Language of document : ECLI:EU:C:2023:885

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NICHOLAS EMILIOU

presentate il 16 novembre 2023(1)

Causa C316/22

Gabel Industria Tessile SpA,

Canavesi SpA

contro

A2A Energia SpA,

Energit SpA,

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli,

con l’intervento di:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Como (Italia)]

«Rinvio pregiudiziale – Articolo 288 TFUE – Effetto diretto delle direttive – Effetto diretto orizzontale – Effetto diretto verticale – Criterio Foster – Enti considerati emanazione dello Stato – Direttiva 2008/118/CE – Fornitore di energia elettrica – Restituzione di imposte riscosse in violazione del diritto dell’Unione – Autonomia procedurale – Principio di effettività»






I.      Introduzione

1.        Pochi temi hanno affascinato generazioni di giuristi del diritto dell’Unione quanto l’effetto diretto delle direttive. Tale tema ha formato oggetto di lunghi dibattiti (e, in una certa misura, di intense controversie), sia all’interno delle istituzioni dell’Unione, sia in ambienti accademici, a partire dagli anni ’60 (2) sino ad oggi (3).

2.        In passato, vari dotti avvocati generali hanno suggerito alla Corte di riconoscere non soltanto l’effetto diretto verticale, ma anche l’effetto diretto orizzontale delle direttive non recepite (4), «curando» in tal modo (almeno in parte) l’ordinamento giuridico dell’Unione da quella che è stata brillantemente descritta come una «malattia infantile» del diritto dell’Unione (5). Ciò nonostante, la giurisprudenza della Corte è rimasta alquanto ferma sul punto. A partire dalle sentenze nelle cause Marshall e Faccini Dori, la Corte ha costantemente dichiarato che una direttiva non può, di per sé, creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei confronti dello stesso (6).

3.        Allo stesso tempo, tuttavia, la Corte ha tentato di mitigare le conseguenze negative che la mancanza di effetto diretto orizzontale delle direttive può produrre sui singoli, sotto vari profili. In particolare, la Corte: i) ha introdotto un obbligo di ampia portata, tanto per i giudici nazionali, quanto per altre autorità nazionali, di interpretare il diritto nazionale, per quanto possibile, in conformità con le disposizioni di direttive non recepite (7); ii) ha interpretato in senso ampio, in questo settore, la nozione di «Stato membro» e sue emanazioni, in modo da farvi rientrare una gamma di organizzazioni e organi che devono pertanto essere presi in considerazione (8); iii) ha riconosciuto l’effetto diretto in talune situazioni triangolari particolari che coinvolgevano due parti private e una parte pubblica (9); iv) ha riconosciuto l’effetto diretto di talune disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e di determinati principi generali del diritto, dei quali le disposizioni di una direttiva possono essere espressione (10), e v) ha attenuato i requisiti per l’accoglimento di un’azione di responsabilità nei confronti di Stati membri in caso di mancato recepimento di una direttiva (11).

4.        La presente causa offre alla Corte l’occasione di riflettere in termini generali sullo stato del diritto in questo settore e di fornire ulteriori chiarimenti su taluni aspetti della sua giurisprudenza.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

5.        L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE (12), applicabile all’epoca dei fatti (13), disponeva quanto segue:

«Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette [diverse dalle accise] aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali [dell’Unione] applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni».

B.      Diritto nazionale

6.        L’articolo 5 del decreto legislativo del 2 febbraio 2007, n. 26 – Attuazione della direttiva 2003/96/CE che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità (14), ha modificato l’articolo 6 del decreto-legge del 28 novembre 1988, n. 511 – Disposizioni urgenti in materia di finanza regionale e locale (15), introducendo un’imposta addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica (in prosieguo: l’«imposta addizionale»).

7.        L’articolo 2 del decreto legislativo del 14 marzo 2011, n. 23 – Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (16), ha disposto la cessazione dell’applicazione dell’imposta addizionale, a decorrere dall’anno 2012, nelle regioni a statuto ordinario. In seguito, l’articolo 4 del decreto-legge del 2 marzo 2012, n. 16 – Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento (17), ha abrogato integralmente l’imposta addizionale a decorrere dal 1º aprile 2012.

8.        L’articolo 14 del decreto legislativo del 26 ottobre 1995, n. 504 – Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative (in prosieguo: il «testo unico delle accise») (18), prevede, al primo comma, che «[l]’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata»; al secondo comma, che «il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento ovvero dalla data in cui il relativo diritto può essere esercitato», e, al quarto comma, che, «[q]ualora, al termine di un procedimento giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme».

III. Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

9.        Le parti attrici nel procedimento principale (la Gabel Industria Tessile SpA e la Canavesi SpA) sono entrambe società che hanno stipulato separatamente con le convenute (rispettivamente, la A2A Energia SpA e la Energit SpA) un contratto di fornitura di energia elettrica presso le proprie sedi produttive e hanno versato loro il corrispettivo dovuto, comprensivo di somme addebitate, nel periodo 2010-2011, a titolo di imposta addizionale.

10.      Nel 2020 le attrici hanno instaurato procedimenti nei confronti delle convenute dinanzi al Tribunale di Como (Italia), al fine di ottenere la restituzione delle somme versate a titolo di imposta addizionale, adducendo l’incompatibilità con il diritto dell’Unione delle disposizioni nazionali istitutive di detta imposta.

11.      Il Tribunale di Como indica che, a seguito delle sentenze della Corte di giustizia nelle cause Undis Servizi e Messer France (19), la Corte suprema di cassazione (Italia) ha deciso che l’imposta addizionale era in contrasto con l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118.

12.      Il Tribunale di Como aggiunge che il procedimento principale si inserisce in un contenzioso seriale sulla sorte delle somme indebitamente versate nel periodo intercorrente fra il termine concesso agli Stati membri per conformarsi alla direttiva 2008/118 e il momento in cui il legislatore italiano ha disposto la cessazione dell’applicazione dell’imposta addizionale. A tal riguardo, in Italia, i giudici di grado inferiore hanno adottato due orientamenti differenti.

