Language of document : ECLI:EU:T:2004:208

Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)
6 luglio 2004 (1)

«Marchio comunitario – Procedimento di opposizione – Domanda di marchio comunitario denominativo CHUFAFIT – Marchi nazionali anteriori denominativo e figurativo CHUFI – Rischio di confusione – Rischio di associazione – Art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94»

Nella causa T-117/02,

Grupo El Prado Cervera, SL, con sede in Valencia (Spagna), rappresentata dall'avvocato P. Koch Moreno,

ricorrente,

contro

Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dai sigg. J. F. Crespo Carrillo e G. Schneider, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto un ricorso di annullamento avverso la decisione della prima commissione di ricorso dell'UAMI 12 febbraio 2002 (procedimento R 798/2001‑1), relativa al procedimento di opposizione tra il Grupo El Prado Cervera, SL, e J. Debuschewitz,



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione),



composto dal sig. B. Vesterdorf, presidente, dal sig. P. Mengozzi e sig.ra M. E. Martins Ribeiro (relatore), giudici,

cancelliere: sig. I. Natsinas, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 9 marzo 2004,

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Antefatti della controversia

1
Il 18 dicembre 1998, il sig. Debuschewitz (in prosieguo: l’«altra parte dinanzi all’UAMI») ha presentato una domanda di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (in prosieguo: l’«UAMI»), ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), nella versione modificata.

2
Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è il marchio denominativo CHUFAFIT.

3
I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nelle classi 29 e 31 ai sensi dell’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957, concernente la classificazione internazionale dei beni e dei servizi ai fini della registrazione del marchio, nella versione rivista e modificata, e corrispondente, per ciascuna di tali classi, alla descrizione seguente:

classe 29: «frutta secca trattata»;

classe 31: «noci fresche».

4
Detta domanda è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari 30 agosto 1999, n. 69.

5
Il 29 novembre 1999, la società Grupo El Prado Cervera, SL (già Compañia Derivados de Alimentación, SL), ricorrente dinanzi al Tribunale, presentava opposizione ai sensi dell’art. 42 del regolamento n. 40/94. L’opposizione era diretta contro la registrazione del marchio richiesto, per tutti i prodotti menzionati nella domanda di marchio. L’impedimento fatto valere a sostegno dell’opposizione era il rischio di confusione di cui all’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. L’opposizione era fondata sull’esistenza di due marchi anteriori nazionali registrati in Spagna. Il primo marchio, registrato il 4 febbraio 1994 con il n. 1 778 419, è il marchio denominativo CHUFI, per designare una gamma di prodotti rientranti nella classe 29, cioè «carne, pesce, pollame e selvaggina; estratti di carne; frutta e ortaggi conservati, essiccati e cotti; gelatine, marmellate, composte; uova, latte e prodotti derivati dal latte; olii e grassi commestibili». Il secondo marchio, la cui registrazione spagnola n. 2 063 328 è del 5 maggio 1997, è il seguente marchio figurativo:

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6
Tale marchio comprende una gamma di prodotti della classe 31, cioè i «prodotti agricoli, orticoli, forestali e granaglie, non compresi in altre classi; animali vivi; frutta e ortaggi freschi; sementi, piante e fiori naturali; alimenti per gli animali, malto».

7
Con decisione 11 luglio 2001, la divisione di opposizione dell’UAMI ha respinto integralmente l’opposizione in quanto, sebbene i prodotti menzionati dal marchio richiesto fossero identici a quelli protetti dai marchi anteriori nazionali della ricorrente, esistevano differenze visive, fonetiche e concettuali tra il segno oggetto della domanda di registrazione e i marchi anteriori nazionali della ricorrente, che consentivano di escludere un rischio di confusione nella mente del pubblico spagnolo.

8
Il 31 agosto 2001, la ricorrente ha proposto un ricorso presso l’UAMI avverso la decisione della divisione di opposizione, ai sensi dell’art. 59 del regolamento n. 40/94.

9
Con decisione 12 febbraio 2002 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’UAMI ha respinto il ricorso, confermando la decisione della divisione di opposizione sugli stessi impedimenti.

