Language of document : ECLI:EU:C:2020:479

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 18 giugno 2020(1)

Causa C–16/19

VL

con l’intervento di:

Szpital Kliniczny im. dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sąd Okręgowy w Krakowie (Tribunale regionale di Cracovia, Polonia)]

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Direttiva 2000/78/CE – Divieto di discriminazione fondata sulla disabilità – Differenza di trattamento all’interno della categoria dei lavoratori disabili»






1.        Può qualificarsi come discriminatoria ai sensi della direttiva 2000/78/CE la condotta di un datore di lavoro che, al solo fine di ottenere un vantaggio economico sotto forma di riduzione contributiva, remuneri con un premio mensile soltanto alcuni dei lavoratori disabili in servizio, differenziandoli dagli altri lavoratori disabili in ragione della data in cui il certificato di disabilità è stato comunicato?

2.        Una lavoratrice polacca disabile si è vista negare dal proprio datore di lavoro una maggiorazione retributiva corrisposta invece ad altri lavoratori disabili per il solo fatto di aver presentato il proprio certificato di disabilità in una data antecedente ad una riunione con la direzione aziendale. In quella riunione l’azienda, al fine di incentivare l’aumento del numero di lavoratori disabili in servizio per ottenere la riduzione di un contributo a un fondo per la disabilità, aveva promesso il contestato aumento retributivo solo a coloro che a decorrere da quella data avessero prodotto un certificato di disabilità.

3.        La questione giuridica, inedita per la Corte, che è alla base dell’odierno giudizio riguarda, dunque, l’applicabilità del divieto di atti discriminatori (diretti o indiretti) alla condotta di un datore di lavoro che tratti in modo differenziato due gruppi di soggetti disabili sulla base di un criterio apparentemente neutro (nel caso di specie la data di presentazione del certificato di disabilità).

I.      Quadro giuridico

A.      Diritto internazionale

4.        L’articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, approvata a nome della Comunità europea con decisione del Consiglio, del 26 novembre 2009, 2010/48/CE (2) (in prosieguo: la «Convenzione delle Nazioni Unite»), stabilisce quanto segue:

«1.      Scopo della presente Convenzione e' promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le liberta' fondamentali da parte delle persone con disabilita', e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità.

2.      Per persone con disabilita' si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri».

5.        Inoltre, ai sensi dell’articolo 5 della predetta Convenzione delle Nazioni Unite, intitolato «Uguaglianza e non discriminazione»:

«1.      Gli Stati Parti riconoscono che tutte le persone sono uguali dinanzi alla legge ed hanno diritto, senza alcuna discriminazione, a uguale protezione e uguale beneficio dalla legge.

2.      Gli Stati Parti devono vietare ogni forma di discriminazione fondata sulla disabilita' e garantire alle persone con disabilita' uguale ed effettiva protezione giuridica contro ogni discriminazione qualunque ne sia il fondamento.

3.      Al fine di promuovere l’uguaglianza ed eliminare le discriminazioni, gli Stati Parti adottano tutti i provvedimenti appropriati, per garantire che siano forniti accomodamenti ragionevoli.

4.      Le misure specifiche che sono necessarie ad accelerare o conseguire de facto l’uguaglianza delle persone con disabilita' non costituiscono una discriminazione ai sensi della presente Convenzione».

6.        Da ultimo, ai sensi dell’articolo 27 della Convenzione delle Nazioni Unite, intitolato «Lavoro e occupazione»:

«Gli Stati Parti riconoscono il diritto al lavoro delle persone con disabilita', su base di uguaglianza con gli altri; segnatamente il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione e l’accessibilità alle persone con disabilita'. Gli Stati Parti devono garantire e favorire l’esercizio del diritto al lavoro, anche a coloro i quali hanno subìto una disabilita' durante l’impiego, prendendo appropriate iniziative – anche attraverso misure legislative – in particolare al fine di: (...) h) favorire l’impiego di persone con disabilita' nel settore privato attraverso politiche e misure adeguate che possono includere programmi di azione antidiscriminatoria, incentivi e altre misure; (...)».

B.      Diritto dell’Unione

7.        I considerando 11, 12 e 27 della direttiva 2000/78 (3) affermano che:

«(11)            La discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del trattato CE, in particolare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale, la solidarietà e la libera circolazione delle persone.

(12)      Qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali nei settori di cui alla presente direttiva dovrebbe essere pertanto proibita in tutta la Comunità. (...)

(...)

(27)      Nella sua raccomandazione 86/379/CEE del 24 luglio 1986 concernente l’occupazione dei disabili nella Comunità, il Consiglio ha definito un quadro orientativo in cui si elencano alcuni esempi di azioni positive intese a promuovere l’occupazione e la formazione di portatori di handicap, e nella sua risoluzione del 17 giugno 1999 relativa alle pari opportunità di lavoro per i disabili, ha affermato l’importanza di prestare un’attenzione particolare segnatamente all’assunzione e alla permanenza sul posto di lavoro del personale e alla formazione e all’apprendimento permanente dei disabili».

8.        L’articolo 1 della direttiva 2000/78, intitolato «Obiettivo» stabilisce che «[l]a presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

9.        Ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2000/78, intitolato «Nozione di discriminazione», si prevede quanto segue:

«1.      Ai fini della presente direttiva, per «principio della parità di trattamento» si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

2. Ai fini del paragrafo 1:

a)      sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

b)      sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:

i)      tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che

ii)      nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all’articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi.

(...)

5. La presente direttiva lascia impregiudicate le misure previste dal diritto nazionale che, in una società democratica, sono necessarie per la sicurezza pubblica, la prevenzione dei disordini o della criminalità, la tutela della salute e la protezione dei diritti e delle libertà altrui».

10.      Infine, l’articolo 7 della direttiva 2000/78 prevede che:

«2.      Quanto ai disabili, il principio della parità di trattamento non pregiudica il diritto degli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul posto di lavoro né alle misure intese a creare o mantenere disposizioni o strumenti al fine di salvaguardare o promuovere il loro inserimento nel mondo del lavoro».

C.      Diritto polacco

11.      L’articolo 113 della Ustawa z dnia 26 czerwca 1974 r. Kodeks Pracy, tekst jednolity: Dziennik Ustaw z 2018 r., poz. 917 ze zmianami (legge del 26 giugno 1974, Codice del lavoro, (Gazzetta ufficiale della Repubblica di Polonia 2018, posizione 917, testo unico, con modifiche, in prosieguo: il «Codice del lavoro polacco»), prevede quanto segue:

«È inammissibile qualsiasi discriminazione in materia di occupazione, diretta o indiretta, in particolare, in ragione del sesso, dell’età, dell’handicap, della razza, della religione, della nazionalità, delle convinzioni politiche, dell’appartenenza sindacale, dell’origine etnica, della confessione, delle tendenze sessuali, ed anche in ragione del tipo di contratto a tempo determinato o indeterminato, a tempo pieno o parziale».