13.      Secondo il primo orientamento, le domande dovrebbero essere respinte, poiché, dato che le convenute sono società private, la disapplicazione delle disposizioni nazionali pertinenti equivarrebbe a riconoscere un effetto diretto orizzontale alle disposizioni della direttiva 2008/118. Il giudice del rinvio sottolinea che la disapplicazione delle disposizioni nazionali produrrebbe l’effetto di creare in capo a soggetti privati un nuovo obbligo: quello di restituire all’utente finale le somme riscosse a titolo di imposte illegittime. Di converso, sulla base del secondo orientamento, le domande dovrebbero essere accolte, poiché, se la mia interpretazione è corretta, il principio di effettività potrebbe imporre ai giudici nazionali di applicare le disposizioni di una direttiva non recepita anche nell’ambito di una controversia tra privati.

14.      Pertanto, nutrendo dubbi sull’interpretazione dei principi e delle disposizioni pertinenti del diritto dell’Unione, il Tribunale di Como ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se, in generale, il sistema delle fonti del diritto dell’Unione Europea e, nello specifico, l’articolo 288, terzo comma, TFUE ostino alla disapplicazione, da parte del giudice nazionale, in una controversia tra privati, di una disposizione del diritto interno in contrasto con una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non recepita o non correttamente recepita, con la conseguenza di imporre un obbligo aggiuntivo a un singolo, qualora ciò costituisca, secondo il sistema normativo nazionale (...), il presupposto perché quest’ultimo possa far valere contro lo Stato i diritti attribuitigli da tale direttiva.

2)      Se il principio di effettività osti a una normativa nazionale (...) che non consente al consumatore finale di chiedere il rimborso dell’imposta indebita direttamente allo Stato, bensì gli riconosce soltanto la facoltà di esperire un’azione civilistica per la ripetizione nei confronti del soggetto passivo, unico legittimato a ottenere il rimborso dall’Amministrazione finanziaria, laddove l’unica ragione d’illegittimità dell’imposta – ossia la contrarietà a una direttiva [dell’Unione] – possa essere fatta valere esclusivamente nel rapporto tra il soggetto obbligato al pagamento e l’Amministrazione Finanziaria, ma non in quello tra il primo e il consumatore finale, così impedendo, di fatto, l’operatività del rimborso o se, per garantire il rispetto dell’indicato principio, debba riconoscersi, in un caso siffatto, la legittimazione diretta del consumatore finale nei confronti dell’Erario, quale ipotesi di impossibilità o eccessiva difficoltà di conseguire dal fornitore il rimborso dell’imposta indebitamente pagata».

15.      Il 17 maggio 2023 la Corte ha trasmesso al giudice del rinvio una richiesta di chiarimenti in merito alle procedure nazionali per la restituzione di imposte indebitamente versate, alla quale è stato risposto con lettera del 31 maggio 2023.

16.      Il governo spagnolo e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte e hanno svolto difese orali nel corso dell’udienza tenutasi il 13 settembre 2023.

IV.    Analisi

A.      Prima questione: effetto orizzontale e verticale delle direttive

17.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte, in sostanza, se il diritto dell’Unione osti alla disapplicazione, da parte del giudice nazionale, in una controversia tra due privati, di una disposizione del diritto nazionale in contrasto con una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non recepita, anche qualora ciò sia necessario affinché l’attore possa far valere i diritti attribuitigli da tale direttiva.

18.      A prima vista, la risposta a siffatta questione sarebbe, per le ragioni esposte nel prosieguo, alquanto semplice. Tuttavia, dalla decisione di rinvio risulta che il giudice del rinvio ha inteso sollevare una serie di questioni relative all’effetto diretto delle direttive che vanno al di là del mero testo della questione pregiudiziale. Nelle sezioni che seguono, cercherò quindi di trattare tutte dette questioni.

1.      Effetto diretto orizzontale delle direttive nel diritto dellUnione e nel diritto nazionale

19.      Anzitutto, mi occuperò del problema sollevato espressamente nella prima questione: a un giudice nazionale è consentito applicare le disposizioni di una direttiva non recepita in una controversia tra privati?

20.      In una recente sentenza concernente le disposizioni di una direttiva non recepita, la Corte ha anzitutto confermato che «un giudice nazionale non è tenuto, sulla sola base del diritto dell’Unione, a disapplicare una disposizione del suo diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione, qualora quest’ultima disposizione sia priva di efficacia diretta». Essa ha poi precisato che tale principio opera «ferma restando tuttavia la possibilità, per tale giudice, nonché per qualsiasi autorità amministrativa nazionale competente, di disapplicare, sulla base del diritto interno, qualsiasi disposizione del diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione priva di tale efficacia» (20).

21.      Ciò significa, semplificando, che il diritto dell’Unione non impone ai giudici nazionali di disapplicare disposizioni nazionali in contrasto con disposizioni del diritto dell’Unione prive di effetto diretto in controversie tra privati, ma parimenti non osta a che i giudici nazionali procedano in tal senso qualora il diritto nazionale lo preveda. In altri termini, i giudici nazionali possono attribuire alle direttive un effetto diretto orizzontale sulla base del diritto nazionale.

22.      In udienza, il governo spagnolo si è opposto a tale affermazione, poiché ciò introdurrebbe una certa forma di disparità tra i singoli.