10
In sostanza, la commissione di ricorso ha ritenuto che, nonostante il carattere identico dei prodotti, i marchi non fossero né identici né somiglianti al punto da comportare un rischio di confusione. La commissione di ricorso, da un lato, ha considerato che i segni in conflitto, pur condividendo la sillaba «chu», possedevano differenze visive e fonetiche quanto al numero di sillabe ed alla loro pronuncia (punto 18 della decisione impugnata). Dall’altro, per quanto riguarda il paragone concettuale, la commissione di ricorso ha considerato l’elemento comune «chuf», che in Spagna evoca il termine «chufa», che designa il cipero dolce (o baciccio), impiegato nella preparazione della «horchata» (orzata di cipero), direttamente legato al baciccio e non idoneo, di per sé, a distinguere i segni come marchi, né i due marchi tra loro. La commissione di ricorso ha invece constatato che, nell’ambito della comparazione complessiva dei marchi, erano gli elementi finali dei segni in conflitto a distinguere tali segni, presso il consumatore, come marchi. Ora, secondo la commissione di ricorso, poiché tali elementi sono sufficientemente diversi, consentiranno di evitare l’insorgere di una confusione, anche nel consumatore meno attento (punti 19 e 20 della decisione impugnata).


Procedimento e conclusioni delle parti

11
Con atto introduttivo redatto in spagnolo e depositato nella cancelleria del Tribunale il 15 aprile 2002, la ricorrente ha proposto il ricorso in esame.

12
Con lettera 3 maggio 2002, l’altra parte dinanzi all’UAMI si è opposta, ai sensi dell’art. 131, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura del Tribunale, all’impiego della lingua spagnola come lingua processuale dinanzi al Tribunale ed ha chiesto che il tedesco fosse la lingua processuale.

13
In applicazione dell’art. 131, n. 2, terzo comma, del regolamento di procedura, il Tribunale ha designato il tedesco come lingua processuale, dato che l’altra parte dinanzi all’UAMI aveva depositato la domanda di marchio contestata in tale lingua, in forza dell’art. 115, n. 1, del regolamento n. 40/94.

14
L’UAMI ha depositato il suo controricorso nella cancelleria del Tribunale il 7 ottobre 2002, mentre l’altra parte dinanzi all’UAMI ha depositato il suo il 16 settembre 2002.

15
Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento.

16
Le parti sono state sentite nelle loro difese e nelle loro risposte ai quesiti orali posti dal Tribunale all’udienza del 9 marzo 2004, salvo l’altra parte dinanzi all’UAMI, che non si è presentata.

17
La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

dichiarare la non conformità della decisione impugnata all’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94 e annullare tale decisione;

dichiarare l’esistenza di un rischio di confusione della domanda di marchio comunitario CHUFAFIT, nelle classi 29 e 31, col marchio spagnolo n. 1 778 419, CHUFI, che tutela i prodotti della classe 29, e con il marchio figurativo spagnolo n. 2 063 328, CHUFI, che tutela i prodotti della classe 31;

dichiarare il rigetto della domanda di marchio comunitario n. 1 021 229, CHUFAFIT, nelle classi 29 e 31;

condannare al pagamento delle spese l’UAMI e, eventualmente, l’altra parte dinanzi all’UAMI.

18
L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare la ricorrente alle spese.

19
L’altra parte dinanzi all’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare la ricorrente alle spese.


In diritto

20
Con il suo ricorso, la ricorrente chiede al Tribunale, da un lato, di pronunciare il rifiuto del marchio comunitario richiesto e, dall’altro, di annullare la decisione impugnata.

Sulla domanda diretta al rifiuto del marchio comunitario richiesto

21
Con il terzo capo delle sue conclusioni, la ricorrente mira sostanzialmente a chiedere al Tribunale di ingiungere all’UAMI di rifiutare la registrazione del marchio richiesto.

22
Occorre al riguardo rammentare che, conformemente all’art. 63, n. 6, del regolamento n. 40/94, l’UAMI è tenuto a prendere i provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza del giudice comunitario. Di conseguenza, non spetta al Tribunale l’adozione di provvedimenti ingiuntivi a carico dell’UAMI. Incombe a quest’ultimo trarre le conseguenze dal dispositivo e dalla motivazione della sentenza del Tribunale [sentenze del Tribunale 31 gennaio 2001, causa T‑331/99, Mitsubishi HiTec Paper Bielefeld/UAMI (Giroform), Racc. pag. II-433, punto 33; 27 febbraio 2002, causa T‑34/00, Eurocool Logistik/UAMI (EUROCOOL), Racc. pag. II-683, punto 12, e 3 luglio 2003, causa T‑129/01, José Alejandro/UAMI – Anheuser-Busch (BUDMEN), Racc. pag. II-2251, punto 22]. Il terzo capo delle conclusioni della ricorrente è quindi irricevibile.

