Language of document : ECLI:EU:T:2020:458

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione ampliata)

5 ottobre 2020 (*)(i)

«Concorrenza – Intese – Procedimento amministrativo ‐ Decisione che ordina un accertamento – Eccezione di illegittimità dell’articolo 20 del regolamento (CE) n. 1/2003 – Diritto a un ricorso effettivo – Parità delle armi – Obbligo di motivazione – Diritto all’inviolabilità del domicilio – Indizi sufficientemente gravi – Proporzionalità»

Nella causa T‑249/17,

Casinò, GuichardPerrachon, con sede in Saint‑Étienne (Francia),

Achats Marchandises Casino SAS (AMC), già EMC Distribution, con sede in Vitry‑sur‑Seine (Francia),

rappresentate da D. Théophile, I. Simic, O. de Juvigny, T. Reymond, A. Sunderland e G. Aubron, avvocati,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata da B. Mongin, A. Dawes e I. Rogalski, in qualità di agenti, assistiti da F. Ninane, avvocato,

convenuta,

sostenuta da

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da S. Boelaert, S. Petrova e O. Segnana, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione C(2017) 1054 final della Commissione, del 9 febbraio 2017, che ingiunge alla Casino, Guichard‑Perrachon nonché a tutte le società da essa direttamente o indirettamente controllate di sottoporsi a un accertamento ai sensi dell’articolo 20, paragrafi 1 e 4, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio (caso AT.40466 – Tute 1).

IL TRIBUNALE (Nona Sezione ampliata),

composto da S. Gervasoni (relatore), presidente, L. Madise, R. da Silva Passos, K. Kowalik‑Bańczyk e C. Mac Eochaidh, giudici,

cancelliere: M. Marescaux, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29 gennaio 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Contesto normativo

1        L’articolo 20 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), intitolato «Poteri della Commissione in materia di accertamenti», dispone quanto segue:

«1.      Per l’assolvimento dei compiti affidatile dal presente regolamento, la Commissione può procedere a tutti gli accertamenti necessari presso le imprese e associazioni di imprese.

2.      Gli agenti e le altre persone che li accompagnano autorizzati dalla Commissione a procedere agli accertamenti dispongono dei seguenti poteri:

a)      accedere a tutti i locali, terreni e mezzi di trasporto di imprese e associazioni di imprese;

b)      controllare i libri e qualsiasi altro documento connesso all’azienda, su qualsiasi forma di supporto;

c)      fare o ottenere sotto qualsiasi forma copie o estratti dei suddetti libri o documenti;

d)      apporre sigilli a tutti i locali e libri o documenti aziendali per la durata degli accertamenti e nella misura necessaria al loro espletamento;

e)      chiedere a qualsiasi rappresentante o membro del personale dell’impresa o dell’associazione di imprese spiegazioni su fatti o documenti relativi all’oggetto e allo scopo degli accertamenti e verbalizzarne le risposte.

3.      Gli agenti e le altre persone che li accompagnano autorizzati dalla Commissione a procedere agli accertamenti esercitano i loro poteri su presentazione di un mandato scritto che precisa l’oggetto e lo scopo degli accertamenti, nonché la sanzione prevista dall’articolo 23 per il caso in cui i libri e gli altri documenti connessi all’azienda richiesti siano presentati in modo incompleto e per il caso in cui le risposte fornite alle domande poste in applicazione del paragrafo 2 del presente articolo siano inesatte o fuorvianti. Prima degli accertamenti, la Commissione avvisa in tempo utile l’autorità garante della concorrenza dello Stato membro nel cui territorio essi devono essere compiuti.

4.      Le imprese e le associazioni di imprese sono obbligate a sottoporsi agli accertamenti ordinati dalla Commissione mediante decisione. La decisione precisa l’oggetto e lo scopo degli accertamenti, ne fissa la data di inizio ed indica le sanzioni previste dagli articoli 23 e 24, nonché il diritto di presentare ricorso dinanzi alla Corte di giustizia avverso la decisione. La Commissione adotta tali decisioni dopo aver sentito l’autorità garante della concorrenza dello Stato membro nel cui territorio devono essere effettuati gli accertamenti.

5.      Gli agenti dell’autorità garante della concorrenza dello Stato membro nel cui territorio devono essere effettuati gli accertamenti o le persone da essa autorizzate o incaricate, su domanda di tale autorità o della Commissione, prestano attivamente assistenza agli agenti e alle altre persone che li accompagnano autorizzati dalla Commissione. Essi dispongono a tal fine dei poteri definiti al paragrafo 2.

6.      Qualora gli agenti e le altre persone che li accompagnano autorizzati dalla Commissione constatino che un’impresa si oppone ad un accertamento ordinato a norma del presente articolo, lo Stato membro interessato presta loro l’assistenza necessaria per l’esecuzione degli accertamenti, ricorrendo se del caso alla forza pubblica o a un’autorità equivalente incaricata dell’applicazione della legge.

7.      Se l’assistenza di cui al paragrafo 6 richiede l’autorizzazione di un’autorità giudiziaria ai sensi della legislazione nazionale, tale autorizzazione viene richiesta. Essa può anche essere richiesta in via preventiva.

8.      Qualora sia richiesta l’autorizzazione di cui al paragrafo 7, l’autorità giudiziaria nazionale controlla l’autenticità della decisione della Commissione e verifica che le misure coercitive previste non siano né arbitrarie né sproporzionate rispetto all’oggetto degli accertamenti. Nel verificare la proporzionalità delle misure coercitive, l’autorità giudiziaria nazionale può chiedere alla Commissione, direttamente o attraverso l’autorità garante della concorrenza dello Stato membro, una spiegazione dettagliata, in particolare, dei motivi per i quali la Commissione sospetta un’infrazione agli articoli [101] e [102 TFUE] nonché della gravità della presunta infrazione e della natura del coinvolgimento dell’impresa interessata. Tuttavia l’autorità giudiziaria nazionale non può né mettere in discussione la necessità degli accertamenti né chiedere che siano fornite informazioni contenute nel fascicolo della Commissione. Il controllo della legittimità della decisione della Commissione è riservato alla Corte di giustizia».

II.    Fatti

2        La Casino, Guichard‑Perrachon, la prima ricorrente (in prosieguo: la «Casino»), è la società controllante del gruppo Casino, che esercita le sue attività in particolare in Francia, principalmente nel settore della distribuzione alimentare e non alimentare. La sua controllata, la Achats Marchandises Casino SAS (AMC), già EMC Distribution, la seconda ricorrente, è un centro acquisti che negozia le condizioni di acquisto presso i fornitori per i marchi del gruppo Casino in Francia.

3        Dopo aver ricevuto informazioni relative a scambi di informazioni tra la prima ricorrente e altre imprese o associazioni di imprese, in particolare la Intermarché, società anch’essa attiva nel settore della distribuzione alimentare e non alimentare, la Commissione europea ha adottato, il 9 febbraio 2017, la decisione C(2017) 1054 final, che ingiunge alla Casino, Guichard‑Perrachon nonché a tutte le società da essa direttamente o indirettamente controllate di sottoporsi a un accertamento ai sensi dell’articolo 20, paragrafi 1 e 4, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio (caso AT.40466 – Tute 1) (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

4        Il dispositivo della decisione impugnata così recita:

«Articolo 1

La Casino (...) nonché tutte le società da essa direttamente o indirettamente controllate sono tenute a sottoporsi a un accertamento riguardante la loro eventuale partecipazione a pratiche concordate contrarie all’articolo 101 [TFUE] nei mercati dell’approvvigionamento di beni di largo consumo, nel mercato delle vendite di servizi ai fabbricanti di prodotti di marca e nei mercati di vendita ai consumatori di beni di largo consumo. Tali pratiche concordate consistono in:

a)      scambi di informazioni, a partire dal 2015, tra imprese e/o associazioni di imprese, in particolare la ICDC (...), e/o i suoi membri, in particolare la Casino e l’AgeCore e/o i suoi membri, in particolare la Intermarché, riguardanti gli sconti ottenuti dai medesimi sui mercati dell’approvvigionamento di beni di largo consumo nei settori dei prodotti alimentari, dei prodotti per l’igiene e dei prodotti per la pulizia e i prezzi sul mercato delle vendite di servizi ai fabbricanti di prodotti di marca nei settori dei prodotti alimentari, dei prodotti per l’igiene e dei prodotti per la pulizia, in vari Stati membri dell’Unione europea, in particolare la Francia, e

b)      scambi di informazioni, almeno a partire dal 2016, tra la Casino e la Intermarché riguardanti le loro future strategie commerciali, in particolare in termini di assortimento, di sviluppo di negozi, di e‑commerce e di politica promozionale sui mercati dell’approvvigionamento di beni di largo consumo e sui mercati di vendita ai consumatori di beni di largo consumo, in Francia.

Tale accertamento può aver luogo in qualsiasi locale dell’impresa (...)

La Casino autorizza i funzionari e le altre persone incaricate dalla Commissione a procedere a un accertamento e i funzionari e le altre persone incaricate dall’autorità garante della concorrenza dello Stato membro interessato a prestare loro assistenza o nominate da quest’ultimo a tal fine, ad accedere a tutti i suoi locali e mezzi di trasporto durante il normale orario d’ufficio. Essa sottopone ad accertamento i libri e qualsiasi altro documento connesso all’azienda, su qualsiasi forma di supporto, se i funzionari e le altre persone incaricate ne fanno richiesta e consente loro di esaminarli in loco e di fare o di ottenere, sotto qualsiasi forma, copie o estratti dei suddetti libri o documenti. Essa autorizza l’apposizione di sigilli a tutti i locali e libri o documenti aziendali per la durata degli accertamenti e nella misura necessaria al loro espletamento. Essa fornisce in loco, senza indugio e oralmente, chiarimenti relativi all’oggetto e allo scopo dell’accertamento se detti funzionari o persone ne fanno richiesta e autorizza qualsiasi rappresentante o membro del personale a fornire tali chiarimenti. Essa autorizza la verbalizzazione di tali chiarimenti in qualsiasi forma.

Articolo 2

L’accertamento può avere inizio il 20 febbraio 2017 o poco tempo dopo.

Articolo 3

La Casino e tutte le società da essa direttamente o indirettamente controllate sono destinatarie della presente decisione.

La presente decisione è notificata, immediatamente prima dell’accertamento, all’impresa che ne è destinataria, ai sensi dell’articolo 297, paragrafo 2, [TFUE]».

5        Dopo essere stata informata di tale accertamento dalla Commissione, l’Autorità francese garante della concorrenza ha adito i juges des libertés et de la détention des tribunaux de grande instance de Créteil et de Paris (giudici competenti per l’adozione di misure restrittive della libertà personale presso i tribunali di primo grado di Créteil e di Parigi, Francia), al fine di chiedere loro l’autorizzazione ad effettuare operazioni di visita e di sequestro nei locali delle ricorrenti. Con ordinanze del 17 febbraio 2017, tali giudici hanno autorizzato le visite e i sequestri richiesti in via preventiva. Poiché nessuna delle misure adottate al momento dell’accertamento ha richiesto l’uso dei «poteri coercitivi» ai sensi dell’articolo 20, paragrafi da 6 a 8, del regolamento n. 1/2003, tali ordinanze non sono state notificate alle ricorrenti.

6        L’accertamento ha avuto inizio il 20 febbraio 2017, data in cui gli ispettori della Commissione, accompagnati da rappresentanti dell’Autorità francese garante della concorrenza, si sono presentati presso la sede parigina del gruppo Casino nonché nei locali della seconda ricorrente e hanno notificato la decisione impugnata alle ricorrenti.

7        Nell’ambito dell’accertamento la Commissione ha effettuato, in particolare, una visita degli uffici, una raccolta di materiale, in particolare informatico (computer portatili, telefoni cellulari, tablet, dispositivi di archiviazione), l’audizione di diverse persone e la copia del contenuto del materiale raccolto.

8        Ciascuna delle ricorrenti ha inviato alla Commissione una lettera datata 24 febbraio 2017, nella quale ha espresso riserve riguardo alla decisione impugnata e allo svolgimento dell’accertamento condotto in base a tale decisione.

III. Procedimento e conclusioni delle parti

9        Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 aprile 2017, le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

10      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 luglio 2017, il Consiglio dell’Unione europea ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con decisione del 22 settembre 2017, il presidente della Nona Sezione del Tribunale ha ammesso tale intervento. Il Consiglio ha depositato la sua memoria e le parti principali hanno depositato le loro osservazioni su quest’ultima entro i termini impartiti.

11      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        adottare una misura di organizzazione del procedimento che ordini alla Commissione di produrre tutti i documenti, gli atti e le altre informazioni in base ai quali essa riteneva di disporre, alla data della decisione impugnata, di indizi sufficientemente gravi da giustificare l’esecuzione di un accertamento nei loro locali;

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione e il Consiglio alle spese.

12      La Commissione, sostenuta dal Consiglio, chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

13      Su proposta della Nona Sezione del Tribunale, quest’ultimo ha deciso, ai sensi dell’articolo 28 del regolamento di procedura del Tribunale, di rimettere la causa alla Nona Sezione ampliata.

14      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Nona Sezione ampliata), nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’articolo 89 del regolamento di procedura, ha invitato la Commissione a produrre una versione non riservata degli indizi di presunte infrazioni di cui disponeva alla data della decisione impugnata e ha chiesto alle ricorrenti di prendere posizione sugli indizi prodotti. Le Commissione e le ricorrenti hanno ottemperato a tali richieste entro i termini impartiti.

15      In risposta alle osservazioni delle ricorrenti, la Commissione ha chiesto al Tribunale di adottare una misura istruttoria, come quella prevista all’articolo 91 del regolamento di procedura, con la quale le sarebbe stato ordinato di produrre la versione riservata degli indizi summenzionati, a condizione che solo i rappresentanti delle ricorrenti vi avessero accesso, a determinate condizioni e mediante la conclusione di un impegno di riservatezza in cui si prevedeva che essi non avrebbero potuto rivelare il contenuto della versione riservata degli indizi ai loro clienti.

16      I rappresentanti delle ricorrenti si sono opposti alle condizioni di accesso agli indizi proposte dalla Commissione, ritenendo che siffatti impegni di riservatezza non consentissero loro di assicurare pienamente la difesa dei loro clienti. Essi hanno chiesto al Tribunale di ordinare, nell’ambito della misura istruttoria in questione, l’accesso di almeno un dipendente di ciascuna ricorrente ai documenti considerati o la produzione di una versione non riservata i cui dati occultati sarebbero stati limitati a quelli la cui rivelazione avrebbe consentito di identificare le imprese con le quali la Commissione si era intrattenuta e a quelli per i quali la Commissione avrebbe giustificato in modo specifico la riservatezza e avrebbe fornito un riassunto sufficientemente preciso. Essi hanno inoltre richiesto l’adozione di una misura di organizzazione del procedimento, invitando la Commissione a produrre gli elementi che consentivano di verificare la data della creazione e dell’eventuale modifica di taluni degli indizi comunicati. Essi hanno infine chiesto al Tribunale di organizzare una riunione informale preliminare all’adozione della misura istruttoria richiesta, al fine di determinarne l’ampiezza e il contenuto.

17      Con nuove misure di organizzazione del procedimento, il Tribunale, sulla scia delle critiche formulate dalle ricorrenti riguardo agli indizi prodotti, ha posto vari quesiti alla Commissione e ha chiesto alle ricorrenti di prendere posizione su talune risposte della Commissione. Le Commissione e le ricorrenti hanno ottemperato a tali richieste entro i termini stabiliti.

18      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Nona Sezione ampliata) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento.

19      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 19 dicembre 2019, la Commissione ha presentato una «risposta complementare» ad una delle sue precedenti risposte ai quesiti del Tribunale. Il Tribunale ha inserito tale atto nel fascicolo, formulando riserva in merito alla sua ricevibilità, e ha chiesto alle ricorrenti di presentare le loro osservazioni su detto atto, cosa che esse hanno fatto entro il termine impartito, contestando in particolare la ricevibilità della risposta complementare della Commissione.

20      Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza del 29 gennaio 2020.

IV.    In diritto

21      Le ricorrenti deducono, in sostanza, tre motivi a sostegno dei loro ricorsi. Il primo è fondato su un’eccezione di illegittimità dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, il secondo verte sulla violazione dell’obbligo di motivazione e il terzo sulla violazione del diritto all’inviolabilità del domicilio.

A.      Sul primo motivo, vertente su un’eccezione di illegittimità dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003

22      Le ricorrenti eccepiscono l’illegittimità dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, con la motivazione che tale disposizione violerebbe gli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), nonché l’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). Esse deducono, a sostegno di tale eccezione, una prima censura, vertente sulla violazione del diritto a un ricorso effettivo, e una seconda, vertente sulla violazione del principio della parità delle armi e dei diritti della difesa.

1.      Sulla ricevibilità delleccezione di illegittimità

23      La Commissione sostiene che l’eccezione di illegittimità sollevata dalle ricorrenti è irricevibile sotto tre profili.

24      In primo luogo, la Commissione, sostenuta dal Consiglio, afferma che il motivo dedotto è insufficientemente preciso, in quanto, da un lato, le ricorrenti non avrebbero chiaramente individuato quale disposizione dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 sarebbe illegittima e, dall’altro, esse non avrebbero indicato con precisione quali fossero le censure dirette contro tale articolo, che fisserebbe il regime giuridico applicabile alle decisioni di accertamento, e non quello applicabile allo svolgimento degli accertamenti.

25      In secondo luogo, secondo la Commissione, sempre sostenuta dal Consiglio, mancherebbe l’elemento di connessione tra la decisione impugnata e l’atto di portata generale in questione. Infatti, le ricorrenti non avrebbero dimostrato in che modo il fatto che l’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 non preveda, in tutto o in parte, l’esistenza di un ricorso contro lo svolgimento di un accertamento comporterebbe l’illegittimità di una decisione di accertamento, la quale costituirebbe un atto distinto dagli atti adottati durante lo svolgimento dell’accertamento. La Commissione aggiunge, nella controreplica e al pari del Consiglio, che l’affermazione delle ricorrenti nella replica secondo cui l’eccezione di illegittimità riguarda l’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 nel suo complesso non fa che confermare l’irricevibilità di tale eccezione, dal momento che la decisione impugnata sarebbe fondata unicamente sui paragrafi 1 e 4 dell’articolo 20. Essa sottolinea altresì che nessun atto di diritto derivato prevede mezzi di ricorso giurisdizionale specifici, in quanto i mezzi di ricorso sono previsti unicamente dal Trattato.

26      In terzo luogo, con il pretesto di contestare l’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, in tutto o in parte, le ricorrenti censurerebbero in realtà la giurisprudenza consolidata del Tribunale e della Corte relativa ai mezzi di ricorso previsti dal Trattato, la quale non consentirebbe di contestare lo svolgimento di un accertamento al di fuori di talune ipotesi limitate.

27      Quanto alla prima eccezione di irricevibilità sollevata, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 21, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, applicabile alla procedura dinanzi al Tribunale in forza dell’articolo 53, primo comma, del medesimo Statuto e dell’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, l’atto introduttivo del ricorso deve indicare l’oggetto della controversia, i motivi e gli argomenti dedotti, nonché l’esposizione sommaria di detti motivi. Secondo una costante giurisprudenza, che si applica altresì ai motivi basati su un’eccezione di illegittimità (v., in tal senso, sentenza del 14 luglio 2016, Alesa/Commissione, T‑99/14, non pubblicata, EU:T:2016:413, punti da 87 a 91 e giurisprudenza ivi citata), tale indicazione deve essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza altre informazioni a sostegno. Al fine di garantire la certezza del diritto e una corretta amministrazione della giustizia, è necessario, affinché un ricorso sia ricevibile, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso è fondato emergano, quanto meno sommariamente, ma in modo coerente e comprensibile, dal testo dell’atto introduttivo stesso (v. sentenza del 25 gennaio 2018, BSCA/Commissione, T‑818/14, EU:T:2018:33, punti 94 e 95 e giurisprudenza ivi citata).

28      Nel caso di specie, le ricorrenti hanno chiaramente e precisamente spiegato in cosa consistessero le due censure da esse fatte valere contro la disposizione contestata del regolamento n. 1/2003, indicando il loro fondamento giuridico, testuale e giurisprudenziale, nonché gli argomenti circostanziati a loro sostegno, senza che occorresse richiedere altre informazioni. Si può del resto rilevare che, alla luce degli argomenti presentati dalla Commissione nel controricorso e nella controreplica, quest’ultima è stata manifestamente in grado di comprendere le contestazioni formulate dalle ricorrenti.

29      Occorre aggiungere che, nel caso di specie, il rispetto dei requisiti di precisione e di chiarezza dell’eccezione di illegittimità non è rimesso in discussione dalla circostanza, asserita dalla Commissione, secondo cui la disposizione di cui viene eccepita l’illegittimità (che fissa il regime giuridico delle decisioni di accertamento) non fisserebbe le norme censurate dall’eccezione (relative allo svolgimento degli accertamenti) (a tal riguardo, v., infra, punti da 35 a 43).

30      Si deve peraltro rilevare che le ricorrenti hanno chiaramente affermato, nelle loro memorie, di eccepire in via principale l’illegittimità dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 nel suo complesso e non può essere loro contestato di non aver precisato il paragrafo o i paragrafi interessati di tale articolo. Infatti, poiché dal dettato stesso dell’articolo 277 TFUE risulta che la legittimità di qualsiasi «atto di portata generale» può essere contestata attraverso un’eccezione di illegittimità (v., per un’eccezione sollevata contro due regolamenti, sentenza del 13 luglio 1966, Italia/Consiglio e Commissione, 32/65, EU:C:1966:42, e, per un’eccezione sollevata contro un articolo del regime applicabile agli altri agenti delle Comunità europee, sentenza del 30 aprile 2009, Aayhan e a./Parlamento, F‑65/07, EU:F:2009:43), non si può imporre agli autori di una tale eccezione che essi precisino il paragrafo dell’articolo dell’atto generale di cui eccepiscono l’illegittimità in base ai requisiti formali di presentazione della loro eccezione, dato che tale precisazione può essere comunque richiesta in base ad altre condizioni di ricevibilità di un’eccezione di illegittimità (v. infra, punti 33 e 34).

31      La prima eccezione di irricevibilità opposta all’eccezione di illegittimità (v. supra, punto 24) deve essere quindi respinta.

32      Quanto alle due ulteriori eccezioni di irricevibilità opposte all’eccezione di illegittimità (v. supra, punti 25 e 26), si deve rilevare, in via preliminare, che esse sono dirette unicamente contro la prima censura dedotta a sostegno dell’eccezione di illegittimità, vertente sul mancato rispetto del diritto a un ricorso effettivo.

33      Quanto alla prima censura dedotta a sostegno dell’eccezione di illegittimità, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, un’eccezione di illegittimità sollevata in via incidentale in forza dell’articolo 277 TFUE, al momento della contestazione in via principale della legittimità di un terzo atto, è ricevibile solo se esiste un elemento di connessione tra tale atto e la norma di cui viene eccepita la presunta illegittimità. Poiché l’articolo 277 TFUE non è diretto a consentire ad una parte di contestare l’applicabilità di qualsiasi atto di carattere generale a sostegno di qualsivoglia ricorso, la portata di un’eccezione di illegittimità deve essere limitata a quanto è indispensabile per la definizione della lite. Di conseguenza, l’atto generale di cui venga eccepita l’illegittimità deve essere applicabile, direttamente o indirettamente, alla fattispecie che costituisce oggetto del ricorso (v. sentenza del 12 giugno 2015, Health Food Manufacturers’ Association e a./Commissione, T‑296/12, EU:T:2015:375, punto 170 e giurisprudenza ivi citata). Ne consegue altresì che deve esistere un nesso giuridico diretto tra la decisione individuale impugnata e l’atto generale in questione. L’esistenza di tale nesso può tuttavia dedursi dalla constatazione che la decisione impugnata si basa essenzialmente su una disposizione dell’atto la cui legittimità è contestata, anche se tale disposizione non ne costituiva formalmente il fondamento giuridico (v. sentenza del 20 novembre 2007, Ianniello/Commissione, T‑308/04, EU:T:2007:347, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

34      Ne deriva che l’eccezione di illegittimità sollevata nel caso di specie è ricevibile solo nei limiti in cui è diretta contro le disposizioni dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, che fungono espressamente da base alla decisione impugnata, ossia il paragrafo 4 di tale articolo (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punti 57 e 58), ma anche il paragrafo 1, che stabilisce il potere generale della Commissione di procedere ad accertamenti (in prosieguo: le «disposizioni pertinenti dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003»). Infatti, il presente accertamento è stato ordinato mediante una decisione adottata sulla base di tali disposizioni e non è quindi un accertamento effettuato con un semplice mandato senza previa decisione (disciplinato dal paragrafo 3 dell’articolo 20), né un accertamento condotto mentre l’impresa interessata vi si oppone (disciplinato dai paragrafi da 6 a 8 dell’articolo 20).

35      Pertanto, nel caso di specie, se le disposizioni pertinenti dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 dovessero essere dichiarate illegittime, la decisione impugnata, adottata sulla base di tali disposizioni, perderebbe qualsiasi base giuridica e dovrebbe essere annullata, indipendentemente dal motivo di illegittimità previsto da dette disposizioni.

36      Ne consegue che non si può evincere dall’argomento dedotto a sostegno sia della seconda sia della terza eccezione di irricevibilità che la prima censura dedotta a sostegno dell’eccezione di illegittimità sia irricevibile.