12.      Ai sensi dell’articolo 183a del codice del lavoro polacco:

«§ 1.            I lavoratori devono essere trattati allo stesso modo per quanto riguarda la costituzione e la cessazione del rapporto di lavoro, le condizioni di lavoro, la promozione e l’accesso alla formazione professionale, senza distinzione, in particolare, di sesso, età, handicap, razza, religione, nazionalità, convinzioni politiche, appartenenza sindacale, origine etnica, confessione, tendenze sessuali ed anche indipendentemente dal tipo di contratto a tempo determinato o indeterminato, a tempo pieno o parziale.

§ 2.      Per parità di trattamento in materia di occupazione si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione, diretta o indiretta, basata su uno dei motivi di cui al paragrafo 1.

§ 3.      Sussiste discriminazione diretta quando, per uno dei motivi di cui al paragrafo 1, un lavoratore è o potrebbe essere trattato meno favorevolmente di altri lavoratori in una situazione analoga.

§ 4.      Sussiste discriminazione indiretta quando, a seguito di una disposizione, di un criterio applicato o di un’azione intrapresa apparentemente neutrali, si verificano o si potrebbero verificare disparità sfavorevoli o situazioni particolarmente sfavorevoli per quanto riguarda la costituzione o la cessazione del rapporto di lavoro, le condizioni di lavoro, le promozioni, l’accesso alla formazione professionale, rispetto a tutti o ad una parte significativa di lavoratori appartenenti ad un gruppo che si contraddistingue per uno o più motivi di cui al paragrafo 1, salvo che la disposizione, il criterio o l’azione siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano necessari e appropriati».

13.      Inoltre, l’articolo 183b del suddetto codice prevede:

«§ 1.      Per violazione del principio della parità di trattamento in materia di occupazione, fatte salve le disposizioni di cui ai paragrafi da 2 a 4, si intende una differenziazione operata dal datore di lavoro della situazione del lavoratore per uno o più dei motivi di cui all’articolo 183a, paragrafo 1, che produca come effetto, in particolare: (…)

2)      la determinazione sfavorevole della retribuzione o delle altre condizioni di lavoro oppure l’esclusione dalla promozione o da altre prestazioni legate al lavoro,

3)      (...)

–        salvo che il datore di lavoro dimostri di aver agito per giustificati motivi.

(...)».

14.      L’articolo 183d dello stesso codice stabilisce che:

«Colui che ha subìto da parte del datore di lavoro una violazione del principio della parità di trattamento in materia di occupazione ha diritto al risarcimento per un importo non inferiore alla retribuzione minima, stabilita in base alle norme speciali».

15.      L’Ustawa z dnia 27 sierpnia 1997 r. o rehabilitacji zawodowej i społecznej oraz zatrudnianiu osób niepełnosprawnych (legge del 27 agosto 1997 sulla riabilitazione professionale e sociale e l’occupazione delle persone portatrici di handicap) (Dz.U. del 1997, n. 123, atto 776) e successive modifiche, all’articolo 2a prevede quanto segue:

«1.      Una persona portatrice di handicap è considerata parte della forza lavoro disabile a partire dalla data in cui essa presenta al datore di lavoro un certificato di riconoscimento della propria invalidità. (...)».

16.      Il capitolo 5 della suddetta legge è intitolato «Diritti e obblighi specifici dei lavoratori in relazione all’impiego di persone». Ai sensi dell’articolo 21, i datori di lavoro che impiegano 25 o più lavoratori devono contribuire al Fondo statale per la riabilitazione delle persone disabili (Fundusz Rehabilitacji Osób Niepełnosprawnych, in prosieguo: il «PFRON»):

«1.      Un datore di lavoro che impiega 25 o più lavoratori in termini di occupazione a tempo pieno è obbligato, fatto salvi paragrafi da 2 a 5 e l’articolo 22, a versare contributi mensili al Fondo [PFRON] per un importo pari al 40,65% del salario medio moltiplicato per il numero di lavoratori pari alla differenza tra il numero di lavoratori che garantiscono il rispetto dell’indice di occupazione del 6% delle persone portatrici di handicap e il numero effettivo di persone disabili impiegate.

(…)

2.      I datori di lavoro che impiegano almeno il 6% di lavoratori portatori di handicap sono esentati dai contributi di cui al paragrafo 1. (...)».

II.    Fatti, procedimento principale e questione pregiudiziale

17.      VL è stata assunta come psicologa presso lo Szpital Kliniczny im. dr. J. Babińskiego, Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie (Ospedale Babiński, Istituto autonomo di sanità pubblica, Cracovia, in prosieguo: «l’Ospedale»), da ultimo dal 3 ottobre 2011 al 30 settembre 2016. L’8 dicembre 2011 ha ottenuto un certificato di riconoscimento di disabilità, qualificata come moderata e permanente, che ha trasmesso al suo datore di lavoro il 21 dicembre 2011.

18.      A seguito di un incontro con il personale avvenuto nella seconda metà del 2013, il direttore dell’Ospedale decideva di concedere un’integrazione della retribuzione mensile di 250 zloty polacchi (circa EUR 60) ai dipendenti che gli avessero presentato un certificato di riconoscimento del grado di disabilità.

19.      La data decisiva per la concessione di questo supplemento salariale era quella di comunicazione del certificato al direttore dell’Ospedale e non quella di ottenimento dello stesso. Pertanto, tale supplemento, non previsto dalla legislazione polacca, è stato concesso con decisione unilaterale del direttore dell’Ospedale a tredici dipendenti e cioè esclusivamente a coloro che avevano presentato il certificato di disabilità in una data posteriore alla suddetta riunione con i dipendenti. Di contro, non hanno beneficiato dell’integrazione i 16 lavoratori che avevano già trasmesso il proprio certificato di disabilità prima di detta riunione, fra i quali VL.

20.      Alla luce di quanto sopra e all’esito di un controllo effettuato dall’ispettorato nazionale del lavoro, che aveva evidenziato la discriminatorietà del criterio utilizzato per la concessione del supplemento salariale, VL impugnava la misura adottata dal proprio datore di lavoro presso il Sąd Rejonowy dla Krakowa – Nowej Huty w Krakowie IV Wydział Pracy i Ubezpieczeń Społecznych (Tribunale circondariale di Cracovia – Nowa Huta in Cracovia, sezione del lavoro e delle assicurazioni sociali, Polonia).