Sulla domanda di annullamento della decisione impugnata

23
Con i due primi capi delle sue conclusioni, la ricorrente chiede in sostanza l’annullamento della decisione impugnata. A sostegno del suo ricorso essa deduce un motivo unico, attinente alla violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. Tale motivo è diviso in due parti: la prima attiene all’asserito misconoscimento, da parte della decisione impugnata, della notorietà e/o della fama del marchio spagnolo CHUFI, nonché del suo elevato carattere distintivo. La seconda attiene ad asseriti errori di valutazione circa l’assenza di un rischio di confusione tra i segni in conflitto.

24
In via preliminare occorre rilevare che in udienza, ed a seguito dell’eccezione di irricevibilità sollevata dall’UAMI nelle sue memorie, la ricorrente ha rinunciato alla prima parte del suo unico motivo. Il Tribunale ne ha preso atto nel verbale di udienza.

25
Ne consegue che il motivo unico si limita a chiedere al Tribunale di verificare se, con la decisione impugnata, la prima commissione di ricorso dell’UAMI abbia erroneamente concluso nel senso dell’assenza di un rischio di confusione tra i segni in conflitto.

Argomenti delle parti

26
La ricorrente sostiene che i due segni in conflitto presentano somiglianze visive, fonetiche e concettuali che avrebbero dovuto indurre la prima commissione di ricorso a constatare il rischio di confusione.

27
Anzitutto, per quanto riguarda la somiglianza visiva dei segni in conflitto, la ricorrente fa valere che il marchio CHUFI è praticamente identico alla parte iniziale del marchio CHUFAFIT e che, poiché il pubblico è attratto principalmente dalla parte iniziale di un marchio denominativo, i due marchi sono simili sotto il profilo visivo. La ricorrente sottolinea altresì che il consumatore potrebbe associare tanto più agevolmente l’origine dei due marchi in conflitto ad una stessa impresa se i titolari di marchi notori nel settore dell’alimentazione utilizzassero la parte iniziale dei loro marchi per concepire altri marchi che contengano tale stessa parte.

28
La ricorrente sostiene poi che il marchio comunitario richiesto CHUFAFIT non presenta differenze fonetiche con il marchio CHUFI, considerato che quest’ultimo vi è integralmente riprodotto. Secondo la ricorrente, la commissione di ricorso, esaminando la struttura sillabica dei due segni, ha ignorato che il marchio CHUFI è integralmente compreso nel segno CHUFAFIT. Essa aggiunge che tale riproduzione del marchio anteriore nel segno richiesto aggrava il rischio di associazione.

29
Infine, sul piano concettuale, la ricorrente considera che, se è vero che i marchi CHUFI e CHUFAFIT evocano il termine «chufa», cioè l’ingrediente a partire dal quale è prodotta l’orzata di cipero, tale circostanza avrebbe dovuto indurre la commissione di ricorso, considerato l’elemento comune «chuf», a concludere nel senso dell’esistenza di un rischio di confusione tra tali due marchi. D’altra parte, la ricorrente rileva che la decisione impugnata non è coerente con la decisione dell’UAMI nel procedimento FLEXICON/FLEXON (R 183/2002‑3), in cui la terza commissione di ricorso ha concluso nel senso dell’esistenza di una somiglianza concettuale, in considerazione del fatto che i due marchi in conflitto alludevano allo stesso significato e si avvicinavano al termine spagnolo «flexion».

30
Inoltre, la ricorrente ritiene che la decisione impugnata non abbia tenuto conto del modesto livello di attenzione del consumatore di riferimento, elemento che avrebbe dovuto essere preso in considerazione per determinare se la somiglianza tra due marchi fosse tale da provocare un rischio di confusione. Ora, secondo la ricorrente, in presenza di marchi che servono a distinguere alimenti o prodotti di largo consumo, occorre fare riferimento al consumatore medio, caratterizzato da un comportamento poco attento. Nel caso di specie, nel momento in cui tale tipo di consumatore effettuerà i suoi acquisti egli tenderà, secondo la ricorrente, ad associare il marchio richiesto al marchio anteriore CHUFI, che è il marchio dell’orzata di cipero più venduta in Spagna, interamente compreso nel segno CHUFAFIT ed i cui primi fonemi coincidono con detto segno.

