Language of document : ECLI:EU:C:2020:793

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

6 ottobre 2020 (*)

«Impugnazione – Politica estera e di sicurezza comune (PESC) – Articolo 29 TUE – Articolo 215 TFUE – Misure restrittive adottate nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran – Danno asseritamente subito dalla ricorrente a seguito dell’inserimento e del mantenimento del suo nome nell’elenco delle persone e delle entità alle quali si applica il congelamento di capitali e di risorse economiche – Ricorso per risarcimento danni – Competenza della Corte a statuire sulla domanda di risarcimento del danno asseritamente subito a causa delle misure restrittive previste da decisioni rientranti nell’ambito della PESC – Violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli – Insufficienza di motivazione di atti che istituiscono misure restrittive»

Nella causa C‑134/19 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 18 febbraio 2019,

Bank Refah Kargaran, con sede a Teheran (Iran), rappresentata da J.‑M. Thouvenin e I. Boubaker, avocats,

ricorrente,

procedimento in cui le altre parti sono:

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da M. Bishop e V. Piessevaux, in qualità di agenti,

convenuto in primo grado,

Commissione europea, rappresentata inizialmente da R. Tricot, C. Zadra e A. Tizzano, successivamente da L. Gussetti, A. Bouquet, R. Tricot e J. Roberti di Sarsina, in qualità di agenti,

interveniente in primo grado,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, A. Arabadjiev, A. Prechal, M. Vilaras, M. Safjan (relatore) e S. Rodin, presidenti di sezione, E. Juhász, M. Ilešič, J. Malenovský, F. Biltgen, K. Jürimäe, A. Kumin, N. Jääskinen e N. Wahl, giudici,

avvocato generale: G. Hogan

cancelliere: M. Krausenböck, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 9 marzo 2020,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 28 maggio 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la sua impugnazione, la Bank Refah Kargaran chiede l’annullamento parziale della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 10 dicembre 2018, Bank Refah Kargaran/Consiglio (T‑552/15, non pubblicata; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2018:897), con la quale quest’ultimo ha respinto il suo ricorso avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 268 TFUE e diretta a ottenere il risarcimento dei danni che essa avrebbe subito a causa dell’adozione di misure restrittive nei suoi confronti.

 Fatti

2        I fatti all’origine della controversia sono stati esposti nei punti da 1 a 13 della sentenza impugnata nei seguenti termini:

«1      La presente causa si inserisce nel contesto delle misure restrittive istituite per esercitare pressioni sulla Repubblica islamica dell’Iran affinché quest’ultima ponga fine alle attività nucleari che presentano un rischio di proliferazione e alla messa a punto di sistemi di lancio di armi nucleari.

2      La Bank Refah Kargaran, ricorrente, è una banca iraniana.

3      Il 26 luglio 2010 il nome della ricorrente è stato inserito nell’elenco delle entità partecipanti alla proliferazione nucleare, contenuto nell’allegato II della decisione 2010/413/PESC del Consiglio, del 26 luglio 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga la posizione comune 2007/140/PESC (GU L 195, pag. 39). L’inserimento del suo nome era motivato dal fatto che essa sarebbe subentrata in operazioni correnti della Bank Melli Iran a seguito dell’adozione delle misure restrittive riguardanti quest’ultima.

4      Di conseguenza, il nome della ricorrente è stato inserito, per gli stessi motivi, nell’elenco contenuto nell’allegato V del regolamento (CE) n. 423/2007 del Consiglio, del 19 aprile 2007, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2007, L 103, pag. 1), tramite il regolamento di esecuzione (UE) n. 668/2010 del Consiglio, del 26 luglio 2010, che attua l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 423/2007 (GU 2010, L 195, pag. 25). A seguito dell’abrogazione del regolamento n. 423/2007 ad opera del regolamento (UE) n. 961/2010 del Consiglio, del 25 ottobre 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2010, L 281, pag. 1), il nome della ricorrente è stato inserito nell’elenco di cui all’allegato VIII di quest’ultimo regolamento.

5      Con la decisione 2010/644/PESC, del 25 ottobre 2010, recante modifica della decisione 2010/413 (GU 2010, L 281, pag. 81), il Consiglio dell’Unione europea ha mantenuto il nome della ricorrente nell’elenco contenuto nell’allegato II della decisione 2010/413. La decisione 2011/783/PESC del Consiglio, del 1° dicembre 2011, che modifica la decisione 2010/413 (GU 2011, L 319, pag. 71), non ha modificato tale elenco per quanto riguardava la ricorrente.

6      L’iscrizione del nome della ricorrente nell’elenco di cui all’allegato VIII del regolamento n. 961/2010 è stata mantenuta dal regolamento di esecuzione (UE) n. 1245/2011 del Consiglio, del 1º dicembre 2011, che attua il regolamento n. 961/2010 (GU 2011, L 319, pag. 11). Il regolamento n. 961/2010 è stato abrogato dal regolamento (UE) n. 267/2012 del Consiglio, del 23 marzo 2012, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2012, L 88, pag. 1). Il nome della ricorrente è stato inserito nell’elenco contenuto nell’allegato IX di quest’ultimo regolamento. La motivazione adottata nei confronti della ricorrente non è stata modificata.

7      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 19 gennaio 2011, la ricorrente ha proposto un ricorso, iscritto a ruolo con il numero T‑24/11, diretto, in particolare, all’annullamento della decisione 2010/644 e del regolamento n. 961/2010, nelle parti in cui la riguardavano. La ricorrente, in seguito, ha adattato le sue conclusioni, al fine di chiedere l’annullamento della decisione 2011/783, del regolamento di esecuzione n. 1245/2011 e del regolamento n. 267/2012, nei limiti in cui tali atti la riguardavano.

8      Al punto [83] della sentenza del 6 settembre 2013, Bank Refah Kargaran/Consiglio (T‑24/11, in prosieguo: la “sentenza di annullamento”, EU:T:2013:403), il Tribunale ha accolto il secondo motivo dedotto dalla ricorrente, nella parte in cui verteva su una violazione dell’obbligo di motivazione.

9      Di conseguenza, il Tribunale ha annullato, in sostanza, l’inserimento del nome della ricorrente negli elenchi contenuti nell’allegato II della decisione 2010/413, come modificato dalla decisione 2010/644, e successivamente dalla decisione 2011/783, nell’allegato VIII del regolamento n. 961/2010, come modificato dal regolamento di esecuzione n. 1245/2011, e nell’allegato IX del regolamento n. 267/2012.