37      Infatti, con tale argomento, la Commissione, sostenuta dal Consiglio, critica in sostanza l’assenza di un nesso tra il motivo di illegittimità invocato, vale a dire la mancanza di un controllo giurisdizionale effettivo dello svolgimento degli accertamenti, e la decisione impugnata, che ordina un accertamento, facendo valere, da un lato, che le norme che disciplinano il controllo giurisdizionale dello svolgimento degli accertamenti non costituiscono il fondamento della decisione impugnata (seconda eccezione di irricevibilità) e, dall’altro, che siffatte norme risulterebbero dall’interpretazione giurisprudenziale dell’articolo 263 TFUE e non dovrebbero figurare nell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 su cui si fonda la decisione impugnata (terza eccezione di irricevibilità).

38      In ogni caso, anche supponendo che la ricevibilità di un’eccezione di illegittimità sia subordinata alla dimostrazione di un nesso tra il motivo di illegittimità asserito e la decisione impugnata, non si può ritenere che tale nesso manchi nel caso di specie.

39      Come sottolineano in modo pertinente le ricorrenti, l’illegittimità eccepita non riguarda in quanto tali gli atti successivi alla decisione di accertamento disciplinata dall’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, relativi all’esecuzione di tale decisione e allo svolgimento dell’accertamento. Vengono criticate le lacune nei mezzi di ricorso che consentono il controllo di tali atti e che esistono sin dall’adozione della decisione di accertamento, le quali, secondo le ricorrenti, sono imputabili alle disposizioni pertinenti dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003.

40      Al pari di quanto dichiarato dal Tribunale nella sentenza del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione (T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punti 50 e 108), a proposito dell’asserita necessità di ottenere un mandato giudiziario preventivo rispetto all’adozione di una decisione di accertamento, le ricorrenti chiedono, nel caso di specie, l’individuazione, da parte del Tribunale, di un nuovo requisito formale cui sarebbe subordinata la legittimità di tale decisione, consistente nella garanzia di mezzi di ricorso specifici sin dalla sua adozione atti a consentire il controllo giurisdizionale delle misure adottate in applicazione di detta decisione, e che dovrebbe figurare, in tal modo, nelle disposizioni pertinenti dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003.

41      Non è in discussione, in questa fase, la diversa questione della determinazione dei mezzi di ricorso che consentono di assicurare il controllo giurisdizionale effettivo dello svolgimento degli accertamenti e della loro formalizzazione all’interno dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, che rientra nell’esame della fondatezza dell’eccezione di illegittimità. Infatti, l’esame della ricevibilità dell’eccezione di illegittimità non implica la determinazione delle modalità e del tipo di disposizioni con cui si dovrebbe stabilire il controllo giurisdizionale dello svolgimento degli accertamenti. Tale questione dovrà essere definita nell’ambito della verifica della conformità dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 con il diritto a un ricorso effettivo e, quindi, nell’ambito dell’esame della fondatezza dell’eccezione di illegittimità. È significativo, a tal riguardo, che la Commissione si riferisca, a sostegno della sua terza eccezione di irricevibilità, al suo argomento relativo alla fondatezza dell’eccezione di illegittimità nonché alla sentenza del 28 aprile 2010, Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione (T‑446/05, EU:T:2010:165, punti da 123 a 152), che ha respinto l’eccezione di illegittimità sollevata in tale causa in quanto infondata.

42      Ne consegue peraltro che è altresì irrilevante la circostanza asserita dalla Commissione, del resto parzialmente inesatta, secondo la quale nessun atto di diritto derivato prevede mezzi di ricorso specifici. Infatti, a titolo illustrativo, lo stesso regolamento n. 1/2003 prevede, all’articolo 31, la competenza estesa al merito del giudice dell’Unione europea sui ricorsi proposti avverso le decisioni con le quali la Commissione abbia irrogato un’ammenda o una penalità di mora per estinguere, ridurre o aumentare detta ammenda o penalità di mora. Analogamente, il regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1), al pari di altri atti che hanno creato organi o organismi dell’Unione, prevede i ricorsi che possono essere proposti dinanzi al giudice dell’Unione avverso le decisioni delle commissioni di ricorso istituite in seno all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO). È vero che tali mezzi di ricorso si collocano nel solco di quelli stabiliti nel Trattato e non costituiscono, in tal senso, mezzi di ricorso autonomi non previsti dal Trattato, cosa che, del resto, non potrebbero essere. Tuttavia, nel caso di specie, le ricorrenti non reclamano la creazione di siffatti mezzi di ricorso autonomi. Si deve considerare, infatti, che esse contestano la mancanza, nell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, di disposizioni che conferiscano alle misure rientranti nello svolgimento di un accertamento la natura di atti impugnabili ai sensi del Trattato, come prevede l’articolo 90 bis dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea per gli atti di indagine dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), e che impongano la menzione di tale possibile via di ricorso nella decisione di accertamento, come deve essere menzionato, in forza dell’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento n. 1/2003, il ricorso dinanzi al giudice dell’Unione avverso la stessa decisione di accertamento.

43      Ne consegue che l’eccezione di illegittimità è ricevibile per quanto riguarda la prima censura dedotta a suo sostegno. Lo stesso vale per la seconda censura dedotta a sostegno dell’eccezione di illegittimità, relativa alla violazione del principio della parità delle armi e dei diritti della difesa, la cui ricevibilità non è del resto contestata (v. supra, punto 32). Infatti, al pari delle lacune contestate alle disposizioni pertinenti dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 in termini di tutela giurisdizionale effettiva nell’ambito della prima censura, le ricorrenti criticano, con la loro seconda censura, la mancata previsione, da parte di tali disposizioni, della comunicazione degli indizi che hanno giustificato l’accertamento all’impresa sottoposta ad accertamento, che sarebbe l’unica, a loro avviso, in grado di garantire il rispetto del principio della parità delle armi e dei diritti della difesa di detta impresa.

44      Da tutto quanto precede risulta che l’eccezione di illegittimità opposta dalle ricorrenti deve essere dichiarata ricevibile per quanto riguarda le due censure invocate a suo sostegno, ma solo nella parte in cui verte sulle disposizioni pertinenti dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003.

2.      Sulla fondatezza delleccezione di illegittimità

a)      Sulla prima censura, relativa alla violazione del diritto a un ricorso effettivo

45      Le ricorrenti fanno valere che l’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 viola il diritto a un ricorso effettivo. Basandosi sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU») e su quella dei giudici dell’Unione, esse rilevano che, poiché il controllo giurisdizionale dello svolgimento degli accertamenti potrebbe essere effettuato solo nell’ambito del ricorso di annullamento diretto contro la decisione finale sanzionatoria adottata dalla Commissione in applicazione dell’articolo 101 TFUE, la possibilità di contestare tale svolgimento non sarebbe certa e non sarebbe consentita entro un termine ragionevole. Le ricorrenti ne deducono che il regime dei ricorsi esperibili contro le condizioni di svolgimento degli accertamenti disposte sulla base dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 non offre un «rimedio adeguato» alle imprese che ne sono oggetto. Esse non avrebbero avuto, infatti, la possibilità di porsi in tempo utile sotto la tutela di un giudice imparziale e indipendente e sarebbero state quindi costrette a rispondere in senso positivo a tutte le domande degli ispettori.

46      Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 47 della Carta, intitolato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale»:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge (…)».

47      Dalle spiegazioni relative alla Carta (GU 2007, C 303, pag. 17) che, secondo l’articolo 52, paragrafo 7, della Carta, devono essere tenute nel debito conto dai giudici dell’Unione (v. sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 20 e giurisprudenza ivi citata), risulta peraltro che l’articolo 47 della Carta corrisponde all’articolo 6, paragrafo 1, e all’articolo 13 della CEDU.

48      Come sottolinea correttamente il Consiglio, tale corrispondenza tra le disposizioni della Carta e quelle della CEDU non implica che il controllo di legittimità da effettuare nel caso di specie debba essere effettuato alla luce delle disposizioni della CEDU. Risulta effettivamente dalla giurisprudenza, in particolare dalla sentenza del 14 settembre 2017, K. (C‑18/16, EU:C:2017:680, punto 32 e giurisprudenza ivi citata), citata dal Consiglio, che, anche se, come conferma l’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali e anche se l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta impone di attribuire ai diritti in essa contemplati corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU lo stesso significato e la stessa portata di quelli loro conferiti dalla suddetta CEDU, quest’ultima non costituisce, fintantoché l’Unione non vi abbia aderito, un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione, cosicché il controllo di legittimità deve essere svolto alla luce unicamente dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta.

49      Tuttavia, sia dall’articolo 52 della Carta sia dalle spiegazioni relative a tale articolo risulta che le disposizioni della CEDU e la giurisprudenza della Corte EDU relativa a tali disposizioni devono essere prese in considerazione in sede di interpretazione e di applicazione delle disposizioni della Carta in una determinata fattispecie (v., in tal senso, sentenze del 22 dicembre 2010, DEB, C‑279/09, EU:C:2010:811, punti 35 e 37 e giurisprudenza ivi citata, e del 26 febbraio 2013, Melloni, C‑399/11, EU:C:2013:107, punto 50). Infatti, l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta stabilisce che, laddove la Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla CEDU e le spiegazioni relative a tale articolo precisano che il significato e la portata dei diritti garantiti dalla CEDU sono determinati non solo dal testo della CEDU e dei suoi protocolli, ma anche dalla giurisprudenza della Corte EDU.

50      Orbene, dalla giurisprudenza della Corte EDU che si è pronunciata sul rispetto della CEDU, in particolare dei suoi articoli 6 e 13, a proposito di visite domiciliari e, in particolare, dalle sentenze della Corte EDU del 21 febbraio 2008, Ravon e a. c. Francia (CE:ECHR:2008:0221JUD001849703; in prosieguo: la «sentenza Ravon»), del 21 dicembre 2010, Société Canal Plus e a. c. Francia (CE:ECHR:2010:1221JUD002940808; in prosieguo: la «sentenza Canal Plus»), del 21 dicembre 2010, Compagnie des gaz de pétrole Primagaz c. Francia (CE:ECHR:2010:1221JUD002961308; in prosieguo: la «sentenza Primagaz»), e del 2 ottobre 2014, Delta Pekárny a.s. c. Repubblica ceca (CE:ECHR:2014:1002JUD000009711; in prosieguo: la «sentenza Delta Pekárny»), invocate e analizzate dalle parti, risultano i seguenti principi:

–        deve esistere un controllo giurisdizionale effettivo, in fatto e in diritto, della regolarità della decisione o delle misure di cui trattasi (sentenze Ravon, punto 28, e Delta Pekárny, punto 87; in prosieguo: la «condizione di effettività»);

–        il ricorso o i ricorsi disponibili devono consentire, in caso di constatazione di irregolarità, o di prevenire il verificarsi dell’operazione o, nell’ipotesi in cui un’operazione irregolare abbia già avuto luogo, di fornire all’interessato un rimedio adeguato (sentenze Ravon, punto 28, e Delta Pekárny, punto 87; in prosieguo: la «condizione di efficacia»);

–        l’accessibilità del ricorso di cui trattasi deve essere certa (sentenze Canal Plus, punto 40, e Primagaz, punto 28; in prosieguo: la «condizione di certezza»);

–        il controllo giurisdizionale deve avvenire entro un termine ragionevole (sentenze Canal Plus, punto 40, e Primagaz, punto 28; in prosieguo: la «condizione del termine ragionevole»).

51      Ne risulta altresì che lo svolgimento di un’operazione di accertamento deve poter essere oggetto di tale controllo giurisdizionale effettivo e che il controllo deve essere effettivo nelle particolari circostanze del caso di specie (sentenza Delta Pekárny, punto 87), il che implica la presa in considerazione di tutti i mezzi di ricorso disponibili e quindi un’analisi globale di tali mezzi di ricorso (v., in tal senso, sentenze Ravon, punti da 29 a 34; Canal Plus, punti da 40 a 44, e Delta Pekárny, punti da 89 a 93). L’esame della fondatezza dell’eccezione di illegittimità non può quindi essere limitato all’analisi delle carenze, denunciate dalle ricorrenti, dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, ma deve basarsi sulla presa in considerazione di tutti i mezzi di ricorso a disposizione di un’impresa sottoposta ad accertamento.

52      Occorre rilevare, in via preliminare, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione e dal Consiglio, la giurisprudenza della Corte EDU richiamata ai punti 50 e 51 supra non può essere considerata irrilevante nel caso di specie.

53      È vero che la Commissione non ha fatto ricorso, nel caso di specie, alla «forza pubblica» o ai «poteri coercitivi» delle autorità nazionali in base all’articolo 20, paragrafi da 6 a 8, del regolamento n. 1/2003. Ciò è dimostrato in particolare dal fatto che le ordinanze dei giudici francesi che hanno autorizzato tali visite e sequestri, richiesti in via preventiva dalla Commissione, non sono state notificate alle ricorrenti (v. supra, punti 5 e 34). Tuttavia, come sostengono correttamente le ricorrenti, esse sono state costrette a sottoporsi alla decisione di accertamento, che è obbligatoria per i suoi destinatari, che può dar luogo all’irrogazione di un’ammenda in caso di inosservanza [articolo 23, paragrafo 1, lettere da c) a e), del regolamento n. 1/2003] e che implica in particolare l’accesso a tutti i loro locali nonché il controllo e la copia dei documenti connessi all’azienda [articolo 20, paragrafo 2, lettere da a) a d), del regolamento n. 1/2003], il che è sufficiente a configurare un’intrusione nel domicilio delle imprese sottoposte ad accertamento che giustifica il fatto che siano garantiti i diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte EDU, di cui ai punti 50 e 51 supra, alle imprese oggetto di visite domiciliari (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punto 65; Corte EDU, 14 marzo 2013, Bernh Larsen Holding AS e a. c. Norvegia, CE:ECHR:2013:0314JUD002411708, punto 106). Pertanto, non è decisivo il fatto che l’accertamento sia stato effettuato nel caso di specie senza il preventivo intervento di un giudice che autorizza il ricorso alla forza pubblica e si può anche ritenere che tale mancanza di intervento giurisdizionale preventivo giustifichi, a fortiori, il necessario rispetto delle garanzie stabilite dalla giurisprudenza della Corte EDU nella fase del controllo giurisdizionale a posteriori della decisione che dispone l’accertamento (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punto 66 e giurisprudenza della Corte EDU citata). Occorre sottolineare, inoltre, che quando il giudice dell’Unione è stato chiamato a pronunciarsi sul rispetto dei diritti fondamentali di imprese sottoposte ad accertamento, si è sempre basato sulla giurisprudenza della Corte EDU (sentenze del 18 giugno 2015, Deutsche Bahn e a./Commissione, C‑583/13 P, EU:C:2015:404, punti da 41 a 48; del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punti da 109 a 114, e del 10 aprile 2018, Alcogroup e Alcodis/Commissione, T‑274/15, non pubblicata, EU:T:2018:179, punto 91).

54      Occorre, pertanto, verificare il rispetto del diritto a un ricorso effettivo mediante il sistema dei mezzi di ricorso che consentono la contestazione dello svolgimento di un accertamento in materia di diritto della concorrenza alla luce della citata giurisprudenza della Corte EDU.

55      Come risulta dalla giurisprudenza della Corte EDU e come affermato al precedente punto 51, tale verifica deve basarsi su un’analisi globale dei mezzi di ricorso che possono dar luogo al controllo delle misure adottate nell’ambito di un accertamento. È quindi irrilevante il fatto che, considerato singolarmente, ciascuno di tali mezzi di ricorso non soddisfi le quattro condizioni richieste perché sia ammessa l’esistenza di un diritto a un ricorso effettivo.

56      Le parti hanno menzionato sei mezzi di ricorso. Si tratta:

–        del ricorso avverso la decisione di accertamento;

–        del ricorso avverso qualsiasi atto che soddisfi le condizioni giurisprudenziali dell’atto impugnabile che la Commissione adotterebbe a seguito della decisione di accertamento e nell’ambito dello svolgimento delle operazioni di accertamento, come una decisione di rigetto di una domanda di tutela di documenti a titolo di riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti (v. sentenza del 17 settembre 2007, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione T‑125/03 e T‑253/03, EU:T:2007:287, punti 46, 48 e 49 e giurisprudenza ivi citata);

–        del ricorso avverso la decisione finale che conclude il procedimento avviato ai sensi dell’articolo 101 TFUE;

–        della domanda di provvedimenti provvisori;

–        del ricorso per responsabilità extracontrattuale;

–        delle richieste che possono essere rivolte al consigliere‑auditore.

57      Si deve rilevare che, fatta eccezione per le richieste rivolte al consigliere‑auditore, che non può essere qualificato come «tribunale» ai sensi della CEDU, in particolare per il motivo che esso possiede solo un potere di raccomandazione [articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della decisione 2011/695/UE del presidente della Commissione, del 13 ottobre 2011, relativa alla funzione e al mandato del consigliere‑auditore per taluni procedimenti in materia di concorrenza (GU 2011, L 275, pag. 29)], come sottolineato dalle ricorrenti, ciascuno di tali mezzi di ricorso consente di sottoporre a un giudice contestazioni relative a un’operazione di accertamento.

58      Infatti, in primo luogo, dalla giurisprudenza risulta, senza che ciò sia del resto contestato dalle ricorrenti, che le condizioni in cui si è svolto un accertamento possono essere censurate nell’ambito di un ricorso di annullamento proposto avverso la decisione finale che conclude il procedimento avviato ai sensi dell’articolo 101 TFUE (sentenza del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione, T‑135/09, EU:T:2012:596, punto 132; v., altresì, sentenza del 10 aprile 2018, Alcogroup e Alcodis/Commissione, T‑274/15, non pubblicata, EU:T:2018:179, punto 91 e giurisprudenza ivi citata). Tale controllo di legittimità delle decisioni finali non subisce, fatta eccezione per l’irricevibilità dei motivi che avrebbero dovuto essere dedotti contro la decisione di accertamento (v., in tal senso, sentenza del 20 aprile 1999, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, EU:T:1999:80, punti da 408 a 415), alcuna restrizione in termini di motivi invocabili e quindi di oggetto del controllo. Esso consente in particolare la verifica del rispetto, da parte della Commissione, di tutti i limiti ad essa imposti durante lo svolgimento di un accertamento (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punti da 79 a 82) ed è stato considerato tale da garantire l’esistenza di un controllo giurisdizionale effettivo sulle misure di accertamento, come richiesto dalla Corte EDU (sentenza del 10 aprile 2018, Alcogroup e Alcodis/Commissione, T‑274/15, non pubblicata, EU:T:2018:179, punto 91).

59      In secondo luogo, dalla giurisprudenza risulta altresì, e il presente ricorso dimostra, che una decisione di accertamento può essere oggetto di un ricorso di annullamento (sentenza del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punti 97 e 111). Tale controllo è del resto previsto dallo stesso articolo 20 del regolamento n. 1/2003 (paragrafi 4 e 8), che ne impone la menzione nella decisione di accertamento. Orbene, da un lato, il controllo di legittimità della decisione di accertamento, vertente in particolare sul possesso, da parte della Commissione, di indizi sufficientemente gravi da legittimare il sospetto di una violazione delle norme sulla concorrenza, può condurre, in caso di constatazione dell’illegittimità, a che tutte le misure adottate in applicazione della decisione siano considerate esse stesse viziate da illegittimità, in particolare come non necessarie (v., in tal senso, sentenza del 20 giugno 2018, České dráhy/Commissione, T‑621/16, non pubblicata, EU:T:2018:367, punto 40 e giurisprudenza ivi citata). D’altro lato, nel caso in cui una decisione di accertamento sia adottata in seguito ad altri accertamenti e in cui le informazioni ottenute nell’ambito degli accertamenti precedenti abbiano costituito il fondamento di tale decisione di accertamento, il controllo di legittimità di detta decisione può riguardare in particolare la conformità delle misure adottate in applicazione delle decisioni di accertamento precedenti con l’ambito dell’accertamento definito in tali decisioni (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punti da 138 a 160) e condurre al suo annullamento in caso di mancata conformità accertata (sentenza del 18 giugno 2015, Deutsche Bahn e a./Commissione, C‑583/13 P, EU:C:2015:404, punti da 56 a 67 e 71; v. anche, in tal senso, sentenza del 10 aprile 2018, Alcogroup e Alcodis/Commissione, T‑274/15, non pubblicata, EU:T:2018:179, punto 63).

60      In terzo luogo, anche se le parti non ne hanno fatto menzione, occorre altresì rilevare che, al pari di qualsiasi decisione sanzionatoria inflitta in forza del regolamento n. 1/2003, una decisione della Commissione che sanziona un ostruzionismo all’accertamento in base all’articolo 23, paragrafo 1, lettere da c) a e), del regolamento n. 1/2003 può essere oggetto di un ricorso di annullamento. Può essere quindi invocata, in particolare, a sostegno di tale ricorso, l’illegittimità della sanzione per il motivo che il provvedimento adottato nel corso dell’accertamento al quale l’impresa sanzionata non si sarebbe sottoposta, come una richiesta di produzione di un documento riservato o una richiesta di chiarimenti rivolta a un suo dipendente, sarebbe a sua volta illegittimo (v., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione, T‑135/09, EU:T:2012:596, punto 126).

61      In quarto luogo, dalla sentenza del 17 settembre 2007, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione (T‑125/03 e T‑253/03, EU:T:2007:287, punti 46, 48 e 49 e giurisprudenza ivi citata) risulta chiaramente che una decisione che respinge esplicitamente o implicitamente una richiesta di tutela di documenti a titolo di riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti presentata nel corso di un accertamento costituisce un atto impugnabile. Tale mezzo di ricorso è stato reso esperibile proprio perché il giudice dell’Unione ha considerato che la possibilità di cui l’impresa disponeva di promuovere un ricorso avverso un’eventuale decisione che accerta un’infrazione alle regole di concorrenza non era sufficiente a tutelare adeguatamente i suoi diritti, dal momento che, da un lato, il procedimento amministrativo poteva non approdare a una decisione di accertamento di infrazione e, dall’altro, il ricorso consentito avverso siffatta decisione non forniva comunque all’impresa lo strumento per prevenire gli effetti irreversibili che avrebbe prodotto la presa visione irregolare di documenti tutelati dalla riservatezza (v. sentenza del 17 settembre 2007, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione, T‑125/03 e T‑253/03, EU:T:2007:287, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

62      Analogamente, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, e sebbene il giudice dell’Unione non abbia, ad oggi, dichiarato siffatto ricorso ricevibile, si può ritenere che il Tribunale abbia ammesso la possibilità che un ricorso sia proposto alle stesse condizioni, dall’impresa sottoposta ad accertamento, avverso una decisione di rigetto della domanda di protezione dei membri del suo personale relativamente alla loro vita privata. Infatti, dopo aver ricordato la sentenza del 17 settembre 2007, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione (T‑125/03 e T‑253/03, EU:T:2007:287), e la giurisprudenza ivi citata, il Tribunale, pur menzionando la possibilità di una «decisione che nega (...) il beneficio [della] tutela [relativamente alla vita privata]», ha constatato che siffatta decisione non era stata adottata nel caso di specie. Esso si è basato a tal fine sulla circostanza che le ricorrenti non avevano né fatto valere, al momento dell’adozione della decisione di copia dei dati, che documenti loro appartenenti beneficiavano di una tutela analoga a quella conferita alla riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti, né avevano identificato i documenti precisi o le parti di documenti in questione (sentenza del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione, T‑135/09, EU:T:2012:596, punti 129 e 130). Si può del resto rilevare che le ricorrenti non rimettono in discussione, in quanto tale, l’esistenza del mezzo di ricorso in questione, ma piuttosto il suo carattere restrittivo e vincolante per le imprese interessate, in quanto queste ultime devono reagire immediatamente mentre l’accertamento è in corso e prima di qualsiasi copia effettuata dalla Commissione (v. infra, punto 72).

63      Si deve considerare, infatti, che né le disposizioni dei Trattati né la formulazione dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 escludono la possibilità per un’impresa di proporre un ricorso di annullamento avverso tali atti compiuti durante lo svolgimento di un accertamento, a condizione di soddisfare i requisiti derivanti dall’articolo 263, quarto comma, TFUE.

64      In quinto luogo, sebbene, conformemente all’articolo 278 TFUE, tutti i ricorsi summenzionati non siano, in linea di principio, sospensivi, è possibile ottenere, in forza della medesima disposizione, la sospensione dell’esecuzione degli atti contestati nell’ambito di tali ricorsi. In particolare, siffatta domanda di sospensione può comportare la sospensione delle operazioni di accertamento, fermo restando tuttavia che, nei limiti in cui la decisione di accertamento è in linea di principio notificata e portata a conoscenza dell’impresa sottoposta ad accertamento il giorno in cui ha inizio l’accertamento, solo il ricorso al procedimento previsto dall’articolo 157, paragrafo 2, del regolamento di procedura consente, se sussistono le condizioni per la concessione di una sospensione provvisoria, di ottenere siffatto risultato (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punto 98). Infatti, il presidente del Tribunale può, in base a tale disposizione, accogliere la domanda di sospensione prima di sentire la Commissione e quindi ordinare la sospensione solo qualche giorno dopo la presentazione della domanda e prima della fine dell’accertamento.