31
L’UAMI risponde che, dopo aver notato che la valutazione fatta dalla commissione di ricorso quanto al carattere identico dei prodotti considerati dai due marchi non veniva rimessa in discussione dalla ricorrente, la decisione impugnata ha legittimamente concluso nel senso del rigetto dell’opposizione in seguito alla comparazione visiva, fonetica e concettuale dei segni in conflitto. In sostanza, l’UAMI considera, da un lato, che i segni in conflitto sono visivamente e foneticamente dissimili, in particolare a causa della loro diversa struttura sillabica. Dall’altro, sul piano concettuale, l’UAMI fa valere che l’elemento «chuf», che nella mente del pubblico spagnolo evoca l’ingrediente «chufa», è descrittivo dei prodotti protetti dai due marchi. Pertanto, secondo l’UAMI, il carattere distintivo dei segni in conflitto non può fondarsi sul prefisso «chuf», bensì riposa, al contrario, sulle parti finali dei due segni di fantasia: da un lato, per il segno CHUFI, l’aggiunta di una «i», dall’altro, per il segno CHUFAFIT, l’aggiunta di «afit». È altresì a causa del carattere descrittivo dell’elemento «chuf» che, secondo l’UAMI, la ricorrente non potrebbe disporre di un monopolio su un elemento del genere per i prodotti di cui trattasi nel caso di specie ed opporsi ad una domanda di registrazione di un marchio comunitario che comprende tale elemento.

32
Per quanto riguarda l’argomento relativo alla decisione della terza commissione di ricorso nella pratica FLEXICON/FLEXON, l’UAMI ammette che, a prima vista, la posizione delle due commissioni di ricorso diverge. Tuttavia, ritiene che il problema del rischio di confusione debba essere risolto caso per caso, pur seguendo la giurisprudenza comunitaria. A tal riguardo, l’UAMI segnala l’esistenza di una differenza rilevante tra la pratica FLEXICON/FLEXON ed il caso di specie: mentre nella prima le parti iniziali («flex») e finali («on») erano identiche, nella causa in esame solo la parte iniziale «chuf» è in comune.

33
Infine, l’UAMI respinge l’affermazione della ricorrente secondo cui i prodotti di cui trattasi (le noci fresche, la frutta secca trattata, nonché l’orzata di cipero) sono prodotti di grande consumo o, almeno, possono essere paragonati alla birra, al vino, o ad altre bevande alcoliche. Infatti, secondo l’UAMI, il consumatore non troverà un reparto specializzato per i prodotti in questione. In ogni caso, l’UAMI ritiene che un consumatore medio, ragionevolmente attento e avveduto, che abbia preso la decisione di acquistare i prodotti di cui trattasi, possa distinguere tra i due marchi. Infatti, confrontato a tali due marchi deboli, il consumatore assocerà l’elemento «chuf» all’ingrediente «chufa», piuttosto che a uno dei due marchi. Secondo l’UAMI, affermare il contrario equivarrebbe ad accordare al titolare di un marchio come CHUFI, descrittivo del prodotto «chufa», e che gode solo del carattere distintivo minimo richiesto per superare l’esame degli impedimenti assoluti alla registrazione, un monopolio su qualsiasi altro marchio contenente l’elemento «chuf», che designa l’ingrediente «chufa».

34
L’altra parte dinanzi all’UAMI nutre dubbi circa il carattere identico dei prodotti di cui trattasi. Essa rinvia invece agli argomenti dell’UAMI quanto alla comparazione dei segni in conflitto.

Giudizio del Tribunale

35
Occorre anzitutto rammentare che, ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, su opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è rifiutato «se a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato». Si precisa altresì che «il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore».

36
Nel caso di specie, è pacifico che i marchi anteriori sono registrati in Spagna. Ai fini della valutazione dei presupposti menzionati al punto precedente si deve quindi tener conto del punto di vista del pubblico in tale Stato membro. Di conseguenza, il pubblico pertinente è sostanzialmente un pubblico ispanofono.

37
Occorre poi sottolineare che, secondo la giurisprudenza della Corte relativa all’interpretazione della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), e del Tribunale relativa al regolamento n. 40/94, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico creda che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente collegate [sentenze della Corte 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon, Racc. pag. I-5507, punto 29, e 22 giugno 1999, causa C‑342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I-3819, punto 17; sentenze del Tribunale 23 ottobre 2002, causa T-104/01, Oberhauser/UAMI – Petit Liberto (Fifties), Racc. pag. II-4359, punto 25, e 22 ottobre 2003, causa T‑311/01, Éditions Albert René/UAMI – Trucco (Starix), Racc. pag. II-4625, punto 39].

38
Il rischio di confusione deve essere oggetto di valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori pertinenti del caso di specie (sentenze della Corte 11 novembre 1997, causa C‑251/95, SABEL, Racc. pag. I-6191, punto 22; Canon, cit., punto 16; Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 18; 22 giugno 2000, causa C‑425/98, Marca Mode, Racc. pag. I-4861, punto 40; sentenza Fifties, cit., punto 26, e sentenza Starix, cit., punto 40).

