Language of document : ECLI:EU:C:2009:534

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 10 settembre 2009 1(1)

Causa C‑45/08

Spector Photo Group NV

Chris Van Raemdonck

contro

Commissie voor het Bank-, Financie- en Assurantiewezen (CBFA)

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Hof van Beroep te Brussel (Belgio)]

«Insider trading – Utilizzo di informazioni privilegiate – Direttiva 2003/6/CE»






I –    Introduzione

1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sul divieto di insider trading ai sensi della direttiva 2003/6/CE (2), relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato). La direttiva vieta di negoziare strumenti finanziari utilizzando informazioni privilegiate. La questione principale sollevata dal giudice del rinvio è se la fattispecie dell’insider trading debba già considerarsi sussistente se la persona che detiene un’informazione privilegiata opera essendo a conoscenza di tali informazioni.

II – Contesto normativo

A –    Il diritto comunitario

2.        L’art. 2, n. 1, prima frase, della direttiva 2003/6 dispone quanto segue:

«Gli Stati membri vietano alle persone di cui al secondo comma che dispongono di informazioni privilegiate di utilizzare tali informazioni acquisendo o cedendo, o cercando di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono».

3.        L’art. 2, n. 1, della precedente direttiva 89/592/CEE (3) così recitava:

«Ciascuno Stato membro vieta alle persone che dispongono di un’informazione privilegiata (…) di acquisire o di cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente i valori mobiliari dell’emittente o degli emittenti interessati da questa informazione, sfruttando consapevolmente tale informazione privilegiata».

B –    Il diritto nazionale

4.        Le disposizioni belghe in materia di insider trading si trovano nella legge in materia di controllo sul settore finanziario e sui servizi finanziari (in prosieguo: «legge in materia di controllo finanziario»).

5.        L’art. 25 della legge in materia di controllo finanziario, nella versione del 2 agosto 2002, applicabile alle operazioni compiute nel periodo compreso tra il 1° giugno 2003 e il 31 dicembre 2003 (in prosieguo: l’«art. 25, versione precedente»), così recitava:

«è fatto divieto a chiunque disponga di informazioni privilegiate di avvalersi di siffatte informazioni acquisendo o alienando, oppure cercando di acquisire o di alienare, per proprio conto o per conto di altri, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari a cui siffatte informazioni si riferiscono, o strumenti finanziari a questi collegati (…)».

6.        La versione dell’art. 25 vigente dal 1° gennaio 2004, introdotta con la legge 22 dicembre 2003 (in prosieguo: l’«art. 25, nuova versione»), è formulata come segue:

«È fatto divieto a chiunque disponga di informazioni, di cui sa, o dovrebbe sapere, che si tratta di informazioni privilegiate, di acquisire o alienare, oppure cercare di acquisire o di alienare, per proprio conto o per conto di altri, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari a cui siffatte informazioni si riferiscono, o strumenti finanziari a questi collegati (…)».

III – Fatti e questione pregiudiziale

7.        La Spector Photo Group NV (in prosieguo: la «Spector») è una società quotata in borsa. Nel 1999 approvava un piano di opzioni di acquisto di azioni per i suoi dipendenti e per quelli delle società ad essa collegate.

8.        Come richiesto per legge, in data 21 maggio 2003 la Spector comunicava alla borsa Euronext di Bruxelles la sua intenzione di acquisire, in ottemperanza al detto piano di opzioni di acquisto, azioni nel proprio capitale. Dal 28 maggio 2003 al 30 agosto 2003 la Spector acquisiva in totale 27 773 azioni. Gli acquisti avevano luogo in sei distinti ordini: cinque per 2 000 azioni, a cui veniva data completa esecuzione, e uno per 18 000 azioni, eseguito per 17 773 azioni.

9.        Successivamente, come risulta dall’ordinanza di rinvio, il comitato direttivo della Commissie voor het Bank-, Financie- en Assuratiewezen (Commissione per il settore bancario, finanziario e assicurativo, in prosieguo: la «CBFA») incaricava l’auditore interno di indagare sull’abuso di informazioni privilegiate relativamente a due acquisti di azioni eseguiti per conto della Spector: un acquisto avvenuto in data 11 agosto per 2 000 azioni e uno in data 13 agosto per 18 000 azioni.

10.      Gli ordini di acquisto controversi erano stati collocati dal sig. Van Raemdonck su incarico della Spector (4).

11.      L’auditore riscontrava una modifica nelle istruzioni di acquisto a far data dal 13 agosto 2003, riguardante sia il numero delle azioni che i limiti di prezzo, e il carattere d’urgenza conferito alle operazioni senza che potesse essere addotta una giustificazione in merito. L’auditore riteneva che ciò costituisse un abuso di informazioni privilegiate. Egli rilevava che la Spector e il sig. Van Raemdonck avrebbero presunto che, una volta resi pubblici i dati di fatturato e il progettato rilevamento di un’altra società da parte della Spector, il prezzo delle azioni sarebbe aumentato. Entrambi dovevano pertanto aver ritenuto che dopo la pubblicazione di tali informazioni la Spector avrebbe dovuto pagare un prezzo di acquisto più alto e, di conseguenza, ciò avrebbe comportato un pregiudizio finanziario per la società. Dopo la pubblicazione dei dati di fatturato, il prezzo sarebbe effettivamente aumentato dell’8%. Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non risulta con chiarezza se l’auditore abbia ritenuto sussistere una violazione del divieto di utilizzo di informazioni privilegiate anche con riferimento all’incarico dell’11 agosto.

12.      L’auditore stabiliva un nesso tra, da una parte, l’ordine di acquisto impartito il 13 agosto 2003, la modifica del limite nonché gli acquisti successivamente eseguiti e, dall’altra parte, le informazioni relative all’acquisizione di una società e i dati di fatturato di cui la Spector e il sig. Van Raemdonck disponevano.

13.      Con decisione 28 novembre 2006 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la CBFA stabiliva a carico della Spector e del sig. Van Raemdonck che anche l’ordine del 13 agosto 2003 costituiva un abuso di informazioni privilegiate. La CBFA infliggeva un’ammenda alla Spector e al sig. Van Raemdonck (in prosieguo: i «ricorrenti») e ordinava la pubblicazione nominativa della sanzione.

14.      I ricorrenti hanno impugnato tale decisione dinanzi all’Hof Van Beroep te Brussel (Corte d’Appello di Bruxelles). Con decisione 1° febbraio 2008 tale giudice ha sospeso il procedimento, sottoponendo alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1)      Se le disposizioni della direttiva 2003/6/CE, e segnatamente il suo art. 2, costituiscano un’armonizzazione totale, ad eccezione delle norme che consentono esplicitamente agli Stati di adottare liberamente misure di attuazione, o se invece costituiscano nel loro complesso un’armonizzazione minima.

2)      Se l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 debba essere interpretato nel senso che il semplice fatto che una persona, ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva medesima, in possesso di informazioni privilegiate, acquisisca o alieni, o cerchi di acquisire o di alienare, per proprio conto o per conto di terzi, gli strumenti finanziari a cui dette informazioni si riferiscono, comporti automaticamente che questa persona fa uso delle informazioni privilegiate.

3)      Se la seconda questione va risolta in senso negativo, se occorra presumere che, ai fini dell’applicazione dell’art. 2 della direttiva 2003/6, è necessaria l’adozione di una decisione consapevole di far uso delle informazioni privilegiate.

Ove siffatta decisione possa anche essere non scritta, se sia richiesto che la decisione di uso risulti da circostanze non suscettibili di un’interpretazione diversa, o se invece sia sufficiente che siffatte circostanze possano essere interpretate in questo senso.

