Language of document : ECLI:EU:C:2017:607

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MELCHIOR WATHELET

presentate il 26 luglio 2017 (1)

Causa C442/16

Florea Gusa

contro

Minister for Social Protection,

Attorney General,

Irlanda

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (Corte d’appello, Irlanda)]

«Rinvio pregiudiziale – Regolamento (CE) n. 883/2004 – Prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo – Indennità per persone in cerca di occupazione – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 7, paragrafo 3, lettera b) – Cittadino dell’Unione che ha risieduto e svolto attività di lavoro autonomo nello Stato membro ospitante – Cessazione dello status di lavoratore autonomo»






I.      Introduzione

1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale solleva, in via principale, la questione se uno Stato membro possa escludere dal beneficio di prestazioni di sostentamento di carattere non contributivo, ai sensi del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (2), come modificato dal regolamento (CE) n. 988/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009 (3) (in prosieguo: il «regolamento n. 883/2004»), il cittadino di un altro Stato membro che abbia svolto attività lavorativa per un periodo superiore ad un anno in qualità di lavoratore autonomo nel proprio territorio, oppure se il cittadino medesimo conservi lo status di «lavoratore» (4) ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (5).

2.        Fondamentalmente, grazie alle varie questioni sollevate, il giudice del rinvio offre alla Corte l’opportunità di precisare la portata della cittadinanza dell’Unione europea e di eliminare le incertezze che hanno potuto lasciar sussistere, al riguardo, le sentenze dell’11 novembre 2014, Dano (C‑333/13, EU:C:2014:2358), del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597), del 25 febbraio 2016, García‑Nieto e a. (C‑299/14, EU:C:2016:114), nonché del 14 giugno 2016, Commissione/Regno Unito (C‑308/14, EU:C:2016:436).

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Il regolamento n. 883/2004

3.        L’articolo 3 del regolamento n. 883/2004, intitolato «Ambito d’applicazione “ratione materiae”», così recita:

«1.      Il presente regolamento si applica a tutte le legislazioni relative ai settori di sicurezza sociale riguardanti:

(…)

h)      le prestazioni di disoccupazione;

(…)

2.      Fatte salve le disposizioni dell’allegato XI, il presente regolamento si applica ai regimi di sicurezza sociale generali e speciali, contributivi o non contributivi, nonché ai regimi relativi agli obblighi del datore di lavoro o dell’armatore.

3.      Il presente regolamento si applica anche alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo di cui all’articolo 70.

(…)».

4.        Ai sensi del successivo articolo 4, rubricato «Parità di trattamento»:

«Salvo quanto diversamente previsto dal presente regolamento, le persone alle quali si applica il presente regolamento godono delle stesse prestazioni e sono soggette agli stessi obblighi di cui alla legislazione di ciascuno Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato».

5.        Il capitolo 9, del titolo III, del regolamento medesimo è dedicato alle «[p]restazioni speciali in denaro di carattere non contributivo». Esso è costituito dal solo articolo 70, intitolato «Disposizione generale», e prevede quanto segue:

«1.      Il presente articolo si applica alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo previste dalla legislazione la quale, a causa del suo ambito di applicazione ratione personae, dei suoi obiettivi e/o delle condizioni di ammissibilità, ha caratteristiche tanto della legislazione in materia di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, quanto di quella relativa all’assistenza sociale.

2.      Ai fini del presente capitolo, le “prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo” sono quelle:

a)      intese a fornire:

i)      copertura in via complementare, suppletiva o accessoria dei rischi corrispondenti ai settori di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, e a garantire, alle persone interessate, un reddito minimo di sussistenza in relazione al contesto economico e sociale dello Stato membro interessato; oppure

ii)      unicamente la protezione specifica dei portatori di handicap, strettamente collegate al contesto sociale del predetto soggetto nello Stato membro interessato;

e

b)      relativamente alle quali il finanziamento deriva esclusivamente dalla tassazione obbligatoria intesa a coprire la spesa pubblica generale e le condizioni per la concessione e per il calcolo della prestazione, non dipendono da alcun contributo da parte del beneficiario. Tuttavia, le prestazioni concesse ad integrazione della prestazione contributiva non sono da considerare prestazioni contributive per questo solo motivo;

e

c)      sono elencate nell’allegato X.

3.      L’articolo 7 e gli altri capitoli del presente titolo non si applicano alle prestazioni di cui al paragrafo 2 del presente articolo.

4.      Le prestazioni di cui al paragrafo 2 sono erogate esclusivamente nello Stato membro in cui gli interessati risiedono e ai sensi della sua legislazione. Tali prestazioni sono erogate dall’istituzione del luogo di residenza e sono a suo carico».

6.        All’allegato X del regolamento n. 883/2004, rubricato «Prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo», figura, alla sezione relativa all’Irlanda, la lettera a), concernente l’«[i]ndennità per le persone in cerca d’occupazione (legge consolidata del 2005 sulla protezione sociale, parte 3, capitolo 2)».

2.      La direttiva 2004/38

7.        Ai sensi dei considerando da 1 a 4 della direttiva 2004/38:

«(1)      La cittadinanza dell’Unione conferisce a ciascun cittadino dell’Unione il diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal trattato e le disposizioni adottate in applicazione dello stesso.

(2)      La libera circolazione delle persone costituisce una delle libertà fondamentali nel mercato interno che comprende uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata tale libertà secondo le disposizioni del trattato.

(3)      La cittadinanza dell’Unione dovrebbe costituire lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno. È pertanto necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione.

(4)      Per superare tale carattere settoriale e frammentario delle norme concernenti il diritto di libera circolazione e soggiorno e allo scopo di facilitare l’esercizio di tale diritto, occorre elaborare uno strumento legislativo unico per modificare parzialmente il regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità e per abrogare i seguenti testi legislativi: la direttiva 68/360/CEE del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità [GU 1968, L 257, pag. 13]; la direttiva 73/148/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1973, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi [GU 1973, L 172, pag. 14]; la direttiva 90/364/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno [GU 1990, L 180, pag. 26]; la direttiva 90/365/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la propria attività professionale [GU 1990, L 180, pag. 28] e la direttiva 93/96/CEE del Consiglio, del 29 ottobre 1993, relativa al diritto di soggiorno degli studenti [GU 1993, L 317, pag. 59]».

8.        L’articolo 7 della direttiva medesima, rubricato «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», così dispone:

«1.      Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:

a)      di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o

b)      di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; o

(…)

d)      di essere un familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione rispondente alle condizioni di cui alle lettere a), b) o c).

(…)

3.      Ai sensi del paragrafo 1, lettera a), il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva la qualità di lavoratore subordinato o autonomo nei seguenti casi:

(…)

b)      l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività per oltre un anno, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro;

(…)».

9.        Ai sensi del successivo articolo 14, rubricato «Mantenimento del diritto di soggiorno»:

«1.      I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui all’articolo 6 finché non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

(…)

4.      In deroga ai paragrafi 1 e 2 e senza pregiudizio delle disposizioni del capitolo VI, un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell’Unione o dei loro familiari qualora:

a)      i cittadini dell’Unione siano lavoratori subordinati o autonomi; oppure

b)      i cittadini dell’Unione siano entrati nel territorio dello Stato membro ospitante per cercare un posto di lavoro. In tal caso i cittadini dell’Unione e i membri della loro famiglia non possono essere allontanati fino a quando i cittadini dell’Unione possono dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo».