39
Tale valutazione globale implica una certa interdipendenza tra i fattori che entrano in considerazione, in particolare tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. Pertanto, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa. L’interdipendenza fra tali fattori trova la sua espressione al settimo ‘considerando’ del regolamento n. 40/94, secondo il quale è opportuno interpretare la nozione di somiglianza in relazione al rischio di confusione, la cui valutazione dipende da vari fattori e in particolare dalla notorietà del marchio di impresa sul mercato, dall’associazione che ne può derivare con il segno utilizzato o registrato, dal grado di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi designati (sentenza Starix, cit., punto 41).

40
Infine, la percezione dei marchi operata dal consumatore medio del tipo di prodotto o servizio di cui trattasi svolge un ruolo determinante nella valutazione globale del rischio di confusione. Orbene, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi (sentenze SABEL, cit., punto 23, e Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 25). Ai fini di questa valutazione globale, si ritiene che il consumatore medio della categoria di prodotti di cui trattasi sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Tuttavia occorre tener conto del fatto che il consumatore medio solo raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari marchi, ma deve fare affidamento sull’immagine non perfetta che ne ha mantenuto nella memoria. Occorre anche prendere in considerazione il fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi di cui trattasi (sentenza Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 26).

41
Per quanto riguarda il consumatore di riferimento, poiché i prodotti menzionati dal marchio comunitario richiesto sono prodotti alimentari di consumo corrente, in particolare nella componente essenziale dell’orzata di cipero (in spagnolo, «horchata»), e poiché i marchi anteriori della ricorrente sono protetti in Spagna, il pubblico interessato rispetto al quale deve essere svolta l’analisi del rischio di confusione è rappresentato dal consumatore medio di tale Stato membro.

42
A tal riguardo, il Tribunale non può accogliere la contestazione formulata dalla ricorrente secondo cui la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto del modesto livello di attenzione del consumatore di riferimento nella decisione impugnata. Infatti, sebbene la commissione di ricorso non abbia indicato se i prodotti di cui trattasi appartenessero alla categoria dei prodotti di largo consumo, come sostenuto dalla ricorrente, essa ha nondimeno constatato, al punto 20 della decisione impugnata, che i segni erano sufficientemente diversi per evitare l’insorgere di una confusione, anche in un consumatore non attento. Pertanto, nell’ambito del suo esame globale del rischio di confusione tra i segni in conflitto, la commissione di ricorso ha giustamente fatto riferimento al consumatore in possesso di un modesto livello di attenzione per determinare l’eventuale esistenza di un rischio di confusione nella mente di siffatto consumatore.

43
Per quanto riguarda la comparazione dei prodotti, è giocoforza constatare che, nel caso di specie, i prodotti designati dal marchio richiesto, cioè la «frutta secca trattata» e le «noci fresche», rientranti rispettivamente nelle classi 29 e 31, fanno parte della categoria più ampia dei prodotti coperti dai marchi anteriori e rientranti nelle stesse classi. D’altronde, la ricorrente non contesta la valutazione svolta dalla commissione di ricorso (punti 12 e 13 della decisione impugnata) circa il carattere identico dei prodotti riportati nella domanda di marchio comunitario e dei prodotti protetti dai marchi anteriori. Si deve quindi considerare che i prodotti di cui trattasi sono identici.

44
Per quanto riguarda la comparazione dei segni in conflitto, dalla giurisprudenza della Corte e del Tribunale risulta che la valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta da questi ultimi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti [sentenze SABEL, cit., punto 23, Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit., punto 25, e sentenza del Tribunale 14 ottobre 2003, causa T‑292/01, Phillips-Van Heusen/UAMI – Pash Textilvertrieb und Einzelhandel (BASS), Racc. pag. II‑4335, pag. 47].

45
Nel caso di specie, si deve rilevare che la commissione di ricorso ha proceduto alla comparazione del marchio denominativo richiesto con il marchio denominativo anteriore della ricorrente registrato con il n. 1 778 419 ed ha limitato il suo esame del rischio di confusione tra il marchio denominativo richiesto e il marchio figurativo della ricorrente (registrato con il n. 2 063 328) all’elemento verbale del detto marchio. Tale approccio è corretto. Infatti, l’elemento verbale del marchio anteriore figurativo della ricorrente sembra lルelemento dominante di tale segno, idoneo a dare da solo l’immagine di tale marchio che il pubblico interessato conserva nella sua memoria, di modo che le altre componenti del marchio, cioè, nel caso di specie, la rappresentazione di un bicchiere di forma allungata posto al centro della lettera «u» del marchio figurativo, sono trascurabili nell’impressione d’insieme prodotta da quest’ultima [sentenza del Tribunale 23 ottobre 2002, causa T‑6/01, Matratzen Concord/UAMI – Hukla Germany (MATRATZEN), Racc. pag. II-4335, punto 33]. Si deve poi rilevare che né la ricorrente né l’altra parte dinanzi all’UAMI hanno messo in discussione l’approccio adottato dalla commissione di ricorso.