23.      Ciò nonostante, ritengo che sia vero il contrario. Tutt’al più, è il mancato recepimento delle direttive a creare situazioni di disparità: i) a livello dell’Unione, in quanto i singoli possono o non possono godere dei diritti ad essi attribuiti dal diritto dell’Unione a seconda, ad esempio, dello Stato membro nel quale vivono o lavorano e ii) a livello nazionale, fra singoli che possono far valere i loro diritti in quanto agiscono nei confronti di enti pubblici e singoli che, pur invocando le stesse norme dell’Unione, non possono far valere i loro diritti, poiché agiscono nei confronti di enti privati. Pertanto, l’applicazione orizzontale delle direttive non recepite – se consentita dal diritto nazionale – eliminerebbe una fonte di differenziazione iniqua (21). Più in generale, ciò rafforzerebbe anche l’efficacia (effetto utile) delle direttive in questione.

24.      Infatti, non vedo alcun motivo plausibile per cui si dovrebbe interpretare il diritto dell’Unione nel senso che impedisce all’ordinamento giuridico interno di uno Stato membro di perseguire un’applicazione più completa ed efficace di disposizioni dell’Unione che, in assenza dell’omissione di tale Stato membro, sarebbero di applicazione generale (22).

25.      Ciò detto, se un giudice nazionale non è in grado di attribuire un effetto diretto orizzontale alle direttive sulla base del diritto nazionale, il diritto dell’Unione, come ho già rilevato, non gli impone di farlo. Ciò fa sorgere la seguente questione: è opportuno che la Corte riconsideri la sua giurisprudenza sul punto?

2.      Regola principale: le direttive non hanno effetto diretto orizzontale obbligatorio

26.      A mio avviso, sarebbe poco utile discutere sull’opportunità che la Corte riconsideri la sua giurisprudenza in materia.

27.      Non vi è dubbio che vi siano validi argomenti (e obiezioni) sia a favore sia contro il riconoscimento dell’effetto diretto orizzontale delle direttive. Tuttavia, nonostante la complessità della questione, che richiederebbe un’approfondita analisi giuridica per essere trattata in modo adeguato, la prima impressione è che tutto ciò che doveva essere detto sia già stato detto (23).

28.      Per quanto mi riguarda, è sufficiente dichiarare, da un lato, che riconosco la forza degli argomenti dedotti da ex avvocati generali contro l’«eccezionalismo» delle direttive. Essi hanno ritenuto che sussistessero valide ragioni di principio per attribuire effetti diretti alle direttive, senza alcuna distinzione quanto allo status del convenuto. Ad avviso di detti avvocati generali, ciò permetterebbe, in particolare: i) di eliminare le numerose incoerenze sorte per effetto della progressiva evoluzione della giurisprudenza in materia; ii) di impedire ai giudici nazionali di ricorrere a interpretazioni discutibili del diritto nazionale al fine di garantire la conformità con il diritto dell’Unione; iii) di rafforzare il diritto dei singoli a un ricorso effettivo e, più in generale, di migliorare l’effettività del diritto dell’Unione, e iv) di impedire discriminazioni tra singoli e di garantire la parità delle condizioni di concorrenza tra imprese pubbliche e private (24).

29.      D’altro lato, devo tuttavia riconoscere che vi sono diversi argomenti a sfavore del riconoscimento dell’effetto diretto orizzontale delle direttive. L’articolo 288 TFUE opera un’innegabile distinzione tra i vari strumenti giuridici ivi elencati. A differenza dei regolamenti, che sono descritti come «obbligator[i] in tutti i [loro] elementi e direttamente applicabil[i] in ciascuno degli Stati membri», le direttive sono destinate a «vincola[re] lo Stato membro cui [sono] rivolt[e] per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi». Ritengo pertanto che la giurisprudenza della Corte sia intesa principalmente a preservare le caratteristiche speciali (25) e l’importanza costituzionale (26) di tale strumento normativo, che riflette l’elemento «federale» dell’ordinamento giuridico dell’Unione (27).

30.      È vero che l’ordinamento giuridico dell’Unione nel 2023 non assomiglia affatto a quello in cui la Corte ha pronunciato le sue sentenze nelle cause Marshall e Faccini Dori (28). Infatti, i trattati di Amsterdam, di Nizza e, soprattutto, di Lisbona hanno notevolmente modificato il panorama istituzionale e costituzionale del diritto dell’Unione. Ciò nonostante, mi sembra che le modifiche apportate all’(attuale) articolo 288 TFUE, tenuto conto delle specifiche discussioni tenutesi nel corso della convenzione sul futuro dell’Europa del 2002-2003 (29) e delle successive conferenze intergovernative (30), non consentano di suffragare l’idea che i redattori dei trattati abbiano inteso modificare la differenza fondamentale tra i regolamenti e le direttive.

31.      Pertanto, alla luce della giurisprudenza assai recente su tale aspetto, comprese pronunce in Grande Sezione (31), dubito che la Corte sia incline a riesaminare, né tantomeno a modificare, la sua giurisprudenza costante in materia. Mi sembra che, almeno per il momento, ricorrendo al gergo tennistico, la palla è nel campo degli Stati membri: la giurisprudenza della Corte in materia è ad essi chiara e nota, e qualora reputino insoddisfacente lo status quo, possono porvi rimedio mediante una modifica dei trattati (32).

32.      Ciò premesso, il fatto che il diritto dell’Unione non imponga ai giudici nazionali di riconoscere l’effetto diretto orizzontale delle direttive non inciderebbe sul procedimento principale qualora si ritenga che le controversie coinvolgano una parte privata (il consumatore) e un ente che ha agito in qualità di emanazione dello Stato (il fornitore). Benché non sia stata espressamente sollevata dal giudice del rinvio, tale questione è stata discussa nel corso del procedimento dinanzi alla Corte.

3.      Effetto diretto verticale e nozione di «Stato membro»

33.      A partire dalle sentenze nelle cause Van Duyn e Ratti (33), la Corte ha costantemente dichiarato che sarebbe incompatibile con l’efficacia vincolante che l’(attuale) articolo 288 TFUE riconosce alla direttiva escludere che l’obbligo imposto da siffatto strumento in capo agli Stati membri possa esser fatto valere dai singoli. In particolare, la Corte ha statuito che allo Stato membro non può essere consentito di trarre vantaggio dall’omesso recepimento di una direttiva (34). Di conseguenza, i singoli possono validamente invocare, a sostegno delle loro domande o a titolo di difesa, disposizioni chiare, precise e incondizionate di direttive non recepite nell’ambito di controversie con le autorità dello Stato membro cui è imputabile l’omesso recepimento (effetto diretto verticale).