10      Nella sentenza di annullamento, il Tribunale ha altresì deciso che gli effetti dell’allegato II della decisione 2010/413, come modificato dalla decisione 2010/644 e successivamente dalla decisione 2011/783, nei confronti della ricorrente fossero mantenuti sino alla decorrenza degli effetti dell’annullamento dell’allegato IX del regolamento n. 267/2012, nella parte in cui esso riguarda la ricorrente.

11      In seguito alla sentenza di annullamento, con decisione 2013/661/PESC del Consiglio, del 15 novembre 2013, che modifica la decisione 2010/413 (GU 2013, L 306, pag. 18), il nome della ricorrente è stato reinserito nell’elenco di cui all’allegato II della decisione 2010/413.

12      Di conseguenza, con il regolamento di esecuzione (UE) n. 1154/2013 del Consiglio, del 15 novembre 2013, che attua il regolamento n. 267/2012 (GU 2013, L 306, pag. 3), il nome della ricorrente è stato reinserito nell’elenco contenuto nell’allegato IX del regolamento n. 267/2012. Per quanto riguarda la ricorrente è stata addotta la seguente motivazione:

“Entità che fornisce sostegno finanziario al governo dell’Iran. È posseduta per il 94% dall’[Iranian Social Security Organisation (Organismo di previdenza sociale iraniano)], a sua volta controllato dal governo iraniano, e fornisce servizi bancari ai ministri governativi”.

13      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 gennaio 2014, la ricorrente ha proposto un ricorso diretto, in particolare, all’annullamento della decisione 2013/661 e del regolamento di esecuzione n. 1154/2013, nei limiti in cui tali atti la riguardavano. Con sentenza del 30 novembre 2016, Bank Refah Kargaran/Consiglio (T‑65/14, non pubblicata, EU:T:2016:692), il Tribunale ha respinto il ricorso. Detta sentenza non è stata impugnata».

 Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

3        Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 25 settembre 2015, la ricorrente ha proposto un ricorso diretto alla condanna dell’Unione al risarcimento dei danni derivanti dall’adozione e dal mantenimento delle misure restrittive che la riguardavano, che sono state annullate con la sentenza di annullamento, versandole la somma di EUR 68 651 318, maggiorata degli interessi legali, a titolo di danno materiale, e la somma di EUR 52 547 415, maggiorata degli interessi legali, a titolo di danno morale, nonché, in subordine, a che il Tribunale accerti che le somme reclamate a titolo di danno morale siano considerate in tutto o in parte rientranti nel danno materiale.

4        Con la sentenza impugnata il Tribunale ha integralmente respinto il ricorso e ha condannato la ricorrente alle spese.

5        In primo luogo, ai punti da 25 a 32 della sentenza impugnata, il Tribunale ha esaminato d’ufficio la propria competenza a statuire sul ricorso per risarcimento danni per quanto riguarda le decisioni 2010/413, 2010/644 e 2011/783, adottate nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC).

6        A tale riguardo, al punto 27 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che la ricorrente non aveva operato la distinzione tra, da un lato, la responsabilità dell’Unione che deriverebbe dall’adozione delle decisioni 2010/413, 2010/644 e 2011/783 nell’ambito della PESC e, dall’altro, quella che deriverebbe dall’adozione dei regolamenti n. 961/2010 e n. 267/2012 nonché del regolamento di esecuzione n. 1245/2011.

7        Il Tribunale, al punto 30 della sentenza impugnata, ha considerato che dall’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, sesta frase, TUE e dall’articolo 275, primo comma, TFUE risultava che il giudice dell’Unione non era, in linea di principio, competente per quanto riguarda le disposizioni del diritto primario relative alla PESC né per quanto riguarda gli atti giuridici adottati sulla base di queste ultime e che solo in via eccezionale, conformemente all’articolo 275, secondo comma, TFUE, il giudice dell’Unione era competente nel settore della PESC. Il Tribunale ha aggiunto che tale competenza comprendeva, da un lato, il controllo del rispetto dell’articolo 40 TUE e, dall’altro, i ricorsi di annullamento proposti da singoli, alle condizioni previste dall’articolo 263, quarto comma, TFUE, avverso misure restrittive adottate dal Consiglio nell’ambito della PESC e che, per contro, l’articolo 275, secondo comma, TFUE non attribuiva al giudice dell’Unione alcuna competenza a conoscere di un qualsivoglia ricorso per risarcimento danni. Il Tribunale ne ha dedotto che un ricorso per risarcimento danni diretto alla riparazione del danno asseritamente subito a causa dell’adozione di un atto nel settore della PESC esulava dalla sua competenza.

8        Il Tribunale ha dichiarato, al punto 31 della sentenza impugnata, di essere invece competente a conoscere di una domanda di risarcimento di un danno asseritamente subito da una persona o da un’entità a causa di misure restrittive adottate nei suoi confronti, conformemente all’articolo 215 TFUE.

9        Il Tribunale ne ha tratto la conclusione, al punto 32 della sentenza impugnata, di non essere competente a conoscere della domanda della ricorrente nei limiti in cui tale domanda mirava ad ottenere il risarcimento del danno asseritamente subito a causa delle misure restrittive previste dalle decisioni 2010/413, 2010/644 e 2011/783 e di essere competente a statuire sul ricorso solo nella parte in cui era diretto a far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione a causa dei regolamenti n. 961/2010 e n. 267/2012 nonché del regolamento di esecuzione n. 1245/2011.

10      In secondo luogo, per quanto riguarda l’esame della fondatezza del ricorso per risarcimento danni per quanto concerneva i regolamenti menzionati al punto precedente, il Tribunale ha verificato se fosse soddisfatta la condizione relativa all’illiceità del comportamento contestato al Consiglio.

11      In primo luogo, al punto 41 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che, nella sentenza di annullamento, esso aveva annullato l’inserimento del nome della ricorrente negli elenchi contenuti nell’allegato VIII del regolamento n. 961/2010, come modificato dal regolamento di esecuzione n. 1245/2011, e nell’allegato IX del regolamento n. 267/2012, sulla base della censura relativa alla violazione dell’obbligo di motivazione, constatando che la motivazione di tale inserimento non era sufficientemente precisa.

12      A tale riguardo, il Tribunale ha dichiarato, al punto 43 della sentenza impugnata, che, secondo una giurisprudenza costante, la violazione dell’obbligo di motivazione, sancito all’articolo 296 TFUE, non era di per sé tale da far sorgere la responsabilità dell’Unione.