65      Occorre aggiungere che una domanda di provvedimenti provvisori può anche essere presentata contemporaneamente al ricorso diretto contro una decisione di rigetto di una domanda di tutela della riservatezza delle comunicazioni tra gli avvocati e i loro clienti. Lo dimostrano le ordinanze del 27 settembre 2004, Commissione/Akzo e Akcros [C‑7/04 P(R), EU:C:2004:566], e del 30 ottobre 2003, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione (T‑125/03 R e T‑253/03 R, EU:T:2003:287). Si può infatti ritenere che, in detta ordinanza del presidente della Corte, quest’ultimo, pur annullando l’ordinanza del presidente del Tribunale che aveva disposto la sospensione richiesta, non ha escluso che, in mancanza di un impegno assunto dalla Commissione di non consentire a terzi di avere accesso ai documenti in questione, possano essere ordinate la sospensione dell’esecuzione della decisione che respinge la domanda di tutela della riservatezza delle comunicazioni tra le società interessate e i loro avvocati, nonché la conservazione dei dati riservati in questione presso la cancelleria del giudice fino a che non si sia statuito sul ricorso principale [v., in tal senso, ordinanza del 27 settembre 2004, Commissione/Akzo e Akcros, C‑7/04 P(R), EU:C:2004:566, punto 42 e punti 1 e 2 del dispositivo; v. anche, in tal senso, ordinanza del 17 settembre 2015, Alcogroup e Alcodis/Commissione, C‑386/15 P(R), EU:C:2015:623, punto 24]. Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, non si può pertanto ritenere che il procedimento sommario non offra alcun possibile rimedio contro le eventuali irregolarità commesse dalla Commissione nel corso dello svolgimento di un accertamento indipendentemente dalla decisione che lo ha disposto.

66      In sesto luogo, anche in caso di mancata adozione di un atto impugnabile durante le operazioni di accertamento, qualora l’impresa sottoposta ad accertamento ritenga che la Commissione abbia commesso illeciti durante l’accertamento e che tali illeciti le abbiano causato un danno tale da far sorgere la responsabilità dell’Unione, le è possibile proporre nei confronti della Commissione un ricorso per responsabilità extracontrattuale. Tale possibilità esiste già prima dell’adozione di una decisione che conclude il procedimento di infrazione e anche nell’ipotesi in cui l’accertamento non sfoci in una decisione finale che possa essere oggetto di un ricorso di annullamento. Un siffatto ricorso per responsabilità non fa parte, infatti, del sistema di controllo della validità degli atti dell’Unione che producono effetti giuridici vincolanti idonei a incidere sugli interessi della parte ricorrente, ma è esperibile quando una parte abbia subito un danno dovuto a un comportamento illegittimo di un’istituzione, anche se tale comportamento non si è concretizzato in un atto impugnabile (v., in tal senso, sentenze del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione, T‑135/09, EU:T:2012:596, punto 133, del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punto 99, e del 10 aprile 2018, Alcogroup e Alcodis/Commissione, T‑274/15, non pubblicata, EU:T:2018:179, punto 92).

67      Inoltre, si può ritenere che il sistema di controllo dello svolgimento delle operazioni di accertamento, costituito dall’insieme dei mezzi di ricorso precedentemente descritti, soddisfi le quattro condizioni ricordate al precedente punto 50.

68      Per quanto riguarda, in primo luogo, la condizione di effettività, occorre rilevare, e ciò non è del resto contestato dalle ricorrenti, che i mezzi di ricorso summenzionati danno luogo a un controllo approfondito, che interviene sia sulle questioni di diritto che sulle questioni di fatto (v., per quanto riguarda in particolare le decisioni di accertamento, sentenza del 18 giugno 2015, Deutsche Bahn e a./Commissione, C‑583/13 P, EU:C:2015:404, punti 33 e 34, e, per quanto riguarda più in generale le decisioni della Commissione relative ai procedimenti a norma degli articoli 101 e 102 TFUE, sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 62).

69      Occorre sottolineare, inoltre, che, sebbene ciascuno di tali mezzi di ricorso non consenta, considerato singolarmente, di realizzare un controllo della fondatezza di tutte le misure adottate nel corso dell’accertamento, il loro esercizio combinato, che non pone problemi di ricevibilità, consente siffatto controllo, come risulta dall’elenco, ai punti da 57 a 66 supra, delle diverse misure adottate durante lo svolgimento degli accertamenti e dei diversi diritti delle imprese sottoposte ad accertamento che possono essere controllati in sede di esame dei diversi ricorsi di cui trattasi. In particolare, le ricorrenti non possono validamente sostenere che nessun mezzo di ricorso comprenderebbe il caso in cui gli ispettori effettuino copie di documenti che esulano dall’ambito dell’accertamento. Infatti, nel caso, asserito dalle ricorrenti, in cui l’accertamento di cui trattasi non sfoci in una decisione che constata un’infrazione e infligge una sanzione, bensì nell’avvio di una nuova indagine e nell’adozione di una nuova decisione di accertamento, le imprese sottoposte ad accertamento potrebbero proporre un ricorso di annullamento avverso detta decisione contestando la legittimità degli indizi che l’hanno fondata in quanto ottenuti irregolarmente durante l’accertamento precedente (v. supra, punto 59).

70      Ne consegue che sono irrilevanti le affermazioni delle ricorrenti basate su talune sentenze della Corte EDU che hanno constatato una violazione del diritto a un ricorso effettivo per il motivo che mancava uno dei suddetti mezzi di ricorso. In particolare, non sono trasponibili al caso di specie le constatazioni della Corte EDU nella sua sentenza Delta Pekárny (punti da 82 a 94), dal momento che la normativa ceca in questione non aveva istituito mezzi di ricorso specifici che consentissero di contestare le decisioni di accertamento. Infatti, l’unica possibilità di cui disponevano le imprese sottoposte ad accertamento per sollevare questioni riguardanti la legittimità dell’accertamento era un’azione avente ad oggetto le conclusioni nel merito dell’autorità garante della concorrenza e, in tale contesto, questioni come la necessità, la durata o la portata dell’accertamento, nonché la sua proporzionalità, non potevano essere esaminate (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Deutsche Bahn e a./Commissione, C‑583/13 P, EU:C:2015:92, paragrafo 37), mentre avrebbero potuto essere esaminate nell’ambito di un ricorso diretto contro la decisione di accertamento.

71      Allo stesso modo, contrariamente alle circostanze che hanno dato luogo alla sentenza della Corte EDU del 2 aprile 2015, Vinci Construction e GTM Génie Civil et Services c. Francia (CE:ECHR:2015:0402JUD006362910), dalla giurisprudenza del giudice dell’Unione risulta la possibilità di chiedere un controllo effettivo del rispetto della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti durante le operazioni di accertamento (v. supra, punto 61). Si controlla in particolare, in tale contesto, se i documenti di cui trattasi siano sostanzialmente compresi in tale riservatezza (v., in tal senso, sentenza del 17 settembre 2007, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione, T‑125/03 e T‑253/03, EU:T:2007:287, punti da 117 a 135, da 138 a 140 e da 165 a 179).

72      Inoltre, si deve considerare che non pregiudica il principio del diritto a un ricorso effettivo il fatto di esigere dall’impresa interessata da una decisione di accertamento che essa intraprenda talune iniziative per preservare i suoi diritti e il suo accesso ai mezzi di ricorso che consentono di garantirne il rispetto, in particolare l’iniziativa consistente nel formulare richieste di tutela presso la Commissione (v. supra, punti 61 e 62). Ciò vale a maggior ragione in quanto quest’ultima è tenuta ad accordare un breve termine all’impresa per consultare i propri difensori prima di effettuare copie al fine, se del caso, di formulare siffatte richieste (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punto 89).

73      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la condizione di efficacia, si può constatare che i suddetti mezzi di ricorso consentono un controllo sia preventivo grazie alla domanda di provvedimenti provvisori, impedendo che le operazioni di accertamento vengano ultimate (v. supra, punto 64), sia curativo e successivo alla realizzazione delle operazioni di accertamento, grazie agli altri mezzi di ricorso. Occorre sottolineare, a tal riguardo, che la giurisprudenza della Corte EDU non richiede la riunione di un controllo a priori e a posteriori, dal momento che essa li considera in via alternativa (v. supra, punto 50). Pertanto, anche se, come sostengono le ricorrenti nel caso di specie, la domanda di provvedimenti provvisori non abbia l’efficacia richiesta, resta il fatto che i ricorsi che possono essere proposti a posteriori forniscono, in ogni caso, al singolo un rimedio adeguato.

74      Pertanto, in caso di annullamento della decisione di accertamento, alla Commissione viene impedito di valersi, ai fini della procedura di infrazione alle norme sulla concorrenza, di tutti i documenti o atti probatori da essa procurati in occasione di detto accertamento (sentenze del 22 ottobre 2002, Roquette Frères, C‑94/00, EU:C:2002:603, punto 49, e del 12 dicembre 2012, Almamet/Commissione, T‑410/09, non pubblicata, EU:T:2012:676, punto 31). In particolare, siffatto annullamento comporta inevitabilmente quello della nuova decisione di accertamento che sarebbe stata adottata esclusivamente in base ai documenti sequestrati in occasione del primo accertamento irregolare (v., in tal senso, sentenza del 20 giugno 2018, České dráhy/Commissione, T‑621/16, non pubblicata, EU:T:2018:367, punti 39 e 40).

75      Analogamente, nell’ambito del ricorso diretto contro la decisione finale della Commissione, la conseguenza della constatazione di un’irregolarità nello svolgimento dell’accertamento risiede nell’impossibilità per la Commissione di utilizzare gli elementi di prova così raccolti ai fini della procedura di infrazione (v. sentenza del 18 giugno 2015, Deutsche Bahn e a./Commissione, C‑583/13 P, EU:C:2015:404, punto 45 e giurisprudenza ivi citata), il che può condurre all’annullamento della decisione che constata e sanziona l’infrazione, quando gli elementi di prova di cui trattasi sono determinanti ai fini di tale constatazione e sanzione.

76      Inoltre, anche nell’ipotesi in cui una decisione che constata e sanziona un’infrazione non sia stata adottata, occorre ricordare che sono ancora disponibili, da un lato, il rimedio della domanda di annullamento di talune misure adottate nel corso dell’accertamento (v. supra, punti 61 e 62) e, dall’altro, il rimedio della domanda di risarcimento (v. supra, punto 66). Orbene, questi due mezzi di ricorso consentono di ottenere, rispettivamente, il venir meno dall’ordinamento giuridico delle misure di accertamento annullate e il risarcimento del danno subito a causa di tali misure, già prima e indipendentemente dalla conclusione dell’eventuale successivo procedimento di infrazione. Occorre precisare, a tal riguardo, che, nei limiti in cui la valutazione dei mezzi di ricorso e dell’adeguatezza del rimedio che essi consentono deve essere effettuata globalmente (v. supra, punto 51) e in cui altri mezzi di ricorso impediscono alla Commissione di utilizzare i documenti irregolarmente copiati, è irrilevante che il mezzo risarcitorio non lo impedisca. Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, non si può in particolare dedurre dalla sentenza Ravon che la Corte EDU esiga, per constatare l’efficacia del controllo giurisdizionale delle operazioni di accertamento, che i ricorsi in questione si concludano con una decisione di divieto dell’utilizzo dei documenti e delle testimonianze ottenuti. Infatti, la Corte EDU si è limitata, in tale sentenza, ad applicare il metodo di valutazione globale dei mezzi di ricorso disponibili dichiarando che il ricorso per risarcimento danni non era sufficiente a compensare le carenze degli altri mezzi di ricorso, in particolare dei ricorsi di annullamento previsti dalla normativa francese in questione (sentenza Ravon, punto 33), i quali non presentavano l’efficacia dei possibili ricorsi di annullamento dinanzi al giudice dell’Unione.

77      Per quanto riguarda, in terzo luogo, la condizione di certezza, essa è principalmente contestata dalle ricorrenti sulla base del rilievo che non sarebbe certo che gli atti impugnabili mediante i diversi mezzi di ricorso summenzionati siano adottati. In particolare, la Commissione non adotterebbe necessariamente una decisione che constata un’infrazione e sanziona il suo autore a seguito di un accertamento. Tuttavia, la condizione di certezza deve essere interpretata non nel senso che richiede la disponibilità di tutti i mezzi di ricorso teoricamente possibili in tutti i casi e a prescindere dalle misure adottate a seguito dell’accertamento, ma nel senso che esige la disponibilità di quelli idonei a contestare le misure che producono effetti negativi nei confronti dell’impresa sottoposta ad accertamento nel momento in cui tali effetti si verificano. Pertanto, nel caso in cui tali effetti negativi non consistano in una decisione che constata o sanziona un’infrazione, non si può ritenere che la mancata possibilità di ricorso contro tale decisione pregiudichi l’esigenza di un ricorso certo contro le misure adottate nel corso di un accertamento.

78      Non si può dedurre una diversa interpretazione dalla sentenza Canal Plus (v. supra, punto 50). Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la Corte EDU non ha dichiarato, in tale sentenza, che l’accessibilità del ricorso avverso la decisione che autorizzava l’accertamento era resa incerta a causa delle incertezze relative all’adozione di una decisione nel merito da parte dell’autorità garante della concorrenza. Essa si è segnatamente limitata a constatare, nelle particolari circostanze del regime transitorio istituito dal legislatore francese, che l’azione consentita da tale regime avverso l’ordinanza che autorizzava la visita domiciliare era subordinata all’esistenza di un ricorso pendente avverso la decisione di merito, ciò che creava una condizionalità che rendeva effettivamente incerta l’accessibilità di detta azione (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Deutsche Bahn e a./Commissione, C‑583/13 P, EU:C:2015:92, paragrafo 48). Si può inoltre rilevare che una simile condizionalità non esiste nel sistema dei mezzi di ricorso della Commissione in materia di accertamenti. Infatti, la presentazione del ricorso avverso una decisione di accertamento non è subordinata alla presentazione di un ricorso avverso la decisione che conclude il procedimento ai sensi dell’articolo 101 TFUE e non potrebbe esserlo, del resto, tenuto conto del termine di ricorso fissato dall’articolo 263 TFUE.

79      Per quanto riguarda, in quarto luogo, la condizione del termine ragionevole, occorre rilevare che le ricorrenti non fondano la loro affermazione dell’inosservanza di tale condizione sulla durata dei giudizi dinanzi al giudice dell’Unione e ammettono peraltro l’esistenza di termini di ricorso. Esse criticano unicamente il notevole lasso di tempo che può separare l’accertamento dalla decisione finale conclusiva del procedimento avviato ai sensi dell’articolo 101 TFUE.

80      Orbene, da un termine siffatto, che può certamente arrivare a diversi anni, non si può dedurre che i ricorsi che consentono di contestare lo svolgimento degli accertamenti dinanzi al giudice dell’Unione non garantiscano una tutela giurisdizionale effettiva. Infatti, da un lato, viene unicamente censurato il termine che separa l’adozione delle misure di accertamento dalla data della loro possibile contestazione nell’ambito del ricorso diretto contro la decisione finale adottata ai sensi dell’articolo 101 TFUE, che costituisce solo uno dei mezzi di ricorso che consentono la loro contestazione. D’altro lato, e soprattutto, il tempo durante il quale le misure di accertamento di cui trattasi sono mantenute deve essere messo in relazione con il fatto che, sino a tale decisione finale, la Commissione non prende posizione in modo definitivo sull’esistenza di un’infrazione e sulla conseguente sanzione dell’impresa sottoposta ad accertamento. Se, per contro, dovessero verificarsi altre conseguenze dannose per l’impresa sottoposta ad accertamento durante tale termine, quali un comportamento pregiudizievole della Commissione o l’adozione di una nuova decisione di accertamento sulla base delle informazioni raccolte, detta impresa ben potrebbe adire il giudice, immediatamente e senza attendere l’esito del procedimento di infrazione, proponendo un ricorso per risarcimento danni o di annullamento della nuova decisione di accertamento.

81      Da tutto quanto precede risulta che la prima censura dedotta a sostegno dell’eccezione di illegittimità dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 deve essere respinta in quanto infondata.

b)      Sulla seconda censura, vertente sulla violazione del principio della parità delle armi e dei diritti della difesa

82      Le ricorrenti sostengono che l’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 viola il principio della parità delle armi e i diritti della difesa. Da tali principi fondamentali deriverebbe che una persona chiamata in causa deve avere un diritto di accesso al fascicolo del procedimento. Orbene, il quadro normativo dell’accertamento fissato dall’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, non consentendo alle parti di accedere ai documenti a disposizione della Commissione che giustificano la sua decisione di ricorrere a un accertamento, porrebbe le ricorrenti in una situazione di palese squilibrio rispetto alla Commissione e le metterebbe nell’impossibilità di predisporre la loro difesa.

83      Secondo una giurisprudenza costante, il principio della parità delle armi, che è un corollario della nozione stessa di equo processo ed è inteso a garantire l’equilibrio tra le parti, implica che tutte le parti debbano avere una ragionevole possibilità di presentare la propria causa e produrre prove, in condizioni che non le penalizzino nettamente rispetto ai propri avversari. Tale principio è inteso ad assicurare l’equilibrio tra le parti del processo, garantendo la parità dei loro diritti e obblighi per quanto concerne, in particolare, l’amministrazione delle prove e il contraddittorio dinanzi al giudice (v. sentenza del 28 luglio 2016, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a., C‑543/14, EU:C:2016:605, punti 40 e 41 e giurisprudenza ivi citata).

84      Sebbene le ricorrenti citino tale giurisprudenza e si basino soltanto sugli articoli 47 e 48 della Carta nonché sull’articolo 6 della CEDU, che disciplinano i diritti dei singoli dinanzi a un giudice, a sostegno della loro affermazione circa la violazione del principio della parità delle armi e dei diritti della difesa, la giurisprudenza che esse fanno altresì valere (v. infra, punto 94) dimostra che esse considerano in generale i diritti dell’impresa sottoposta ad accertamento di difendersi sia dinanzi a un giudice sia dinanzi alla Commissione.

85      Orbene, da una giurisprudenza costante, che si pronuncia sugli elementi che devono essere comunicati all’impresa sottoposta ad accertamento al fine di garantire la tutela dei suoi diritti della difesa nei confronti della Commissione, risulta che quest’ultima non è tenuta a indicarle, nella decisione di accertamento o nel corso dell’accertamento, gli indizi che hanno giustificato detto accertamento (v., in tal senso, sentenze del 17 ottobre 1989, Dow Chemical Ibérica e a./Commissione, da 97/87 a 99/87, EU:C:1989:380, punti 45, 50 e 51; dell’8 luglio 2008, AC‑Treuhand/Commissione, T‑99/04, EU:T:2008:256, punto 48; del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione, T‑135/09, EU:T:2012:596, punto 69; del 14 marzo 2014, Cementos Portland Valderrivas/Commissione, T‑296/11, EU:T:2014:121, punto 37; del 25 novembre 2014, Orange/Commissione, T‑402/13, EU:T:2014:991, punto 81, e del 20 giugno 2018, České dráhy/Commissione, T‑325/16, EU:T:2018:368, punti 45 e 46).

86      Tale soluzione giurisprudenziale è basata non su un principio di riservatezza degli indizi in questione, ma sulla preoccupazione, che il legislatore ha altresì preso in considerazione nella redazione dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, di preservare l’efficacia delle indagini della Commissione in una fase in cui esse stanno solo iniziando.

87      Infatti, il procedimento amministrativo ai sensi del regolamento n. 1/2003, che si svolge dinanzi alla Commissione, si suddivide in due fasi distinte e successive, ciascuna delle quali risponde ad una propria logica interna, ossia una fase di indagine preliminare, da un lato, e una fase contraddittoria, dall’altro. La fase di indagine preliminare, durante la quale la Commissione usa i suoi poteri di indagine previsti dal regolamento n. 1/2003 e che si estende sino alla comunicazione degli addebiti, è destinata a consentire alla Commissione di raccogliere tutti gli elementi pertinenti che confermino o meno l’esistenza di un’infrazione alle norme sulla concorrenza e di prendere una posizione iniziale sull’orientamento nonché sull’ulteriore seguito da dare al procedimento. La fase contraddittoria, dal canto suo, che va dalla comunicazione degli addebiti all’adozione della decisione finale, deve consentire alla Commissione di pronunciarsi definitivamente sull’infrazione addebitata (v. sentenza del 25 novembre 2014, Orange/Commissione, T‑402/13, EU:T:2014:991, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).

88      Da un lato, per quanto riguarda la fase di indagine preliminare, essa ha come termine iniziale la data in cui la Commissione, facendo uso dei poteri conferitile dal legislatore dell’Unione, adotta misure che implicano l’addebito di una violazione e deve consentire a detta istituzione di prendere posizione circa il seguito del procedimento (sentenze del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 114, e del 15 luglio 2015, SLM e Ori Martin/Commissione, T‑389/10 e T‑419/10, EU:T:2015:513, punto 337). D’altro lato, è solo all’inizio della fase contraddittoria amministrativa che l’impresa interessata viene informata, mediante la comunicazione degli addebiti, di tutti gli elementi essenziali su cui si fonda la Commissione in tale fase del procedimento e che tale impresa dispone di un diritto di accesso al fascicolo al fine di garantire l’esercizio effettivo dei suoi diritti della difesa. Di conseguenza, solo dopo l’invio della comunicazione degli addebiti l’impresa interessata può pienamente avvalersi dei suoi diritti della difesa. Laddove, infatti, tali diritti fossero estesi alla fase che precede l’invio della comunicazione degli addebiti, l’efficacia dell’indagine della Commissione risulterebbe compromessa, in quanto l’impresa interessata sarebbe in grado, già dalla fase d’indagine preliminare, di identificare le informazioni note alla Commissione e, pertanto, quelle che possono esserle ancora nascoste (v. sentenza del 25 novembre 2014, Orange/Commissione, T‑402/13, EU:T:2014:991, punto 78 e giurisprudenza ivi citata).

89      Tuttavia, le misure istruttorie adottate dalla Commissione durante la fase di indagine preliminare, segnatamente le misure di accertamento e le richieste di informazioni, implicano per loro natura la contestazione di un’infrazione e sono atte a determinare conseguenze importanti sulla situazione delle imprese sospettate. Pertanto, occorre evitare che i diritti della difesa possano essere irrimediabilmente compromessi durante tale fase del procedimento amministrativo, dal momento che le misure istruttorie adottate possono avere un carattere determinante per la costituzione di prove attestanti l’illegittimità di comportamenti di imprese che possono farne sorgere la responsabilità (v. sentenza del 25 novembre 2014, Orange/Commissione, T‑402/13, EU:T:2014:991, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

90      In tale contesto, occorre ricordare che l’obbligo imposto dall’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento n. 1/2003, di indicare l’oggetto e lo scopo di un accertamento rappresenta una garanzia fondamentale per i diritti della difesa delle imprese interessate e, di conseguenza, la portata dell’obbligo di motivazione delle decisioni di accertamento non può essere limitata in base a considerazioni relative all’efficacia dell’indagine. A tal proposito, va precisato che la Commissione, anche se non è tenuta, in forza dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 e della giurisprudenza, a comunicare al destinatario di una decisione di accertamento tutte le informazioni di cui è in possesso quanto ad asserite infrazioni, né a delimitare con precisione il mercato di cui trattasi, a procedere a una rigorosa qualificazione giuridica delle infrazioni stesse, o ad indicare il periodo durante il quale sarebbero state commesse, deve però indicare, nel modo più preciso possibile, gli indizi che intende verificare, ossia l’oggetto della ricerca nonché gli elementi in relazione ai quali deve essere svolto l’accertamento (v. sentenza del 25 novembre 2014, Orange/Commissione, T‑402/13, EU:T:2014:991, punto 80 e giurisprudenza ivi citata).

91      Tenuto conto dell’insieme di tali elementi, è stato costantemente dichiarato che non si può imporre alla Commissione di indicare, nella fase di indagine preliminare, oltre alle presunte infrazioni che essa intende verificare, gli indizi, vale a dire gli elementi che la inducono a considerare l’ipotesi di una violazione dell’articolo 101 TFUE. In effetti, un obbligo del genere rimetterebbe in discussione l’equilibrio stabilito dalla giurisprudenza tra la tutela dell’efficacia dell’indagine e la tutela dei diritti della difesa dell’impresa interessata (v. sentenza del 20 giugno 2018, České dráhy/Commissione, T‑325/16, EU:T:2018:368, punto 45 e giurisprudenza ivi citata; v. anche supra, punto 85).

92      Ne consegue che l’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento n. 1/2003 non può essere dichiarato illegittimo per il motivo che, non prevedendo la comunicazione degli indizi che hanno giustificato l’accertamento all’impresa sottoposta a ispezione, esso violerebbe il principio della parità delle armi e i diritti della difesa di detta impresa.

93      Nessuno degli argomenti dedotti dalle ricorrenti consente di rimettere in discussione tale conclusione.

94      Per quanto riguarda, in primo luogo, la giurisprudenza dei giudici dell’Unione, occorre rilevare che le ricorrenti non menzionano la predetta giurisprudenza, né a fortiori la contestano esplicitamente, e citano una sola sentenza del Tribunale a sostegno della loro affermazione secondo cui quest’ultimo considera che il principio della parità delle armi implica che le imprese interessate abbiano un diritto di accesso al fascicolo. È vero che da tale sentenza risulta che il principio generale della parità delle armi presuppone, in una causa in materia di concorrenza, che l’impresa interessata abbia una conoscenza del fascicolo relativo al procedimento pari a quella di cui dispone la Commissione (sentenza del 29 giugno 1995, ICI/Commissione, T‑36/91, EU:T:1995:118, punti 93 e 111). Tuttavia, come sottolineato in modo pertinente dalla Commissione, tale menzione riguarda la fase contraddittoria del procedimento e, in particolare, i documenti che avrebbero dovuto essere comunicati all’impresa ricorrente con la comunicazione degli addebiti (v., a proposito della distinzione tra la fase di indagine preliminare e la fase contraddittoria amministrativa, punti 87 e 88 supra).