4)      Nel caso in cui, ai fini della valutazione della proporzionalità di una sanzione amministrativa, ai sensi dell’art. 14 della direttiva 2003/6, occorra tenere conto degli utili realizzati, se si debba presumere che la pubblicazione delle informazioni da considerare privilegiate abbia effettivamente influenzato in maniera sensibile il corso dello strumento finanziario.

In tal caso, quale livello minimo di variazione di prezzo debba riscontrarsi per poter definire sensibile la variazione stessa.

5)      A prescindere dalla circostanza se la variazione di prezzo dopo la pubblicazione delle informazioni privilegiate debba essere sensibile o meno, quale periodo debba essere preso in considerazione, dopo la pubblicazione delle informazioni, per stabilire il livello della variazione di prezzo e a che data occorra riferirsi per valutare il vantaggio patrimoniale realizzato, al fine di stabilire la sanzione adatta.

6)      Se, alla luce della verifica della proporzionalità della sanzione, l’art. 14 della direttiva 2003/6 debba essere interpretato nel senso che, se uno Stato membro ha introdotto la possibilità di una sanzione penale, cumulata con la sanzione amministrativa, nella valutazione della proporzionalità occorra tenere conto della possibilità e/o del livello di una sanzione finanziaria penale.

IV – Analisi giuridica

A –    Ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

15.      I governi belga e tedesco nonché la CBFA esprimono dubbi sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale in esame. Essi ritengono che il giudice del rinvio sollevi questioni ipotetiche la cui soluzione sarebbe irrilevante ai fini della decisione nell’ambito del procedimento principale. Tali dubbi derivano dal fatto che il giudice del rinvio sembra chiedere l’interpretazione della direttiva con riferimento all’art. 25 della nuova versione della legge in materia di controllo finanziario, mentre dalla stessa decisione impugnata emerge che tale interpretazione dovrebbe riferirsi all’art. 25 della precedente versione di detta legge.

16.      In via preliminare occorre ricordare che, in linea di principio, spetta al giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia valutare, alla luce delle particolari circostanze del caso, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale sia la rilevanza delle questioni sottoposte. In definitiva, il giudice del rinvio si assume la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale. Pertanto, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire sulle questioni sollevate che vertono sull’interpretazione del diritto comunitario (5).

17.      Tuttavia, in via eccezionale, spetta alla Corte valutare le condizioni in cui essa viene adita dal giudice nazionale (6). Infatti, lo spirito di collaborazione che deve caratterizzare il funzionamento del rinvio pregiudiziale implica che, dal canto suo, il giudice del rinvio tenga presente la funzione assegnata alla Corte, che è quella di contribuire all’amministrazione della giustizia negli Stati membri, e non di esprimere pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche. Secondo consolidata giurisprudenza il rigetto di una domanda è pertanto possibile, fra l’altro, quando appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale o laddove il problema sia di natura ipotetica (7).

18.      Il giudice del rinvio sembra chiedere l’interpretazione della direttiva 2003/6 al fine di valutare la compatibilità con la direttiva stessa dell’art. 25 della nuova versione della legge in materia di controllo finanziario. Infatti, l’art. 25, nuova versione, non riprende precisamente la definizione del divieto di utilizzo di informazioni privilegiate come formulato dalla direttiva 2003/6, ma fonda invece la definizione di insider trading sul fatto che una persona in possesso di informazioni privilegiate, sapendo o dovendo sapere che si tratta di informazioni privilegiate, operi con strumenti finanziari che si riferiscano a tali informazioni (in prosieguo: «compimento di operazioni essendo a conoscenza di informazioni privilegiate»).

19.      Tuttavia, è evidente che sussistono gravi incertezze circa la rilevanza della conformità alla direttiva della nuova versione della legge belga ai fini della soluzione della controversia nel procedimento principale, in quanto detto procedimento dovrebbe essere valutato tenendo conto solo dell’art. 25 nella precedente versione.

20.      Con la decisione impugnata è stato, infatti, sanzionato un fatto avvenuto prima dell’entrata in vigore della nuova legge. Di conseguenza, a tale fattispecie si dovrebbe applicare la versione precedente della legge. Pertanto, il governo tedesco ha fatto valere il principio «nulla poena sine lege», secondo il quale, in via di principio, un fatto deve essere giudicato in base al diritto vigente all’epoca in cui ha avuto luogo.

21.      In un punto della domanda di pronuncia pregiudiziale (8) risulta in effetti che la decisione impugnata si fonda sull’art. 25, nuova versione; tuttavia, in questo caso potrebbe trattarsi di un errore dattilografico, in quanto dalla stessa decisione impugnata emerge che questa era fondata sull’art. 25, versione precedente, come è stato confermato anche dalle parti del procedimento principale e dal governo belga nel corso dell’udienza dinanzi alla Corte.

22.      Pertanto si deve considerare che, al fine di valutare l’operato dei ricorrenti, occorre fare riferimento all’art. 25, versione precedente (9).

23.      A prima vista non emerge però la ragione per cui l’interpretazione della direttiva 2003/6 dovrebbe essere rilevante ai fini della soluzione della controversia nel procedimento principale, visto che la controversia principale non va risolta sulla base dell’art. 25, nuova versione. Infatti, il giudice del rinvio chiede l’interpretazione della direttiva al fine di poter valutare la conformità dell’art. 25, nuova versione, alla direttiva stessa.

24.      In prosieguo tuttavia dimostrerò che l’interpretazione della direttiva 2003/6 non è manifestamente irrilevante ai fini della soluzione della controversia nella causa principale e che, pertanto, nonostante tutti i dubbi, occorre considerare ricevibile la presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

1.      Interpretazione della direttiva 2003/6 quale riferimento per l’interpretazione della legge belga, versione precedente

25.      Rileva pertanto il fatto che la direttiva 2003/6 debba essere utilizzata anche come riferimento per l’interpretazione della versione precedente della legge.

26.      In risposta a un quesito della Corte, il governo belga ha dichiarato in udienza che già la versione precedente della legge sarebbe stata adottata in attuazione della direttiva 2003/6. In effetti, alla data dell’adozione della versione precedente della legge, la direttiva stessa non era ancora entrata in vigore. Il governo belga ha tuttavia dichiarato che il Belgio mirava all’epoca a una nuova versione completa delle sue disposizioni in materia di diritto bancario e, per questo, per la nuova versione della legge in materia di controllo bancario – precorrendo i tempi –, si sarebbe basato sul progetto di direttiva in esame.

27.      In via di principio, un obbligo di interpretazione conforme alle direttive incombe agli Stati membri solamente a partire dalla scadenza del termine di attuazione delle stesse (10). Tuttavia, laddove si fosse effettivamente adottata la precedente legge per recepire la direttiva 2003/6, la soluzione delle questioni pregiudiziali relative all’interpretazione della direttiva 2003/6 può assumere rilievo anche per l’interpretazione di tale legge.

28.      Siffatta precoce iniziativa di attuazione delle direttive deve infatti essere equiparata a quei casi di «attuazione ad abundantiam» delle direttive riconosciuti dalla Corte.

29.      Nei casi di recepimento ad abundantiam di direttive, ovvero laddove uno Stato membro attui una direttiva con riferimento a situazioni che in realtà non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva, una domanda di pronuncia pregiudiziale risulta ciononostante ricevibile (11).

30.      La Corte ha ritenuto di dover risolvere le questioni pregiudiziali anche in siffatti casi. Infatti, l’ordinamento giuridico comunitario ha un manifesto interesse, al fine di evitare divergenze interpretative, a garantire un’interpretazione uniforme di tutte le norme di diritto comunitario, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate (12).

