimostrano, al contrario, che l’attività commerciale della ricorrente non comprende i prodotti finiti rientranti nelle classi 16, 18 e 25. In particolare, le fotografie dei prodotti finiti in cuoio presenti sul sito Internet della ricorrente sono dimostrazioni delle possibili applicazioni dei prodotti della ricorrente e non costituiscono, in ogni caso, un’offerta di vendita. La commissione di ricorso ha quindi correttamente dichiarato che tali fotografie confermavano l’attività commerciale della ricorrente quale fabbricante di «pelli e pellami speciali stampati e lavorati a mano», e non quella di produttrice dei prodotti finiti in cuoio.

61      Peraltro, quanto all’argomento della ricorrente secondo cui, in sostanza, la pubblicità di un marchio su un sito Internet è, ai sensi della giurisprudenza italiana, sufficiente a dimostrarne l’uso effettivo, basti osservare che il regime del marchio comunitario rappresenta un sistema autonomo, costituito da un insieme di norme e che persegue obiettivi ad esso specifici, la cui applicazione resta indipendente da qualsiasi sistema nazionale [v. sentenza del Tribunale del 14 giugno 2007, Europig/UAMI (EUROPIG), T‑207/06, Racc. pag. II‑1961, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

62      La seconda censura della ricorrente dev’essere pertanto respinta.

63      Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre concludere che la ricorrente non ha dedotto alcun argomento che consenta di ritenere viziato da errori l’esame della commissione di ricorso riguardante l’uso effettivo dei suoi marchi anteriori.

64      Ne consegue che la commissione di ricorso non ha violato l’articolo 42, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009. Pertanto, il secondo motivo dev’essere respinto.

 Sul terzo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 e su una violazione dell’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009

65      La ricorrente deduce, in sostanza, due censure. La prima attiene ad una violazione dell’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009 e dell’articolo 8 della convenzione di Parigi. La seconda verte su una violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 e, in particolare, sul principio di interdipendenza riconosciuto dalla giurisprudenza.

66      L’UAMI contesta gli argomenti della ricorrente.

67      Quanto alla prima censura, secondo cui la commissione di ricorso, nell’esaminare il rischio di confusione, avrebbe dovuto tenere conto del fatto che il termine «kara» fa parte della denominazione sociale della ricorrente nonché del suo nome commerciale, tutelati sia dall’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009 sia dall’articolo 8 della convenzione di Parigi, occorre anzitutto ricordare che, ai sensi della prima di tali disposizioni, l’esistenza di un marchio anteriore non registrato o di un segno diverso da un marchio legittima l’opposizione se essi soddisfano i seguenti requisiti: essere utilizzati nella normale prassi degli affari; avere una portata non puramente locale; attribuire al loro titolare il diritto di vietare l’uso di un marchio successivo; il diritto ai segni in questione deve essere stato acquisito conformemente al diritto dello Stato membro ove i segni sono stati utilizzati prima della data di deposito della domanda di marchio comunitario [sentenze del Tribunale del 30 giugno 2009, Danjaq/UAMI – Mission Productions (Dr. No), T‑435/05, Racc. pag. II‑2097, punto 35, e del 14 settembre 2011, K‑Mail Order/UAMI – IVKO (MEN’Z), T‑279/10, non pubblicata nella Raccolta, punto 17].

68      Secondo la giurisprudenza, i suddetti requisiti sono cumulativi, di modo che, quando un segno non soddisfa uno di detti requisiti, l’opposizione fondata sull’esistenza di un marchio non registrato o di altri segni utilizzati nella normale prassi commerciale ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009 non può essere accolta (v., in tal senso, sentenze Dr. No, cit., punto 35, e MEN’Z, cit., punto 17).

69      Nella fattispecie, anche se la ricorrente fa valere che il termine «kara» dovrebbe godere, in quanto componente della sua denominazione sociale o del suo nome commerciale, della tutela prevista dall’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009, è necessario osservare che – come dichiarato tanto dalla divisione di opposizione (v. pagina 11 della decisione della divisione di opposizione) quanto, a titolo di rinvio, dalla commissione di ricorso (v. punto 10 della decisione impugnata) – essa non ha dedotto alcun argomento specifico che consenta di verificare la sussistenza dei requisiti posti dalla citata disposizione.