46
Detto questo, si deve esaminare se la commissione di ricorso abbia giustamente escluso qualsiasi rischio di confusione tra i marchi di cui trattasi, procedendo ad una comparazione visiva, fonetica e concettuale dei segni in conflitto.

47
La commissione di ricorso ha operato congiuntamente la comparazione visiva e fonetica dei segni in conflitto. Essa ha rilevato quanto segue:

«[S]e è vero che visivamente e foneticamente i segni condividono una prima sillaba comune “CHU”, i marchi CHUFI e CHUFAFIT sono, globalmente, visivamente dissimili: si scrivono diversamente: i marchi anteriori possiedono due sillabe, mentre il marchio comunitario richiesto ne possiede tre. Si pronunciano diversamente: il segno CHUFI è più breve e globalmente più armonioso foneticamente, caratterizzato dalle vocali dominanti “U-I”, rispetto al segno CHUFAFIT la cui pronuncia termina bruscamente con la sillaba “FIT”e che si estende su tre vocali che producono, grosso modo, il suono “U-A-I”».

48
Per quanto riguarda la comparazione visiva, è giocoforza constatare che i segni in conflitto condividono non solo il prefisso «chuf», ma altresì una lettera comune «i». Tali segni hanno quindi cinque lettere in comune, quattro delle quali formano la loro parte iniziale. Tuttavia, i segni in conflitto presentano molte differenze visive sulle quali può concentrarsi l’attenzione del consumatore, come sulla parte iniziale, considerata la lunghezza limitata dei detti segni. Infatti, i segni verbali si scrivono diversamente e sono composti da un diverso numero di lettere, cioè cinque lettere per i marchi anteriori della ricorrente e otto lettere per il marchio comunitario richiesto ed hanno quindi una diversa struttura sillabica, dato che la struttura dei marchi anteriori della ricorrente è particolarmente breve. D’altra parte, la posizione centrale delle lettere «f», «a» e «f» nel marchio comunitario richiesto CHUFAFIT e la presenza della lettera «t» finale contribuiscono a produrre un’impressione visiva diversa del marchio richiesto rispetto ai marchi anteriori della ricorrente. Di conseguenza, nell’ambito della valutazione visiva d’insieme dei segni, tali differenze, sebbene poco importanti, sono nondimeno sufficienti per escludere una somiglianza visiva tra i segni in conflitto.

49
Per quanto riguarda la comparazione fonetica, l’analisi svolta dalla commissione di ricorso è corretta. Si deve, certo, sottolineare che i segni in conflitto possiedono, da un lato, una sillaba identica, «chu», e, dall’altro, un suffisso quasi simile, cioè «fi» per i marchi anteriori e «fit» per il segno CHUFAFIT. Occorre tuttavia rammentare che la struttura sillabica dei segni in conflitto è diversa, dato che i marchi anteriori hanno due sillabe («chu» e «fi») e il marchio comunitario richiesto tre («chu», «fa» e «fit»). Ora, secondo le regole di accentuazione della lingua spagnola, come rilevato dalla commissione di ricorso e dall’UAMI, l’ultima sillaba «fit» del marchio richiesto termina bruscamente con la lettera «t», che si inserisce in tale sillaba accentata e riceve, di conseguenza, tutta la forza dell’accento tonico. Tale accentuazione comporta così una pronunciata differenza fonetica rispetto all’ultima sillaba «fi» dei marchi anteriori. Inoltre, se il segno CHUFI si ritrova integralmente nel segno CHUFAFIT, tale riproduzione è però tronca, in quanto le due sillabe che compongono il marchio anteriore CHUFI sono separate, nel segno CHUFAFIT, dalle lettere «f» e «a». L’interposizione di tali lettere tra la prima sillaba comune ed i suffissi dei segni in conflitto conduce ad un’impressione uditiva diversa da quella dei marchi anteriori. Dall’insieme di tali differenze uditive discende che la riproduzione tronca del segno CHUFI nel segno oggetto del marchio richiesto non comporta che i segni in conflitto siano foneticamente simili.