34.      Nel corso degli anni, la Corte ha precisato che quanto precede vale indipendentemente dalla precisa veste in cui l’autorità pubblica agisce (in quanto datore di lavoro o pubblica autorità) e dalla questione se tale autorità sia effettivamente responsabile della mancata attuazione della direttiva in questione da parte dello Stato membro (35).

35.      Soprattutto, ai fini della presente causa, la Corte ha accolto, in tale contesto, una nozione ampia di «Stato membro». Secondo una giurisprudenza costante, disposizioni incondizionate e sufficientemente precise di una direttiva possono essere invocate nei confronti di organismi o di enti che devono essere equiparati allo Stato, «vuoi perché sono persone giuridiche di diritto pubblico facenti parte dello Stato in senso ampio», vuoi perché, quando sono disciplinati dal diritto privato, «sono soggetti all’autorità o al controllo di una pubblica autorità» oppure, in alternativa, perché «sono stati incaricati da una tale autorità di svolgere un compito di interesse pubblico e sono stati a tal fine dotati di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli» (in prosieguo: il «criterio Foster») (36).

36.      Nella presente causa, dal fascicolo risulta che le convenute nel procedimento principale non sono enti di diritto pubblico. Tuttavia, la questione se rientrino in una delle altre due situazioni alternative relative a enti di diritto privato è una circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare (37). Ciò non soltanto perché la Corte non dispone di tutti gli elementi necessari per procedere a tale valutazione, ma anche, soprattutto, perché, affinché tale valutazione sia accurata, può essere necessario interpretare disposizioni o principi di diritto nazionale.

37.      Al fine di assistere il giudice del rinvio, aggiungerò alcune brevi considerazioni sul tipo di valutazione che detto giudice è chiamato a effettuare.

38.      In linea di principio, concordo con il governo spagnolo sul fatto che, per stabilire se un determinato ente soddisfi il «criterio Foster», è necessaria, di regola, una valutazione caso per caso in cui siano prese in considerazione tutte le circostanze pertinenti relative all’organizzazione e all’attività di tale ente.

39.      Ad esempio, per stabilire se un ente privato sia «soggett[o] all’autorità o al controllo di una pubblica autorità», un giudice dovrebbe esaminare la capacità dello Stato di esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante sul processo decisionale dell’ente, se non nelle sue attività quotidiane, almeno sulle scelte e sulle decisioni strategiche più importanti.

40.      A tal fine, sembra importante prendere in considerazione, sulla base della legislazione pertinente e delle norme interne dell’ente, elementi quali: i) l’assetto proprietario; ii) l’esistenza di diritti speciali di voto o di veto a favore di un altro ente; iii) la composizione degli organi direttivi e le modalità di nomina di questi ultimi; iv) il tipo di attività svolte; v) l’obiettivo o gli obiettivi perseguiti dall’ente, e vi) il metodo di finanziamento dell’ente (38). Pertanto, il mero fatto che lo Stato (o un’altra autorità pubblica) detenga una partecipazione in una società, come mi sembra sia il caso delle convenute nel procedimento principale, non è di per sé decisivo al fine di determinare se lo Stato eserciti un controllo su tale società.

41.      Per quanto riguarda la valutazione della questione se un ente privato sia stato incaricato da un organo pubblico «di svolgere un compito di interesse pubblico» e sia stato dotato, a tal fine, di «poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli», desidero svolgere le osservazioni che seguono.

42.      Anzitutto, la valutazione della questione se un ente privato debba essere equiparato allo Stato non deve, a mio avviso, essere effettuata esaminando (esclusivamente) la natura generale e le attività dell’ente in questione. Infatti, ciò che è particolarmente importante è sapere se il «criterio Foster» sia soddisfatto per quanto riguarda il rapporto stesso all’origine della controversia di cui trattasi. Infatti, un ente privato può esercitare una o più attività di interesse pubblico, per le quali dispone di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli, ed esercitare, al contempo, altre attività a titolo puramente commerciale e in normali condizioni di concorrenza con altre imprese (39).

43.      Inoltre, i due elementi dell’«interesse pubblico» e dei «poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli» sono chiaramente cumulativi: entrambi devono essere presenti affinché un ente possa essere considerato un’emanazione dello Stato. Tali elementi devono inoltre essere collegati, nel senso che i poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli devono essere stati attribuiti all’ente in questione «[allo] scopo» di consentire ad esso di perseguire efficacemente l’interesse pubblico (40).

44.      Per giunta, naturalmente, gli obiettivi che possono essere considerati perseguiti nell’«interesse pubblico» variano da uno Stato membro all’altro. Tuttavia, tale nozione riflette necessariamente l’idea che l’attività dell’ente non debba essere esercitata a beneficio esclusivo (o principale) dei suoi detentori o azionisti, bensì a beneficio della società nel suo complesso. È altresì ragionevole ritenere che l’attribuzione di un compito di servizio pubblico debba risultare da un atto legislativo o amministrativo (41).

45.      Infine, l’esistenza di «poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli» deve essere accertata confrontando le norme che disciplinano il rapporto all’origine della controversia di cui trattasi con quelle che disciplinano i rapporti tra privati. L’ente in questione e la sua controparte si trovano su un piano di parità, o almeno in una situazione equiparabile, nei loro rapporti? L’ente in questione può imporre unilateralmente determinati obblighi alla sua controparte o limitarne i diritti?