31.      Per lo stesso motivo, le questioni che vertono sull’interpretazione di una direttiva dovrebbero essere ricevibili anche nei casi di iniziativa precoce di attuazione della stessa.

32.      Infine, l’art. 25, versione precedente, presenta pressoché la stessa formulazione dell’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6. L’interpretazione di quest’ultima disposizione non risulta quindi manifestamente irrilevante ai fini della comprensione della versione precedente dell’art. 25.

2.      Argomenti dei ricorrenti relativi al principio della legge più mite

33.      Per motivare il fatto che, ai fini della decisione nel procedimento principale, abbia rilevanza anche la questione relativa alla conformità della nuova legge alla direttiva, nel procedimento dinanzi al giudice del rinvio i ricorrenti hanno sostenuto una teoria molto complessa. Al riguardo, essi hanno invocato il principio della legge più mite. Tale argomento risulta in conclusione poco convincente.

34.      I ricorrenti ritengono che l’art. 25, nuova versione, sia incompatibile con la direttiva 2003/6 e che, pertanto, non possa essere applicato. L’inapplicabilità della nuova versione dell’art. 25 comporterebbe il sorgere di una «lacuna normativa» equiparabile a una legge più mite. Dal principio della legge più favorevole conseguirebbe quindi che dovrebbe essere annullata anche una sanzione inflitta in forza dell’art. 25, versione precedente, applicabile alla decisione impugnata.

35.      Per maggiore chiarezza occorre a questo punto sottolineare che i ricorrenti non sostengono che l’art. 25, nuova versione, sia in sé più mite dell’art. 25, versione precedente. Anzi, essi fanno valere che la nuova legge sarebbe più rigida, in quanto non esige l’utilizzo di un’informazione privilegiata, ma ritiene sufficiente «agire nella consapevolezza che si tratti di un’informazione privilegiata». Con la nuova legge non sembra neanche essere stata preclusa l’applicabilità della legge precedente alle vecchie cause. Il principio della lex mitior andrebbe piuttosto applicato per la lacuna normativa che sorge dall’inapplicabilità dell’art. 25, nuova versione.

36.      In tale contesto, la portata del principio della legge più mite è innanzi tutto una questione di diritto nazionale. Tuttavia, nutro dubbi sul fatto che tale principio possa riferirsi alla causa in esame. L’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole si fonda infatti sulla considerazione che un imputato non deve venire condannato sulla base di un comportamento che, secondo il modificato punto di vista del legislatore, non è più penalmente rilevante al momento del procedimento penale (13). Quindi, le nuove valutazioni legislative devono essere a vantaggio dell’imputato. Quanto precede emerge anche dalla formulazione dell’art. 49, n. 1, terza frase, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (14): «Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima».

37.      Tuttavia, nella presente fattispecie il legislatore belga non ha affatto introdotto una pena più lieve. Gli stessi ricorrenti fanno notare che il legislatore ha invece introdotto una pena più severa. Non sussiste pertanto alcuna nuova valutazione legislativa che qualifichi la condotta come penalmente meno grave.

38.      La presente causa si distingue di conseguenza anche dai fatti che sono alla base della causa Berlusconi. Quest’ultima verteva sulla questione se una legge penale più favorevole debba essere applicata retroattivamente anche laddove ciò sia contrario al diritto comunitario (15). Secondo tutte le parti, tuttavia, nella fattispecie in oggetto la nuova legge non costituisce una legge più mite, pertanto la questione sollevata non si pone.

39.      Peraltro, ai fini della presente causa non rileva la questione se il principio della legge più favorevole sia inteso secondo il diritto belga in senso così ampio da far equiparare, come sostenuto dai ricorrenti, una «lacuna normativa» a una legge più mite. Infatti, nella fattispecie è escluso in modo assoluto che si configuri come asserito dai ricorrenti una lacuna normativa, che essi equiparano a una legge più mite.

40.      Pertanto, anche ammettendo l’argomento dei ricorrenti sull’incompatibilità della nuova legge con la direttiva, si dovrebbe rimediare a tale incompatibilità interpretando la legge belga in maniera conforme alla direttiva. I giudici nazionali sono tenuti a interpretare per quanto possibile il diritto nazionale in modo conforme alle direttive (16). Occorrerebbe dunque interpretare l’art. 25, nuova versione, in modo conforme alla direttiva e, di conseguenza, esso non sarebbe disapplicato per intero. La lacuna normativa, che i ricorrenti equiparano a una legge più mite, non si creerebbe affatto.

41.      Un’interpretazione conforme alla direttiva è effettivamente possibile nella presente fattispecie. I ricorrenti ritengono che la nuova legge violi la direttiva laddove non subordina il divieto di insider trading all’effettivo utilizzo di informazioni privilegiate, bensì ritiene sufficiente che si agisca essendo a conoscenza di tali informazioni. Se si accoglie tale tesi, la legge potrebbe essere interpretata conformemente alla direttiva intendendo l’«utilizzo di informazioni privilegiate» come un ulteriore presupposto della fattispecie dell’insider trading, secondo una lettura riduttiva conforme alla direttiva. Anche un’interpretazione conforme alla direttiva che riduca l’ambito di applicazione dell’insider trading e, quindi, operi a favore del singolo, sarebbe possibile senza porre problemi.

3.      Conclusione parziale

42.      In sintesi, occorre quindi ritenere che la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale non deriva dall’eventuale incompatibilità della nuova legge con la direttiva. Tuttavia, poiché non è escluso a priori che anche la legge precedente debba essere valutata dal giudice nazionale sulla base della direttiva, le questioni pregiudiziali non risultano essere manifestamente irrilevanti. Di conseguenza, la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

B –    Soluzione delle questioni pregiudiziali

1.      Seconda questione pregiudiziale

43.      Con la seconda questione pregiudiziale, che è opportuno esaminare per prima, il giudice del rinvio chiede se l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 debba essere interpretato nel senso che il semplice fatto che una persona in possesso di informazioni privilegiate acquisisca o alieni strumenti finanziari a cui dette informazioni si riferiscono comporti automaticamente che questa persona «fa uso» delle informazioni privilegiate. Va aggiunto al riguardo che la legge belga nell’art. 25, nuova versione, non solo si basa sul fatto che qualcuno disponga di informazioni privilegiate, ma richiede anche che la persona sappia o avrebbe dovuto sapere che si tratta di informazioni privilegiate. Nella presente fattispecie occorre pertanto stabilire se per configurare la fattispecie di insider trading sia sufficiente, senza alcuna eccezione, agire nella consapevolezza di detenere un’informazione privilegiata, oppure se sia necessario un ulteriore elemento.

44.      L’art. 2, n. 1, della direttiva prevede che gli Stati membri vietino alle persone di cui al secondo comma che dispongono di informazioni privilegiate di utilizzare tali informazioni acquisendo o cedendo gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono.

45.      Stando alla lettera dell’art. 2, n. 1, appare innanzi tutto evidente che questo non descrive il divieto di insider trading come un’acquisizione «nella consapevolezza» di detenere un’informazione privilegiata, ma esige che l’acquisizione avvenga «utilizzando» (17) l’informazione privilegiata.

46.      Pertanto, occorre innanzi tutto constatare che nell’uso comune le nozioni di «utilizzo» e di «consapevolezza» non vengono considerate sinonimi, anzi presentano entrambe un significato autonomo. Per «consapevolezza» si intende la semplice conoscenza, nel senso di essere al corrente di una determinata circostanza. Al contrario, invece, la nozione di «utilizzo», che presuppone necessariamente la conoscenza, si realizza solo quando tale consapevolezza si traduce in azione.