10.      Il successivo articolo 16 definisce la norma generale relativa al diritto di soggiorno permanente per i cittadini dell’Unione e i loro familiari. Secondo il paragrafo 1 di tale articolo, «[i]l cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. Tale diritto non è subordinato alle condizioni di cui al capo III».

11.      Infine, l’articolo 24 della direttiva medesima, rubricato «Parità di trattamento», così recita:

«1.      Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.

2.      In deroga al paragrafo 1, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), né è tenuto a concedere prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente aiuti di mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari».

B.      Diritto nazionale

1.      Il regolamento del 2006

12.      La direttiva 2004/38 è stata trasposta, nel diritto irlandese, dal regolamento n. 2 del 2006 relativo alle Comunità europee (libera circolazione delle persone) (6).

13.      Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento del 2006:

«a)      Fatto salvo l’articolo 20, un cittadino dell’Unione può soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio dello Stato a condizione di:

i)      essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato;

(…)

c)      Fatto salvo l’articolo 20, una persona alla quale si applica il punto a), i), può restare nello Stato al momento della cessazione dell’attività di cui a detto punto a), i):

i)      se temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio;

ii)      se in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato attività lavorativa per oltre un anno e previa registrazione presso l’ufficio di collocamento competente del Department of Social and Family Affairs[Ministero per gli Affari sociali e familiari, Irlanda]e del FÁS [Foras Áiseanna Saothair, Ente per la formazione e l’occupazione, Irlanda]».

2.      La legge del 2005

14.      L’indennità per le persone in cerca di occupazione in Irlanda è prevista all’articolo 139 della legge consolidata del 2005 sulla previdenza sociale e i servizi sociali (come modificata) (7).

15.      L’articolo 141 della legge del 2005 applicabile all’epoca dei fatti oggetto del procedimento principale, definisce i criteri di ammissibilità per la concessione dell’indennità, tra cui figurano l’esame delle risorse del richiedente e la verifica del carattere abituale della sua residenza nel territorio dello Stato. È, per contro, pacifico che il lavoratore subordinato e il lavoratore autonomo possano aspirare entrambi alla concessione di un’indennità per le persone in cerca di occupazione (8).

16.      Ai sensi dell’articolo 246, paragrafo 5, della legge del 2005, una persona che non disponga del diritto di soggiornare il Irlanda non può essere considerata abitualmente residente in tale Stato ai fini dell’applicazione di detta legge.

17.      L’articolo 246, paragrafo 6, della legge del 2005, precisa che, fra le persone reputate titolari del diritto di soggiornare in Irlanda ai fini dell’applicazione del paragrafo 5 dell’articolo medesimo, figurano le persone aventi il diritto di fare ingresso e soggiornare nel territorio dello Stato in forza del regolamento del 2006.

III. Fatti

18.      Il sig. Florea Gusa, cittadino rumeno, giungeva in Irlanda nell’ottobre del 2007. Durante il primo anno di soggiorno in Irlanda, i suoi figli, parimenti residenti in Irlanda, l’aiutavano a provvedere alle proprie necessità. Successivamente, a partire dall’ottobre del 2008 fino all’ottobre del 2012, egli svolgeva attività lavorativa autonoma come imbianchino.

19.      Secondo quanto risulta dalla decisione di rinvio, il sig. Gusa doveva cessare la propria attività per mancanza di clientela a causa della recessione economica. Egli presentava pertanto domanda di indennità per le persone in cerca d’occupazione, che gli veniva negata con decisione del 22 novembre 2012.

20.      La decisione di diniego si fondava sul fatto che il sig. Gusa non risiedeva abitualmente in Irlanda, dato che lo status di residente abituale era subordinato al possesso di un diritto di soggiorno ai sensi del regolamento del 2006. Orbene, è stato ritenuto che questi avesse perso tale diritto a seguito della cessazione della propria attività autonoma. Inoltre, il sig. Gusa non avrebbe dimostrato di disporre di risorse sufficienti al fine di assicurare il proprio sostentamento né di un’assicurazione malattia che coprisse tutti i rischi. Di conseguenza, la decisione constatava che il sig. Gusa non soddisfaceva più i requisiti enunciati all’articolo 6, paragrafo 2, lettera a), del regolamento del 2006 (il quale recepisce nel diritto nazionale l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38). Inoltre, in quanto lavoratore autonomo, egli non beneficiava neanche della tutela offerta dall’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), ii), del regolamento del 2006 [il quale recepisce nel diritto nazionale l’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38].

21.      Il ricorso di annullamento, dichiarato ammissibile, avverso tale decisione proposto dal sig. Gusa dinanzi alla High Court (Alta Corte, Irlanda), veniva respinto con conseguente conferma della decisione di diniego. Avverso tale sentenza il sig. Gusa interponeva quindi appello dinanzi alla Supreme Court (Corte suprema, Irlanda).

22.      Conformemente all’articolo 64 della Costituzione irlandese, l’appello veniva trasferito al giudice del rinvio, il quale ha inteso chiedere l’aiuto della Corte alla luce del fatto che le disposizioni applicabili nella specie costituivano disposizioni di attuazione di varie disposizioni di diritto dell’Unione. Il giudice del rinvio ha pertanto deciso di sospendere il procedimento e di adire la Corte in via pregiudiziale.

IV.    Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

23.      Con decisione del 29 luglio 2016, pervenuta alla Corte l’8 agosto 2016, la Court of Appeal (Corte d’appello, Irlanda) ha pertanto deciso di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se un cittadino dell’Unione che: (1) sia cittadino di un altro Stato membro; (2) abbia legittimamente soggiornato svolgendo attività di lavoro autonomo in uno Stato membro ospitante per circa quattro anni; (3) abbia cessato la propria attività lavorativa o la propria attività economica a causa della mancanza di lavoro e (4) si sia registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro, mantenga lo status di lavoratore autonomo ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), a norma dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38 o di altra disposizione.

2)      In caso contrario, se questi mantenga il diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante pur non essendo stato in possesso dei requisiti di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b) o c), della direttiva 2004/38/CE ovvero se egli possa soltanto non essere oggetto di provvedimenti di allontanamento ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della medesima direttiva.

3)      Se, in caso di risposta negativa, con riguardo al soggetto medesimo, il diniego di corresponsione dell’indennità per le persone in cerca d’occupazione (che rappresenta una prestazione speciale [in denaro] di carattere non contributivo ai sensi dell’articolo 70 del regolamento n. 883/2004) dovuto alla mancata prova del diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, sia compatibile con il diritto dell’Unione, in particolare con l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004».

24.      Il ricorrente nel procedimento principale, i governi irlandese, ceco, danese, francese, ungherese, e del Regno Unito, nonché la Commissione europea, hanno depositato osservazioni scritte.