46.      Concludendo su questo punto con una nota più generale, vorrei aggiungere che, a mio avviso, il «criterio Foster» non può essere applicato in modo troppo ampio (42). Nel mondo attuale, la maggior parte delle attività economiche è, in un modo o nell’altro, fortemente regolamentata. Inoltre, numerosi enti (quali le organizzazioni non governative) mirano a conseguire obiettivi di interesse generale, pur non essendo in alcun modo legati allo Stato; analogamente, molte imprese sono detenute (in tutto o in parte) dallo Stato, ma non perseguono alcun obiettivo pubblico.

47.      Di conseguenza, a pena di ridurre la distinzione orizzontale/verticale a una mera formalità, è fondamentale che, nell’ambito di controversie come quella pendente dinanzi al giudice del rinvio, si dichiari che enti privati hanno agito in qualità di emanazioni dello Stato soltanto allorché il controllo «pubblico» esercitato su detti enti o la natura pubblica delle loro attività siano chiaramente individuabili. La tentazione di prendere delle «scorciatoie» per aiutare i consumatori e/o di trovare una soluzione pragmatica ed equa a controversie che, sulla base del contesto procedurale pertinente, appaiono eccessivamente complesse può essere comprensibile, ma sarebbe, in ultima istanza, imprudente.

4.      Necessità di preservare leffettività quale eccezione alla regola principale?

48.      Nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede altresì se, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, ossia in cui le attrici che si trovano di fronte a notevoli ostacoli procedurali per far valere i loro diritti, il principio di effettività del diritto dell’Unione possa essere interpretato nel senso che impone ai giudici nazionali, in via eccezionale, di applicare le disposizioni di direttive non attuate anche in controversie tra privati.

49.      A mio giudizio, questa tesi va respinta. Il principio di effettività (inteso come effetto utile) (43) è stato spesso utilizzato dalla Corte di giustizia come strumento interpretativo che consente, da un lato, di escludere interpretazioni di disposizioni dell’Unione che metterebbero in discussione la loro validità, le renderebbero superflue o condurrebbero a risultati assurdi e, dall’altro, di privilegiare le interpretazioni che garantiscono la «piena efficacia» delle disposizioni in questione, vale a dire la loro capacità di realizzare l’obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione (44).

50.      Di converso, il principio di effettività non può, a mio avviso, essere utilizzato come mezzo per «massimizzare» la portata e l’effetto di una disposizione dell’Unione, al punto da spingersi al di là della chiara intenzione del legislatore o di eludere i principi costituzionali fondamentali dell’ordinamento giuridico dell’Unione.

51.      Inoltre, ritengo che la creazione di un’eccezione aggiuntiva (45) – e definita in modo vago – alla regola dell’assenza di effetto orizzontale in situazioni di extrema ratio (una specie di «quando nient’altro funziona») non farebbe che aumentare l’incertezza del diritto (46). Si tratta di un settore che, allo stato attuale del diritto, è descritto da alcuni commentatori come un settore di alta complessità (47) o privo di coerenza (48). Riconosco che una parte delle critiche non è priva di fondamento. Sono quindi restio a suggerire un aumento del numero o della portata delle eccezioni, poiché ciò si ripercuoterebbe sulla prevedibilità, la coerenza e il rigore intellettuale del sistema.

52.      Alla luce di quanto precede, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale nel senso che i) il diritto dell’Unione non impone ai giudici nazionali di disapplicare disposizioni nazionali in contrasto con disposizioni del diritto dell’Unione prive di effetto diretto in controversie tra privati, ma non osta a che i giudici nazionali procedano in tal senso qualora il diritto nazionale lo preveda e ii) disposizioni incondizionate e sufficientemente precise di una direttiva possono essere invocate nei confronti di organismi o di enti di diritto privato qualora essi siano soggetti all’autorità o al controllo di una pubblica autorità o, in alternativa, qualora siano stati incaricati da una tale autorità di svolgere un compito di interesse pubblico e siano stati a tal fine dotati di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli.

B.      Seconda questione: autonomia procedurale nazionale e restituzione di imposte illegittime

53.      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il principio di effettività osti ad una normativa nazionale che non consente al consumatore finale di chiedere il rimborso di un’imposta indebita direttamente allo Stato, bensì gli riconosce soltanto la facoltà di esperire un’azione civilistica per la ripetizione nei confronti del fornitore, che ha riscosso l’imposta per conto dello Stato e che è l’unico soggetto legittimato a ottenere il rimborso dall’Amministrazione finanziaria, qualora il motivo dell’illegittimità dell’imposta sia la sua incompatibilità con il diritto dell’Unione e detto motivo non possa essere validamente invocato nel contesto di un’azione promossa nei confronti del fornitore.

54.      Tale questione è determinata dalla situazione specifica di cui al procedimento principale che, se la mia interpretazione è corretta, può essere riassunta come segue: i) le parti attrici sono consumatori che hanno versato un’imposta a un fornitore, il quale l’ha riscossa per conto dello Stato, e tale imposta è stata in seguito dichiarata incompatibile con il diritto dell’Unione; ii) in circostanze quali quelle in questione, il diritto nazionale prevede il rimborso di un’imposta indebitamente riscossa mediante una procedura in due fasi: dapprima, il consumatore deve chiedere la restituzione dell’imposta al fornitore (dinanzi a un giudice civile) e, in seguito, il fornitore può chiedere il rimborso allo Stato (dinanzi a un giudice amministrativo), e iii) a quanto risulta, i consumatori non possono invocare le disposizioni della direttiva 2008/118 dinanzi al giudice del rinvio, poiché l’Italia ha omesso di recepire correttamente tale direttiva e le convenute sono società private.

55.      In tale contesto, il giudice del rinvio chiede se una situazione come quella di cui al procedimento principale debba essere considerata tale per cui il consumatore si trova di fronte a un’eccessiva difficoltà o all’impossibilità di conseguire la restituzione dell’imposta indebitamente versata, che potrebbe quindi giustificare la possibilità di agire direttamente nei confronti dello Stato (anziché nei confronti del fornitore che ha riscosso l’imposta).