13      Il Tribunale ha aggiunto, al punto 45 della sentenza impugnata, che, nella sentenza di annullamento, esso aveva annullato le misure restrittive riguardanti la ricorrente sulla base della violazione dell’obbligo di motivazione, ma che non si era pronunciato sulla loro fondatezza. Esso ha precisato che l’illecito accertato nella sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986), confermata in sede di impugnazione con la sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), era quindi di natura diversa e che, non essendosi il Tribunale pronunciato in quest’ultima sentenza sulla violazione dell’obbligo di motivazione da parte del Consiglio, la ricorrente non poteva trarne argomenti riguardo all’accertamento di una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione nel caso di specie.

14      In secondo luogo, al punto 49 della sentenza impugnata, il Tribunale ha indicato che la ricorrente aveva fatto riferimento al punto 82 della sentenza di annullamento, in cui il Tribunale aveva affermato che il Consiglio aveva violato l’obbligo di comunicarle, nella sua qualità di entità interessata, gli elementi posti a suo carico per quanto riguardava la motivazione addotta per le misure di congelamento dei capitali decise nei suoi confronti. Il Tribunale ha tuttavia ritenuto che tale affermazione dovesse essere letta alla luce dell’argomento della ricorrente, menzionato al punto 68 di detta sentenza di annullamento, secondo cui l’insufficienza di motivazione non sarebbe stata sanata dai documenti comunicati successivamente dal Consiglio. Il Tribunale ha aggiunto, al punto 50 della sentenza impugnata, che tale affermazione non era di per sé sola idonea a dimostrare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata dei diritti della difesa.

15      Peraltro, il Tribunale ha sottolineato, al punto 51 della sentenza impugnata, che, poiché la ricorrente aveva proposto un ricorso avverso le misure restrittive che la riguardavano e il Tribunale aveva annullato tali misure nella sentenza di annullamento, essa non poteva invocare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata del suo diritto a una tutela giurisdizionale effettiva nel caso di specie.

16      In terzo luogo, ai punti da 52 a 58 della sentenza impugnata, il Tribunale ha esaminato l’argomento dedotto dalla ricorrente nella sua replica, secondo il quale il Consiglio, inserendo illegittimamente il suo nome negli elenchi delle persone sottoposte a misure restrittive, non aveva applicato il criterio che sosteneva di aver applicato, vale a dire quello riguardante le entità che hanno aiutato le persone o le entità designate a sottrarsi alle disposizioni previste da talune risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o dalla decisione 2010/413, o a violarle, poiché la motivazione addotta per l’inserimento del suo nome, ossia che essa è subentrata in talune operazioni della Bank Melli Iran, non corrisponde a tale criterio.

17      A tale riguardo, il Tribunale ha considerato, al punto 55 della sentenza impugnata, che il motivo e gli argomenti dedotti nel ricorso, diretti a dimostrare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli idonea a far sorgere la responsabilità dell’Unione, si fondavano unicamente sugli illeciti asseritamente accertati dal Tribunale nella sentenza di annullamento e che, tra tali illeciti, la ricorrente non aveva dedotto, in sede di ricorso, un asserito illecito relativo alla mancanza di conformità della motivazione dell’inserimento del suo nome negli elenchi delle persone sottoposte a misure restrittive al criterio applicato dal Consiglio.

18      Il Tribunale ha aggiunto, ai punti 56 e 57 della sentenza impugnata, che, inoltre, l’argomento presentato dalla ricorrente nella sua replica si differenziava da quello contenuto nel ricorso in quanto esso si basava non già su una violazione dell’obbligo di motivazione, bensì su una contestazione della fondatezza dei motivi del suo inserimento e che l’argomento presentato dalla ricorrente nella replica non poteva, pertanto, essere considerato un ampliamento del motivo dedotto nel ricorso. Il Tribunale ne ha desunto, al punto 58 della sentenza impugnata, che, poiché la ricorrente aveva sollevato tale argomento soltanto in fase di replica ed esso non si ricollegava ad alcun motivo o argomento dedotto nel ricorso, occorreva qualificarlo come motivo nuovo e, pertanto, respingerlo in quanto irricevibile.

19      In quarto luogo, ai punti 59 e 60 della sentenza impugnata, il Tribunale è giunto alla conclusione che la condizione per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale dell’Unione relativa all’illiceità del comportamento contestato al Consiglio non era soddisfatta nel caso di specie e che, pertanto, il ricorso doveva essere respinto, senza che fosse necessario esaminare le altre condizioni per la sussistenza di una siffatta responsabilità.

 Le conclusioni delle parti dinanzi alla Corte

20      Con la sua impugnazione, la ricorrente chiede che la Corte voglia:

–        annullare parzialmente la sentenza impugnata;

–        in via principale, condannare l’Unione a risarcire i danni derivanti dall’adozione e dal mantenimento delle misure restrittive che la riguardano, che sono state annullate con la sentenza di annullamento, versandole la somma di EUR 68 651 318 a titolo di risarcimento del danno materiale e la somma di EUR 52 547 415 a titolo di risarcimento del danno morale;

–        in subordine, rinviare la causa dinanzi al Tribunale, e

–        in entrambi i casi, condannare il Consiglio alle spese dei due gradi di giudizio.

21      Il Consiglio chiede che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione, e

–        condannare la ricorrente alle spese dell’intero procedimento.

22      La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione, e

–        condannare la ricorrente alle spese.

 Sull’impugnazione

 Sulla competenza della Corte di giustizia dellUnione europea

23      In via preliminare, occorre rilevare che, al punto 32 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato d’ufficio di non essere competente a conoscere della domanda di risarcimento della ricorrente nei limiti in cui tale domanda era diretta ad ottenere il risarcimento del danno asseritamente subito a causa di misure restrittive previste da decisioni rientranti nella PESC, fondate sull’articolo 29 TUE (in prosieguo: le «decisioni PESC»).

24      Pur concludendo, nella sua impugnazione, per l’annullamento integrale della sentenza impugnata, compresa la parte di tale sentenza che respinge la domanda di risarcimento del danno asseritamente subito a causa delle misure restrittive previste da decisioni PESC, la ricorrente non contesta tale considerazione in quanto tale.

25      Tuttavia, quando la questione della competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea a conoscere di una controversia è di ordine pubblico, tale questione può essere esaminata in qualsiasi momento dalla Corte, anche d’ufficio (sentenza del 12 novembre 2015, Elitaliana/Eulex Kosovo, C‑439/13 P, EU:C:2015:753, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

26      A tale riguardo, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, ultima frase, TUE e dell’articolo 275, primo comma, TFUE, la Corte di giustizia dell’Unione europea non è, in linea di principio, competente per quanto riguarda le disposizioni relative alla PESC nonché gli atti adottati sulla base di queste ultime (sentenze del 24 giugno 2014, Parlamento/Consiglio, C‑658/11, EU:C:2014:2025, punto 69, e del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 60).