50
Quanto alla comparazione concettuale, la commissione di ricorso ha sostanzialmente constatato che l’elemento «chuf», comune ai segni in conflitto, che evoca il baciccio («chufa» in spagnolo), è descrittivo del prodotto a partire dal quale è fabbricata la bevanda «horchata» (orzata di cipero) e non può quindi servire a distinguere i marchi. La commissione di ricorso ha ammesso che ciò costituisce una punto debole comune ai due marchi ed ha ritenuto che, nell’ambito della comparazione globale dei segni in conflitto, la parte iniziale dei marchi fosse quindi meno importante delle loro parti finali, che permetteranno al consumatore di percepire tali vocaboli come marchi e non come termini descrittivi.

51
A tal riguardo, si deve osservare che, in linea generale, il pubblico interessato non considererà un elemento descrittivo facente parte di un marchio complesso come l’elemento distintivo e dominante dell’impressione d’insieme che tale marchio complessivo produce [v., in tal senso, sentenza BUDMEN, cit., punto 53; v., ugualmente, sentenza del Tribunale 18 febbraio 2004, causa T-10/03, Koubi/UAMI – Flabesa (CONFORFLEX), Racc. pag. II-719, punto 60].

52
Nel caso di specie, pur ammettendo, nelle sue memorie, che i suoi marchi CHUFI evocavano concettualmente il baciccio («chufa» in spagnolo), la ricorrente ha nondimeno sostenuto che i suoi marchi potevano beneficiare di un carattere distintivo a causa dell’asserita fama e/o dell’asserita notorietà da essi acquistate in Spagna. Ora, come constatato al punto 24 supra, la ricorrente ha rinunciato in udienza ad avvalersi dell’asserita fama e/o dell’asserita notorietà dei suoi marchi.

53
Il Tribunale constata che il prefisso «chuf», comune ai segni in conflitto, designa il cipero dolce (baciccio), chiamato in spagnolo «chufa», e che serve, praticamente, alla produzione della bevanda popolare nota con il nome di «horchata» (orzata di cipero), commercializzata in Spagna, in particolare, dalla ricorrente. Di conseguenza, nell’impressione d’insieme suscitata dai segni in conflitto, il pubblico interessato percepirà l’elemento «chuf» come un elemento descrittivo dei prodotti designati dai segni in conflitto e non come un elemento che consente di distinguere l’origine commerciale di tali prodotti. L’elemento «chuf» è quindi privo di carattere distintivo e non può essere considerato l’elemento dominante dell’impressione d’insieme suscitata dai segni in conflitto.

54
Invece, come giustamente rilevato dall’UAMI, nell’ambito dell’impressione globale suscitata dai segni in conflitto, sono le parti finali di tali segni che consentiranno al pubblico interessato di percepire questi ultimi come termini di fantasia e non come termini unicamente descrittivi. Si deve tuttavia sottolineare che, dal punto di vista concettuale, né il suffisso «fit», per quanto riguarda il marchio comunitario richiesto, né la lettera «i», per i marchi anteriori della ricorrente, possiedono un significato determinato in spagnolo. Sul piano logico la comparazione di tali elementi è quindi irrilevante. Cionondimeno, le differenze visiva ed uditiva di tali elementi sono sufficienti per consentire, nella valutazione globale dei segni in conflitto, di escludere qualsiasi rischio di confusione fra tali segni nella mente del pubblico interessato. Inoltre, anche supponendo, come fatto valere dalla ricorrente per la prima volta in udienza, che il suffisso «fit» del marchio richiesto faccia riferimento al termine «fit» dell’inglese, una delle accezioni del quale evoca una persona in buona forma fisica, e che una parte significativa del pubblico interessato disponga di conoscenze della lingua inglese sufficienti a comprendere un simile riferimento, il che non è stato peraltro dimostrato dalla ricorrente, il Tribunale considera che tale riferimento non può essere necessariamente descrittivo di una caratteristica dei prodotti menzionati nel marchio richiesto e che, per di più, esso non sarebbe tale da escludere qualsiasi rischio di confusione fra i segni in conflitto. Un argomento del genere, comunque, che mira a contestare il carattere distintivo del marchio comunitario richiesto, non rientra nell’oggetto del procedimento in corso, che, come risulta dalle valutazioni svolte ai punti 22 e 23-25 supra, attiene solo all’esistenza di un impedimento alla registrazione di carattere relativo, cioè al rischio di confusione tra i segni in conflitto.