56.      Devo precisare, anzitutto, che, nonostante i chiarimenti prestati dal giudice del rinvio in risposta a un quesito della Corte, non mi sono interamente chiare tutte le caratteristiche del regime nazionale che disciplina la restituzione di imposte indebitamente riscosse. Mi rammarico pertanto del fatto che né le parti nel procedimento principale né – circostanza che reputo particolarmente spiacevole – il governo italiano abbiano ritenuto opportuno partecipare al presente procedimento.

57.      Ad esempio, mi chiedo se siano necessari in ogni caso due procedimenti giudiziari per garantire che né il consumatore né il fornitore debbano sopportare l’onere dell’imposta indebita. Tale requisito sarebbe, a mio avviso, alquanto problematico. A tal riguardo, occorre tenere a mente che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, l’obbligo di «adotta[re] ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione» s’impone a tutte le autorità degli Stati membri, e non soltanto alle autorità giudiziarie.

58.      Come statuito dalla Corte nella sentenza nella causa Costanzo, «qualora sussistano i presupposti necessari, secondo la giurisprudenza della Corte, affinché le disposizioni di una direttiva siano invocabili dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi dell’amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali, (...) sono tenuti ad applicare le suddette disposizioni» (49). A mio avviso, le disposizioni dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118 sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate da poter essere invocate («verticalmente») da un singolo nei confronti delle autorità pubbliche, comprese autorità amministrative quali le agenzie delle entrate.

59.      Soprattutto, non mi è chiaro quali rimedi giurisdizionali, se ve ne sono, siano a disposizione dei singoli che chiedono il rimborso di imposte indebitamente riscosse, nel caso in cui il procedimento ordinario, previsto dall’articolo 14 del decreto legislativo n. 504/1995, dovesse risultare insufficiente per conseguire tale risultato.

60.      A tal riguardo, ricordo che, secondo costante giurisprudenza della Corte, il diritto di ottenere il rimborso dei tributi riscossi da uno Stato membro in violazione del diritto dell’Unione costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti ai singoli dalle disposizioni del diritto dell’Unione che vietano tali tributi. Lo Stato membro è quindi tenuto, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione. In mancanza di disciplina dell’Unione in materia di domande di rimborso delle imposte, conformemente al principio dell’autonomia procedurale spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possano essere presentate. Tuttavia, tale principio è soggetto al rispetto dei principi di equivalenza e di effettività. In particolare, gli Stati membri devono garantire che le condizioni alle quali può essere esercitata l’azione di ripetizione dell’indebito siano tali per cui l’onere economico dell’imposta indebitamente riscossa possa essere neutralizzato (50).

61.      Sulla base di tali principi, la Corte ha statuito che uno Stato membro può, in via di principio, opporsi ad una domanda di rimborso di un’imposta indebitamente riscossa formulata dal consumatore finale su cui essa è stata ripercossa, argomentando che non è stato detto consumatore finale a versarla alle autorità tributarie. Ciò dipende dal fatto che il consumatore finale, il quale ne è in definitiva gravato, possa, sulla base del diritto interno, esperire un’azione per la ripetizione dell’indebito nei confronti del fornitore. Tuttavia, se il rimborso da parte del fornitore risultasse impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività impone che il consumatore debba essere in grado di agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie e che, a tal fine, lo Stato membro preveda gli strumenti e le modalità procedurali necessari (51).

62.      Mi sembra che tali considerazioni siano pertinenti nel caso di specie. Tuttavia, spetta al giudice del rinvio stabilire se le modalità procedurali nazionali in questione siano tali per cui, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, sia impossibile o eccessivamente difficile, per il consumatore, ottenere il rimborso dell’imposta indebitamente versata.

63.      A mio avviso, il requisito dell’«eccessiva difficoltà» non può essere valutato in astratto, ma deve essere esaminato in relazione alla situazione specifica di ciascun ricorrente. Il ricorrente è «obbligato» a esperire uno o più procedimenti che, a causa della loro complessità, durata e/o costo, sono fonte di un onere irragionevole, tenuto conto dell’importo delle somme da recuperare? Inoltre, un avvocato accorto è a conoscenza della disponibilità (e delle ragionevoli possibilità di successo) di tali procedimenti o la praticabilità di detti rimedi è incerta?

64.      Qualora, alla luce di una siffatta analisi, il giudice del rinvio giunga alla conclusione che le attrici nel procedimento principale si trovano effettivamente di fronte a una situazione di impossibilità pratica o di eccessiva difficoltà, il principio di effettività del diritto dell’Unione, che, in un caso del genere, coincide con il diritto a un ricorso effettivo (52), esigerebbe che tali consumatori siano autorizzati ad agire direttamente nei confronti dello Stato, al fine di ottenere il rimborso dell’imposta indebitamente pagata.

65.      Nel procedimento avviato nei confronti dello Stato, i consumatori avrebbero quindi «due assi nella manica». Da un lato, essi potrebbero sostenere che la norma procedurale che impedisce loro di agire direttamente nei confronti dello Stato debba essere dichiarata inapplicabile per violazione del principio di effettività del diritto dell’Unione e, dall’altro, essi potrebbero invocare le disposizioni della direttiva 2008/118, dato che la controversia è di natura «verticale».

66.      Alla luce di quanto precede, in risposta alla seconda questione, a mio avviso, si dovrebbe dichiarare che il diritto dell’Unione non osta a una normativa nazionale che non consente al consumatore finale di chiedere il rimborso di un’imposta riscossa in violazione del diritto dell’Unione direttamente allo Stato, bensì gli riconosce soltanto la facoltà di ottenere la restituzione di detta imposta dal fornitore che l’ha riscossa per conto dello Stato. Tuttavia, qualora il rimborso da parte del fornitore risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività esige che il consumatore possa proporre la sua domanda di rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie.