21.      Il ricorso era volto a ottenere sia il pagamento della suddetta integrazione retributiva (per un importo pari a 6 000 zloty polacchi – circa EUR 1 400 – per il periodo dal 1° settembre 2014, data a partire dalla quale l’integrazione è stata corrisposta ai 13 dipendenti disabili, fino al 31 agosto 2016), che il risarcimento del danno subìto per violazione del principio della parità di trattamento in materia di occupazione.

22.      Con sentenza del 5 dicembre 2017 il Tribunale distrettuale di Cracovia (Sąd Rejonowy dla Krakowa) respingeva il ricorso. Quanto all’integrazione retributiva, il giudice rilevava che il diritto di VL non era stato formalizzato in nessun atto aziendale interno vigente nell’Ospedale e non era stato riconosciuto né dal contratto di lavoro individuale di VL, né da uno specifico provvedimento del datore di lavoro stesso. Quanto alla richiesta di risarcimento del danno per discriminazione, il giudice di primo grado riteneva che la suddetta integrazione non costituisse una remunerazione per il lavoro svolto e che il criterio utilizzato dal direttore dell’Ospedale per differenziare i lavoratori, ossia la data di trasmissione del certificato di riconoscimento del grado di disabilità, non rientrasse nel divieto di cui all’articolo 183a del Codice del lavoro polacco.

23.      In particolare, secondo il giudice di primo grado, il datore di lavoro non avrebbe differenziato VL in ragione della disabilità, dal momento che tale differenziazione presupporrebbe il confronto con lavoratori non disabili.

24.      VL impugnava la sentenza di primo grado dinanzi al giudice di appello, il Sąd Okręgowy w Krakowie (Tribunale regionale di Cracovia, Polonia, in prosieguo: «il Giudice del rinvio»), sostenendo che la direttiva 2000/78 vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta nei confronti delle persone disabili.

25.      Secondo VL, infatti, l’utilizzo da parte dell’Ospedale, come elemento decisivo per il riconoscimento dell’integrazione della retribuzione, dell’arbitrario e ingiustificato criterio della data di presentazione del certificato di disabilità avrebbe assunto nei confronti della ricorrente carattere discriminatorio, avendo posto in essere una distinzione ingiustificata tra la propria situazione e quella degli altri dipendenti disabili dell’Ospedale, con violazione, in definitiva, del principio di non discriminazione. VL chiedeva espressamente al giudice di appello di rinviare la questione alla Corte di giustizia dell’Unione europea per una pronuncia pregiudiziale.

26.      In tale contesto, nutrendo dubbi sull’interpretazione dell’articolo 2 della direttiva 2000/78, e, in particolare, se la discriminazione – diretta o indiretta di cui alla direttiva – possa ricorrere nella situazione in cui il datore di lavoro operi una differenziazione dei dipendenti all’interno di un gruppo contraddistinto dalla stessa caratteristica protetta, nella fattispecie l’handicap, il Sąd Okręgowy (Tribunale regionale) sospendeva il procedimento principale e sottoponeva alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 2, della direttiva 2000/78/CE, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, debba essere interpretato nel senso che costituisce una forma di violazione del principio della parità di trattamento una differenziazione di situazioni delle singole persone appartenenti ad un gruppo contraddistinto da una caratteristica protetta (l’handicap), qualora la differenziazione operata dal datore di lavoro avvenga all’interno di tale gruppo in base a un criterio apparentemente neutrale e tale criterio non possa essere oggettivamente giustificato da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento non siano appropriati e necessari».

III. Analisi giuridica

A.      Osservazioni preliminari

27.      Il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte di precisare l’interpretazione dell’articolo 2 della direttiva 2000/78 e cioè se possa considerarsi «una forma di violazione del principio di parità di trattamento» una differenziazione di situazioni all’interno di un gruppo che condivide la medesima caratteristica protetta, nel caso di specie la disabilità.

28.      La Corte è, pertanto, chiamata a decidere se il campo di applicazione della direttiva 2000/78, tradizionalmente limitato al divieto di atti discriminatori tra persone definibili attraverso una determinata caratteristica protetta e persone che non lo sono, possa estendersi in via interpretativa a coprire situazioni di differenziazioni tra persone in possesso della medesima caratteristica protetta (nella specie l’handicap).

29.      La ricorrente in via principale, la Repubblica di Polonia e la Repubblica portoghese propongono, seppure con argomentazioni non del tutto coincidenti, di rispondere affermativamente alla questione posta: una condotta quale quella assunta dal datore di lavoro nel caso di specie integra a loro avviso una fattispecie discriminatoria vietata dalla direttiva 2000/78. La convenuta in via principale e la Commissione propongono invece di rispondere negativamente perché la fattispecie oggetto d’esame non rientrerebbe nel campo di applicazione della direttiva 2000/78.

B.      Principi generali di parità di trattamento e non discriminazione e finalità della direttiva 2000/78

30.      Il principio della parità di trattamento, sancito dall’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), è un principio generale del diritto dell’Unione e il principio di non discriminazione enunciato all’articolo 21, paragrafo 1, della Carta ne è una particolare espressione (4). Per giurisprudenza costante della Corte, tale principio impone al legislatore dell’Unione, conformemente al disposto dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (5).

31.      Con le disposizioni contenute nella direttiva 2000/78 vengono concretizzati, a livello di diritto derivato, i limiti ai quali sono soggetti, come tutti i diritti fondamentali dell’Unione, il principio di non discriminazione, sancito all’articolo 21 della Carta (6).

32.      La direttiva 2000/78 mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o sulle convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, «al fine di rendere effettivo, negli Stati membri, il principio della parità di trattamento» (7).

33.      Come si evince, in particolare, dall’articolo 2, paragrafo 1, della medesima direttiva, il principio di parità di trattamento si applica (esclusivamente) in funzione dei motivi elencati tassativamente al suo articolo 1. (8)

34.      Possiamo dunque evincere dalla citata giurisprudenza della Corte che: 1) la finalità della direttiva 2000/78 – attuazione a livello di diritto derivato dei principi di parità di trattamento e non discriminazione – è quella di offrire una tutela effettiva (9) alle persone che si trovano in una determinata situazione protetta, per evitare che nei loro confronti siano adottati trattamenti differenziati (10) rispetto a soggetti che non si trovano in quella situazione protetta; 2) per quanto attiene alle tipologie di situazioni protette (articolo 1 della direttiva) si impone un’interpretazione restrittiva (11); 3) non ogni disparità di trattamento tra lavoratori è discriminazione ai sensi della direttiva 2000/78, ma solo quella riconducibile a una delle situazioni protette.