47.      Nondimeno, la questione se sia sufficiente compiere un’azione «nella consapevolezza» di detenere un’informazione privilegiata per ritenere in ogni caso che quest’ultima sia stata utilizzata, oppure se sia anche possibile che un’azione compiuta con tale consapevolezza non costituisca un utilizzo dell’informazione privilegiata, non può essere risolta con il solo supporto di un’interpretazione grammaticale.

48.      Mentre nella versione tedesca il requisito dell’«utilizzo» appare chiaro, nella versione francese, invece, è evidente che un’azione nella consapevolezza di detenere un’informazione privilegiata viene qualificata già come un utilizzo di quell’informazione.

49.      Nella versione in lingua francese la direttiva vieta a una persona «d’utiliser cette information en acquérant ou en cédant (…)». Secondo una traduzione letterale, la direttiva vieta a una persona di utilizzare informazioni privilegiate, acquisendo o cedendo strumenti finanziari a cui le informazioni si riferiscono. Pertanto, nella versione francese il punto centrale che contraddistingue i due usi, ovvero «acquisizione» e «cessione», risiede nell’espressione «utiliser en acquérant», dal cui tenore emerge che entrambe le operazioni vengono direttamente qualificate come utilizzo dell’informazione privilegiata (18).

50.      Tuttavia, le diverse versioni linguistiche di una disposizione comunitaria devono essere interpretate uniformemente. In caso di divergenza tra le versioni stesse, la disposizione dev’essere pertanto intesa in funzione dell’economia generale e delle finalità della normativa di cui essa fa parte (19), basandosi anche sulla reale volontà del suo autore (20).

51.      L’art. 2, n. 3, della direttiva chiarisce esplicitamente che la conoscenza di un’informazione privilegiata al momento dell’azione è innocua se l’operazione è effettuata solo per garantire l’esecuzione di un obbligo esigibile di acquisizione o di cessione di strumenti finanziari. Una volta stabilite l’eventualità e le modalità dell’operazione, di modo che non resta alcun margine discrezionale, è escluso che informazioni privilegiate sopravvenute possano aver influenzato l’azione; pertanto, non può neanche parlarsi di un «utilizzo».

52.      A tale riguardo, rileva anche il diciottesimo ‘considerando’ della direttiva. Quest’ultimo, da una parte, si riferisce al fatto che l’uso (21) di un’informazione privilegiata «può» consistere nell’acquisizione o nella cessione sapendo di detenere tale informazione. Dall’altra parte, esso menziona esempi concreti nei quali, pur essendoci la consapevolezza di cui sopra, non si è comunque in presenza di un utilizzo. Già a questo punto emerge pertanto che la conoscenza di un’informazione privilegiata costituisce un presupposto obbligatorio affinché si possa configurare un «utilizzo» vietato di informazioni riservate, ma con il criterio dell’azione nella consapevolezza di detenere un’informazione privilegiata la portata del divieto di cui all’art. 2, n. 1, della direttiva non risulta ancora completamente delineata.

53.      Solo un’interpretazione teleologica della direttiva che tenga conto della sua genesi consente di dare una risposta esaustiva a tale questione.

54.      Secondo il dodicesimo ‘considerando’, il divieto di abuso di informazioni privilegiate sancito dalla direttiva mira ad assicurare l’integrità dei mercati finanziari comunitari e ad accrescere la fiducia degli investitori nei mercati stessi. Quanto precede è precisato al quindicesimo ‘considerando’. Un mercato finanziario efficiente e integrato presuppone il legittimo affidamento degli operatori economici sulla reale e piena trasparenza del mercato. Occorre garantire pari opportunità e impedire che, attraverso l’utilizzo di informazioni riservate, singoli operatori del mercato siano privilegiati a danno degli altri soggetti del mercato.

55.      Solo prevedendo modalità del divieto di insider trading che risultino di fatto applicabili è possibile garantire il miglior funzionamento dei mercati finanziari. Pertanto, solo se il divieto di insider trading comporta una sanzione effettiva delle violazioni, tale divieto si dimostrerà efficace e in grado di promuovere in modo durevole la necessaria fiducia nella normativa da parte di tutti gli operatori del mercato. Al riguardo, in sede di modifica, con la direttiva 2003/6 il legislatore comunitario ha tenuto conto delle esperienze insoddisfacenti riscontrate con la direttiva precedente.

56.      All’art. 2, n. 1, della precedente direttiva 89/592, il divieto di insider trading era formulato, ancora, come segue: «Ciascuno Stato membro vieta alle persone che dispongono di un’informazione privilegiata, (…) di acquisire o di cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente i valori mobiliari dell’emittente o degli emittenti interessati da questa informazione, sfruttando consapevolmente tale informazione privilegiata» (22). Nella direttiva 2003/6 la nozione di «sfruttamento» è ora sostituita dalla nozione di «utilizzo» (23).

57.      Con la nozione di «sfruttamento» la precedente fattispecie del divieto presentava quindi un elemento soggettivo, inteso nel senso di un comportamento mirato. Il carattere di «sfruttamento» potrebbe pertanto essere inteso nel senso che l’operazione effettuata doveva essere eseguita sulla precisa base dell’informazione privilegiata e con l’intenzione di realizzare un profitto ovvero di evitare una perdita (24). È evidente che potrebbero emergere non trascurabili problemi nel provare lo scopo di lucro.

58.      In tale contesto, nell’ambito dell’elaborazione della direttiva 2003/6, il Parlamento chiedeva la sostituzione del requisito dello «sfruttamento», giungendo così alla versione attualmente vigente dell’art. 2, n. 1, che si riferisce ormai solo a un «utilizzo» (25). Il Parlamento aveva fondato la propria proposta di emendamento sulla considerazione che nel procedimento amministrativo venisse sanzionato il semplice utilizzo di un’informazione privilegiata e, pertanto, doveva essere eliminato qualsiasi elemento relativo a uno scopo o a un’intenzione (26).

59.      Si deve pertanto partire da un’ampia concezione della fattispecie di «utilizzo», priva nel complesso di presupposti soggettivi e, di conseguenza, atta a garantire lo scopo perseguito dal legislatore comunitario di semplificare il più possibile l’applicazione del divieto di insider trading. Pertanto, innanzi tutto, un «utilizzo» non presuppone alcuna decisione soggettiva da parte di una persona di agire direttamente sulla base di un’informazione privilegiata della quale essa sia in possesso. Non occorre perciò che la conoscenza di un’informazione privilegiata abbia influenzato l’azione nel senso di una rigida causalità, di una «conditio sine qua non». Non è necessario che, senza l’informazione privilegiata, la persona non avrebbe agito.

60.      Esigere che si dimostri che l’informazione privilegiata abbia influenzato l’operazione secondo il suddetto principio di causalità sarebbe in contrasto con la volontà, chiaramente manifestata dal legislatore comunitario, di rinunciare a presupposti soggettivi.

61.      Pertanto, in linea di massima, l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 deve essere interpretato nel senso che un’azione eseguita essendo a conoscenza di un’informazione privilegiata costituisce già un «utilizzo» ai sensi di tale disposizione.

62.      Tuttavia, un atto eseguito essendo a conoscenza di un’informazione privilegiata non costituisce sempre e inevitabilmente un utilizzo vietato di informazioni privilegiate. Nelle situazioni nelle quali si è escluso che l’essere a conoscenza di siffatte informazioni possa influenzare un’operazione, non potrà parlarsi di un «utilizzo» dell’informazione privilegiata.