25.      Inoltre, ad esclusione dei governi danese e ungherese, tutte le parti hanno svolto osservazioni orali all’udienza tenutasi il 14 giugno 2017. Il governo tedesco, che non aveva depositato osservazioni scritte, ha parimenti potuto esporre i propri argomenti in tale udienza.

V.      Analisi

A.      Osservazioni preliminari in merito all’applicabilità dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38

26.      Nell’ambito della ripartizione delle competenze vigente tra la Corte di giustizia e i giudici degli Stati membri, spetta al giudice nazionale verificare, in linea di principio, che sussistano, nella causa dinanzi ad esso pendente, le condizioni di fatto tali da comportare l’applicazione di una norma di diritto dell’Unione. Tuttavia, la Corte ha riconosciuto che, allorché si pronuncia su un rinvio pregiudiziale, essa poteva, ove necessario, fornire precisazioni tese a guidare il giudice nazionale nella sua interpretazione (9).

27.      Nella specie, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, in qual modo debbano essere interpretate le condizioni cui è subordinato il diritto di soggiorno di un cittadino dell’Unione a norma della direttiva 2004/38.

28.      In tale contesto, il giudice medesimo sembra escludere la possibilità che il sig. Gusa abbia acquisito un diritto di soggiorno permanente. Infatti, il giudice del rinvio muove dal rilievo che il ricorrente nel procedimento principale non ha sostenuto il proprio diritto di far valere un soggiorno permanente al novembre del 2012 (10). Il sig. Gusa stesso conferma, nelle proprie osservazioni scritte, di non rivendicare di aver soddisfatto le condizioni di cui all’articolo 7 della direttiva 2004/38 nel periodo di soggiorno anteriore all’ottobre del 2008 (11). Tale posizione è stata confermata all’udienza del 14 giugno 2017.

29.      Tali affermazioni mi sorprendono. Infatti, secondo l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato.

30.      Secondo l’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/38, il soggiorno di un cittadino dell’Unione è legale, al di là dei primi tre mesi, a condizione di disporre di risorse economiche sufficienti per non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi in detto Stato.

31.      Tale disposizione non contiene il minimo requisito quanto alla provenienza di dette risorse. Infatti, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che il termine «dispongano» di risorse sufficienti, contenuto in tale disposizione, dev’essere interpretato nel senso «che è sufficiente che i cittadini dell’Unione dispongano di siffatte risorse, senza che tale disposizione contenga il minimo requisito in merito alla provenienza delle medesime, che possono essere fornite, segnatamente, dal cittadino di un paese terzo» (12). Lo stesso principio deve valere, a fortiori, quando le risorse di cui trattasi provengono da un cittadino dell’Unione.

32.      Orbene, a parere del giudice del rinvio, sono i figli del sig. Gusa, legalmente residenti in Irlanda, che avrebbero aiutato il padre nel corso del primo anno del suo soggiorno in Irlanda (13). Lungi dal contestare l’informazione, le resistenti nel procedimento principale riprendono tale elemento fattuale nelle rispettive osservazioni scritte (14).

33.      Il fatto che il sig. Gusa ritenga che il sostegno ricevuto fosse limitato e insufficiente ai fini della direttiva 2004/38 (15) non mi sembra rilevante al fine di valutare l’applicazione dell’articolo 16, paragrafo 1, di tale direttiva.

34.      Infatti, dal momento in poi in cui il sig. Gusa non ha fatto ricorso al sistema previdenziale dell’Irlanda per provvedere alle proprie necessità durante il primo anno del suo soggiorno, deve presumersi che le risorse di cui si è accontentato siano state sufficienti. Esse non possono essere considerate, a posteriori, insufficienti ai sensi della direttiva 2004/38 considerato che, stando ai termini di tale direttiva, il cittadino dell’Unione non è stato un «onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante».

35.      Di conseguenza, ritengo che il primo anno di soggiorno del sig. Gusa nel territorio irlandese fosse legale. Orbene, se tale primo periodo precede, senza soluzione di continuità, i quattro anni durante i quali il sig. Gusa ha svolto attività lavorativa autonoma come imbianchino, deve ritenersi che egli benefici di un diritto di soggiorno permanente nel territorio irlandese ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 dall’ottobre del 2012 (16).

36.      In tal caso, la questione se il sig. Gusa abbia conservato o meno lo status di lavoratore ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 non si pone più, in quanto i requisiti previsti dall’articolo 7 non si applicano al diritto di soggiorno permanente. Infatti, secondo l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, tale diritto non è subordinato alle condizioni dettate nel capo III della direttiva.

37.      Tale accertamento spetta tuttavia al giudice del rinvio.

38.      Risulta dalle suesposte considerazioni che le questioni poste dal giudice del rinvio conservano la loro utilità solo nel caso in cui l’esame dei fatti di cui al procedimento principale dovesse rivelare una soluzione di continuità del diritto di soggiorno del sig. Gusa idonea a rendere inoperante l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38. Orbene, un’interruzione di tal genere non emerge affatto dagli atti sottoposti alla Corte (17). È alle luce di queste osservazioni preliminari che procederò all’esame delle questioni sottoposte alla Corte.

B.      Sulla prima questione pregiudiziale

1.      Sulla circoscrizione della questione all’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38

39.      Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede se un cittadino dell’Unione, il quale abbia soggiornato regolarmente e svolto attività di lavoro autonomo in uno Stato membro ospitante per circa quattro anni, mantenga lo status di lavoratore autonomo ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), o dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38 oppure di altra disposizione, dopo aver cessato la propria attività lavorativa o economica a causa della mancanza di lavoro, e si sia registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro.

40.      Dal momento che la seconda questione pregiudiziale sollevata dal giudice del rinvio verte parimenti sulla possibilità del mantenimento di un diritto di soggiorno nel caso in cui un cittadino dell’Unione che si trovi nella situazione del ricorrente nel procedimento principale non soddisfi né i criteri di cui all’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38 né i criteri di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/38, concentrerò l’esame, nell’ambito di questa prima questione, unicamente l’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38. Infatti, la possibilità di beneficiare di un diritto di soggiorno sul fondamento dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/38 è esclusa, essendo pacifico che il sig. Gusa, all’epoca dei fatti, non era più un «lavoratore» ai sensi di tale disposizione. La questione che si pone è, appunto, se egli abbia potuto conservare tale status sebbene non svolgesse più alcuna attività (subordinata o autonoma), come postulato dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/38. Esaminerò, peraltro, la possibilità di beneficiare di un diritto di soggiorno sulla base di un fondamento diverso dall’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38 nell’ambito della seconda questione pregiudiziale.

2.      Interpretazione proposta dal giudice del rinvio

41.      Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38, il cittadino dell’Unione mantiene lo status di lavoratore – e dunque il diritto di soggiornare nel territorio di uno Stato membro dell’Unione al di là di tre mesi – se, «trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività per oltre un anno, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro».

42.      Il giudice del rinvio ritiene che, se dovesse interpretare il testo che assicura la trasposizione dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38 nel diritto irlandese conformemente al significato usuale della locuzione «aver esercitato un’attività», non vi includerebbe la fattispecie di un lavoratore autonomo. Cionondimeno, il giudice del rinvio si mostra parimenti sensibile alla tesi svolta dinanzi al medesimo dal sig. Gusa. A suo avviso, tale conseguenza non sarebbe compatibile con l’intento sotteso alle disposizioni del Trattato FUE e della normativa di attuazione delle medesime.