95      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la giurisprudenza della Corte EDU, il cui richiamo potrebbe essere inteso, tenuto conto di quanto precede, nel senso che esprime il desiderio di un’evoluzione conforme della giurisprudenza dei giudici dell’Unione o di una constatazione di illegittimità delle disposizioni pertinenti dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, occorre considerare che essa non è idonea a giustificare una siffatta evoluzione, né una siffatta constatazione, e ciò anche a prescindere dalla circostanza che le sentenze della Corte EDU si sono pronunciate sui diritti di persone fisiche in materia penale, come sottolineato dalla Commissione e dal Consiglio. Infatti, tutte le violazioni del principio della parità delle armi constatate in tali sentenze della Corte EDU sono state accertate sulla base del rilievo che le persone accusate sono state condannate senza aver mai avuto accesso a tutti gli elementi relativi agli addebiti accolti (Corte EDU, 18 marzo 1997, Foucher c. Francia, CE:ECHR:1997:0318JUD002220993; 25 marzo 1999, Pélissier e Sassi c. Francia, CE:ECHR:1999:0325JUD002544494; 26 luglio 2011, Huseyn e a. c. Azerbaigian, CE:ECHR:2011:0726JUD003548505, e 20 settembre 2011, OAO Neftyanaya Kompaniya Yukos c. Russia, CE:ECHR:2011:0920JUD001490204), circostanza dalla quale non può dedursi un diritto di accesso a tali elementi durante la fase di indagine che si aggiunga a quello già riconosciuto nel corso della successiva fase contraddittoria. Quanto alla sentenza della Corte EDU, da cui risulta che il principio della parità delle armi si applica a tutte le fasi del procedimento e in particolare durante l’istruttoria (Corte EDU, 30 marzo 1989, Lamy c. Belgio, CE:ECHR:1989:0330JUD001044483), invocata dalle ricorrenti unicamente in udienza, essa si è pronunciata in tal senso a causa dell’adozione di una decisione relativa alla detenzione della parte ricorrente nel corso di tale fase di indagine. La Corte EDU ha del resto constatato, in tale causa, una violazione dell’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU, relativo alla tutela giurisdizionale delle persone detenute, senza prendere posizione sul rispetto dell’articolo 6 della CEDU.

96      Per quanto riguarda, in terzo luogo, la normativa francese, invocata dalle ricorrenti in udienza, essa non può, in quanto tale, imporsi nell’applicazione delle norme di diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 17 gennaio 1984, VBVB e VBBB/Commissione, 43/82 e 63/82, EU:C:1984:9, punto 40). Si può aggiungere, in ogni caso, che, ai sensi dell’articolo L. 450‑4 del codice di commercio francese, l’ordinanza del juge des libertés et de la détention (giudice francese competente per l’adozione di misure restrittive della libertà personale), che autorizza i sopralluoghi e i sequestri effettuati dall’Autorità garante della concorrenza sulla base di informazioni e di indizi atti a giustificarli, presentati da detta autorità, è notificata all’impresa interessata solo al momento del sopralluogo. Essa può quindi dar luogo a un dibattito in contraddittorio, che può riguardare in particolare il carattere sufficientemente grave degli indizi prodotti, solo nella fase del ricorso proposto contro di essa dinanzi al primo presidente della Corte d’appello.

97      Per quanto riguarda, in quarto luogo, i timori espressi dalle ricorrenti riguardanti difficoltà nel premunirsi contro i rischi di interventi arbitrari e sproporzionati della Commissione, occorre rilevare precisamente che è possibile per il Tribunale chiedere alla Commissione, mediante misure di organizzazione del procedimento, di produrre gli indizi che hanno giustificato la decisione di un accertamento (per l’adozione di siffatta misura di organizzazione del procedimento nel caso di specie, v. punto 14 supra). Tale accesso agli indizi che hanno giustificato la decisione di accertamento è consentito nella fase giurisdizionale dal momento che, in questa fase e nella misura in cui l’accertamento è per definizione concluso, l’imperativo di preservare l’efficacia delle indagini della Commissione ha minore rilevanza. Infatti, una volta realizzate tutte le operazioni di accertamento, non è più necessario prevenire un rischio di occultamento delle informazioni pertinenti ai fini dell’indagine, le quali, in linea di principio, sono già state raccolte nel corso dell’accertamento (v. punto 88 supra). Si può aggiungere che una comunicazione degli indizi nella fase giurisdizionale è, inoltre, conforme al principio della parità delle armi dinanzi al giudice, in quanto l’impresa sottoposta ad accertamento dispone, in tale fase, delle informazioni che le consentono di contestare il possesso, da parte della Commissione, di indizi sufficientemente gravi da giustificare l’accertamento (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Nexans e Nexans France/Commissione, C‑37/13 P, EU:C:2014:223, paragrafi 85 e 86), e non giustifica per di più il fatto che sia accordato un accesso sin dall’adozione della decisione di accertamento.

98      Per tutti questi motivi, la seconda censura dedotta a sostegno dell’eccezione di illegittimità deve essere, di conseguenza, respinta, così come deve essere, pertanto, respinta in toto l’eccezione di illegittimità delle disposizioni pertinenti dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003.

B.      Sul secondo e sul terzo motivo, vertenti sulla violazione dell’obbligo di motivazione e sulla violazione del diritto all’inviolabilità del domicilio

99      La Commissione sostiene, in via preliminare, che le ricorrenti deducono varie censure relative allo svolgimento dell’accertamento controverso, le quali sarebbero irricevibili nell’ambito di un ricorso diretto contro una decisione di accertamento, e ne deduce l’irricevibilità del ricorso.

100    Da una giurisprudenza costante risulta effettivamente che un’impresa non può far valere l’illegittimità da cui sarebbe viziato lo svolgimento di procedure di accertamento a sostegno di conclusioni dirette all’annullamento dell’atto in base al quale la Commissione ha svolto tale accertamento (sentenze del 20 aprile 1999, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, EU:T:1999:80, punto 413; del 17 settembre 2007, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione, T‑125/03 e T‑253/03, EU:T:2007:287, punto 55, e del 20 giugno 2018, České dráhy/Commissione, T‑325/16, EU:T:2018:368, punto 22).

101    Tale impossibilità di far valere l’illegittimità da cui sarebbe viziato lo svolgimento delle operazioni di accertamento a sostegno di conclusioni dirette contro una decisione di accertamento si limita a riflettere il principio generale secondo cui la legittimità di un atto deve essere valutata alla luce delle circostanze di diritto e di fatto esistenti al momento in cui tale decisione è stata adottata, cosicché atti successivi a una decisione non possono inficiarne la validità (ordinanza del 30 ottobre 2003, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione, T‑125/03 R e T‑253/03 R, EU:T:2003:287, punti 68 e 69; v. anche, in tal senso, sentenza del 17 ottobre 2019, Alcogroup e Alcodis/Commissione, C‑403/18 P, EU:C:2019:870, punti 45 e 46 e giurisprudenza ivi citata).

102    Ne consegue che, se, come sostiene la Commissione, le censure di cui trattasi dovessero essere respinte, dovrebbero esserlo per il fatto che sono inoperanti e non per la loro irricevibilità.

103    In risposta ad un quesito posto dal Tribunale in udienza, la Commissione ha precisato, come riportato nel verbale d’udienza, da un lato, che essa si rimetteva al prudente apprezzamento del Tribunale quanto al carattere irricevibile o inoperante delle censure in questione e, dall’altro, che la sua eccezione di irricevibilità non riguardava in quanto tali il secondo e il terzo motivo, vertenti rispettivamente sulla violazione dell’obbligo di motivazione e sulla violazione del diritto all’inviolabilità del domicilio.

104    Ne consegue che il ricorso non può essere dichiarato irricevibile per le ragioni asserite dalla Commissione, né a fortiori che dovrebbe essere dichiarato interamente irricevibile.

105    Occorre, pertanto, esaminare il secondo e il terzo motivo dedotti dalle ricorrenti, senza prendere in considerazione, ai fini dell’esame della loro fondatezza, le censure dedotte a loro sostegno che sarebbero basate sullo svolgimento dell’accertamento controverso e che devono essere respinte in quanto inoperanti.

1.      Sulla violazione dellobbligo di motivazione

106    Le ricorrenti sostengono che la decisione impugnata sarebbe insufficientemente motivata in quanto non conterrebbe alcuna precisazione e neppure alcun principio di esposizione delle informazioni in possesso della Commissione che avrebbero giustificato lo svolgimento dell’accertamento. In particolare, la decisione impugnata non consentirebbe di individuare né il tipo, né la natura, né la provenienza e ancor meno il contenuto delle informazioni di cui disponeva la Commissione e priverebbe pertanto le ricorrenti di una garanzia fondamentale dei loro diritti della difesa. Le ricorrenti aggiungono che tale assenza totale di informazione riguardo ai documenti a disposizione della Commissione non può essere ovviata con la mera descrizione delle presunte infrazioni che quest’ultima ha ritenuto di poter desumere dal contenuto di detti documenti.

107    Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la motivazione degli atti delle istituzioni dell’Unione prescritta dall’articolo 296 TFUE deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve fare apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e al giudice competente di esercitare il proprio controllo. L’obbligo di motivazione deve essere inoltre valutato in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o soggetti terzi, da questo colpiti direttamente e individualmente, possano avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento dell’osservanza, da parte della motivazione di un atto, degli obblighi imposti dall’articolo 296 TFUE deve essere effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (v. sentenza del 25 giugno 2014, Nexans e Nexans France/Commissione, C‑37/13 P, EU:C:2014:2030, punti 31 e 32 e giurisprudenza ivi citata).

108    Occorre quindi tenere conto, nel caso di specie, del contesto normativo nel quale si svolgono gli accertamenti della Commissione. Gli articoli 4 e 20 del regolamento n. 1/2003 conferiscono, in effetti, alla Commissione poteri di accertamento allo scopo di consentirle di espletare il suo compito di proteggere il mercato interno dalle distorsioni della concorrenza e di sanzionare eventuali infrazioni alle regole di concorrenza in tale mercato (sentenza del 25 giugno 2014, Nexans e Nexans France/Commissione, C‑37/13 P, EU:C:2014:2030, punto 33; v. anche, in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2002, Roquette Frères, C‑94/00, EU:C:2002:603, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

109    Pertanto, per quanto riguarda più in particolare le decisioni di accertamento della Commissione, l’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento n. 1/2003 dispone che esse devono indicare la data in cui inizia l’accertamento, le sanzioni previste agli articoli 23 e 24 di detto regolamento e il diritto di proporre ricorso dinanzi alla Corte avverso la decisione di accertamento, ma anche l’oggetto e lo scopo dell’accertamento.

110    Dalla giurisprudenza risulta che la Commissione deve, a tal fine, indicare, con la maggiore precisione possibile, gli indizi che intende verificare, vale a dire l’oggetto della ricerca e gli elementi sui quali deve vertere l’accertamento. Più precisamente, la decisione di accertamento deve contenere una descrizione delle caratteristiche dell’infrazione sospettata, indicando il mercato presumibilmente interessato e la natura delle presunte infrazioni alla concorrenza, nonché i settori interessati dalla presunta infrazione oggetto dell’accertamento, e spiegazioni quanto al modo in cui l’impresa è presumibilmente implicata nell’infrazione (v. sentenze dell’8 marzo 2007, France Télécom/Commissione, T‑339/04, EU:T:2007:80, punti 58 e 59 e giurisprudenza ivi citata, e del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punti 75 e 77 e giurisprudenza ivi citata).

111    Tale obbligo di motivazione specifica costituisce, come precisato dalla Corte, un requisito fondamentale al fine non solo di evidenziare il carattere motivato dell’azione prevista all’interno delle imprese interessate, ma anche di consentire alle stesse di comprendere la portata del loro dovere di collaborazione, facendo salvi al contempo i diritti della difesa. È infatti importante mettere le imprese interessate dalle decisioni di accertamento che impongono loro obblighi, che comportano ingerenze nella loro sfera privata e la cui inosservanza può esporle a pesanti sanzioni economiche, nelle condizioni di comprendere le motivazioni di tali decisioni senza un eccessivo sforzo interpretativo, al fine di permettere loro di esercitare i propri diritti in modo efficace e tempestivo (v., a proposito delle decisioni di richiesta di informazioni, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa HeidelbergCement/Commissione, C‑247/14 P, EU:C:2015:694, paragrafo 42). Ne consegue peraltro che la portata dell’obbligo di motivazione delle decisioni di accertamento, quale precisata al punto precedente, non può, in linea di principio, essere limitata in base a considerazioni relative all’efficacia dell’indagine (sentenze del 17 ottobre 1989, Dow Benelux/Commissione, 85/87, EU:C:1989:379, punto 8, e del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione, T‑135/09, EU:T:2012:596, punto 42).

112    Tuttavia, gli accertamenti intervengono per definizione in una fase preliminare, in cui la Commissione non dispone di informazioni dettagliate che le consentano di qualificare i comportamenti di cui trattasi come infrazione e che implichino la facoltà di ricercare elementi di informazione diversi ancora ignoti o non completamente identificati (v., in tal senso, sentenze del 25 giugno 2014, Nexans e Nexans France/Commissione, C‑37/13 P, EU:C:2014:2030, punto 37, e del 26 ottobre 2010, CNOP e CCG/Commissione, T‑23/09, EU:T:2010:452, punti 40 e 41 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, per salvaguardare l’effetto utile degli accertamenti e per ragioni attinenti alla loro stessa natura, è stato ammesso che la Commissione non era tenuta a comunicare al destinatario di una decisione siffatta tutte le informazioni di cui era in possesso quanto ad asserite infrazioni, né a delimitare con precisione il mercato in questione, né a procedere ad una rigorosa qualificazione giuridica delle infrazioni stesse, né ad indicare il periodo durante il quale tali infrazioni sarebbero state commesse (v. sentenza del 25 novembre 2014, Orange/Commissione, T‑402/13, EU:T:2014:991, punto 80 e giurisprudenza ivi citata; conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Nexans e Nexans France/Commissione, C‑37/13 P, EU:C:2014:223, paragrafi 48 e 49).

113    Occorre inoltre ricordare che la Commissione non è tenuta ad indicare, nella decisione di accertamento, gli indizi che hanno giustificato detto accertamento (v. supra, punti 85 e 91).

114    Ne consegue, da un lato, che l’obbligo di motivazione della Commissione non si estende a tutte le informazioni di cui essa dispone a proposito delle presunte infrazioni e, dall’altro, che, tra le informazioni che avrebbero giustificato l’esecuzione dell’accertamento, nella decisione di accertamento devono essere fornite solo quelle che consentono di evidenziare il possesso, da parte della Commissione, di indizi gravi di infrazione, senza tuttavia rivelare gli indizi in questione. Infatti, secondo costante giurisprudenza, la Commissione è tenuta a evidenziare in maniera circostanziata, nella decisione con cui ordini un accertamento, che essa disponeva nel suo fascicolo di elementi e di indizi sostanziali gravi che la inducevano a sospettare l’infrazione a carico dell’impresa interessata dall’accertamento (v. sentenza dell’8 marzo 2007, France Télécom/Commissione, T‑339/04, EU:T:2007:80, punto 60 e giurisprudenza ivi citata, e sentenza del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punto 172).

115    Occorre pertanto verificare, nel caso di specie, se tale obbligo sia stato rispettato dalla Commissione nella decisione impugnata.

116    Orbene, dal punto 8 della decisione impugnata e dalle informazioni relative alle presunte infrazioni ivi fornite, quali descritte ai punti 4 e 5 come consistenti in pratiche di scambi di informazioni vertenti in particolare sugli sconti e sulle strategie commerciali future, risulta chiaramente che la Commissione ha fatto emergere in maniera circostanziata che essa riteneva di disporre di indizi gravi che l’avevano indotta a sospettare le pratiche concordate di cui trattasi.

117    Lo dimostrano, infatti, oltre alle precisazioni relative all’oggetto dei presunti scambi di informazioni, di cui ai punti 4 e 5 della decisione impugnata, quelle fornite al punto 8 della decisione impugnata, introdotte dai termini «Secondo le informazioni di cui dispone la Commissione» e relative alle modalità degli scambi, alle persone coinvolte (qualità e numero approssimativo) nonché ai documenti controversi (numero approssimativo, luogo e forma della loro conservazione).

118    Occorre precisare che le considerazioni che precedono sono limitate all’esame dell’adeguatezza della motivazione della decisione impugnata e rispondono unicamente alla questione se la Commissione abbia menzionato nella sua decisione le informazioni richieste dalla giurisprudenza, ossia quelle comprovanti che essa riteneva di disporre di indizi gravi circa l’esistenza delle presunte pratiche concordate. Per contro, in tale contesto non viene esaminata la questione se la Commissione abbia correttamente ritenuto di disporre di tali indizi sufficientemente gravi, che sarà affrontata in sede di esame del motivo vertente sulla violazione del diritto all’inviolabilità del domicilio.

119    Si deve aggiungere che l’affermazione delle ricorrenti relativa al rischio che esse possano essere vittime di concorrenti o di partner commerciali malintenzionati non può rimettere in discussione la suddetta conclusione relativa al rispetto, da parte della Commissione, del suo obbligo di motivazione. Siffatto rischio può, infatti, essere contrastato grazie alla verifica della sufficiente gravità degli indizi in possesso della Commissione, effettuata in sede di esame del motivo vertente sulla violazione del diritto all’inviolabilità del domicilio.

120    Pertanto, il motivo vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione deve essere respinto.

2.      Sulla violazione del diritto allinviolabilità del domicilio

121    Le ricorrenti sostengono che il diritto fondamentale all’inviolabilità del domicilio, quale sancito all’articolo 7 della Carta e all’articolo 8 della CEDU, è stato violato nel caso di specie dalla Commissione. Dalla giurisprudenza risulterebbe, infatti, che tale diritto si applica alle decisioni di accertamento della Commissione che, come ribadiscono le ricorrenti, non si basano sulla collaborazione delle imprese interessate. Ne deriverebbe altresì che il diritto all’inviolabilità del domicilio richiede che il contenuto e la portata di un mandato che autorizza visite domiciliari siano corredati di taluni limiti affinché l’ingerenza in tale diritto, che esso autorizza, non sia potenzialmente illimitata e, pertanto, sproporzionata. Orbene, poiché la decisione impugnata è stata adottata indipendentemente da qualsiasi controllo giurisdizionale ex ante, il diritto fondamentale all’inviolabilità del domicilio implica limiti ancor più rigorosi ai poteri di accertamento della Commissione, limiti che non sarebbero stati posti o rispettati nel caso di specie.

122    Occorre ricordare che il diritto fondamentale all’inviolabilità del domicilio costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che è ora espresso nell’articolo 7 della Carta, il quale corrisponde all’articolo 8 della CEDU (v. sentenza del 18 giugno 2015, Deutsche Bahn e a./Commissione, C 583/13 P, EU:C:2015:404, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).

123    Ai sensi dell’articolo 7 della Carta, ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni. Tale esigenza di tutela contro interventi dei pubblici poteri nella sfera di attività privata di una persona riguarda tanto le persone fisiche quanto le persone giuridiche (v. sentenza del 25 novembre 2014, Orange/Commissione, T‑402/13, EU:T:2014:991, punto 83 e giurisprudenza ivi citata).

124    L’articolo 52, paragrafo 1, della Carta stabilisce peraltro che eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta medesima devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Inoltre, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità d’interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

125    Occorre anche precisare che, sebbene dalla giurisprudenza della Corte EDU emerga che la protezione prevista all’articolo 8 della CEDU può estendersi a taluni locali commerciali, tuttavia tale Corte ha dichiarato che l’ingerenza pubblica potrebbe più facilmente estendersi a locali o attività aziendali o commerciali piuttosto che ad altri casi (v. sentenza del 18 giugno 2015, Deutsche Bahn e a./Commissione, C‑583/13 P, EU:C:2015:404, punto 20 e giurisprudenza della Corte EDU citata). La Corte EDU ha tuttavia costantemente ricordato che un grado accettabile di protezione contro le ingerenze che pregiudicano l’articolo 8 della CEDU implicava un contesto legale e limiti rigorosi (v. sentenza del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punto 73 e giurisprudenza della Corte EDU citata).

126    Per quanto riguarda, più in particolare, i poteri di accertamento conferiti alla Commissione dall’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento n. 1/2003, di cui trattasi nel caso di specie, è stato dichiarato che l’esercizio di tali poteri costituiva un’ingerenza evidente nel diritto dell’impresa sottoposta ad accertamento al rispetto della sua sfera di attività privata, del suo domicilio e della sua corrispondenza (sentenze del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punto 65, e del 20 giugno 2018, České dráhy/Commissione, T‑325/16, EU:T:2018:368, punto 169).

127    Occorre dunque verificare se la decisione impugnata soddisfi le condizioni richieste dall’articolo 7 della Carta.

128    Le ricorrenti fanno valere, a tal riguardo, che la decisione impugnata sarebbe, da un lato, sproporzionata e, dall’altro, arbitraria, in quanto la Commissione non disponeva di indizi sufficientemente gravi per giustificare l’accertamento deciso.

a)      Sul rispetto del principio di proporzionalità 

129    Occorre ricordare che, secondo il considerando 24 del regolamento n. 1/2003, la Commissione dovrebbe disporre del potere di svolgere gli accertamenti «necessari» per individuare accordi, decisioni e pratiche concordate vietati dall’articolo 101 TFUE. Ne consegue, secondo la giurisprudenza, che spetta alla Commissione valutare se una misura di accertamento sia necessaria al fine di poter individuare una violazione delle regole di concorrenza (sentenza del 18 maggio 1982, AM & S Europe/Commissione, 155/79, EU:C:1982:157, punto 17; v. altresì, nel caso di una decisione di richiesta di informazioni, sentenza del 14 marzo 2014, Cementos Portland Valderrivas/Commissione, T‑296/11, EU:T:2014:121, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).

130    Resta il fatto che tale valutazione è soggetta al controllo del giudice e, in particolare, al rispetto delle norme che disciplinano il principio di proporzionalità. Secondo una giurisprudenza costante, il principio di proporzionalità richiede che gli atti delle istituzioni dell’Unione non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento dello scopo perseguito, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (sentenze dell’8 marzo 2007, France Télécom/Commissione, T‑339/04, EU:T:2007:80, punto 117, e del 25 novembre 2014, Orange/Commissione, T‑402/13, EU:T:2014:991, punto 22).

131    Le ricorrenti fanno valere, in sostanza, un’ingerenza sproporzionata nella loro sfera di attività privata tenuto conto delle società e dei locali sottoposti ad accertamento, della durata dell’accertamento controverso e della data presa in considerazione per l’accertamento.

1)      Sulle società e sui locali sottoposti ad accertamento

132    Le ricorrenti contestano alla Commissione di non aver identificato in modo individuale, nella decisione impugnata, né le persone cui essa si riferiva né i locali che i suoi agenti erano autorizzati a visitare. In tal modo, contrariamente alla sua stessa prassi, la Commissione avrebbe autorizzato sé medesima, nel caso di specie, a procedere ad un accertamento presso diverse centinaia di persone giuridiche distinte appartenenti al gruppo Casino e a visitare diverse migliaia di locali, la maggior parte dei quali privo di qualsiasi nesso con l’oggetto della decisione impugnata. Orbene, in forza della giurisprudenza, l’identificazione precisa dei locali che possono essere visitati e delle persone considerate dalle autorità è necessaria per limitare i poteri di ingerenza e per tutelare i singoli da violazioni arbitrarie dei pubblici poteri al diritto fondamentale all’inviolabilità del domicilio. Le ricorrenti aggiungono, a tal riguardo, che la definizione dell’oggetto dell’accertamento e, più in generale, la motivazione della decisione impugnata, per quanto siano precise, non possono ovviare alla mancanza di limitazione dei poteri della Commissione relativamente all’identificazione delle persone e dei locali che possono essere sottoposti ad accertamento. Esse sottolineano peraltro che la nozione di impresa non potrebbe ostare al rispetto dei diritti fondamentali connessi alla nozione di soggetto giuridico, persona fisica o giuridica.

133    Dalla decisione impugnata risulta in effetti che né le società né i locali sottoposti ad accertamento sono nominativamente designati. All’articolo 1, secondo comma, della decisione impugnata, viene quindi stabilito che l’«accertamento può aver luogo in qualsiasi locale dell’impresa», disposizione seguita dai termini «e in particolare», a loro volta seguiti da due indirizzi. Si menziona, peraltro, all’articolo 1, primo comma, e all’articolo 3, primo comma, della decisione impugnata, il fatto che «La Casino (...) nonché tutte le società da essa direttamente o indirettamente controllate» sono oggetto della decisione di accertamento.

134    Occorre rilevare, a tal riguardo, che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, le decisioni impugnate nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione (T‑135/09, EU:T:2012:596), e del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione (T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404), contengono riferimenti simili.