63.      In tal senso, il summenzionato diciottesimo ‘considerando’ chiarisce che un’azione eseguita essendo a conoscenza di un’informazione privilegiata non costituisce necessariamente un utilizzo ai sensi dell’art. 2, n. 1, e, al riguardo, formula alcune eccezioni in presenza delle quali non si configura un insider trading vietato, nonostante la conoscenza di un’informazione privilegiata. Così, il fatto che, per esempio, le persone autorizzate a eseguire un ordine per conto terzi in possesso di informazioni privilegiate si limitino a eseguire debitamente un ordine, non dovrebbe essere considerato di per sé uso di informazioni privilegiate.

64.      Se si considera la ratio della direttiva, le eccezioni di cui al diciottesimo ‘considerando’ si presentano come situazioni nelle quali la trasparenza del mercato non è minacciata a priori: indipendentemente dal fatto che i soggetti ivi menzionati dispongano o meno di informazioni privilegiate, il loro ruolo per l’andamento del mercato è tale per cui dette informazioni non lo influenzano.

65.      Poiché l’art. 2, n. 1, della direttiva vieta un’azione eseguita utilizzando un’informazione privilegiata e non si riferisce semplicemente a un’azione eseguita essendo a conoscenza di un’informazione privilegiata, esso per esempio esclude dall’ambito di applicazione del divieto le fattispecie menzionate al diciottesimo ‘considerando’: in tali casi è escluso a priori che l’informazione porti all’azione, cosicché non si potrà parlare di utilizzo di un’informazione privilegiata.

66.      Possono immaginarsi anche altri casi in cui è accertato a priori che, nonostante la conoscenza di un’informazione privilegiata, al momento dell’azione non si configura alcuna ipotesi di «utilizzo» dell’informazione, in quanto quest’ultima non ha, a priori, influenzato l’azione. Il governo del Regno Unito ha citato, come ulteriore esempio, l’azione di una persona che viene eseguita in contrasto con il previsto andamento del mercato: per esempio, una persona vende delle azioni nonostante il fatto che disponga di informazioni privilegiate che lasciano supporre un aumento del prezzo delle azioni perché, per esempio, ha urgente necessità del ricavato della vendita e non può attendere l’aumento del prezzo.

67.      In situazioni di questo tipo non si può ritenere che la persona in oggetto abbia ceduto le azioni «utilizzando» l’informazione privilegiata. Se una persona agisce in contrasto con le previsioni di mercato derivanti dall’informazione privilegiata di cui dispone, non si può certo affermare che essa usi l’informazione privilegiata. Invero, se si tenesse conto solo del fatto che si tratta di un’«azione essendo a conoscenza di un’informazione privilegiata», si dovrebbe anche in quel caso riconoscere l’esistenza di insider trading, in quanto si tratterebbe, comunque, di una cessione consapevole.

68.      Si deve pertanto risolvere la seconda questione pregiudiziale come segue:

69.      Occorre interpretare l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 nel senso che il fatto che una persona disponga di informazioni privilegiate, sapendo o dovendo sapere che si tratta di informazioni privilegiate, e acquisisca o ceda strumenti finanziari che si riferiscono a tali informazioni comporta, di norma, che tale persona «utilizzi» l’informazione. Nelle situazioni in cui è accertato a priori che un’informazione privilegiata non influenza l’azione di una persona, la mera conoscenza di un’informazione privilegiata non ne comporta anche l’utilizzo.

2.      Terza questione pregiudiziale

70.      Con la terza questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede se sia necessaria una decisione consapevole o scritta di far uso dell’informazione privilegiata. Al riguardo, si può in gran parte rinviare alle osservazioni svolte rispetto alla seconda questione pregiudiziale. Con la riformulazione del divieto di utilizzo di informazioni privilegiate si è voluto eliminare da tale fattispecie qualsiasi elemento riferito a uno scopo o a un’intenzione. Una decisione consapevole o scritta di fare uso delle informazioni non è dunque necessaria. Una persona non può infatti agire essendo a conoscenza di un’informazione privilegiata e prescindere del tutto da tale consapevolezza. Al contrario, l’informazione influenza, di norma, una decisione di acquisto o di vendita. Di conseguenza occorre senz’altro ritenere, in generale, che vi sia anche un utilizzo delle informazioni privilegiate. Non sono necessarie ulteriori prove.

3.      Prima questione pregiudiziale

71.      La prima questione pregiudiziale riguarda il grado di armonizzazione della direttiva 2003/6 e, in particolare, del suo art. 2. Tale questione è irrilevante ai fini della decisione nel procedimento principale ed è dunque irricevibile. Come ho già illustrato in precedenza, nell’ambito della controversia principale si applica solo l’art. 25 della precedente versione della legge belga in materia di controllo finanziario. Tuttavia, la questione del grado di armonizzazione della direttiva 2003/6 sembra essere rilevante solo alla luce dell’art. 25, nuova versione.

72.      Infatti, solo l’art. 25, nuova versione, si discosta dal tenore dell’art. 2, n. 1, della direttiva e, prevedendo un divieto più severo di quello della direttiva, solleva la questione se un divieto di utilizzo di informazioni privilegiate che eccede quello previsto dalla direttiva sia, in assoluto, ammissibile. L’art. 25, nuova versione, si basa sulla mera conoscenza di un’informazione privilegiata e non tiene conto né delle eccezioni di cui all’art. 2, n. 3, della direttiva 2003/6, né della ratio della direttiva e delle eccezioni al divieto di utilizzo di informazioni privilegiate che derivano dai ‘considerando’.

73.      Invece, l’art. 25, precedente versione, si basava, come la direttiva, su un «utilizzo» dell’informazione privilegiata e, di conseguenza, non eccedeva la portata del divieto della direttiva. Tuttavia, tenuto conto del fatto che ai fini del procedimento principale è rilevante solo l’art. 25, versione precedente, la questione se la direttiva conceda un margine per disposizioni nazionali più severe resta puramente ipotetica. La prima questione pregiudiziale è dunque irricevibile.

74.      Qualora tuttavia la Corte dovesse ritenere ricevibile anche la prima questione, in via subordinata esaminerò anche la problematica da essa sollevata.

75.      Si deve preliminarmente rilevare che la questione della portata dell’armonizzazione della direttiva 2003/6 – armonizzazione completa o armonizzazione minima – non può trovare una soluzione generale per l’intera direttiva. Al contrario, occorre esaminare ogni singolo aspetto in essa disciplinato.

76.      Ai fini della valutazione del grado di armonizzazione occorre tenere conto del tenore letterale e della ratio della disposizione in esame (27).

77.      Dal tenore letterale di alcune materie regolate dalla direttiva 2003/6 emerge con tutta chiarezza che esse costituiscono norme minime e che gli Stati membri sono legittimati ad adottare disposizioni che eccedono tale base. Ciò vale, per esempio, per la fattispecie sanzionatoria dell’abuso di informazioni privilegiate. Al riguardo, l’art. 14 della direttiva 2003/6 si limita a disporre che gli Stati membri devono prevedere misure amministrative che siano efficaci e dissuasive. Allo stesso modo, la facoltà di imporre anche sanzioni penali è esplicitamente lasciata alla discrezione degli Stati membri. In termini di sanzioni, la direttiva comporta dunque solo un’armonizzazione minima.

78.      Al contrario, con riferimento all’espresso divieto di utilizzo di informazioni privilegiate di cui all’art. 2, n. 1, la direttiva non fornisce alcuna esplicita indicazione sul suo carattere esaustivo o meno al riguardo.

79.      Tuttavia, è possibile trarre un primo elemento utile dalla comparazione con la direttiva precedente. L’art. 6 della direttiva 89/592 permetteva in modo esplicito agli Stati membri di adottare disposizioni più severe di quelle previste dalla direttiva. La seconda frase dell’art. 6 precisava, in particolare, la facoltà degli Stati membri di estendere il divieto di utilizzo di informazioni privilegiate di cui all’art. 2. La direttiva 89/592 consentiva però l’adozione di disposizioni più severe solo a condizione che avessero un’applicazione generale, ovvero che la portata della normativa fosse identica per l’insieme delle persone fisiche o giuridiche da essa interessate (28).