27      Tuttavia, i Trattati sanciscono esplicitamente due eccezioni a tale principio. Infatti, da un lato, tanto l’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, ultima frase, TUE, quanto l’articolo 275, secondo comma, TFUE prevedono la competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea a controllare il rispetto dell’articolo 40 TUE. Dall’altro lato, l’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, ultima frase, TUE attribuisce alla Corte la competenza a controllare la legittimità di talune decisioni di cui all’articolo 275, secondo comma, TFUE. Dal canto suo, quest’ultima disposizione prevede la competenza della Corte a pronunciarsi sui ricorsi, proposti secondo le condizioni di cui all’articolo 263, quarto comma, TFUE, riguardanti il controllo della legittimità delle decisioni del Consiglio, adottate in base alle disposizioni relative alla PESC, che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche (sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 60).

28      Nel caso di specie, con la sentenza di annullamento, il Tribunale ha annullato per insufficienza di motivazione, nei limiti in cui riguardavano la ricorrente, alcune decisioni PESC, nonché alcuni regolamenti fondati sull’articolo 215 TFUE, relativi a misure restrittive e che, pur non rientrando nella PESC, attuavano dette decisioni. Nel suo ricorso per risarcimento danni facente seguito alla sentenza di annullamento, la ricorrente non ha operato alcuna distinzione tra, da un lato, la responsabilità dell’Unione che risulterebbe da tali decisioni PESC e, dall’altro, quella che deriverebbe da detti regolamenti.

29      Orbene, è pacifico che, come dichiarato del resto correttamente dal Tribunale, in sostanza, al punto 31 della sentenza impugnata, la Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a conoscere della domanda di risarcimento del danno asseritamente subito dalla ricorrente a causa delle misure restrittive previste nei suoi confronti da detti regolamenti.

30      In tal senso, la Corte ha già applicato le condizioni relative al sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione a seguito dell’annullamento di regolamenti fondati sull’articolo 215 TFUE, segnatamente nella sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402).

31      Peraltro, è vero che l’articolo 275 TFUE non menziona espressamente la competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea a statuire sul danno asseritamente subito a causa di misure restrittive previste da decisioni PESC.

32      Tuttavia, da un lato, l’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, ultima frase, TUE, e l’articolo 275, primo comma, TFUE introducono una deroga alla regola della competenza generale che l’articolo 19 TUE conferisce alla Corte di giustizia dell’Unione europea per assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati. Di conseguenza, detti articoli 24, paragrafo 1, e 275, primo comma, devono essere interpretati restrittivamente (sentenze del 24 giugno 2014, Parlamento/Consiglio, C‑658/11, EU:C:2014:2025, punto 70, nonché del 19 luglio 2016, H/Consiglio e a., C‑455/14 P, EU:C:2016:569, punto 40).

33      Inoltre, il ricorso per risarcimento danni costituisce un mezzo di ricorso autonomo dotato di una sua particolare funzione nell’ambito del regime dei mezzi di tutela giurisdizionale e subordinato, quanto al suo esercizio, a condizioni attinenti al suo specifico oggetto (sentenze del 28 aprile 1971, Lütticke/Commissione, 4/69, EU:C:1971:40, punto 6, e del 10 settembre 2019, HTTS/Consiglio, C‑123/18 P, EU:C:2019:694, punto 40).

34      Dall’altro lato, il ricorso per risarcimento danni deve essere valutato alla luce del sistema complessivo di tutela giurisdizionale dei singoli istituito dai Trattati (v., in tal senso, sentenze del 5 dicembre 1979, Amylum e Tunnel Refineries/Consiglio e Commissione, 116/77 e 124/77, EU:C:1979:273, punto 14, nonché del 12 aprile 1984, Unifrex/Commissione e Consiglio, 281/82, EU:C:1984:165, punto 11), atteso che tale ricorso contribuisce all’effettività di detta tutela (v., in tal senso, sentenza del 12 settembre 2006, Reynolds Tobacco e a./Commissione, C‑131/03 P, EU:C:2006:541, punti 82 nonché 83).

35      A tale riguardo, tanto dall’articolo 2 TUE, figurante nelle disposizioni comuni del Trattato UE, quanto dall’articolo 21 TUE, relativo all’azione esterna dell’Unione, cui rinvia l’articolo 23 TUE relativo alla PESC, risulta che l’Unione è segnatamente fondata sul valore dello Stato di diritto (sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 72 nonché la giurisprudenza ivi citata).

36      Inoltre, l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che ribadisce il principio della tutela giurisdizionale effettiva, richiede, al suo primo comma, che ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste in tale articolo. L’esistenza stessa di un controllo giurisdizionale effettivo, destinato ad assicurare il rispetto delle disposizioni del diritto dell’Unione, è intrinseca all’esistenza di uno Stato di diritto (sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 73 e giurisprudenza ivi citata).

37      Orbene, come ricordato ai punti 29 e 30 della presente sentenza, la Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a statuire su un ricorso per risarcimento danni nei limiti in cui riguarda misure restrittive previste da regolamenti fondati sull’articolo 215 TFUE.

38      Tale articolo, il quale stabilisce un collegamento tra gli obiettivi del Trattato UE in materia di PESC e le azioni dell’Unione che comportano misure economiche rientranti nel Trattato FUE, consente l’adozione di regolamenti da parte del Consiglio, che statuisce a maggioranza qualificata su proposta congiunta dell’Alto rappresentante e della Commissione, per conferire efficacia a misure restrittive quando esse rientrano nell’ambito di applicazione del Trattato FUE, nonché, in particolare, al fine di garantirne l’applicazione uniforme in tutti gli Stati membri (sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 89).

39      In tali circostanze, e come rilevato in sostanza dall’avvocato generale ai paragrafi 67 e 68 delle sue conclusioni, la necessaria coerenza del sistema di tutela giurisdizionale previsto dal diritto dell’Unione esige che, al fine di evitare una lacuna nella tutela giurisdizionale delle persone fisiche o giuridiche interessate, la Corte di giustizia dell’Unione europea sia parimenti competente a statuire sul danno asseritamente subito a causa di misure restrittive previste da decisioni PESC.

40      Infine, non si può concordare con il Consiglio quando sostiene che, poiché i regolamenti fondati sull’articolo 215 TFUE riprendono, in sostanza, le decisioni aventi come base giuridica l’articolo 29 TUE, la competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea a statuire sul danno asseritamente subito a causa di misure restrittive adottate ai sensi dell’articolo 215 TFUE garantirebbe una completa tutela giurisdizionale delle persone fisiche o giuridiche interessate.