43.      I dubbi del giudice del rinvio sono pertanto suscitati dall’eventuale contraddizione che sussisterebbe fra il dettato della pertinente normativa e l’obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione.

44.      Il sig. Gusa, i governi danese e ungherese, nonché la Commissione ritengono che non possa essere operata una differenza fra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi in sede di applicazione dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38. Per contro, i governi irlandese, ceco, francese e del Regno Unito ritengono che solo i lavoratori subordinati siano interessati da tale disposizione.

3.      Sull’interpretazione letterale

45.      Secondo costante giurisprudenza della Corte, ai fini dell’interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (18).

46.      Infatti, se «il testo di una disposizione (…) costituisce sempre il punto di partenza e al contempo il limite di ogni interpretazione» (19), l’interpretazione teleologica diviene facoltativa solamente nell’ipotesi in cui il testo in questione sia assolutamente chiaro ed univoco (20).

47.      Inoltre, non si deve parimenti dimenticare la specificità connessa al multilinguismo dell’Unione, dal quale risulta che la formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche di una disposizione del diritto dell’Unione non può fungere da unico fondamento per l’interpretazione della disposizione medesima ovvero vedersi riconosciuto carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Le disposizioni del diritto dell’Unione devono essere interpretate ed applicate in modo uniforme, alla luce delle versioni esistenti in tutte le lingue dell’Unione. Di conseguenza, in caso di difformità tra le diverse versioni linguistiche di un testo di diritto dell’Unione, la disposizione in questione dev’essere interpretata alla luce dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa costituisce un elemento (21).

48.      Orbene, nella specie, è giocoforza rilevare che le diverse versioni linguistiche dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38 non confermano l’idea secondo la quale il legislatore avrebbe voluto circoscrivere il mantenimento dello status di «lavoratore» ai soli cittadini che abbiano svolto un’attività lavorativa subordinata per più di un anno. Al contrario, da un esame comparativo si desume un’impressione di neutralità nei confronti delle modalità di esercizio dell’attività professionale svolta.

49.      In ogni caso, contrariamente a quanto sostenuto da diversi Stati membri intervenuti nel procedimento, è certo che il riferimento al fatto di «aver esercitato un’attività» non ricorre in tutte le versioni linguistiche. Infatti, se tale formulazione (che pone l’accento sulla natura subordinata dell’attività), è ravvisabile nelle versioni in lingua spagnola («haber estado empleado»), in lingua inglese («having been employed»), in lingua francese («avoir été employé») o, ancora, in lingua slovena («ko je bil zaposlen»), in altre versioni linguistiche vengono utilizzati termini o locuzioni del tutto neutrali. Così, segnatamente, le versioni in lingua olandese («te hebben gewerkt») e in lingua finlandese («työskenneltyään») utilizzano l’espressione «dopo aver lavorato», la versione in lingua greca («επαγγελ μ ατική δραστηριότητα») menziona l’esercizio di un’«attività professionale», mentre la versione in lingua italiana si limita persino all’esercizio di un’«attività» in generale («aver esercitato un’attività»). Infine, alla luce del contesto della disposizione in cui esse si inseriscono, la parola bulgara «zaet» e la parola tedesca «Beschäftigung» possono parimenti essere tradotte con il termine generale «occupazione» senza essere altrimenti connotate.

50.      Tale difformità fra le diverse versioni linguistiche dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38, impone di ricorrere all’economia generale della disposizione, nonché alla finalità della normativa. Orbene, entrambe confermano che l’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38 dev’essere interpretato nel senso dell’irrilevanza del modo in cui il cittadino dell’Unione abbia esercitato l’attività economica che gli sia valsa lo status di «lavoratore» ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/38.

4.      Sull’interpretazione teleologica dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38

51.      Non nego che la direttiva 2004/38 risponda a molteplici obiettivi diversi; essi s’iscrivono tuttavia in una gerarchia.

52.      Infatti, emerge chiaramente dai primi quattro considerando della direttiva 2004/38 che essa è intesa, anzitutto, a «facilitare e rafforzare l’esercizio del diritto fondamentale dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri» (22). Ciò si rispecchia peraltro nel titolo di tale direttiva. Un altro obiettivo è espresso al considerando 10 della direttiva medesima, a termini del quale «[o]ccorre tuttavia evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno». Questo secondo obiettivo esiste tuttavia solo in ragione del primo: poiché la direttiva è intesa a facilitare l’esercizio del diritto di soggiorno, gli Stati membri hanno ritenuto che fosse necessario vigilare affinché l’onere finanziario di tale libertà venga controllato.

53.      La cittadinanza dell’Unione riflette tale compromesso. Infatti, la Corte, allorché ha utilizzato per la prima volta la formula secondo la quale «lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri» (23), ha aggiunto che tale status consente ai cittadini degli Stati membri che si trovino nella medesima situazione di ottenere, indipendentemente dalla cittadinanza, il medesimo trattamento giuridico, «fatte salve le eccezioni espressamente previste a tale riguardo» (24). Così facendo, la Corte ha riconosciuto la possibilità di limitare l’esercizio della cittadinanza dell’Unione (25).

54.      È in tal senso che devono essere intese le sentenze dell’11 novembre 2014, Dano (C‑333/13, EU:C:2014:2358), del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597), e del 25 febbraio 2016, García-Nieto e a. (C‑299/14, EU:C:2016:114).

55.      È vero che, al punto 74 della sentenza dell’11 novembre 2014, Dano (C‑333/13, EU:C:2014:2358), la Corte ha dichiarato che «[r]iconoscere che persone che non beneficiano di un diritto di soggiorno in forza della direttiva 2004/38 possano rivendicare il diritto a prestazioni sociali alle stesse condizioni applicabili ai cittadini nazionali si porrebbe in contrasto con un obiettivo di tale direttiva, enunciato al suo considerando 10, che è quello di evitare che i cittadini di altri Stati membri diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante». Tuttavia, non siamo in alcun caso in presenza di un ribaltamento di prospettiva nella comprensione della direttiva 2004/38. Se la Corte attribuisce importanza, in tale sentenza, all’obiettivo secondario della direttiva 2004/38, ciò avviene a causa dell’oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale sottopostale. Infatti, l’oggetto principale delle cause sfociate nelle tre sentenze citate al paragrafo precedente delle presenti conclusioni riguardava non la questione del diritto di soggiorno bensì quella, specifica, del diritto di beneficiare di prestazioni previdenziali nello Stato membro ospitante. Tale questione si è pertanto inserita in un momento temporale successivo all’esercizio della libertà di circolazione, ma indissociabile dalla legalità del soggiorno.