80.      Tale precedente versione dell’art. 6 non è stata ripresa dalla direttiva 2003/6. In quest’ultima non vi è alcuna clausola generale di salvaguardia che consenta in modo esplicito agli Stati membri di estendere la portata del divieto di utilizzo di informazioni privilegiate. Ciò permette di dedurre che agli Stati membri non è più consentito, in linea di principio, adottare normative più severe, salvo negli ambiti in cui la direttiva lo prevede esplicitamente.

81.      Come emerge in particolare dai suoi ‘considerando’, anche la ratio della direttiva 2003/6 porta a ritenere che il divieto di utilizzo di informazioni privilegiate di cui all’art. 2, n. 1, debba essere inteso come armonizzazione completa.

82.      Da un lato, con il divieto di utilizzo di informazioni privilegiate la direttiva mira a rafforzare la fiducia degli operatori economici nell’integrità del mercato finanziario e, quindi, a rafforzarne l’integrità stessa. La direttiva garantisce che il divieto si applichi in generale in tutti gli Stati membri e pertanto che, al riguardo, non permanga alcun mercato finanziario non regolato. Gli operatori economici devono poter contare sul fatto che il divieto di utilizzo di informazioni privilegiate sia valido in tutta la Comunità.

83.      Dall’altro lato, la direttiva tiene anche conto del fatto che non solo una lacunosa validità territoriale del divieto di utilizzo di informazioni privilegiate sarebbe fonte di confusione per gli operatori economici, bensì anche una diversa configurazione di tale divieto a seconda dello Stato membro può impedire l’effettivo funzionamento del mercato interno nell’ambito dei mercati finanziari.

84.      In tal senso, l’undicesimo ‘considerando’ sottolinea espressamente che la direttiva tiene conto del fatto che i requisiti giuridici relativi all’insider trading variano da uno Stato membro all’altro «creando incertezza per gli operatori economici per quanto attiene ai concetti, alle definizioni e all’applicazione». Tale premessa depone a sfavore della tesi che l’art. 2, n. 1, della direttiva introduca una mera armonizzazione minima. Infatti, ammettere che gli Stati membri siano liberi di stabilire divieti di utilizzo di informazioni privilegiate più severi porrebbe gli operatori economici nell’incertezza per quanto riguarda la portata del divieto di insider trading e non assicurerebbe la chiarezza voluta.

85.      Infine, la tesi secondo cui l’art. 2 comporterebbe un’armonizzazione totale del divieto di utilizzo di informazioni privilegiate trova un’ulteriore conferma nel contenuto del divieto stesso.

86.      Nell’ambito della soluzione alla seconda questione pregiudiziale è stato illustrato come, con l’impiego della nozione di «utilizzo», l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 imponga un divieto di insider trading di vasta portata, efficace e facilmente perseguibile, in base al quale a una persona in possesso di un’informazione privilegiata è consentito effettuare operazioni solo in alcuni casi eccezionali. Considerando poi che le eccezioni da riconoscere, come quelle formulate per esempio all’art. 2, n. 3, o al diciottesimo ‘considerando’, equivalgono nel complesso a una riduzione teleologica del divieto, ovvero interessano casi nei quali la ratio del divieto di utilizzo di informazioni privilegiate non rileva, non si può riconoscere una reale necessità e un margine significativo per divieti più severi a livello nazionale.

87.      Inoltre, due aspetti confermano il carattere esaustivo del divieto imposto dalla direttiva: in primo luogo, solo così si raggiungerà in modo uniforme l’auspicata ampia tutela degli investitori; in secondo luogo, ai fini della certezza del diritto, vengono eliminate le incertezze degli operatori economici riguardo alla portata del divieto.

88.      Si deve pertanto concludere che l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 costituisce un’armonizzazione completa.

89.      Una diversa conclusione non deriva neppure dal fatto che la direttiva 2003/6 sia un caso di applicazione della cosiddetta procedura Lamfalussy. Tale procedura comporta che la materia venga adottata con tecniche legislative articolate su più livelli, come menzionato al quarto ‘considerando’. Al livello 1 sono stabiliti principi quadro di carattere generale attraverso la direttiva, mentre al livello 2, successivamente, vengono adottate dalla Commissione, con l’assistenza di un comitato, misure tecniche di attuazione.

90.      Tuttavia, dall’applicazione della procedura Lamfalussy non si può trarre alcuna conclusione sulla questione se la direttiva armonizzi in modo esaustivo determinati ambiti o ammetta norme derogatorie da parte degli Stati membri. Infatti, tale procedura non riguarda il grado di armonizzazione, bensì le modalità di legiferazione sul piano del diritto comunitario.

91.      Infine, si deve ancora esaminare un argomento della Commissione, con il quale quest’ultima vede nell’impiego della nozione di «utilizzo» di cui all’art. 2, n. 1, la prova del fatto che si tratta solo di un’armonizzazione minima. Il fatto che la nozione di «utilizzo» non sia definita nella direttiva farebbe sì che si tratti di un concetto giuridico indeterminato, nella cui applicazione gli Stati membri godrebbero a priori, diversamente da un’armonizzazione completa, di un ampio margine di discrezionalità.

92.      Tale ragionamento non è convincente. La direttiva 2003/6 contiene all’art. 2, n. 1, una definizione di utilizzo di informazioni privilegiate. La Commissione riconosce, a ragione, che la direttiva non definisce a sua volta ogni nozione impiegata in tale definizione. Così, la direttiva non contiene alcuna definizione della nozione di «utilizzo». Ciò non implica però che gli Stati membri possano liberamente procedere a una sua definizione in modo discrezionale. La nozione di utilizzo costituisce piuttosto una nozione comunitaria autonoma che deve essere stabilita in modo uniforme per tutti gli Stati membri.

4.      Quarta e quinta questione pregiudiziale

93.      Entrambe le questioni riguardano la proporzionalità della sanzione. Il giudice del rinvio chiede se, per determinare la proporzionalità di una sanzione, occorra tenere conto degli utili realizzati e se, al riguardo, sia rilevante anche il fatto che la pubblicazione delle informazioni privilegiate abbia influenzato in maniera sensibile il corso dello strumento finanziario, e come si debba valutare questo “carattere sensibile”. Inoltre, il giudice del rinvio chiede a che data occorra riferirsi per valutare il vantaggio patrimoniale realizzato.

94.      Con riferimento all’entità e al tipo di sanzioni, l’art. 14 della direttiva 2003/6 stabilisce solo che gli Stati membri sono tenuti a garantire, conformemente al loro ordinamento nazionale, che possano essere adottate le opportune misure amministrative o irrogate le sanzioni amministrative previste per il mancato rispetto del divieto imposto dalla direttiva. Gli Stati membri sono tenuti a garantire che tali misure siano efficaci, proporzionate e dissuasive. La direttiva non fornisce criteri concreti per la valutazione della proporzionalità di una sanzione.

95.      In merito alla valutazione del grado di influenza sui prezzi, la direttiva si esprime solo all’art. 1, primo comma, punto 1), della direttiva 2003/6, nell’ambito della definizione di informazione privilegiata. In base a tale definizione, un’informazione è privilegiata allorché, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sul prezzo degli strumenti finanziari.

96.      L’art. 1, primo comma, punto 1), riguarda la determinazione ex ante della possibilità che un’informazione influenzi i prezzi. La direttiva non afferma che un utilizzo vietato di informazioni privilegiate può sussistere solo se ha anche di fatto portato a un aumento dei prezzi.