35.      Va quindi esaminata la questione se una situazione quale quella del procedimento principale rientri nel campo di applicazione della direttiva 2000/78.

C.      Campo di applicazione della direttiva 2000/78

36.      Sul punto si contrappongono due posizioni antitetiche tra le parti intervenute nell’odierno giudizio: il convenuto in via principale e la Commissione sembrano offrire un’interpretazione restrittiva dell’intera direttiva 2000/78, nel senso che essa possa trovare applicazione solo nei confronti di trattamenti differenziati nei confronti di persone disabili in relazione a persone che non lo sono (12) e in ragione di motivi strettamente e direttamente connessi alla disabilità stessa; la ricorrente nel giudizio principale, la Repubblica di Polonia e la Repubblica portoghese sono dell’opinione, invece, che la direttiva 2000/78 possa trovare applicazione anche in situazioni, come quella dell’odierna controversia, in cui la differenziazione è operata dal datore di lavoro all’interno della categoria dei lavoratori disabili e attraverso un criterio distintivo che (apparentemente) non è direttamente connesso alla disabilità.

37.      Come sopra accennato, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, tenuto conto della formulazione dell’articolo 13 CE (divenuto articolo 19 TFUE), da cui discende la direttiva 2000/78, il campo di applicazione di quest’ultima non può essere ampliato per analogia, neppure mediante il richiamo al principio generale di non discriminazione, al di là delle ipotesi fondate sui motivi elencati tassativamente  all’articolo 1 della stessa (13).

38.      Si impone, pertanto, un’interpretazione restrittiva dei motivi elencati nell’articolo 1. Per quanto attiene al complesso delle disposizioni contenute nella direttiva (ad esempio i soggetti beneficiari della tutela e i soggetti comparabili con questi ultimi nel giudizio di discriminazione), è auspicabile invece, a mio avviso, un’interpretazione meno rigorosa e più attenta alle finalità complessive della direttiva e al fatto che essa possa avere un effetto utile nella lotta contro le discriminazioni nel rapporto di lavoro (14).

39.      La giurisprudenza della Corte offre al riguardo spunti interessanti che ci faranno concludere nel senso cui sopra ho accennato.

40.      Con riferimento ai soggetti beneficiari della tutela, la Corte ha già offerto un’interpretazione estensiva, in linea con le finalità della direttiva, limpidamente affermando che «dalle disposizioni della direttiva 2000/78 non risulta che il principio della parità di trattamento che essa mira a garantire sia limitato alle persone esse stesse disabili ai sensi di tale direttiva (15). Al contrario, quest’ultima ha come obiettivo, in materia di occupazione e lavoro, di combattere ogni forma di discriminazione basata sulla disabilità. Infatti, il principio della parità di trattamento sancito da detta direttiva in quest’ambito si applica non in relazione ad una determinata categoria di persone, bensì sulla scorta dei motivi indicati al suo articolo 1. Questa interpretazione è avallata dal testo dell’articolo 13 CE, disposizione che costituisce il fondamento normativo della direttiva 2000/78, il quale conferisce alla Comunità la competenza ad adottare i provvedimenti necessari a combattere ogni discriminazione fondata, tra l’altro, sulla disabilità» (16).

41.      Quanto ai soggetti comparabili, essendo la funzione «tipica» della direttiva 2000/78 – come di tutte le disposizioni di legge antidiscriminatorie – quella di tutelare i lavoratori che si trovano in determinate situazioni meritevoli di particolare tutela nei confronti di coloro che non si trovano nelle medesime situazioni, il termine di raffronto per valutare se una condotta o un provvedimento siano o meno discriminatori è normalmente rappresentato dai soggetti privi della caratteristica protetta.

42.      Possono verificarsi tuttavia dei casi in cui il trattamento differenziato si verifichi all’interno del gruppo caratterizzato dalla situazione protetta, nel caso che ci occupa la disabilità.

43.      L’interpretazione in ragione della quale un tale trattamento differenziato esulerebbe dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 per il solo fatto che i soggetti messi a raffronto non sono disabili e non disabili, ma tutti disabili, sarebbe a dir poco formalistica e assolutamente non in linea con l’obiettivo che la direttiva si propone di raggiungere: evitare che alcune persone siano trattate in modo differenziato in ragione della disabilità.

44.      Questo non significa, ovviamente, che ogni differenza di trattamento di un lavoratore disabile (o di un gruppo di lavoratori disabili) nei confronti di un altro lavoratore disabile (o di un altro gruppo di lavoratori disabili) sia riconducibile ad una discriminazione vietata dalla direttiva 2000/78 (17), poiché una tale interpretazione potrebbe condurre al paradosso di una discriminazione al contrario, attribuendo al datore di lavoro un obbligo assoluto e aprioristico di parità di trattamento tra lavoratori disabili che non è sancito nel diritto dell’Unione. Quello che invece è vietato è il trattamento favorevole, in ragione della disabilità, di un gruppo di lavoratori disabili a discapito di un altro gruppo di lavoratori disabili.

45.      Ciò che occorre indagare, dunque, è se il trattamento differenziato sia connesso alla caratteristica protetta (disabilità), indipendentemente dal fatto che il raffronto debba farsi all’interno dei soggetti in possesso della caratteristica protetta o nei confronti di soggetti esterni a quel gruppo. Per dirla con le parole della Corte: «il principio della parità di trattamento sancito da detta direttiva in quest’ambito si applica non in relazione ad una determinata categoria di persone, bensì sulla scorta dei motivi indicati al suo articolo 1» (18).

46.      Si pensi a mero titolo di esempio a situazioni nelle quali il datore di lavoro adotti trattamenti differenziati tra lavoratori disabili in ragione del tipo di disabilità o del grado di disabilità. In questi casi la connessione del trattamento differenziato con la caratteristica protetta sarebbe inequivoca e, pertanto, saremmo a mio avviso in pieno campo di applicazione della direttiva 2000/78, pur trattandosi di una comparazione interna al gruppo dei lavoratori disabili (19).

47.      Chiarite dunque, alla luce della giurisprudenza della Corte, le connessioni tra i principi generali di parità di trattamento e non discriminazione con le finalità della direttiva 2000/78 e con l’ambito di estensione del suo campo di applicazione, occorre procedere all’analisi di una situazione giuridica come quella oggetto del caso che ci occupa per valutarne la possibile ricomprensione all’interno delle discriminazioni protette dalla citata direttiva.