56.      Per contro, nella causa principale, la questione sottoposta alla Corte verte, quanto al primo capo, sulla legalità del soggiorno, avendo ad oggetto la disposizione della direttiva che disciplina la questione al di là dei tre mesi fino all’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente (26). Orbene, il legislatore ha espressamente inteso trattare la materia del diritto di libera circolazione e soggiorno «supera[ndo il] carattere settoriale e frammentario» (27) prevalente in precedenza, e ciò «allo scopo di facilitare l’esercizio di tale diritto» (28). Di conseguenza, l’ambizione unificatrice di tale direttiva, basata sulla nozione fondamentale di cittadinanza dell’Unione, depone a favore di un approccio generalizzato dei principi, delle estensioni e dei limiti che si ricollegano alla libertà di circolazione e al diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione (29).

57.      Aggiungo inoltre che, «[i]n considerazione del contesto e degli scopi perseguiti dalla direttiva 2004/38, le disposizioni della medesima non possono essere interpretate restrittivamente (…)» (30).

58.      In tale ottica, distinguere le situazioni del lavoratore subordinato e del lavoratore autonomo in sede di applicazione dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38, equivarrebbe a negare la volontà del legislatore dell’Unione, il quale ha espressamente indicato al considerando 3 che era «necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione» (31).

59.      Tale obiettivo della direttiva è stato nuovamente sottolineato di recente dalla Corte in occasione della causa sfociata nella sentenza del 19 giugno 2014, Saint Prix (C‑507/12, EU:C:2014:2007, punto 25). In tale sentenza, la Corte ha d’altronde sintetizzato la portata dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, enunciando le quattro ipotesi prese in considerazione da tale disposizione senza distinguere fra lavoratori subordinati o autonomi. Al contrario, secondo la Corte, «[l]’articolo 7, paragrafo 3, della citata direttiva precisa che, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della stessa direttiva, ilcittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva, nondimeno, la qualità di lavoratore in casi particolari, ossia qualora egli sia temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio, qualora in talune ipotesi si trovi in stato di disoccupazione involontaria o ancora qualora segua, a determinate condizioni, un corso di formazione professionale» (32).

5.      Sulla struttura dell’articolo 7 della direttiva 2004/38

60.      Tale interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38, secondo cui non c’è differenza a seconda che il cittadino dell’Unione abbia svolto per un anno la propria attività professionale nell’ambito di un contratto di lavoro o in qualità di lavoratore autonomo, appare avvalorata dalla struttura dell’articolo.

61.      L’articolo 7 della direttiva 2004/38 disciplina il diritto di soggiorno superiore a tre mesi. La sua struttura è logica. Anzitutto, il paragrafo 1 afferma il principio, enunciando le tre ipotesi nelle quali il cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro. La prima di tali ipotesi è quella del «lavoratore subordinato o autonomo»; la seconda ipotesi riguarda il cittadino che dispone di risorse economiche sufficienti per non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi, e la terza ipotesi ha ad oggetto gli studenti. Il paragrafo 2 estende poi il beneficio di tale diritto ai familiari del cittadino che si trovi in una delle situazioni contemplate dal paragrafo 1, i quali non possiedano la cittadinanza di uno Stato membro (fatte salve le limitazioni apportate dal paragrafo 4). Infine, il paragrafo 3 opera una fictio giuridica, mantenendo gli effetti della prima ipotesi di cui al paragrafo 1 – ossia quella del lavoratore subordinato o autonomo – in quattro fattispecie elencate in via tassativa.

62.      Letto nel suo complesso, è pacifico che l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, non operi distinzioni fra il cittadino che abbia svolto un’attività subordinata e quello che abbia svolto un’attività di lavoro autonomo. Da un lato, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/38, al quale esso rimanda, contempla espressamente entrambe le fattispecie. Dall’altro, le quattro ipotesi contemplate al paragrafo 3 dell’articolo 7 sono tutte introdotte dal medesimo primo periodo. Orbene, essa prende parimenti in considerazione, senza operare distinzioni, «il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo». Inoltre, essa precisa anche, espressamente, che tale cittadino «conserv[erà] la qualità di lavoratore subordinato o autonomo» (33) nei quattro casi che la disposizione elenca senza effettuare distinzioni.

63.      Tale lettura dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, risulta inoltre avvalorata dall’economia generale della direttiva 2004/38, la quale è fondata sugli articoli 12 e 18 CE (adesso articoli 18 e 21 TFUE) relativi al divieto di discriminare, in base alla nazionalità, il diritto del cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, sull’articolo 40 CE (adesso articolo 46 TFUE) relativo alla libera circolazione dei lavoratori ma anche sugli articoli 44 e 52 CE (adesso articoli 50 e 59 TFUE) relativi alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi (34).

6.      Conclusione intermedia

64.      Alla luce della struttura dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 e della finalità principale da essa perseguita, ritengo che la lettera b) di tale disposizione riguardi il cittadino dell’Unione che abbia svolto un’attività economica per un anno, indipendentemente dalla questione se si tratti di un’attività subordinata o autonoma.

65.      In concreto, tale disposizione si applica, dunque, ad un cittadino dell’Unione il quale, al pari del sig. Gusa, abbia soggiornato regolarmente e svolto un’attività di lavoro autonomo in uno Stato membro ospitante per circa quattro anni, che abbia cessato il proprio lavoro o la propria attività economica a causa della mancanza di lavoro e che si sia registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. Un cittadino dell’Unione in tale situazione mantiene lo status di lavoratore autonomo ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/38.

66.      Dall’interpretazione contraria deriverebbe che il cittadino dell’Unione, il quale abbia svolto un’attività economica in qualità di lavoratore subordinato per un anno verrebbe «tutelato» meglio di un altro cittadino dell’Unione, il quale abbia svolto un’attività economica e abbia contribuito al finanziamento del sistema tributario e previdenziale dello Stato membro ospitante per quattro anni in qualità di lavoratore autonomo (fermo restando che l’attività di cui trattasi può, se del caso, essere identica nelle due ipotesi).

C.      Sulla seconda questione pregiudiziale

67.      La seconda questione si pone unicamente nell’ipotesi in cui l’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38 dovesse essere interpretato dalla Corte nel senso di escludere dalla sua sfera di applicazione i lavoratori autonomi; la esaminerò pertanto solo succintamente, per ragioni di completezza.

68.      Con tale questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se un cittadino dell’Unione che abbia soggiornato regolarmente e abbia svolto un’attività di lavoratore autonomo in uno Stato membro ospitante per circa quattro anni e che abbia cessato la propria attività lavorativa o economica a causa della mancanza di lavoro, conservi il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante ancorché non siano soddisfatti i criteri enunciati all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b) o c), della direttiva 2004/38, ovvero se egli possa soltanto essere tutelato a fronte di provvedimenti di allontanamento ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della stessa direttiva.

69.      In limine, desidero sottolineare che condivido l’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 esposta dal giudice del rinvio alla fine della seconda questione. Infatti, contrariamente a quanto suggerito dal punto 58 della sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597) (35), la struttura dell’articolo 14 della direttiva 2004/38 e il tenore del paragrafo 4, lettera b), dell’articolo medesimo non consentono di ravvisare in tale disposizione il fondamento di un diritto di soggiorno.