V.      Conclusione

67.      In conclusione, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dal Tribunale di Como (Italia), nei seguenti termini:

1)      Il diritto dell’Unione non impone ai giudici nazionali di disapplicare disposizioni nazionali in contrasto con disposizioni del diritto dell’Unione prive di effetto diretto in controversie tra privati, ma non osta a che i giudici nazionali procedano in tal senso qualora il diritto nazionale lo preveda. Tuttavia, disposizioni incondizionate e sufficientemente precise di una direttiva possono essere invocate nei confronti di organismi o di enti di diritto privato qualora essi siano soggetti all’autorità o al controllo di una pubblica autorità o, in alternativa, qualora siano stati incaricati da una tale autorità di svolgere un compito di interesse pubblico e siano stati a tal fine dotati di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli.

2)      Il diritto dell’Unione non osta a una normativa nazionale che non consente al consumatore finale di chiedere il rimborso di un’imposta riscossa in violazione del diritto dell’Unione direttamente allo Stato, bensì gli riconosce soltanto la facoltà di ottenere la restituzione di detta imposta dal fornitore che l’ha riscossa per conto dello Stato. Tuttavia, qualora il rimborso da parte del fornitore risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività esige che il consumatore possa proporre la sua domanda di rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      V., con numerosi riferimenti a documenti contemporanei, Rasmussen, M., «How to enforce European law? A new history of the battle over the direct effect of Directives, 1958–1987», European Law Journal, 2017, pag. 290.


3      Per un contributo assai recente sul tema, v. Bobek, M., «Why Is It Better to Treat Every Provision of a Directive as a (Horizontally) Directly Effective One», International Journal of Comparative Labour Law and Industrial Relations, 2023, pag. 1.


4      V., in particolare, conclusioni dell’avvocato generale Van Gerven nella causa Marshall (C‑271/91, EU:C:1993:30, paragrafo 12); conclusioni dell’avvocato generale Lenz nella causa Faccini Dori (C‑91/92, EU:C:1994:45, paragrafi da 43 a 73); e conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Vaneetveld (C‑316/93, EU:C:1994:32, paragrafi da 18 a 34). V. anche le considerazioni svolte in via incidentale nelle conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Farrell (C‑413/15, EU:C:2017:492, paragrafo 150) e le conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Cresco Investigation (C‑193/17, EU:C:2018:614, paragrafo 145).


5      Pescatore, P., «The doctrine of “direct effect”: An infant disease of community law», European Law Review, 1983, pag. 155.


6      Sentenze del 26 febbraio 1986, Marshall (152/84, EU:C:1986:84, punto 48), e del 14 luglio 1994, Faccini Dori (C‑91/92, EU:C:1994:292, punto 20). Più recentemente, v. sentenza del 18 gennaio 2022, Thelen Technopark Berlin (C‑261/20, EU:C:2022:33, punto 32).


7      V., in particolare, sentenza del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punti da 110 a 118).


8      V., infra, paragrafi da 35 a 47 delle presenti conclusioni.


9      V., in particolare, sentenze del 30 aprile 1996, CIA Security International (C‑194/94, EU:C:1996:172) e del 28 gennaio 1999, Unilever (C‑77/97, EU:C:1999:30).


10      V., in particolare, sentenze del 22 novembre 2005, Mangold (C‑144/04, EU:C:2005:709, punti da 75 a 77) e del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth (C‑569/16 e C‑570/16, EU:C:2018:871, punti da 80 a 91).


11      V., ad esempio, sentenza dell’8 ottobre 1996, Dillenkofer e a. (C‑178/94, C‑179/94 e da C‑188/94 a C‑190/94, EU:C:1996:375, punto 27). V. anche sentenza del 14 luglio 1994, Faccini Dori (C‑91/92, EU:C:1994:292, punto 27). Su tale questione v., tuttavia, Szpunar, M., «Direct Effect of Community Directives in National Courts – Some Remarks Concerning Recent Developments», Natolin European Centre, 2003, pag. 4.


12      GU 2009, L 9, pag. 12.


13      La direttiva 2008/118 non è più in vigore, essendo stata abrogata dalla direttiva (UE) 2020/262 del Consiglio, del 19 dicembre 2019, che stabilisce il regime generale delle accise (GU 2020, L 58, pag. 4).


14      GURI n. 68, del 22 marzo 2007.


15      GURI n. 280, del 29 novembre 1988.


16      GURI n. 67, del 23 marzo 2011.


17      GURI n. 52, del 2 marzo 2012.


18      GURI n. 279, del 29 novembre 1995.


19      Rispettivamente, sentenze dell’8 dicembre 2016 (C‑553/15, EU:C:2016:935) e del 25 luglio 2018 (C‑103/17, EU:C:2018:587).


20      Sentenza del 18 gennaio 2022, Thelen Technopark Berlin (C‑261/20, EU:C:2022:33, punto 33). Il corsivo è mio.


21      Infatti, secondo la giurisprudenza, le disposizioni di una direttiva possono essere «fa[tte] valere (...) nei confronti dello Stato (…) indipendentemente dalla qualità nella quale questo agisce come datore di lavoro o come pubblica autorità» (il corsivo è mio). V., in particolare, sentenze del 26 febbraio 1986, Marshall (152/84, EU:C:1986:84, punto 42) e del 12 luglio 1990, Foster e a. (C‑188/89, EU:C:1990:313, punto 17).


22      Del resto, se uno dei motivi per negare l’effetto diretto orizzontale delle direttive è preservare il margine di manovra degli Stati membri nell’attuazione di talune norme dell’Unione nel diritto nazionale (v., infra, paragrafo 29 delle presenti conclusioni), sarebbe logico che gli Stati membri siano liberi di rinunciare a tale prerogativa.


23      V. Editorial, «Is there more to say about the direct effect of Directives?», European Law Review, 2018, pag. 621.


24      V. le conclusioni citate supra alla nota 4.


25      Infatti, se si dovesse riconoscere un effetto diretto orizzontale alle direttive, non vi sarebbe più alcuna differenza significativa tra tale strumento e i regolamenti.