41      Infatti, come riconosciuto dallo stesso Consiglio, le decisioni PESC e i regolamenti fondati sull’articolo 215 TFUE diretti ad attuarle possono non essere materialmente identici. In particolare, per quanto riguarda le persone fisiche, in decisioni PESC possono essere incluse restrizioni all’ammissione nel territorio degli Stati membri, senza che esse siano necessariamente riprese in regolamenti fondati sull’articolo 215 TFUE.

42      Peraltro, la designazione pubblica delle persone sottoposte a misure restrittive è accompagnata da riprovazione e diffidenza (v., in tal senso, sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione, C‑239/12 P, EU:C:2013:331, punto 70 e giurisprudenza ivi citata), le quali, non è escluso, possono essere all’origine di un danno e giustificare la proposizione di un ricorso per risarcimento danni per chiederne la riparazione.

43      Pertanto, il principio della tutela giurisdizionale effettiva delle persone o delle entità sottoposte a misure restrittive esige, affinché tale tutela sia completa, che la Corte di giustizia dell’Unione europea possa statuire su un ricorso per risarcimento danni proposto da tali persone o entità e diretto ad ottenere la riparazione dei danni causati da misure restrittive previste da decisioni PESC.

44      Pertanto, occorre constatare che il Tribunale e, in caso di impugnazione, la Corte sono competenti a statuire su un ricorso per risarcimento danni nei limiti in cui esso è diretto ad ottenere il risarcimento del danno asseritamente subito a causa di misure restrittive adottate nei confronti di persone fisiche o giuridiche e previste da decisioni PESC.

45      Tale constatazione non è rimessa in discussione dall’argomento che il Consiglio trae dalle sentenze del 27 febbraio 2007, Gestoras Pro Amnistía e a./Consiglio (C‑354/04 P, EU:C:2007:115, punto 46), nonché del 27 febbraio 2007, Segi e a./Consiglio (C‑355/04 P, EU:C:2007:116, punto 46). Da tali sentenze risulterebbe che, nell’ambito dei Trattati allora in vigore, l’articolo 35 UE non attribuisse alla Corte di giustizia dell’Unione europea alcuna competenza a conoscere di un qualsivoglia ricorso per risarcimento danni per quanto riguardava il titolo VI del Trattato UE, nella sua versione anteriore al Trattato di Lisbona, intitolato «Disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale».

46      Il Consiglio si basa sulla sentenza del 27 febbraio 2007, Segi e a./Consiglio (C‑355/04 P, EU:C:2007:116, punti 50 e 56), per sostenere che occorre accogliere la stessa interpretazione per quanto riguarda la PESC, che costituiva l’oggetto del titolo V del Trattato UE, nella sua versione anteriore al Trattato di Lisbona, atteso che i giudici degli Stati membri sono gli unici competenti per quanto riguarda i ricorsi per risarcimento danni proposti in tale settore.

47      A tale riguardo, occorre rilevare che la struttura dei Trattati è cambiata rispetto a quella esistente alla data dei fatti di cui trattavasi nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze menzionate al punto 45 della presente sentenza. Da allora, il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1º dicembre 2009, dotando l’Unione di una personalità giuridica unica, sancita all’articolo 47 TUE, ha posto fine alla dissociazione operata in precedenza tra la Comunità europea e l’Unione europea. Ciò si è tradotto, in particolare, nell’integrazione delle disposizioni relative alla PESC nell’ambito generale del diritto dell’Unione, pur essendo tale politica soggetta a norme e a procedure specifiche, come risulta dall’articolo 24 TUE (v., in tal senso, sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 91).

48      Da tale nuova struttura deriva che sono del tutto irrilevanti, al fine di valutare la portata attuale delle competenze della Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di PESC, le disposizioni del Trattato UE relative alle competenze di tale istituzione, applicabili prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, nonché, per estensione, le sentenze invocate dal Consiglio.

49      Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel considerare, al punto 30 della sentenza impugnata, che un ricorso per risarcimento danni, diretto alla riparazione del danno asseritamente subito da una persona fisica o giuridica a causa di misure restrittive previste da decisioni PESC esulava dalla sua competenza.

50      Si deve tuttavia ricordare che, qualora i motivi di una decisione del Tribunale rivelino una violazione del diritto dell’Unione, ma il dispositivo di quest’ultima appaia fondato per altri motivi di diritto, una tale violazione non è in grado di comportare l’annullamento della decisione, e si deve dunque procedere a una sostituzione della motivazione (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 75).

51      Nel caso di specie, è pacifico che la sentenza di annullamento ha annullato alcune decisioni PESC nonché alcuni regolamenti fondati sull’articolo 215 TFUE per gli stessi motivi, che la ricorrente, nell’ambito del suo ricorso per risarcimento danni, non ha operato alcuna distinzione riguardo alla responsabilità extracontrattuale che deriverebbe da tali decisioni e da detti regolamenti e che, con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto integralmente quest’ultimo ricorso.

52      In tali circostanze, si deve considerare che l’errore di diritto constatato al punto 49 della presente sentenza resterebbe privo di incidenza sul dispositivo della sentenza impugnata nell’ipotesi in cui nessuno dei motivi di impugnazione portasse a inficiare la valutazione, da parte del Tribunale, della fondatezza del ricorso per risarcimento danni.

 Sul primo motivo

 Argomenti delle parti

53      Il primo motivo di impugnazione verte sul fatto che l’insufficienza di motivazione degli atti annullati con la sentenza di annullamento costituisce una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica dell’Unione preordinata a conferire diritti ai singoli.

54      La ricorrente sostiene che il Tribunale ha commesso errori di diritto nel considerare, al punto 43 della sentenza impugnata, che la violazione dell’obbligo di motivazione, sancito all’articolo 296 TFUE, non era di per sé tale da far sorgere la responsabilità dell’Unione.

55      Infatti, la giurisprudenza sulla quale il Tribunale si è basato non sarebbe pertinente in quanto riguarderebbe atti di natura regolamentare, e non misure restrittive aventi una portata individuale, che, come nel caso di specie, hanno un’incidenza significativa sui diritti e sulle libertà delle persone interessate.

56      Inoltre, l’obbligo di motivazione sarebbe l’elemento principale di una buona amministrazione della giustizia. In tal senso, la Corte avrebbe constatato il carattere fondamentale del principio del rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva in qualsiasi procedimento che possa concludersi con l’irrogazione di sanzioni individuali i cui effetti sono dannosi, in particolare nella sentenza dell’8 febbraio 2007, Groupe Danone/Commissione (C‑3/06 P, EU:C:2007:88, punto 68). Un siffatto obbligo sarebbe ancora più importante per quanto riguarda decisioni che, come avviene nel caso di misure restrittive aventi portata individuale, infliggono, per il loro stesso oggetto, un danno.