135    Orbene, la portata assai ampia dell’accertamento a cui portano siffatti riferimenti non è stata considerata dalla giurisprudenza come costitutiva, in quanto tale, di un’ingerenza eccessiva nella sfera di attività privata delle imprese.

136    Infatti, da una giurisprudenza costante a partire dalla sentenza del 21 settembre 1989, Hoechst/Commissione (46/87 e 227/88, EU:C:1989:337, punto 26) risulta che tanto dallo scopo del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 1962, 13, pag. 204), e del regolamento n. 1/2003, che gli è succeduto, quanto dall’elenco, contenuto nell’articolo 14 del regolamento n. 17 e nell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, dei poteri attribuiti agli agenti della Commissione emerge che gli accertamenti possono avere una portata molto ampia. A tal riguardo, il diritto di accedere a tutti i locali, terreni e mezzi di trasporto delle imprese riveste un’importanza particolare in quanto deve consentire alla Commissione di raccogliere le prove delle infrazioni alle regole di concorrenza nei luoghi in cui queste si trovano normalmente, vale a dire nei locali commerciali delle imprese (sentenza del 12 luglio 2007, CB/Commissione, T‑266/03, non pubblicata, EU:T:2007:223, punto 71, e ordinanza del 16 giugno 2010, Biocaps/Commissione, T‑24/09, non pubblicata, EU:T:2010:238, punto 32).

137    Da tale giurisprudenza risulta altresì che, sebbene i regolamenti nn. 17 e 1/2003 attribuiscano in tal modo alla Commissione ampi poteri di indagine, l’esercizio di detti poteri è soggetto a condizioni idonee a garantire il rispetto dei diritti delle imprese interessate (sentenza del 21 settembre 1989, Hoechst/Commissione, 46/87 e 227/88, EU:C:1989:337, punto 28; v. altresì, in tal senso, sentenza del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione, T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punti da 74 a 99).

138    In particolare, occorre rilevare l’obbligo imposto alla Commissione di indicare l’oggetto e lo scopo dell’accertamento, il quale costituisce un’esigenza fondamentale allo scopo non solo di evidenziare il carattere motivato dell’azione prevista nei locali delle imprese interessate, ma anche di consentire ad esse di comprendere la portata del loro dovere di collaborazione pur facendo salvi al contempo i diritti della difesa (v., per quanto riguarda il regolamento n. 17, sentenza del 21 settembre 1989, Hoechst/Commissione, 46/87 e 227/88, EU:C:1989:337, punto 29).

139    Occorre rilevare, inoltre, che le condizioni richieste per l’esercizio dei poteri di accertamento della Commissione variano a seconda del procedimento da essa scelto, dell’atteggiamento delle imprese interessate e dell’intervento delle autorità nazionali (v., per quanto riguarda il regolamento n. 17, sentenza del 21 settembre 1989, Hoechst/Commissione, 46/87 e 227/88, EU:C:1989:337, punto 30).

140    L’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 fa riferimento, in primo luogo, ad accertamenti effettuati con la collaborazione prestata dalle imprese interessate o volontariamente, nel caso di mandato scritto di accertamento, o in forza di un obbligo stabilito da una decisione di accertamento. In quest’ultima ipotesi, che si verifica nel caso di specie, gli agenti della Commissione possono, in particolare, farsi presentare i documenti da essi richiesti, accedere ai locali da essi scelti e farsi mostrare il contenuto dei mobili da essi indicati. Per contro, non possono forzare l’accesso a locali o a mobili o costringere il personale dell’impresa a consentire loro tale accesso né procedere a perquisizioni senza l’autorizzazione dei responsabili dell’impresa (v., per quanto riguarda il regolamento n. 17, sentenza del 21 settembre 1989, Hoechst/Commissione, 46/87 e 227/88, EU:C:1989:337, punto 31).

141    La situazione è del tutto diversa quando la Commissione incontra l’opposizione delle imprese interessate. In questo caso, gli agenti della Commissione, in base all’articolo 20, paragrafo 6, del regolamento n. 1/2003, possono cercare, senza la collaborazione delle imprese, tutti gli elementi di informazione necessari all’accertamento col concorso delle autorità nazionali, che devono prestare l’assistenza necessaria per l’esecuzione del loro mandato. Benché detta assistenza sia necessaria soltanto qualora l’impresa manifesti la propria opposizione, occorre aggiungere che l’assistenza può essere chiesta anche in via preventiva, in forza dell’articolo 20, paragrafo 7, del regolamento n. 1/2003, allo scopo di superare l’eventuale opposizione dell’impresa (v., per quanto riguarda il regolamento n. 17, sentenza del 21 settembre 1989, Hoechst/Commissione, 46/87 e 227/88, EU:C:1989:337, punto 32).

142    La censura dedotta dalle ricorrenti comporta, pertanto, la necessità di rispondere alla questione se la Commissione dovesse, nella fattispecie, a titolo di garanzie dirette a proteggerle da ingerenze sproporzionate, specificare più precisamente le società e i locali oggetto dell’accertamento.

143    Occorre rispondere a tale questione in senso negativo per le seguenti ragioni.

144    Anzitutto, le indicazioni contenute nella decisione impugnata consentono, considerate congiuntamente, di determinare le società e i locali interessati dall’accertamento. Infatti, grazie alla specificazione dell’oggetto e dello scopo dell’accertamento e, in particolare, dei mercati dei prodotti e dei servizi interessati, nonché alla precisazione secondo la quale sono interessati la Casino e le sue controllate nonché i loro locali, si può facilmente dedurre dalla decisione impugnata che sono interessate dall’accertamento la Casino e le sue controllate attive nei settori oggetto della presunta infrazione – vale a dire i mercati dell’approvvigionamento di beni di largo consumo (prodotti alimentari, prodotti per l’igiene e prodotti per la pulizia), quelli della vendita ai consumatori di tali beni e quello della vendita di servizi ai fabbricanti di prodotti di marca nel settore dei beni di largo consumo – e che l’accertamento potrà essere effettuato in tutti i loro locali. Quando gli agenti della Commissione si sono recati nei locali delle società interessate dopo aver loro notificato la decisione impugnata, queste ultime sono state messe in condizione di verificare l’oggetto e l’ampiezza dell’intervento svolto nei loro locali, di comprendere la portata del loro dovere di collaborazione e di far valere le loro osservazioni. Specificazioni più precise sull’ambito dell’accertamento non erano pertanto indispensabili per la tutela dei diritti delle ricorrenti.

145    Devono essere inoltre respinte, di conseguenza, le censure delle ricorrenti secondo le quali l’ambito dell’accertamento era, a causa della mancata specificazione delle società e dei locali interessati, troppo ampio. Si può altresì rilevare, a tal riguardo, che la Commissione ha preso in considerazione, nella decisione impugnata, l’argomento di base del diritto della concorrenza costituito dall’impresa, comprendente il più delle volte una società controllante nonché la sua controllata o le sue controllate, alla quale possono essere imputate le infrazioni e, in particolare, le presunte infrazioni nel caso di specie, giustificando pertanto il fatto che siano menzionate nella decisione impugnata tanto la società controllante Casino quanto le sue controllate.

146    Inoltre, la mancanza di precisione nella designazione delle società e dei locali interessati contribuisce al corretto svolgimento degli accertamenti della Commissione, in quanto le attribuisce il margine di manovra necessario per la raccolta del massimo di prove possibili e consente di preservare un effetto sorpresa indispensabile per prevenire il rischio di distruzione o di occultamento di tali prove. Pertanto, nel caso in cui la Commissione non fosse stata in grado di determinare nella fase di adozione della decisione di accertamento, che si colloca molto più a monte dell’individuazione di un’infrazione e dei suoi protagonisti, le società del gruppo che avrebbero potuto prendervi parte e nel caso in cui essa avesse scoperto in occasione dell’accertamento nei locali di una delle società interessate che una delle società a quest’ultima collegata potrebbe aver svolto anch’essa un ruolo nella suddetta infrazione, essa avrebbe potuto effettuare un accertamento nei locali di quest’altra società sul fondamento della stessa decisione di accertamento, vale a dire, al contempo, rapidamente e gestendo un effetto sorpresa, grazie a tale scarto temporale, da cui la società sottoposta ad accertamento in un secondo tempo poteva dedurre che non sarebbe stata oggetto dell’accertamento (v, per il richiamo dell’importanza della rapida esecuzione delle decisioni di accertamento, che riducono al minimo i rischi di fughe, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Deutsche Bahn e a./Commissione, C‑583/13 P, EU:C:2015:92, paragrafo 62).

147    Infine, occorre rilevare che le ordinanze del 17 febbraio 2017 dei juges des libertés et de la détention des tribunaux de grande instance de Créteil et de Paris (giudici competenti per l’adozione di misure restrittive della libertà personale presso i tribunali di primo grado di Créteil e di Parigi) (v. supra, punto 5), che hanno autorizzato le visite e i sequestri di cui trattasi a titolo preventivo, in caso di opposizione all’accertamento, specificano espressamente e tassativamente i locali nei quali tali visite e tali sequestri potranno essere effettuati. Ne consegue che, conformemente alla giurisprudenza del giudice dell’Unione di cui al precedente punto 141, ma anche alla giurisprudenza della Corte EDU, dei giudici tedesco e francese nonché alla normativa francese invocate dalle ricorrenti, qualora l’ingerenza determinata dall’accertamento sia più consistente, nella fattispecie in quanto effettuata nonostante l’opposizione delle società sottoposte ad accertamento facendo ricorso alla forza pubblica in base all’articolo 20, paragrafi da 6 a 8, del regolamento n. 1/2003, è riconosciuta una garanzia supplementare consistente nella designazione dei locali visitati. Tuttavia, nel caso di specie, poiché le ricorrenti non si sono opposte all’accertamento al punto da obbligare la Commissione ad avvalersi delle summenzionate ordinanze e dei mezzi coercitivi che esse le concedono, tale garanzia supplementare non ha ragion d’essere. Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, siffatta soluzione non contravviene al «principio» secondo cui la tutela del diritto all’inviolabilità del domicilio implica una disciplina tanto più rigorosa dei poteri di accertamento in quanto questi ultimi sono attuati senza previa autorizzazione giudiziaria. Infatti, come risulta dalla giurisprudenza della Corte EDU invocata in tal senso dalle ricorrenti (Corte EDU, 10 novembre 2015, Slavov e a. c. Bulgaria, CE:ECHR:2015:1110JUD005850010, punti da 144 a 146, e 16 febbraio 2016, Govedarski c. Bulgaria, CE:ECHR:2016:0216JUD003495712, punti da 81 a 83), una siffatta disciplina ha ad oggetto l’effettività del controllo esercitato a posteriori dal giudice e non implica di per sé che tale controllo dia luogo alla concessione di garanzie supplementari (v. altresì, in tal senso, punto 53 supra).

148    La presente censura, relativa alle persone e ai locali sottoposti ad accertamento, deve essere pertanto respinta in quanto infondata, senza che occorra pronunciarsi sulla sua ricevibilità, contestata dalla Commissione.

2)      Sulla durata dell’ispezione

149    Le ricorrenti contestano alla Commissione di non aver fissato, contrariamente alla giurisprudenza e alla propria prassi, alcun limite temporale alla sua ingerenza nel diritto fondamentale all’inviolabilità del domicilio da essa autorizzata. Infatti, la decisione impugnata prevedrebbe unicamente la data a partire dalla quale l’accertamento poteva avere inizio e non fisserebbe alcun termine finale, né alcuna durata massima, cosicché l’accertamento non era terminato alla data di proposizione del presente ricorso, circostanza che, del resto, la Commissione non avrebbe mancato di ricordare alle ricorrenti. Queste ultime escludono peraltro che la durata illimitata dei poteri della Commissione possa essere validamente giustificata dall’effettività degli accertamenti, basandosi in particolare su vari diritti nazionali che prevedono una limitazione nel tempo dei poteri di accertamento dell’amministrazione.

150    Occorre rilevare che – al pari della decisione di accertamento oggetto della sentenza del 6 settembre 2013, Deutsche Bahn e a./Commissione (T‑289/11, T‑290/11 e T‑521/11, EU:T:2013:404, punti 4, 14 e 21), la quale, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, contiene un riferimento simile – la decisione impugnata prevede, all’articolo 2, che «[l]’accertamento può avere inizio il 20 febbraio 2017 o poco tempo dopo», senza fissare la data in cui l’accertamento deve concludersi.

151    Va ricordato che un riferimento simile è conforme all’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento n. 1/2003, il quale richiede soltanto che la decisione di accertamento «fissi la data di inizio» (v. supra, punto 109).

152    Si deve inoltre rilevare che il Tribunale ha dichiarato che la mancanza di precisazioni quanto alla data di conclusione dell’accertamento non significava che quest’ultima potesse estendersi illimitatamente nel tempo, dato che la Commissione era tenuta, in proposito, al rispetto di un termine ragionevole, conformemente all’articolo 41, paragrafo 1, della Carta (sentenza del 12 luglio 2018, Nexans France e Nexans/Commissione, T‑449/14, con impugnazione pendente, EU:T:2018:456, punto 69).

153    Ne consegue una delimitazione temporale, circoscritta dalla data di inizio dell’accertamento fissata nella decisione di accertamento e dal limite del termine ragionevole, che garantisce sufficientemente la mancanza di ingerenza sproporzionata nella sfera di attività privata delle imprese.

154    Una simile delimitazione temporale consente inoltre di garantire pienamente l’effettività dei poteri di indagine della Commissione. Infatti, il limite del termine ragionevole, essendo valutato a posteriori e in funzione delle circostanze del caso di specie, consente di prendere in considerazione la circostanza che la durata dell’accertamento non può essere nota in anticipo, in quanto dipende dal volume d’informazioni raccolte in loco e da eventuali comportamenti ostruzionistici posti in essere dall’impresa interessata.

155    Si può certamente ammettere, al pari delle ricorrenti, che stabilire a priori una durata dell’accertamento non rimette di per sé in discussione l’effettività degli accertamenti. Tuttavia, al fine di garantire tale effettività alla luce della circostanza menzionata al punto precedente, tale durata fissata a priori sarebbe probabilmente più lunga della durata effettiva dell’accertamento nel caso di specie, in tal caso meno di cinque giorni, il che non sarebbe conforme a una garanzia contro ingerenze sproporzionate.

156    Si può aggiungere che la giurisprudenza della Corte EDU e di diversi giudici nazionali nonché le normative nazionali citate dalle ricorrenti non possono rimettere in discussione tali considerazioni. Infatti, esse vertono tutte su operazioni di visita o di sequestro effettuate sotto costrizione, implicanti una maggiore ingerenza rispetto all’accertamento che è stato deciso nel caso di specie senza che gli agenti della Commissione si siano avvalsi dell’articolo 20, paragrafi da 6 a 8, del regolamento n. 1/2003 e dei mezzi coercitivi nazionali ai quali esso consente di ricorrere (v. supra, punto 53). È quindi significativo che le ordinanze dei juges des libertés et de la détention (giudici competenti per l’adozione di misure restrittive della libertà personale) di cui al punto 147 supra, adottate nel caso di specie in via preventiva per essere utilizzate in caso di opposizione all’accertamento, ma che non sono state utilizzate nel caso di specie in mancanza di siffatta opposizione (articolo 20, paragrafo 7, del regolamento n. 1/2003), fissano tutte una data di scadenza per la realizzazione delle operazioni di visita e di sequestro.

157    La censura relativa alla durata dell’accertamento deve essere, pertanto, respinta.

3)      Sulla data dell’accertamento

158    Le ricorrenti sostengono che la data di inizio dell’accertamento prevista nella decisione impugnata viola il principio di proporzionalità, in quanto precederebbe immediatamente la data in cui la prima ricorrente doveva concludere la negoziazione dei suoi accordi annuali con i fornitori, vale a dire il 1° marzo, e che essa avrebbe privato diversi suoi responsabili incaricati di tali negoziazioni dei loro strumenti di lavoro al momento dello svolgimento delle trattative finali.

159    Si deve ritenere che le ricorrenti non abbiano dimostrato gli inconvenienti sproporzionati e intollerabili da esse lamentati. Orbene, esse non possono limitarsi, a tal riguardo, a semplici affermazioni alle quali non è associato alcun vero elemento probatorio (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2014, Cementos Portland Valderrivas/Commissione, T‑296/11, EU:T:2014:121, punto 103).

160    Infatti, le ricorrenti dimostrano unicamente che diversi responsabili degli acquisti sono stati privati dei loro telefoni e computer professionali per un giorno e mezzo al massimo. Orbene, quand’anche tali persone svolgessero un ruolo rilevante nelle trattative in questione, tale durata della privazione di taluni dei loro strumenti di lavoro è assai breve alla luce della durata abituale di questo tipo di trattative, in media di cinque mesi (dal 1° ottobre al 1° marzo dell’anno successivo). Non viene peraltro affermato, né tantomeno dimostrato, che tali persone non siano state in grado di condurre dette trattative durante tale periodo e per tutta la durata dell’accertamento, in particolare mediante contatti diretti in loco, la cui possibilità è dimostrata dal fatto che le ricorrenti hanno riconosciuto in udienza che le loro controparti negoziali si trovavano nei loro locali al momento dell’accertamento. Ne deriva quindi, tutt’al più, un ostacolo nello svolgimento delle negoziazioni di cui trattasi. Ciò vale a maggior ragione in quanto, nel tipo di trattative in questione, le ultime ore prima della scadenza sono le più importanti e l’accertamento controverso è terminato, nel caso di specie, due giorni lavorativi prima della scadenza del 1° marzo ai quali si aggiungeva anche un fine settimana, generalmente utilizzato, anch’esso, per tentare di giungere ad un accordo.

161    Inoltre, la sola presunta alternativa meno restrittiva, proposta dalle ricorrenti, consistente nel far iniziare l’accertamento dopo il termine ultimo di conclusione degli accordi con i fornitori, non può essere considerata tale.

162    Infatti, ancorché probabilmente meno restrittivo per le ricorrenti, tale rinvio dell’accertamento non costituisce una vera e propria alternativa alla data di accertamento considerata dalla decisione impugnata. Come chiarito dalla Commissione nei suoi scritti difensivi, la data considerata nel caso di specie lo è stata intenzionalmente, al fine di avere accesso al numero massimo di dipendenti e di dirigenti interessati dalle presunte infrazioni, la cui presenza sarebbe stata garantita sia dalla fine delle vacanze scolastiche sia soprattutto dall’imminenza della scadenza del 1° marzo per la conclusione degli accordi commerciali summenzionati.

163    Ne deriva che la censura relativa alla data dell’accertamento considerata deve essere respinta così come, di conseguenza, tutte le censure che contestano il carattere sproporzionato della decisione impugnata.

b)      Sul possesso di indizi sufficientemente gravi da parte della Commissione 

164    Occorre ricordare che la Commissione non ha l’obbligo di indicare, nella fase di indagine preliminare, oltre alle presunte infrazioni che intende verificare, gli indizi, vale a dire gli elementi che la inducono a considerare l’ipotesi di una violazione dell’articolo 101 TFUE, dal momento che un siffatto obbligo rimetterebbe in discussione l’equilibrio che il legislatore e il giudice dell’Unione hanno inteso stabilire tra la salvaguardia dell’efficacia dell’indagine e la salvaguardia dei diritti della difesa dell’impresa interessata (v. supra, punti 85 e 86).

165    Non se ne può tuttavia dedurre che la Commissione non debba essere, prima dell’adozione di una decisione di accertamento, in possesso di elementi che la inducano a prevedere l’ipotesi di una violazione dell’articolo 101 TFUE. Infatti, al fine di rispettare il diritto all’inviolabilità del domicilio delle imprese sottoposte ad accertamento, una decisione di accertamento deve mirare a raccogliere la documentazione necessaria per accertare la verità e la portata di determinate situazioni di fatto e di diritto in merito alle quali la Commissione dispone già di informazioni, che costituiscono indizi sufficientemente seri da legittimare il sospetto di un’infrazione alle regole di concorrenza (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Orange/Commissione, T‑402/13, EU:T:2014:991, punti da 82 a 84 e giurisprudenza ivi citata).

166    Spetta quindi al giudice dell’Unione, al fine di assicurarsi che la decisione di accertamento non presenti carattere arbitrario, vale a dire che essa non sia stata adottata in mancanza di qualsiasi circostanza di fatto e di diritto che possa giustificare un accertamento, verificare se la Commissione disponesse di indizi sufficientemente seri da legittimare il sospetto di un’infrazione alle regole di concorrenza da parte dell’impresa interessata (v., in tal senso, sentenze del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione, T‑135/09, EU:T:2012:596, punto 43, e del 20 giugno 2018, České dráhy/Commissione, T‑325/16, EU:T:2018:368, punto 48).

167    Nel caso di specie, le ricorrenti ritengono che talune differenze tra il contenuto della decisione impugnata e l’oggetto dell’accertamento effettivamente realizzato consentano di dedurre che la Commissione non disponeva, al momento di detta decisione, di indizi sufficientemente gravi per sospettare l’esistenza di almeno alcune delle infrazioni ivi enunciate. Orbene, l’esigenza di tutela contro interventi arbitrari dei pubblici poteri nella sfera di attività privata vieterebbe alla Commissione di ordinare un accertamento qualora non disponesse di indizi gravi che legittimassero il sospetto di un’infrazione alle norme sulla concorrenza e spetterebbe al Tribunale accertarsi concretamente che la Commissione disponesse di tali indizi.

168    Occorre, pertanto, stabilire quali fossero gli indizi in possesso della Commissione e sulla base dei quali essa ha ordinato l’accertamento controverso, prima di procedere alla valutazione della loro natura sufficientemente grave da sospettare le infrazioni di cui trattasi e giustificare legittimamente l’adozione della decisione impugnata.

1)      Sulla determinazione degli indizi in possesso della Commissione

169    Occorre precisare che, in risposta alle misure di organizzazione del procedimento adottate dal Tribunale il 3 dicembre 2018 nonché il 13 maggio e il 25 settembre 2019, al fine di verificare se la Commissione disponesse di indizi sufficientemente gravi da giustificare l’adozione della decisione impugnata, essa ha prodotto, il 10 gennaio, il 5 giugno e il 18 ottobre 2019, i seguenti documenti:

–        taluni resoconti di colloqui da essa tenuti nel 2016 e nel 2017 con tredici fornitori dei prodotti di largo consumo interessati, che concludono regolarmente accordi con la Casino e la Intermarché (allegati da Q.1 a Q.13 della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019; in prosieguo: i «resoconti»);

–        taluni scambi di messaggi di posta elettronica diretti a stabilire le date dei colloqui in questione e comprendenti il questionario della Commissione che ha costituito la base di tali colloqui (allegati da R.1 a R.14 della risposta della Commissione del 5 giugno 2019);

–        un messaggio di posta elettronica del 22 novembre 2016 del direttore generale di un’associazione di fornitori, che ricostruisce i movimenti e i rapporti tra le insegne della grande distribuzione all’interno, in particolare, di associazioni di grandi distributori, circostanze che sarebbero «tali da ridurre il livello di incertezza esistente (…) tra alcuni attori della distribuzione» (allegato Q.14 della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019, come integrata dalle risposte della Commissione del 5 giugno e del 18 ottobre 2019; in prosieguo: il «messaggio di posta elettronica del direttore dell’associazione N»), corredato di vari allegati, ossia una presentazione schematica dei partecipanti e dello svolgimento della «convenzione Intermarché» del 21 settembre 2016 (in prosieguo: la «convenzione Intermarché» o la «convenzione») (allegato Q.15 della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019), una tabella riassuntiva dei trasferimenti di insegne tra alleanze internazionali, accompagnata da varie tabelle indicanti, per ogni alleanza internazionale, le potenziali fonti di informazione che potevano risultare da trasferimenti di collaboratori, da trasferimenti di insegne o da accordi locali tra insegne membri di alleanze diverse (allegato Q.16 della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019), un articolo di stampa dell’ottobre 2016 che riporta le dichiarazioni di un direttore di insegna (allegato Q.17 della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019) e una tabella che ricostruisce i movimenti di personale tra le insegne (allegato Q.18 della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019);

–        varie tabelle che riportano i passaggi pertinenti dei documenti prodotti in allegato alla risposta della Commissione del 10 gennaio 2019 al fine di presentare in modo sintetico gli indizi relativi a ciascuna delle presunte infrazioni, vale a dire:

–        gli scambi tra la ICDC (Casino) e l’AgeCore (Intermarché) riguardanti gli sconti sui mercati dell’approvvigionamento e i prezzi di vendita di servizi ai fabbricanti di prodotti di marca a livello europeo, in particolare in Francia (in prosieguo: la «prima infrazione») [articolo 1, lettera a), della decisione impugnata; tabella 1 allegata alla risposta della Commissione del 5 giugno 2019],

–        gli scambi tra la Casino e la Intermarché riguardanti le future strategie commerciali in Francia (in prosieguo: la «seconda infrazione») [articolo 1, lettera b), della decisione impugnata; tabella 2 allegata alla risposta della Commissione del 5 giugno 2019].

170    La Commissione ha peraltro depositato, il 19 dicembre 2019, una «risposta complementare» al quesito del Tribunale del 13 maggio 2019 (v. supra, punto 19). Tale risposta comprendeva, da un lato, una nota interna della direzione generale della concorrenza della Commissione del 16 dicembre 2016 che menzionava i colloqui di cui sopra condotti con i fornitori e i sospetti di infrazione dedotti, che dimostrerebbe, secondo la Commissione, che essa disponeva di indizi sufficientemente gravi da legittimare il sospetto di dette infrazioni alla data della decisione impugnata e, dall’altro, diversi documenti diretti a dimostrare la data di finalizzazione dei resoconti. Le ricorrenti ritengono che tale risposta complementare, prodotta senza giustificazione dalla Commissione dopo la chiusura della fase scritta del procedimento, sia tardiva e, di conseguenza, irricevibile.