26      V., in tal senso, sentenza del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation (C‑193/17, EU:C:2019:43, punto 72 e giurisprudenza ivi citata): «Infatti, estendere l’invocabilità di direttive non recepite, o non correttamente recepite, all’ambito dei rapporti tra privati equivarrebbe a riconoscere all’Unione il potere di istituire con effetto immediato obblighi a carico di questi ultimi, mentre tale competenza le spetta solo qualora le sia attribuito il potere di adottare regolamenti».


27      V. Dickon, J., «Directives in EU Legal Systems: Whose Norms Are They Anyway?», European Law Journal, 2011 pag. 190.


28      V., supra, nota 6.


29      V., in particolare, relazione finale del Gruppo di lavoro IX, Semplificazione, 29 novembre 2002, CONV 424/02, pagg. da 3 a 6, e Piris, J-C., The Constitution for Europe – A Legal Analysis, 2006, Cambridge University Press, pagg. da 70 a 73.


30      V., ad esempio, Piris, J-C., The Lisbon Treaty – A Legal and Political Analysis, 2010, Cambridge University Press, pagg. da 92 a 94.


31      V. sentenza del 18 gennaio 2022, Thelen Technopark Berlin (C‑261/20, EU:C:2022:33, punto 32). V. anche sentenze del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation (C‑193/17, EU:C:2019:43, punto 72) e del 7 agosto 2018, Smith (C‑122/17, EU:C:2018:631, punto 42).


32      Così come hanno fatto quando hanno modificato l’(attuale) articolo 263, quarto comma, TFUE dopo la pronuncia delle sentenze del 25 luglio 2002, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio (C‑50/00 P, EU:C:2002:462) e del 1º aprile 2004, Commissione/Jégo-Quéré (C‑263/02 P, EU:C:2004:210).


33      Sentenze del 4 dicembre 1974, Van Duyn (41/74, EU:C:1974:133) e del 5 aprile 1979, Ratti (148/78, EU:C:1979:110).


34      Conformemente al principio dell’estoppel (o nemo potest venire contra factum proprium).


35      V. la giurisprudenza citata supra alla nota 21.


36      V., in particolare, sentenze del 12 luglio 1990, Foster e a. (C‑188/89, EU:C:1990:313, punto 18) e del 10 ottobre 2017, Farrell (C‑413/15, EU:C:2017:745, punti da 33 a 35).


37      V., ad esempio, sentenze del 14 settembre 2000, Collino e Chiappero (C‑343/98, EU:C:2000:441, punto 24); del 24 gennaio 2012, Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 40), e del 12 dicembre 2013, Portgás (C‑425/12, EU:C:2013:829, punto 31).


38      V., per analogia, sentenze del 24 novembre 1982, Commissione/Irlanda (249/81, EU:C:1982:402, punti da 10 a 15); del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294, punto 55), e del 5 novembre 2002, Commissione/Germania (C‑325/00, EU:C:2002:633, punti da 14 a 21). V. altresì conclusioni dell’avvocato generale Van Gerven nella causa Foster e a. (C 188/89, EU:C:1990:188, pag. 21).


39      Analogamente, conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Farrell (C‑413/15, EU:C:2017:492, paragrafo 141).


40      Ibidem, paragrafo 49.


41      Ibidem, paragrafi da 143 a 146.


42      V., analogamente, l’analisi effettuata nelle conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Portgás (C‑425/12, EU:C:2013:623, paragrafi da 35 a 44).


43      Mi occuperò della nozione di «effettività» intesa come «ricorso effettivo» nel contesto della valutazione della seconda questione pregiudiziale.


44      V., in tal senso, sentenze del 4 ottobre 2001, Italia/Commissione (C‑403/99, EU:C:2001:507, punti 27, 28 e 37) e del 22 febbraio 2022, Openbaar Ministerie (Giudice costituito per legge nello Stato membro emittente) (C‑562/21 PPU e C‑563/21 PPU, EU:C:2022:100, punto 95).


45      Mi riferisco alla giurisprudenza relativa al cosiddetto effetto orizzontale incidentale delle direttive, menzionato supra al paragrafo 3 delle presenti conclusioni.


46      Sulla necessità di conciliare l’effetto utile e la certezza del diritto in questo settore, v. Skouris, V., «Effet Utile versus Legal Certainty: The Case Law of the Court of Justice on the Direct Effect of Directives», European Business Law Review, 2009, pag. 241.


47      V. Craig, P., «The Legal Effect of Directives: Policy, Rules and Exceptions», European Law Review, 2009, pagg. 376 e 377, e Bobek, M., «Why Is It Better to Treat Every Provision of a Directive as a (Horizontally) Directly Effective One», International Journal of Comparative Labour Law and Industrial Relations, 2023, pag. 10.


48      V., ad esempio, Editorial Comments, «Horizontal direct effect – A law of diminishing coherence?», Common Market Law Review, 2006, pag. 1, e Dashwood, A., «From Van Duyn to Mangold via Marshall: Reducing Direct Effect to Absurdity?», Cambridge Yearbook of European Legal Studies, 2007, pag. 81.


49      Sentenza del 22 giugno 1989 (103/88, EU:C:1989:256, punto 31). Il corsivo è mio.


50      V., in particolare, sentenza del 20 ottobre 2011, Danfoss e Sauer-Danfoss (C‑94/10, EU:C:2011:674, punti da 20 a 25 e giurisprudenza ivi citata).


51      Ibidem, punti 27 e 28. V. anche sentenza del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken (C‑35/05, EU:C:2007:167, punti 41 e 42).


52      Su tale questione, ampiamente e con ulteriori riferimenti, v. conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa An tAire Talmhaíochta Bia agus Mara, Éire agus an tArd-Aighne (C‑64/20, EU:C:2021:14, paragrafi da 38 a 46).