97.      La questione se e in che misura i prezzi siano stati effettivamente influenzati può però essere presa in considerazione nel valutare l’entità della sanzione nell’ambito del controllo di proporzionalità. Il livello di variazione del prezzo dopo la pubblicazione di un’informazione privilegiata può essere un indizio dell’importanza e del potenziale dell’informazione privilegiata. Tali elementi possono rientrare nel controllo di proporzionalità.

98.      Peraltro, l’entità dell’aumento dei prezzi è rilevante anche ai fini del calcolo degli utili realizzati.

99.      Per quanto riguarda la presa in considerazione degli utili realizzati, dal trentottesimo ‘considerando’ emerge che le sanzioni dovrebbero essere proporzionate alla gravità della violazione e agli utili realizzati. La direttiva non fornisce i dettagli sul calcolo degli utili realizzati, in particolare sul periodo su cui basare tale calcolo. Al contrario, essa attribuisce la determinazione del tipo e della struttura della sanzione alla sfera di responsabilità degli Stati membri. Questi ultimi sono tenuti, in forza dell’art. 14, a prevedere, conformemente al loro ordinamento interno, sanzioni che siano efficaci, proporzionate e dissuasive.

5.      Sesta questione pregiudiziale

100. Con tale questione il giudice del rinvio chiede se l’art. 14 della direttiva debba essere interpretato nel senso che «se uno Stato membro ha introdotto la possibilità di una sanzione penale, cumulata con la sanzione amministrativa, nella valutazione del carattere di proporzionalità occorra tenere conto della possibilità e/o del livello di una sanzione finanziaria penale».

101. La convenuta nel procedimento principale ritiene che la questione pregiudiziale in esame sia ipotetica e, di conseguenza, irricevibile. Si deve convenire con essa che dalle indicazioni del giudice a quo non risulta che nella fattispecie si tratti di una sanzione amministrativa che ha fatto seguito ad una sanzione penale già inflitta in precedenza. Si tratta piuttosto di una prima imposizione di una sanzione. Non vi è menzione del fatto che sia stato svolto un precedente procedimento penale per i medesimi fatti, né che si debba svolgere. Nel procedimento amministrativo difficilmente si può però prendere in considerazione una sanzione penale che può essere possibilmente imposta in futuro.

102. La convenuta nella causa principale e il governo belga hanno del resto indicato che il diritto belga contempla, nel caso di un procedimento penale tardivo, la possibilità di tener conto di una sanzione amministrativa imposta precedentemente (29).

103. La questione se in un procedimento penale svolto successivamente si debba tenere conto di una sanzione amministrativa precedentemente imposta non riguarda probabilmente solo la proporzionalità della sanzione, ma anche il divieto ne bis in idem (30). Tuttavia, tale questione si porrebbe solo in un successivo procedimento penale, in seguito al procedimento amministrativo.

C –    Sul riacquisto di azioni proprie

104. Infine, resta da analizzare ancora un aspetto, rispetto al quale il giudice del rinvio non ha tuttavia formulato alcuna concreta questione. Nella motivazione della propria domanda di pronuncia pregiudiziale esso ha però sostenuto che il legislatore belga non avrebbe trasposto entro il termine l’art. 8 della direttiva 2003/6.

105. Ai sensi dell’art. 8 della direttiva 2003/6, i divieti imposti dalla direttiva non si applicano, inter alia, alla negoziazione di azioni proprie effettuate nell’ambito di programmi di riacquisto di azioni proprie, a condizione che tali negoziazioni si svolgano in conformità delle disposizioni di applicazione adottate secondo la procedura di cui all’art. 17, n. 2. Le relative disposizioni di applicazione sono state adottate con il regolamento (CE) n. 2273/2003 (31).

106. Secondo le indicazioni fornite nella domanda di pronuncia pregiudiziale, quando i ricorrenti hanno effettuato le operazioni oggetto della presente controversia il detto regolamento non era ancora entrato in vigore. Tuttavia, nel frattempo esso è entrato in vigore.

107. A tale proposito occorre ricordare che dal principio generale della legge più mite riconosciuto dal diritto comunitario (32) deriva che, laddove ne siano soddisfatti i presupposti, le deroghe al divieto di cui all’art. 8 della direttiva dovrebbero applicarsi anche ai ricorrenti. Dall’art. 8 della direttiva si evince in particolare che, a determinate condizioni, il legislatore comunitario non considera il riacquisto di azioni proprie nell’ambito di un programma di opzioni di acquisto per dipendenti come un utilizzo vietato di informazioni privilegiate. Ne consegue che, oggi, i ricorrenti non potrebbero essere sanzionati per un comportamento che rientra in tali ipotesi eccezionali. Anche se il legislatore belga non fosse ancora stato tenuto a recepire tale articolo, le sanzioni inflitte ai ricorrenti non corrisponderebbero alla volontà del legislatore comunitario e dovrebbero essere revocate. Ciò vale tuttavia solo a condizione che l’azione dei ricorrenti soddisfi casualmente i requisiti per un programma di riacquisto indicati nel regolamento n. 2273/2003 non ancora entrata in vigore. In particolare, qualora dovesse tuttavia provarsi nel procedimento dinanzi al giudice del rinvio che i ricorrenti abbiano variato successivamente l’ordine di acquisto in ragione del numero delle azioni, del prezzo e dell’urgenza, i requisiti del regolamento potrebbero non essere soddisfatti. Una violazione del divieto di utilizzo di informazioni privilegiate non potrebbe quindi decadere grazie all’art. 8 della direttiva 2003/6 in combinato disposto con il regolamento n. 2273/2003.

V –    Conclusione

108. Alla luce delle suesposte osservazioni, propongo pertanto alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sottoposte come segue:

–        L’art. 2 della direttiva 2003/6/CE va interpretato nel senso che il fatto che una persona disponga di informazioni privilegiate, sapendo o dovendo sapere che si tratta di informazioni privilegiate, e acquisisca o ceda strumenti finanziari che si riferiscono a tali informazioni comporta, di norma, che tale persona «utilizzi» l’informazione. Nelle situazioni in cui è accertato a priori che un’informazione privilegiata non influenza l’azione di una persona, la mera conoscenza di un’informazione privilegiata non ne comporta anche l’utilizzo.

–        L’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6/CE non consente agli Stati membri di imporre un divieto di utilizzo di informazioni privilegiate più severo rispetto a quello della direttiva 2003/6.

–        La concreta configurazione delle sanzioni spetta agli Stati membri, i quali al riguardo sono tuttavia tenuti a garantire che le misure adottate siano efficaci, proporzionate e dissuasive.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, 2003/6/CE, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato) (GU L 96, pag. 16; in prosieguo: la «direttiva 2003/6»).


3 – Direttiva del Consiglio 13 novembre 1989, 89/592/CEE, sul coordinamento delle normative concernenti le operazioni effettuate da persone in possesso di informazioni privilegiate (insider trading) (GU L 334, pag. 30; in prosieguo: la «direttiva 89/592»).


4 – Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non emerge con assoluta chiarezza se al momento dell’acquisizione delle azioni il sig. Van Raemdonck fosse ancora il direttore della Spector oppure se fosse solo l’ex direttore.


5 – V. solo sentenze 23 novembre 2006, causa C‑238/05, Asnef-Equifax e Administración del Estado (Racc. pag. I‑11125, punto 15), e 22 dicembre 2008, causa C‑48/07, Les Vergers du Vieux Tauves (Racc. pag. I‑10627, punto 16), nonché giurisprudenza ivi citata.