171    Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 85, paragrafi 1 e 3, del regolamento di procedura, le prove sono presentate nell’ambito del primo scambio di memorie, e le parti principali possono ancora, in via eccezionale, produrre prove prima della chiusura della fase orale del procedimento, a condizione che il ritardo nella presentazione delle stesse sia giustificato.

172    È vero che tale giustificazione della presentazione tardiva di elementi di prova dopo il primo scambio di memorie non può essere richiesta quando questi ultimi sono prodotti in risposta ad una misura di organizzazione del procedimento entro il termine prescritto per tale risposta (v., in tal senso, sentenze del 16 ottobre 2018, OY/Commissione, T‑605/16, non pubblicata, EU:T:2018:687, punti 31, 34 e 35, e del 24 ottobre 2018, Epsilon International/Commissione, T‑477/16, non pubblicata, EU:T:2018:714, punto 57).

173    Tuttavia, nei casi in cui l’elemento di prova prodotto non risponda al quesito del Tribunale (v., in tal senso, sentenze del 10 aprile 2018, Alcogroup e Alcodis/Commissione, T‑274/15, non pubblicata, EU:T:2018:179, punti 49, 50, 54 e 55, e del 7 febbraio 2019, RK/Consiglio, T‑11/17, EU:T:2019:65, punto 54) o risponda a tale quesito dopo la scadenza del termine di risposta fissato dalla misura di organizzazione del procedimento (sentenza del 9 aprile 2019, Close e Cegelec/Parlamento, T‑259/15, non pubblicata, con impugnazione pendente, EU:T:2019:229, punto 34), l’obbligo di giustificazione della tardività riprende ad essere applicato.

174    Orbene, nel caso di specie, quand’anche si dovesse considerare, come afferma la Commissione, che la sua risposta complementare del 19 dicembre 2019 mirava a integrare quella del 5 giugno 2019 e non quella del 10 gennaio 2019, che rispondeva già ad un quesito del Tribunale che la invitava a produrre gli indizi che avevano giustificato l’adozione della decisione impugnata, occorre rilevare che tale risposta complementare è stata depositata più di sei mesi dopo la scadenza del termine impartito dal Tribunale nella sua misura di organizzazione del procedimento del 13 maggio 2019, che scadeva il 5 giugno 2019.

175    Ne consegue che la Commissione doveva giustificare la produzione tardiva dei documenti allegati alla sua risposta complementare del 19 dicembre 2019 e che la necessità di siffatta giustificazione nel caso di specie non può essere rimessa in discussione dalla giurisprudenza citata dalla Commissione in udienza.

176    Infatti, nelle sentenze citate, erano interessati o documenti prodotti entro il termine impartito dalla misura di organizzazione del procedimento, i quali, pertanto, non erano stati prodotti tardivamente (sentenze del 24 ottobre 2018, Epsilon International/Commissione, T‑477/16, non pubblicata, EU:T:2018:714, punti 35 e 57; del 5 marzo 2019, Pethke/EUIPO, T‑169/17, non pubblicata, con impugnazione pendente, EU:T:2019:135, punti 26, 36 e 40, e del 28 marzo 2019, Pometon/Commissione, T‑433/16, con impugnazione pendente, EU:T:2019:201, punti 27, 28 e 328), o documenti depositati spontaneamente giustificando debitamente il loro deposito tardivo (sentenza del 24 ottobre 2018, Epsilon International/Commissione, T‑477/16, non pubblicata, EU:T:2018:714, punti 32 e 58).

177    Tuttavia, nel caso di specie, la Commissione non ha fornito alcuna giustificazione della tardività del deposito della sua risposta complementare del 19 dicembre 2019, limitandosi a presentare in tale documento le sue scuse al Tribunale per i disagi che tale deposito avrebbe potuto causare. Peraltro, anche supponendo che debba essere presa in considerazione la giustificazione addotta in udienza in risposta ad un quesito del Tribunale, secondo cui la tardività del deposito sarebbe stata dovuta a un malfunzionamento interno della Commissione, una simile giustificazione non può validamente fondare la ricevibilità della risposta complementare in questione. Infatti, tale affermazione, che si riferisce a difficoltà puramente interne, non corrisponde a circostanze eccezionali tali da consentire la produzione di elementi di prova in esito al secondo scambio di memorie [v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 2017, Biogena Naturprodukte/EUIPO (ZUM wohl), T‑236/16, EU:T:2017:416, punto 19] e, per giunta, non è affatto dimostrata da elementi di prova che sarebbero stati forniti dalla Commissione (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2019, HX/Consiglio, C‑540/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:707, punti 66 e 67). Inoltre, la data del principale documento prodotto il 19 dicembre 2019, ossia la nota interna della Commissione del 16 dicembre 2016 (v. supra, punto 170) indica che quest’ultima lo deteneva ben prima dell’avvio del giudizio e che era in grado di produrlo prima della chiusura della fase scritta del procedimento, entro i termini fissati per il deposito delle sue memorie, e a fortiori in risposta alle misure di organizzazione del procedimento successive. Peraltro, sebbene le ricorrenti siano state messe in condizione dal Tribunale di presentare le loro osservazioni sulla risposta complementare della Commissione del 19 dicembre 2019, in particolare sulla sua ricevibilità, per iscritto e in udienza, conformemente al principio del carattere contraddittorio del procedimento, tale circostanza non può esonerare la Commissione dall’obbligo di presentare gli elementi a sostegno della legittimità della decisione impugnata alle condizioni fissate dal regolamento di procedura.

178    Si può inoltre aggiungere, anche se la Commissione non lo ha fatto valere, che i documenti allegati alla risposta complementare del 19 dicembre 2019 non possono essere qualificati come prove contrarie non rientranti nella regola di decadenza di cui all’articolo 85, paragrafo 3, del regolamento di procedura (ordinanze del 21 marzo 2019, Troszczynski/Parlamento, C‑462/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:239, punto 39, e del 21 maggio 2019, Le Pen/Parlamento, C‑525/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:435, punto 48). Infatti, il Tribunale ha dato modo alla Commissione, con le sue misure di organizzazione del procedimento del 13 maggio e del 25 settembre 2019, di rispondere alle obiezioni sollevate dalle ricorrenti riguardo al possesso di indizi che giustificavano l’accertamento controverso, cosa che la Commissione avrebbe quindi potuto fare con le sue risposte del 5 giugno e del 18 ottobre 2019, tanto più che il principale documento prodotto il 19 dicembre 2019 risaliva al 16 dicembre 2016 (v. supra, punto 177).

179    Pertanto, la risposta complementare della Commissione del 19 dicembre 2019 deve essere respinta in quanto irricevibile.

180    Ne consegue che, ai fini della valutazione del carattere sufficientemente grave degli indizi che hanno giustificato l’adozione della decisione impugnata, saranno presi in considerazione solo quelli esposti al punto 169 supra.

2)      Sulla valutazione del carattere sufficientemente grave degli indizi in possesso della Commissione

181    Invitate a presentare le loro osservazioni sugli indizi prodotti dalla Commissione su richiesta del Tribunale, le ricorrenti hanno fatto valere che i documenti di cui trattasi erano viziati da gravi irregolarità formali, connesse in particolare alla mancata registrazione dei colloqui che hanno dato luogo ai resoconti prodotti e alla mancata fissazione della data di detti resoconti. Esse contestano, a tal riguardo, la giurisprudenza invocata dalla Commissione a sostegno della sua affermazione secondo cui la data pertinente per la valutazione del possesso di indizi per le presunte infrazioni è quella dei colloqui con i vari fornitori, e non quella in cui essa ha redatto il resoconto di tali colloqui. Le ricorrenti ritengono peraltro che gli indizi prodotti, relativi alla convenzione Intermarché organizzata dalla Intermarché e destinata ai suoi fornitori, non giustificassero un accertamento relativo a presunti scambi nazionali di informazioni concernenti le strategie commerciali future, cosicché la decisione impugnata dovrebbe essere annullata almeno per quanto riguarda la seconda presunta infrazione. Esse aggiungono che l’adozione, da parte della Commissione, il 13 maggio 2019, di una nuova decisione di ispezione dei loro locali, vertente proprio su tali scambi nazionali di informazioni, rivelerebbe che la Commissione non disponeva di indizi sufficientemente gravi per sospettare l’esistenza di detti scambi.

182    Occorre sottolineare, in via preliminare, che la valutazione della natura sufficientemente grave degli indizi a disposizione della Commissione deve essere effettuata prendendo in considerazione la circostanza che la decisione di accertamento si inserisce nell’ambito della fase di indagine preliminare, destinata a consentire alla Commissione di raccogliere tutti gli elementi pertinenti che confermino o meno l’esistenza di un’infrazione alle norme sulla concorrenza e di prendere una posizione iniziale sull’orientamento nonché sull’ulteriore seguito da dare al procedimento.

183    Pertanto, non si può, in questa fase, esigere che la Commissione sia, prima dell’adozione di una decisione di accertamento, in possesso di elementi che dimostrino l’esistenza di un’infrazione. Tale livello di prova è richiesto, nella fase della comunicazione degli addebiti, ad un’impresa sospettata di aver commesso un’infrazione alle regole di concorrenza e per le decisioni della Commissione in cui essa constata l’esistenza di un’infrazione e infligge ammende. Per contro, per adottare una decisione di accertamento ai sensi dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003, è sufficiente che la Commissione disponga di elementi e di indizi sostanziali gravi che la inducono a sospettare l’esistenza di un’infrazione (sentenze del 29 febbraio 2016, EGL e a./Commissione, T‑251/12, non pubblicata, EU:T:2016:114, punto 149, e del 20 giugno 2018, České dráhy/Commissione, T‑325/16, EU:T:2018:368, punto 66). Si devono quindi distinguere, da un lato, le prove di un’infrazione e, dall’altro, gli indizi tali da far sorgere un ragionevole sospetto quanto al verificarsi di presunte infrazioni (v., per analogia, sentenza del 14 marzo 2014, Cementos Portland Valderrivas/Commissione, T‑296/11, EU:T:2014:121, punto 43) o, secondo un’altra terminologia parimenti adottata dalla giurisprudenza, idonei a creare un principio di sospetto vertente su un comportamento anticoncorrenziale (v., in tal senso, sentenza del 29 febbraio 2016, EGL e a./Commissione, T‑251/12, non pubblicata, EU:T:2016:114, punti 153 e 155).

184    Di conseguenza, occorre verificare nel caso di specie se, al momento dell’adozione della decisione impugnata, la Commissione disponesse di tali gravi indizi idonei a creare un sospetto di infrazione. In tale contesto non è richiesto l’esame del possesso di prove tali da dimostrare l’esistenza delle infrazioni di cui trattasi.

185    Tale distinzione ha conseguenze sui requisiti relativi alla forma, all’autore e al contenuto degli indizi che giustificano le decisioni di accertamento, i quali sono tutti considerati dalle ricorrenti come non rispettati nel caso di specie.

i)      Sulla forma degli indizi che hanno giustificato la decisione impugnata

186    Dalla distinzione tra prove di un’infrazione e indizi su cui si fonda una decisione di accertamento risulta che questi ultimi non possono essere sottoposti allo stesso grado di formalismo relativo, in particolare, al rispetto delle norme imposte dal regolamento n. 1/2003 e dalla giurisprudenza pronunciata in base a tale regolamento in merito ai poteri di indagine della Commissione. Se fosse richiesto lo stesso formalismo per la raccolta degli indizi che precedono un accertamento e per la raccolta delle prove di un’infrazione, ciò implicherebbe infatti che la Commissione debba rispettare norme che disciplinano i suoi poteri di indagine, mentre nessuna indagine ai sensi del capo V del regolamento n. 1/2003 è stata ancora formalmente avviata e la Commissione non ha ancora fatto uso dei poteri di indagine che le sono conferiti, in particolare, dagli articoli da 18 a 20 del regolamento n. 1/2003, vale a dire non ha adottato misure che implichino l’addebito di una violazione, in particolare una decisione di accertamento.

187    Tale definizione del termine iniziale di un’indagine e della fase di indagine preliminare deriva da una giurisprudenza costante richiamata al punto 88 supra, ancora confermata di recente (sentenza del 12 luglio 2018, The Goldman Sachs Group/Commissione, T‑419/14, con impugnazione pendente, EU:T:2018:445, punto 241), ma già sancita in precedenza dalle sentenze della Corte (sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 182, e del 21 settembre 2006, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione, C‑105/04 P, EU:C:2006:592, punto 38), nonché del Tribunale (sentenza del 16 giugno 2011, Heineken Nederland e Heineken/Commissione, T‑240/07, EU:T:2011:284, punto 288), alcune delle quali si basavano sulla giurisprudenza della Corte EDU.

188    Così, una dichiarazione effettuata nell’ambito di una denuncia scritta (v., in tal senso, sentenza del 20 giugno 2018, České dráhy/Commissione, T‑325/16, EU:T:2018:368, punto 95), che può condurre all’avvio di un’indagine da parte della Commissione anche se non soddisfa i requisiti richiesti per la presentazione di denunce dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 [paragrafo 4 della comunicazione della Commissione sulla procedura applicabile alle denunce presentate alla Commissione ai sensi degli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2004, C 101, pag. 65) nonché una denuncia orale nell’ambito di una domanda di trattamento favorevole (v., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione, T‑135/09, EU:T:2012:596, punto 74) sono state considerate come costituenti, in linea di principio, indizi atti a giustificare validamente un accertamento.

189    Analogamente, nel caso di specie, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione non era tenuta a rispettare gli obblighi imposti dall’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 e dall’articolo 3 del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2004, L 123, pag. 18), come interpretati dalla sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632), e non era quindi tenuta a registrare i colloqui con i fornitori che avevano dato luogo ai resoconti secondo le modalità fissate da tali disposizioni (v. supra, punto 169, primo trattino).

190    Occorre ricordare che, in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, rientrante nel capo V di detto regolamento, intitolato «Poteri di indagine», «[p]er l’assolvimento dei compiti affidatile dal presente regolamento, la Commissione può sentire ogni persona fisica o giuridica che vi acconsenta ai fini della raccolta di informazioni relative all’oggetto di un’indagine».

191    L’articolo 3 del regolamento n. 773/2004 precisa:

«1.      Quando la Commissione sente una persona con il consenso di quest’ultima, ai sensi dell’articolo 19 del regolamento (CE) n. 1/2003, essa deve, all’inizio del colloquio, indicare la base giuridica e la finalità dello stesso e ricordarne la natura facoltativa. Essa informa inoltre la persona sentita qualora intenda effettuare una registrazione del colloquio.

2.      Il colloquio può svolgersi con qualsiasi mezzo, inclusi il telefono e le vie elettroniche.

3.      La Commissione può registrare in qualsiasi forma le dichiarazioni rese dalle persone sentite. Una copia dell’eventuale registrazione viene messa a disposizione della persona sentita per l’approvazione. All’occorrenza la Commissione può stabilire il termine entro il quale la persona sentita può comunicare eventuali correzioni da apportare alla dichiarazione resa».

192    È vero che da tali disposizioni e dalla sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punti da 84 a 91), risulta che grava sulla Commissione l’obbligo di registrare, nella forma di sua scelta, qualsiasi colloquio da essa svolto, ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, al fine di raccogliere informazioni relative all’oggetto di un’indagine da essa condotta, senza che occorra distinguere tra colloqui formali e colloqui informali che sfuggirebbero a tale obbligo.

193    Tuttavia, si deve rilevare che siffatto obbligo non si impone nel caso di colloqui condotti prima dell’avvio di un’indagine da parte della Commissione, la quale può essere caratterizzata, in particolare, dall’adozione di una decisione di accertamento.

194    Infatti, come risulta dalla formulazione stessa dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, i colloqui di cui trattasi sono quelli riguardanti la «raccolta di informazioni relative all’oggetto di un’indagine», che per definizione deve essere stata avviata e il cui oggetto deve essere stato fissato prima che siano condotti detti colloqui (v. anche, in tal senso, il manuale del procedimento in materia di politica della concorrenza della direzione generale «Concorrenza» della Commissione, capitolo 8, paragrafi 4, 5 e 22).

195    Analogamente, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632), il colloquio a proposito del quale la Corte ha dichiarato che si applicava l’obbligo di registrazione, ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 e dell’articolo 3 del regolamento n. 773/2004, aveva avuto luogo dopo l’avvio di un’indagine caratterizzata dall’adozione di decisioni di accertamento (sentenza del 12 giugno 2014, Intel/Commissione, T‑286/09, EU:T:2014:547, punti da 4 a 6). Non se ne può pertanto dedurre che tale obbligo di registrazione si impone anche a colloqui precedenti all’avvio di un’indagine.

196    Tale limitazione dell’obbligo di registrazione durante i colloqui che avvengono nell’ambito di un’indagine risulta altresì dalle conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Intel Corporation/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2016:788, paragrafi 232 e 233). L’avvocato generale Wahl ha ritenuto che non risultasse dall’obbligo, di cui al combinato disposto dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 e dell’articolo 3 del regolamento n. 773/2004, di registrazione delle informazioni raccolte nel corso di colloqui relativi all’oggetto di un’indagine che la Commissione non potesse mai contattare i terzi in modo informale. Egli si è basato, a tal riguardo, sul chiaro tenore letterale dello stesso articolo 19 del regolamento n. 1/2003 per considerare che solo le informazioni relative all’oggetto di un’indagine rientravano nell’ambito di applicazione di tale disposizione e che la Commissione non era tenuta ad osservare alcun obbligo di registrazione delle informazioni che essa scambiava con i terzi qualora non riguardassero l’oggetto di una particolare indagine.

197    Se così non fosse, si pregiudicherebbe gravemente l’individuazione delle pratiche illecite da parte della Commissione e l’esercizio dei suoi poteri di indagine a tal fine. La Commissione ha quindi sottolineato, in udienza, i potenziali effetti dissuasivi che può avere un interrogatorio formale, come previsto dall’articolo 3 del regolamento n. 773/2004, sulla propensione di testimoni a fornire informazioni e a denunciare infrazioni, fermo restando che siffatte informazioni rappresentano una parte importante degli indizi all’origine dell’adozione di misure di indagine, quali gli accertamenti.

198    Orbene, nel caso di specie, i colloqui con i fornitori si sono svolti prima dell’avvio di un’indagine ai sensi del regolamento n. 1/2003. Tenuto conto del questionario in base al quale sono stati condotti, interrogando i fornitori sui loro rapporti con le alleanze di distributori e, in modo totalmente aperto, sulla loro conoscenza di possibili effetti di tali alleanze sulla concorrenza, non si può infatti ritenere che tali colloqui implicassero, nei confronti delle ricorrenti e a fortiori nei confronti dei fornitori, un qualsivoglia addebito di una violazione. L’allegato Q.12 della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019, citato dalle ricorrenti in udienza, lo conferma del resto, poiché menziona l’eventuale avvio di un’«indagine formale» a seguito dei colloqui e l’uso dei mezzi d’indagine previsti a tal fine dalla normativa dell’Unione, vale a dire, nel caso di specie, l’adozione di una decisione di accertamento che segna l’avvio nel caso di specie di tale indagine. Ne consegue che gli indizi risultanti da tali colloqui non possono essere esclusi in quanto viziati da un’irregolarità formale dovuta all’inosservanza dell’obbligo di registrazione previsto dall’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 e dall’articolo 3 del regolamento n. 773/2004. Non occorre pertanto pronunciarsi sull’affermazione della Commissione secondo cui i resoconti costituirebbero registrazioni conformi a tali disposizioni.

199    Ne consegue peraltro che non può essere accolto l’argomento dedotto dalle ricorrenti secondo cui la Commissione non disponeva, alla data di adozione della decisione impugnata, degli indizi risultanti dai suoi colloqui con i tredici fornitori, non avendo stabilito la data dei resoconti di tali colloqui.

200    Infatti, come risulta da quanto precede e come giustamente sottolineato dalla Commissione, la data pertinente da prendere in considerazione per determinare il possesso di indizi alla data della decisione impugnata è quella dei colloqui con i fornitori che sono stati oggetto dei resoconti. È in tale data che le informazioni successivamente trascritte nei resoconti sono state comunicate alla Commissione e che quest’ultima poteva essere considerata in possesso di tali informazioni. I resoconti redatti in seguito, anche se consentono di determinare il contenuto dei colloqui con i fornitori e devono essere presi in considerazione a tale titolo, non sono i documenti che consentono di dimostrare la data in cui la Commissione disponeva degli indizi risultanti dai colloqui. In altri termini, i colloqui con i fornitori non sono divenuti «indizi» a disposizione della Commissione a partire dal momento in cui sono stati oggetto di resoconti da parte della Commissione, ma erano «indizi» a disposizione della Commissione sin dalla data in cui hanno avuto luogo.

201    A tal riguardo, è pertinente ricordare in questa sede, al pari della Commissione, la giurisprudenza certamente pronunciata nel contesto specifico dei procedimenti di trattamento favorevole, ma la cui portata eccede tale contesto, tenuto conto della generalità del concetto interpretato, quello del «possesso» di elementi di prova, e dell’interpretazione logica, ragionevole e dell’effetto utile che è stata adottata in base a tale concetto. Secondo tale giurisprudenza, infatti, il possesso, da parte della Commissione, di un elemento di prova equivale alla conoscenza del suo contenuto [sentenze del 9 giugno 2016, Repsol Lubricantes y Especialidades e a./Commissione, C‑617/13 P, EU:C:2016:416, punto 72, e del 23 maggio 2019, Recylex e a./Commissione, T‑222/17, con impugnazione pendente, EU:T:2019:356, punto 87 (non pubblicata); v. altresì, in tal senso, sentenza del 27 novembre 2014, Alstom Grid/Commissione, T‑521/09, EU:T:2014:1000, punti da 77 a 83]. Pertanto, nel caso di specie e per analogia, si può ritenere che i colloqui della Commissione con i tredici fornitori implichino la conoscenza delle informazioni comunicate nel corso di tali colloqui e il possesso delle informazioni di cui trattasi alla data di detti colloqui.

202    Se così non fosse, ciò equivarrebbe a ritenere che gli indizi che possono giustificare accertamenti non possano assumere unicamente una forma orale, mentre un obbligo di trascrizione formale non solo non è richiesto in questa fase dalle disposizioni pertinenti (v. supra, punti da 193 a 198), ma per di più potrebbe compromettere l’efficacia delle indagini della Commissione, obbligando quest’ultima a fare ricorso alla procedura di registrazione prevista dall’articolo 3 del regolamento n. 773/2004 (informazione preliminare, predisposizione di un procedimento di registrazione, messa a disposizione di una copia della registrazione per approvazione, fissazione di un termine per l’approvazione) e quindi a ritardare la data dell’accertamento, mentre è fondamentale adottare rapidamente le decisioni di accertamento dopo la comunicazione di informazioni su potenziali infrazioni per ridurre al minimo i rischi di perdita e di occultamento di prove (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Deutsche Bahn e a./Commissione, C‑583/13 P, EU:C:2015:92, paragrafi 61 e 62).

203    Si può pertanto concludere che la Commissione si è validamente basata sulle date dei suoi colloqui con i tredici fornitori per dimostrare che essa era in possesso degli indizi risultanti da tali colloqui alla data della decisione impugnata.

204    Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, gli elementi di prova prodotti dalla Commissione in allegato alla sua risposta del 5 giugno 2019 (allegati da R.1 a R.13) dimostrano effettivamente che i suoi colloqui con tredici fornitori hanno avuto luogo prima del 9 febbraio 2017, data di adozione della decisione impugnata.

205    Anzitutto, tali allegati dimostrano la fissazione di appuntamenti mediante messaggi di posta elettronica per colloqui in date anteriori al 9 febbraio 2017, comprese tra il 4 ottobre 2016 e l’8 febbraio 2017.

206    È irrilevante la circostanza che, per due fornitori interpellati, l’ultimo scambio con la Commissione abbia avuto luogo il giorno precedente all’adozione della decisione impugnata. Infatti, la data pertinente è quella degli scambi che, essendo avvenuti l’8 febbraio 2017, restano anteriori alla data di adozione della decisione impugnata, intervenuta il 9 febbraio 2017.

207    In ogni caso, anche se dovesse essere presa in considerazione la data di redazione dei resoconti, non si potrebbe dedurre dalla data di quest’ultimo scambio, come fanno le ricorrenti, che la Commissione abbia necessariamente redatto tutti i resoconti dopo il 9 febbraio 2017. Da un lato, sono interessati solo due fornitori, e quindi due resoconti su tredici. D’altro lato, la Commissione ha precisato di aver redatto i resoconti per soddisfare ciò che essa riteneva essere un obbligo di registrazione delle dichiarazioni dei fornitori in forza dell’articolo 3 del regolamento n. 773/2004 (v. supra, punto 198), il che rafforza la sua affermazione secondo cui detti resoconti sono stati redatti man mano che si svolgevano gli scambi, ossia sin dall’inizio di tali scambi, risalente perlopiù alla fine del 2016. I due resoconti in questione erano quindi redatti, almeno in parte, alla data della decisione impugnata e potevano essere ragionevolmente considerati come contenenti, in tale data, la parte essenziale dei dati contenuti nella loro versione definitiva, poiché da tali resoconti risulta che l’ultimo scambio, dell’8 febbraio 2017, faceva seguito ad altri e mirava ad ottenere le ultime precisazioni. Occorre ricordare, a tal riguardo, l’imperativo di celerità che ispira l’adozione delle decisioni di accertamento per ridurre al minimo i rischi di perdita a seguito di denunce (v supra, punto 202).