D.      Giudizio sulla discriminazione: comparazione, individuazione dello svantaggio, (eventuale) giustificazione

1.      Il provvedimento del datore di lavoro

48.      Nel caso odierno ci troviamo di fronte a un provvedimento del datore di lavoro che ha concesso un’integrazione salariale mensile e continuativa esclusivamente ai lavoratori disabili che hanno prodotto dopo una certa data un certificato di disabilità. Nel far ciò, il datore di lavoro ha negato la suddetta integrazione a quei lavoratori che, pure disabili, abbiano prodotto in una data antecedente il certificato di disabilità.

49.      Può tale condotta integrare gli estremi di una discriminazione ai sensi della direttiva 2000/78? Il criterio distintivo alla base del trattamento differenziato è connesso alla disabilità? La comparazione per valutare se si tratti di discriminazione con quali soggetti va fatta? Si tratta di una discriminazione diretta o indiretta? Se si tratta di discriminazione indiretta può sussistere una giustificazione oggettiva che consenta di escludere il carattere discriminatorio del provvedimento adottato?

2.      Criterio distintivo e connessione con la caratteristica protetta

50.      Come sopra esposto, la giurisprudenza della Corte e un’interpretazione orientata alla luce delle fonti internazionali sulle discriminazioni e alle finalità della direttiva 2000/78, ci consentono di superare l’obiezione che la direttiva sarebbe applicabile solo a situazioni nelle quali si mettano a confronto lavoratori disabili e lavoratori non disabili.

51.      Oggi la Corte è chiamata, a mio avviso, a porre un altro tassello nella sua linea interpretativa della direttiva 2000/78, e cioè a chiarire che è configurabile anche una discriminazione all’interno di gruppi di disabili proprio perché la direttiva 2000/78 protegge i lavoratori contro trattamenti differenti che siano connessi a una dalle caratteristiche protette, indipendentemente dal soggetto discriminato (disabile o persona direttamente collegata al disabile) e dal soggetto termine di paragone (non disabile o altro disabile).

52.      Il criterio distintivo per il trattamento differenziato è, come si è visto, la data di consegna del certificato di disabilità.

53.      Nella prospettazione della parte convenuta in via principale (l’Ospedale) e, in parte, della Commissione, tale criterio non avrebbe alcuna connessione con la disabilità e, pertanto, non consentirebbe di integrare la fattispecie discriminatoria che, come si è visto, in quanto proiezione del «principio di parità di trattamento», ha come requisito necessario, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2000/78, l’essere «basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1».

54.      Al contrario, la parte ricorrente in via principale (la lavoratrice), la Repubblica di Polonia e la Repubblica portoghese, pur con argomentazioni non del tutto coincidenti, ritengono tale criterio distintivo strettamente connesso alla situazione protetta «handicap», di cui all’articolo 1 della direttiva 2000/78 e, pertanto, tale da integrare una fattispecie discriminatoria e dunque illecita ai sensi della direttiva stessa.

55.      Non è irrilevante osservare, per tracciare un quadro completo delle possibili opzioni sul campo, che, come risulta dal fascicolo, anche l’Ispettorato del lavoro polacco, a seguito di un’ispezione sul luogo di lavoro della ricorrente in via principale, avrebbe ritenuto che il criterio per la concessione dell’integrazione salariale fosse discriminatorio (20). Di contrario avviso, invece, il giudice di primo grado adito dalla ricorrente, che ha respinto il ricorso con esclusivo riferimento alla normativa nazionale. Il giudice del rinvio, invece, pur non sembrando escludere la discriminatorietà (sotto forma di discriminazione indiretta) della condotta del datore di lavoro, nutre i dubbi posti nella questione pregiudiziale sulla possibilità di applicare l’articolo 2 della direttiva 2000/78 a situazioni che non riguardano la comparazione tra un gruppo di disabili e un gruppo di non disabili.

56.      Il criterio distintivo utilizzato dal datore di lavoro per il trattamento differenziato è all’evidenza illogico e non obiettivo (21).

57.      Esso, infatti, fa riferimento a un dato che svantaggia un gruppo di disabili (coloro che avevano consegnato il certificato in una data anteriore alla riunione), privandoli dell’integrazione salariale, anche contraddittoriamente rispetto alla finalità perseguita dal datore di lavoro.

58.      Per espressa ammissione del convenuto in via principale, infatti, la motivazione di tale insolita richiesta, avanzata nella citata riunione, era aumentare il numero di persone disabili in servizio in modo da ridurre il contributo al PFRON (22).

59.      Se ciò è vero, e dunque la scelta datoriale si fonda sul risparmio contributivo ottenuto grazie al numero di disabili in servizio, l’integrazione salariale sarebbe spettata a tutti i lavoratori disabili i quali, in egual misura, contribuiscono alla riduzione del contributo per il fatto di essere in servizio. Tutti coloro che, in qualunque data, abbiano prodotto un certificato attestante la propria disabilità contribuiscono infatti in quota parte alla riduzione del contributo al suddetto fondo.

60.      Ancora più singolare è la motivazione addotta dal convenuto in via principale in udienza per motivare la disparità di trattamento tra i due gruppi di disabili.

61.      Se ben si è compreso, corrispondere a tutti i dipendenti che abbiano fornito un certificato di disabilità l’integrazione salariale sarebbe stato eccessivamente oneroso per il datore di lavoro e, forse, complessivamente, non conveniente rispetto ai risparmi di contribuzione.

62.      Premesso che motivazioni di natura esclusivamente economica non sarebbero sufficienti ad escludere la natura discriminatoria del trattamento, una tale argomentazione conferma la non obiettività della scelta aziendale che ha trattato in modo diseguale due gruppi di soggetti nella medesima situazione (disabili che hanno consegnato al datore di lavoro un certificato di disabilità, contribuendo tutti alla riduzione dei contributi al PFRON).

63.      Il criterio distintivo non è dunque, come formalmente dichiarato, la data di trasmissione, che è del tutto neutra ai fini di risparmio di contribuzione dal momento che da nessun elemento contenuto nel fascicolo emerge un maggiore risparmio di spesa per il datore di lavoro in ragione della data di trasmissione del certificato di disabilità.

64.      Il criterio distintivo è l’acquisizione di un nuovo certificato di disabilità per aumentare il numero di lavoratori disabili certificati in servizio.

65.      Se il criterio fosse stato davvero la data di trasmissione e non il possesso di un nuovo certificato, sarebbe stato sufficiente produrre, paradossalmente, un nuovo certificato da parte di coloro che l’avevano già prodotto per ottenere l’aumento retributivo.

66.      Il vero criterio distintivo, dunque, è l’ottenimento e la comunicazione del certificato in una data successiva alla riunione appositamente indetta per incentivare i lavoratori a reperirlo a fini di riduzione del contributo.