70      Inoltre, per quanto riguarda l’articolo 8 della convenzione di Parigi, occorre rilevare che tale disposizione si limita ad enunciare che «[i]l nome commerciale sarà protetto in tutti i paesi [nei quali si applica la convenzione] senza obbligo di deposito o di registrazione, anche se non costituisce parte di un marchio di fabbrica o di commercio». Orbene, tale testo non definisce né l’estensione né le condizioni della tutela conferita al nome commerciale, ma si limita a formulare la necessità di attuare detta tutela. Questa imprecisione del testo rappresenta, di per sé, un ostacolo alla creazione di diritti che possano essere invocati dalla ricorrente dinanzi al giudice dell’Unione [v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 30 novembre 2006, Camper/UAMI – JC (BROTHERS by CAMPER), T‑43/05, non pubblicata nella Raccolta, punti 83 e 84]. Pertanto, anche ammettendo che il termine «kara» sia un nome commerciale ai sensi di tale disposizione, la ricorrente non può appellarsi al solo articolo 8 della convenzione di Parigi per invocare la tutela del suo nome commerciale.

71      La prima censura della ricorrente dev’essere quindi respinta.

72      Quanto alla seconda censura, si deve anzitutto ricordare che, a mente dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio con un marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

73      Secondo costante giurisprudenza, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico creda che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente legate tra loro. Ciò presuppone sia un’identità o una somiglianza tra i segni in conflitto sia un’identità o una somiglianza tra i prodotti o servizi che essi designano [v. sentenza del Tribunale del 22 gennaio 2009, Commercy/UAMI – easyGroup IP Licensing (easyHotel), T‑316/07, Racc. pag. II‑43, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

74      Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione dev’essere valutato globalmente, in base alla percezione dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi da parte del pubblico di riferimento, tenendo conto di tutti i fattori che caratterizzano il caso di specie, in particolare dell’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o dei servizi contrassegnati. Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi, e viceversa [sentenza della Corte del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, Racc. pag. I‑5507, punto 17, e sentenze del Tribunale del 9 luglio 2003, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑162/01, Racc. pag. II‑2821, punti 30‑33, e del 15 novembre 2011, Hrbek/UAMI – Outdoor Group (ALPINE PRO SPORTSWEAR & EQUIPMENT), T‑434/10, non pubblicata nella Raccolta, punto 66].

75      Nel caso di specie la ricorrente sostiene che l’UAMI non ha correttamente applicato il principio di interdipendenza derivante dalla giurisprudenza citata al punto 74 supra. Orbene, a tale riguardo, occorre rilevare che l’applicazione del principio di interdipendenza richiede il previo accertamento della contemporanea sussistenza di una somiglianza tra i segni in conflitto e di una somiglianza tra i prodotti e servizi contraddistinti da tali segni (sentenza easyHotel, cit., punto 42). Nella decisione impugnata, la commissione di ricorso ha dichiarato che i prodotti e servizi per i quali la ricorrente aveva provato l’uso effettivo dei marchi anteriori, vale a dire i prodotti «pelle, cuoio, imitazioni di pelle e cuoio» della classe 18 ed i «servizi di conceria» della classe 40, erano distinti dai prodotti e servizi contrassegnati dal marchio richiesto per natura, destinazione e clientela (v. punto 36 della decisione impugnata). Di conseguenza, anche ammettendo che i segni in conflitto mostrino un alto grado di somiglianza fonetica, come osservato dalla ricorrente, il principio di interdipendenza non trova applicazione, data l’assenza di somiglianza tra i prodotti ed i servizi interessati. A tale riguardo occorre rilevare che la ricorrente non deduce alcun argomento al fine di mettere in discussione una simile valutazione.

76      La seconda censura della ricorrente dev’essere quindi respinta.

77      Infine, occorre rilevare che, dal momento che una parte degli argomenti dedotti dalla ricorrente nell’ambito del presente motivo è diretta a far dichiarare al Tribunale l’errore da parte della commissione di ricorso in quanto quest’ultima non ha tenuto conto, nel corso dell’esame del rischio di confusione, della malafede della richiedente, occorre esaminare detti argomenti nell’ambito del quarto motivo.

78      Come emerge dalle suesposte considerazioni, la ricorrente non ha dimostrato che le conclusioni della commissione di ricorso relative al rischio di confusione tra i segni in conflitto erano viziate da errore.

79      Ne consegue che la commissione di ricorso non ha violato né l’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 né l’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009. Il terzo motivo va pertanto respinto.

 Sul quarto motivo, vertente sull’asserita malafede della richiedente al momento del deposito della domanda di registrazione

80      La ricorrente addebita alla commissione di ricorso di non avere preso in considerazione, nell’ambito dell’esame sull’opposizione, la malafede che la richiedente avrebbe dimostrato al momento del deposito della domanda di registrazione.