208    Si può altresì aggiungere che, anche se si dovesse tener conto dell’affermazione e dei documenti giustificativi forniti dalla Commissione nella sua risposta complementare del 19 dicembre 2019, al fine di dimostrare che i resoconti sarebbero stati ultimati – e non redatti – tra la data dell’ultimo colloquio e il 21 febbraio 2017, tale finalizzazione successiva alla data della decisione impugnata non consentirebbe di rimettere in discussione le considerazioni che precedono. Infatti, dalla nota interna della Commissione del 16 dicembre 2016, allegata a tale risposta complementare, contenente una sintesi assai dettagliata delle informazioni raccolte nel corso dei colloqui, si può dedurre che la stessa aveva redatto, sin da tale data, resoconti già in gran parte compiuti, sebbene non ultimati.

209    Inoltre, gli elementi di prova prodotti nel caso di specie per dimostrare la data in cui i colloqui sono stati fissati sono sufficienti a dimostrare che i colloqui di cui trattasi hanno avuto effettivamente luogo con i tredici fornitori alle date fissate. A tal riguardo, non si può condividere l’affermazione delle ricorrenti, del resto in alcun modo suffragata, secondo la quale tali elementi di prova non consentirebbero neppure di dimostrare che gli agenti della Commissione avevano comunicato con persone esterne alla Commissione. Infatti, tale affermazione è chiaramente contraddetta dalle date indicate nelle agende elettroniche degli agenti interessati della Commissione (riprodotte nelle parti finali degli allegati da R.1 a R.13 della risposta della Commissione del 5 giugno 2019), che corrispondono alle date indicate nei messaggi di posta elettronica diretti a fissare tali date, scambiati tra la Commissione e interlocutori esterni (riprodotti nelle parti iniziali degli allegati da R.1 a R.13), interlocutori la cui qualità di fornitore risulta chiaramente dal questionario allegato a tali messaggi, intitolato «Domande sulle alleanze di acquisto tra dettaglianti ai fornitori di prodotti che riforniscono i dettaglianti».

210    Infine, e per gli stessi motivi, in particolare i collegamenti evidenti tra il questionario di cui sopra e gli elementi riportati nei resoconti, si può ritenere, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, che gli scambi fissati nei messaggi di posta elettronica siano effettivamente quelli che hanno dato luogo ai resoconti. Infatti, i resoconti seguono tutti un piano contenente in sostanza le stesse suddivisioni (in particolare alleanze con le quali il fornitore ha concluso accordi e contropartite, scambi di informazioni, trasferimenti di personale), che dimostra che viene riportata almeno una parte delle risposte ai questionari (essenzialmente la parte I, comprendente le domande da 1 a 10, e la parte III del questionario, che raggruppa le domande da 15 a 18).

211    Da tutte le suesposte considerazioni risulta quindi che la Commissione disponeva, alla data della decisione impugnata, degli indizi sintetizzati all’interno dei resoconti e che questi ultimi possono essere presi in considerazione nell’analisi del possesso, da parte della Commissione, di indizi sufficientemente gravi, senza che occorra determinare con precisione le date di redazione e di ultimazione dei resoconti.

212    Ne consegue che devono essere respinte tutte le critiche formali che mettono in discussione gli indizi presentati dalla Commissione.

ii)    Sugli autori degli indizi che hanno giustificato la decisione impugnata

213    Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante relativa alla valutazione delle prove di un’infrazione, l’unico criterio pertinente per valutare tali prove consiste nella loro attendibilità, con la precisazione che l’attendibilità e, pertanto, il valore probatorio di un documento dipendono dalla sua fonte, dalle circostanze in cui è stato redatto, dal suo destinatario e dalla sensatezza ed attendibilità del suo contenuto e che occorre riconoscere, segnatamente, particolare rilevanza alla circostanza che un documento sia stato redatto in immediata concomitanza con i fatti o da un testimone diretto degli stessi (v. sentenze del 27 giugno 2012, Coats Holdings/Commissione, T‑439/07, EU:T:2012:320, punto 45 e giurisprudenza ivi citata, e dell’8 settembre 2016, Goldfish e a./Commissione, T‑54/14, EU:T:2016:455, punto 95 e giurisprudenza ivi citata).

214    L’applicazione di tali criteri di valutazione delle prove di un’infrazione agli indizi che giustificano un accertamento non può portare a escludere il carattere di indizio sufficientemente grave di tutti gli indizi che non provengono direttamente dalle imprese sottoposte ad accertamento. Ciò osterebbe a che dichiarazioni o documenti provenienti da terzi siano qualificati come indizi sufficientemente gravi e, così facendo, priverebbe la Commissione di gran parte delle possibilità di condurre accertamenti.

215    Infatti, sebbene le prove delle infrazioni siano il più delle volte prove dirette provenienti dalle imprese autrici di tali infrazioni, gli indizi che consentono di sospettare l’esistenza di infrazioni provengono in generale da terzi alle infrazioni, che si tratti di imprese concorrenti o di vittime delle condotte illecite o di enti pubblici o privati senza alcun nesso con tali comportamenti, quali esperti o autorità garanti della concorrenza.

216    Pertanto, nel caso di specie, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la circostanza che i resoconti siano stati redatti dalla Commissione, che deciderà eventualmente in merito al loro accertamento e alla loro sanzione, non è di per sé sufficiente a negare loro qualsiasi valore probatorio nella valutazione del possesso, da parte della Commissione, di indizi sufficientemente gravi.

217    Infatti, occorre ricordare che i resoconti mirano a concretizzare e quindi ad elaborare le informazioni comunicate dai fornitori alla Commissione (v. supra, punto 200). Orbene, tali informazioni, le uniche costituenti gli indizi propriamente detti su cui è basata la decisione impugnata, non provengono dalla Commissione, ma dai fornitori aventi rapporti commerciali diretti con le ricorrenti. Occorre sottolineare, a tal riguardo, che i fornitori hanno rapporti commerciali con le ricorrenti e possono quindi risentire direttamente del presunto comportamento illecito di queste ultime. Essi possono quindi avere interesse a che le ricorrenti siano sanzionate. Tuttavia, proprio a causa dei rapporti commerciali che intrattengono con le ricorrenti, essi, a differenza di semplici concorrenti degli autori dell’infrazione, hanno una conoscenza diretta degli effetti eventualmente attribuibili a tale possibile comportamento illecito. In tale misura, la prudenza richiesta dalla giurisprudenza riguardo all’interpretazione delle denunce di imprese nei confronti di altre imprese quando le prime hanno un interesse a che le seconde siano sanzionate (v., in tal senso, sentenza del 12 luglio 2011, Mitsubishi Electric/Commissione, T‑133/07, EU:T:2011:345, punto 88) non può essere pienamente applicata alle dichiarazioni dei fornitori, in particolare quando, come nel caso di specie, questi ultimi menzionano dati di fatto precisi risultanti dai rapporti commerciali che essi intrattengono con i presunti autori dell’infrazione.

218    Per quanto riguarda, inoltre, il valore probatorio dei resoconti redatti dalla Commissione, si deve rilevare che tale valore non è rimesso in discussione dall’unico argomento dedotto dalle ricorrenti per contestarlo, relativo alla presentazione standardizzata di taluni passaggi dei resoconti, la quale dimostrerebbe che la Commissione non avrebbe riportato fedelmente le dichiarazioni dei vari fornitori. Come fanno valere le ricorrenti, il passaggio riguardante la data e i partecipanti alla convenzione Intermarché nonché la conseguenza di tale partecipazione, vale a dire la conoscenza, da parte dei partecipanti, di taluni obiettivi commerciali della Intermarché, sono certamente identici in quattro resoconti (allegati Q.4, Q.5, Q.7 e Q.8 della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019). Tuttavia, siffatta identità, in quanto caratterizza solo quattro resoconti sui tredici comunicati e verte su dati che possono essere stati comunicati in risposta al questionario ed essere descritti allo stesso modo, non consente di dedurre una distorsione delle dichiarazioni raccolte. Ciò vale a maggior ragione in quanto il passaggio identico di cui trattasi è integrato, in ciascuno dei quattro resoconti, da dati diversi relativi alla convenzione Intermarché.

219    Occorre altresì ricordare, a tal riguardo, che la Commissione è, in forza dei Trattati, l’istituzione incaricata di assicurare il rispetto, con assoluta imparzialità, del diritto della concorrenza dell’Unione e che il cumulo, da parte della Commissione, delle funzioni di istruzione e di repressione delle infrazioni alle regole di concorrenza non costituisce di per sé una violazione dell’obbligo di imparzialità (v., in tal senso, sentenza del 27 giugno 2012, Bolloré/Commissione, T‑372/10, EU:T:2012:325, punto 66 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, non si può presumere, senza una prova e neppure un principio di prova a sostegno, che la Commissione istruisca il presente fascicolo a carico distorcendo le affermazioni dei fornitori per ottenere indizi sul carattere illecito delle pratiche dei distributori.

220    Da quanto precede risulta che occorre respingere tutti gli argomenti che deducono dalla qualità degli autori degli indizi comunicati che la Commissione non disponeva di indizi sufficientemente gravi per svolgere l’accertamento controverso.

iii) Sul contenuto degli indizi che hanno giustificato la decisione impugnata

221    Dalla distinzione tra prove di un’infrazione e indizi su cui è basata una decisione di accertamento risulta che questi ultimi non devono dimostrare l’esistenza e il contenuto di un’infrazione né le sue parti interessate, salvo privare di qualsiasi utilità i poteri conferiti alla Commissione dall’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 14 marzo 2014, Cementos Portland Valderrivas/Commissione, T‑296/11, EU:T:2014:121, punto 59).

222    Pertanto, la circostanza che gli elementi considerati possano essere oggetto di interpretazioni divergenti non può impedire che essi costituiscano indizi sufficientemente seri, qualora l’interpretazione scelta dalla Commissione risulti plausibile (v., per analogia, per una decisione di richiesta di informazioni, sentenza del 14 marzo 2014, Cementos Portland Valderrivas/Commissione, T‑296/11, EU:T:2014:121, punto 59). Nella valutazione di tale plausibilità, occorre tener presente che il potere di accertamento della Commissione implica la facoltà di ricercare elementi di informazione diversi ancora ignoti o non completamente identificati (v. sentenza del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione, T‑135/09, EU:T:2012:596, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

223    Va ricordato altresì che i diversi indizi che consentono di sospettare un’infrazione non devono essere valutati isolatamente, bensì nella loro globalità, e possono rafforzarsi reciprocamente (v. sentenze del 27 novembre 2014, Alstom Grid/Commissione, T‑521/09, EU:T:2014:1000, punto 54 e giurisprudenza ivi citata, e del 29 febbraio 2016, EGL e a./Commissione, T‑251/12, non pubblicata, EU:T:2016:114, punto 150 e giurisprudenza ivi citata).

224    In particolare, per quanto riguarda le presunte infrazioni nel caso di specie, ossia le pratiche concordate (v., in particolare, punto 6 della decisione impugnata), secondo costante giurisprudenza, come risulta dalla lettera stessa dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, la nozione di pratica concordata implica, oltre alla concertazione tra le imprese, un comportamento sul mercato successivo alla concertazione stessa e un nesso causale tra questi due elementi (sentenze dell’8 luglio 1999, Commissione/Anic Partecipazioni, C‑49/92 P, EU:C:1999:356, punto 118, e del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, EU:T:2000:77, punto 1865). La sussistenza di tre elementi costitutivi è quindi necessaria.

225    Quanto alla prova di questi tre elementi costitutivi, occorre ricordare che la nozione di «pratica concordata» è stata introdotta nei Trattati al fine di consentire l’applicazione del diritto della concorrenza a collusioni che non assumono la forma di un accordo formale e, per ciò stesso, più difficili da individuare e da dimostrare. Come più volte sottolineato dal giudice dell’Unione, se l’articolo 101 TFUE distingue la nozione di «pratica concordata» da quella di «accordo tra imprese», ciò è dovuto all’intenzione di comprendere fra i divieti di tale articolo una forma di coordinamento tra imprese che, senza essere stata spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo e senza riunire tutti gli elementi di un accordo, costituisce in pratica una consapevole collaborazione tra queste ultime a danno della concorrenza (sentenze del 14 luglio 1972, Imperial Chemical Industries/Commissione, 48/69, EU:C:1972:70, punto 64, e del 5 aprile 2006, Degussa/Commissione, T‑279/02, EU:T:2006:103, punto 132).

226    Analogamente e più in generale, si deve ricordare che sono noti tanto il divieto di partecipare a pratiche e accordi anticoncorrenziali quanto le sanzioni che possono essere inflitte ai contravventori. Di norma le attività derivanti da tali pratiche e accordi si svolgono in modo clandestino, le riunioni sono segrete e la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo. Anche se la Commissione scopre documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, tali documenti saranno di regola solo frammentari e sparsi, di modo che si rivela spesso necessario ricostruire taluni dettagli per via di deduzioni. Nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale deve essere dedotta da un certo numero di coincidenze le quali, considerate nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle norme sulla concorrenza (sentenze del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, EU:C:2004:6, punti da 55 a 57, e del 25 gennaio 2007, Sumitomo Metal Industries e Nippon Steel/Commissione, C‑403/04 P e C‑405/04 P, EU:C:2007:52, punto 51; v. anche, in tal senso, sentenza del 27 giugno 2012, Coats Holdings/Commissione, T‑439/07, EU:T:2012:320, punto 42).

227    Ne consegue che il giudice dell’Unione ha ammesso, in taluni casi, che l’onere della prova dei tre elementi costitutivi di una pratica concordata sia meno gravoso per la Commissione.

228    Pertanto, una corrispondenza di comportamenti sul mercato, a determinate condizioni, può essere considerata la prova dell’esistenza di una concertazione, qualora nel caso di specie la concertazione ne costituisca l’unica spiegazione plausibile (sentenze del 31 marzo 1993, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, C‑89/85, C‑104/85, C‑114/85, C‑116/85, C‑117/85 e da C‑125/85 a C‑129/85, EU:C:1993:120, punto 71, e dell’8 luglio 2008, BPB/Commissione, T‑53/03, EU:T:2008:254, punto 143).

229    Analogamente, si deve presumere, salvo prova contraria il cui onere incombe alle parti interessate, che le imprese partecipanti alla concertazione e che rimangono presenti sul mercato tengano conto degli scambi di informazioni con i loro concorrenti per decidere il proprio comportamento sul mercato (sentenze dell’8 luglio 1999, Commissione/Anic Partecipazioni, C‑49/92 P, EU:C:1999:356, punto 121, e dell’8 ottobre 2008, Schunk e Schunk Kohlenstoff‑Technik/Commissione, T‑69/04, EU:T:2008:415, punto 118). In altri termini, la prova della sussistenza dei primi due elementi costitutivi di una pratica concordata consente, in taluni casi, di presumere il suo terzo elemento costitutivo.

230    Tale regime probatorio specifico delle pratiche concordate non è privo di conseguenze sulle condizioni richieste per ritenere che sussistano indizi sufficientemente gravi da legittimare il sospetto dell’esistenza di tali pratiche. In particolare, tenuto conto della necessaria distinzione tra prove di una pratica concordata e indizi che giustificano accertamenti ai fini della raccolta di tali prove, la soglia di riconoscimento del possesso, da parte della Commissione, di indizi sufficientemente gravi deve necessariamente situarsi al di sotto di quella che consente di constatare l’esistenza di una pratica concordata.

231    È quindi alla luce di tali considerazioni che occorre rispondere agli argomenti, basati dalle ricorrenti sul contenuto delle informazioni a disposizione della Commissione, per dedurne che quest’ultima non disponeva di indizi sufficientemente gravi per adottare la decisione impugnata.

–       Sulla mancanza di indizi sufficientemente gravi relativi al sospetto della prima infrazione

232    Occorre ricordare, in via preliminare, che la prima infrazione è qualificata come segue all’articolo 1, lettera a), della decisione impugnata:

«(…) scambi di informazioni, a partire dal 2015, tra imprese e/o associazioni di imprese, in particolare la ICDC (...), e/o i suoi membri, in particolare la Casino e l’AgeCore e/o i suoi membri, in particolare la Intermarché, riguardanti gli sconti ottenuti dai medesimi sui mercati dell’approvvigionamento di beni di largo consumo nei settori dei prodotti alimentari, dei prodotti per l’igiene e dei prodotti per la pulizia e i prezzi sul mercato delle vendite di servizi ai fabbricanti di prodotti di marca nei settori dei prodotti alimentari, dei prodotti per l’igiene e dei prodotti per la pulizia, in vari Stati membri dell’Unione europea, in particolare la Francia (...)».

233    Le ricorrenti non hanno contestato, nel merito, il possesso di indizi sufficientemente gravi relativi alla prima infrazione né nelle loro memorie né nelle loro risposte ai quesiti del Tribunale in cui si chiedeva loro di prendere posizione sugli indizi prodotti dalla Commissione. Esse hanno fatto valere, per la prima volta in udienza, due censure non dedotte in precedenza. In primo luogo, la fusione del mercato della vendita di servizi e del mercato dell’approvvigionamento nella tabella 1 allegata alla risposta della Commissione del 5 giugno 2019, mentre questi due mercati erano considerati distintamente nell’articolo 1, lettera a), della decisione impugnata, dimostrerebbe, in forza della giurisprudenza derivante dalla sentenza del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione (T‑135/09, EU:T:2012:596), che la Commissione non era in possesso di indizi sufficientemente gravi relativi alla prima infrazione. In secondo luogo, l’avvio del procedimento formale unicamente in relazione a taluni aspetti della seconda infrazione dimostrerebbe che la Commissione non disponeva di indizi sufficientemente gravi relativi alla prima infrazione.

234    Quanto alla prima censura dedotta dalle ricorrenti in udienza, essa deve essere respinta in quanto irricevibile, poiché dedotta tardivamente. Infatti, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 84, paragrafo 2, del regolamento di procedura, le ricorrenti non hanno formulato la prima censura sin dal momento in cui hanno avuto conoscenza della tabella 1 allegata alla risposta della Commissione del 5 giugno 2019, dato che, nonostante la richiesta del Tribunale di prendere posizione prima del 4 luglio 2019 su detta risposta, esse hanno dedotto la prima censura solo all’udienza del 29 gennaio 2020.

235    Si può aggiungere, in ogni caso, che questa prima censura non può essere accolta nel merito. È vero che dalla tabella 1, allegata alla risposta della Commissione del 5 giugno 2019, risulta che quest’ultima non ha fatto distinzione tra il mercato dell’approvvigionamento di beni di largo consumo e il mercato della vendita di servizi ai produttori, pur menzionati distintamente nella decisione impugnata, spiegando in tale tabella che gli «sconti [sul mercato dell’approvvigionamento] possono anche essere considerati come prezzi di vendita di servizi ai fabbricanti di prodotti di marca nei settori dei prodotti alimentari, dei prodotti per l’igiene e dei prodotti per la pulizia». Tuttavia, tale menzione significa semplicemente che, conformemente alla giurisprudenza e in particolare alla sentenza del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione (T‑135/09, EU:T:2012:596, punto 62), la Commissione, in tale fase, non aveva ancora stabilito quale forma assumesse l’importo di cui beneficiavano i distributori a danno dei fornitori e sul quale essa sospettava che i distributori si accordassero, circostanza che, del resto, essa ammette precisando, nella sua risposta del 5 giugno 2019, di utilizzare, negli allegati, unicamente il termine «sconto», «senza prevedere se un’indagine approfondita concluderebbe che si tratta di sconti sui mercati dell’approvvigionamento o di prezzi di vendita di servizi ai produttori». Occorre infatti ricordare che, secondo detta sentenza, il potere di accertamento della Commissione implica la facoltà di ricercare elementi di informazione diversi ancora ignoti o non completamente identificati (v. supra, punto 222).

236    Per contro, diversamente da quanto sostenuto dalle ricorrenti, dalla sentenza del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione (T‑135/09, EU:T:2012:596, punti da 60 a 94), non si può dedurre che la Commissione sia tenuta, nel caso di indizi di un vantaggio in termini di prezzi a favore delle imprese sottoposte ad accertamento, a specificare tali indizi distinguendo in base ai due mercati interessati da tale vantaggio, tanto più che da una giurisprudenza costante relativa all’obbligo di motivazione risulta che la Commissione non è tenuta a delimitare con precisione il mercato in questione (v. supra, punto 112). Infatti, in tale sentenza, il Tribunale non addebitava alla Commissione una distinzione insufficiente dei due mercati potenzialmente interessati dagli indizi posseduti, ma le addebitava un ambito di accertamento eccedente l’ambito dell’unico mercato per il quale essa possedeva indizi. Orbene, nel caso di specie, le ricorrenti non forniscono alcun elemento indicativo di tale superamento, in quanto, contrariamente a quanto da esse affermato in udienza, le dichiarazioni dei fornitori non riguardano unicamente la ICDC, che interverrebbe unicamente nel mercato della vendita di servizi ai produttori (v. supra, punto 248).

237    Quanto alla seconda censura dedotta dalle ricorrenti in udienza, essa può essere considerata ricevibile in forza dell’articolo 84, paragrafo 2, del regolamento di procedura, in quanto è fondata sulla decisione di avvio del procedimento formale, adottata il 4 novembre 2019 dalla Commissione, ossia successivamente al summenzionato termine di risposta del 4 luglio 2019 e all’apertura della fase orale del procedimento nella causa in esame, e in quanto è stata presentata nel corso di tale fase orale. Detta censura deve essere dichiarata, tuttavia, infondata.

238    Infatti, anche a prescindere dal fatto che la decisione di avvio del procedimento formale è successiva alla decisione impugnata ed è quindi inidonea a rimettere in discussione la sua legittimità, dalla portata di tale decisione non si può dedurre che la Commissione non disponesse di indizi sufficientemente gravi relativi alla prima infrazione.

239    Dalla decisione C(2019) 7997, del 4 novembre 2019, di avvio del procedimento nel caso AT.40466 per quanto riguarda sospetti di infrazione diversi da quelli relativi alla prima infrazione risulta, certamente, che la Commissione non ha ritenuto di disporre di elementi sufficienti per avviare il procedimento relativo a tale infrazione. Tuttavia, per loro stessa natura, gli indizi che giustificano un accertamento consentono unicamente di sospettare un’infrazione, la quale potrebbe alla fine non essere dimostrata, il che spiega del resto il fatto che non tutti gli accertamenti siano seguiti da una decisione di avvio del procedimento, né, a fortiori, da una decisione che constata un’infrazione. Pertanto, l’esistenza di indizi di infrazione non implica necessariamente l’esistenza di prove della presunta infrazione e neppure l’esistenza di elementi sufficienti per avviare il procedimento. Non si può pertanto dedurre dalla circostanza che l’accertamento controverso non abbia consentito di raccogliere tali elementi che la Commissione non disponesse di indizi sufficientemente gravi prima dell’accertamento.

240    Occorre aggiungere che la Commissione ha comunicato al Tribunale una serie di indizi, di cui disponeva al momento dell’adozione della decisione impugnata, relativi a una corrispondenza di comportamenti tra la ICDC (Casino) e l’AgeCore (Intermarché), caratterizzata nella fattispecie dalla concomitanza e dalla convergenza delle loro richieste di sconto ai fornitori.

241    Orbene, le informazioni di cui trattasi costituiscono indizi sufficientemente gravi dell’esistenza di tale concomitanza e convergenza.

242    Infatti, fra i tredici fornitori interpellati, di cui dieci affermano di intrattenere rapporti commerciali, al contempo, con la ICDC e con l’AgeCore, otto hanno menzionato in modo circostanziato richieste di sconto identiche da parte della ICDC (Casino) e dell’AgeCore (Intermarché) (vale a dire le imprese A, B, C, D, E, G, H e J; allegati da Q.1 a Q.5, Q.7, Q.8 e Q.10 della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019), uno menziona l’allineamento dell’AgeCore ai suoi concorrenti senza indicarli nominativamente (impresa I; allegato Q.9) e due fornitori accennano in generale alla circostanza di aver fatto fronte a richieste di sconto analoghe provenienti da alleanze di distributori diversi (imprese L e M; allegati Q.12 e Q.13).

243    Inoltre, la Commissione non si è limitata a comunicare indizi relativi a questo primo elemento costitutivo di una pratica concordata consistente nella corrispondenza di comportamenti sul mercato, la quale può del resto, a determinate condizioni, consentire di presumere la presenza del secondo elemento costitutivo di una pratica concordata consistente nella concertazione (v. supra, punto 228). Essa ha precisato di aver avuto a sua disposizione anche indizi relativi all’esistenza di tale concertazione, consistenti, nel caso di specie, in scambi di informazioni, i quali possono anche essere considerati, nel loro insieme, sufficientemente gravi.