67.      Se così è, tale criterio è connesso alla situazione protetta (l’handicap)?

68.      A mio avviso sì, dal momento che solo un lavoratore disabile può ottenere un certificato di disabilità e, pertanto, la disabilità è il presupposto necessario perché un dipendente (in ipotesi già disabile ma che per motivi personali non aveva ancora richiesto o consegnato al datore di lavoro un certificato di disabilità) possa ottenere e consegnare al datore di lavoro un certificato di disabilità.

3.      Tipologie di illeciti discriminatori, situazione comparabile e (eventuale) giustificazione

69.      A quale tipo di discriminazione può ascriversi la condotta descritta?

70.      La ricorrente, tra le varie argomentazioni, sostiene anche, nel caso in cui si dovesse ritenere non applicabile al caso odierno l’articolo 2 della direttiva 2000/78, la possibilità che la condotta del datore di lavoro possa configurare un’azione positiva, ai sensi dell’articolo 7 della stessa direttiva (23).

71.      Tenderei a escludere questa opzione. Le azioni positive possono essere definite, argomentando dall’articolo 7 della direttiva 2000/78, come misure che, in quanto «dirette a evitare o compensare vantaggi correlati a uno qualunque dei motivi di cui all’articolo 1», sono volte alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità, a favorire l’occupazione e a realizzare l’uguaglianza sostanziale tra lavoratori.

72.      Nel caso di specie ritengo non si tratti di un’azione positiva: in primo luogo perché, per espressa ammissione del datore di lavoro, l’obiettivo della misura adottata era l’ottenimento di un risparmio economico attraverso la riduzione del contributo al PFRON e non già una misura positiva per avvantaggiare i lavoratori disabili (24). In secondo luogo, non vedo come possa configurare un’azione positiva la previsione di un’integrazione salariale riservata esclusivamente a un gruppo di lavoratori disabili che si distinguono da quelli non beneficiari non già per caratteristiche connesse al proprio rapporto di lavoro (come nel caso Milkova (25)), ma unicamente per la data in cui hanno consegnato al datore di lavoro il proprio certificato di disabilità.

73.      La riduzione del contributo al PFRON attraverso l’assunzione di nuovi disabili può probabilmente ritenersi un’azione positiva introdotta dal legislatore polacco. L’erogazione dell’integrazione salariale in questione, invece, pur connessa alla suddetta riduzione, mi pare estranea alle finalità di cui all’articolo 7 della direttiva 2000/78: ciò in quanto è limitata solo a un gruppo di disabili sulla base di un criterio illogico e non obiettivo, diretta all’ottenimento di nuovi certificati da parte di lavoratori già in servizio e non all’assunzione di nuovi lavoratori, estranea a obiettivi di una migliore integrazione dei disabili stessi.

74.      Passando alle fattispecie discriminatorie tipiche, la distinzione tra discriminazione diretta e indiretta non è così evidente nel testo della direttiva e, anche tra gli interpreti, vi sono diversità di opinioni riguardo a queste due categorie.

75.      Nel caso che ci occupa tenderei ad escludere che si tratti di discriminazione diretta (come pure mi sembra facciano la lavoratrice e la Repubblica di Polonia) (26).

76.      La discriminazione diretta, infatti, si riscontra normalmente in situazioni nelle quali il trattamento sfavorevole è nei confronti di «una persona» rispetto a «un’altra in una situazione analoga», «sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1». Nel caso che ci occupa, invece, si tratta di un trattamento sfavorevole nei confronti di «un gruppo di persone» (disabili che hanno consegnato in una data anteriore alla riunione il certificato di disabilità).

77.      Non vi è poi una corrispondenza diretta tra il provvedimento del datore di lavoro e la caratteristica protetta. Manca cioè un vero e proprio nesso di causalità diretto. Il criterio utilizzato per differenziare all’interno dei due gruppi di lavoratori disabili, infatti, non fa direttamente riferimento alla disabilità (al tipo, all’intensità, all’origine, alla decorrenza della stessa) ma è «apparentemente neutro», riferendosi alla data di consegna del certificato di disabilità.

78.      È neutro però soltanto all’apparenza perché, come correttamente sostenuto dalle parti (la ricorrente in via principale, la Repubblica di Polonia, la Repubblica portoghese), il certificato di disabilità può essere richiesto e consegnato solo da persone disabili. Ne consegue che la consegna di quel certificato e la relativa data sono indissolubilmente legati alla caratteristica protetta (27).

79.      Ciò consente di distinguere in modo netto la situazione del caso che ci occupa rispetto a quella esaminata dalla Corte nel caso Milkova: in quella sentenza la Corte, condivisibilmente, si è limitata ad escludere dal campo di applicazione della direttiva 2000/78 differenze di trattamento che, formalmente e sostanzialmente, pur dirette a lavoratori disabili, erano riferibili alla «natura del rapporto di lavoro» senza alcuna connessione con la disabilità stessa.

80.      Nel caso odierno, invece, quel criterio, pur «apparentemente neutro» (non fa esplicito e diretto riferimento alla disabilità), mette in una «posizione di particolare svantaggio» (l’integrazione salariale negata può senz’altro rientrare in questa nozione) le «persone portatrici di un particolare handicap» (…) «rispetto ad altre persone» e, in qualche modo, come pure sostenuto da alcune delle parti intervenute (28), le equipara a persone non disabili (29).

81.      È su questo punto che si dovrebbe sviluppare la portata innovativa della decisione della Corte, nel caso in cui decidesse di accogliere i suggerimenti contenuti nelle presenti conclusioni. Infatti, si dovrebbe interpretare la disposizione contenuta nella lettera b), paragrafo 2, dell’articolo 2, della direttiva 2000/78 come ricomprendente la possibilità di confronto anche tra «(alcune) persone portatrici di un particolare handicap» (…) «rispetto ad altre persone» (anch’esse eventualmente portatrici di handicap).

82.      Il termine di comparazione «rispetto ad altre persone» è, infatti, solitamente interpretato nel senso che il riferimento è a persone non in possesso della caratteristica protetta. Questa interpretazione «tradizionale», in linea con l’altrettanto «tradizionale» funzione della direttiva, non vincola tuttavia, come sopra argomentato, l’interprete che, come nel caso che ci occupa, in un giudizio sulla discriminazione debba valutare un provvedimento che svantaggia alcuni soggetti disabili nei confronti di altri soggetti anch’essi disabili in ragione di un criterio (solo all’apparenza) neutro.