70.      L’articolo 14 della direttiva 2004/38 è intitolato «Mantenimento del diritto di soggiorno». Tale fattispecie è contemplata ai primi due paragrafi dell’articolo, riguardanti ipotesi in cui i cittadini dell’Unione e i familiari «beneficiano del diritto di soggiorno», diversamente dal paragrafo 4 dell’articolo medesimo. Inoltre, la lettera b) di detto, paragrafo 4 prende espressamente in considerazione una fattispecie «derogatoria» ai primi due paragrafi, vale a dire, di conseguenza, una fattispecie in cui il diritto di soggiorno non sussiste più. In tale ipotesi, il cittadino dell’Unione che abbia fatto ingresso nel territorio dello Stato membro ospitante per cercarvi un posto di lavoro è cionondimeno tutelato a fronte di un allontanamento fino a quando possa dimostrare di esserne alla ricerca e di avere buone possibilità di trovarlo.

71.      Ciò premesso, e per rispondere alla questione sollevata, ritengo che un cittadino dell’Unione che si trovi nella situazione descritta dal giudice del rinvio goda di ben più di una mera protezione contro l’allontanamento.

72.      In realtà, il problema sollevato dal giudice del rinvio non è del tutto inedito. Infatti, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che né dall’articolo 7 della direttiva 2004/38 né dalle altre disposizioni della medesima risulta che un cittadino dell’Unione che non risponda alle condizioni previste da detto articolo sia, per tale ragione, sistematicamente privato dello status di «lavoratore», ai sensi dell’articolo 45 TFUE. La Corte ne ha desunto che non può sostenersi che l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 elenchi in termini esaustivi le circostanze nelle quali un lavoratore migrante, che non si trovi più in un rapporto di lavoro, possa tuttavia continuare a beneficiare di detto status (36).

73.      È giocoforza rilevare che tale interpretazione della direttiva 2004/38 e dell’articolo 7, paragrafo 3, della stessa in particolare, si applica parimenti alla fattispecie di un lavoratore autonomo che si sia avvalso della libertà di stabilimento garantita all’articolo 49 TFUE. Infatti, non può essere operata una distinzione a tal riguardo in funzione delle modalità di esercizio dell’attività economica svolta dal cittadino dell’Unione – subordinato o autonomo – in quanto «[l]’insieme delle norme del Trattato [FUE] relative alla libera circolazione delle persone mira a facilitare ai cittadini [dell’Unione] l’esercizio di attività lavorative di qualsivoglia natura nel territorio [dell’Unione] ed osta ai provvedimenti che potrebbero sfavorire tali cittadini qualora intendano svolgere un’attività economica nel territorio di un altro Stato membro» (37). Tale interpretazione è inoltre conforme alla giurisprudenza della Corte, secondo la quale gli articoli 45 e 49 TFUE garantiscono la stessa tutela giuridica, cosicché la qualificazione delle modalità di esercizio dell’attività economica resta senza conseguenze (38).

74.      Rilevo parimenti, ad abundantiam, che è in modo generico ed indifferenziato che l’articolo 45, paragrafo 3, lettera c), TFUE, garantisce al cittadino dell’Unione il diritto di «prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali» (39).

75.      Di conseguenza, se l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, è stato interpretato nel senso che esso non elenca in termini tassativi le circostanze in cui un lavoratore migrante, che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato, possa cionondimeno continuare a beneficiare di tale status, lo stesso deve valere per il lavoratore migrante che abbia cessato di essere un lavoratore autonomo.

76.      Inoltre, diversamente ragionando, questi verrebbe trattato al pari di un soggetto in cerca di lavoro per la prima volta che non abbia mai versato contributi previdenziali, sebbene, al pari dei lavoratori subordinati, egli abbia contribuito al regime tributario e previdenziale dello Stato membro ospitante.

77.      Infine, tale interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, si colloca nel solco nella giurisprudenza della Cortea termini della quale, a partire dalla sentenza del 26 febbraio 1991, Antonissen (C‑292/89, EU:C:1991:80, punto 13), la libertà di circolazione dei lavoratori implica il diritto per i cittadini degli Stati membri di circolare liberamente sul territorio degli altri Stati membri, nonché di prendervi dimora al fine di cercarvi un lavoro. È per questo motivo che, sulla base di tale giurisprudenza, la Corte ha dichiarato che l’assenza temporanea di una persona sul mercato del lavoro in quanto, ad esempio, detenuta (40) o in congedo per maternità (41), non implica che la stessa abbia cessato di far parte di detto mercato durante tale periodo, a condizione di trovare un’occupazione entro un termine ragionevole.

78.      Tale soluzione è conforme all’obiettivo perseguito dalle disposizioni dei capi da 1 a 3 del titolo IV del Trattato FUE, volti ad assicurare la libera circolazione delle persone e dei servizi all’interno dell’Unione. Infatti, un cittadino dell’Unione sarebbe dissuaso dall’esercitare il suo diritto di libera circolazione se, nel caso in cui la propria attività economica rallentasse indipendentemente dalla propria volontà, sia pur soltanto per un breve periodo, egli rischiasse di perdere lo status di lavoratore in tale Stato (42).

79.      Di conseguenza, e alla luce delle considerazioni sin qui esposte, ritengo che un cittadino dell’Unione che abbia soggiornato regolarmente e abbia svolto attività di lavoro autonomo in uno Stato membro ospitante per circa quattro anni e che abbia cessato l’attività lavorativa o economica a causa della mancanza di lavoro, mantenga lo status di «lavoratore» e, dunque, il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante, a condizione di ricercare un’occupazione, di riprendere la propria attività economica o di trovare un’altra occupazione entro un termine ragionevole successivamente al termine dell’attività di lavoro autonomo precedentemente esercitata, e ciò sulla base degli articoli 45 e 49 TFUE.

D.      Sulla terza questione pregiudiziale

80.      La terza questione viene posta solo nell’ipotesi in cui la Corte dovesse risolvere negativamente le prime due questioni. Infatti, il giudice del rinvio si chiede, in tal caso, se il diniego di concedere, ad una persona che si trovi in una situazione analoga a quella del ricorrente nel procedimento principale, un’indennità per le persone in cerca d’occupazione (la quale costituisce una prestazione speciale in denaro di carattere non contributivo ai sensi dell’articolo 70 del regolamento n. 883/2004), diniego dovuto alla mancata prova del diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, sia compatibile con il diritto dell’Unione, e in particolare con l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004.

81.      Per risolvere questa terza questione, occorre delimitare in termini precisi la fattispecie presa in esame: siamo in presenza di un cittadino dell’Unione che non beneficerebbe più del diritto di soggiorno nel territorio dello Stato membro ospitante pur restando tutelato a fronte dell’allontanamento da detto territorio in forza dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38.

82.      Inoltre, è parimenti necessario determinare la natura della prestazione richiesta. Tale qualificazione spetta al giudice del rinvio. Orbene, secondo quest’ultimo, sembra che l’indennità per le persone in cerca d’occupazione reclamata sia una prestazione speciale in denaro di carattere non contributivo ai sensi dell’articolo 70 del regolamento n. 883/2004, la quale costituisce parimenti una prestazione d’assistenza sociale ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 (43).