81      L’UAMI contesta gli argomenti della ricorrente.

82      Occorre rilevare, anzitutto, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la commissione di ricorso non ha affatto constatato la sussistenza, in capo alla richiedente, di un’intenzione deliberata di ingenerare confusione. Essa si è infatti limitata a indicare, in risposta ad un argomento sollevato in tal senso dalla ricorrente, che quest’ultima, qualora avesse ritenuto che la richiedente avesse agito in malafede, avrebbe mantenuto la possibilità di invocare una simile circostanza in un momento successivo, nell’ambito di un’azione per dichiarazione di nullità dinanzi alla divisione di annullamento dell’UAMI (v. punto 40 della decisione impugnata).

83      Inoltre, quanto all’addebito secondo cui la commissione di ricorso, durante l’esame della sussistenza del rischio di confusione, avrebbe dovuto prendere in considerazione la malafede della richiedente, occorre considerare, in senso contrario, che la commissione di ricorso ha correttamente dichiarato che l’asserita malafede della richiedente non poteva giocare alcun ruolo nell’ambito di tale esame.

84      Infatti, la malafede, in quanto comportamento abusivo, è un fattore particolarmente rilevante nel contesto di una domanda di dichiarazione di nullità basata sull’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009. Essa non costituisce, invece, un elemento di cui tenere conto nell’ambito di un procedimento di opposizione proposto sulla base dell’articolo 8 del regolamento n. 207/2009 [sentenza della Corte del 2 settembre 2010, Klein Trademark Trust/UAMI, C‑254/09 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 47, e sentenza del Tribunale del 17 dicembre 2010, Amen Corner/UAMI – Comercio Electrónico Ojal (SEVE TROPHY), T‑192/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 50].

85      La suddetta affermazione non può essere messa in discussione dall’argomento della ricorrente fondato sulla sentenza della Corte dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, Racc. pag. I‑4893, punto 53). Infatti, in tale sentenza, la Corte, alla quale era stata sottoposta una questione pregiudiziale, ha illustrato i requisiti che consentono di dichiarare l’esistenza della malafede della richiedente al momento del deposito di una domanda di marchio comunitario, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009. Essa non si è invece pronunciata sulla sussistenza di un obbligo in capo all’UAMI, nell’ambito di un procedimento di opposizione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, di prendere in considerazione la malafede al fine di accertare l’esistenza di un rischio di confusione tra i segni in conflitto.

86      Peraltro, occorre considerare privo di pertinenza il richiamo della ricorrente alla giurisprudenza italiana relativa agli atti che, secondo i giudici nazionali, costituiscono atti sleali. Infatti, benché né alle parti né allo stesso Tribunale si possa impedire di ispirarsi, nell’interpretazione del diritto dell’Unione, ad elementi tratti dalla giurisprudenza degli Stati membri [v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 12 luglio 2006, Vitakraft-Werke Wührmann/UAMI – Johnson’s Veterinary Products (VITACOAT), T‑277/04, Racc. pag. II‑2211, punto 71], da costante giurisprudenza emerge che la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso dev’essere valutata unicamente in base al regolamento n. 207/2009, come interpretato dal giudice dell’Unione, e non sulla base di una giurisprudenza nazionale [sentenza GIORGIO BEVERLY HILLS, cit., punto 53; sentenze del Tribunale del 4 novembre 2003, Díaz/UAMI – Granjas Castelló (CASTILLO), T‑85/02, Racc. pag. II‑4835, punto 37, e del 13 luglio 2004, AVEX/UAMI – Ahlers (a), T‑115/02, Racc. pag. II‑2907, punto 30].

87      Inoltre, il principio di autonomia del regime comunitario dei marchi, sancito nella giurisprudenza citata al punto 61 supra, è applicabile a maggior ragione in situazioni come quella del caso di specie, dato che la giurisprudenza italiana non si basa su norme analoghe a quelle del regolamento n. 207/2009, ma su norme nazionali relative alla concorrenza sleale [v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 12 settembre 2007, Koipe/UAMI – Aceites del Sur (La Española), T‑363/04, Racc. pag. II‑3355, punto 41].

88      Ne consegue che la commissione di ricorso non ha commesso errori laddove non ha preso in considerazione, nell’ambito dell’esame dell’opposizione, l’asserita malafede della richiedente al momento del deposito della domanda di registrazione. Pertanto, il quarto motivo dev’essere respinto.

89      Dal momento che nessuno dei motivi dedotti dalla ricorrente è fondato, il ricorso dev’essere respinto integralmente.

 Sulle spese

90      Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La ricorrente, poiché è rimasta soccombente, dev’essere condannata a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dall’UAMI, conformemente alle conclusioni di quest’ultimo.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Conceria Kara Srl è condannata alle spese.

Dittrich

Wiszniewska-Białecka

Kancheva

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 3 maggio 2012.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.