83.      Tendo a ritenere, pertanto, che il termine di comparazione possa anche essere un gruppo di disabili.

84.      Nel caso che ci occupa, pertanto, ritengo sussistente la comparabilità delle situazioni (30), necessaria per poter affermare una violazione del divieto di discriminazione: come sopra accennato, una parte di dipendenti disabili (coloro che non hanno ottenuto alcuna integrazione salariale) è stata trattata in maniera più sfavorevole rispetto agli altri dipendenti disabili nonostante tutte le persone disabili si trovino in una situazione comparabile, avendo tutti contribuito in egual misura, con la trasmissione del proprio certificato, a produrre il risparmio economico ricercato dall’Ospedale.

85.      L’interpretazione offerta, pertanto, mira non già a tutelare un gruppo per il solo fatto di essere in una situazione protetta dall’articolo 1 della direttiva 2000/78, ma a impedire che due gruppi omogenei, che condividono la caratteristica protetta, siano trattati in modo diseguale in ragione di una situazione che è intrinsecamente legata, seppure non causalmente derivata, dalla caratteristica protetta.

86.      L’interpretazione offerta della fattispecie in esame e la sua ascrivibilità a una discriminazione indiretta impone però di valutare, a differenza che nel caso di discriminazioni dirette, le cause di giustificazione (una generica e una specifica) contenute nelle lettere i) e ii) della lettera b) del suddetto articolo 2, paragrafo 2.

87.      La giustificazione, specifica per l’handicap, prevista dalla lettera ii), nel caso di specie va esclusa dal momento che, a quanto risulta dal fascicolo, il datore di lavoro non è obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare «soluzioni ragionevoli» (ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2000/78) «per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi».

88.      Quanto alla giustificazione generica, prevista dalla lettera i), per giustificare una differenza di trattamento occorre, in sostanza, dimostrare che la norma o la prassi in questione persegua una finalità legittima e che i mezzi scelti per conseguire tale finalità (cioè la misura che ha determinato la differenza di trattamento) siano appropriati e necessari per il suo conseguimento.

89.      Per stabilire se la differenza di trattamento sia appropriato, il giudice del rinvio deve, dunque, accertare che non esistano altri mezzi per conseguire la finalità perseguita che pregiudichino in misura minore il diritto alla parità di trattamento. In altre parole, che lo svantaggio subito rappresenti il livello di pregiudizio minimo necessario per conseguire detta finalità e che la finalità perseguita sia sufficientemente importante da giustificare tale livello di pregiudizio.

IV.    Conclusione

90.      Alla luce delle considerazioni svolte, suggerisco alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale posta dal Giudice del rinvio nei termini che seguono:

«L’articolo 2 della direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che può costituire una violazione del principio della parità di trattamento, sotto forma di discriminazione indiretta, una differenziazione di situazioni all’interno di un gruppo definito da una caratteristica protetta (l’handicap), quando ricorrono le seguenti condizioni: a) la differenziazione operata dal datore di lavoro avvenga all’interno di tale gruppo in base a un criterio apparentemente neutrale; b) il suddetto criterio, pur apparentemente neutrale, sia inscindibilmente connesso alla caratteristica protetta (nel caso di specie l’handicap); c) tale criterio non possa essere oggettivamente giustificato da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento non siano appropriati e necessari».


1      Lingua originale: l’italiano.


2      Decisione del Consiglio del 26 novembre 2009 relativa alla conclusione, da parte della Comunità europea, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, GU 2010, L 23, pag. 35.


3      Direttiva del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16).


4      V. sentenza dell’11 luglio 2006, Chacón Navas (C‑13/05, EU:C:2006:456, punto 56) e sentenza del 18 dicembre 2014, FOA (C‑354/13, EU:C:2014:2463, punto 32).


5      V. sentenza del 9 marzo 2017, Milkova, (C‑406/15, EU:C:2017:198, punto 55); ma già, nello stesso senso, v. sentenze del 22 maggio 2014, Glatzel, (C‑356/12, EU:C:2014:350, punto 43), del 21 dicembre 2016, Vervloet e a., (C‑76/15, EU:C:2016:975, punto 74), del 14 settembre 2010, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione, (C‑550/07 P, EU:C:2010:512, punti 54 e 55).


6      V. conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa G4S Secure Solutions, (C‑157/15, EU:C:2016:382, paragrafo 61).


7      V. sentenze del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation (C‑193/17, EU:C:2019:43, punto 36) e del 17 aprile 2018, Egenberger (C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 47) con riferimento alla religione e alle convinzioni personali). Per ciò che concerne l’handicap, nello stesso senso, v. sentenze del 17 luglio 2008, Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, punto 42), del 9 marzo 2017, Milkova, (C‑406/15, EU:C:2017:198, punto 46)


8      V. sentenza del 9 marzo 2017, Milkova, (C‑406/15, EU:C:2017:198, punto 34); ma già, nello stesso senso, v. sentenze del 7 luglio 2011, Agafiţei e a. (C‑310/10, EU:C:2011:467, punto 34), del 21 maggio 2015, SCMD (C‑262/14, non pubblicata, EU:C:2015:336, punti 44 e 45). Ciò significa che non sancisce essa stessa il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro – l’origine del quale si rinviene in vari strumenti internazionali nonché nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri –, bensì mira unicamente a istituire, nelle suddette materie, un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate su diversi motivi; in questo senso v. sentenze del 22 novembre 2005, Mangold (C‑144/04, EU:C:2005:709, punto 74), del 19 gennaio 2010, Kücükdeveci (C‑555/07, EU:C:2010:21, punto 20), del 10 maggio 2011, Römer (C‑147/08, EU:C:2011:286, punto 56).


9      Tanto dal titolo e dal preambolo, quanto dal contenuto e dalla finalità della direttiva 2000/78, risulta che essa è volta a stabilire un quadro generale per garantire a tutti la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, offrendo «una tutela effettiva nei confronti delle discriminazioni fondate su uno dei motivi di cui al suo articolo 1»: così sentenze del 13 novembre 2014, Vital Pérez (C‑416/13, EU:C:2014:2371, punto 28) e sentenza del 18 novembre 2010, Georgiev (C‑250/09 e C‑268/09, EU:C:2010:699, punto 26). A una «tutela efficace» fanno riferimento, negli stessi termini, sentenze del 15 gennaio 2019, E.B. (C‑258/17, EU:C:2019:17, punto 40), del 28 luglio 2016, Kratzer (C‑423/15, EU:C:2016:604, punto 32) e del 19 settembre 2018, Bedi (C‑312/17, EU:C:2018:734, punto 28). (I corsivi sono miei).


10      Di «combattere ogni forma di discriminazione basata sulla disabilità» parla la sentenza del 17 luglio 2008, Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, punto 38) (il corsivo è mio).