83.      In questa specifica ipotesi e in presenza di un’indennità che presenta tale duplice natura, la Corte ha dichiarato che l’articolo 24 della direttiva 2004/38 e l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 non ostavano alla normativa di uno Stato membro che escluda dal beneficio di tale tipo di prestazioni i cittadini di altri Stati membri, mentre tali prestazioni sono garantite ai cittadini dello Stato membro ospitante che si trovino nella stessa situazione (44).

84.      Per contro, se il giudice del rinvio dovesse ritenere, in definitiva, che la funzione preponderante delle prestazioni oggetto del procedimento principale consista nell’agevolare l’accesso al mercato del lavoro, non potrebbe essere applicato lo stesso ragionamento (45).

85.      Infatti, la Corte dichiara in modo costante che, «tenuto conto dell’istituzione della cittadinanza dell’Unione e dell’interpretazione giurisprudenziale del diritto alla parità di trattamento di cui godono i cittadini dell’Unione, non si può più escludere dall’ambito di applicazione dell’articolo [45, paragrafo2, TFUE], il quale è un enunciato del principio fondamentale della parità di trattamento garantito dall’articolo [18 TFUE], una prestazione di natura finanziaria destinata a facilitare l’accesso all’occupazione sul mercato del lavoro di uno Stato membro» (46).

86.      Tuttavia, la Corte ha precisato, al punto 38 della sentenza del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze (C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344), che è «legittimo che uno Stato membro attribuis[ca] una siffatta prestazione soltanto previo accertamento dell’esistenza di un legame reale tra chi è alla ricerca di un lavoro ed il mercato del lavoro del medesimo Stato».

87.      Se l’esistenza di un legame del genere può essere verificata, in particolare, accertando che la persona di cui trattasi abbia realmente e concretamente cercato un lavoro nello Stato membro in questione per un periodo di una durata ragionevole (47), lo stesso vale, a fortiori, allorché la persona abbia ivi esercitato un’attività lavorativa – subordinata o autonoma – per diversi anni.

88.      Tale interpretazione non è contraddetta dalla sentenza del 14 giugno 2016, Commissione/Regno Unito (C‑308/14, EU:C:2016:436). In tale sentenza, infatti, la Corte ha ritenuto che nulla osti ad una normativa nazionale che subordini la concessione di prestazioni sociali a cittadini economicamente inattivi alla condizione sostanziale che questi ultimi soddisfino i requisiti necessari per disporre di un diritto di soggiorno legale nello Stato membro ospitante. Tuttavia, la Corte ha parimenti dichiarato che una normativa di tal genere comporta cionondimeno una discriminazione diretta (48). Di conseguenza, per essere giustificata, essa deve perseguire un obiettivo legittimo e non andare al di là di quanto necessario per il suo conseguimento.

89.      A tal riguardo, la Corte ha rilevato che solo un controllo sistematico delle condizioni fissate dalla direttiva 2004/38 per l’esistenza di un diritto di soggiorno sarebbe contrario alle esigenze dell’articolo 14, paragrafo 2, di detta direttiva (49). Orbene, il divieto di un controllo sistematico implica, necessariamente, una certa individualizzazione del controllo. Infatti, nell’ambito della normativa sottoposta alla sua valutazione nella causa sfociata nella sentenza del 14 giugno 2016, Commissione/Regno Unito (C‑308/14, EU:C:2016:436), la Corte ha potuto rilevare che «[s]oltanto in casi particolari è imposto ai richiedenti di fornire la prova di essere effettivamente titolari di un diritto di soggiorno regolare» (50). Di conseguenza, se il cittadino dell’Unione di cui trattasi non ha la possibilità di dimostrare la legalità del proprio soggiorno, sulla base vuoi della direttiva 2004/38 vuoi di un’altra disposizione del diritto dell’Unione, la normativa nazionale che subordina la concessione di prestazioni di assistenza sociale alla regolarità del soggiorno non può essere considerata proporzionata all’obiettivo perseguito.

90.      Ciò premesso, se l’indennità per le persone in cerca di occupazione di cui al procedimento principale è una prestazione di assistenza sociale ai sensi del regolamento n. 883/2004, l’articolo 45, paragrafo 2, TFUE e l’articolo 4 di detto regolamento, devono essere interpretati nel senso che essi ostano alla normativa di uno Stato membro che escluda dal beneficio di un’indennità per persone in cerca di occupazione (la quale costituisce una prestazione speciale in denaro di carattere non contributivo ai sensi dell’articolo 70 del regolamento n. 883/2004), i cittadini di altri Stati membri che possiedano un legame reale con il mercato del lavoro di tale Stato e non abbiano la possibilità di dimostrarlo.

VI.    Conclusione

91.      Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dalla Court of Appel (Corte d’appello, Irlanda) nei termini seguenti:

«1)      L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, dev’essere interpretata nel senso che attribuisce il diritto di soggiorno permanente al cittadino di uno Stato membro che abbia soggiornato in via continuativa per cinque anni nel territorio dello Stato membro ospitante senza ricorrere al sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

2)      L’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38, dev’essere interpretato nel senso che esso si applica al cittadino dell’Unione europea che abbia svolto un’attività economica per un anno nello Stato membro ospitante, sotto forma di attività subordinata o autonoma.

3)      Gli articoli 45 e 49 TFUE devono essere interpretati nel senso che un cittadino dell’Unione che abbia soggiornato regolarmente e svolto un’attività di lavoro autonomo in uno Stato membro ospitante per circa quattro anni e che abbia cessato la propria attività lavorativa o economica a causa della mancanza di lavoro, mantiene lo status di “lavoratore” e, dunque, il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante, a condizione di ricercare un’occupazione, di riprendere la propria attività economica o di trovare un’altra occupazione entro un termine ragionevole successivamente al termine dell’attività di lavoro autonomo precedentemente esercitata.

4)      L’articolo 24 della direttiva 2004/38 e l’articolo 4 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, come modificato dal regolamento (CE) n. 988/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano ad una normativa di uno Stato membro che escluda dal beneficio di determinate “prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo”, ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004, e che costituiscano parimenti “prestazioni di assistenza sociale”, ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, i cittadini di altri Stati membri che si trovino in una situazione come quella contemplata dall’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva medesima, laddove tali prestazioni siano garantite ai cittadini di tale Stato membro che si trovino nella stessa situazione.

Per contro, l’articolo 45, paragrafo 2, TFUE e l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, come modificato dal regolamento n. 988/2009, devono essere interpretati nel senso che essi ostano alla normativa di uno Stato membro che escluda dal beneficio di un’indennità per le persone in cerca d’occupazione (la quale costituisce una “prestazione in denaro di carattere contributivo” ai sensi dell’articolo 70 del regolamento n. 883/2004, senza rispondere alla definizione di una “prestazione di assistenza sociale”, ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38), i cittadini di altri Stati membri che presentino un legame reale con il mercato del lavoro di tale Stato e che non dispongano della possibilità di dimostrarlo».


1      Lingua originale: il francese.


2 –      GU 2004, L 166, pag. 1, e rettifica in GU 2004, L 200, pag. 1.


3 –      GU 2009, L 284, pag. 43.


4      Nell’ambito delle presenti conclusioni, il termine «lavoratore», laddove utilizzato senz’altra precisazione, si riferisce in generale a colui che eserciti un’attività economica, vuoi subordinata vuoi autonoma.