57      Infine, in subordine, la ricorrente addebita al Tribunale di aver considerato che la sua funzione non gli imponeva di procedere a una valutazione in concreto della gravità dell’asserita violazione, al fine di valutare se essa costituisse una violazione sufficientemente qualificata di una norma del diritto dell’Unione preordinata a conferire diritti ai singoli.

58      Il Consiglio e la Commissione contestano tali argomenti.

 Giudizio della Corte

59      Al punto 43 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato, che, secondo una giurisprudenza costante, la violazione dell’obbligo di motivazione non era di per sé tale da far sorgere la responsabilità dell’Unione.

60      La ricorrente sostiene che tale giurisprudenza si applica unicamente in presenza di un atto regolamentare viziato da un difetto o da un’insufficienza di motivazione.

61      Occorre ricordare su questo punto che, nella prospettiva del sistema dei mezzi di ricorso, la motivazione degli atti di portata generale ha lo scopo di consentire alla Corte di esercitare il suo controllo di legittimità nell’ambito dell’articolo 263 TFUE a favore dei singoli ai quali tale ricorso è consentito dal Trattato FUE (v., in tal senso, sentenza del 15 settembre 1982, Kind/CEE, 106/81, EU:C:1982:291, punto 14). Per contro, un’eventuale insufficienza di motivazione di un atto di portata generale non è di per sé tale da far sorgere la responsabilità dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 15 settembre 1982, Kind/CEE, 106/81, EU:C:1982:291, punto 14, e del 30 settembre 2003, Eurocoton e a./Consiglio, C‑76/01 P, EU:C:2003:511, punto 98).

62      Nello stesso senso, la Corte ha rilevato che l’insufficienza di motivazione di un atto che istituisce una misura restrittiva non è, di per sé, tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione (sentenza del 10 settembre 2019, HTTS/Consiglio, C‑123/18 P, EU:C:2019:694, punto 103 e giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, tale giurisprudenza si applica non solo a un atto di portata generale, ma anche a un atto che istituisce misure restrittive aventi portata individuale.

63      Di conseguenza, si deve constatare che il Tribunale ha giustamente considerato, al punto 43 della sentenza impugnata, che l’insufficienza di motivazione degli atti che istituiscono misure restrittive riguardanti la ricorrente non era di per sé tale da far sorgere la responsabilità dell’Unione e, pertanto, si deve respingere il primo motivo di impugnazione.

64      Ciò premesso, occorre precisare che l’obbligo di motivazione previsto all’articolo 296 TFUE costituisce una formalità sostanziale che deve essere distinta dalla questione della fondatezza della motivazione, la quale attiene alla legittimità nel merito dell’atto controverso. Infatti, la motivazione di una decisione consiste nell’esprimere formalmente le ragioni su cui si fonda tale decisione. Qualora dette ragioni non siano suffragate o siano inficiate da errori, siffatti vizi inficiano la legittimità nel merito della decisione, ma non la motivazione di quest’ultima (sentenze del 10 luglio 2008, Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala, C‑413/06 P, EU:C:2008:392, punto 181, nonché del 16 novembre 2017, Ludwig-Bölkow-Systemtechnik/Commissione, C‑250/16 P, EU:C:2017:871, punto 16).

65      Ne consegue che, come indicato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 88 delle sue conclusioni, la responsabilità dell’Unione può sorgere quando, in particolare, gli atti dell’Unione sui quali si fonda una misura restrittiva sono inficiati da insufficienza o difetto di motivazione e il Consiglio non fornisce elementi idonei a dimostrare la fondatezza di detta misura, purché la persona o l’entità interessata da tale misura sollevi espressamente un motivo in tal senso nel suo ricorso per risarcimento danni.

 Sul secondo motivo

 Argomenti delle parti

66      Con il secondo motivo di impugnazione si sostiene che il fatto di ottenere l’annullamento di misure restrittive non rende inutile la deduzione di una violazione sufficientemente qualificata del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

67      La ricorrente rileva che, secondo il punto 51 della sentenza impugnata, il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva è di natura essenzialmente procedurale, in quanto si riduce al diritto al ricorso di annullamento.

68      Tuttavia, nella sentenza di annullamento, il Tribunale non si sarebbe pronunciato su tutte le censure dedotte, dal momento che avrebbe annullato le misure restrittive unicamente a causa dell’insufficienza di motivazione degli atti che istituiscono misure restrittive. Orbene, la ricorrente avrebbe altresì invocato la violazione del suo diritto a una tutela giurisdizionale effettiva. Nell’ambito del suo ricorso per risarcimento danni, essa potrebbe far valere tale violazione, poiché non si sarebbe statuito per intero sul suo argomento.

69      Inoltre, la ricorrente ritiene che l’annullamento di una misura restrittiva illegittima non renda inutile, in seguito, la censura relativa all’illecito commesso dal Consiglio come costitutivo di una violazione qualificata del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva. L’esame di un’eventuale violazione di tale diritto dipenderebbe quindi dall’ampiezza del potere discrezionale di cui disponeva il Consiglio rispetto alla norma violata, tenuto conto della gravità del comportamento illecito e, in particolare, della sua durata.

70      A tale titolo, la Corte avrebbe dichiarato, nella sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 40), che, anche quando una misura restrittiva è annullata a seguito di un ricorso di annullamento, l’illecito commesso può costituire una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione, ivi compreso del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

71      Il Consiglio e la Commissione sostengono che tale motivo deve essere respinto.

 Giudizio della Corte

72      In via preliminare, occorre rilevare che, al punto 55 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che il motivo e gli argomenti dedotti nel ricorso, diretti a dimostrare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica dell’Unione preordinata a conferire diritti ai singoli, idonea a far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione, si fondavano unicamente sugli illeciti accertati dal Tribunale nella sentenza di annullamento.

73      Tale valutazione non è contestata dalla ricorrente nella sua impugnazione.

74      Orbene, nel suo ricorso che ha dato luogo alla sentenza di annullamento, la ricorrente ha sostenuto che l’obbligo di motivare gli atti giuridici risulta dall’articolo 296, secondo comma, TFUE, ma anche, in particolare, dal diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

75      Nella parte di tale ricorso intitolata «Inosservanza dell’obbligo di motivazione sufficiente», la ricorrente ha concluso che «[l]a decisione [di farla figurare] (...) negli elenchi è pertanto priva di una motivazione sufficiente, il che costituisce una violazione dell’articolo 296, secondo comma, TFUE, del diritto a una buona amministrazione, dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva».