6 – Sentenze 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia (Racc. pag. 3045, punto 27), nonché 13 luglio 2006, cause riunite da C‑295/04 a C‑298/04, Manfredi e a. (Racc. pag. I‑6619, punto 27).


7 – Sentenza 5 dicembre 2006, cause riunite C‑94/04 e C‑202/04, Cipolla e a. (Racc. pag. I‑11421, punto 25), e giurisprudenza ivi citata.


8 – Punto 18 dell’ordinanza di rinvio.


9 – I ricorrenti hanno però aggiunto al riguardo che la decisione impugnata si baserebbe sull’art. 25, versione precedente, ma che la convenuta avrebbe «de facto» applicato l’art. 25, nuova versione. Non è emerso chiaramente cosa i ricorrenti volessero di preciso intendere con tale applicazione di fatto. È possibile che volessero esprimere che la convenuta avrebbe interpretato l’art. 25, versione precedente, alla luce dell’art. 25, nuova versione. Siffatto modus operandi potrebbe generare problemi rispetto al principio nulla poena sine lege. Spetta al giudice del rinvio valutare tale circostanza.


10 – Sentenza 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a. (Racc. pag. I‑6057, punto 115); nelle conclusioni da me presentate in tale causa ho proposto una diversa soluzione, che la Corte tuttavia non ha seguito. Secondo la giurisprudenza alla data in cui una direttiva è entrata in vigore i giudici degli Stati membri devono astenersi per quanto possibile dall’interpretare il diritto interno in un modo che rischierebbe di compromettere gravemente, dopo la scadenza del termine di attuazione, la realizzazione del risultato perseguito da questa direttiva; v., in proposito, la sentenza Adeneler, punto 123.


11 – V. sentenza 18 ottobre 1990, cause riunite C‑297/88 e C‑197/89, Dzodzi (Racc. pag. I‑3763, punto 36).


12 – Giurisprudenza costante a partire dalla sentenza Dzodzi (cit. alla nota 11); v., inoltre, sentenza 11 dicembre 2007, causa C‑280/06, ETI e a. (Racc. pag. I‑10893, punti 21 e 22).


13 – V., al riguardo, le conclusioni da me presentate in data 14 ottobre 2004 nelle cause riunite C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, Berlusconi e a. (Racc. pag. I‑3565, paragrafo 161), e in data 10 giugno 2004 nella causa C‑457/02, Niselli (Racc. pag. I‑10853, paragrafo 69).


14 – La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stata solennemente proclamata prima il 7 dicembre 2000 a Nizza (GU 2000, C 364, pag. 1) e successivamente il 12 dicembre 2007 a Strasburgo (GU 2007, C 303, pag. 1). Sebbene essa, in quanto tale, non abbia ancora effetti giuridici vincolanti equiparabili a quelli di diritto primario, essa fornisce, come fonte giuridica di riferimento, indicazioni sui diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento giuridico comunitario; v. sul punto anche la sentenza 27 giugno 2006, causa C‑540/03, Parlamento/Consiglio («Ricongiungimento familiare», Racc. pag. I‑5769, punto 38), ed il paragrafo 108 delle mie conclusioni dell’8 settembre 2005 in tale causa, nonché la sentenza 13 marzo 2007, causa C‑432/05, Unibet (Racc. pag. I‑2271, punto 37).


15 – Sentenza 3 maggio 2005, cause riunite C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, Berlusconi e a. (Racc. pag. I‑3565); v., al riguardo, anche le conclusioni da me presentate in questa causa (cit. alla nota 13).


16 – V. sentenza 5 ottobre 2004, cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01, Pfeiffer e a. (Racc. pag. I‑8835, punto 114), nonché Adeneler e a. (cit. alla nota 10, punto 115).


17 – In olandese all’art. 2, n. 1, si legge: «(…) om gebruik te maken (…)».


18 – Lo stesso vale per la versione in lingua inglese, che è così formulata: «using that information by acquiring or disposing».


19 – Sentenze 5 dicembre 1967, causa 19/67, van der Vecht (Racc. pag. 408, in particolare pag. 417); 27 ottobre 1977, causa 30/77, Bouchereau (Racc. pag. 1999, punti 13 e 14); 14 giugno 2007, causa C‑56/06, Euro Tex (Racc. pag. I‑4859, punto 27), nonché 21 febbraio 2008, causa C‑426/05, Tele2 Telecommunication (Racc. pag. I‑685, punto 25).


20 – Sentenze 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder (Racc. pag. 419, punto 3); 7 luglio 1988, causa 55/87, Moksel Import und Export (Racc. pag. 3845, punto 49); 20 novembre 2001, causa C‑268/99, Jany e a. (Racc. pag. I‑8615, punto 47), nonché 27 gennaio 2005, causa C‑188/03, Junk (Racc. pag. I‑885, punto 33).


21 – Il fatto che nella versione tedesca del diciottesimo ‘considerando’ compaia il termine «Ausnutzung», e non «Nutzung» come all’art. 2, n. 1, pare celare un errore redazionale. Le altre versioni linguistiche, per esempio le versioni francese, inglese e olandese, al diciottesimo ‘considerando’, adottano lo stesso concetto di cui all’art. 2, n. 1, della direttiva.


22 – Il corsivo è mio.


23 – Diversamente, ad esempio, che nelle nuove versioni francese (sostituzione della nozione «en exploitant» con la nozione «utiliser») o inglese (sostituzione della nozione «taking advantage» con la nozione «using») nella versione olandese sia della direttiva 89/592 («met gebruikmaking») che della direttiva 2003/6 («om gebruik te maken») si trova la stessa nozione per l’«utilizzo» dell’informazione. L’elemento soggettivo è stato espresso nella versione olandese della direttiva 89/592 con un avverbio («welbewust»); infatti essa così recita: «met gebruikmaking, welbewust, van deze voorwetenschap».


24 – V., al riguardo, anche le conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi presentate il 26 ottobre 2006 nella causa C‑391/04, Georgakis (Racc.  pag. I‑3741, paragrafo 51).


25 – Nella versione olandese non risulta alcuna modifica rispetto al progetto di direttiva, poiché per questo già parlava di «utilizzo» («gebruik te maken»).


26 – V. relazione del deputato R. Goebbels del 27 febbraio 2002 (PE 307.438 A5-0069/2002, pag. 25) sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato) [2001/0118 (COD)], approvata dal Parlamento europeo con la sua risoluzione legislativa del 14 marzo 2002. Nella versione olandese il relativo paragrafo non è stato certo riprodotto con questa motivazione; probabilmente per il fatto che nella versione olandese non era necessaria alcuna modifica del testo della direttiva.


27 – V. sentenza 25 aprile 2002, causa C‑52/00, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑3827, punto 16).


28 – V. sentenza 3 maggio 2001, causa C‑28/99, Verdonck e a. (Racc. pag. I‑3399, punto 35).


29 – Essi fanno qui riferimento all’art. 73 della legge in materia di controllo finanziario nella versione del 2 agosto 2002.


30 – V., al riguardo, anche Corte eur. D. U., sentenze Ponsetti c. Francia del 14 settembre 1999, nn. 36855/97 e 41731/98, Recueil des arrêts et décisions 1999‑VI, nonché Rosenquist c. Svezia del 14 settembre 2004, n. 60619/00.


31 – Regolamento (CE) della Commissione 22 dicembre 2003, n. 2273, recante modalità di esecuzione della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la deroga per i programmi di riacquisto di azioni proprie e per le operazioni di stabilizzazione di strumenti finanziari (GU L 336, pag. 33).


32 – V. sentenze 11 novembre 2004, causa C‑457/02, Niselli (Racc. pag. I‑10853) nonché Berlusconi (cit. alla nota 15), e le conclusioni da me presentate in queste cause.