5 –      GU 2004, L 158, pag. 77, nonché rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34.


6      European Communities (Free Movement of Persons) (n. 2) Regulations 2006 (SI 2006, n. 656; in prosieguo: il «regolamento del 2006»).


7      Social Welfare Consolidation Act 2005 (as amended); in prosieguo: la «legge del 2005».


8      V. domanda di pronuncia pregiudiziale, punto 16.


9      V., in tal senso, sentenza del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze (C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344, punto 23).


10      V. punto 5 della domanda di pronuncia pregiudiziale.


11      V. punto 9 delle osservazioni scritte depositate dal sig. Gusa.


12      Sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 74), il corsivo è mio. Per una conferma recente, v. sentenza del 30 giugno 2016, NA (C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 77).


13      V. punto 2 della domanda di pronuncia pregiudiziale.


14      V. punto 3 delle osservazioni scritte depositate dal Minister for Social Protection (ministro per la Protezione sociale, Irlanda), dall’Attorney General e dall’Irlanda.


15      V. nota 1 delle osservazioni scritte depositate dal sig. Gusa.


16      Osservo che la Repubblica francese e la Commissione hanno svolto, nelle rispettive osservazioni scritte, un ragionamento analogo. V. punti da 42 a 50 delle osservazioni scritte depositate dalla Repubblica francese e punto 18 delle osservazioni scritte depositate dalla Commissione.


17      All’udienza del 14 giugno 2017, il rappresentante del sig. Gusa ha menzionato un’interruzione delle attività di lavoratore autonomo del sig. Gusa nel periodo compreso fra l’ottobre del 2008 e l’ottobre del 2012, ossia per un periodo di quattro mesi. Tuttavia, tale interruzione non sembra incidere sulla legalità né sulla regolarità del soggiorno del sig. Gusa, in quanto quest’ultimo avrebbe svolto attività di lavoro subordinato nel corso di tale periodo (e neanche se non avesse lavorato affatto, dal momento che egli non ha fatto ricorso al sistema previdenziale).


18      V., segnatamente, sentenze del 16 luglio 2015, Lanigan (C‑237/15 PPU, EU:C:2015:474, punto 35); del 25 gennaio 2017, Vilkas (C‑640/15, EU:C:2017:39, punto 30), nonché del 15 marzo 2017, Flibtravel International e Leonard Travel International (C‑253/16, EU:C:2017:211, punto 18).


19      Conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Agrana Zucker (C‑33/08, EU:C:2009:99, paragrafo 37), il corsivo è mio.


20      V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Schulte (C‑350/03, EU:C:2004:568, paragrafo 88)


21      V., per un richiamo recente, sentenza del 1o marzo 2016, Alo e Osso (C‑443/14 e C‑444/14, EU:C:2016:127, punto 27).


22      Sentenza del 19 settembre 2013, Brey (C‑140/12, EU:C:2013:565, punto 71). V. parimenti, in tal senso, sentenza del 25 luglio 2008, Metock e a. (C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 82).


23      Sentenza del 20 settembre 2001, Grzelczyk (C‑184/99, EU:C:2001:458, punto 31).


24      Sentenza del 20 settembre 2001, Grzelczyk (C‑184/99, EU:C:2001:458, punto 31). V. parimenti, in tal senso, sentenze dell’11 luglio 2002, D’Hoop (C‑224/98, EU:C:2002:432, punto 28), nonché dell’11 novembre 2014, Dano (C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 58).


25      V., in tal senso, Thym, D., «When Union Citizens Turn into Illegal Migrants: The Dano Case», European Law Review, vol. 40, 2015, pag. da 249 a 262, specialmente pag. 255.


26      In relazione alla questione del diritto di soggiorno permanente dopo cinque anni, v. supra, titolo A. Osservazioni preliminari.


27      Considerando 4 della direttiva 2004/38.


28      Considerando 4 della direttiva 2004/38.


29      V., in tal senso, Iliopoulou-Penot, A., «Deconstructing the former edifice of Union citizenship? The Alimanovic judgment» Common Market Law Review, vol. 53, 2016, pag. da 1007 a 1036, specialmente pag. 1024; Thym, D., «The Elusive Limits of Solidarity: Residence Rights of and Social Benefits for Economically Inactive Union Citizens», Common Market Law Review, vol. 52, 2015, pag. da 17 a 50, specialmente pag. 18.


30      Sentenza del 25 luglio 2008, Metock e a. (C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 84).


31      Il corsivo è mio.


32      Sentenza del 19 giugno 2014, Saint Prix (C‑507/12, EU:C:2014:2007, punto 27). Il corsivo è mio.


33      Il corsivo è mio.


34      Sull’incidenza della base normativa nella nozione di «occupato», v. sentenza del 6 settembre 2012, Czop e Punakova (C‑147/11 e C‑148/11, EU:C:2012:538, punto 31).


35      Secondo il punto 58 della sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597), «[d]al rinvio effettuato dall’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della stessa emerge (…) che lo Stato membro ospitante può negare al cittadino dell’Unione che goda di un diritto di soggiorno unicamente sulla base di quest’ultima disposizione qualsiasi prestazione di assistenza sociale» (il corsivo è mio).


36      V., in tal senso, sentenza del 19 giugno 2014, Saint Prix (C‑507/12, EU:C:2014:2007, punti 31 e 38).


37      Sentenza del 18 gennaio 2007, Commissione/Svezia (C‑104/06, EU:C:2007:40, punto 17). Il corsivo è mio.


38      V., in tal senso, sentenze del 5 febbraio 1991, Roux (C‑363/89, EU:C:1991:41, punto 23) e del 15 dicembre 2005, Nadin e Nadin-Lux (C‑151/04 e C‑152/04, EU:C:2005:775, punto 47).


39      Il corsivo è mio.


40      V., in tal senso, sentenza del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262).


41      V., in tal senso, sentenza del 19 giugno 2014, Saint Prix (C‑507/12, EU:C:2014:2007).


42      V., in tal senso, sentenza del 19 giugno 2014, Saint Prix (C‑507/12, EU:C:2014:2007, punto 44).


43      V. punto 36 della domanda di pronuncia pregiudiziale.


44      V. sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 63 e dispositivo).


45      V., a contrario, sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597, punti 45 e 46).


46      Sentenza del 25 ottobre 2012, Prete (C‑367/11, EU:C:2012:668, punto 25). V. parimenti, in tal senso, punto 49 della stessa sentenza e sentenze del 23 marzo 2004, Collins (C‑138/02, EU:C:2004:172, punto 63); del 15 settembre 2005, Ioannidis (C‑258/04, EU:C:2005:559, punto 22), nonché del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze (C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344, punto 37).


47      V., in tal senso, sentenze del 23 marzo 2004, Collins (C‑138/02, EU:C:2004:172, punto 70); del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze (C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344, punto 39), nonché del 25 ottobre 2012, Prete (C‑367/11, EU:C:2012:668, punto 46).


48      V. punto 76 di tale sentenza.


49      V. punto 84 di tale sentenza.


50      Punto 83 di tale sentenza, il corsivo è mio.