76      Di conseguenza, così com’è stato dedotto dalla ricorrente, l’argomento vertente sul diritto a una tutela giurisdizionale effettiva si ricollegava, in realtà, alla censura relativa alla violazione dell’obbligo di motivazione e non costituiva una censura autonoma.

77      Peraltro, se è vero che nulla impedisce alla ricorrente di far valere, in occasione di un ricorso per risarcimento danni come quello che ha dato luogo alla sentenza impugnata, un illecito consistente nella violazione del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, occorre tuttavia rilevare che la ricorrente ha omesso di dimostrare sotto quale profilo il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nel dichiarare, al punto 51 della sentenza impugnata, che il Consiglio non aveva commesso una siffatta violazione.

78      Alla luce di tali elementi, il secondo motivo di impugnazione deve essere respinto.

 Sui motivi terzo e sesto

 Argomenti delle parti

79      Il terzo e il sesto motivo di impugnazione, che occorre esaminare congiuntamente, vertono su un errore di diritto e su uno snaturamento del ricorso, in quanto il Tribunale ha respinto un motivo dedotto nella replica.

80      A tale riguardo, la ricorrente afferma che il Tribunale, ai punti da 52 a 58 della sentenza impugnata, ha commesso un errore di diritto nell’essersi limitato a verificare se uno degli illeciti da essa dedotti nella replica, vale a dire il fatto che il Consiglio non avrebbe applicato il criterio che sosteneva di aver applicato per designare le persone e le entità che dovevano essere oggetto delle misure restrittive, fosse stato invocato esplicitamente nell’atto introduttivo del ricorso, senza verificare se tale illecito fosse stato dedotto implicitamente.

81      Essa sostiene che il Tribunale era tenuto a verificare se tale motivo già figurasse, quand’anche solo in forma embrionale, nel ricorso o se gli argomenti esposti nella replica derivassero dalla nomale evoluzione del contraddittorio nell’ambito del procedimento contenzioso. Pertanto, la ricorrente si sarebbe limitata a rispondere agli argomenti sviluppati dal Consiglio nel suo controricorso. Omettendo tale verifica, il Tribunale avrebbe escluso dal suo esame elementi pertinenti per valutare la gravità della violazione del diritto dell’Unione di cui trattasi.

82      La ricorrente ritiene altresì che il Tribunale, agli stessi punti da 52 a 58, abbia snaturato il suo ricorso respingendo in quanto irricevibile il suo argomento secondo cui il Consiglio non aveva applicato il criterio che sosteneva di aver applicato per giustificare la sanzione inflitta. A tale riguardo, dal suo ricorso risulterebbe che la ricorrente aveva effettivamente criticato l’illiceità delle misure restrittive adottate nei suoi confronti, circostanza che farebbe sorgere la responsabilità dell’Unione.

83      Il Consiglio e la Commissione concludono per il rigetto del terzo e del sesto motivo.

 Giudizio della Corte

84      Ai punti da 55 a 58 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che l’argomento presentato dalla ricorrente nella replica e vertente sull’assenza di conformità della motivazione per l’inserimento del suo nome negli elenchi delle persone interessate da misure restrittive al criterio applicato dal Consiglio, volto a contestare la fondatezza di tale inserimento, non poteva essere considerato un ampliamento del motivo diretto a dimostrare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli idonea a far sorgere la responsabilità dell’Unione, dedotto nel ricorso, e che, essendo un motivo nuovo, esso doveva essere respinto in quanto irricevibile.

85      La ricorrente contesta tale interpretazione indicando di avere affermato, nel suo ricorso dinanzi al Tribunale, che il Consiglio aveva violato un obbligo rispetto al quale esso non disponeva di alcun margine di discrezionalità, in quanto esso poteva agire solo in applicazione dei criteri normativi, enunciati dalla decisione e dai regolamenti di cui trattasi, che stabiliscono le categorie di persone e di entità sanzionabili.

86      Tuttavia, occorre constatare che, in tale ricorso, la ricorrente ha collegato detto argomento alla violazione dell’obbligo di motivazione. Infatti, a seguito dell’affermazione di cui al punto precedente della presente sentenza, essa ha immediatamente aggiunto che l’«illiceità che vizia gli atti del Consiglio deriva dalla violazione dell’obbligo di motivazione, il che costituisce una chiara violazione dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva».

87      Di conseguenza, il Tribunale poteva giustamente ritenere che l’argomento presentato dalla ricorrente in detto ricorso e vertente sull’illiceità degli atti del Consiglio annullati con la sentenza di annullamento, in quanto tale istituzione avrebbe applicato un criterio diverso da quello che essa sosteneva di aver applicato, si fondasse unicamente sulla violazione dell’obbligo di motivazione, e non su una contestazione della fondatezza dei motivi del suo inserimento nell’elenco delle persone e delle entità interessate dalle misure restrittive previste da detti atti.

88      In tali circostanze, il terzo e il sesto motivo di impugnazione devono essere respinti.

 Sui motivi quarto, quinto e settimo

 Argomenti delle parti

89      Il quarto, il quinto e il settimo motivo di impugnazione, che occorre esaminare congiuntamente, vertono su un’errata interpretazione della sentenza di annullamento, sull’erronea constatazione secondo cui la mancata comunicazione alla ricorrente degli elementi posti a suo carico non dimostrava una violazione sufficientemente qualificata di una norma del diritto dell’Unione, nonché su uno snaturamento del ricorso in quanto il Tribunale avrebbe ridotto i motivi di illiceità dedotti alla sola violazione dell’obbligo di motivazione.

90      La ricorrente contesta al Tribunale di aver interpretato erroneamente, ai punti 49 e 50 della sentenza impugnata, la sentenza di annullamento per quanto riguarda l’obbligo del Consiglio di comunicarle gli elementi posti a suo carico.

91      Infatti, al punto 82 della sentenza di annullamento, il Tribunale avrebbe indicato espressamente che il Consiglio aveva violato l’obbligo di comunicare tali elementi. Dai punti precedenti di detta sentenza risulterebbe che il Consiglio non era stato in grado di produrre un elemento che potesse fondare le censure che giustificavano la sanzione adottata nei confronti della ricorrente. Pertanto, il Tribunale, nella sentenza di annullamento, non si sarebbe limitato a suggerire che l’insufficienza di motivazione non era stata sanata dai documenti comunicati successivamente, ma avrebbe debitamente constatato che il Consiglio non aveva rispettato il suo obbligo di comunicare gli elementi posti a carico della ricorrente, senza neppure essere in grado di individuare atti concreti che essa avrebbe realizzato.