11      V. sentenze del 26 settembre 2013, HK Danmark (C‑476/11, EU:C:2013:590, punto 47) e del 26 settembre 2013, Dansk Jurist – og Økonomforbund (C‑546/11, EU:C:2013:603, punto 41).


12      La Commissione in udienza ha precisato la propria posizione, a seguito delle domande della Corte, affermando di ritenere, in astratto, applicabile la direttiva anche all’interno della categoria delle persone disabili ma escludendo tale applicazione al caso odierno.


13      Esattamente in questi termini, v. conclusioni dell’avvocato generale Saugmandsgaard Øe nella causa Milkova (C‑406/15, EU:C:2016:824, paragrafo 53).


14      V. sentenza del 17 luglio 2008, Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, punto 46), dove si legge che, anche se la Corte ha affermato la necessità che il trattamento differenziato sia riconducibile ai motivi previsti dall’articolo 1, «essa non ha tuttavia dichiarato che il principio della parità di trattamento e l’ambito di applicazione ratione personae di questa direttiva devono, con riferimento a tali motivi, essere interpretati in senso restrittivo». E ancora, al punto 51, «un’interpretazione della direttiva 2000/78 che ne limiti l’applicazione alle sole persone che siano esse stesse disabili rischierebbe di privare tale direttiva di una parte importante del suo effetto utile e di ridurre la tutela che essa dovrebbe garantire».


15      Nel caso della sentenza Coleman, come noto, si è ritenuta sussistente una discriminazione diretta nei confronti di una lavoratrice che aveva un figlio disabile a suo carico.


16      V. sentenza del 17 luglio 2008, Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, punto 38).


17      L’eccessivo ampliamento del campo di applicazione della direttiva 2000/78, a mio avviso, sembra essere il motivo (e forse il timore) per cui la Commissione, pur condividendo la possibilità che la direttiva 2000/78 possa applicarsi a situazioni di confronto tra lavoratori disabili, si oppone a una risposta positiva alla questione posta dal Giudice del rinvio.


18      V. sentenza del 17 luglio 2008, Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, punto 38).


19      Su questo concorda anche la Commissione che all’udienza, a seguito delle domande della Corte e precisando la propria posizione che negli scritti difensivi appariva differente, ha espressamente citato queste esemplificazioni per dire che quelle situazioni sarebbero senz’altro ricomprese nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78. Anche nella giurisprudenza della Corte, seppure con riferimento ad altra caratteristica protetta (la religione), può rinvenirsi la conferma della possibilità di applicare il contenuto della direttiva anche all’interno di gruppi contraddistinti dalla caratteristica protetta. Si trattava in quel caso di una discriminazione indiretta all’interno del gruppo di lavoratori di diverse chiese cristiane, v. sentenza del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation (C‑193/17, EU:C:2019:43).


20      Si legge nel punto 7 delle osservazioni della ricorrente in via principale che «l’Ispettorato nazionale del lavoro ha ritenuto discriminatorio il criterio per l’attribuzione del salario integrativo, legato alla data di presentazione del certificato di invalidità al convenuto. A seguito dell’ispezione del 19 dicembre 2016, l’Ispettorato nazionale del lavoro ha chiesto alla convenuta di porre rimedio alle irregolarità e ha informato la ricorrente della possibilità di adire un tribunale di diritto comune».


21      In questo senso anche la Commissione nel corso dell’udienza. Di criterio «illogico, assurdo e inspiegabile» ha parlato la Repubblica di Polonia.


22      Il Fondo statale per la riabilitazione delle persone disabili previsto dalla legge polacca, v. precedente paragrafo 16.


23      Nelle osservazioni della parte ricorrente in via principale, (punti 30 e segg.), si legge che anche nel caso in cui si volesse ritenere non applicabile la direttiva 2000/78 al caso di specie sarebbero applicabili i principi generali del diritto dell’Unione e cioè il principio di parità di trattamento e il divieto di discriminazione di cui agli articoli 20, 21 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Facendo cioè applicazione del principio espresso dalla Corte nella citata sentenza Milkova (C‑406/15, EU:C:2017:198), l’integrazione salariale costituirebbe un’azione positiva adottata dal datore di lavoro.


24      Della stessa opinione anche la Commissione, v. osservazioni scritte, punto 21.


25      Sentenza del 9 marzo 2017, Milkova, (C‑406/15, EU:C:2017:198).


26      Anche il giudice del rinvio, il quale nel quesito fa espresso riferimento a una differenziazione basata su un «criterio apparentemente neutro» che non possa essere «oggettivamente giustificato da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento non siano appropriati e necessari».


27      Il legame indissolubile con la caratteristica protetta è ritenuto un elemento essenziale della discriminazione diretta. In questo caso ci troviamo di fronte, a mio avviso, a una discriminazione indiretta il cui legame con la caratteristica protetta, pur indiretto, è comunque indissolubile.


28      In particolare la Repubblica di Polonia, v. osservazioni scritte, punto 13.


29      Si tratta di discriminazione «indiretta», in quanto la differenza non risiede tanto nel trattamento, quanto piuttosto negli effetti che esso produce. Anche la Cedu ha fatto propria questa definizione di discriminazione indiretta, affermando che «una differenza di trattamento può consistere nell’effetto sproporzionatamente pregiudizievole di una politica o di una misura generale che, se pur formulata in termini neutri, produce una discriminazione nei confronti di un determinato gruppo» Cedu, sentenza 13 novembre 2007, D.H. e a. c. Repubblica ceca [GC] (n. 57325/00), punto 184; Cedu, sentenza 9 giugno 2009, Opuz c. Turchia (n. 33401/02), punto 183. Cedu, sentenza 20 giugno 2006, Zarb Adami c. Malta (n. 17209/02), punto 80. In questo senso v. Manuale di diritto europeo della non discriminazione, Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, Consiglio d’Europa, Corte europea dei diritti dell’uomo, 2011, pag. 32, anche per le citazioni della Cedu.


30      Per quanto concerne il requisito relativo alla comparabilità delle situazioni ai fini dell’accertamento di una violazione del principio di parità di trattamento, la Corte ha in più occasioni affermato che esso deve essere valutato alla luce di tutti gli elementi che caratterizzano dette situazioni, v. sentenza del 9 marzo 2017, Milkova, (C–406/15, EU:C:2017:198, punto 56); sentenza del 16 dicembre 2008, Arcelor Atlantique et Lorraine e a. (C–127/07, EU:C:2008:728, punto 25), sentenza del 1° ottobre 2015, O (C–432/14, EU:C:2015:643, punto 31).