55
La commissione di ricorso ha quindi giustamente affermato che, nell’ambito della valutazione d’insieme dei segni in conflitto, le differenze tra tali segni erano sufficienti per escludere un rischio di confusione nella mente del pubblico interessato.

56
Tale conclusione non può essere inficiata dai diversi argomenti fatti valere dalla ricorrente.

57
Per quanto riguarda, in primo luogo, l’asserita prassi decisionale divergente dell’UAMI ed i riferimenti alle decisioni nazionali spagnole relative a segni e registrazioni nazionali diversi da quelli di cui trattasi nella presente causa, si deve rammentare, da un lato, che la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso si valuta unicamente sulla base del regolamento n. 40/94, come interpretato dal giudice comunitario, e non sulla base di una precedente prassi decisionale dell’UAMI [sentenze del Tribunale 5 dicembre 2000, causa T-32/00, Messe München/UAMI (electronica), Racc. pag. II-3829, punto 47; 5 dicembre 2002, causa T-130/01, Sykes Enterprises/UAMI (REAL PEOPLE, REAL SOLUTIONS), Racc. pag. II-5179, punto 31, e BUDMEN, cit., punto 61]. Pertanto, non può essere accolto l’argomento attinente ad un’eventuale discordanza della decisione impugnata con la decisione della terza commissione di ricorso dell’UAMI nella pratica FLEXICON/FLEXON. D’altra parte, per quanto riguarda i riferimenti alle decisioni nazionali spagnole, s’impone una conclusione analoga [sentenze del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑162/01, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), Racc. pag. II-2821, punto 53, e 4 novembre 2003, causa T‑85/02, Díaz/UAMI – Granjas Castelló (CASTILLO), Racc. pag. II-4835, punto 37].

58
In secondo luogo, si deve altresì respingere la tesi della ricorrente attinente alla prassi commerciale dei titolari di marchi notori secondo cui questi ultimi utilizzerebbero la parte iniziale dei loro marchi per concepire marchi derivati che comprendono tale stessa parte. Infatti, da un lato, la ricorrente non può far valere l’asserita notorietà dei suoi marchi anteriori, della quale ha rinunciato ad avvalersi in udienza, come indicato supra al punto 24. Dall’altro, come fatto valere dall’UAMI, la ricorrente non può pretendere di opporsi all’uso, dall’altra parte dinanzi all’UAMI, dell’elemento «chuf» per i prodotti in questione e sul territorio rilevante, dato che, come già constatato al punto 54 supra, tale elemento non può essere percepito dal pubblico interessato come idoneo a distinguere l’origine commerciale dei prodotti tutelati dai marchi anteriori della ricorrente.

59
Infine, per quanto riguarda le osservazioni della ricorrente relative al rischio di associazione tra i segni in conflitto a causa del prefisso comune «chuf», va rammentato che, secondo la giurisprudenza della Corte, il rischio di associazione costituisce un’ipotesi specifica del rischio di confusione ed è caratterizzato dalla circostanza che i marchi in questione, pur non potendo esser confusi direttamente dal pubblico interessato, potrebbero essere percepiti come due marchi del medesimo titolare [sentenze del Tribunale 9 aprile 2003, causa T-224/01, Durferrit/UAMI – Kolene (NU‑TRIDE), Racc. pag. II‑1589, punto 60, e la citata giurisprudenza]. Ora, se è vero che questo può accadere, segnatamente, quando i due marchi sembrano appartenere ad una serie di marchi composti sulla base di un tronco comune (sentenza NU-TRIDE, cit., punto 61), è giocoforza constatare che ciò non si verifica nel caso di specie, dato che il prefisso «chuf» possiede un carattere descrittivo che, di conseguenza, non è idoneo a far sorgere nella mente del pubblico interessato un rischio di associazione tra i segni in conflitto.

60
Da quanto precede risulta che, anche se nel caso di specie i prodotti menzionati dai segni in conflitto sono identici, le differenze tra i detti segni sono sufficienti per escludere l’esistenza di un rischio di confusione nella percezione del pubblico interessato.

61
Occorre quindi respingere il motivo unico attinente alla violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 e il ricorso nel suo insieme.


Sulle spese

62
Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, occorre condannarla alle spese sostenute dall’UAMI e dall’altra parte dinanzi all’UAMI, conformemente alle conclusioni di questi ultimi.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)
Il ricorso è respinto.

2)
La ricorrente è condannata alle spese.

Vesterdorf

Mengozzi

Martins Ribeiro

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 6 luglio 2004.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

B. Vesterdorf


1
Lingua processuale: il tedesco.