244    È vero che i fornitori che fanno esplicitamente riferimento a scambi tra i distributori sugli sconti sono certamente meno numerosi e le loro dichiarazioni al riguardo sono nella maggior parte dei casi vaghe e speculative. Tre fornitori menzionano esplicitamente una condivisione o scambi di informazioni (vale a dire le imprese C, E e H; allegati Q.3, Q.5 e Q.8 della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019) e molti altri affermano la conoscenza da parte di un’alleanza degli sconti ottenuti dagli altri (in particolare le imprese B, D, G e I; allegati Q.2, Q.4, Q.7 e Q.9). È peraltro menzionata da uno dei fornitori una possibile spiegazione delle richieste di sconto concomitanti, che sarebbe costituita dal bluff di cui darebbero prova i distributori durante le loro trattative per ottenere condizioni commerciali più favorevoli (impresa L; allegato Q.12).

245    Tuttavia, anzitutto, si deve rilevare che nessun fornitore afferma di considerare come poco probabile la circostanza che la concomitanza e la convergenza delle richieste di sconto derivino da scambi di informazioni. Gli unici fornitori che si sono espressi in un senso diverso da quello dell’esistenza di scambi di informazioni o hanno taciuto o hanno dichiarato di non disporre di informazioni relative a scambi di informazioni tra distributori (vale a dire le imprese A, F, J, K e M; allegati Q.1, Q.6, Q.10, Q.11 e Q.13 della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019), senza escludere esplicitamente l’esistenza di tali scambi.

246    Inoltre, occorre sottolineare che il fornitore che ha accennato all’ipotesi di un bluff dei distributori ha non solo attenuato la probabilità di tale ipotesi, affermando di «ritenere che l’informazione invocata [relativa alla conoscenza delle condizioni ottenute dalle altre alleanze] fosse tuttavia esatta», ma ha anche precisato di non partecipare alle trattative eccedenti l’ambito nazionale, principalmente in discussione nella prima presunta infrazione, il che limita l’affidabilità delle sue dichiarazioni. Ne consegue che gli indizi di cui disponeva la Commissione non le consentivano di ritenere che le richieste di sconto concomitanti e convergenti trovassero giustificazione, in modo plausibile, in una spiegazione diversa da una concertazione sottostante (v. supra, punto 228).

247    Infine, le dichiarazioni dei fornitori relative agli scambi tra distributori sugli sconti sono corroborate da informazioni che menzionano i canali attraverso i quali tali scambi possono passare.

248    Infatti, diversi fornitori e il messaggio di posta elettronica del direttore dell’associazione N menzionano i movimenti tra alleanze di distributori, i trasferimenti di insegne nonché i movimenti di personale tra distributori e tra alleanze, presentandoli come potenziali fonti di conoscenza, in particolare, degli sconti ottenuti dai vari distributori (in particolare, allegato Q.2, pagina 4, allegato Q.7, pagina 4 e allegato Q.8, pagina 5, nonché allegati Q.14, Q.16 e Q.18 della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019). Essi menzionano in particolare l’alleanza creata in Francia dalla Casino e dalla Intermarché, sotto forma di controllata comune Intermarché Casino Achats (INCA), e fanno presente un nesso tra tale appartenenza a una stessa alleanza a livello nazionale e la conoscenza, da parte della Casino e della Intermarché, degli sconti ottenuti da ciascuna presso i rispettivi fornitori (in particolare, allegato Q.4, pagina 4, e allegato Q.7, pagine 4 e 6).

249    Per la molteplicità dei canali di comunicazione così evidenziati, le precisazioni fornite relative a tali canali e la concordanza delle informazioni comunicate, mentre i loro autori non dispongono a priori degli stessi mezzi e fonti di informazione, si può ritenere che la Commissione avesse a sua disposizione indizi sufficientemente gravi da consentirle di sospettare gli scambi controversi. Occorre infatti ricordare che, anche se i fornitori possono essere testimoni diretti di un comportamento anticoncorrenziale sul mercato (v. supra, punto 217), non possono esserlo per quanto riguarda la concertazione sottostante e clandestina. In tali circostanze, la molteplicità, la precisione e la concordanza delle informazioni comunicate relative agli scambi di informazioni di cui trattasi compensano, nella valutazione complessiva volta a verificare l’esistenza di indizi sufficientemente gravi, il carattere spesso speculativo di dette informazioni.

250    Di conseguenza, tenuto conto anche della circostanza che tali indizi relativi ai presunti scambi di informazioni completano quelli riguardanti i comportamenti nel mercato, si deve ritenere che la Commissione disponesse di indizi sufficientemente gravi per sospettare la prima infrazione.

–       Sulla mancanza di indizi sufficientemente gravi relativi al sospetto della seconda infrazione

251    Occorre ricordare che tale seconda infrazione è descritta come segue nell’articolo 1, lettera b), della decisione impugnata:

«(...) scambi di informazioni, almeno a partire dal 2016, tra la Casino e la Intermarché riguardanti le loro future strategie commerciali, in particolare in termini di assortimento, di sviluppo di negozi, di e‑commerce e di politica promozionale sui mercati dell’approvvigionamento di beni di largo consumo e sui mercati di vendita ai consumatori di beni di largo consumo, in Francia».

252    Si deve anzitutto rilevare, al pari delle ricorrenti e come ammesso dalla Commissione, che quest’ultima ha fondato i suoi sospetti relativi alla seconda infrazione su un indizio principale, riguardante lo svolgimento della convenzione Intermarché.

253    Dal fascicolo risulta che la convenzione Intermarché si è svolta il 21 settembre 2016 presso la sede della Intermarché e che la direzione della Intermarché, accompagnata dai responsabili delle sue insegne, vi riceveva i suoi principali fornitori per presentare le sue ambizioni e le sue priorità commerciali.

254    È pacifico che hanno partecipato a tale convenzione rappresentanti di numerosi fornitori della Intermarché, ma anche rappresentanti della INCA, controllata comune della Intermarché e della Casino, in particolare A, peraltro dirigente all’interno del gruppo Casino, nonché un rappresentante dell’AgeCore, B, dirigente di tale associazione di imprese. È altresì pacifico che i temi affrontati in occasione di tale convenzione, presentati dal gruppo dirigente della Intermarché, vertevano sugli obiettivi e sulle linee di sviluppo dell’impresa in termini di quote di mercato, di incremento del suo parco negozi, di trasformazione digitale e di espansione del commercio online, di innovazioni destinate ad accelerare l’esposizione sugli scaffali dei nuovi prodotti, di aumento dei suoi punti vendita «drive» e di attuazione di nuove iniziative promozionali.

255    Le ricorrenti sostengono che le informazioni così presentate non rivelano alcuno scambio di dati commerciali sensibili e riservati idonei a consentire di sospettare una concertazione tra concorrenti, vietata dall’articolo 101 TFUE, e ne deducono che la Commissione non disponeva di indizi sufficientemente gravi per presumere l’esistenza della seconda infrazione.

256    Per quanto riguarda, in primo luogo, la possibilità di presumere l’esistenza di scambi e quindi di una concertazione sulla base di annunci fatti da un solo distributore, nel caso di specie la Intermarché, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, i criteri di coordinamento e di collaborazione che consentono di definire la nozione di pratica concordata vanno intesi alla luce della concezione inerente alle norme del Trattato in materia di concorrenza, secondo la quale ogni operatore economico deve determinare autonomamente la condotta che intende seguire sul mercato interno. Se è vero che non esclude il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei loro concorrenti, la suddetta esigenza di autonomia vieta rigorosamente che fra gli operatori stessi abbiano luogo contatti, diretti o indiretti, aventi lo scopo o l’effetto di influire sul comportamento tenuto sul mercato da un concorrente attuale o potenziale, oppure di rivelare a tale concorrente il comportamento che l’interessato ha deciso, o prevede, di tenere egli stesso sul mercato (sentenze del 4 giugno 2009, T‑Mobile Netherlands e a., C‑8/08, EU:C:2009:343, punti 32 e 33, e del 24 ottobre 1991, Rhône‑Poulenc/Commissione, T‑1/89, EU:T:1991:56, punto 121).

257    Ne consegue che il fatto che solo uno dei partecipanti a riunioni tra imprese concorrenti sveli le proprie intenzioni non è sufficiente ad escludere l’esistenza di un’intesa. Infatti, secondo una giurisprudenza parimenti costante, se è vero che la nozione di pratica concordata presuppone effettivamente l’esistenza di contatti tra concorrenti caratterizzati dalla reciprocità, tale requisito è tuttavia soddisfatto quando la divulgazione, effettuata da un concorrente a un altro, delle intenzioni o della condotta futura del primo sul mercato sia stata richiesta o, quanto meno, ricevuta dal secondo. Quest’ultimo, grazie alla ricezione di siffatta informazione, di cui deve necessariamente tener conto, direttamente o indirettamente, elimina anticipatamente l’incertezza relativa al comportamento futuro del primo, sebbene ogni operatore economico debba determinare autonomamente la politica commerciale che intende seguire sul mercato. La ricezione, da parte di un’impresa, di informazioni provenienti da un concorrente relative al comportamento futuro di quest’ultimo nel mercato costituisce, pertanto, una pratica concordata vietata dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenze del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, EU:T:2000:77, punto 1849, del 12 luglio 2001, Tate & Lyle e a./Commissione, T‑202/98, T‑204/98 e T‑207/98, EU:T:2001:185, punto 54, e dell’8 luglio 2008, BPB/Commissione, T‑53/03, EU:T:2008:254, punto da 231 a 234).

258    Orbene, non si può ritenere che la mera presenza di un dirigente all’interno del gruppo concorrente Casino nel corso della presentazione, da parte della Intermarché, delle sue priorità commerciali sia sufficiente, nel caso di specie, per sospettare una ricezione delle informazioni comunicate, quale richiesta dalla giurisprudenza per constatare una reciprocità e dedurne l’esistenza di una pratica concordata tra la Casino e la Intermarché.

259    Infatti, da un lato, come hanno giustamente sottolineato le ricorrenti senza che la Commissione del resto lo contesti, A ha assistito alla convenzione Intermarché non in qualità di rappresentante della Casino, bensì in qualità di coamministratore della INCA, la cui presenza era giustificata dal fatto che quest’ultima negoziava per conto della Intermarché le condizioni di approvvigionamento presso i suoi principali fornitori. D’altro canto, A era soggetto a rigorosi obblighi di riservatezza nei confronti della Casino, nemmeno di per sé contestati, e non si può presumere che obblighi del genere non sarebbero stati rispettati.

260    Orbene, tale motivo della presenza di A alla convenzione Intermarché e gli obblighi ad esso incombenti non consentono di per sé e senza altro elemento a sostegno, non fornito nella fattispecie dalla Commissione, di far sorgere un ragionevole sospetto di ricezione, da parte della Casino, delle informazioni comunicate dalla Intermarché, che giustifichi la prosecuzione delle indagini per stabilire se la Casino avesse richiesto o, quanto meno, ricevuto le rivelazioni della Intermarché. La Commissione si limita, infatti, a menzionare un unico resoconto che fa riferimento a discussioni tra A e il rappresentante della Intermarché all’interno della INCA nel corso della convenzione (allegato Q.5, pagine 7 e 8, della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019), discussioni in privato che non corrispondono ad una ricezione di dichiarazioni rese in pubblico e il cui contenuto non presenta necessariamente un nesso con il contenuto di tali dichiarazioni tenuto conto delle funzioni esercitate da queste due persone all’interno della INCA, le quali giustificano scambi tra le stesse vertenti su altri argomenti. Occorre rilevare, a tal riguardo, che, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, affermando, nell’introduzione della tabella 2 allegata alla sua risposta del 5 giugno 2019, di aver ricevuto informazioni secondo le quali la INCA avrebbe potuto fungere da veicolo di scambio di informazioni relative alla seconda infrazione, gli estratti dei resoconti riportati in detta tabella si limitano a menzionare la presenza di A alla convenzione Intermarché, senza che se ne possa dedurre che la INCA avrebbe svolto un ruolo specifico in tale ambito.

261    Per quanto attiene, in secondo luogo, ai dati comunicati nel corso della convenzione Intermarché, occorre ricordare che la qualificazione di illiceità di uno scambio di informazioni dipende in particolare dalla natura delle informazioni scambiate (v., in tal senso, sentenze del 28 maggio 1998, Deere/Commissione, C‑7/95 P, EU:C:1998:256, punti da 88 a 90, e del 23 novembre 2006, Asnef‑Equifax e Administración del Estado, C‑238/05, EU:C:2006:734, punto 54).

262    Nel caso di specie, occorre rilevare, al pari delle ricorrenti, che i resoconti che menzionano la convenzione Intermarché (allegati Q.4, Q.5, Q.7, Q.9 e, con ulteriori precisazioni, allegato Q.8 della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019) indicano in generale gli elementi di politica commerciale relativi all’assortimento, all’e‑commerce o alle pratiche promozionali, che sono stati menzionati nel corso di detta convenzione. Siffatti riferimenti generali figurano anche in allegato al messaggio di posta elettronica del direttore dell’associazione N (allegato Q.15). Inoltre, essi sono stati ripresi in un articolo pubblicato sulla stampa specializzata, comunicato dalle ricorrenti.

263    Risulta effettivamente dal fascicolo, e non è del resto contestato dalla Commissione, che la convenzione Intermarché si è svolta pubblicamente, in presenza di più di 400 fornitori, ma anche di giornalisti, ed è stata oggetto di un resoconto dettagliato nella stampa specializzata. La Commissione era inoltre informata di tale natura pubblica, come dimostrato dai resoconti dei colloqui con i fornitori, uno dei quali aveva affermato che la stampa era presente durante la convenzione Intermarché (allegato Q.2, pagina 7). Essa ha peraltro precisato, in risposta ad un quesito posto dal Tribunale, di non essere informata di eventuali presentazioni effettuate nel corso della convenzione Intermarché senza la presenza di giornalisti.

264    Orbene, secondo costante giurisprudenza, un sistema di scambio di informazioni pubbliche non è, di per sé, idoneo a violare le regole di concorrenza del Trattato (v. sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione, T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245, punto 1154 e giurisprudenza ivi citata).

265    Analogamente, secondo il punto 92 delle linee direttrici sull’applicabilità dell’articolo 101 [TFUE] agli accordi di cooperazione orizzontale (GU 2011, C 11, pag. 1; in prosieguo: le «linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale»), con le quali la Commissione si è autolimitata nell’esercizio del suo potere discrezionale e da cui non può discostarsi, pena una sanzione (v., in tal senso, sentenza del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 211), le «informazioni effettivamente pubbliche» sono informazioni che sono in genere facilmente accessibili per tutti i concorrenti e i consumatori. Orbene, lo stesso punto delle linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale precisa che, «[a]ffinché le informazioni siano effettivamente pubbliche, non dovrebbe essere più costoso ottenerle per i clienti e le imprese che non partecipano al sistema dello scambio di informazioni rispetto alle imprese che lo fanno» e che «[p]er tale ragione, i concorrenti non scelgono solitamente di scambiare dati che possono reperire sul mercato con la stessa facilità; gli scambi di informazioni effettivamente pubbliche risultano pertanto, nella pratica, poco probabili». Inoltre, dal punto 63 delle linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale, dedicato specificamente alle dichiarazioni pubbliche unilaterali, citato dalle ricorrenti in udienza, risulta che «un annuncio unilaterale effettivamente pubblico, ad esempio attraverso un giornale (...) non costituisce generalmente una pratica concordata ai sensi dell’articolo 101 [TFUE]».

266    Nel caso di specie, risulta chiaramente dalle circostanze dello svolgimento della convenzione Intermarché che le informazioni ivi comunicate dalla Intermarché sono dati realmente pubblici ai sensi delle linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale. Grazie alla presenza di giornalisti e al resoconto dettagliato che essi ne hanno fatto nella stampa specializzata solo qualche giorno dopo lo svolgimento della convenzione Intermarché, le informazioni fornite dalla Intermarché nel corso di tale convenzione sono state rese accessibili non solo ad A, dirigente all’interno del gruppo concorrente Casino, ma anche con la stessa facilità a tutti gli altri concorrenti della Intermarché.

267    Inoltre, dall’articolo della stampa specializzata che ha riportato lo svolgimento della convenzione Intermarché, di cui la Commissione non ha contestato il contenuto, risulta che le informazioni presentate in occasione di tale evento avevano un carattere assai generale ed erano dirette a valorizzare, presso i fornitori dell’impresa, la politica di sviluppo e di innovazione del gruppo dirigente della Intermarché. La Commissione non ha spiegato con precisione come tali informazioni potessero sottrarsi alla qualificazione di dati pubblici. Se è vero che, in occasione di tale evento, è stato annunciato un obiettivo di creazione di 200 negozi, questa sola informazione, per la sua genericità, non è, di per sé, idonea a fondare un sospetto di pratica concordata tra concorrenti, vietata dall’articolo 101 TFUE. La natura pubblica delle informazioni divulgate nel corso della convenzione Intermarché impedisce, pertanto, di ritenere che queste ultime possano essere oggetto di scambi di informazioni illecite, così come, pertanto, di qualificare la convenzione Intermarché come indizio sufficientemente grave dell’infrazione di cui trattasi.

268    Ciò vale a maggior ragione nel caso di specie in quanto la Commissione stessa ha presentato gli indizi delle presunte infrazioni nella decisione impugnata come attestanti scambi segreti tra un numero limitato di persone e mediante documenti a loro volta segreti (v. supra, punto 117). Infatti, come hanno giustamente ricordato le ricorrenti, secondo il punto 8 della decisione impugnata, «le presunte pratiche concordate si svolgono nella più assoluta segretezza, essendo la conoscenza della loro esistenza e della loro applicazione limitata agli alti dirigenti e ad un numero limitato di membri del personale degni di fiducia in ciascuna impresa», e «[i] documenti relativi alle presunte pratiche concordate sarebbero limitati al minimo indispensabile e detenuti in luoghi e in una forma che ne faciliti l’occultamento, la conservazione o la distruzione». Orbene, indizi costituiti da dichiarazioni pubbliche, come quelle rese nel corso della convenzione Intermarché, non possono in quanto tali consentire di sospettare scambi relativi alle stesse informazioni e tenuti nella massima segretezza.

269    Tali considerazioni non sono rimesse in discussione dal riferimento, al punto 63 delle linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale, alla circostanza che «non può escludersi la possibilità di constatare una pratica concordata» a partire da un «annuncio unilaterale di carattere realmente pubblico». In effetti, oltre al fatto che tali annunci pubblici non corrispondono alla presente presunzione di scambi illeciti segreti, si deve rilevare che la Commissione non ha né affermato né a fortiori spiegato nella decisione impugnata, e neppure, del resto, nel corso del presente giudizio, che la seconda infrazione corrisponderebbe a tale ipotesi di una pratica concordata a partire da dichiarazioni unilaterali in pubblico.

270    Ne consegue che la Commissione non poteva validamente dedurre dalla valutazione complessiva delle caratteristiche della convenzione Intermarché un sospetto di scambi di dati commerciali tra concorrenti vietati dall’articolo 101 TFUE. Ne consegue altresì che tale convenzione non può costituire un indizio sufficientemente grave da legittimare il sospetto della seconda infrazione.

271    In ogni caso, la presa in considerazione della nota interna della Commissione del 16 dicembre 2016, allegata alla sua risposta complementare del 19 dicembre 2019, al pari della produzione della versione riservata dei resoconti comunicati nella loro versione non riservata dalla Commissione, mediante misura istruttoria, non consentirebbe di modificare tale conclusione. Infatti, da un lato, da tale nota interna non emerge alcun dato diverso da quelli contenuti nei resoconti. D’altro lato, dalla versione non riservata di tali resoconti risulta che i dati occultati mirano unicamente ad impedire l’identificazione di entità o di persone, di date e di cifre, di modo che neppure la presa in considerazione di tali dati consentirebbe di dimostrare il nesso tra le dichiarazioni pubbliche rese nel corso della convenzione Intermarché e i presunti scambi segreti. Ne consegue peraltro che non occorre disporre la misura istruttoria di cui sopra, richiesta dalla Commissione al Tribunale.

272    Non possono costituire un indizio sufficientemente grave da legittimare il sospetto della seconda infrazione neppure le domande concomitanti relative a uno stesso «bonus di innovazione» che la Casino e la Intermarché avrebbero presentato ai loro fornitori. In effetti, nessuno degli indizi comunicati consente di distinguere chiaramente tale bonus o tali «sconti di innovazione» dagli sconti e dai prezzi di vendita di servizi ai fornitori di cui trattasi nella prima infrazione. Alla luce delle spiegazioni fornite nei resoconti (allegato Q.6, pagina 3, e allegato Q.7, pagina 5, nonché nota n. 7, della risposta della Commissione del 10 gennaio 2019), detti sconti consistono in una riduzione richiesta ai fornitori o in una remunerazione di servizi di posizionamento prestati dai distributori ai fornitori, anche se specificamente in relazione ai prodotti innovativi e applicabile in Francia, la quale è del pari oggetto della prima infrazione. Analogamente, nella tabella 2 redatta dalla Commissione per presentare in modo sintetico gli indizi corrispondenti alla seconda infrazione (v. supra, punto 169, ultimo trattino), quest’ultima ha isolato gli indizi relativi agli «sconti di innovazione» da quelli relativi all’assortimento, allo sviluppo di negozi, alla politica di e‑commerce e alla politica promozionale, gli unici menzionati nella decisione impugnata. Si può inoltre rilevare che solo due dei tredici fornitori interpellati (allegati Q.6 e Q.7) menzionano domande concomitanti di sconti di innovazione.

273    Di conseguenza, anche prendendo in considerazione complessivamente gli elementi relativi alla convenzione Intermarché e al «bonus di innovazione», si deve concludere per il mancato possesso, da parte della Commissione, di indizi sufficientemente gravi da legittimare il sospetto dell’esistenza della seconda infrazione e da giustificare l’articolo 1, lettera b), della decisione impugnata, senza che sia necessario pronunciarsi sugli argomenti delle ricorrenti relativi alla nuova decisione di accertamento riguardante, in particolare, gli aspetti della seconda infrazione ad esse indirizzata nel corso del presente giudizio [decisione C(2019) 3761 della Commissione, del 13 maggio 2019, che ingiunge alla Casino, Guichard‑Perrachon SA nonché a tutte le società da essa direttamente o indirettamente controllate di sottoporsi a un accertamento ai sensi dell’articolo 20, paragrafi 1 e 4, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio (AT.40466 – Tute 1)].

274    Il motivo vertente sulla violazione del diritto all’inviolabilità del domicilio delle ricorrenti deve, pertanto, essere accolto per quanto riguarda la seconda infrazione.

275    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che la decisione impugnata deve essere annullata nella parte in cui ordina alle ricorrenti, all’articolo 1, lettera b), di sottoporsi ad un accertamento concernente la loro eventuale partecipazione alla seconda infrazione e che il ricorso deve essere respinto per la restante parte.

 Sulle spese

276    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Poiché la decisione impugnata è parzialmente annullata, occorre decidere che le ricorrenti e la Commissione sopportino rispettivamente le proprie spese. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, il Consiglio, intervenuto a sostegno della Commissione, sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      L’articolo 1, lettera b), della decisione C(2017) 1054 final della Commissione, del 9 febbraio 2017, che ingiunge alla Casino, GuichardPerrachon nonché a tutte le società da essa direttamente o indirettamente controllate di sottoporsi a un accertamento ai sensi dell’articolo 20, paragrafi 1 e 4, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio (caso AT.40466 – Tute 1), è annullato.

2)      Il ricorso è respinto per la restante parte.

3)      La Casino, GuichardPerrachon, la Achats Marchandises Casino SAS (AMC), la Commissione europea e il Consiglio dell’Unione europea sopporteranno ciascuno le proprie spese.

Gervasoni

Madise

da Silva Passos

Kowalik-Bańczyk

 

      Mac Eochaidh

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 ottobre 2020.

Firme


Indice


I. Contesto normativo

II. Fatti

III. Procedimento e conclusioni delle parti

IV. In diritto

A. Sul primo motivo, vertente su un’eccezione di illegittimità dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003

1. Sulla ricevibilità dell’eccezione di illegittimità

2. Sulla fondatezza dell’eccezione di illegittimità

a) Sulla prima censura, relativa alla violazione del diritto a un ricorso effettivo

b) Sulla seconda censura, vertente sulla violazione del principio della parità delle armi e dei diritti della difesa

B. Sul secondo e sul terzo motivo, vertenti sulla violazione dell’obbligo di motivazione e sulla violazione del diritto all’inviolabilità del domicilio

1. Sulla violazione dell’obbligo di motivazione

2. Sulla violazione del diritto all’inviolabilità del domicilio

a) Sul rispetto del principio di proporzionalità

1) Sulle società e sui locali sottoposti ad accertamento

2) Sulla durata dell’ispezione

3) Sulla data dell’accertamento

b) Sul possesso di indizi sufficientemente gravi da parte della Commissione

1) Sulla determinazione degli indizi in possesso della Commissione

2) Sulla valutazione del carattere sufficientemente grave degli indizi in possesso della Commissione

i) Sulla forma degli indizi che hanno giustificato la decisione impugnata

ii) Sugli autori degli indizi che hanno giustificato la decisione impugnata

iii) Sul contenuto degli indizi che hanno giustificato la decisione impugnata

– Sulla mancanza di indizi sufficientemente gravi relativi al sospetto della prima infrazione

– Sulla mancanza di indizi sufficientemente gravi relativi al sospetto della seconda infrazione

Sulle spese


*      Lingua processuale: il francese.


i      «Il punto 83 del presente testo è stato oggetto di una modifica di ordine linguistico, successivamente alla sua pubblicazione iniziale».