92      La ricorrente sostiene altresì che il Tribunale, al punto 50 della sentenza impugnata, ha commesso un errore di diritto nel considerare che la violazione di detto obbligo di comunicazione non dimostrava, nel caso di specie, l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione che facesse sorgere la responsabilità dell’Unione.

93      A tale riguardo, la Corte avrebbe dichiarato, nella sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 40), che la violazione dell’obbligo di fornire, in caso di contestazione, le informazioni o gli elementi di prova suffraganti le motivazioni addotte per l’adozione di misure restrittive costituiva una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli. La ricorrente ritiene che una siffatta violazione dell’obbligo di fornire informazioni o elementi di prova sia identica alla violazione dell’obbligo di comunicarle, nella sua qualità di entità interessata, gli elementi posti a suo carico per quanto riguarda la motivazione addotta per le misure di congelamento dei capitali decise nei suoi confronti.

94      Infine, la ricorrente sostiene che, ai punti 44 e 45 nonché ai punti da 55 a 58 della sentenza impugnata, il Tribunale ha snaturato il suo ricorso riducendo i motivi di illiceità dedotti alla sola violazione dell’obbligo di motivazione. A tale riguardo, la ricorrente avrebbe rilevato, nel suo ricorso, la mancanza di elementi tali da giustificare la sanzione inflitta. Tale motivo sarebbe indipendente da quanto statuito dal Tribunale nel dispositivo della sentenza di annullamento, ma sarebbe in relazione con quanto constatato nella motivazione di quest’ultima.

95      Il Consiglio e la Commissione ribattono che tali motivi non sono fondati.

 Giudizio della Corte

96      Al punto 82 della sentenza di annullamento, il Tribunale ha considerato che il Consiglio aveva violato l’obbligo di motivazione nonché l’obbligo di comunicare alla ricorrente, nella sua qualità di entità interessata, gli elementi posti a suo carico per quanto riguardava il motivo addotto per le misure di congelamento dei capitali adottate nei suoi confronti. Il Tribunale ne ha dedotto, al punto 83 della sentenza di annullamento, che occorresse accogliere il secondo motivo, nei limiti in cui verteva sulla violazione dell’obbligo di motivazione, considerazione che giustificava, di per sé, l’annullamento degli atti impugnati nella parte in cui riguardavano la ricorrente.

97      Da tali punti della sentenza di annullamento risulta che il Tribunale ha considerato che l’argomento della ricorrente, vertente sulla violazione dell’obbligo di trasmetterle gli elementi a carico, rientrava nella censura relativa alla violazione dell’obbligo di motivazione.

98      In tal senso, il Tribunale ha indicato, al punto 68 della sentenza di annullamento, che, per quanto riguarda, in particolare, la motivazione, la ricorrente deduceva, in sostanza, che non era stata in grado di comprendere le ragioni della sua iscrizione negli elenchi delle persone destinatarie di misure di congelamento dei capitali, che l’insufficienza della motivazione non era stata sanata dai documenti comunicati successivamente e che la lettera del 5 dicembre 2011 che il Consiglio le aveva inviato era standardizzata.

99      Orbene, nel suo ricorso che ha dato luogo alla sentenza di annullamento, era stata la ricorrente stessa a collegare la mancata comunicazione degli elementi posti a suo carico alla censura relativa alla violazione dell’obbligo di motivazione, sollevata nell’ambito del secondo motivo.

100    Ne consegue che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 93 delle sue conclusioni, il Tribunale ha giustamente considerato, al punto 49 della sentenza impugnata, che la mancata comunicazione degli elementi posti a carico della ricorrente non aveva costituito un motivo autonomo di annullamento.

101    Inoltre, deve essere respinto l’argomento della ricorrente relativo a uno snaturamento del suo ricorso dinanzi al Tribunale, in quanto quest’ultimo non avrebbe considerato come un motivo autonomo di illiceità l’argomento relativo all’assenza di elementi tali da giustificare la sanzione inflittale.

102    Infatti, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale ai paragrafi da 95 a 97 delle sue conclusioni, da tale ricorso discende che, alla stregua di quanto constatato al punto 86 della presente sentenza in relazione all’argomento relativo all’applicazione, da parte del Consiglio, di un criterio diverso da quello che esso sosteneva di aver applicato, l’argomento della ricorrente relativo all’assenza di elementi tali da giustificare la sanzione inflittale era indissolubilmente legato al suo motivo vertente sulla violazione da parte del Consiglio dell’obbligo di motivazione.

103    Occorre aggiungere che, anche se, nella sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 40), invocata dalla ricorrente nella sua impugnazione, la Corte ha ricordato l’obbligo, incombente al Consiglio, di fornire, in caso di contestazione, le informazioni o gli elementi di prova suffraganti i motivi dell’adozione di misure restrittive nei confronti di una persona fisica o giuridica, tale sentenza verteva sul controllo giurisdizionale della legittimità nel merito delle misure restrittive individuali e non già sul controllo del rispetto dell’obbligo di motivazione. Orbene, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 64 della presente sentenza, l’obbligo di motivazione costituisce una formalità sostanziale che va tenuta distinta dalla questione della fondatezza della motivazione.

104    La sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), non è quindi pertinente a sostegno del quarto, del quinto e del settimo motivo di impugnazione, nei limiti in cui, in considerazione dell’argomento sviluppato dalla ricorrente sia nel ricorso per risarcimento danni dinanzi al Tribunale sia nella fase dell’impugnazione, la presente causa verte unicamente sulle conseguenze da trarre dalla violazione dell’obbligo di motivazione.

105    Pertanto, tali motivi, che derivano da una lettura erronea della sentenza di annullamento nonché del ricorso dinanzi al Tribunale, devono essere respinti.

106    Alla luce di quanto precede e conformemente a quanto esposto al punto 52 della presente sentenza, si deve concludere che l’errore di diritto constatato al punto 49 della presente sentenza non è tale da giustificare l’annullamento della sentenza impugnata.

107    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che l’impugnazione deve essere integralmente respinta.

 Sulle spese

108    A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza del successivo articolo 184, paragrafo 1, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

109    La ricorrente, essendo rimasta soccombente, deve essere condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dal Consiglio, conformemente alla domanda del medesimo.

110    Conformemente all’articolo 140, paragrafo 1, dello stesso regolamento, secondo il quale le spese sostenute dagli Stati membri e dalle istituzioni intervenuti nella causa restano a loro carico, la Commissione sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      La Bank Refah Kargaran è condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dal Consiglio dell’Unione europea.

3)      La Commissione europea sopporta le proprie spese.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.